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Leggi Estratto Del Libro Raymond Lambert L’HOTEL DELLA MORTE LENTA Le Parusciole Raymond Lambert, l’uomo che guardava in alto di Alberto Paleari Una decina d’anni fa, o forse più, in uno di quei pomeriggi temporaleschi che capitano spesso in estate sul Bianco, ciondolavo da una finestra all’altra della sala da pranzo del rifugio del Réquin, spiando l’arrivo di una schiarita tra gli scrosci di pioggia che batteva- no di traverso sui vetri. Gilbert, il custode, mi rassicurava: “demain c’est le grand beau”. In quel periodo andavo spesso al Réquin, e con Gilbert, che oltre a fare il custode era anche guida di Chamonix, ero abbastanza in confidenza: l’avevo anche incontrato un paio di volte in montagna, sulle Aiguilles, sempre con un suo cliente di Argéntière che faceva il pittore. Io non ero tanto tranquillo: più in alto quella piog- gia era neve e grandine e temevo che le fessure della via Rénaudie, che dovevo salire il giorno dopo, si in- crostassero di verglas. Ma Gilbert continuava a rassi- curarmi e, credo per farmi star fermo (gli dava fastidio quel continuo mio andare avanti e indietro, o forse più che a lui dava fastidio alla moglie, una maniaca dei pavimenti lucidati a cera, la quale per entrare nel ri- fugio voleva che si mettessero le pattine) prese un libro 5 da una vetrinetta chiusa a chiave che fungeva da bi- blioteca e mi disse di leggerlo, io che ero uno scrittore: quello sì che era un bel libro di montagna! Come facesse a sapere che ero uno scrittore non lo so, però ci rimasi anche un po’ male, la sua ultima affermazione sembrava mancante della conclusione: mica i tuoi. Che però avesse letto i miei libri era da escludere, non sono mai stati tradotti in francese, per cui presi il libro di buon grado e, finalmente, con gran sollievo della gardienne, mi sedetti e cominciai a leg- gere. Il libro era intitolato “A l’assaut des quatre mille” e l’autore un certo Raymond Lambert. Mi accorsi subito che era una raccolta di racconti alpinistici, quelli che in Francia sono chiamati récit d’ascension, un genere letterario che normalmente non amo e che quasi sempre mi annoia, ma quel po- meriggio passato in compagnia di Lambert volò via in un attimo; quando chiusi l’ultima pagina il temporale era finito, dalle finestre entrava la luce azzurra del cielo sereno, la cena era pronta e la moglie di Gilbert mi stava spingendo fuori dal rifugio a guardare il tra- monto, perché non voleva nessuno tra i piedi mentre apparecchiava. Il racconto più avvincente era intitolato “L’Hotel de la mort lente” e si svolgeva proprio da quelle parti, sull’Arète du Diable al Tacul, di cui l’autore aveva fat- to nel 1938 la rocambolesca prima invernale, proprio partendo dal rifugio del Réquin. Per anni cercai poi inutilmente quel libro nelle li- brerie di Chamonix, e solo l’anno scorso Livia riuscì a trovarlo, tramite internet, in una libreria antiquaria 6 di Lorient, in Bretagna. Pubblicato a Ginevra nel 1953 dall’editore Jehe- ber, il volume, di carta porosa giallina, le pagine an- cora da tagliare, con all’interno fotografie in bianco e nero, e in copertina una foto a colori sbiaditi del versante Brenva del Bianco, arrivò poco dopo l’or- dinazione, e fu subito letto (e prediletto tra quelli di montagna) da Livia, che decise, con mia gran gioia, di tradurlo e pubblicarlo. Rintracciammo il figlio di Ray- mond Lambert, Yves, tramite una catena di amicizie alpinistiche che dimostra la validità delle teoria dei sei gradi di separazione, anzi di solo cinque: Alberto Paleari – Erminio Ferrari – Marco Volken – Claude Remy – Yves Lambert. Yves fu molto disponibile e gentile e si dichiarò fiero ed entusiasta che il libro di suo padre fosse fatto conoscere agli alpinisti italiani. Prendo spunto dalle parole di Yves per comincia- re questa mia breve presentazione, non del libro, che non ha bisogno di presentazioni e come tutti i libri va solo letto, ma di Raymond Lambert (1914-1997) del- la guida e dell’alpinista Raymond Lambert, pressoché sconosciuto in Italia, che viene da noi nominato solo nella Guida del CAI-TCI di Chabod, Grivel, Saglio, Buscaini, “Monte Bianco, volume secondo”, nel libro di Giusto Gervasutti “Scalate nelle Alpi”, in alcuni articoli di Renato Chabod e nel volume di Mario Fan- tin “I quattordici 8000”, mentre “Everest”, di Walt Unsworth, (Allen Lane – Penguin Books 1981) gli dedica molte pagine. Merita invece di essere conosciuto, questo fortis- simo alpinista ginevrino, che rispetto a noi guarda- 7 va le Alpi, e soprattutto il gruppo del Monte Bianco, dall’altro lato, e non intendo dire solo da nord invece che da sud, ma anche con un’altra mentalità. Quest’altra mentalità si esprimeva per esempio riguardo alle donne: anche in Italia negli anni ’30 c’erano donne alpiniste, e anche fortissime, ma Lam- bert compie sistematicamente le sue salite con donne, sue abituali compagne di cordata con le quali spesso arrampica alla pari (sul tiro chiave dello sperone Croz alle Jorasses Lambert manda davanti Mademoiselle Loulou Boulaz: “… Vu le poids minime de ma com- pagne, je la fais passer en tète, préférant l’assurer de dessous…”). Negli anni ‘30 si instaurò infatti un bel sodalizio con Loulou Boulaz (1908-1991) una delle più forti alpiniste di tutti i tempi, la prima donna a scalare la Nord delle Jorasses dagli speroni Croz e Walker. Nel 1937, l’anno prima della prima salita, Loulou ave- vava fatto un tentativo alla Nord dell’Eiger, ricevendo “dalla stampa svizzera una reazione incredibilmente negativa: le dissero di lasciare la valle al più presto e di dimenticarsi dell’Eiger, che la montagna è più for- te di lei” (da Rainer Rettner, Le grandi Pareti Nord, Corbaccio). Lambert arrampicò molto con la ginevrina Erika Stagni, e le francesi Sylvie D’Albertas e Claude Kogan con cui fece un tentativo al Cho Oyu nel 1954. La Kogan tornò poi al Cho Oyu nel ‘59 a capo di una spedizione femminile, di cui facevano parte anche la Boulaz e Jeanne Franco, trovandovi la morte sotto una valanga presso la vetta, insieme all’alpinista bel- ga Claudine Van den Sratten e a due scherpa. 8 Ma l’altra mentalità rispetto a quella degli alpini- sti cisalpini contemporanei si espresse anche riguardo all’arrampicata in falesia: Lambert e tutti i forti gi- nevrini della sua epoca e dell’epoca subito successiva alla sua, le citate Loulou Boulaz ed Erika Stagni, An- dré Roch, Robert Gréloz, Claude Asper, Marcel Bron, Michel Vaucher, Italo Gamboni, Robert Wolsclag, pro- vengono dalla frequentazione assidua della falesia del Salève, vicinissima a Ginevra anche se si trova in Francia. Poi per le invernali: Lambert fu un amante delle salite invernali molti anni prima che da noi diven- tassero di moda, ma soprattutto amò la montagna invernale “dove noi soli lasciamo le nostre tracce nel grande e impressionante silenzio delle altezze addor- mentate sotto il loro manto bianco”. Poi per l’understatement (con una sola eccezione, ma che eccezione!) un understatement non puramen- te linguistico ma sostanziale, cioè nella ricerca delle mete: Lambert aveva sicuramente classe, tecnica, for- za e coraggio per affrontare i grandi problemi delle Alpi, eppure sulle Alpi si limitò quasi sempre a fare ripetizioni e prime invernali. Il fascino di Lambert de- riva anche dal fatto di essere sempre arrivato secondo, come l’altro Raymond, certamente più famoso di lui e amatissimo dai francesi per essere stato un coraggioso perdente, il ciclista Raymond Poulidor, il cui palmares sarebbe stato certamente più ricco se non avesse in- contrato sulla sua strada i giganti Anquetil e Merckx. Questo understatement si esprime anche nel non voler mai apparire come guida ma sempre come semplice alpinista, anche se nel libro c’è un breve capitolo in 9 10 cui l’autore descrive come divenne guida, che non è stato tradotto per mancanza di spazio ma anche per- ché sembra fatto con meno cura degli altri capitoli, quasi fosse poco importante. Al contrario di quanto si fa sempre oggi: vantare la propria professionalità, Lambert sembra tener di più al proprio dilettantismo, alla propria passione alpinistica. Infine c’è l’eccezione: l’Everest. In “A l’assaut des quatre mille” un solo capitolo è stato dedicato a quella che fu certamente la maggio- re impresa di Lambert e una delle più grandi dell’al- pinismo svizzero del dopoguerra: il raggiungimento da parte di Lambert della quota di 8600 metri sulla Cresta Sud-Est dell’Everest nel 1952, in compagnia di Tenzing Norgay. In questo capitolo Lambert racconta solo gli ultimi due giorni della spedizione svizzera del ’52, l’arrivo al campo VII a 8400 metri e la successiva salita fino a 8600 metri, ma per capire la reale im- portanza di questa impresa bisogna ricorrere al libro ufficiale della spedizione “Avant-premières à l’Eve- rest” di G. Chevalley, R. Dittert, R. Lambert (Artaud, Paris-Grenoble, 1953) e ai libri di storia alpinistica di Fantin e Unsworth . E’ appunto quest’ultimo che nel suo “Everest” di- chiara: “nel dopoguerra gli svizzeri furono i veri pio- nieri dell’Everest, e subirono la sorte di molti pionieri: il fallimento”. Fino al 1951 tutti i tentativi di salita erano avve- nuti per la via del Colle Nord, cioè dal Tibet. Nel 1947 l’oroscopo del Dalai Lama predisse per lui una pros- sima minaccia da parte di stranieri, per cui vennero 11 chiuse le frontiere. L’oroscopo non aveva sbagliato, in- fatti nell’ottobre del 1950 il Tibet fu invaso dalle trup- pe cinesi e fu definitivamente chiuso alle spedizioni.
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