Torino Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto Mercoledì 24.IX.08 Ore 21 Orchestre National De France Kurt Masur Direttore Beethov
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Torino Orchestre National de France Auditorium Kurt Masur direttore Giovanni Agnelli Lingotto Beethoven Mercoledì 24.IX.08 ore 21 Presenting Partner Ludwig van Beethoven (1770-1827) Terza Sinfonia in mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica” Allegro con brio Marcia funebre. Adagio assai Scherzo. Allegro vivace Finale. Allegro molto Quinta Sinfonia in do minore op. 67 Allegro con brio Andante con moto Allegro Allegro Orchestre National de France Kurt Masur, direttore musicale Si ringrazia Guido Gobino per i suoi deliziosi cioccolatini Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino è nel bagaglio aneddotico dell’Eroica un episodio celebre che è tanto difficile C’trascurare quanto comprendere nella sua giusta portata. Tutti sanno che Beethoven scrisse la Terza Sinfonia per Napoleone Bonaparte (fra il 1802 e l’inizio del 1804) e che nel maggio del 1804, quando gli giunse la notizia che Napoleone si era autoproclamato imperatore, ne stracciò la dedica in un accesso di sdegno repub- blicano. In realtà quel gesto potrebbe avere – ed ha avuto – svariate interpretazio- ni alternative sulle quali nessuno, nemmeno spaccando il capello in quattro come fa Carl Dahlhaus, ha ancora detto l’ultima parola. Su una cosa però quasi tutti gli studiosi concordano: stracciando la dedica Beethoven non poteva (qualcuno, docu- menti alla mano, dice: non voleva) in alcun modo cancellare dall’opera il rapporto interno che essa ha con il mito del generale còrso. Se eroico è “afferrare il destino alla gola” sfidandolo con la forza della volontà morale, Napoleone non ha mai ces- sato di essere per Beethoven l’incarnazione di quegli ideali universali cui egli, nella Terza Sinfonia, cerca prepotentemente per la prima volta un degno edificio stilisti- co. Questo “stile eroico”, che investe le coeve Sonate per pianoforte op. 53 e op. 57, poggia sulla vastità della forma (la Terza è superata in ampiezza solo dalla Nona) e sulla inaudita estremizzazione dei conflitti. In termini molto semplificati possiamo individuarlo nell’uso di una tematica di grande chiarezza e semplicità, assoggetta- ta a una logica sinfonica di respiro monumentale. Valga come esempio la decisiva osservazione di Walter Riezler, secondo cui ciò che viene considerato il primo tema della sinfonia non sarebbe altro che il dispiegamento melodico delle note già udite simultaneamente nei due accordi iniziali. Altro esempio d’obbligo è quello dell’ul- timo tempo, Allegro molto, il cui tema principale Beethoven aveva già utilizzato nelle Variazioni op. 35 per pianoforte e in un episodio delle Creature di Prometeo. Ma questa volta – e ciò è determinante – il tema e il suo stesso basso vengono dap- prima messi in opposizione tra loro e variati indipendentemente: subito dopo ne viene fatto derivare un grande fugato. Il tema resta quello, la formula retorica è cambiata. Beethoven iniziò la composizione proprio da questo finale, dal quale derivò poi, attraverso molti passaggi, il materiale tematico dell’Allegro di apertura, che culminerà in una coda di proporzioni colossali. A quel punto il monumento era lì, già mezzo scolpito, e reclamava i propri diritti. Il consueto Adagio, che Beetho- ven aveva già previsto quale secondo tempo, non bastava più a reggere il confron- to con la prima e l’ultima pagina. Ci voleva qualcos’altro. Nacque così la grandiosa Marcia funebre, ispirata verosimilmente a una lunga tradizione francese (Gossec, Pleyel, Grétry), nella quale Napoleone, primo dedicatario della partitura – poi “gira- ta” non senza vantaggio economico al principe Joseph Max von Lobkowitz – avreb- be potuto agevolmente riconoscere un partecipe omaggio di Beethoven alla musica della Rivoluzione. Per ultimo venne lo Scherzo, anch’esso adeguatamente dilatato attraverso un’elaborazione e una ripresa successive al Trio, come del resto avverrà di lì in avanti. Come a dire che, dai dettagli fino all’Idea compiuta, poche altre pagi- ne segnano più nettamente della Sinfonia Eroica un salto di qualità e una svolta irreversibile nella storia di un genere musicale. Pochissimi esordi musicali possono vantare, come quello della Quinta Sinfonia, una notorietà che raggiunge il livello della coscienza collettiva e sconfina ormai con disinvoltura in quello del luogo comune. La cellula d’apertura della sinfonia, il cele- berrimo ta-ta-ta-tàaa, non ha mai cessato di assumere connotati drammatico-sim- bolici che costituiscono ormai una storia a sé (tra l’altro fu sigla delle trasmissioni di Radio Londra durante la seconda guerra mondiale). Perfino in ambito musicolo- gico – dove la prudenza nell’avallare “significati” extramusicali dovrebbe essere di casa – si ricorda la sfortunata intraprendenza di Sir George Grove, il quale volle in- terpretare la Quinta Sinfonia (e la Quarta) come musiche a programma sulla tor- mentata vicenda dell’“amata immortale”, ispirandosi peraltro a un testo che si rivelò poi un clamoroso falso. A inaugurare questa eccezionale attitudine “comunicativa” della Quinta Sinfonia fu lo stesso Anton Schindler, amico e biografo di Beethoven, il quale attribuì al compositore stesso la più celebre spiegazione dell’attacco: «Così il destino bussa alla porta!». Sull’attendibilità di Schindler sono stati sollevati, a ragione, tutti i dubbi del mondo, ma questo non cancella una realtà incontestabile: tante e tanto durature immagini interpretative di un gesto musicale sono il correlato di una prepotente originalità stilistica, originalità che la Quinta Sinfonia presenta con tanta forza da spiazzare le abituali categorie critiche e reclamarne di nuove, per quanto confuse. Ciò in cui la Quinta ci immerge perentoriamente è in effetti il cuore del cosiddetto “stile eroico” di Beethoven, le cui prime avvisaglie affiorano già in talune opere gio- vanili (come la Cantata per Giuseppe II del 1790), ma la cui affermazione compiu- ta si avrà solo con la Terza Sinfonia (1804), con la Quinta (1807/1808), con il Fide- lio (1803/1814), con le musiche di scena per l’Egmont di Goethe (1809/1810) e con le sonate per pianoforte op. 53 e op. 57. Nella definizione di “stile eroico” si intrecciano complesse componenti psicologiche ed etiche, oltre a retaggi stilistici legati alle tensioni storiche del tempo, in quello che è stato indicato sinteticamente come “tono rivoluzionario”, che consiste in una tempe- stosa esaltazione della conflittualità tematica, non disgiunta da ambizioni di chiarez- za discorsiva in cui convergono semplicità e monumentalità. Ma il sigillo inconfondi- bile che Beethoven imprime a questa svolta storica sta essenzialmente nella fusione che egli opera, per primo, tra l’eloquenza del “tono rivoluzionario” e il principio della forma-sonata, costringendo all’interno di quest’ultima un materiale musicale che nella sua forma originaria sembrava sottrarvisi. Sotto questo aspetto, la monumentalità della Quinta Sinfonia, osservata già da Goethe, si lega a una sorprendente economia – tutta sonatistica – nell’impiego dei materiali tematici, la cui stringente consequenzia- lità è immediatamente percepibile anche all’ascoltatore meno analitico. Se l’originalità dell’attacco risultò sconcertante, grazie alla sua estrema concentrazio- ne ritmica priva di preparazione, non meno sorprendenti dovettero risuonare agli ascoltatori dell’epoca le molte altre innovazioni che Beethoven vi introdusse. Per esem- pio gli effetti “spettrali” dei contrabbassi nel terzo tempo, l’aggiunta dei tromboni nel finale, la presenza dell’ottavino e del controfagotto tra i legni, il “prodigioso” – defini- zione di Berlioz – ponte di collegamento fra gli ultimi due movimenti, la breve e inau- dita cadenza dell’oboe nel primo tempo. L’elemento fortemente soggettivo che filtra da ogni rigo della partitura fu una tenta- zione irresistibile per chi, come E.T.A. Hoffmann, volle rivendicare la sinfonia al- l’estetica romantica. Non bisogna tuttavia trascurare che proprio l’equilibrio sovrano fra soggettivismo e forma è un valore fondamentale della Quinta Sinfonia, espressione suprema di un razionalismo classico che rifiuta di abbandonarsi alle spinte impetuose di un romanticismo incombente. Dedicata congiuntamente al principe Lobkowitz e al conte Razumovskij, la Quinta Sinfonia venne redatta per esteso tra il 1807 e i primi mesi del 1808, anche se qual- che abbozzo di idea risale al 1804. Ebbe la sua prima esecuzione pubblica in una accademia (un concerto a sottoscrizione) tenuta il 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien sotto la direzione dell’autore, in una serata in cui furono eseguite anche la Sesta Sinfonia, il Quarto Concerto per pianoforte e la Fantasia Corale op. 80. Antonio Cirignano Nel 1934 la Francia crea la sua prima orchestra sinfonica stabile. Erede della tradi- zione interpretativa della musica francese, l’Orchestre National de France ha acquisito nel tempo tutto il repertorio di una formazione internazionale. Désire-Emile Inghelbrecht, primo direttore titolare, fonda la tradizione musicale dell’Orchestra, un repertorio nel quale predominano le opere di Debussy e Ravel, ma si scoprono anche partiture come Boris Godunov. Dopo la guerra seguono la tra- dizione Manuel Rosenthal, André Cluytens, Roger Désormière, Charles Munch, Maurice Le Roux e Jean Martinon. Dopo Sergiu Celibidache, primo direttore ospite dal 1973 al 1975, Lorin Maazel viene nominato direttore musicale dell’Orchestra. Dal 1989 al 1998 Jeffrey Tate oc- cupa il posto di primo direttore ospite, e dal 1991 al 2001 il direttore musicale è Charles Dutoit. Nel settembre 2002 Kurt Masur ne diventa direttore musicale e svolge un intenso lavoro di interpretazione, in particolare