La Strage Di Capaci
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Attentato della mafia: 5 morti, molti feriti AUTOSTRADA A29, L’INFERNO DI FALCONE Paolo Borsellino: “Mi è stato portato via un fratello, ma l’Italia è stata privata di un eroe” Palermo, 25 maggio 1992 - Sono passati due giorni dalla terribile esplosione avvenuta nell’autostrada A29 nei pressi di Capaci. L’attentato è stato opera della mafia che aveva preso di mira Falcone già da qualche anno in seguito al Maxiprocesso di Palermo, che ha messo dietro le sbarre numerosi boss e collaboratori mafiosi. Si sospetta che gli organizzatori dell’attentato siano stati Salvatore Riina, i fratelli Graviano e altri componenti di varie organizzazioni mafiose, che si sarebbero riuniti più volte nel corso dell’ultimo anno per preparare la strategia che avrebbe portato alla morte del giudice nei minimi dettagli. Le vittime sono state 5: il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo (Giudice della Corte d’Appello di Palermo) e tre uomini della scorta. L’arma usata è stata una carica di tritolo, fatta esplodere nel momento in cui le macchine passavano lungo l’autostrada, intorno alle 18.20. Nella prima macchina c’erano i tre uomini della scorta che sono morti sul colpo, mentre nella seconda c’erano Falcone e la moglie, che sono invece rimasti gravemente feriti. Questi ultimi sono stati portati immediatamente nell’ospedale civico di Palermo, dove hanno perso la vita quasi nello stesso momento a causa delle loro gravi condizioni. Secondo alcune testimonianze Falcone e Francesca Morvillo si trovavano sui sedili anteriori dell'auto. Gli uomini della scorta che si trovavano nella terza auto, nonostante fossero feriti, a seguito dell’esplosione, sono subito scesi dall’auto per proteggere Falcone e sua moglie da qualcuno che avrebbe potuto dare loro il “colpo di grazia”. Tutta Palermo è sconvolta da questo tragico fatto e tante sono le persone che si sono recate nel luogo dell’attentato. I superstiti raccontano questo avvenimento come qualcosa di terribile e profondamente doloroso. Il giudice Paolo Borsellino, collega e amico di Giovanni Falcone, si mostra afflitto e addolorato: “Ho perso un fratello, ma l’Italia ha perso un eroe. Era una persona buona, che teneva molto alla sua famiglia e al suo lavoro. Era un perfezionista e non usciva dal suo ufficio fino a che tutto non era al suo posto. Spero almeno che la sua morte determini un punto di svolta per Palermo e per l’Italia intera. “ Gli abitanti sono profondamente scossi e sono decisi a lottare affinché la mafia venga indebolita e, fra qualche anno, completamente distrutta. Le persone sembrano determinate a rompere quel muro di omertà che sembrava ormai indissolubile. Tutti abbiamo un solo desiderio: che il sacrificio di Falcone non sia stato vano. Ilaria Sebastianelli (classe II E) Attentato al magistrato antimafia Giovanni Falcone La strage di Capaci Uno dei pochi agenti sopravvissuti: “Sono uscito dalla macchina e mi sono precipitato a prestare soccorso. C’è stato poco da fare.” 23 Maggio 1992- Sull’autostrada A29 in direzione Palermo, presso lo svincolo di Capaci, il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, giudice della Corte d’Appello di Palermo, e 3 poliziotti della scorta hanno perso la vita a causa di una carica di tritolo fatta scoppiare proprio al loro passaggio. Attualmente il bilancio dei feriti ammonta a circa 23 persone. L’esplosione di grande portata sarebbe avvenuta verso le 18.20 e ad essere stata coinvolte risultano 7 macchine tra cui le 5 della scorta dove si trovavano anche i due coniugi. La deflagrazione è stata così potente che la macchina del magistrato è stata completamente ricoperta da resti stradali. Gli agenti sopravvissuti si sono immediatamente precipitati a prestare soccorso, costatando che gli sportelli della vettura del giudice erano bloccati. Secondo una prima ricostruzione il magistrato sarebbe stato portato all’ospedale vivo-Falcone reagiva alle sollecitazioni dei soccorritori- fino a morire nell' ospedale civico di Palermo nonostante i tentativi di rianimazione da parte dei medici. In un nosocomio locale sono ancora in prognosi riservata la moglie –all’arrivo dei soccorritori presumibilmente ancora cosciente- e i feriti. “Ci ho messo un po’ a reagire dopo l’esplosione, ma quando sono uscito dall’auto e ho visto quella di Falcone, ho pensato: non ce l’ha fatta.”- ricorda in preda alla commozione uno degli agenti che si trovava a qualche macchina di distanza dal punto in cui è avvenuta la deflagrazione. “Alcune persone hanno prestato aiuto, ma l’unica cosa da fare in quel momento era aspettare l’arrivo dei Vigili del Fuoco e pregare. Non è servito a molto però...” - aggiunge un altro testimone. “ L’avevo salutato con una frase ormai abituale: ‘Ci vediamo lunedì’. Non sapevo che non l’avrei più rivisto” rivela uno dei suoi collaboratori più stretti di Falcone, una volta appreso l’accaduto. L’Italia resta in un silenzio luttuoso, con il cuore pesante come un macigno e la consapevolezza che una delle più grandi anime dei nostri tempi se ne sia andata, forse, in un posto migliore. C’è dunque chi si astiene dal commentare, ma anche chi sostiene che l’unico possibile mandante di tale strage sia da ricercare tra i più importanti boss mafiosi, anche se per gli inquirenti, ancora pieni di domande, nessuna pista da seguire va esclusa. Il movente sarebbe da far ascendere al maxiprocesso di Palermo, una megaoperazione giudiziaria, che ha portato all’incarcerazione di alcuni dei più noti nomi della criminalità organizzata. Processo istruito per l’appunto dal magistrato e dai suoi più stretti collaboratori. Difatti uno dei più grandi insegnamenti che Falcone ci ha lasciato è che “mafia” non è una parola proibita, ma un argomento da conoscere, su cui discutere e contro cui combattere. “La mafia ha avuto un inizio e avrà anche una fine” ripeteva lo stesso magistrato con cauto e confortante ottimismo. Conforto che, purtroppo, non potremmo più avere. La strage di Capaci resterà, indubbiamente, nella storia come una delle più grandi tragedie del nostro Paese. Giulia Pierpaoli (classe II E) Assaliti dipendenti dei forni Milanesi Panifici nel panico Il capo degli alabardieri: “Temiamo il peggio” Milano, 11 Novembre 1628 – Erano in procinto di consegnare il pane ai clienti più abbienti del panificio, quando sono stati brutalmente aggrediti da un gruppo di popolani e derubati del loro prezioso carico. Questo riferiscono le tre vittime finora identificate, ovvero Pietro Vitali, Davide Rossini e Alessandro Baresi. Tutti e tre erano impiegati, per conto di diverse panetterie, nella loro consueta consegna mattutina in diverse abitazioni di cittadini Milanesi, situate in centro. “Erano circa le 6:30, come ogni mattina ero già fuori dall’alba. Mi trovavo in Viale dei Pini, stavo cercando l’abitazione del Conte Silvestri, quando ho visto un consistente gruppo di popolani avanzare verso di me, urlando slogan incitanti all’odio e alla violenza verso i fornai. Quando capii ciò che stava accadendo era troppo tardi e non avevo più scampo: fui travolto dalla folla e del mio carico non rimase nulla.”. Analoghe sembrano essere le storie raccontate dagli altri due fattorini del pane, e probabilmente nei prossimi giorni riceveremo altri racconti di questo genere. Difatti, la massa informe e minacciosa formata dai rivoltosi, si è diretta verso Corsia dei Servi, presumibilmente per compiere azioni di natura violenta verso il principale forno di Milano, il “Forno delle Grucce”. Sembra ormai certo che la tensione sfocerà nella violenza, tanto che le forze dell’ordine si stanno allertando per rendere sicure le zone a rischio, ovvero quelle coincidenti con i negozi dei fornai. Questa rivolta era tutt’altro che inaspettata: da tempo la questione del prezzo del pane era stata discussa in modo acceso, con protagonisti politici il vicario di provvisione e il cancelliere Ferrer . Riccardo Maria Russo (classe II E) La conversione di un potente al cospetto del cardinale Federigo Borromeo Un’anima è risalita dall’Inferno “Che ci sia speranza per tutti?” Questo 28 novembre 1628 l’illustrissimo cardinale Federigo Borromeo è giunto a Lecco. Tuttavia, non è questa la notizia che maggiormente ha animato la folla di fedeli recatisi a incontrarlo: un uomo in particolare, unitosi a loro, ha suscitato lo sgomento generale. Conosciuto da tutti per i suoi misfatti, temuto anche da coloro che sono abituati a incutere soggezione: si tratta del più potente fra i signori del luogo. Egli vivrebbe in un castello posto a cavaliere tra i Ducati di Milano e di Bergamo, un luogo isolato e avvolto dal mistero di ciò che accade all’interno di tali mura. Suoi scagnozzi abiterebbero la valle ai piedi dell’imponente edificio, e per quelle vie nessuno si avventura, per non rischiare di non far più ritorno. In passato il signore sarebbe stato cacciato dal Ducato di Milano proprio a causa dei crimini e dei delitti dei quali si è reso protagonista, tanto sanguinosi da essere indicibili, come pure il suo nome. Le sue mani macchiate di sangue si dice che abbiano oggi stretto quelle candide del cardinale, e che da lui siano state “ripulite”. Il suo arrivo è stato immediatamente comunicato dal cappellano all’alto prelato che ha voluto riceverlo il prima possibile. Una volta che il controverso individuo ha fatto il suo ingresso nella stanza ove era atteso, le porte si son chiuse e pare che un miracolo sia avvenuto, come affermano i testimoni. Un giovane abitante di Lecco, sulla strada del ritorno dalla chiesa, ha dichiarato al nostro inviato, con gli occhi che brillavano di commozione: “Che ci sia speranza per tutti? Deve essersi trattato di un intervento divino: vi assicuro, a seguito di tutti gli anni che qui ho trascorso, che in quell’uomo si credeva non fosse rimasto, o forse non fosse mai esistito, un briciolo di compassione e umanità.