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REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana

composta dai Sigg.ri Magistrati: dott. Valter DEL ROSARIO

Presidente ff - dott. Antonio NENNA

- Consigliere - dott. Giuseppe COLAVECCHIO

- Primo Referendario relatore - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

2402/2010 nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 55537 del registro di segreteria, promosso dalla

Procura Regionale nei confronti di Rumeo Salvatore, nato a , il 24.04.1957, ivi residente in via Filippo Paladini, n. 31

Visto l’atto di citazione.

Letti gli atti ed i documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 06.10.2010, il relatore dott. Giuseppe Colavecchio, magistrato primo referendario, e il pubblico ministero dott.ssa Maria Luigia Li Castro, sostituto procuratore generale; non comparso alcuno per il Rumeo.

Ritenuto in

FATTO

La Procura Regionale presso questa Sezione, con atto di citazione depositato in segreteria in data 31.07.2009 e ritualmente notificato, ha convenuto in giudizio il sig.

Rumeo Salvatore per essere condannato al pagamento della somma di € 58.493,22, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, quale danno erariale patito dal

Comune di Santa Caterina Villarmosa.

Il Pubblico Ministero ha riferito che: il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza n.

316/2004, ha condannato l’odierno convenuto, in qualità di dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale, alla pena di anni uno di reclusione per due distinte ipotesi di abuso d’ufficio, ex art. 323 c.p., commesse in data 15.07.1999 e in data 28.04.2000, relativamente al rilascio delle concessioni edilizie n. 35/1999 e n. 23/2000, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione comunale, costituitasi parte civile; la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza n. 685/2007, nel confermare la responsabilità penale del Rumeo e le statuizioni in favore della parte civile, ha dichiarato condonata la pena principale, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 241/2006; la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10363/2008, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la decisione del giudice di seconde cure.

L’organo requirente, dopo avere richiamato l’art. 651 c.p.p., ha ritenuto che la somma di €

43.493,22, sborsata dal per le competenze legali liquidate al proprio difensore e per la consulenza tecnica, costituisse un vulnus per il pubblico erario; ha sostenuto, inoltre, che la condotta del convenuto integrasse gli estremi del danno all’immagine della

Pubblica Amministrazione, da liquidarsi in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., nella misura di € 15.000,00, giacchè la vicenda aveva avuto vasta eco nella stampa locale

(Giornale di Sicilia, edizione di Caltanissetta del 13.05.2004 e del 29.06.2007).

Il convenuto, nella memoria depositata in data 16.09.2010, ha sostenuto che la somma di

€ 3.804,79, liquidata all’ing. Amedeo Falci, nominato dal Sindaco quale consulente per verificare la fondatezza degli esposti del sig. Acquario Salvatore, non possa essergli addebitata in quanto il consulente aveva ritenuto legittima la concessione edilizia n.

35/1999 (che invece il tribunale ha dichiarato illegittima) e avverso la stessa non è stato proposto ricorso al giudice amministrativo; per quanto riguarda, invece, la concessione edilizia in variante, ritenuta illegittima dall’ing. Falci, ha rappresentato che il Tribunale ha dichiarato, con sentenza n. 117/2004 (emessa il altro procedimento penale a carico del

Rumeo), di non doversi procedere perchè il fatto non costituisce reato.

Il sig. Rumeo, inoltre, ha contestato le parcelle liquidate ai difensori del Comune, il cui importo è stato maggiore di quello indicato nelle sentenze di condanna, puntualizzando che il visto di congruità dell’Ordine degli Avvocati “non conferisce alcuna validità in ordine alla effettiva attività posta in essere”; in ultimo, ha eccepito la prescrizione dell’azione di risarcimento dei danni in quanto “il fatto che avrebbe determinato il danno all’immagine del

Comune di Santa Caterina risalirebbe alla pubblicazione della notizia su un quotidiano del

15.05.2004”; in subordine, ha chiesto la concessione dei benefici di legge, ivi compresa la riduzione del danno da risarcire, giacchè il Comune avrebbe, comunque, incassato gli oneri di urbanizzazione.

Considerato in

DIRITTO

1. L’arch. Rumeo Salvatore, dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Santa Caterina

Villarmosa, è stato condannato dal Tribunale di Caltanissetta, con sentenza n. 316/2004, ad anni uno di reclusione, per due distinte ipotesi di abuso d’ufficio, ex art. 323 c.p., commesse in data 15.07.1999 e in data 28.04.2000, per avere rilasciato le concessioni edilizie n. 35/1999 e n. 23/2000, nei confronti, rispettivamente, di Bruno Giuseppe, Ippolito

Giovanni, Stella Maria Lilli, Tramontana Giuseppina, proprietari dell’immobile sito tra via

Roma e via Bruno, e di Cancelliere Giovanni, proprietario dell’immobile sito in località

Anguilla; la sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello di

Caltanissetta, con statuizione n. 685/2007, anche se la pena è stata condonata, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 241/2006; la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10363/2008, ha dichiarato inammissibile il ricorso del Rumeo, con conseguente passaggio in giudicato della decisione del giudice di seconde cure.

2. I fatti come sopra acclarati non possono essere oggetto di alcuna contestazione in questa sede, giusta il disposto dell’art. 651 c.p.p.; in virtù di tale norma, l’efficacia vincolante del giudicato penale di condanna nel processo per la responsabilità amministrativa de concerne l’accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, quali la condotta, l’evento e il nesso di causalità materiale che sono stati assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice contabile ogni valutazione e statuizione che venga a collidere con i presupposti, le risultanze e le affermazioni conclusionali di quel pronunciamento.

Ciò significa che non può dubitarsi, in questa sede, della illiceità del rilascio da parte del sig. Rumeo delle concessioni edilizie n. 35/1999 e n. 23/2000, così come è emerso nel processo penale, ove il Comune di Santa Caterina Villarmosa si è costituito parte civile: il suddetto convenuto è stato, infatti, condannato al risarcimento dei danni materiali e d’immagine” per la quantificazione dei quali la Corte di Appello ha rinviato al giudice civile, rectius la Corte dei Conti, quale organo giurisdizionale competente in materia. Ne consegue che nessuna rilevanza puòassumere la circostanza, sostenuta nella memoria di costituzione, secondo la quale la concessione edilizia n. 35/1999 non era stata mai impugnata innanzi al giudice amministrativo per farne valere l’illegittimità.

3. I danni oggetto della contestazione del Pubblico Ministero contabile sono sia patrimoniali, per € 43.493,22, quali somme sborsate direttamente dal Comune in relazione alla costituzione di parte civile nei processi penali e per le spese di consulenza tecnica affrontate in quel giudizio, sia di immagine, pari ad € 15.000,00, in relazione al clamor fori che la vicenda ha avuto nella stampa locale.

3.1. Quanto alla prima posta di danno, come risulta dalla documentazione agli atti, il

Comune, costituito parte civile nei tre gradi del processo, ha liquidato all’avv. Giuseppe

Panepinto, per il giudizio penale innanzi al Tribunale di Caltanissetta, la somma di € 13.564,98, giusta la determina dirigenziale n. 422 del 27.12.2004 (la parcella vistata dal

Consiglio dell’Ordine nella seduta del 07.10.2004 era pari ad € 25.583,40 ed è stata, poi, ridotta dal difensore), e, per il giudizio innanzi alla Corte di Appello, la somma di €

17.245,88, giusta la determina dirigenziale n. 63 del 17.03.2008 (nella citata determina si legge che la parcella è stata vistata dal Consiglio dell’Ordine); la suddetta Amministrazione ha anche liquidato, in acconto, all’avv. Massimo Dell’Utri la somma di € 1.500,00 per il processo innanzi alla Suprema Corte, giusta la determina n. 208 del 23.09.2008 di pagamento della fattura n. 102 del 15.09.2008 (non risulta dalla documentazione agli atti alcuna ulteriore liquidazione, nonostante una minuta di parcella pari ad €7.377,67 del citato difensore, di cui cenno nella nota prot. n. 1686 del 03.03.2009; nè, d’altronde, la

Procura ha provveduto ad acquisire documentazione utile a dimostrazione dell’avvenuto pagamento di altre competenze all’avv. Massimo Dell’Utri).

Le spese come sopra documentate (per complessivi € 32.310,86) costituiscono un esborso dannoso per le casse comunali e sono conseguenza diretta della condotta illecita posta in essere dal Rumeo, non assumendo alcuna rilevanza la circostanza che i giudici penali, come sostenuto nella memoria del convenuto del 16.09.2010, abbiano liquidato spese in misura minore; la liquidazione giudiziale, infatti, non elide, nel caso specifico, il rapporto professionale tra l’Ente, parte offesa dal reato penale, e il suo difensore, regolato dalla legge professionale; inoltre, le parcelle risultano regolarmente vistate dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che ne ha attestato la congruità rispetto alla tariffa professionale, mentre il convenuto ha soltanto espresso perplessità, senza fornire sul punto alcuna specifica prova circa l’effettivo svolgimento di tutta l’attività difensiva ivi indicata.

Un ulteriore addebito al sig. Rumeo, contenuto nell’atto di citazione, il cui importo è ricavabile dalla nota prot. n. 5629 del 30.09.2008 del Comune, riguarda le competenze liquidate all’ing. Amedeo Falci per il saldo delle fatture n. 10/2002 (€ 999,27) e n. 8/2003 (€

2.805,52), effettuato con le determine n. 236 del 09.12.2002 e n. 362 del 30.12.2003; il pagamento di tali somme è avvenuto a seguito dell’incarico conferito dall’Amministrazione comunale per verificare l’attendibilità degli esposti del sig. Acquario Salvatore del

04.06.2002, del 27.06.2002 e del 07.07.2002 “inerenti il progetto dei lavori di ristrutturazione con parziale demolizione del fabbricato sito tra via Roma n. 73 e via Bruno n. 2 del Comune di Santa Caterina Villarmosa di proprietà dei sigg.ri Bruno Giuseppe,

Stella Maria Lilli, Ippolito Giovanni e Tramontana Giuseppina”.

Nell’atto di citazione, però, si legge: “Nel corso del procedimento penale, l’Amministrazione comunale ha sostenuto spese a titolo di competenze legali e consulenza tecnica, per complessivi € 43.493,22. L’importo sopra indicato è stato considerato da questa Procura regionale come danno erariale imputato alla condotta illecita del Rumeo, il quale, da quanto accertato in sede di giudizio penale, ha dolosamente provveduto ad emettere le concessioni edilizie, arrecando in tal modo un danno erariale all’Ente di appartenenza in relazione alle spese sostenute nell’ambito dei vari gradi del processo penale”.

Emerge, con ogni evidenza, che le spese sostenute per la consulenza dell’ing. Falci

Amedeo (pari ad € 3.804,78) esulano del tutto dalle spese sostenute dal Comune nell’ambito del processo penale, le sole oggetto di contestazione, giacché in quel processo la consulenza tecnica, più propriamente accertamento tecnico, è stata redatta dall’ing.

Fontana Sergio, su incarico conferito dal Pubblico Ministero in fase di indagini preliminari, come risulta dalla lettura dell’elaborato peritale allegato alla nota prot. n. 12868/2009P del

28.07.2009. La relazione, quindi, dell’ing. Amedeo Falci non riguarda affatto il processo penale conclusosi con la sentenza n. 10363/2008 della Corte di Cassazione, di cui in premessa, ma altro giudizio penale, avente ad oggetto la concessione edilizia in variante n. 3/2002, sempre sull’immobile di via Roma e via Bruno, conclusosi con la sentenza del Tribunale di

Caltanissetta n. 117/2004, che ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’arch. Rumeo per il reato di cui all’art. 323 c.p. “perchè il fatto non costituisce reato”.

Ne consegue che la spesa in questione non può essere imputata all’odierno convenuto, il quale deve rispondere del danno erariale, così come provato e documentato, per un importo complessivo di € 32.310,86 in relazione alle spese legali sostenute dal Comune nell’ambito dei vari gradi del processo penale.

3.2. Il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna dell’arch. Rumeo anche a titolo di risarcimento del danno all’immagine, quantificandolo, in via equitativa, in €15.000,00.

3.2.1. Preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di prescrizione, sollevata nella memoria difensiva depositata in data 16.09.2010, per una pluralità di ragioni.

Il Comune si è costituito parte civile nel processo penale, più precisamente all’udienza del

04.10.2002, e tale costituzione ha interrotto il decorso del termine prescrizionale per il risarcimento del danno erariale fino alla definizione del giudizio penale, coincidendo l’illecito contabile con il fatto costituente reato (ex plurimis Corte dei Conti, Sezioni Riunite n. 8/2004/QM; I Sezione Centrale d’Appello, n. 283/2008 e n. 315/2001; II Sezione

Centrale d’Appello n. 227/2002; III Sezione Centrale d’Appello n. 383/2003); il diritto al risarcimento del danno all’immagine è stato, comunque, riconosciuto nella sentenza n.

316/2004 del Tribunale di Caltanissetta e, soprattutto, nella sentenza n. 685/2007 della

Corte di Appello di Caltanissetta, che ha rinviato, solo per la sua quantificazione, al giudice civile; in ultimo, deve sottolinearsi che la giurisprudenza pacifica di questa Sezione ha ritenuto che elemento costitutivo del diritto al risarcimento del danno all’immagine e la condanna penale del pubblico dipendente, con la conseguenza che la prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativadecorre solo dalla conclusione del processo penale, come del resto, recentemente, sancito dal legislatore nell’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n. 102.

3.2.2. Ciò posto, il Collegio ritiene di esaminare brevemente gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti in materia di danno all’immagine, nonchè la recente novella legislativa sopra citata.

La giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a rileggere criticamente il contenuto precettivo dell’art. 2059 c.c., disancorandolo dall’esclusiva connessione con l’art. 185 del codice penale, e supportata anche dalle pronunce della Corte Costituzionale in materia di danno biologico, è pervenuta ad affermare la risarcibilità delle lesioni di interessi c.d. “areddituali”, ciò non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale.

Ne è nata la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione e/o lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo a risarcimento. In tale ambito è stato collocato il danno all’immagine, consistente per le pubbliche amministrazioni nella lesione del diritto alla propria identità personale, al proprio buon nome, alla propria reputazione e credibilità, in considerate, tutelato dall’art. 97 della

Costituzione; in particolare, la Corte di Cassazione (Sezione III civile, 04.06.2007 n.

12929) ha statuito che la lesione del diritto della persona giuridica all’integrità della propria immagine è causa di danno non patrimoniale risarcibile, sia sotto il profilo della sua diminuita considerazione presso i consociati in genere o presso quei settori con i quali l’ente interagisce, sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che la sminuita reputazione cagiona nell’agire delle persone fisiche dei suoi organi.

Ne consegue che l’illecito in questione si concretizza ogniqualvolta un soggetto, legato da un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti la posizione ricoperta per il soddisfacimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative sull’organizzazione amministrativa e sulla gestione dei servizi in favore della collettività.

A tale orientamento si contrappone quello più risalente nel tempo che, pur annoverando il danno all’immagine nell’alveo del danno esistenziale, lo colloca normativamente non sotto l’egida dell’art. 2059 c.c., bensì dell’art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno- evento di natura non patrimoniale.

In ultimo, deve darsi atto dell’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

(sentenza n. 26972/2008) che hanno ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., negando il carattere autonomo al danno cosiddetto esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento, nonché della III Sezione

Centrale d’Appello della Corte dei Conti (sentenza n. 143/2009) che, dopo avere ritenuto i principi contenuti nella pronuncia della Suprema Corte non applicabili, immediatamente e autonomamente, al danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si è soffermata sulla “nozione di danno all’immagine subito da un soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza (tale comunque da superare una soglia minima di pregiudizio e la cui prova potrà essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza)”.

Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all’immagine della Pubblica Amministrazione sia, comunque, economicamente valutabile, concretizzandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull’intera collettività, spostando conseguentemente l’attenzione sulla sua quantificazione; la Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 26806/2009 e n. 8098/2007) ha puntualizzato che il danno all’immagine “anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso”. In altre parole una cosa è la prova della lesione, che è in re ipsa, un’altra quella della sua quantificazione da compiersi in via equitativa, ex art. 1226 c.c., i cui parametri devono essere forniti, però, dall’attore pubblico, anche con il concorso dei fatti notori, di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c., e delle presunzioni, di cui agli artt. 2727 ss codice civile. Allo scopo, è possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell’immagine pubblica lesa e a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l’id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecita. All’articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra ha fatto seguito il recente intervento del legislatore che, con l’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n.

102, senza fornire alcuna definizione di Danno all’immagine, né indicare i criteri in base ai quali lo stesso debba essere risarcito, ha puntualizzato: “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20,

è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.

Da un lato, quindi, si è avuta la definitiva consacrazione normativa della figura di danno all’immagine subito da un’amministrazione pubblica, frutto in precedenza di esclusiva elaborazione giurisprudenziale, dall’altro si è voluto restringere l’operatività dello stesso ai soli casi in cui i pubblici dipendenti siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, come

è avvenuto per l’odierno convenuto, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale.

Nel silenzio del legislatore deve darsi per avallata la prassi giurisprudenziale circa i criteri elaborati per la definizione e la quantificazione del citato danno: il danno all’immagine può, pertanto, essere connesso solo a gravi condotte integranti gli estremi dell’illecito penale, poste in essere dai dipendenti pubblici, di cui si sia avuta eco nell’ambito della comunità organizzata, tanto da minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, con effetti distorsivi sull’organizzazione amministrativa e conseguenti costi aggiuntivi da quantificare in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.. L’esercizio del potere equitativo è subordinato, però, alla condizione che sia obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, per la parte interessata e, quindi, per il Pubblico Ministero contabile, provare il danno nel suo preciso ammontare; l’organo requirente non è esonerato dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto a sua disposizione affinchè l’esercizio del potere equitativo sia il più possibile volto a colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso, con la conseguenza che, assolto tale compito, il giudice può procedere secondo equità.

A tal fine è possibile utilizzare, come anche sostenuto dall’organo requirente, i criteri indicati dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 10/QM/2003 e ripresi dalla giurisprudenza contabile successiva, nonchè quelli individuati dalla Corte di Cassazione,

Sezioni Unite Penali, nella recente sentenza n. 15208/2010: la qualifica posseduta dal convenuto al momento del commesso illecito (nel caso di specie il Rumeo rivestiva una posizione organizzativa rilevante nell’ambito dell’Ente locale, essendo dirigente dell’ufficio

Tecnico comunale); la reiterata condotta criminosa (il sig. Rumeo ha commesso, in momenti diversi, due diversi fatti delittuosi); il notevole disvalore sociale connesso alla gravità del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p., rientrante tra gli illeciti enucleati nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale), unitamente all’entità della pena inflitta (un anno di reclusione); la diffusione della notitia criminis (ripresa dal quotidiano “Giornale di

Sicilia”, nelle edizioni del 13.05.2004 e del 29.06.2007).

Alla luce dei parametri sopra indicati, il Collegio ritiene che il convenuto debba essere condannato al risarcimento del danno all’immagine per un importo di € 10.000,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, tenuto conto proprio dell’ulteriore parametro, non preso in considerazione dall’organo requirente, consistente nell’avvenuta irrogazione di una condanna penale non particolarmente gravosa (un anno di reclusione). 4. Trattandosi di fattispecie dolosa non sussistono i presupposti per la riduzione dell’addebito, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del regio decreto 12 luglio 1934 n. 1214 e dell’art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923 n. 2440.

5. Nessuna riduzione del danno può, inoltre, essere effettuata in relazione a presunti vantaggi che l’Amministrazione avrebbe ottenuto dall’avere incassato gli oneri urbanistici a seguito del rilascio della concessione edilizia n. 35/1999 (di cui comunque manca una quantificazione), giacchè tali presunti vantaggi non hanno alcuna correlazione con il danno erariale contestato all’odierno convenuto, consistito in un esborso da parte del Comune di

Santa Caterina Villarmosa per la costituzione di parte civile nei diversi giudizi penali e nella lesione della immagine dell’ente locale.

6. Il Collegio, ritenuta sussistente la responsabilità per danno erariale, condanna il sig.

Rumeo Salvatore a pagare, a favore del Comune di Santa Caterina Villarmosa, la somma di € 42.310,86, di cui € 32.310,86 per le spese sostenute nell’ambito del processo penale ed € 10.000,00, quest’ultimo importo comprensivo di rivalutazione monetaria, a titolo di danno all’immagine.

6.1. Il convenuto deve essere, altresì, condannato al pagamento della rivalutazione monetaria sulla somma di € 32.310,86, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dai singoli esborsi sostenuti dal Comune e fino al giorno del deposito della presente sentenza, nonchè al pagamento degli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo del credito erariale.

6.2. Il sig. Rumeo deve essere, in ultimo, condannato al pagamento degli interessi legali sulla somma di € 10.000,00 dal deposito della presente decisione al soddisfo. 7. Le spese di causa, liquidate a favore dello Stato, seguono la soccombenza.

P. Q. M.

La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - definitivamente pronunciando, respinta ogni altra contraria istanza, deduzione ed eccezione, in accoglimento della domanda della Procura Regionale, condanna Rumeo Salvatore

- a pagare, a favore del Comune di Santa Caterina Villarmosa, la somma di € 42.310,86, di cui € 32.310,86 per le spese sostenute dall’Ente nell’ambito del processo penale ed €

10.000,00, inclusa la rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento del danno all’immagine;

- al pagamento, a favore del Comune di Santa Caterina Villarmosa, della rivalutazione monetaria sulla somma di € 32.310,86, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dai singoli esborsi sostenuti dal Comune e fino al giorno del deposito della presente sentenza, nonchè al pagamento degli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo del credito erariale;

- al pagamento, a favore del Comune di Santa Caterina Villarmosa, degli interessi legali sulla somma di € 10.000,00, dal deposito della presente decisione al soddisfo;

- al pagamento, a favore dello Stato, delle spese di giudizio che vengono liquidate in €

136,92 (centotrentasei/92).

Così deciso in , nella camera di consiglio del 6 ottobre 2010. L’Estensore

Il Presidente ff

F.to Dott. Giuseppe Colavecchio F.to Dott. Valter Del Rosario

Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.

Palermo, 15 novembre 2010

Il Funzionario di cancelleria f.to Dr.ssa Rita Casamichele