Atti Del Convegno “Quale Declino? Politiche Della Richerca Nell’Italia Unita”
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ATTI DEL CONVEGNO “QUALE DECLINO? POLITICHE DELLA RICHERCA NELL’ITALIA UNITA” Roma – Accademia Nazionale dei Lincei 9-10 giugno 2011 www.fondazioneruberti.it 1 INDICE Paolo Galluzzi Introduzione 4 Silvano Montaldo Scienze e potere politico nell’Italia liberale 6 Raffaella Simili Nazionalismo e internazionalismo fuori dall’Università. L’Accademia dei Lincei e il Consiglio Nazionale delle Ricerche 16 Sandra Linguerri Le politiche della scienza nell’organizzazione della ricerche extrauniversitaria: Società, istituzioni ministeriali, organizzazione nazionale e internazionale 23 Roberto Maiocchi Scienze e politica sotto il fascismo 36 Emanuele Bernardi La sperimentazione agraria tra fascismo e dopoguerra 47 Alessio Gagliardi Scienza, industria e autarchia 56 Giovanni Favero La ricerca demografica e statistica tra università, enti pubblici e finanziamenti privati: il percorso di Corrado Gini 68 www.fondazioneruberti.it 2 Mauo Capocci Domenico Marotta e l’industria farmaceutica in Italia 86 Francesco Cassata A Cold Spring Harbor in Europe. ∗ Adriano Buzzati-Traverso, il LIGB e la cooperazione scientifica internazionale ∗∗ 96 Luigi Cerruti Università, industria, Stato. La chimica italiana dalla Ricostruzione ai progetti finalizzati 141 Mario Bolognani Il passo del gambero dell’informatica italiana 166 Giovanni Paoloni Energia e sviluppo: politica e ricerca prima e dopo il miracolo economico 174 Angelo Guerraggio Ricerche scientifiche ai partiti politici 188 www.fondazioneruberti.it 3 Paolo Galluzzi Introduzione Ho avuto il privilegio di incontrare Antonio Ruberti all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, quando era Rettore della Sapienza, un incarico che aveva tenuto per lunghi anni con universale apprezzamento. L’occasione dell’incontro fu provocata dal comune amico Tullio Gregory che accompagnò Ruberti a Firenze in visita al Museo Galileo. Mi colpì in maniera particolare non solo il suo vivo interesse per le collezioni del Museo e per le ricerche e le pubblicazioni sulla storia della scienza dell’istituzione fiorentina ma, soprattutto, la sua appassionata rivendicazione della dimensione culturale della ricerca scientifica. Mi parve che Ruberti condividesse, in particolare, il ragionamento col quale sottolineavo che la dimensione culturale dell’impresa scientifica emerge con palmare evidenza dallo studio critico dell’evoluzione storica della scienze e delle tecniche. Convenimmo che la separazione della scienza dalla cultura – un fenomeno purtroppo largamente presente nell’Italia contemporanea – rappresentava una delle cause principali non solo del distacco, soprattutto dei giovani (cominciavano a manifestarsi allora i primi sintomi della cosiddetta “crisi delle vocazioni scientifiche”), dagli studi di scienza e tecnologia, ma anche dell’impoverimento e isterilimento dello stesso concetto di cultura. Dopo quell’incontro i contatti si intensificarono. Divenuto ministro, Ruberti mi invitò a collaborare alle iniziative che veniva coraggiosamente assumendo per promuovere la più incisiva diffusione di quella che non casualmente definiva “cultura scientifica”, un progetto che si fondava sulla convinzione della necessità di abbattere gli steccati eretti per separare rigidamente gli studi di scienze e tecnologia dagli studi umanistici. In pochi anni la lucidità, l’energia e la determinazione di Ruberti alimentarono la speranza che fosse possibile avviare un processo di profondo rinnovamento culturale e istituzionale: il progetto di riforma dell’Università e degli Enti di Ricerca, con al centro l’idea nuova dell’autonomia, intesa non come libertà di fare quello che si vuole, ma come assunzione piena di responsabilità; i successi ottenuti nel rivendicare la necessità di incrementare l’investimento del Paese nella ricerca; l’idea, www.fondazioneruberti.it 4 fortemente sottolineata, della necessità che parte cospicua dell’investimento pubblico fosse destinata al sostegno della ricerca di base, dato che solo dallo sviluppo delle conoscenze fondamentali può derivare l’aumento di competitività dei settori produttivi; l’affermazione della necessità di garantire un governo unitario dei processi di formazione, ponendo sotto la medesima responsabilità politica Università e Scuola. Idee pilota, fondate su un’analisi lucidissima della realtà, non solo di quella italiana, dato che le trasferì con successo come obbiettivi strategici prioritari nella sua incisiva azione di Commissario Europeo della Ricerca. Le speranze di rinnovamento che aveva generato col suo impegno appassionato sfumarono progressivamente, prima, con il mancato rinnovo del suo incarico ministeriale e, poi, più drammaticamente, con la sua scomparsa. Le prospettive di riforma e rivitalizzazione dell’Università e del Sistema Ricerca, così come l’energico rilancio delle iniziative per la diffusione della cultura scientifica sono venute progressivamente sfumando, con la conseguenza che è tornato a manifestarsi, sempre più impetuoso, quel processo degenerativo del quale siamo oggi testimoni. Il convegno sulla politica della scienza in Italia, dopo l’Unità, organizzato dalla Fondazione Ruberti si propone di rispondere ad alcuni degli interrogativi più pressanti ai quali Antonio Ruberti avvertiva il bisogno di trovare risposta. Attraverso quali processi è venuto imponendosi nel nostro Paese una divaricazione sempre più netta tra scienza e cultura? E quali sono stati i motori che hanno contribuito all’eliminazione della scienza e della tecnica dalla politica e della politica dalla scienza e dalla tecnica? www.fondazioneruberti.it 5 Silvano Montaldo Scienze e potere politico nell’Italia liberale Per affrontare il tema che mi è stato assegnato occorrono alcune riflessioni preliminari: innanzitutto dobbiamo stabilire quale significato dare al termine “scienze”: se tra le scienze includiamo l'economia politica il quadro del rapporto tra scienza e potere cambia radicalmente poiché l'economia politica fu tenuta in grande considerazione dalla classe dirigente dell’Italia liberale; viceversa, se per scienze intendiamo solo le scienze “esatte”, o le scienze della natura, allora tutta la questione deve essere posta sotto una luce diversa. Anche il secondo termine, il potere, deve essere meglio definito: c'è il potere politico, c'è però anche il potere dell'opinione pubblica che all’epoca aveva ormai un ruolo considerevole e con la quale gli scienziati intrattennero un rapporto significativo, come vedremo; e c’è un potere dei militari solo formalmente sottoposto al controllo delle istituzioni rappresentative potere politico e che, invece, nell'Italia liberale era in gran parte svincolato dal controllo parlamentare e legato a filo doppio con la monarchia e la corte. Per provare a dipanare questa matassa è necessario fare anche un passo indietro, nella convinzione che quello che successe prima e durante la formazione dell'Italia liberale condizionò l'atteggiamento che gli scienziati avranno durante l'Italia liberale nei confronti del potere politico. Il 23 ottobre 1831 un giovane e sconosciuto ventenne, Camillo Cavour, scrivendo allo zio a Ginevra commentava la rivoluzione di luglio che in Francia aveva posto fine alla monarchia borbonica e le conseguenze che questi eventi avevano avuto in Europa e nel Regno di Sardegna: “la scossa che ha rovesciato il più grande sovrano d'Europa ha reso vacillante il trono di tutti gli altri monarchi tanto che la maggior parte di essi ha ritenuto di dover raddoppiare la vigilanza per reprimere gli animi infiammabili, condotta che si può perdonare a persone che non sanno che la forza elastica del gas cresce proporzionalmente alla pressione che sopporta. Il nostro governo, che probabilmente non conosce la fisica, ha preso severe misure soprattutto a Genova la città si è riempita di spie”. L'uso dell'immagine retorica tratta dal linguaggio scientifico, l'adozione di termini tecnici non è un fatto casuale in Cavour, per il quale gli unici studi regolari furono quelli compiuti all'Accademia militare di Torino, dalla quale uscì come ufficiale del Genio. In secondo luogo, per Cavour il rapporto con il www.fondazioneruberti.it 6 pensiero scientifico moderno era anche una questione di famiglia, nel senso che lui era cugino di due chimici, Charles e Auguste De la Rive, che erano studiosi di valore e soprattutto con Auguste, suo coetaneo, Cavour ebbe una corrispondenza che durò per tutta la vita. Questa formazione culturale improntata anche al metodo e alle conoscenze della scienza moderna caratterizzò l'azione di Cavour, che come imprenditore applicò le conoscenze economiche e metodi scientifici all’attività agricola e si impegnò anche nell'industria chimica dei fertilizzanti; e come politico fece numerosi riferimenti al pensiero scientifico, sviluppando uno stile oratorio molto diverso da quello dei suoi colleghi deputati, che ebbero quasi tutti una formazione giuridica. Verrebbe da dire che la scienza influenzò il suo modo di pensare la politica. Gli esempi potrebbero essere molti: nel 1848, nel corso della discussione sui caratteri che avrebbe dovuto assumere la costituzione piemontese, il giornalista Cavour scrive: “Reputiamo indispensabile il dividere il potere legislativo fra due assemblee nell’una delle quali l’elemento popolare, la forza motrice, predomini mentre nell’altra l’elemento conservatore eserciti una larga influenza. Respingendo l’idea dell’equilibrio, vogliamo costituire la gran macchina politica in modo che l’impulso acceleratore sia coordinato con la forza moderatrice. Vogliamo accanto alla molla che spinge, il pendolo che regola e rende il modo uniforme”.