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Nuova derivazione delle acque del T. Arzino a Pert per uso Data: 22/01/2016 idroelettrico per la realizzazione di una nuova centrale di File: SIA Arzino - rev02 LR

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Nuova derivazione delle acque del T. Arzino a Pert per uso idroelettrico per la realizzazione di una nuova centrale di produzione ad Anduins, in Comune di Vito d’Asio (PN)

STUDIO IMPATTO AMBIENTALE - Relazione Ambientale

Gennaio 2016

COORDINAMENTO

DR. GAETANO GENTILI

AUTORI:

DR. ANDREA ROMANÒ

DR.SSA SILVIA CLERICI

VIA REPUBBLICA 1 TEL: 0332-961097 21020 VARANO BORGHI FAX: 0332-961162 (VA) ITALIA E-MAIL: [email protected]

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Indice

NUOVA DERIVAZIONE DELLE ACQUE DEL T. ARZINO A PERT PER USO IDROELETTRICO PER LA REALIZZAZIONE DI UNA NUOVA CENTRALE DI PRODUZIONE AD ANDUINS, IN COMUNE DI VITO D’ASIO (PN) ...... I

STUDIO IMPATTO AMBIENTALE - RELAZIONE AMBIENTALE ...... I

GENNAIO 2016 ...... I

1. INTRODUZIONE ...... 5

1.1. L’area interessata dalla realizzazione dell’impianto idroelettrico ...... 5

2. GLI IMPATTI POTENZIALI DI UN IMPIANTO IDROELETTRICO SULL’AMBIENTE ...... 7

2.1. I comparti ambientali potenzialmente soggetti ad impatti significativi ...... 7

2.2. Impatti potenziali sul comparto ecosistema terrestre ...... 9

2.3. Impatti potenziali sul comparto ecosistema acquatico ...... 14

3. GLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-AMBIENTALE ...... 30

3.1. Gestione alieutica ...... 30

3.2. Gestione venatoria ...... 30

3.3. Compatibilità del progetto con il sistema di aree protette dell’area ...... 31

4. QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE ...... 34

4.1. Ecosistema terrestre ...... 34

4.2. Ecosistema acquatico...... 39

5. ANALISI DEGLI IMPATTI SPECIFICI PREVISTI IN FASE DI CANTIERE, RELATIVE MISURE DI MITIGAZIONE E COMPENSAZIONE PREVISTE ...... 73

5.1. Impatti specifici sull’ecosistema terrestre in fase di cantiere e relative misure di mitigazione ... 73

5.2. Impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di cantiere e relative misure di mitigazione . 78

6. ANALISI DEGLI IMPATTI SPECIFICI IN FASE DI ESERCIZIO, RELATIVE MISURE DI MITIGAZIONE PREVISTE ...... 81

6.1. Impatti specifici sull’ecosistema terrestre in fase di esercizio e relative misure di mitigazione .. 81 Nuova derivazione delle acque del T. Arzino a Pert per uso Data: 22/01/2016 idroelettrico per la realizzazione di una nuova centrale di File: SIA Arzino - rev02 LR

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6.2. Impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di esercizio e relative misure di mitigazione . 86

7. CONCLUSIONI ...... 99

7.1. Conformità del progetto di derivazione con le norme si salvaguardia del Piano di Tutela delle Acque Regionale ...... 101

7.2. Potenziale interferenza del progetto con i siti di riferimento ARPA FVG ...... 102

8. ALLEGATO METODOLOGICO ...... 104

8.1. Indice di Funzionalità Fluviale (IFF) ...... 104

8.2. Rilevamento delle unità di mesohabitat fluviale ...... 107

8.3. Strumentazione scientifica utilizzata per le indagini chimico - fisiche ...... 109

8.4. L’indice Biotico Esteso - IBE ...... 109

8.5. Il metodo di campionamento multihabitat APAT-ISPRA e l’Indice STAR_ICMi per la valutazione della comunità macrobentonica ...... 111

8.6. Il metodo di campionamento APAT-ISPRA e l’Indice STAR_ICMi per la valutazione delle diatomee 113

8.7. Il Modello Qual2 ...... 115

9. BIBLIOGRAFIA ...... 127

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1. INTRODUZIONE

Il presente documento è lo Studio Ambientale redatto nell’ambito della Valutazione di Impatto Ambientale per un progetto di derivazione delle acque del T. Arzino a scopo idroelet- trico, in Comune di Vito d’Asio(PN), tra le località Pert e Anduins. La relazione presenta, innanzi tutto, un quadro di dettaglio degli effetti potenziali sull’ambiente prodotti dalla realizzazione (fase di cantiere) e dal funzionamento (fase di eser- cizio) di un generico impianto per la produzione di energia idroelettrica, basato su un’ampia rassegna bibliografica della letteratura scientifica. Successivamente viene fornita una descrizione – il quadro di riferimento ambientale – degli ecosistemi presenti nell’area interessata dal progetto, con particolare approfondimento dei comparti più suscettibili di subire eventuali interferenze; nel caso in questione essi sono l’ecosistema acquatico del T. Arzino nel tratto da derivare e la vegetazione terrestre nelle aree previste per il cantiere. Infine, sulla base delle informazioni precedentemente raccolte e delle caratteristiche del progetto in esame, viene fornita una valutazione dei possibili impatti individuati per le di- verse attività previste in fase di cantiere e di esercizio, stimandone entità, durata e estensio- ne spaziale. Oltre all’analisi degli impatti sono proposte le relative misure di mitigazione, pre- venzione e/o mitigazione. A completamento dello studio sono infine stati inseriti i capitoli con una descrizione di sintesi delle metodologie utilizzate e la bibliografia cui si è fatto riferimen- to.

1.1. L’area interessata dalla realizzazione dell’impianto idroelettrico

Il T. Arzino nasce ai piedi del monte Teglara in località Fontanon, a 750 m s.l.m. e per- corre 27.1 km, in Provincia di Pordenone, prima di immettersi nel F. Tagliamento, del quale rappresenta il principale affluente in sponda destra, il bacino imbrifero ha un’area pari a 123.2 km2. Il tratto oggetto di studio è interamente compreso nel Comune di Vito d’Asio, tra le fra- zioni Pert (dove è prevista l’opera di presa a quota 264 m s.l.m.) e Anduins (dove è prevista la centrale idroelettrica, a quota 165 m s.l.m.), per un totale di circa 4.8 km. Nella Figura 1 sono indicate le principali zone di indagine: quella di monte, a Pert, presso il punto previsto di presa e quella di valle, presso Anduins, presso il punto previsto di restituzione delle acque; è inoltre indicato un riale ad Anduins sul quale sono stati effettuati approfondimenti qualitativi, in quanto rappresentava un potenziale vettore di scarichi inqui- nanti. La maggior parte del tratto di T. Arzino compreso tra Pert ed Anduins scorre sul fondo di una profonda forra, quasi del tutto inaccessibile, fatto salvo i primi segmenti iniziale e fina- le.

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Zona di monte, presso Pert

Riale immissario sotto Anduins

Zona di valle, presso Anduins

Figura 1: ubicazione delle zone di indagine

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2. GLI IMPATTI POTENZIALI DI UN IMPIANTO IDROELETTRICO SULL’AMBIENTE

In questo capitolo sono presi in esame i potenziali impatti che un generico impianto idroelettrico può causare sull’ambiente; tali impatti sono distinti rispettivamente tra quelli relativi alla fase di cantiere, determinati dalle attività per realizzazione dell’opera e quelli relativi alla fase di esercizio, prodotti dal funzionamento e dagli interventi di manutenzione dell’opera.

2.1. I comparti ambientali potenzialmente soggetti ad impatti significativi

Nel presente studio la selezione dei comparti ambientali significativi si è basata su quanto riportato negli Allegati I e II del DPCM 27 Dicembre 1988, che individuano e defini- scono le componenti e i fattori ambientali di seguito indicati: . Atmosfera: qualità dell’aria e caratterizzazione meteoclimatica; . Ambiente idrico: acque sotterranee e acque superficiali (dolci, salmastre e marine), considerate come componenti, come ambienti e come risorse; . Suolo e sottosuolo: intesi sotto il profilo geologico, geomorfologico e pedologico, nel quadro dell'ambiente in esame, ed anche come risorse non rinnovabili; . Vegetazione, flora e fauna: formazioni vegetali ed associazioni animali, emergenze più significative, specie protette ed equilibri naturali; . Ecosistemi: complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro intera- genti ed interdipendenti, che formano un sistema unitario e identificabile (quali un la- go, un bosco, un fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporale; . Salute pubblica: come individui e comunità; . Rumore e vibrazioni: considerati in rapporto all'ambiente sia naturale che umano; . Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all'ambiente sia na- turale, che umano; . Paesaggio: aspetti morfologici e culturali del paesaggio, identità delle comunità umane interessate e relativi beni culturali, uso del suolo, infrastrutture. Sulla base di quanto emerso dall’analisi delle potenziali fonti perturbatrici illustrata nel quadro di riferimento progettuale, si possono comunque avanzare alcune considerazioni di carattere tecnico che permettono, di scartare a priori alcuni comparti ambientali, per i quali si ritiene che non possano essere interessati da impatti significativi. Nella Tabella 1, per ciascun comparto ambientale, è stata stimata la potenziale signifi- catività in relazione alla tipologia di opera in esame ed è stata riportata una breve descrizio- ne dei motivi per i quali i diversi impatti sono stati ritenuti più o meno significativi. Nei casi di significatività “nulla” e “bassa” non si procederà ad alcuna ulteriore descri- zione dello stato di fatto, al fine di evitare di appesantire la trattazione mediante l’analisi di comparti che, di fatto, non risentiranno di interferenze significative. I restanti comparti per i quali la significatività è stata stimata media o alta, saranno in- vece trattati nel presente capitolo ad un differente livello di approfondimento, in relazione agli aspetti principali legati alla generazione di impatti, cercando di individuare, all’interno di

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ogni comparto, le principali criticità che potranno influire sulla successiva valutazione delle potenziali interferenze.

Tabella 1: individuazione dei comparti su cui il progetto induce impatti potenzialmente significativi

Comparto Ambientale Significatività Impatto Descrizione sintetica Le fonti perturbatrici (macchinari e mezzi di trasporto e di lavoro) riguardano esclusivamente la fase di cantiere e interesseranno un’area scarsamente abitata. L’interferenza sulla qualità dell’aria cessa una volta terminato l’impiego dei mezzi. Sebbene questo Atmosfera Nulla comparto non sarà trattato nella parte di inquadramento, verrà co- munque considerato il fattore perturbativo rappresentato dalla ge- nerazione di polveri durante la fase di cantiere, rispetto alla vege- tazione terrestre Saranno analizzati i possibili effetti prodotti dall’opera sia in fase di cantiere che di esercizio, con particolare riferimento agli aspetti Ambiente idrico Alta chimico-fisici e idraulico-morfologici. Considerato lo stretto legame esistente tra biocenosi fluviali e ambiente idrico, la descrizione di tale comparto sarà trattata nell’ambito degli ecosistemi acquatici. Suolo e sottosuolo Alta Questo comparto viene analizzato nella Relazione Geologica Vegetazione, flora e I due comparti, essendo parti integranti l’uno dell’altro, saranno fauna trattati assieme, approfondendo soprattutto gli aspetti legati all’ambiente fluviale, in funzione degli effetti attesi prodotti Alta dall’opera prevista. Per tale motivo saranno distinti un comparto Ecosistemi “ecosistema terrestre” e un comparto “ecosistema acquatico”; quest’ultimo comprenderà inoltre la trattazione del comparto “am- biente idrico”. L’opera prevista non induce alcun impatto significativo su tale comparto, poiché non comporta, in nessuna fase, rischi igienico- sanitari o di contaminazione ambientale e non modificherà la situa- Salute pubblica Nulla zione esistente. Durante la fase di cantiere inoltre saranno adottate tutte le procedure in materia di sicurezza sul lavoro previste dalla normativa vigente. Il progetto rispetterà la zonizzazione acustica del Comune di Vito D’Asio. Si propone di effettuare un collaudo acustico in sede di realizzazione dei lavori come certificazione della rispondenza. Tale analisi sarà condotta da tecnico acustico abilitato e, se si dovesse Rumore e vibrazioni Bassa rendere necessario, saranno effettuati gli interventi di bonifica acu- stica più opportuni. Non si prevede infine, per nessuna fase, la ge- nerazione di vibrazioni di livello tale da comportare possibili rischi per le strutture e gli edifici esistenti; tale sotto-comparto non sarà pertanto considerato nella trattazione. Non sono ipotizzabili effetti significativi del campo elettromagnetico Radiazioni ionizzanti e Nulla indotto dalla presenza dell’opera sull’ambiente circostante. non ionizzanti Non sono invece previsti effetti su tale comparto L’ubicazione remota dell’opera di presa e le modalità realizzative renderanno trascurabili gli effetti paesaggistici della stessa. Le Paesaggio Bassa aree di cantiere saranno debitamente ripristinate, come dettagliato nella descrizione degli effetti sulla vegetazione terrestre. Anche il sito centrale sarà realizzato minimizzando gli effetti sul paesaggio.

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2.2. Impatti potenziali sul comparto ecosistema terrestre

In questo capitolo sono presi in esame i potenziali impatti che la costruzione e il funzionamento di un impianto idroelettrico possono causare all’ecosistema terrestre, suddivisi tra quelli relativi alla fauna e quelli relativi alla vegetazione.

Impatti potenziali sulla fauna terrestre

Nella Tabella 2 e nella Tabella 3 sono riportate le matrici che consentono di evidenziare – le celle in rosso - le possibili tipologie di impatto sull’ecosistema terrestre che potenzial- mente si possono verificare in seguito alla realizzazione (fase di cantiere) e al funzionamento (fase di esercizio) di un impianto idroelettrico.

Tabella 2: matrice delle tipologie di impatto potenziali sulla fauna terrestre in fase di costruzione; si tratta in tutti i casi di impatti temporanei, destinati a terminare dopo la fine della fase di cantiere

Rettili Mammiferi Uccelli Invertebrati

Tipologia di impatto

Attività prodotto

Realizzazione di strade, baracche e aree di cantiere Alterazione habitat Attività dei mezzi di lavoro Rumore, disturbo - Costruzione della opere Alterazione habitat

Tabella 3: matrice delle tipologie di impatto potenziali sulla fauna terrestre in fase di esercizio (impatti permanenti)

Retti Mammiferi Uccelli Invertebrati

li

Tipologia di impatto Attività prodotto

Interventi di manutenzione delle opere Rumore, disturbo Funzionemanto della centrale Rumore, disturbo - - - - Presenza delle opere Alterazione habitat Presenza delle opere Inteferenza flussi migratori - -

La fase di realizzazione dell’opera è quella che può produrre le interferenze maggiori, sebbene comunque di entità generalmente moderata e di durata transitoria; gli impatti più probabili sono:  le interferenze dovute alla presenza di uomini e all’attività dei mezzi di lavoro, che per effetto del disturbo possono causare l’allontanamento della fauna dalle aree di cantiere.  L’alterazione di habitat nelle zone di cantiere, la cui entità dipende dall’estensione delle opere da realizzare e la cui durata dipende dai successivi interventi di ripristino degli ambienti originari. In fase di esercizio gli impatti che un impianto idroelettrico può produrre alla fauna ter- restre sono piuttosto limitati:  Gli interventi di manutenzione, che comportano presenza di personale e mezzi e conseguente disturbo, sono in genere poco frequenti. L’eventuale ubicazione GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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delle opere in zone già antropizzare può ridurre ulteriormente l’incidenza di tale eventualità, in quanto la fauna è in tal caso già abituata alla presenza umana.  Il disturbo dovuto al funzionamento delle turbine deve essere minimizzato per contenere le emissioni acustiche e quindi non dovrebbe esercitare un disturbo rilevante anche per la fauna selvatica.  Un eventuale problema può essere quello della presenza di linee aeree per la trasmissione dell’energia elettrica, i cui cavi possono interferire con l’avifauna. Il problema dipende da come sono realizzate tali linee, dalla loro posizione e dalla presenza di specie particolarmente sensibili. L’effetto sugli uccelli può essere quello di mortalità per folgorazione o per impatto con i cavi.  La perdita di habitat dovuta alla presenza delle opere per un impianto idroelet- trico è in genere trascurabile, salvo le eccezioni in cui sono realizzati invasi arti- ficiali per l’accumulo delle acque da turbinare o per la demodulazione delle por- tate rilasciate.  Un'altra variabile può essere rappresentata dalla presenza di canali e condotte a cielo aperto, piuttosto che in galleria; nel primo caso è possibile anche una in- terferenza con gli spostamenti degli animali, soprattutto dei mammiferi.

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Impatti potenziali sulla vegetazione terrestre

Nei paragrafi che seguono verrà stimata l’entità e la significatività delle potenziali inter- ferenze sulla vegetazione, durante l’attività di cantiere che comprende le diverse attività con- nesse con la realizzazione dei manufatti previsti dal progetto, e durante la fase di esercizio della centrale idroelettrica. La fase di cantiere Gli effetti indotti sulla vegetazione dalla realizzazione delle opere di presa, della centra- le di produzione, possono essere descritti e suddivisi per categorie d’intervento, corrispon- denti ai diversi manufatti che compongono l’intera opera di derivazione idroelettrica: . Opera di presa; . Edificio della centrale e canale di restituzione. Tali effetti sono quantificabili in modo puntuale nei riguardi della vegetazione presente sulle superfici destinate alla costruzione delle piste di accesso e dei manufatti, dato che in questi ambiti è necessario provvedere al taglio raso e allo sradicamento integrale del sopras- suolo coinvolto. Bisogna tener conto inoltre, delle caratteristiche dei macchinari previsti per le diverse operazioni di cantiere, prevedendo il relativo ingombro e raggio d’azione, da cui ne consegue una più estesa superficie vegetale asportata o comunque sicuramente compromes- sa. Oltre a questi effetti diretti di interferenza sulla vegetazione, rilevabili e quantificabili già in sede progettuale, vi sono effetti di tipo indiretto, relativi alla produzione di rifiuti, alla produzione di polvere, al costipamento del suolo e all’eventuale variazione dei livelli idrici a monte e a valle della presa. Nella matrice seguente (Tabella 4) sono schematizzate le diverse attività e strutture previste nella fase di cantiere e in seguito, nella fase di esercizio, vengono riportati i fattori perturbativi potenziali connessi ad ognuna di esse.

ATTIVITÀ E STRUTTURE FATTORE PERTURBATIVO - perdita di soprassuolo Realizzazione di strade e baracche per il cantiere - produzione di rifiuti - propagazione di polvere - propagazione di polvere - perdita di soprassuolo Passaggio e attività dei mezzi di lavoro - costipamento del terreno - emissioni di inquinanti liquidi e/o gassosi

FASE FASE CANTIERE DI - perdita di soprassuolo Realizzazione delle infrastrutture - propagazione di polvere - produzione di rifiuti

Tabella 4: schema degli impatti in fase di cantiere

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Di seguito vengono descritti i diversi fattori perturbativi che potenzialmente possono verificarsi durante le diverse fasi cantieristiche. In seguito, in relazione alle specifiche pro- gettuali, saranno considerati gli impatti effettivi che si verificheranno per la realizzazione dei manufatti di progetto. . Perdita di soprassuolo; rappresenta l’impatto più rilevante dato che comporta l’eliminazione dell’intero soprassuolo coinvolto. Tale fattore incide quindi, in modo di- retto e permanente sulla vegetazione. . Produzione di rifiuti; tale fattore perturbativo riguarda l’accumulo di materiali di scavo, sfridi e altri materiali di scarto di lavorazione che possono interessare superfici vegetate. Tale impatto incide in modo indiretto e temporaneo sulla vegetazione, con- siderato che tali materiali verranno opportunamente raccolti e trasportati in appositi siti di raccolta. . Propagazione di polvere; la produzione di polvere è causata dalla movimentazione dei mezzi durante l’intera fase cantieristica. L’effetto sulla vegetazione riguarda la temporanea presenza di un sottile strato di particelle di terra sulle foglie e sulla cotica erbacea, ostruendo le aperture stomatiche che garantiscono gli scambi gassosi con l’atmosfera, e limitando l’accesso della radiazione fotosintetica nei fotosistemi fogliari; ciò comporta uno stato di stress per le piante interessate, dato che ne vengono ral- lentati sia i processi di traspirazione che di fotosintesi, principali meccanismi fisiologici di tutti gli organismi vegetali. Si tratta di un effetto indiretto e temporaneo e che non comporta, per la limitata durata delle operazioni di cantiere, danni irreversibili alla ve- getazione. . Costipamento del terreno; il ripetuto passaggio dei mezzi e l’attività degli stessi durante la realizzazione dei manufatti, comporta un costipamento del suolo. La com- pattazione provoca potenzialmente (a seconda della natura dei suoli presenti), la di- struzione della struttura del terreno, la formazione di croste superficiali, la diminuzio- ne della macroporosità e quindi una riduzione dell’infiltrazione dell’acqua. L’effetto del costipamento può generare situazioni di stress agli apparati radicali e di conseguenza all’intero soggetto arboreo, soprattutto per quelle specie che hanno apparati radicali superficiali. L’effetto è di tipo indiretto e permanente. Nel caso si verifichino dei danni rilevanti alla vegetazione coinvolta, saranno previste delle specifiche misure di mitiga- zione, quali una lavorazione superficiale del terreno ed eventuale rinfoltimento con le specie proprie della tipologia potenziale di vegetazione coinvolta. . Emissione di inquinanti liquidi e/o gassosi; la produzione di inquinanti riguarda le emissioni dei gas di scarico dei mezzi a motore (a benzina e/o diesel). La solubilità dei gas gioca un ruolo importante nel determinare il loro rapido assorbimento da par- te delle cellule. Alcuni dei gas (ad es. NOx) che reagiscono con acqua formano, ad esempio, acidi che vengono rapidamente assorbiti e risultano fítotossici. La maggior parte degli inquinanti può interferire con le attività enzimatiche della pianta. Classici effetti secondari sono costituiti dalla diminuzione della resistenza a fattori avversi, biotici o abiotici. L’impatto di tale fattore è da considerarsi, comunque, di modesta entità, di tipo indiretto e temporaneo, e che, per la limitata durata delle emissioni, non comporta effetti fisiologici rilevanti.

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La fase di esercizio

Gli effetti indotti sulla vegetazione durante l’esercizio della centrale idroelettrica sono riconducibili all’alterazione dei livelli idrici e alla riduzione di portata del torrente nell’intero tratto a valle della derivazione, dovute al costante prelievo dell’acqua a livello dei manufatti di presa e, nello specifico, all’eventuale invaso prodotto a monte della presa, du- rante i periodi di attività della centrale idroelettrica. È anche possibile che il funzionamento della centrale, e quindi il prelievo dell’acqua, venga interrotto nei periodi di magra dei torren- ti, nel caso in cui la portata presente non garantisca un deflusso minimo vitale (DMV) neces- sario a garantire la sopravvivenza della fauna ittica migratoria eventualmente presente nel corso d’acqua in esame e nel tratto oggetto d’intervento. Quando tali opere di derivazione idroelettrica vengono realizzate su corsi d’acqua con regime idrologico di tipo torrentizio, tali periodi di mancato funzionamento della centrale sa- ranno concentrati nei mesi invernali, cioè durante il riposo vegetativo della maggior parte delle formazioni forestali autoctone. Quindi, nell’eventualità che si verifichi un’interruzione in- vernale del prelievo dell’acqua, l’impatto sulla vegetazione sarà comunque considerato di tipo permanente. Nel tratto sotteso alla derivazione e fino alla restituzione delle acque a livello della cen- tralina, la vegetazione riparia viene interessata da una riduzione dell’approvvigionamento idrico a livello radicale che, nel lungo periodo, può comportare una sostituzione di specie ve- getali, con spostamento delle formazioni riparie verso il nuovo alveo bagnato. Tali effetti sono maggiormente rilevanti nei tratti più pianeggianti dei corsi d’acqua, ca- ratterizzati da ampie fasce di esondazione, dove l’abbassamento prolungato della falda com- porta situazioni di stress idrico fino al deperimento delle formazioni spondali. I danni più rile- vanti sono a carico delle idrofite, le quali necessitano di una costante immersione parziale o totale dei loro apparati. Nei tratti montani, spesso inforrati, la vegetazione risente in modo meno importante della riduzione delle portate: l’alveo è generalmente roccioso, o comunque costituito da sub- strato grossolano, molto drenante, non comportando apprezzabili variazioni del livello di fal- da; inoltre, in queste zone, incidono fortemente sulla vegetazione i fattori stazionali, quali l’esposizione, la morfologia dei versanti, l’umidità atmosferica e il regime pluviometrico che riducono fortemente l’effetto di tale fattore. Se le idrofite non fossero presenti già in origine, a causa dell’elevata turbolenza del flusso e/o per il tipo di alveo, l’alterazione dei livelli idrici determinerebbe, potenzialmente, degli effetti solo sulla vegetazione ripariale. In sintesi, l’entità dell’impatto dipende principalmente dalla suscettibilità delle specie arboree e arbustive alla riduzione del contenuto idrico nel terreno, dalle condizionali stazio- nali al contorno e dalle caratteristiche geo-morfologiche del tratto in oggetto. Il tipo di effetto che le variazioni dei livelli idrici producono sulla componente vegeta- zionale è da considerarsi di tipo indiretto e permanente (comunque rispetto alla permanenza dell’opera di presa).

Un’ulteriore tipologia di impatto che occorre considerare è costituita dalla produzione di rifiuti conseguente alle operazioni di manutenzione (ordinaria e straordinaria), quando potrebbero essere temporaneamente stoccati materiali da smaltire (ad es. ghiaie e sabbie) sulla vegetazione adiacente alle strutture, comportando dai danni su parte degli apparati ra- dicali. Si tratta di un impatto di tipo indiretto e temporaneo.

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2.3. Impatti potenziali sul comparto ecosistema acquatico

L’ecosistema acquatico è il comparto più vulnerabile agli impatti che la realizzazione e, soprattutto, il funzionamento di un impianto idroelettrico possono causare. Nella Tabella 5 e nella Tabella 6 sono riportate le matrici che consentono di evidenziare le possibili tipologie di impatto sull’ecosistema acquatico che potenzialmente si possono veri- ficare in seguito alla realizzazione (fase di cantiere) e al funzionamento (fase di esercizio) dell’opera prevista. In rosso sono indicati gli impatti potenziali mentre le caselle in bianco in- dicano l’assenza di interferenze significative. Questa trattazione sintetica si riferisce a impatti definiti “potenziali” in quanto il fatto che essi si manifestino effettivamente dipende dalle caratteristiche specifiche del progetto e delle sue modalità di esercizio, nonché dalle misure di prevenzione e mitigazione messe in atto; p.e. l’alterazione del regime idrologico dovuta al funzionamento di un impianto idroelet- trico cessa immediatamente a valle della centrale, se questa funziona ad acqua fluente, men- tre continua anche a valle di essa, se le acque possono essere invasate e turbinate in modo discontinuo. Le interferenze di un impianto idroelettrico sul comparto “ecosistema acquatico” sono più rilevanti, sia in termini di entità, che di estensione spaziale e di durata, nella fase di eser- cizio, rispetto a quella di cantiere. L’entrata in funzione della derivazione determina infatti delle alterazioni irreversibili che si manifestano lungo l’intero tratto compreso tra presa e re- stituzione, spingendosi talvolta anche a valle della centrale, in relazione alle modalità di fun- zionamento di quest’ultima. La fase di cantiere produce, sull’ambiente fluviale e i suoi organi- smi, interferenze che, in genere, sono localizzate e temporanee. Rispetto alle diverse componenti biotiche dell’ecosistema, quella più vulnerabile è rap- presentata normalmente dalla fauna ittica. I pesci infatti sono gli organismi che presentano le maggiori esigenze in termini di disponibilità di spazio vitale e qualità dell’habitat (inteso sia dal punto di vista idraulico – morfologico, sia rispetto alle caratteristiche chimico – fisiche e termiche delle acque); essi inoltre hanno maggiori difficoltà a ricolonizzare un ambiente im- pattato, in quanto hanno un ciclo vitale molto più lungo degli invertebrati e una minore pos- sibilità di spostamenti a lungo raggio rispetto a tutti gli altri animali della biocenosi fluviale, potendo muoversi solo in acqua. Per questi motivi, frequentemente nella valutazione degli impatti di un impianto idroe- lettrico si utilizzano determinate specie ittiche come “specie target”; essi rappresentano cioè la componente della biocenosi acquatica più sensibile che, se salvaguardata, garantisce che anche i restanti gruppi di organismi saranno tutelati. Per ottimizzare gli sforzi per la com- prensione degli effetti di un determinato intervento, saranno selezionate la - o le - specie itti- che più vulnerabili tra quelle presenti nell’ambiente di studio, da indagare nel dettaglio. In alcuni casi la scelta della specie target può dipendere anche dal suo valore naturalistico, quando p.e. si verifica la presenza di specie rare e protette, la cui salvaguardia rappresenta un obiettivo primario degli interventi di mitigazione.

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Tabella 5: matrice delle tipologie di impatto potenziali sulle diverse componenti dell’ecosistema acquatico in fase di costruzione

Pesci Anfibi Rettili Mammiferi Uccelli Invertebrati acquatica V

egetazione egetazione

Tipologia di impatto

Attività prodotto

Interruzione flussi migratori Realizzazione di attraversamenti Alterazione del trasporto e deviazioni temporanee solido dell’alveo Alterazione habitat fluviale

Disturbo e rumore Attività dei mezzi di lavoro Inquinamenti accidentali

Interruzione flussi migratori Alterazione del trasporto Costruzione dell’opera di presa solido Alterazione habitat fluviale

Tabella 6: matrice delle tipologie di impatto potenziali sulle diverse componenti dell’ecosistema acquatico in fase di esercizio

Pesci Anfibi Rettili Mammiferi Uccelli Invertebrati acquatica Vegetazione

Tipologia di impatto Attività prodotto

Alterazione del regime idrologico

Alterazione habitat idraulico - morfologico Derivazione idrica Alterazione del trasporto solido

Alterazione della qualità delle acque

Alterazione del regime termico delle acque Interruzione delle migrazioni

Aspirazione di organismi Presenza dell’opera di derivazione in alveo Lacustrizzazione corso d’acqua

Alterazione del trasporto solido Interventi di manutenzione Inquinamenti accidentali delle opere Sghiaiamento, Alterazione del trasporto solido sfangamenti e svasi

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Analisi degli impatti potenziali durante la fase di cantiere

Gli impatti in fase di cantiere sono causati dai lavori di realizzazione delle opere in alveo e di eventuali attraversamenti del corso d’acqua, oltre che dal disturbo e dei rischi di inqui- namento dovuti all’attività dei mezzi impiegati. Si tratta di impatti di durata temporanea e sono descritti di seguito.

Alterazione dell’habitat fluviale I lavori all’interno dell’alveo per la realizzazione delle opere (traversa, opera di presa, eventuali attraversamenti di canale e condotta forzata ecc.) comportano la distruzione dell’habitat fluviale di fondo a causa del passaggio dei mezzi e della loro azione. Tali impatto, che riguarda soprattutto il substrato di fondo, è di natura temporanea, in quanto al termine dei lavori la dinamica fluviale ripristinerà la situazione preesistente e il letto dell’alveo potrà essere ricolonizzato dagli organismi bentonici. L’entità dell’impatto è funzione dell’estensione spaziale delle aree coinvolte dai lavori in alveo e dalla presenza di elementi della biocenosi particolarmente sensibili. Saranno maggiormente colpiti gli organismi sessili (in primo luogo la vegetazione acquatica e eventuali nidi di frega dei pesci) o dotati di scarsa mobilità (p.e. i molluschi, tra gli invertebrati), non in grado di fuggire all’inizio dei lavori. L’impatto sarà più elevato e duraturo se i lavori comporteranno anche il rimodellamento parziale della sezione dell’alveo e la rimozione di elementi strutturali utilizzati come rifugio dalla fauna acquatica, come p.e. massi e tronchi. Il periodo di esecuzione dei lavori è un altro parametro critico per valutare il grado di questa interferenza: p.e. si può minimizzare l’impatto sulle uova e gli avannotti delle trote evitando il periodo invernale e di inizio primavera, quando tali stadi vitali si trovano nel substrato. Anche le tipologie di habitat fluviali coinvolte possono determinare diversi gradi di impatto, in relazione ai cicli vitali che vi si svolgono o alla presenza di organi- smi strettamente legati ad essi; p.e., nella realizzazione di attraversamenti, si potrebbe cer- care evitare di entrare nelle zone tipiche per la riproduzione di una determinata specie ittica, se esistono valide alternative. L’habitat fluviale può essere compromesso anche in caso di interventi che provochino l’asciutta parziale o completa di un tratto di corso d’acqua, talvolta necessari per la realizza- zione di strutture in alveo. In questo caso, oltre alla perdita di habitat, vi è il rischio di morta- lità degli organismi messi in asciutta, soprattutto se questo intervento viene fatto deviando interamente l’acqua in arrivo, anziché operare solo su una porzione della sezione fluviale alla volta, in modo di lasciare una zona bagnata. E’ evidente che, benché questo intervento sia temporaneo, esso possa produrre degli effetti particolarmente gravi, in quanto p.e. i pesci non possono sopportare asciutte, anche di breve durata.

Alterazione del trasporto solido Il movimento dei mezzi in alveo e i lavori che interessano il letto del corso d’acqua e le spon- de mobilizzano il sedimento fine e creano torbidità in acqua, incrementando artificialmente il trasporto solido a valle della zona di cantiere. Gli effetti della riduzione di trasparenza, della presenza delle particelle in sospensione sugli organismi e della deposizione del sedimento sul substrato sono descritti nel dettaglio nel paragrafo relativo agli impatti degli svasi e riepiloga- ti nella Tabella 7 . Anche questo tipo di interferenza è transitoria, in quanto la trasparenza dell’acqua si ripristina velocemente al termine dei lavori, mentre la rimozione del sedimento fine accumulatosi a valle dipende dalle dinamiche idrologiche; di norma il substrato viene na- turalmente ripulito in occasione del primo evento di morbida o di piena.

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Interruzione flussi migratori: la realizzazione di attraversamenti del corso d’acqua o di sbarramenti temporanei per circoscrivere le aree di lavoro possono comportare l’impedimento al passaggio dell’ittiofauna. Ciò dipende dalle modalità realizzative di tali ope- re, in quanto nel caso di passaggi in alveo esistono tipologie in grado di consentire la risalita dei pesci. Tale impatto è temporaneo, in quanto si tratta di strutture che di norma sono ri- mosse al termine del cantiere. Esso può avere ripercussioni nel caso si verifichi in concomi- tanza con il periodo di migrazione riproduttiva o trofica di specie ittiche presenti nella zona dei lavori; la rilevanza dell’interferenza sarà funzione del fatto che tale impedimento riguardi le sole aree disponibili per la riproduzione o l’alimentazione di una determinata specie, piut- tosto che una parte di esse.

Sversamento di sostanze inquinanti nel corso d’acqua: si tratta di un evento ac- cidentale che potenzialmente potrebbe essere evitato con le opportune procedure. L’attività e le manutenzione dei mezzi di lavoro può richiedere la manipolazione di so- stanze pericolose per l’ambiente quali carburanti, lubrificanti o solventi; il loro versamento accidentale nel corso d’acqua può determinare morie di fauna ittica e di invertebrati bentoni- ci, con una intensità e una durata di impatto dipendenti dalla natura e dai quantitativi degli inquinanti versati. Nell’eventuale scavo di gallerie di derivazione è inoltre possibile che vi sia la fuoriuscita di acqua particolarmente ricca di solidi sospesi o accidentalmente contaminata da carburante o altri inquinanti. Infine l’impiego di cemento e calcestruzzo comporta il rischio di contatto accidentale con le acque con conseguente brusco innalzamento del pH a valori letali per gli organismi acquatici. L’impatto di questo tipo di eventi accidentali è reversibile con una velocità che dipende dalle possibilità di ricolonizzazione da parte della fauna acquatica coinvolta; nel caso dei pe- sci, p.e., se il tratto oggetto di moria non è continuo al resto del corso d’acqua per la presen- za di ostacoli naturali o artificiali che impediscono le migrazioni ittiche, la ricolonizzazione ri- chiederà l’intervento da parte dell’uomo, sotto forma di ripopolamenti. Il problema è meno grave per gli invertebrati, dotati di maggiore mobilità e di cicli vitali più veloci, in grado di rimpiazzare in tempi relativamente rapidi (qualche mese) le comunità depauperate.

Disturbo dovuto alla presenza antropica e ai mezzi di lavoro: si tratta di un im- patto localizzato e del tutto reversibile, che riguarda la fauna nelle immediate adiacenze delle zone di cantiere. L’allontanamento degli animali cessa quando si interrompono i lavori, o ad- dirittura prima, per gli organismi che più velocemente riescono ad abituarsi alla presenza umana e al rumore. L’impatto può essere più rilevante nel caso il disturbo riguardi specie ra- re, particolarmente sensibili al problema e in una fase critica del loro ciclo vitale, come nel caso in cui i lavori comportino la fuga dagli ambienti più idonei alla riproduzione.

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Analisi degli impatti potenziali durante la fase di esercizio Gli impatti ipotizzabili in fase di esercizio, schematizzati nella Figura 2, sono permanen- ti e meritano pertanto un’analisi di dettaglio, di seguito riportata distinguendo prima quelli sull’habitat e poi quelli sulle diverse componenti della biocenosi acquatica; si farà riferimento soprattutto a pesci e macroinvertebrati, sia per la loro elevata vulnerabilità, sia in quanto gli effetti a loro carico sono ben studiati nella letteratura scientifica, sia in quanto sono gruppi di rilevante interesse naturalistico e gestionale e – soprattutto per i pesci – sono conosciuti an- che dai “non addetti ai lavori”. Un ecosistema fluviale in condizioni naturali è caratterizzato da un gradiente continuo di condizioni ambientali da monte a valle, alle quali le biocenosi acquatiche si sono adattate durante l’evoluzione dell’ecosistema (Vannote et al., 1980); la realizzazione di una derivazio- ne idrica rappresenta un’alterazione di tali condizioni e si riflette pertanto sulle sue compo- nenti faunistiche e vegetazionali.

Interruzione della Derivazione Riduzione della Aumento della percorribilità del portata naturale temperatura corso d’acqua idrica

Riduzione della Impedimento delle Riduzione della Riduzione della profondità e della migrazioni trofiche e capacità di diluizione velocità di corrente larghezza dell’alveo riproduttive bagnato

Riduzione dello spazio vitale per le Riduzione della Riduzione della biocenosi velocità di riareazione turbolenza

Aumento della competizione intra e Riduzione della Aumento della interspecifica capacità di sedimentazione di autodepurazione materiale fine

Scadimento Aumento della qualitativo dell’habitat vulnerabilità idraulico - Riduzione della Alterazione della all’inquinamento morfologico concentrazione di composizione del ossigeno disciolto substrato di fondo Riduzione quantitativa e qualitativa della biocenosi fluviale

Figura 2: i principali effetti delle derivazioni idriche sull’ecosistema fluviale

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Oltre agli effetti considerati nello schema precedente, sono da considerarsi anche i possibili impatti dovuti all’aspirazione di organismi attraverso le opere di presa e al versa- mento di sostanze pericolose negli interventi di manutenzione degli impianti. Infine, nel caso di derivazioni che comportano la creazione di un invaso artificiale, vi sono ulteriori tipologie di interferenze possibili:  la lacustrizzazione del corso d’acqua a monte dello sbarramento  le oscillazioni artificiali di livello all’interno dell’invaso;  le escursioni artificiali di portata, elevate e repentine, a valle della centrale idroelettrica, indicato dalla letteratura scientifica anglosassone con il termine “hydropeaking”;  le operazioni di sfangamento e svuotamento degli invasi, con conseguente rila- scio di elevate quantità di sedimenti lacustri nel corso d’acqua a valle. E’ importante considerare il fatto che gli impatti possono agire in modo sinergico e che possono colpire indirettamente più componenti ecosistemiche, rispetto a quelle interessate in modo diretto, per effetto delle strette relazione trofiche tra i vari organismi. Ad esempio gli effetti provocati sul macrobenthos si riflettono sui pesci, per i quali esso costituisce una delle principali fonti alimentari. Nei paragrafi seguenti è riportata la descrizione degli impatti potenziali sopra elencati e dei loro effetti sulle diverse componenti dell’ecosistema fluviale, secondo quanto illustrato dalla bibliografia scientifica internazionale.

Alterazione quantitativa e qualitativa degli habitat idraulici e morfologici

Gli effetti più evidenti di una captazione idrica sull’habitat fluviale di un corso d’acqua sono quelli dovuti all’artificializzazione del regime idrologico e alla riduzione di portata a valle dell’opera di presa, che nei casi estremi possono portare al prosciugamento totale e duraturo del corso d’acqua. L’habitat subisce quindi, in primo luogo, un’alterazione di tipo quantitati- vo; in relazione alla morfologia fluviale, questo comporta una riduzione del volume idrico, della superficie bagnata dell’alveo e dei parametri idraulici come la velocità di corrente, la profondità dell’acqua e la turbolenza. La conformazione dell’alveo a valle della captazione è un fattore di primaria importanza nel determinare la gravità e la natura dell’impatto sull’habitat idraulico - morfologico: a parità di riduzione di portata, le pool e i tratti con alveo inciso in genere subiscono una minore perdita di superficie bagnata rispetto ai tratti a riffle – run e a quelli con alveo ampio e piatto; lo stesso tipo di deflusso residuo che consente la presenza di acqua in un alveo poco permeabile, potrebbe essere invece insufficiente a garan- tire lo scorrimento superficiale delle acque in un alveo con substrato fortemente permeabile. L’alterazione dell’habitat è anche di tipo qualitativo: la diminuzione di velocità di cor- rente, di profondità dell’acqua e di turbolenza comporta, infatti, una perdita della diversità idraulico–morfologica; in generale si assiste ad una banalizzazione a livello di mesohabitat, con la scomparsa dei tratti di acque poco profonde e veloci quali i riffle; l’acqua residua si concentra nelle pool, che per la loro struttura conservano il volume d’acqua al loro interno, pur riducendosi il tempo di ricambio (Humprey et al., 1985). Un alveo di morbida molto am- pio potrebbe causare una eccessiva dispersione del deflusso residuo a valle della traversa, riducendolo ad un riffle di modestissima profondità o addirittura ramificato in piccoli rivoli. Dal punto di vista temporale, in relazione alle modalità di derivazione delle acque, la si- tuazione peggiore è rappresentata dal caso in cui il deflusso rilasciato a valle della traversa è uniforme lungo l’anno; ciò elimina le naturali variazioni di portata nell’arco delle stagioni, che assolvono sia ad una funzione di mantenimento della morfologia e della geometria dell’alveo, sia al compito di “innescare” alcuni meccanismi comportamentali per le biocenosi acquatiche. Questo tipo di problema è meno grave nei casi in cui le portate di morbida eccedono con

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frequenza la capacità di derivazione massima dell’opera di presa; in questi casi infatti le por- tate di sfioro si aggiungono a quelle rilasciate in condizioni di magra e ricreano, almeno par- zialmente, un andamento idrologico simile a quello naturale. Le condizioni idrologiche e la qualità dell’ambiente fluviale influenzano il tipo di taxa rappresentati nella comunità macrobentonica, il loro numero complessivo e il numero di indi- vidui con cui ciascun taxon è presente (Wells & Demas, 1979 in Al-Lami et al., 1998; Al-Lami et al., 1998). Differenti combinazioni di portata e substrato, costituiscono i fattori che go- vernano il numero delle specie e delle famiglie che compongono una comunità macrobento- nica e la loro abbondanza. La riduzione della portata naturale di un corso d’acqua determina sia una riduzione della densità della comunità macrobentonica, che un cambiamento qualita- tivo della comunità stessa (Saltveit et al., 1987). Da studi specifici sugli invertebrati, con par- ticolare riferimento ai Plecotteri, ritenuti fra i più sensibili, emerge l’esistenza di taxa decisa- mente più tolleranti rispetto ad altri, nei confronti di alterazioni ambientali quali le variazioni di portata indotte dalle derivazioni; la diversa risposta sembra essere funzione anche del cli- ma regionale, della ricchezza in taxa della comunità macrobentonica e delle modalità di rego- lazione della portata. In Europa, i generi Choloperla e Leuctra risultano più tolleranti di altri Plecotteri alle variazioni di portata. Nel caso di Leuctra fusca e Leuctra digitata, il ciclo vitale univoltino, con rapida crescita estiva, permette loro di sopravvivere anche in condizioni in- vernali severe, quando la riduzione della portata naturale è particolarmente accentuata (Saltveit et al., 1987). La riduzione del deflusso in alveo determina un impatto sulle popolazioni ittiche che di- pende da vari fattori. In primo luogo la riduzione di volume idrico e di tirante idraulico com- porta che i pesci si troveranno più esposti ai predatori e alle avversità climatiche, o addirittu- ra non potranno sopravvivere per l’insufficiente profondità; un alveo stretto e profondo o comunque ricco di pool questo tipo di impatto potrà essere invece parzialmente mitigato e permettere la presenza di punti di raccolta dell’acqua sufficientemente profondi per fornire protezione visuale dai predatori, capacità di omeostasi termica e uno spazio vitale sufficien- temente ampio anche per grossi pesci. La riduzione del deflusso naturale al valore costante del deflusso minimo comporta una riduzione nel numero di pesci e di biomassa; in uno studio sugli effetti di una microcentrale (Ovidio et al., 2004) è stata accertata una diminuzione del 23% della biomassa di trota fario, del 61% di quella di temolo e del 34% di quella comples- siva a distanza di 5 mesi dall’entrata in funzione dell’impianto. Al diminuire della portata ten- dono a scomparire le zone di acque basse a corrente veloce (riffle – run), importanti quali zone di alimentazione, riproduzione e stazionamento dei giovani Salmonidi; l’assenza comple- ta di tali tratti può rendere impossibile la riproduzione e impedire quindi la possibilità di auto- sostentamento di una popolazione di trote (Bundi et al., 1990). La deposizione delle uova per molte specie ittiche che popolano corsi d’acqua derivati viene effettuata negli affluenti con portata naturale (Petts, 1984). La regolazione delle portate, portando ad un’alterazione dell’andamento idrologico naturale, potrebbe avere effetti negativi sulle migrazioni dei pesci. È stato osservato per i salmoni che i movimenti migratori verso monte sono stimolati da in- crementi della portata, purché questi non raggiungano condizioni estreme (come nelle allu- vioni), e che nei casi in cui la portata si mantiene uniformemente bassa avvengono solo pic- coli spostamenti (Hynes, 1970 in Petts, 1984). In caso di aumenti di portata poco evidenti, si può generare un ritardo nei movimenti dei pesci, con conseguente utilizzo prematuro di ri- serve energetiche e sviluppo di condizioni di stress, tali da compromettere o, comunque, ri- durre il successo riproduttivo; è peraltro probabile che la variazione di portata non sia l’unico stimolo a determinare l’inizio di un comportamento migratorio, ma che intervengano altri fat- tori (Petts, 1984). La vegetazione acquatica in alcuni casi può trarre vantaggio dall’appiattimento delle portate; è stato osservata una proliferazione del giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes) in

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corsi d’acqua in cui il regime idrologico è stato stabilizzato ai valori di magra e anche il peri- phyton è avvantaggiato da tale situazione (Petts, 1984). Le macrofite in particolare traggono giovamento dalla riduzione della velocità di corrente e della turbolenza. Gli effetti della riduzione e dell’alterazione delle portate sulla flora riparia sono moltepli- ci e possono essere diversi in base alle condizioni ambientali (geologia, microclima, ecc.) del tratto fluviale derivato (Gore & Petts, 1989). La riduzione di portata nei periodi di siccità ridu- ce l’umidità del suolo presso le rive e determina un rallentamento della crescita e, all’estremo, la morte della vegetazione riparia. La riduzione di deflusso e l’alterazione del re- gime idrologico naturale può influire, oltre che sulla crescita, anche sul successo riproduttivo e sulla possibilità di attecchimento delle giovani piantine (Stromberg & Patten, 1990). In par- ticolare, una portata insufficiente durante la stagione di diffusione dei semi può causare l’insediamento delle nuove piante in zone troppo vicine all’alveo e quindi particolarmente vul- nerabili agli eventi di piena. Portate elevate possono essere richieste poco prima della disper- sione dei semi, in modo tale da assicurare la presenza di suoli sufficientemente umidi in cui essi possano germinare. Il livello dell’acqua poi non deve scendere troppo bruscamente, per permettere alle giovani piante di sviluppare sufficientemente l’apparato radicale in profondi- tà, affinché sia loro garantito l’apporto idrico anche nei periodi di siccità (Scott et al., 1993). La diminuzione della portata favorisce le specie che normalmente occupano le zone inondate solo in caso di piena (p.e. salici; Petts, 1984), mentre genera una situazione avversa per quelle che sono adattate ad essere sommerse frequentemente, di norma le più vicine all’alveo bagnato (Harris et al., 1985), come p.e. gli ontani. Oltre al problema della portata che fluisce superficialmente, è particolarmente importante la protezione delle risorse idriche sotterranee, nei casi in cui esista una stretta relazione tra falda e fiume, per garantire la pre- senza di sufficiente umidità nel suolo nei periodi di scarse precipitazioni (Groeneveld & Grie- petrog, 1985).

Alterazione del trasporto solido e della composizione del substrato di fondo In funzione del tipo di opera di presa, è possibile che si venga a determinare un’alterazione del trasporto solido, con ripercussione sul substrato di fondo a valle della stes- sa o che non vi siano ripercussioni su questo fattore. Il secondo caso è quello che si verifica nel caso di prese con griglia a “trappola” prive di traverse vere e proprie, che sono “traspa- renti” al trasporto solido, o in quelle con un modesto invaso, in quanto non si verifica una si- gnificativa sedimentazione di materiale a monte della presa. Diverso è il caso delle derivazio- ni con traversa o delle dighe vere e proprie, che agiscono da veri e propri sedimentatori; se- condo Petts (1984) fino al 90% del carico di sedimenti in arrivo possono essere trattenuti dallo sbarramento, con conseguente diffusione di fenomeni erosivi nel corso d’acqua a valle e modificazioni della morfologia fluviale a lungo termine. L’effetto erosivo è particolarmente accentuato subito a valle della diga, mentre è attenuato dal contributo di sedimento apporta- to dai tributari procedendo verso valle ed è minore nel caso di fondo e rive composte da elementi grossolani o ben vegetati; dal punto di vista temporale l’erosione tende a spostarsi progressivamente verso valle (Petts, 1984). Il substrato di fondo tende a diventare più gros- solano, in particolare nel periodo immediatamente successivo alla realizzazione della diga e nel tratto più adiacente ad essa (Petts, 1984). La riduzione di portata può d’altro canto ridur- re la capacità di trasporto solido del corso principale rispetto al sedimento apportato da parte degli affluenti (con aumento della deposizione a valle degli stessi) e la riduzione nella variabi- lità delle portate consente una maggiore stabilità del substrato (Petts, 1988). La variazione di granulometria del substrato interessa principalmente la comunità ma- crobentonica, che vive al di sopra e all’interno degli spazi interstiziali degli elementi che lo compongono; tale comunità potrà quindi subire variazioni in relazione alle diverse preferenze dei taxa che la compongono rispetto alla composizione del letto fluviale. Analogo problema

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riguarda le specie ittiche che hanno stadi vitali che si svolgono sul fondo, come p.e. quelle a riproduzione litofila (p.e. tutti i Salmonidi), o che sono bentoniche per l’intera loro esistenza (p.e. lo scazzone). La copertura algale trae vantaggio dalla maggiore stabilità del substrato e dalla mag- giore trasparenza dovuta alla sedimentazione a monte dei sedimenti sospesi (Petts, 1984).

Alterazione della capacità di diluizione e autodepurazione degli inquinanti organici e della qualità delle acque Il minor volume d’acqua rimasto in alveo a valle della presa, riduce il potere di diluizio- ne degli inquinanti (Vismara, 1988; Gregoire & Champeau, 1984), accrescendo l’impatto sull’ecosistema fluviale di eventuali scarichi che insistono sul tratto derivato. Questo può tra- dursi nel rischio di superamento delle soglie di tolleranza per determinati parametri da parte degli organismi acquatici e/o favorire eventuali sviluppi abnormi di periphyton e mucillaggini di natura batterica e fungina. In caso di apporti inquinanti di natura organica (p.e. reflui civili o zootecnici), un corso d’acqua è provvisto di una propria capacità di autodepurazione, grazie alla componente bio- logica microscopica che vive sul fondo dell’alveo ed è in grado di demolire la sostanza orga- nica (AA. VV., 2000). L’alterazione dell’habitat idraulico – morfologico penalizza la possibilità di colonizzazione dei microrganismi fluviali (p.e. riducendo la superficie bagnata) e quindi danneggia la capacità di autodepurazione. Inoltre, per svolgersi in modo efficiente, l’autodepurazione richiede un buono stato di ossigenazione, per evitare che la respirazione della comunità microbica porti a condizioni di anossia; dal momento che lo scambio di ossi- geno tra atmosfera e acqua è fortemente influenzato dalla turbolenza dell’acqua, dalla veloci- tà di corrente e dall’altezza del tirante idrico, la variazione dei valori di tali parametri influisce sull’efficienza dei processi autodepurativi (Vismara, 1988). In particolare, la riduzione di velo- cità e turbolenza diminuiscono il tasso di riareazione, mentre la riduzione di tirante favorisco- no gli scambi gassosi con gli strati più profondi.

9.5

9.0

8.5

8.0

7.5

7.0

6.5

6.0

Ossigeno disciolto [mg/l] disciolto Ossigeno 5.5

5.0

Ingresso 4.5 scarico 4.0 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

Distanza dal punto di scarico [m]

Figura 3: Esempio di curva a “sacco”, indicante l’andamento della concentrazione dell’ossigeno disciolto lungo l’asta fluviale, a valle di uno scarico di tipo organico

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Oltre alla presenza di eventuali fonti puntiformi o diffuse di inquinamento, sono da considerare anche gli eventi accidentali di contaminazione in occasione di interventi di manu- tenzione che richiedono la manipolazione di lubrificanti, carburanti, liquidi isolanti, ecc..

Alterazione della capacità di omeostasi termica e delle caratteristiche termi- che naturali del corso d’acqua L’alterazione dell’omoeostasi termica è uno dei potenziali impatti che un prelievo idrico può causare ad un corso d’acqua; riducendosi il volume d’acqua in alveo a valle della deriva- zione, la temperatura della massa d’acqua subirà più facilmente l’influsso di fluttuazioni della temperatura dell’aria e dell’irraggiamento solare. Questo comporta che, nel periodo estivo le temperature saranno più elevate, e nel periodo invernale saranno più basse, rispetto alla si- tuazione con la portata naturale; il rallentamento del deflusso delle acque, inoltre, facilita ul- teriormente il riscaldamento estivo delle acque in conseguenza del maggior tempo di esposi- zione all’irraggiamento solare, e rende più facile la formazione di ghiaccio in inverno. L’entità di questo impatto dipende da diversi fattori quali:  Entità del prelievo rispetto alla portata naturale; è evidente che quanto più sarà ridotta la portata a valle della derivazione, tanto maggiore sarà la perdita di omeostasi termica.  Clima della zona in cui si trova il tratto fluviale derivato; ad alta quota il pro- blema sarà soprattutto quello del rischio di congelamento completo della massa d’acqua in inverno. A bassa quota, il rischio sarà quello di superare i limiti critici massimi per la sopravvivenza degli organismi acquatici oligostenotermi in esta- te.  Morfologia del corso d’acqua; un alveo stretto e profondo, con importante pre- senza di pozze, può consentire una stratificazione termica, che consente il man- tenimento di zone idonee alla sopravvivenza nei periodi più avversi. In una grande pozza, p.e., in estate l’acqua rimarrà fresca vicino al fondo e in inverno il ghiaccio si formerà solo in superficie. In un alveo ampio e piatto invece il ri- scaldamento estivo e la formazione di ghiaccio in inverno sono più facilitate sull’intera colonna d’acqua.  Caratteristiche idrauliche; maggiore è la velocità di scorrimento dell’acqua e mi- nore è l’azione di riscaldamento che questa subisce; zone di acqua ferma e po- co profonda favoriscono al massimo le variazioni estreme di temperatura.  Caratteristiche topografiche dell’alveo ed esposizione; è chiaro che un alveo esposto a Sud sarà più esposto all’irraggiamento solare di uno esposto a Nord; un torrente che scorre all’interno di una valle stretta e profonda gode inoltre di una protezione naturale dal Sole rispetto ad uno che scorre in una zona pia- neggiante.  Vegetazione riparia; nei corsi d’acqua di minori dimensioni, la presenza di una vegetazione spondale ben sviluppata in altezza può garantire un’ombreggiatura anche totale dell’alveo, riducendo l’incremento di temperatura in estate.  Presenza di eventuali contributi di acque più fresche da parte di tributari o da parte della falda, che mitigano il rischio di eccessivo riscaldamento in estate. In genere questa interferenza riguarda soprattutto gli organismi oligostenotermi, cioè che esigono temperature fredde (p.e. i Salmonidi tra i pesci o i Plecotteri tra i macroin- vertebrati), che sono particolarmente vulnerabili ai rialzi termici nel periodo estivo; l’entità dell’impatto dipende sia dal valore massimo di temperatura raggiunto – che può superare la soglia di benessere dell’individuo piuttosto che quella critica letale – sia dal- la durata dell’esposizione. E’ possibile infatti che il superamento per brevi periodi gior- nalieri del limite letale non comporti la morte di singoli individui, mentre per contro, GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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una prolungata esposizione a valori non letali, ma comunque stressanti, può compro- mettere la sopravvivenza di una popolazione a lungo termine. Il rialzo delle temperature può favorire la proliferazione della copertura algale e di eventuali mucillaggini batteriche e fungine, andando ad interferire con la qualità delle acque e la loro fruibilità a fini ricreazionali.

Interruzione della continuità fluviale La presenza fisica della traversa che accompagna l’opera di presa rappresenta un’interruzione della continuità fluviale in quanto impedisce il passaggio di organismi tra monte e valle della stessa. La discesa a valle può essere - in qualche caso, laddove l’altezza dello sbarramento è modesta - possibile durante gli eventi di piena, mentre il passaggio in- verso risulta impossibile, a meno che non siano realizzati appositi passaggi artificiali. L’impedimento verso valle altera il processo di deriva degli invertebrati (drift), indispen- sabile per la colonizzazione degli ambienti a valle e per la regolazione della densità numerica degli organismi (Comoglio, 1999); esso si ripercuote anche sulla possibilità da parte degli stadi giovanili delle specie ittiche di spostarsi verso valle. Molte specie ittiche compiono migrazioni verso monte durante il periodo riproduttivo per cercare siti idonei alla deposizione delle uova e alla crescita degli avannotti, tornando successivamente a valle una volta conclusa la frega. L’impedimento di queste migrazioni può danneggiare tali specie costringendo i riproduttori a deporre le uova in zone non adatte o a riassorbire le uova senza neppure deporle, vanificando così la riuscita della riproduzione na- turale; spesso accade, inoltre, che l’addensamento di pesci in risalita al di sotto degli ostacoli insormontabili, ne facilita la predazione e il bracconaggio, e che alcuni riproduttori muoiano a causa dei continui sforzi nell’istintivo tentativo di saltare oltre la traversa. E’ opportuno sotto- lineare che le migrazioni ittiche non riguardano solo le poche specie famose per i loro lunghi spostamenti – anguilla, storione e salmoni, p.e. – ma sono svolte anche da altre specie che si muovono per tratti più brevi, come trote, temoli, lasche ecc.; tali movimenti, sebbene non così eclatanti, possono essere però assai rilevanti per la sopravvivenza di una popolazione it- tica. In tali casi, l’interruzione della continuità anche per tratti relativamente brevi, possono avere rilevanti effetti negativi, costringendo p.e. una popolazione ittica a riprodursi in siti non idonei e quindi con scarse possibilità di schiusa delle uova o di sopravvivenza della prole.

La lacustrizzazione del corso d’acqua a monte della derivazione Alcune tipologie di derivazione prevedono la costruzione di traverse o dighe che deter- minano un forte rallentamento della velocità di corrente di un tratto di corso d’acqua a mon- te; quest’ultimo perde le caratteristiche tipiche di un ambiente lotico e tende a lacustrizzarsi, o addirittura viene a crearsi un vero e proprio lago artificiale, in funzione delle dimensioni dello sbarramento. E’ possibile che l’impatto sull’ambiente non sia del tutto negativo, in quanto si viene a creare un nuovo ecosistema acquatico, sia pure con caratteristiche diverse, che potrebbe aumentare nel complesso la biodiversità della zona. E’ evidente che la biocenosi fluviale, nel tratto di corso d’acqua a monte della traversa affetto dal processo di lacustrizzazione, si mo- dificherà in risposta alle mutate condizioni ambientali, con la progressiva affermazione di or- ganismi limnofili. La lacustrizzazione determinerà un allagamento della zona riparia a monte dello sbar- ramento, la cui estensione sarà funzione dell’altezza dello sbarramento stesso e della pen- denza delle rive; più queste ultime saranno aggradate e maggiore risulterà il terreno som- merso. Ciò si ripercuoterà sulla vegetazione riparia, che vedrà svantaggiate le specie spicca- tamente terrestri e avvantaggiate le piante acquatiche e quelle palustri.

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L’aspirazione di organismi dalle opere di presa La presenza dell’opera di presa che convoglia le acque in condotta, alla centrale dove saranno turbinate, comporta la possibilità che gli organismi acquatici nelle adiacenze possano essere risucchiati e subire dei danni in conseguenza a ciò. E’ un impatto possibile anche nel caso di bacini che prevedono il ripompaggio delle acque a monte nei periodi di minor richie- sta energetica, in cui gli organismi presenti a valle dell’impianto rischiano di essere risucchiati verso monte. I fenomeni più frequentemente riportati in bibliografia in relazione alla presenza di im- pianti di aspirazione e scarico risultano essere quelli che in letteratura americana vengono chiamati entrainment e impingement. Ciò che viene definito entrainment (ingresso) avviene quando organismi acquatici, in genere di piccole dimensioni come uova o larve, vengono aspirate nel sistema di pompaggio, subendo stress dovuti al cambiamento di pressione (in grado di provocare deformazioni permanenti), allo shock termico e alla tossicità chimica deri- vata dall’uso di biocidi e agenti pulenti. La mortalità di organismi entrained risulta estrema- mente alta, rendendo in genere necessari sistemi, come filtri o schermi, che impediscano o riducano l’ingresso delle varie forme di vita acquatiche nelle strutture di aspirazione. Il feno- meno di impingement (urto), invece, avviene quando gli organismi acquatici collidono, per- ché aspirati passivamente, contro le pareti degli schermi di protezione posizionati alla bocca delle condutture di presa per evitare l’ingresso di corpi estranei oppure rimangono intrappo- lati all’interno dei sistemi di pompaggio rischiando di morire per soffocamento, eccessivo stress o ferimento (Nagle & Morgan, 2000). L’entità dei due fenomeni dipende sostanzial- mente dalla velocità di flusso dell’acqua in ingresso nell’impianto di presa e dalla capacità na- tatorie delle specie coinvolte. Gli effetti della mortalità indotta da tali fenomeni dipendono, invece, da numerosi fattori e pertanto risultano di difficile previsione; essi sono, infatti, in- fluenzati dall’abbondanza della popolazione insistente sull’area di progetto, dalle dimensioni relative delle popolazioni larvali (più soggette al fenomeno di entrainment) e delle popolazio- ni di adulti (più soggette al fenomeno di impingement), dalla variabilità stagionale specie- specifica, dal tasso di mortalità naturale e dal numero di stadi larvali uccisi (Van Winkel, 2000). Studi effettuati su una centrale olandese hanno dimostrato che 0.37 m/sec rappre- senta una velocità di aspirazione in cui si riduce sensibilmente il fenomeno di impingement. Una riduzione della velocità dell’acqua in ingresso in impianti energetici americani a tale valo- re hanno, infatti, portato ad una evidente diminuzione del fenomeno in esame (Hadderingh & Jager, 2002). Il secondo fattore necessario a valutare l’entità degli effetti di tali fattori per- turbativi sulla fauna ittica del lago è rappresentato dalle capacità natatorie mostrate dai pe- sci. Pesci di diverse dimensioni hanno capacità di nuoto differenti: gli individui di piccola ta- glia si muovono, in situazioni di fuga o di pericolo, ad una velocità prossima ai valori massimi ma resistono solo per un breve tempo, mentre i pesci di maggiori dimensioni riescono a nuo- tare per periodi più lunghi mantenendo velocità più elevate. È per tale motivo che in genere individui di taglia maggiore riescono a raggiungere valori sufficientemente elevati di velocità di nuoto da permettere loro di sfuggire all’azione trascinante esercitata dalla corrente duran- te la fase di aspirazione. Gli organismi che maggiormente vengono aspirati all’interno delle opere di presa risultano dunque le forme di vita più piccole, come quelle larvali, soggette ad un impatto maggiore. Nel caso delle captazioni idriche a scopo idroelettrico, l’acqua generalmente è derivata in modo tale che la velocità di corrente alla presa non è particolarmente elevata rispetto a quella del torrente in condizioni naturali; Si può presumere quindi che questo tipo di impatto sia piuttosto ridotto e riguardi principalmente gli organismi in fase di drift, che si lasciano tra- sportare passivamente verso valle.

L’impatto delle oscillazioni di volume e livello all’interno dei bacini artificiali

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L’ecosistema lacustre di un bacino artificiale è profondamente influenzato dalla regola- zione dei volumi – e conseguentemente dei livelli - dell’acqua, effettuata in funzione della produzione di energia idroelettrica. L’escursione ha generalmente un andamento stagionale, in ambito alpino tipicamente associata ai volumi minimi in corrispondenza dell’inverno e ai massimi nel periodo tardo primaverile del disgelo. Ulteriori variazioni si possono avere come conseguenza di periodi particolarmente piovosi o siccitosi. La gestione può inoltre comporta- te variazioni a breve termine, che sono tanto più accentuate quanto più piccolo è l’invaso e quindi tanto minore è la sua capacità di omeostasi rispetto a prelievi o apporti idrici; nei casi limite possono esserci escursioni di livello significative nell’arco di poche ore. Una condizione estrema si può verificare infine nel caso sia necessario lo svuotamento completo del bacino, che comporta la scomparsa completa dell’ecosistema lacustre o, nella situazione più favore- vole, la sua riduzione al solo bacino preesistente (ovviamente solo nel caso che l’invaso sia frutto dell’ampliamento di un lago naturale). Per i bacini d’alta quota, nel periodo invernale la presenza di un volume residuo adeguato è indispensabile ad evitare che il ghiaccio possa raggiungere gli strati più profondi imprigionandovi i pesci che vi svernano, oppure - data l’assenza di scambi gassosi con l’atmosfera – che possa crearsi una situazione di anossia. Un danno particolarmente grave viene invece dalle escursioni di livello troppo ampie e frequenti, in quanto la vegetazione terrestre (che ospita numerosi organismi fonte di cibo per i pesci) non è in grado di colonizzare i margini del lago che vengono periodicamente inonda- ti, mentre la fauna bentonica e le macrofite acquatiche non riescono ad insediarsi stabilmen- te in tali ambienti litorali per il motivo opposto, ossia perché soggette a ricorrenti periodi di asciutta. Nel caso di presenza di specie ittiche a riproduzione litorale (più tipico di ambienti a bassa quota) si può inoltre verificare la perdita delle uova.

L’impatto delle oscillazioni di portata (Hydropeaking) a valle dei bacini arti- ficiali Tale impatto si verifica solo nel caso di derivazioni che prevedono l’accumulo dell’acqua e l’impiego in tempi differiti, in relazione alle necessità gestionali. Gli impianti idroelettrici do- tati di invaso di regolazione a monte possono infatti produrre energia nei momenti di mag- giore richiesta, rilasciando l’acqua turbinata a valle della centrale, per poi interrompere la produzione elettrica e il rilascio di acqua quando è meno conveniente dal punto di vista eco- nomico; tali cicli di funzionamento, per effetto dei meccanismi che regolano il mercato dell’energia, possono essere assai discontinui nell’arco delle 24 ore. Ne consegue che i tratti di corsi d’acqua interessati dal deflusso delle acque turbinate subiscono dei bruschi e consi- stenti aumenti di portata in corrispondenza della generazione di energia elettrica, seguiti da altrettanto repentine e notevoli riduzioni di portata quando invece la produzione cessa. Tali variazioni di portata, definite dalla letteratura scientifica con il termine anglossassone hydro- peaking, si traducono in cambiamenti di altre variabili ambientali quali velocità di corrente, profondità dell’acqua, composizione del substrato ecc., e quindi interferiscono con la vita del- la biocenosi fluviale. Le conseguenze negative dell’hydropeaking sulla biocenosi fluviale dipendono più che dalla durata dell’onda di piena artificiale dalla rapidità con cui questa raggiunge il suo massi- mo e dalla frequenza con cui tale evento si ripete (Parasiewicz et al., 1996). Le riduzioni di portata nel breve periodo possono provocare variazioni di profondità tali da lasciare comple- tamente all’asciutto alcune zone dell’alveo, causando lo spiaggiamento di pesci e macroinver- tebrati che non sono riusciti a spostarsi per tempo nelle zone più profonde; al contrario, i re- pentini aumenti di portata possono creare situazioni critiche in termini di velocità di corrente, trascinando a valle gli organismi privi di adeguate capacità natatorie o lontani da rifugi. L’andamento altalenante della portata in alveo può, inoltre, determinare una maggiore insta- bilità delle rive, con conseguente incremento della torbidità dell’acqua e riduzione della vege-

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tazione acquatica, cui possono essere legati effetti negativi sul benthos (Brooker & Hemsworth, 1978 in Armitage, 1984). Variazioni repentine della velocità possono distruggere le sequenze pool-riffle, andando ad interferire con i meccanismi nutrizionali del benthos (Trotzky & Gregory, 1974 in Armitage, 1984), e possono inoltre determinare l’allontanamento del benthos dai microhabitat (Armitage, 1984). Ovidio et al., 2004 hanno osservato che l’hydropeaking generato da un impianto idroelettrico ha arrecato disturbo al comportamento riproduttivo del temolo.

L’impatto delle operazioni di svaso e sfangamento dei bacini artificiali I bacini artificiali e le opere di presa sono sovente soggetti ad interrimento ad opera dei sedimenti sospesi che vi afferiscono e quindi sedimentano; per questo motivo e per moti- vi di manutenzione delle paratoie essi necessitano di operazioni periodiche di svuotamento, con cadenze generalmente pluriennali. Queste operazioni possono avere pesanti ripercussioni sull’ecosistema acquatico a valle, in quanto il sedimento che si è progressivamente deposita- to sul fondo del bacino viene riversato nelle acque scaricate. Tecnicamente occorre distinguere due tipi di manovre di svuotamento degli invasi, che possono avere impatti di diversa entità: Lo svaso, che comporta lo svuotamento dell’acqua del lago per consentire le operazio- ni di manutenzione della diga e degli organi di fondo; in questi caso il rilascio di sedimento verso valle è accidentale ed è possibile effettuare degli interventi per limitare la concentra- zione dei sedimenti sospesi verso valle. Lo spurgo (con operazioni di sghiaiamento e sfangamento), che comporta lo svuotamento del lago finalizzato proprio alla rimozione del sedimento accumulatosi sul fondo del bacino riversandolo a valle attraverso lo scarico di fondo; questa manovra è particolar- mente impattante sull’ecosistema fluviale in quanto comporta una sorta di piena artificiale caratterizzata da elevatissime concentrazioni di sedimenti sospesi. Nel presente documento i termini “svaso” e “spurgo” saranno utilizzati come sinonimi per indicare operazioni che comportino il rilascio di sedimento, accidentale o voluto; la distin- zione tecnica tra le due operazioni sarà sottolineata nei casi in cui si riterrà necessario detta- gliarne con precisione gli effetti. Il principale impatto causato da uno svaso è quello prodotto dal sedimento accumulato sul fondo del bacino che viene riversato nel corso d’acqua a valle, provocando un incremento anomalo di torbidità e solidi sospesi. Gli effetti nocivi dei sedimenti sull’ecosistema fluviale sottostante possono essere così riassunti (Newcombe & MacDonald, 1991; Calow & Petts, 1992; Newcombe, 1994 e 1996):  un’azione meccanica (abrasione e occlusione) sugli apparati respiratori e ali- mentari dei pesci e degli invertebrati e sulla componente vegetale acquatica;  un’alterazione del comportamento degli organismi che utilizzano la vista come percezione sensoriale, le cui capacità di individuare le prede e stabilire relazioni sociali sono limitate dalla scarsa o nulla visibilità dovuta alla torbidità;  la distruzione dei microhabitat interstiziali di fondo, indispensabili alla vita sia degli invertebrati che dei primi stadi vitali dei pesci (uova e larve dei Salmonidi), che vengono occlusi dal sedimento fine che si deposita sul fondo;  alterazioni a livello di mesohabitat, quando l’apporto di sedimento a valle è tale da determinare il riempimento delle pozze e la formazione di barre e isole di ghiaia nei raschi;  infine, se al bacino svasato afferiscono scarichi inquinanti, lo sversamento dei sedimenti pone anche problemi di deficit di ossigeno e di tossicità diretta (per esempio per la presenza di ammoniaca e di metalli pesanti).

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Gli effetti nocivi dei sedimenti sospesi sugli organismi acquatici possono essere rag- gruppati in tre categorie principali (Newcombe & MacDonald, 1991):  Effetti comportamentali: vengono modificati i modelli comportamentali caratte- ristici di un organismo in ambiente non perturbato.  Effetti subletali: alterano i tessuti o la fisiologia degli organismi ma in modo non abbastanza grave da causarne la morte.  Effetti letali: causano la morte di singoli individui, riducono la consistenza nu- merica della popolazione o ne danneggiano la capacità di autosostentamento. L’entità dell’effetto dei sedimenti sospesi sugli organismi non è unicamente funzione della concentrazione degli stessi, ma dipende anche dalla durata dell’esposizione; da tale constatazione nasce il concetto di “dose”, definito come il prodotto della concentrazione dei sedimenti sospesi per il tempo di esposizione, e ad esso si fa riferimento per la valutazione dei rischi potenziali per la vita acquatica indotti dai sedimenti sospesi (Newcombe & MacDo- nald, 1991). Una rassegna vasta e completa degli effetti dei sedimenti sospesi sugli organi- smi acquatici è stata compilata da Newcombe (1994; 1996), sulla base di numerosi dati bi- bliografici; tale autore ha redatto una scala di severità degli effetti (SE) in base alla loro gra- vità, secondo una classe di punteggio da 0 (nessun effetto) a 14 (effetto più grave), che possono essere riassunti dalla Tabella 7. Il tempo di recupero spontaneo dell’ecosistema fluviale dipenderà, oltre che dall’entità dell’effetto subito, dal verificarsi di piene naturali in grado di ripulire l’alveo dal sedimento fi- ne e dalla possibilità di ricolonizzazione spontanea da parte della fauna acquatica provenien- te da ambienti laterali rimasti integri. Per quanto riguarda invece l’ecosistema lacustre, nel caso di invasi interamente artifi- ciali esso scomparirà completamente in seguito allo svuotamento; nel caso di laghi naturali ampliati si avrà invece la riduzione del bacino al preesistente specchio lacustre, che potrà ga- rantire la sopravvivenza almeno di una parte della biocenosi lacustre, sia pure quantitativa- mente ridotta per il minor spazio vitale disponibile. E’ evidente che in questo secondo caso il tempo di recupero sarà più breve rispetto alla situazione di un invaso completamente artifi- ciale, nel quale invece il ripristino della biocenosi potrà avvenire solo in un periodo lungo e, per quanto riguarda i pesci, richiederà con tutta probabilità interventi di supporto.

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Classe di severità Descrizione dell’effetto dell’effetto (SE) EFFETTI COMPORTAMENTALI 0 Nessun effetto deleterio osservato. Reazione di allarme; aumento della frequenza 1 dei colpi di tosse per eliminare i sedimenti ingeriti dalla cavità boccale. 2 Abbandono delle zone di rifugio. Si innesca una risposta di evitamento ai sedimenti sospesi; intervengono modificazioni nel 3 comportamento di nuoto. Diminuisce la frequenza di alimentazione (p. e. si verificano interferenze nella predazione a 4 vista a causa della torbidità dell’acqua). EFFETTI SUBLETALI Leggero stress fisiologico; aumento della frequenza dei colpi di tosse o della respirazione, o 5 entrambi. 6 Moderato stress fisiologico. Moderata degradazione dell’habitat; alterazione del comportamento migratorio e 7 dell’orientamento. Severi stress fisiologici e lesioni istologiche (abrasioni epiteliali); modifiche del comporta- 8 mento tipiche di situazioni ad elevato stress; i comportamenti manifestano cambiamenti avvenuti a livello fisiologico. Tasso di crescita ridotto, interferenze nello sviluppo di uova (p.e. ricopertura delle stesse) 9 ed embrioni. EFFETTI LETALI 10 Mortalità compresa tra lo 0 e il 20%; aumenta il tasso di mortalità dovuto alla predazione. Mortalità compresa tra il 20% e il 40%; riduzione nelle dimensioni della popolazione o danni 11 all’habitat o entrambi. 12 Mortalità compresa tra il 40% e il 60%. 13 Mortalità compresa tra il 60% e il 80% 14 Mortalità compresa tra il 80% e il 100% EFFETTI SOVRALETALI >14 Danni catastrofici all’habitat per i pesci Tabella 7: classi di severità degli effetti (SE) dei sedimenti sospesi sui pesci (Newcombe, 1996)

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3. GLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO- AMBIENTALE

In questo paragrafo sono illustrati gli strumenti di pianificazione faunistico-ambientale che potrebbero potenzialmente essere interessati dal progetto in esame. Essi riguardano in particolare la fauna ittica (gestione alieutica) e la fauna terrestre (gestione venatoria).

3.1. Gestione alieutica

In base alla D.G. R. 17 novembre 2006, n. 2708, che provvede alla “Designazione e classificazione delle acque dolci idonee alla vita dei pesci prevista dal D.Lgs. 152/2006, parte terza, art. 84., l’intera asta del T. Arzino rientra nella categoria delle “acque a Salmonidi”. La gestione della pesca sul T. Arzino è operata dall’ Ente Tutela Pesca; in particolare, il T. Arzino rientra all’interno della Zona “B”, “COLLEGIO 6 – ”. Il segmento di T. Arzino interessato dal progetto non ricade all’interno di zone a rego- lamentazione particolare; la più prossima ad esso è un “tratto ad esche artificiali”, in cui è consentito l’uso di sole esche artificiali con ami privi di ardiglione o con ardiglione perfetta- mente schiacciato, che inizia a monte del ponte di Pert (che ne rappresenta il confine di val- le).

3.2. Gestione venatoria

La valle dell’Arzino rientra nel Distretto nr. 4 “Prealpi carniche”, che presenta una Den- sità venatoria distrettuale media pari a 0,00466. Le due Aziende Venatorie presenti nel Distretto 4 (Monte Rossa e Pala Barzana) non in- teressano la zona del progetto. Sono presenti 9 Riserve nel Distretto 4, delle quali solo quella di Vito d’Asio interessa l’area del progetto:

Scheda della Riserva di VITO D’ASIO  Distretto di appartenenza: Nr. 4 "Prealpi carniche"  Comune/i interessato/i alla riserva: VITO D’ASIO  Superficie assegnata: 5385Ha  Non sono presenti zone particolari di divieto di caccia  Non sono presenti zone di divieto di caccia  Non sono presenti zone cinofile  Non sono presenti Aziende Venatorie

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3.3. Compatibilità del progetto con il sistema di aree protette dell’area

Le tipologie di aree protette nel Venezia Giulia possono così essere riassunte:  Parchi naturali regionali. I parchi naturali sono un sistema territoriale di particola- re interesse per valori naturali, scientifici, storico-culturali e paesaggistici. Sono orga- nizzati in modo unitario con finalità di conservare, tutelare, restaurare, ripristinare e migliorare l'ambiente naturale e le sue risorse, perseguire uno sviluppo sociale, eco- nomico e culturale, promuovere la qualificazione delle condizioni di vita e di lavoro delle comunità residenti attraverso attività produttive compatibili con quelle naturali. Tra le finalità dei parchi vi è anche quella di favorire la riconversione e la valorizzazio- ne delle attività tradizionali esistenti, proponendo modelli di sviluppo alternativo in aree marginali, nonché promuovere l'incremento della cultura naturalistica mediante lo sviluppo di attività educative, informativo, divulgative, di formazione e di ricerca scientifica. In sono stati istituiti, con la legge regionale 42/1996, due parchi: il Parco naturale delle Dolomiti Friulane e il Parco naturale delle Prealpi Giulie.  Riserve naturali, regionali e nazionali. Le riserve naturali rappresentano un terri- torio più piccolo rispetto ai parchi, caratterizzato da elevati contenuti naturali, in cui le finalità di conservazione sono prevalenti rispetto al perseguimento dello sviluppo so- ciale, economico e culturale. Anche le riserve naturali promuovono lo sviluppo delle attività educative, informative, divulgative, di formazione e di ricerca al fine di incre- mentare la cultura naturalistica. Sul territorio del Friuli Venezia Giulia ricadono tre ri- serve naturali statali e sulla base delle peculiarità naturali presenti sul territorio, con le leggi regionali 42/1996 e 13/1998, sono state istituite 11 riserve naturali di interes- se regionale.  Biotopi. I biotopi naturali sono aree di limitata estensione territoriale, individuati in aree esterne ai parchi e alle riserve, caratterizzate da emergenze naturalistiche di grande interesse, che corrono il rischio di distruzione e scomparsa. In Friuli Venezia Giulia sono stati istituiti 30 biotopi.  Aree di reperimento. Le aree di reperimento sono aree caratterizzate da elevati contenuti naturali, nelle quali vigono specifiche norme di salvaguardia per quanto concerne la modifica dello stato dei luoghi, dei corsi d'acqua, della superficie dei bo- schi e dei prati naturali. In Regione sono state istituite 20 aree di reperimento.  c. Parchi comunali e intercomunali. Sono istituiti con atto amministrativo.  d. Aree di rilevante interesse ambientale. Sono definite dagli strumenti urbani- stici.

La valle dell’Arzino non rientra all’interno di nessuna delle aree protette istituite nella regione Friuli Venezia Giulia. Per quanto riguarda la Rete Natura 2000, In Friuli Venezia Giulia sono stati individuati 62 SIC e 7 ZPS. Nell’alta valle dell’Arzino si trova il Sito di Importanza Comunitaria “IT3320011 Monti Verzegnis e Valcalda”; i confini di tale area (Figura 5) sono nettamente più a monte dell’area di progetto, pertanto si può escludere qualsiasi tipo di interferenza. In base a quanto esposto, non si ravvisa alcun elemento di incompatibilità del progetto con il sistema di aree protette e non si rende necessaria la predisposizione di una Valutazio- ne di Incidenza. GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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Figura 4: il sistema delle aree protette della regione Friuli Venezia Giulia (modificato da Aree naturali protette nel Friuli Venezia Giulia, 2005) e la valle dell’Arzino

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Figura 5: ubicazione del SIC IT3320011 Monti Verzegnis e Valcalda

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4. QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE

In questo capitolo sono descritti gli elementi di maggiore interesse, ai fini del presente studio, che caratterizzano l’ecosistema dell’area in cui si inserisce il progetto. Saranno esami- nate con particolare dettaglio le componenti ambientali più suscettibili di inteferenze da parte dell’opera in esame, cioè la vegetazione terrestre e l’ecosistema fluviale

4.1. Ecosistema terrestre

In questo paragrafo viene descritto lo stato attuale dell’ecosistema terrestre, nelle sue principali componenti (flora e fauna), per quanto riguarda l’area interessata dal progetto; le informazioni derivano sia da dati di bibliografia, sia da apposite indagini sul campo. Vegetazione e flora terrestre

L’inquadramento e la caratterizzazione dei boschi presenti nelle aree d’intervento segue le disposizioni regionali. La Regione predispone di un sistema di classificazione su basi tipolo- giche dell’intero territorio forestale regionale. Le tipologie forestali sono un sistema di inter- pretazione e classificazione delle zone boscate, che permette di definire puntuali e fondate indicazioni per la gestione selvicolturale. Alla medesima tipologia appartengono formazioni arboree omogenee sotto l’aspetto floristico, ecologico e funzionale. I Tipi forestali che costi- tuiscono le unità di classificazione, possono essere raggruppati in unità di ordine superiore, le Categorie, oppure maggiormente differenziati in Sottotipi o Varianti. Nel 1998 l'Amministrazione regionale ha pubblicato un testo dal titolo “La vegetazione forestale e la selvicoltura nella Regione Friuli Venezia Giulia", risultato di uno studio interdi- sciplinare tra docenti universitari di selvicoltura e botanica, fitosociologia e tecnici forestali dipendenti dell'amministrazione regionale e liberi professionisti (Del Favero et al., 1998). Gli esiti dello studio hanno consentito di individuare una realtà forestale molto articola- ta con ben 20 categorie tipologiche, 105 tipi forestali ed oltre 70 varianti. Una prima analisi della vegetazione delle aree indagate prende spunto dallo studio svolto da parte dell’Amministrazione regionale, proveniente dai dati GIS del SITFOR disponi- bili sul portale cartografico della Regione nell'ambito del Catalogo dati ambientali e territoria- li. Le formazioni boscate presenti fanno parte dei boschi collinari, compresi in una fascia altimetrica tra 160 e 350 m s.l.m., e risultano caratterizzati da una dominanza di suoli di tipo calcareo. Tale substrato condiziona le tipologie di soprassuoli che si localizzano lungo i ver- santi che si affacciano sul T. Arzino interamente composti da una regolare copertura boscata. Sotto il profilo forestale, procedendo da nord nella zona in cui è prevista l’ubicazione dell’opera di presa, si osserva una netta distinzione tra i versanti in destra e in sinistra idro- grafica: l’esposizione sud del versante di sinistra favorisce la presenza di specie più termofile, inquadrando tali formazioni nella Categoria forestale degli Orno-ostrieti e Orno-querceti, nello specifico afferibili alla tipologia forestale dell’Orno-ostrieto tipico. Mentre in destra idrografica, la maggior freschezza dovuta ad un’esposizione a nord, vede la prevalenza di specie mesofile, appartenenti alla categoria forestale delle Faggete, e riconducibili alla tipo- logia forestale della Faggeta sub-montana dei suoli mesici carbonatici. In corrispondenza dell’alveo la composizione risulta più omogenea per entrambe le sponde, con presenza di formazioni in prevalenza di tipo arbustivo che si insediano nelle zo-

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ne di greto, dominate dai saliceti arbustivi e nelle fasce spondali più esterne, anche da oc- casionali nuclei di Ontano bianco (Alnus incana)

Orno-ostrieto tipico Faggeta sub-montana dei suoli mesici carbonatici

Saliceti arbustivi di greto in destra idrografica a valle del punto di presa Figura 6: panoramiche delle formazioni forestali presenti nella zona di presa

l tratto interessato dalla condotta di adduzione non coinvolgerà alcuna fascia boscata dato che le opere di adduzione verranno interamente realizzate in galleria a partire dall’opera di presa fino a ritornare in superficie in corrispondenza del versante a monte della centrale. Il versante boscato in destra idrografica, al di sotto del quale saranno realizzate le condotte è interessato da una regolare copertura boscata di formazioni riconducibili alla Categoria fore- stale degli Orno-ostrieiti e degli Ostrio-querceti, nello specifico afferibili alla Tipologia forestale dell’Orno-ostrieto tipico. Nel versante boscato in cui è previsto lo sbocco della galleria di adduzione e la realizza- zione della pista di accesso permanente a monte della localizzazione della centrale di produ- zione, dai dati del SITFOR, le superfici boscate presenti sono inquadrabili nella Categoria fo- restale dei Rovereti e Castagneti, e nella Tipologia forestale del Castagneto dei suoli mesici. In seguito all’attività di sopralluogo, la centrale di produzione risulta in parte ubicata in corrispondenza delle aree prative che circondano le abitazioni presenti, in parte coinvol- gendo alcune fasce boscate di margine costituite interamente da formazioni antropogene appartenenti alla tipologia forestale del Robinieto puro.

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Robinieto puro

Area prativa parzialmente coinvolta dalla centrale Robinieto nella zona di restituzione acqu T. Arzino

Figura 7: panoramiche delle formazioni forestali presenti nella zona della centrale di produzione

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Fauna terrestre

Non sono state reperiti studi e pubblicazioni specifici sulla fauna terrestre presente nela zona di studio; gli elenchi faunistici di seguito riportati sono state ricavati pertanto dal sito http://www.comune.vitodasio.pn.it/Il-mondo-animale.13329.0.html, selezionando le specie che più probabilmente si possono rinvenire nel sito interessato dal progetto. Le specie più strettamente connesse all’habitat fluviale del T. Arzino sono state descritte nel paragrafo relativo al comparto “ecosistema acquatico”.

Specie Nome scientifico Riccio europeo Erinaceus europaeus Lepre comune Lepus europaeus Scoiattolo Sciurus vulgaris Ghiro Glis glis Volpe Vulpes vulpes Donnola Mustela nivalis Puzzola Mustela putorius Martora Martes martes Faina Martes foina Tasso Meles meles Camoscio Rupicapra rupicapra Cervo Cervus elaphus Capriolo Capreolus capreolus Tabella 8: elenco dei mammiferi di media e grande taglia potenzialmente presenti nell’area di studio

Specie Nome scientifico Sparviero Accipiter nisus Poiana Buteo buteo Astore Accipiter gentilis Nibbio bruno Milvus migrans Gheppio Falco tinnunculus Fagiano Phasianus colchicus Beccaccia Scolopax rusticola Colombaccio Columba palumbus Tortora dal collare orientale Streptopelia decaocto Cuculo Cuculus canorus Barbagianni Tyto alba Allocco Strix aluco Gufo comune Asio Otus Civetta Athene noctua Civetta capogrosso Aegolius funereus Gufo reale Bubo bubo Upupa Upupa epops Torcicollo Jynx torquilla Picchio verde Picus viridis Picchio nero Dryocopus martius Picchio rosso maggiore Dendrocopos major Picchio rosso minore Dendrocopos minor Allodola Alauda arvensis Tottavilla Lullula arborea Rondine Hirundo rustica Balestruccio Delichon urbica Rondine montana Ptyonoprogne rupestris Merlo acquaiolo Cinclus cinclus

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Specie Nome scientifico Scricciolo Troglodytes troglodytes Passera scopaiola Prunella Modularis Sordone Prunella collaris Pettirosso Erithacus rubecola Usignolo Luscinia megarhynchos Codirosso spazzacamino Phoenicurus ocruros Stiaccino Saxicola rubetra Merlo Turdus merula Merlo dal collare Turdus torquatus Tordela Turdus viscivorus Tordo bottaccio Turdus philomelos Cesena Turdus pilaris Tordo sassello Turdus iliacus Capinera Sylvia atricapilla Picchio muratore Sitta europaea Ghiandaia Garrulus glandarius Cornacchia Corvus corone Corvo imperiale Corvus corax Storno Sturnus vulgaris Passera mattugia Passer montanus Fringuello Fringilla coelebs Verzellino Serinus serinus Verdone Carduelis chloris chloris Cardellino Carduelis carduelis Tabella 9: elenco degli uccelli potenzialmente presenti nell’area di studio

Specie Nome scientifico Ramarro Lacerta bilineata Lucertola muraiola Podarcis muralis Orbettino Anguis fragilis Biacco Hierophis viridiflavus Saettone Zamenis longissimus Colubro liscio Coronella austriaca Vipera dal corno Vipera ammodytes Marasso Vipera berus Tabella 10: elenco dei rettili terrestri potenzialmente presenti nell’area di studio

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4.2. Ecosistema acquatico

In questo paragrafo viene descritto lo stato attuale dell’ecosistema acquatico del T. Ar- zino, nel tratto interessato dal progetto, relativamente alle sue principali componenti, abioti- che (idrologia e morfologia fluviale) e biotiche (macroinvertebrati, pesci, ecc.); le informazio- ni derivano sia da dati di bibliografia, sia da apposite indagini sul campo. L’idrologia

Per una descrizione più dettagliata dell’idrologia del T. Arzino si rimanda all’apposita relazione dell’elaborato idrologico “RI”; in questo paragrafo saranno richiamate sinteticamente le informazioni necessarie ad una migliore comprensione delle successivi analisi degli impatti sull’ecosistema acquatico.

Come si evince dalla Figura 8, la portata del T. Arzino presenta due momenti di morbida, uno primaverile con apice ad aprile, uno autunnale con i massimi a novembre, e due di magra, uno invernale con minimi a febbraio ed uno estivo con minimi ad agosto. Il mese di maggiore disponibilità idrica è mediamente quello di novembre, in cui si raggiungono portate superiori agli 8 m3/s, mentre la magra più accentuata è in febbraio, con circa 2 m3/s, mentre la media annua si situa a 4.7 m3/s.

Figura 8: andamento delle portata medie mensili del T. Arzino presso la sezione di presa

Il bacino imbrifero del T. Arzino è pari a 123.2 km2, quello sotteso all’area di presa è pari a 101.2 km2, circa l’82% del totale.

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L’habitat fluviale

In questo paragrafo viene descritta la morfologia fluviale del T. Arzino nel tratto inte- ressato dal progetto di derivazione, in relazione alla sua valenza di habitat per gli organismi acquatici. Il torrente tra la presa, posta a quota 264 m s.l.m. e la restituzione, posta a quota 165 m s.l.m., percorre circa 4.8 km, con una pendenza media relativamente aggradata, pari al 2.1%. Tale segmento rappresenta il 18% della lunghezza totale dell’asta del T. Arzino, che è pari a 27.1 km e ha una pendenza media del 2.4%. Il tratto oggetto di studio si trova sul fondo di una forra profonda e con pendici molto scoscese, spesso praticamente verticali; l’accesso in sicurezza è possibile solo da monte o da valle, mentre il segmento intermedio è accessibile e percorribile solo con imbarcazione par- tendo dal ponte di Pert. L’ambiente è caratterizzato nel complesso da un elevato grado di na- turalità; l’intero tratto è privo di opere di regimazione trasversali e l’unico intervento antropi- co sulla morfologia consiste nei pennelli realizzati nella porzione di valle, al fine di stabilizzare l’erosione in sponda destra sotto l’abitato di Anduins. La zona riparia è anch’essa estrema- mente naturale, in prevalenza inaccessibile per via dell’elevata pendenza dei versanti della valle; solo poco a monte di Anduins la sua estensione, in sponda destra, è limitata dalla pre- senza di una strada sterrata che risale a lato del torrente fino al piede della paleofrana del Maserach. Per l’applicazione dell’Indice di Funzionalità Fluviale IFF, il tratto di studio è stato sud- diviso in 3 segmenti omogenei:  Il primo e più esteso, lungo circa 3.4 km, va dalla zona di presa all’inizio della paleo- frana del Maserach. E’ caratterizzato da un’elevata naturalità di alveo e sponde, con alveo fortemente inciso all’interno di una forra con pendici scoscese, quasi verticali e a tratti rocciose. L’ampiezza della fascia riparia e la sua continuità sono limitate da ta- le conformazione naturale, così come la possibilità di esondazione che è di fatto nulla.  Il secondo e più breve, lungo circa 0.4 km, è quello che fiancheggia la paleofrana del Maserach, posta in sponda destra idrografica. In questo segmento la peculiarità è co- stituita dalla paleofrana, con i sottostanti fenomeni erosivi sulla riva destra del torren- te e gli interventi spondali di rinforzo realizzati al piede della stessa.  Il terzo, lungo circa 1 km, è quello che va dalla fine della paleofrana del Maserach alla zona di restituzione delle acque. Qui la valle si fa più aperta, con conformazione a “V”, e la zona riparia si può estendere maggiormente in ampiezza in sponda sinistra; a destra invece è presente una strada sterrata che limita lo sviluppo della vegetazione spondale. Il territorio circostante è parzialmente antropizzato sul versante destro, per la presenza dell’abitato di Anduins. I risultati dell’applicazione dell’IFF (Tabella 11) sono così riassumibili:  Il primo segmento presenta una funzionalità “buona” per entrambe le sponde; il mancato raggiungimento della classe migliore è dovuto esclusivamente a cause natu- rali, per effetto della morfologia peculiare del corso d’acqua, posto sul fondo di una profonda forra.  Il secondo segmento presenta una funzionalità “buona” per la sponda destra e “otti- ma” per quella sinistra; a destra il fattore limitante è da ricercarsi negli effetti della frana e nei conseguenti interventi di artificializzazione della riva.  Nel terzo segmento, quello in cui maggiore è la presenza antropica, i benefici dovuti al passaggio da una morfologia a forra ad una valle più aperta sono tali da superare le – comunque limitate - interferenze umane, permettendo il raggiungimento di una funzionalità “ottima” su entrambe le sponde.

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Segmento 1 2 3 Indice IFF DX SX DX SX DX SX 1-Stato del territorio circostante 25 25 20 20 20 25 2-Vegetazione zona perifluviale 25 25 40 40 40 40 3-Ampiezza zona perifluviale 5 5 10 10 10 15 4-Continuità delle formazioni funzionali presenti in fascia perifluviale 10 10 5 10 15 15 5-Condizioni idriche dell’alveo 20 20 20 6-Efficienza di esondazione 1 1 1 7-Strutture ritenzione apporti trofici 25 25 25 8-Erosione delle rive 20 20 1 20 20 20 9-Sezione trasversale 20 20 20 10-Idoneità ittica 25 25 25 11-Idromorfologia 20 20 20 12-Componente Vegetale in alveo bagnato 15 15 15 13-Detrito 15 15 15 14-Comunita’ macrobentonica 20 20 20 Punteggio totale 246 246 237 261 266 276 Classe II II II I I I Giudizio buono buono buono ottimo ottimo ottimo Tabella 11: applicazione dell’Indice IFF al tratto di T. Arzino tra Pert e Anduins

Figura 9: la zona con la paleofrana e gli interventi di stabilizzazione della sponda destra

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Le caratteristiche morfologiche e idrauliche di un torrente sono elementi determinanti per la possibilità di colonizzazione da parte delle comunità biologiche e in particolare della fauna ittica, il cui svolgimento dell’intero ciclo vitale (alimentazione, accrescimento, riprodu- zione) richiede la presenza di diverse tipologie di habitat fluviale. Dal punto di vista della eco- logia fluviale è particolarmente interessante lo studio della morfologia di un corso d’acqua a livello di mesohabitat, cioè su una scala spaziale nell’ordine della decina di metri, e con una durata temporale dell’ordine della decina di anni; gli elementi di mesohabitat, detti anche ”unità morfologiche”, sono riconducibili a cinque tipologie fondamentali:  pool: raggruppa le tipologie caratterizzate da velocità di corrente moderata, acque profonde, fondo costituito da sedimento fine;  riffle: indica tratti con corrente veloce, turbolenta, acqua poco profonda e substrati grossolani e duri (in genere massi, ciottoli). Possono essere ulteriormente distinti in High Gradient Riffle (a maggiore pendenza, con substrato esposto a massi e superfi- cie dell’acqua che si frange in spruzzi) e Low Gradient Riffle (bassa pendenza, sub- strato interamente sommerso e turbolenza che non comporta onde che si frangono).  run: indica tratti con corrente veloce, flusso superficiale laminare, acqua poco o me- diamente profonda e substrati abbastanza grossolani e duri (in genere ciottoli e ghiaia). Un’ulteriore distinzione porta a definire “glide” i run caratterizzati da alveo piatto, poco profondo e con substrato ghiaioso.  step pool: rapide disposte a scalinata, dove piccole pozze, poco profonde e posizio- nate dietro gruppi di massi, si susseguono alternativamente a corti tratti a pendenza più accentuata che vanno a formare delle piccole cascatelle; è una tipologia partico- larmente ricorrente nei torrenti più piccoli, dove è difficile individuare pool vere e proprie (in quanto troppo piccole o poco profonde) e i riffle possono essere molto brevi.  cascade: si riferisce a tutti quei tratti che non possono ospitare stabilmente pesci in quanto la velocità di corrente è eccessiva o la profondità d’acqua troppo scarsa; si tratta in genere di tratti con elevata pendenza, vere e proprie cascate o schiene di roccia viva, che spesso sono associati a discontinuità dell’alveo non superabili dai pe- sci.

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RIFFLE POOL RUN

Figura 10: schematizzazione delle tipologie fondamentali di unità morfologiche di mesohabitat – riffle, pool e run

Percentuale area bagnata (%)

2.0 11.6 17.1

Pool Riffle Run Step-pool 23.5 Cascade

45.8

Figura 11: composizione del mesohabitat fluviale del T. Arzino tra Pert e Anduins, espressa in percentuale di area bagnata

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Il mesohabitat fluviale del T. Arzino nel tratto interessato dal progetto di derivazione è stato mappato mediante rilievo visivo in campo; i risultati sono sintetizzati nel grafico in Figu- ra 11, mentre nelle tavole allegate sono riportate le mappe di dettaglio del rilievo. Dal rilievo si evince che il mesohabitat più rappresentato è il run, che da solo compone quasi il 50% dell’area bagnata del tratto, seguito dal riffle, che ne occupa circa un quarto e dalle pool con poco meno del 20%; gli step-pool sono appena oltre il 10% della superficie, mentre i cascade sono rappresentati solo dal 2%. Questa struttura del mesohabitat è tipica per un tratto fluviale pedemontano e relativamente aggradato; nelle pagine seguenti si ripor- tano alcuni esempi di unità morfologiche presenti nel Torrente Arzino. E’ importante osserva- re che, rispetto alle caratteristiche generali precedentemente indicate che identificano le di- verse tipologie di unità morfologiche, nel caso del T. Arzino vi sono le seguenti specificità:  i run presentano spesso una sezione trapezoidale con una zona marcatamente più profonda in corrispondenza di una delle due sponde. In diversi casi la presenza di grossi massi all’interno dell’alveo determina inoltre la formazione di zone di rilevante profondità (anche superiore al metro), che non sono state scorporate come vere e proprie pool in quanto minoritarie in termini di superficie bagnata rispetto al totale dell’intero run; tali peculiarità hanno comunque un importante ruolo ecologico come zone di rifugio per i pesci di maggiore taglia. La profondità media dei run tende a ri- dursi nelle porzioni terminali verso valle, dove soventemente assumono una confor- mazione a “glide”, con substrato ghiaioso; si tratta in questo caso di habitat poco idonei allo stazionamento stabile di pesci di media e grossa taglia, particolarmente idonei invece come zone di riproduzione dei Salmonidi (che prediligono acque basse, veloci e con substrato ghiaioso).  I riffle sono per lo più ad elevata pendenza, con substrato di grosse dimensioni che fornisce abbondanti ripari alla fauna ittica, anche se il tirante idraulico è mediamente poco elevato.  I cascade sono presenti soprattutto nella parte centrale del tratto, quella più inforra- ta, e sono in genere brevi.

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Figura 12: run profondo

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Figura 13: run poco profondo (Glide)

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Figura 14: riffle high gradient

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Figura 15: riffle low gradient

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Figura 16: pool

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Cascade

Pool

Figura 17: sequenza pool-cascade

Riffle

Cascade

Figura 18: sequenza riffle-cascade

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La qualità chimico – fisica e microbiologica delle acque

Il T. Arzino è attualmente monitorato da ARPA FVG con una stazione (codice PN26) si- tuata presso il ponte di Pert, poco a monte del punto previsto per la derivazione. I dati di qualità chimico – fisica delle acque per l’anno 2010 sono riportati nella Tabella 12. Da essi si evince che i composti del fosforo sono al di sotto del limite strumentale di rilevazione;per quanto riguarda quelli dell’azoto, sono stati analizzati i nitrati, che presentano una concentra- zione pari a 0.84 mg/l di azoto nitrico, corrispondente ad un 2 livello di qualità per l’Indice LIMeco. L’Indice LIMeco corrisponde, nel complesso dei parametri che considera, ad un giu- dizio di “elevato”.

Nitrati (mg/l NO3-) Azoto nitrico (mgN/l) Fosforo totale (mg/l Ptot) 3.7 0.84 <0.03 Tabella 12: risultati delle analisi della qualità delle acque del T. Arzino presso Pert nel 2010 (ARPA FVG)

Nell’ambito della presente valutazione di impatto ambientale, sono stati effettuati delle apposite indagini sulla qualità delle acque del T. Arzino nel segmento interessato dal proget- to di derivazione. I parametri chimico – fisici delle acque sono stati analizzati durante il mese di agosto 2010 in due giorni consecutivi, il primo (4/8/2010) caratterizzato da tempo sereno, il secondo (5/8/2010) in condizioni di copertura nuvolosa e deboli precipitazioni, tali però da non alterare le portate fluenti in modo apprezzabile. Le misure sono state effettuate in due stazioni sul T. Arzino, in prossimità dei punti previsti di presa e restituzione, rispettivamente a Pert e ad Anduins. Per quanto riguarda gli immissari, non sono stati riscontrati affluenti con una portata significativa all’interno del tratto di studio; sono state però effettuate delle analisi su un modesto riale (portata di circa 2 l/s) che, in virtù del suo percorso a valle di una parte dell’abitato di Anduins, poteva rappresentare l’unico possibile vettore di sostanze inquinanti nel tratto di Arzino studiato; la foce di tale rio è circa 700 m a monte del punto previsto per la centrale. I dati relativi all’asta del T. Arzino mostrano una situazione abbastanza simile tra monte e valle, dove osserva che: . la temperatura è ben al di sotto del limite di legge per le acque salmonicole di 21.5 °C anche nella giornata di tempo sereno; . lo stato di ossigenazione delle acque è ottimale; . la conducibilità relativamente alta e il pH alcalino testimoniano la natura calcarea del bacino imbrifero;

. i valori molto bassi di BOD5 e quelli di COD (sempre inferiori al limite strumentale di rilevamento) evidenziano l’assenza di inquinamento organico; . per quanto riguarda i composti dell’azoto, soltanto i nitrati sono presenti in modo ap- prezzabile, mentre ammoniaca e nitriti sono inferiori o appena sopra il limite strumen- tale di rilevamento; . analoga considerazione vale per il fosforo totale, sempre inferiore al limite strumenta- le di rilevamento. L’applicazione dell’Indice LIMeco valuta le due stazioni in uno stato di qualità “elevato” in entrambi i campionamenti. Le indagini sul riale hanno permesso di escludere una sua contaminazione da parte di scarichi fognari o diffusi provenienti dall’abitato di Anduins; lo stato di ossigenazione è infatti ottimale e i parametri che superano il limite strumentale di rilevamento, passano di poco le rispettive soglie. Anche in questo caso l’applicazione dell’Indice LIMeco porta ad uno stato di qualità “elevato” in entrambi i campionamenti.

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In sintesi, non sono state osservate alterazioni della qualità chimico fisica delle acque nel tratto di T. Arzino oggetto di indagine.

Stazione

no no

e

/s)

3

Data

PH

(%)

tonitroso (mg/l)

Portata(m

COD (mg/l COD O2)

BOD5 (mg/l BOD5 O2)

Alcalinità(mg/l)

Azotototale (mg/l)

Azotonitrico (mg/l)

Azo

Fosforototale (mg/l)

Temperaturaacqua (°C)

Ossigenodisciolto (mg/l)

Saturazioneossigeno (%)

Conducibilità(microS/cm) Azotoammoniacale (mg/l) Deficitsaturazione ossig 04/08 1.96 17.8 9.3 92.2 7.8 8.49 272 2.0 0.66 <5 0.70 <0.002 <0.015 <1 <0.010 Pert 05/08 - 14.4 10.5 104.5 -4.5 8.99 273 2.0 1.09 <5 0.79 <0.002 0.016 1.1 <0.010 04/08 2.48 16.9 9.2 94.7 5.3 8.65 270 1.4 <0.5 <5 0.78 <0.002 <0.015 1.02 <0.010 Anduins 05/08 - 15.3 10.2 102.0 -2.0 9.03 270 1.5 1.13 <5 0.80 <0.002 <0.015 1.17 <0.010 04/08 0.002 18.9 8.5 91.4 8.6 8.53 378 1.7 1.75 5.46 1.35 <0.002 0.021 1.64 <0.010 Riale 05/08 - 16.8 9.1 93.7 6.3 8.57 385 1.8 0.64 <5 1.55 <0.002 0.021 1.95 0.033

Tabella 13: risultati delle analisi della qualità delle acque del T. Arzino e del riale sotto Anduins, agosto 2010

LIMECO eno(%) LIMECO Stato

(mg/l)

ossig

Deficitsaturazione

Azotonitrico (mg/l)

Azotoammoniacale Fosforototale (mg/l) 04/08/2010 1.000 1.000 0.500 1.000 0.875 elevato Pert 05/08/2010 1.000 1.000 0.500 1.000 0.875 elevato 04/08/2010 1.000 1.000 0.500 1.000 0.875 elevato Anduins 05/08/2010 1.000 1.000 0.500 1.000 0.875 elevato 04/08/2010 1.000 1.000 0.125 1.000 0.781 elevato Riale 05/08/2010 1.000 1.000 0.125 1.000 0.781 elevato

Tabella 14: applicazione dell’Indice LIMeco alle acque del T. Arzino e del riale sotto Anduins, agosto 2010

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Le diatomee

L’analisi della comunità diatomica del T. Arzino a Pert ha evidenziato la presenza di un discreto numero di specie e varietà (23 taxa) in relazione alla tipologia di corso d’acqua inda- gato. Achnanthidium minutissimum (Kützing) Czarnecki con una abbondanza relativa di circa il 30% è la specie prevalente nel campione. Si tratta di una piccola diatomea ubiquita- ria,spesso associata ad acque ben ossigenate e povere di nutrienti. Ben rappresentata, in- sieme ad alcune sue varietà, è anche Cocconeis placentula, una specie ad ampia diffusione che vive solitamente adesa a piante acquatiche e massi. Da segnalare anche la presenza di Achnanthidium biasolettianum e Gomphonema pumilum, considerate specie con bassi opti- mum per i nitrati ed il fosforo totale nei corsi d’acqua di tipologia alpina. Nel complesso, la maggior parte delle diatomee osservate sono tipiche di acque con basso e moderata concen- trazione di nutrienti e sostanza organica.

Codice Specie e varietà Abbondanza relativa % ADBI Achnanthidium biasolettianum (Grunow) Lange-Bertalot 7.5 EULA Eucocconeis laevis (Oestrup) Lange-Bertalot 1 ADMI Achnanthidium minutissimum (Kützing) Czarnecki 30.5 AINA Amphora inariensis Krammer 2 APED Amphora pediculus (Kützing) Grunow 10 CBAC Caloneis bacillum (Grunow) Cleve 0 CPED Cocconeis pediculus Ehrenberg 6 CPLA Cocconeis placentula Ehrenberg 13 CPLE Cocconeis placentula var. euglypta (Ehr) Grunow 4 CPLI Cocconeis placentula var. lineata (Ehr) Van Heurck 1 CPPL Cocconeis placentula var. pseudolineata Geitler 5 CAFF Cymbella affinis Kützing 0 CLAE Encyonopsis microcephala (Grunow) Krammer 1 CBNA Encyonema minutum (Hilse) Mann 2 ESLE Encyonema silesiacum (Bleisch) Mann 1.5 RSIN Reimeria sinuata (Gregory) Kociolek Stoermer 3 DTEN Denticula tenuis Kützing 0 UULN Ulnaria ulna (Nitzsch) Compère 1 GPUM Gomphonema pumilum (Gr) Reichardt Lange-Bertalot 4.5 GTER Gomphonema tergestinum Fricke 4 NCPR Navicula capitatoradiata Germain 0 NMEN Navicula menisculus Schumann 1 RUNI Reimeria uniseriata Sala Guerrero Ferrario 2 taxa totali 23 taxa osservati non rientrati nel conteggio 4 taxa contati 19 Tabella 15: percentuale relativa delle diverse specie e varietà di diatomee rilevate nel T. Arzino a Pert nel mese di agosto 2010. La nomenclatura riportata è quella più recente disponibile

Lo stato ecologico della comunità diatomica del T. Arzino a Pert è risultato elevato, con un valore dell’Indice ICMi (ottenuto dalla media aritmetica dei due indici IPS e Ti) pari a 0.90 che colloca il tratto studiato in una I classe di qualità. Tale giudizio delll’Indice ICMi è identico a quello riscontrato da ARPA FVG nel medesimo sito per l’anno 2010.

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IPS5 IPS20 RQE_IPS TI RQE_TI ICMi CLASSE QUALITA' 4.53 17.76 0.96 2.09 0.83 0.90 I ELEVATA Tabella 16: risultati dell’applicazione dell’indice ICMi. I valori di riferimento per il calcolo degli RQE sono quelli riportati nel Rapporto ISTISAN 09/19per il macrotipo fluviale A1

La comunità diatomica del T. Arzino ad Anduins è risultata composta da 16 unità si- stematiche, fra cui prevale la presenza di Cocconeis placentula, che insieme alle due varietà Cocconeis placentula var. euglypta e Cocconeis placentula var. pseudolineata rappresenta circa il 40% del campione analizzato. C. placentula è una specie tollerante, ampiamente dif- fusa in ambienti oligo-mesotrofi con debole carico di nutrienti e sostanza organica. Dal punto di vista numerico, significativa è anche la presenza di Achnanthidium minutissimum, una specie ubiquitaria considerata da alcuni autori un indicatore di acque povere di nutrienti o generalmente di buona qualità. La co-dominanza di Cocconeis placentula insieme ad Achnan- thidium minutissimum porta ad ottenere un valore di ICMi pari a 0.88, leggermente inferiore rispetto alla stazione di monte ma che attribuisce comunque alla stazione indagata una I classe di qualità.

Codice Nomenclatura recente Abbondanza relativa % ADBI Achnanthidium biasolettianum (Grunow) Lange-Bertalot 0.00 EULA Eucocconeis laevis (Oestrup) Lange-Bertalot 0.86 ADMI Achnanthidium minutissimum (Kützing) Czarnecki 32.03 AINA Amphora inariensis Krammer 15.52 APED Amphora pediculus (Kützing) Grunow 5.17 CPED Cocconeis pediculus Ehrenberg 1.72 CPLA Cocconeis placentula Ehrenberg 32.76 CPLE Cocconeis placentula var. euglypta (Ehr) Grunow 6.90 CPPL Cocconeis placentula var. pseudolineata Geitler 1.72 CAFF Cymbella affinis Kützing 0.86 ECAE Encyonema caespitosum Kützing 1.72 RSIN Reimeria sinuata (Gregory) Kociolek Stoermer 1.72 DEHR Diatoma ehrenbergii Kutzing 1.72 GPUM Gomphonema pumilum (Gr) Reichardt Lange-Bertalot 1.72 GTER Gomphonema tergestinum Fricke 0.00 RUNI Reimeria uniseriata Sala Guerrero Ferrario 1.72 taxa totali 16 taxa osservati non rientrati nel conteggio 2 taxa contati 14 Tabella 17: percentuale relativa delle diverse specie e varietà di diatomee rilevate nel T. Arzino a Anduins nel mese di agosto 2010. La nomenclatura riportata è quella più recente disponibile

IPS5 IPS20 RQE_IPS TI RQE_TI ICMi CLASSE QUALITA' 4.46 17.42 0.95 2.14 0.81 0.88 I ELEVATA Tabella 18: risultati dell’applicazione dell’indice ICMi. I valori di riferimento per il calcolo degli RQE sono quelli riportati nel Rapporto ISTISAN 09/19per il macrotipo fluviale A1

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La comunità macrobentonica

Il T. Arzino, nel segmento interessato dal progetto in esame, è classificato con il codice “02SS2T13” e appartiene alla categoria dei corpi idrici “naturali” e “non a rischio”, secondo la tipizzazione fluviale riportata nel Piano di gestione del Bacino del Tagliamento (www.alpiorientali.it). Il monotoraggio condotto da ARPA FVG nel 2010 presso Pert (stazione PN26) assegna al tratto un giudizio STAR_ICMi corrispondente a “buono”; il documento ARPA specifica però quanto segue: “La classificazione rispetto alla comunità macrozoobentonica del corso d’acqua mediante l’indice STAR_ICMi penalizza eccessivamente un torrente la cui comunità risulta ben strutturata ed in cui sono presenti molti organismi sensibili all’inquinamento. Come per altri corpi idrici, si è notato che i tratti montani di medio corso sono sottostimati da tale indi- ce, probabilmente per la mancanza di adeguati siti di riferimento.” Nell’ambito del presente studio, un campionamento di macroinvertebrati è stato ese- guito in due zone, poste rispettivamente poco a monte del punto di presa (Pert) e di quello di restituzione delle acque (Anduins), nel mese di agosto 2010; sono stati applicati sia il tra- dizionale metodo IBE, sia il nuovo approccio quantitativo multihabitat APAT-ISPRA, previsto dalla Direttiva 2000/60 CE. L’applicazione dell’Indice IBE evidenzia una qualità biologica delle acque in entrambi le stazioni di monitoraggio, con il raggiungimento di una I classe di qualità piena e punteggio IBE pari a 10. Si tratta di un risultato atteso in considerazione dell’elevata naturalità del baci- no imbrifero e dell’habitat fluviale, nonché dell’assenza di fonti significative di inquinamento puntiforme e diffuso. L’applicazione dell’Indice STAR_ICMi assegna ad entrambe le stazioni uno stato qualita- tivo “sufficiente”, a dispetto di quanto rilevato tramite l’Indice IBE e del contesto ambientale descritto; questa valutazione, che trova riscontro anche con le osservazioni di ARPA FVG, ap- pare sottostimare decisamente la reale qualità ambientale, ed è con tutta probabilità dovuta al fatto che i valori di riferimento sono ancora del tutto sperimentali e richiederanno un pe- riodo di validazione e aggiustamento. Utilizzando la stazione di monte come valori di riferi- mento, la stazione di valle viene valutata con uno stato “elevato”, a dimostrazione che non vi sono elementi di perturbazione all’interno del tratto in questione.

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Idroecoregione Prealpi - Dolomiti Codice HER 02FV Codice Macrotipo fluviale A1 ORD MacrOper N_27 Tabella 19: tipizzazione del tratto di T. Arzino indagato

Giudizio Limiti classe Elevato/Buono 0.97 Buono/Sufficiente 0.73 Sufficiente/Scarso 0.49 Scarso/Cattivo 0.24

Tabella 20: limiti di riferimento per le classi di qualità del tratto di T. Arzino indagato

Metrica Valori di riferimento peso Pert Anduins Indice ASPT 6.76 0.333 5.78 6.21 Indice EPTD 2.95 0.266 1.65 1.23 Indice GOLD 0.84 0.067 0.48 0.74 N° famiglie 26 0.167 22 19 Indice EPT 13 0.083 10 9 Indice di Shannon 2.45 0.083 2.13 2.08 STAR_ICMI punteggio 0.73 0.71 STAR_ICMI giudizio sufficiente sufficiente Tabella 21: applicazione dell’Indice STAR_ICMi con i valori di riferimento teorici; T. Arzino, agosto 2010

Valori di riferimento Metrica peso Anduins (Pert) Indice ASPT 5.78 0.333 6.21 Indice EPTD 1.65 0.266 1.23 Indice GOLD 0.48 0.067 0.74 N° famiglie 22 0.167 19 Indice EPT 10 0.083 9 Indice di Shannon 2.13 0.083 2.08 STAR_ICMI punteggio 0.97 STAR_ICMI giudizio elevato Tabella 22: applicazione dell’Indice STAR_ICMi utilizzando la stazione di Pert come riferimenento; T. Arzino, agosto 2010

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Gruppo sistematico Famiglia Genere Pert Anduins Plecotteri Leuctridae Leuctra drift raro Plecotteri Nemouridae Protonemura raro drift Plecotteri Perlidae Dinocras comune raro Plecotteri Perlidae Perla - raro Efemerotteri Baetidae Baetis raro raro Efemerotteri Ephemerellidae Ephemerella abbondante abbondante Efemerotteri Heptageniidae Ecdyonurus raro drift Efemerotteri Heptageniidae Rhithrogena drift raro Efemerotteri Siphlonuridae Siphlonurus raro - Tricotteri Glossosomatidae - drift - Tricotteri Hydropsychidae - raro drift Tricotteri Polycentropodidae - drift raro Tricotteri Psychomyidae - - raro Tricotteri Rhyacophilidae - raro comune Tricotteri Sericostomatidae - comune - Coleotteri Dytiscidae - comune raro Coleotteri Elminthidae - comune comune Ditteri Anthomyidae/Muscidae - - raro Ditteri Athericidae - comune raro Ditteri Blephariceridae - - comune Ditteri Chironomidae - comune raro Ditteri Empididae - raro - Ditteri Limoniidae - raro - Ditteri Simuliidae - drift raro Ditteri Stratiomyidae - drift - Ditteri Tabanidae - comune - Ditteri Tipulidae - drift - Eterotteri Gerridae - - non valido Crostacei Gammaridae - - drift Gasteropodi Lymnaeidae - raro - Oligocheti Lumbriculidae - comune raro Oligocheti Tubificidae - comune - N° Taxa validi ai fini IBE 19 17 N° Taxa drift ai fini IBE 7 4 N° Taxa non validi ai fini IBE 0 1 Punteggio IBE 10 10 Classe qualità IBE I I Tabella 23: risultati del campionamento semiquantitativo di macroinvertebrati e applicazione dell’IBE; T. Arzino, agosto 2010

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Stazione Pert Anduins Pert Anduins Gruppo sistematico Famiglia Genere Densità (n/m2) Densità (n/m2) % % Plecotteri Chloroperlidae Chloroperla 0 1 0.0 0.2 Plecotteri Perlodidae Dictyogenus 1 0 0.2 0.0 Plecotteri Leuctridae Leuctra 13 62 2.1 15.3 Plecotteri Perlidae Perla 18 0 3.0 0.0 Plecotteri Nemouridae Protonemura 8 2 1.3 0.5 Efemerotteri Baetidae Baetis 47 80 7.7 19.8 Efemerotteri Heptageniidae Ecdyonurus 6 3 1.0 0.7 Efemerotteri Ephemerellidae Ephemerella 133 102 21.9 25.2 Efemerotteri Heptageniidae Rhithrogena 13 10 2.1 2.5 Tricotteri Hydropsychidae - 18 2 3.0 0.5 Tricotteri Hydroptilidae - 6 2 1.0 0.5 Tricotteri Rhyacophilidae - 11 5 1.8 1.2 Coleotteri Dytiscidae - 8 0 1.3 0.0 Coleotteri Elminthidae - 10 26 1.6 6.4 Coleotteri Gyrinidae - 0 2 0.0 0.5 Coleotteri Helodidae - 0 1 0.0 0.2 Ditteri Anthomyidae/Muscidae - 0 2 0.0 0.5 Ditteri Athericidae - 16 1 2.6 0.2 Ditteri Blephariceridae - 13 63 2.1 15.6 Ditteri Chironomidae - 27 7 4.4 1.7 Ditteri Empididae - 1 0 0.2 0.0 Ditteri Limoniidae - 19 4 3.1 1.0 Ditteri Simuliidae - 230 28 37.8 6.9 Eterotteri Gerridae - 1 0 0.2 0.0 Oligocheti Lumbricidae e/o Criodrillidae - 1 0 0.2 0.0 Oligocheti Lumbriculidae - 2 1 0.3 0.2 Oligocheti Propappidae - 6 0 1.0 0.0 TOTALE 608 404 100 100

Tabella 24: risultati del campionamento quantitativo di macroinvertebrati; T. Arzino, agosto 2010

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La fauna ittica

Il segmento di T. Arzino interessato dal progetto, dal punto di vista della zonazione itti- ca rientra nel tratto a “trota marmorata e temolo”; in realtà, nel T. Arzino il temolo (Thymal- lus thymallus) è presente esclusivamente alla confluenza con il F.Tagliamento (ETP, 2010 “Progetto temolo”) e la marmorata (Salmo trutta marmoratus) è accompagnata dalla trota fario (Salmo trutta trutta), con la quale si ibrida, e lo scazzone (Cottus gobio). In rinvenimen- to dell’anguilla (Anguilla anguilla) è da ritenersi occasionale; tale specie migratrice è infatti tipica di zone di pianura e di corsi d’acqua a scorrimento lento e temperature più calde, seb- bene possa talvolta spingersi fino alla zona dei Salmonidi.

Figura 19: composizione della comunità ittica del T. Arzino a Pert, anno 1996 (da Carta Ittica del Friuli Venezia Giulia - http://www.entetutelapesca.it/docu/area_download/cd_rom/cd_fiumi/doc/pm.htm)

Figura 20: abbondanza della trota marmorata nel T. Arzino in Comune di S. Vito d’Asio; da “Il recupero della trota marmorata nel Friuli Venezia Giulia (ETP, 2010)”

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Di seguito si riporta una descrizione sintetica delle caratteristiche ecologiche delle spe- cie ittiche presenti nel tratto di T. Arzino oggetto di studio.

Trota Marmorata (Salmo trutta marmoratus)

La trota marmorata è una semi-specie di Salmo trutta endemica degli affluenti di sini- stra del Fiume Po e dei corsi d’acqua che sfociano nell’Alto Adriatico. Il corpo è affusolato, coperto da scaglie minute, con bocca grande. Presente la pinna adiposa tipica dei Salmonidi. Caratteristica tipica di questa semispecie è la marmoreggiatura grigio scuro-verdastra (da cui trae appunto il nome) su sfondo grigio-giallo; gli avannotti presentano puntini rossi sfumati, che scompaiono però negli adulti. Gli individui ibridi tra marmorata e fario hanno livree carat- terizzate dalla contemporanea presenza sia della marmoreggiatura tipica della marmorata, sia dei puntini rossi e della macchia nera opercolare tipici della fario; la presenza di queste caratteristiche intermedie può essere simile oppure squilibrata, con individui quasi intera- mente riconducibili ad una delle due semispecie salvo per qualche carattere residuo dell’altra. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli, con lunghezze superiori al metro e un peso di ol- tre 20 kg. La maturità sessuale è raggiunta al terzo anno di età. La riproduzione avviene tra novembre e dicembre e si svolge con modalità analoghe a quelle della fario; le dimensioni corporee che caratterizzano la marmorata fanno sì che le tracce della frega lasciate dalle femmine durante lo scavo dei nidi possano riguardare aree di substrato ben più ampie della fario. Ogni femmina depone circa 2300 uova per kg di peso corporeo. La trota marmorata mostra una preferenza ancora più spiccata della fario per i rifugi e predilige le acque profon- de. I giovani si nutrono di invertebrati, mentre gli adulti si alimentano prevalentemente di pesci. L’accrescimento di questa specie è piuttosto rapido, anche grazie ad un precoce pas- saggio al regime alimentare ittiofago. L’habitat è rappresentato dai tratti pedemontani dei corsi d’acqua, caratterizzati da portate d’acqua elevate e con acque fresche e ossigenate. La sua diffusione ha subito una forte contrazione a causa del degrado ambientale (inquinamen- to, riduzione delle portate naturali, impedimento alla migrazione), ulteriormente aggravata dalle massicce immissioni di trota fario nel suo areale. L’eliminazione della naturale separa- zione spaziale delle due semispecie, in grado di ibridarsi tra loro, ha causato l’affermarsi di popolazioni ibride a scapito della marmorata anche negli ambienti fluviali caratteristici di quest’ultima. Si è peraltro osservato che, interrompendo i ripopolamenti di fario, con il ripri- stino della naturale evoluzione dei popolamenti ittici, si realizza un graduale riaffermarsi della trota marmorata.

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Trota fario (Salmo trutta trutta)

La trota fario appartiene alla famiglia dei Salmonidi; la trota fario è l’ecotipo di Salmo (trutta) trutta adattato alla vita nei torrenti (l’altro ecotipo è la trota lacustre, adattato a vive- re nei grandi laghi prealpini), che a sua volta è una semispecie di Salmo trutta; è ora distinta in due ceppi, uno “atlantico” ed uno “mediterraneo”, dei quali solo il secondo è autoctono per l’Italia. La trota fario è diffusa in tutta Europa, è stata immessa con successo anche in altre parti del mondo, come Nord America e persino in Nuova Zelanda. In Italia la varietà “mediterranea” è indigena della regione alpina e degli Appennini settentrionali; i ripopola- menti ne hanno espanso notevolmente l’areale originario, sovrapponendolo a quello della trota marmorata nel bacino padano e a quello della trota macrostigma più a Sud e nelle iso- le, a scapito di tali sottospecie con cui si ibrida facilmente. Il corpo affusolato è coperto da scaglie minute, bocca grande. E’ presente la pinna adi- posa tipica dei Salmonidi. Può raggiungere lunghezze di oltre 60 cm. La livrea è assai variabile, anche in relazione all’ambiente in cui vive. Nei corsi d’acqua la fario assume generalmente una colorazione verde scuro, che si sfuma dal dorso fino al ventre giallognolo, con la caratteristica punteggiatura rossa lungo i fianchi. La varietà autoc- tona “mediterranea” possiede anche da adulta le bande parr, cioè quella serie di fasce verti- cali più scure sui fianchi che sono evidenti in tutti i Salmonidi nel primo anno di vita, ha punti rossi più piccoli e fitti e una evidente macchia nera tondeggiante sull’opercolo. La varietà “at- lantica” proveniente dal Nord Europa e utilizzata da decenni per i ripopolamenti ha invece i punti rossi radi (a volte affiancati o sostituiti da una punteggiatura nera) e piuttosto grandi, spesso bordati di bianco, ed è priva di macchie parr e di macchia nera preopercolare. Dal momento che le trote fario delle due varietà si possono facilmente ibridare, esiste una vastis- sima gamma di trote aventi livrea con caratteristiche intermedie. Nei laghi la varietà “lacu- stre” può assumere invece il tipico aspetto di specie pelagica, con corpo argenteo, ventre bianco e fianchi punteggiati di macchioline nere a forma di “X”. La trota fario ha quale habitat originario le acque fredde, ben ossigenate e turbolente dei torrenti e dei tratti superiori dei fiumi pedemontani. Attualmente si è diffusa in tutte le acque correnti e lacustri adatte ad ospitare Salmonidi, per effetto delle massicce immissioni di cui è stata oggetto per incrementare la pesca sportiva. La trota fario presenta un comportamento schivo e territoriale che determina la neces- sità di disporre di abbondante presenza di tane e anfratti in cui potersi nascondere; gli adulti conducono vita solitaria, difendendo strenuamente il loro territorio dall’intrusione di altri indi- vidui. Si nutre di invertebrati e, al crescere delle dimensioni, anche di pesci. L’utilizzo di ripari è funzionale anche alle sue modalità di predazione; le trote infatti prediligono stare in zone a corrente veloce, dietro però ostacoli – p.e. massi – che le riparano dalla velocità dell’acqua

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per non spendere troppe energie nel nuoto, consentendo loro nel contempo però di benefi- ciare della corrente circostante che convoglia le prede nei loro pressi tanto più numerose quanto più è veloce. La maturità sessuale è raggiunta al 2° anno di età per i maschi ed al 3° per le femmi- ne. La deposizione delle uova generalmente avviene tra novembre e dicembre. La presenza in natura di individui selezionati artificialmente in allevamento per essere maturi in un arco temporale il più lungo possibile, rende sempre più frequente il ritrovamento di esemplari in fase riproduttiva anche al di fuori del periodo indicato. Al momento della riproduzione la femmina si porta in acque poco profonde, a corrente vivace e fondo ghiaioso, nel quale sca- va una fossetta con la coda e vi depone le uova; queste sono fecondate dal maschio e suc- cessivamente ricoperte di ghiaia dalla femmina. Ogni femmina depone 1600-2700 uova per kg di peso corporeo che impiegano circa 450 °C/giorno per la schiusa, che quindi può avve- nire tra gennaio e marzo in relazione alla temperatura dell’acqua e al periodo di deposizione. La trota fario è importante dal punto di vista fruizionale in quanto è l’oggetto principale della pesca sportiva nelle acque a Salmonidi, motivo per cui è oggetto di ripopolamenti an- nuali e il suo prelievo è normato dai regolamenti di pesca regionali e provinciali. Dal punto di vista faunistico è importante laddove è presente il ceppo autoctono mediterraneo o vi sono quanto meno popolazioni selvatiche capaci di riprodursi spontaneamente.

Scazzone (Cottus gobio)

Appartenente alla famiglia dei Cottidi, C. gobio è l’unica specie presente in Italia delle numerose che compongono il genere Cottus. Le dimensioni della specie sono piccole, rag- giungendo al massimo i 15 cm di lunghezza. Il capo è largo e appiattito mentre il resto del corpo è affusolato; la bocca è ampia e la pelle è priva di scaglie. Il dorso e i fianchi sono gri- giastri, verdastri, o brunastri (generalmente i fianchi sono più chiari) ornati da macchie o marmoreggiature scure; il ventre è chiaro. Lo scazzone è ampiamente diffuso in Europa, dai Pirenei agli Urali, dalla Scandinavia all’Italia centro-settentrionale; in Italia popola le acque torrentizie dell’arco alpino, le risorgive della Pianura Padana a Nord del Po e alcuni corsi d’acqua appenninici. La sua distribuzione è limitata dalle ristrette esigenze termiche, che gli impediscono di colonizzare i corsi d’acqua e i laghi delle regioni più meridionali dell’Europa. Si tratta infatti di una specie stenoterma fred- da, che vive in acque con temperature preferibilmente inferiori ai 14-16°C; lo scazzone pre- dilige acque correnti, limpide e ben ossigenate dei torrenti montani (fino ad oltre 2000 m d’altitudine, accanto alla trota), dei tratti pedemontani dei fiumi e degli ambienti di risorgiva, pur arrivando a vivere anche nei laghi alpini. La sua esistenza è strettamente bentonica e predilige le zone ciottolose ricche di interstizi e di vegetazione dove trova rifugio. Lo scazzo- ne, poco incline agli spostamenti, è attivo in prevalenza di notte ed è territoriale; si nutre di invertebrati bentonici, come larve di insetti, crostacei e anellidi, ma all’occasione può ingerire

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anche piccoli pesci ed è a sua volta una preda per la trota, con cui spesso si trova a coabita- re in torrente. La maturità sessuale è raggiunta tra il 2° e il 4° anno di vita, in relazione all’ambiente in cui vive. Il periodo riproduttivo è compreso tra fine febbraio e maggio. Il maschio prepara una sorta di nido in una cavità sotto massi o altri oggetti sommersi; la femmina, dopo essere stata corteggiata, entra nel nido e depone le uova a pancia in su, facendole aderire alla vol- ta. Più femmine possono deporre le proprie uova in un unico nido. Ogni femmina depone 200-585 uova, del diametro di 2.2-3 mm. Il maschio difende energicamente le uova fino alla schiusa, che ha luogo in 3-4 settimane. Per la sua forte selettività ambientale e la sua estrema sensibilità, lo scazzone è consi- derato un ottimo bioindicatore della qualità ambientale, mentre riveste scarsissima importan- za in campo alieutico. Proprio questa vulnerabilità della specie fa sì che essa sia tutelato dalla Direttiva 92/43/CEE, tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conserva- zione richiede la designazione di zone speciali di conservazione” (allegato II). È infine classi- ficata come specie “Vulnerabile” nel “Libro rosso degli animali d’Italia – Vertebrati”.

L’erpetofauna acquatica

Non sono state reperite informazioni sitospecifiche sull’erpetofauna presente nel tratto di valle del T. Arzino oggetto di studio; in relazione alle caratteristiche ambientali del sito e rispetto alle specie presenti nella Regione Friuli Venezia Giulia, si può ipotizzare la presenza delle specie di seguito descritte.

La Biscia d’acqua dal collare (Natrix natrix) Questo Colubride, del tutto innocuo, deve il nome alle due caratteristiche macchie chia- re quasi sempre presenti dietro il capo, doppiate da due chiazze semilunari scure. Il colore di fondo è oliva, grigio con diverse sfumature, bruno o nerastro, con macchiettatura assai va- riabile. Le parti ventrali sono generalmente bianche, cosparse più o meno fittamente di mac- chie nere quadrangolari. Possono esistere esemplari completamente neri. I maschi sono lunghi fino a 110cm, le femmine fino a 200 cm. Presente nell’areale euro-centrasiatico-maghrebino, è il serpente italiano più diffuso, essendo presente in tutte le regioni e arriva normalmente fino a 1800 m di quota ( 2300 è la quota massima segnalata in Italia). Comune anche in ambiente montano, in cui rappresenta uno dei pochi predatori nei torrenti d’alta quota, è la specie del genere Natrix meno stretta- mente legata agli ambienti acquatici. Frequenta laghi, pozze, torbiere, corsi d’acqua e talvol- ta anche zone relativamente aride, in cui si spingono soprattutto le grosse femmine a caccia di rospi, la loro preda prediletta. Non molto agile sulla terra, è invece un ottimo nuotatore: attivo prevalentemente di giorno, può muoversi anche di notte. Il suo spettro alimentare comprende soprattutto gli an- fibi e le loro larve e i pesci di piccola taglia, talvolta anche i micromammiferi; gli invertebrati possono rientrare nella dieta degli esemplari giovanili. Se molestata si finge morta ed espelle dalla cloaca una secrezione biancastra dall'odore sgradevole. L’attività stagionale inizia a metà marzo e gli accoppiamenti si svolgono tra aprile e maggio, talvolta preceduti da combattimenti rituali tra i maschi. All’inizio dell’estate sono de- poste, in relazione alle dimensioni della femmina, da 4 a 105 uova; esso in genere sono col- locate nella terra mossa ricoperta da foglie, letame o materiale legnoso marcescente il cui calore sviluppato favorisce l’incubazione. Più femmine possono deporre nei medesimi siti. Le uova sono di dimensione 13-20 x 23-40 mm e sono agglutinate insieme. La schiusa avviene in un periodo compreso tra 30 e 75 giorni ed i piccoli sono lunghi alla nascita da 120 a 220 mm, per un peso di circa 3 grammi. A un anno possono superare i 30 cm e a 3 i 50 cm. La GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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maturità sessuale viene raggiunta il terzo anno di vita dai maschi e tra il quarto e il quinto dalle femmine. Questa specie è protetta in Italia dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Con- venzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81.

Natrice tassellata (Natrix tessellata) Ha una testa stretta, appuntita e piuttosto piccola, pupilla rotonda e squame dorsali fortemente carenate. La colorazione è variabile, di solito grigiastra o brunastra, spesso con un disegno caratteristico di punteggiature regolari distribuite uniformemente sul corpo. Il ventre è biancastro, giallastro o rosso, a scacchiera o quasi nero. Molto simile alla Natrice vi- perina, da cui si distingue per il numero di squame sopra la bocca (8 e non 7) ed alla Biscia dal collare, da cui si distingue per la posizione delle narici (rivolte verso l’alto e non lateral- mente), per il numero di squame preoculari (2 e non 1) e sempre dal numero di squame so- pra la bocca (8 e non 7), nonché dalla forma piramidale (e non rettangolare) delle internasa- li. E’ un serpente di medie dimensioni, i maschi arrivano a 80 cm e le femmine a 100 cm. La natrice tassellata è diffusa in gran parte dell'Europa centromeridionale: è presente in quasi tutta Italia, fatta eccezione per le Isole e per la Calabria, nei Balcani, in Svizzera me- ridionale, orientale, Cecoslovacchia; è stata rinvenuta la presenza di colonie isolate in Austria occidentale, svizzera settentrionale e Germania. E’ la specie più acquatica del genere Natrix. Predilige i laghi, ma è frequente anche lungo torrenti, stagni e paludi. La stagione riproduttiva ha luogo in aprile - maggio, dopo il periodo di latenza inverna- le. L’accoppiamento è preceduto da un corteggiamento in cui possono essere coinvolti più maschi (fino a 5) per una sola femmina. Questa depone 5-40 uova, a partire dalla fine di giugno sino ai primi di agosto, in buche nel terreno, presso le rive dei corsi d’acqua o degli stagni, sotto cumuli vegetali, tronchi o massi. Le uova schiudono dopo 8 o 10 settimane. I neonati pesano circa 5 g e sono lunghi poco 15-24 cm. Talvolta avvengono accoppiamenti autunnali con deposizione nella primavera successiva. Nelle zone più fredde la riproduzione può avvenire con frequenza biennale. La maturità sessuale è raggiunta dai maschi al terzo anno di vita, a 40 cm di lunghezza. Svolge attività esclusivamente diurna. Si ciba prevalentemente di pesci, ma frequente- mente anche di anfibi, sia di adulti che di larve, e, talvolta, anche di piccoli mammiferi o ni- diacei di uccelli acquatici. Tra i suoi predatori vi sono uccelli rapaci e alcuni mammiferi (so- prattutto Mustelidi). Se molestata sibila violentemente e si spinge in avanti con il capo (senza però mordere) ed espelle dalla cloaca una secrezione biancastra dall'odore sgradevole. E’ in declino in buona parte del suo areale europeo e minacciata dal degrado degli am- bienti acquatici. La natrice tassellata è protetta in Italia dall’Allegato II “Specie di Fauna Rigo- rosamente Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'Italia dall'1 /6/1982; è inoltre inserita nell’allegato IV “Specie Ani- mali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa” della Diretti- va 43/92/CEE (aggiornato con la Direttiva 97/62/CE del Consiglio del 27 ottobre 1997).

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La rana rossa di montagna (Rana temporaria)

Tra le rane rosse, le rane temporarie sono quelle che presentano dimensioni maggiori (fino a 10 cm). La colorazione è variabile con parti superiori dal grigio rosa al verde oliva con macchie scure e parti inferiori dal bianco, giallo all’arancione con punteggiature più scure. La rana temporaria si ritrova in tutto l’arco alpino, prevalentemente in collina ed in montagna. E’ specie ad ampia diffusione nell’Europa centro settentrionale e in centro Asia. In Europa è distribuita dalla Spagna settentrionale sino agli Urali, mentre è assente nelle isole mediterranee e nei Balcani meridionali. In Italia è comune sull’intero arco alpino e prealpino da 600 m a oltre 2600 m (anche se può essere rinvenuta tra 0 e 3000 m), mentre diviene più rara sugli Appennini, dove, si mantiene in genere al di sopra dei 700 m. La popolazione italiana più meridionale si rinviene in un’area montana nella provincia di Rieti (Lazio). Gli adulti conducono una vita pressoché terrestre e si recano all’acqua solo durante il periodo riproduttivo, che cambia in funzione dell’ambiente e può oscillare tra dicembre e lu- glio. L’inverno viene superato sia in acqua che sottoterra. Essendo adattata alle basse tem- perature, la specie è attiva già all’inizio della primavera con temperature dell’aria intorno a 0° C. Prevalentemente diurna in montagna, diviene notturna alle quote più basse. La riproduzione di regola avviene in pozze, stagni, laghetti e corsi d’acqua a debole corrente; possono essere usate anche modestissime raccolte d’acqua temporanee, e questo in genere consente alla specie di sopravvivere anche nelle zone in cui i bacini principali sono oggetto di immissioni di pesci. I maschi si radunano nei siti riproduttivi in numerosissimi esemplari, cercando attivamente le femmine e lottando tra loro. L’accoppiamento è ascellare e dura da poche ore a qualche giorno. Le femmine depongono diverse centinaia di uova (900-4000) che, dopo 2-3 settimane, si schiudono dando origine a girini di colore scuro che compiono la metamorfosi dopo circa 2-3 mesi. In ambienti particolarmente ostili dal punto di vista climatico (p.e. in montagna) la metamorfosi è effettuata molto più tardi. Le giovani ra- ne sono piuttosto piccole (11-15 mm) e possono essere confuse con adulti di Rana agile, da cui si differenziano, tuttavia, per gli arti posteriori proporzionalmente più corti e per la pre- senza, nei maschi, di sacchi vocali interni. Raggiungono la maturità al terzo anno di età.

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Questa specie ha una notevole abilità sia nel nuoto e che nel movimento sul terreno. Gli adulti si nutrono di invertebrati, i girini sono onnivori. L’adulto è predato da uccelli e mammiferi, mentre le larve sono insidiate da numerosi invertebrati e vertebrati acquatici. In Italia la specie è minacciata dalla distruzione dei siti riproduttivi, dovuta in parte all’abbandono delle pratiche pastorizie di realizzazione di stagni per abbeverare il bestiame e dall’inquinamento atmosferico, che può causare un aumento della mortalità degli embrioni e delle larve. La rana temporaria è protetta in Italia dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'I- talia dall'1 /6/1982; è inoltre inserita nell’allegato V “Specie Animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione” della Direttiva 43/92/CEE (aggiornato con la Direttiva 97/62/CE del Con- siglio del 27 ottobre 1997).

La salamandra pezzata (Salamandra salamandra)

La salamandra pezzata ha una caratteristica livrea nero lucido cosparsa di macchie gial- le, la cui funzione è di farsi riconoscere dai predatori come specie velenosa; essa infatti è ab- bondantemente cosparsa di ghiandole velenifere sulla pelle. In media è lunga meno di 20 cm, compresa la coda; la corporatura è relativamente tozza. Le larve acquatiche, lunghe 2-3 cm alla deposizione, posseggono branchie esterne e una cresta dorsale della coda che si estende più o meno in avanti sul tronco, che si riducono progressivamente fino a scomparire la metamorfosi, alla quale raggiungono circa 7.5 cm di lunghezza. La livrea delle larve è ini- zialmente bruno-grigia o bruno-giallastra con variegatura nerastra e punteggiatura metallica sul dorso, ventralmente biancastra o grigiastra; successivamente compaiono le macchie gial- le. Questo Urodelo è presente in tutta Europa e nel Nord Africa, lungo l'Anatolia fino all'I- ran; è piuttosto comune nei boschi di latifogli e collinari e montani di tutta la nostra Penisola. Si rinviene principalmente tra 600 e 1300 m di quota; sulle Alpi al di sopra dei 1000 m si fa sempre meno frequente e manca completamente al di sopra dei 2000 m. La salamandra manifesta un comportamento sedentario e schivo, restando nella lettie- ra o in anfratti di giorno e uscendo solo al crepuscolo o in giornate piovose o nebbiose. E’ le- gata all’acqua solo per la riproduzione e per la prima fase del suo sviluppo. L’accoppiamento

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avviene a terra, sia in autunno che in primavera; le femmine (ovovivipare) raccolgono una spermatofora deposta dai maschi e trattengono le uova all’interno del proprio corpo, fecon- dandole anche dopo un anno. Sono partorite alcune decine (tipicamente 20 – 40) di larve già formate nella tarda primavera (in estate a quote elevate) in ruscelli a corrente modesta, o più raramente, in raccolte di acqua stagnante, purché pulita e ben ossigenata. Le larve, che si nutrono di invertebrati bentonici, pervengono allo stadio adulto nell’arco di alcuni mesi, svernando sul fondo dei riali; si può verificare cannibalismo larvale già all’interno del corpo della madre (adelfofagia). Gli adulti si cibano di invertebrati, manife- stando un elevato opportunismo alimentare. Le larve sono predate da pesci, insetti acquatici, uccelli e bisce d’acqua; gli adulti, gra- zie alle secrezioni tossiche, hanno scarsi nemici, soprattutto bisce del genere Natrix, e sono piuttosto longevi. La salamandra pezzata è protetta in Italia dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'I- talia dall'1 /6/1982.

Il rospo comune (Bufo bufo)

Il rospo comune è l'Anuro europeo di maggiori dimensioni: il maschio arriva a 12 cm , mentre la femmina raggiunge i 18-20 cm. E’ caratterizzato da un corpo molto tozzo e robu- sto, verrucoso ed è privo di sacco vocale. Presenta una colorazione molto variabile, che può variare dal bruno scuro al rosso cupo, al grigio-giallognolo. L’iride è di colore ramato o rossa. Il ventre è biancastro, grigio o brunastro. Il maschio ha arti anteriori più robusti, pelle meno verrucosa, palmatura dei piedi più estesa. E’ l’Anuro più diffuso in Europa: il suo areale di distribuzione, infatti, comprende l'intero continente, fatta eccezione per l'Irlanda e per la maggior parte delle isole. Si riscontra la sua presenza anche nell'Asia subsiberiana, sino all'Arcipelago Nipponico. In Italia è comunissimo dappertutto, tranne in Sardegna, ed in altre isole minori. Il rospo popola un ampio spettro di habitat, dal livello del mare fino a 2200 m di quota, frequentando anche ambienti relativamente aridi e persino le città. Conduce una vita pretta- mente terricola, salvo nel periodo riproduttivo quando si porta presso le sponde di laghi, sta- gni, ai margini dei torrenti e persino in acque salmastre per deporre le uova. Discreto nuota-

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tore, si sposta generalmente deambulando e di norma è attivo di notte e al crepuscolo. In inverno e nei periodi estivi più caldi e secchi il rospo si rifugia in anfratti del tipo più svariato, da tane scavate da lui stesso nel terreno a cantine umide e tronchi marcescenti. La riproduzione ha luogo tra febbraio e giugno, in relazione alla latitudine e all’altitudine in cui si trova la popolazione. Vi è una migrazione verso le zone di deposizione, cui i rospi sono piuttosto fedeli, con spostamenti che possono essere anche di alcuni chilo- metri e che sono compiuti durante notti umide da numerosissimi gruppi di individui. L’accoppiamento, ascellare, può avere inizio già a terra e dura da una a due settimane; i ma- schi sono molto più numerosi delle femmine e talvolta più di uno si attacca ad una stessa femmina, o addirittura a pesci o oggetti. L’ovodeposione dura diverse ore e possono essere emesse da 1000 a 10000 uova, in genere da 4000 a 6000. Il maschio, con le zampe poste- riori, aiuta la fuoriuscita del cordone di uova. La schiusa può avvenire già a partire da due settimane e l’embrione è inizialmente incapace di muoversi. I girini sono lunghi 7 mm. La metamorfosi si completa in 2-3 mesi e i piccoli rospi sono lunghi 8-12 mm. La maturità ses- suale viene raggiunta nel maschio a 2-3 anni e nella femmina a 3-4. La dieta del rospo comprende numerosi invertebrati, benché gli esemplari più grandi possano cacciare anche micromammiferi; l’alimentazione cessa durante l’inverno e nel perio- do degli accoppiamenti. Il principale predatore del rospo è la biscia d’acqua (Natrix), benché possa essere pre- dato anche da mammiferi e uccelli. Si difendono gonfiandosi per apparire più grossi e se ul- teriormente disturbati emettono un getto di urina dalla cloaca e una secrezione lattescente velenosa molto irritante per le mucose, prodotta soprattutto dalle parotidi. Anche le larve so- no tossiche, motivo per cui sono meno suscettibili degli anfibi alla presenza dei pesci. E' se- riamente minacciato dal traffico stradale. Il rospo comune è protetto in Italia dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81.

L’ulolone dal ventre giallo (Bombina variegata) L'Ululone dal ventre giallo arriva al massimo a 5 cm di lunghezza, ha un corpo ovale e una pelle fortemente verrucosa. Il dorso è bruno, mimetico, mentre assai vivace e tipica del- la specie è invece la sua colorazione ventrale: gialla, con maculatura nerastra diversa da in- dividuo ad individuo. Il dimorfismo sessuale è presente solo nel periodo riproduttivo, quando i maschi mostrano i caratteristici cuscinetti nuziali sulle dita e sull'avambraccio. I girini sono grigio-bruni, di forma ovale e con la coda arcuata che si innesta a metà della schiena; nelle prime fasi l’epidermide si mostra piuttosto trasparente. Questa specie è abbastanza ben distribuita nell’Europa centro-meridionale: dai Pirenei, attraverso la Germania centrale e l'Italia, fino alla Grecia e al Mar Nero. Al genere vengono ascritte cinque specie asiatiche e tre europee. L'habitat dell’ululone è rappresentato dal fondo di vallette solcate da piccoli corsi d’acqua, prati e boschi umidi, zone alluvionali. Si può ritrovare anche in aree antropizzate in presenza di modeste raccolte d’acqua. La distribuzione altitudinale va da circa 200 m ad oltre 1600 m nei casi più estremi, più frequentemente non supera i 900 m. Per riprodursi esso predilige piccole pozze stagnanti, poco profonde e con substrato fangoso. I girini possono sopportare un elevato carico organico dell'acqua, temperature fino a 36 °C e persino brevi periodi siccità. Ciò permette loro di riprodursi in corpi idrici transitori dove non è possibile la sopravvivenza di alcuni predatori, p.e. dei pesci. Tra gli ambienti uti- lizzati per deporre le uova ci sono pozzanghere, pozze d’alpeggio, buche marginali sulle rive dei torrenti e persino i solchi delle strade sterrate meno battute; per contro, i girini sono vul- nerabili al prosciugamento per evaporazione di questi siti. GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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Gli adulti, nella fase terrestre ricercano ambienti umidi e ricchi di rifugi, come terreni boschivi adeguatamente soffici, cataste di legname ecc..

In natura l'ululone dal ventre giallo può arrivare ad oltre 15 anni di età; una popolazio- ne è pertanto in grado di sopravvivere anche se per più anni la riproduzione non va a buon fine. La maturità sessuale è raggiunta di norma dopo il secondo inverno. Il periodo degli ac- coppiamenti va dalla fine di aprile all'inizio di agosto, raggiungendo la massima intensità in maggio e giugno. I maschi stazionano a lungo nei siti di deposizione, mentre le femmine ar- rivano successivamente a piogge. Una femmina può deporre un massimo di 200 uova, più frequentemente poco meno di 50, in diversi momenti. Le uova sono deposte singolarmente o in gruppetti, adese a supporti vegetali o direttamente sul fondale. Lo sviluppo dei girini du- ra da uno a due mesi. Al termine della riproduzione gli adulti tornano sulla terraferma. Gli ululoni sono piuttosto attivi e capaci migrazioni importanti, in grado di muoversi per chilometri alla ricerca di nuovi ambienti da colonizzare. Questa attitudine è particolarmente sviluppata nei giovani, mentre gli adulti più anziani sono più stanziali. La loro attività è preva- lentemente notturna e la loro dieta è a base di invertebrati. Gli adulti sono predati da alcuni uccelli e dai grandi carabidi; quando sono minacciati espongono la vistosa colorazione ventrale come avvertimento della loro velenosità, in quanto la loro pelle secerne un liquido tossico. I girini sono preda di pesci, tritoni, insetti e uccelli acquatici. La specie è inserita nell’allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE

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L’avifauna acquatica

Nel tratto fluviale oggetto di indagine, l’unica specie di uccello strettamente legata all’ambiente acquatico presente è il merlo acquaiolo. E’ possibile una frequentazione sporadi- ca da parte dell’airone cenerino (Ardea cinerea).

Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus)

Il merlo acquaiolo è un Passeriforme lungo circa 17 cm, con un’apertura alare di 30 cm e un peso di 50-60 g. Il piumaggio è bruno e grigio scuro nelle parti superiori e sul ventre, bianco sul petto. Nel volo batte rapidamente le ali e si tiene basso sul livello dell'acqua. Il merlo acquaiolo è diffuso in tutta l'Europa e l'Asia. In Italia è sia di passo che stazionario. Vi- ve lungo i torrenti montani, nidificando tra 500 e 1700 m s.l.m., a volte spingendosi fino a 2200 m di quota sulle Alpi, raramente nidifica in pianura; è molto legato alle zone di nidifica- zione e gli spostamenti generalmente consistono in abbassamenti di quota nel periodo inver- nale. E’ dotato di interessanti adattamenti alla vita acquatica, come la palpebra nittitante (una sorta di occhiale per vedere sott’acqua), il lembo sottile di pelle sotto la narice (per im- pedire all’acqua di entrare nei polmoni) e il piumaggio impermeabile all’acqua. Cattura le sue prede (insetti acquatici e loro larve, molluschi e vermi, talvolta persino avannotti) tuffandosi e camminando sul fondo dei torrenti. Poiché conduce una vita isolata, le coppie si formano solo nel periodo della riproduzione, e si sciolgono appena i figli non necessitano più del loro aiuto. I genitori difendono con accanimento i loro territori di residenza dalle invasioni dei vi- cini. Nidifica vicino ai corsi d'acqua, nelle rocce, sotto ponti e cascate; la femmina costruisce un nido di forma sferica con muschio e materiale vegetale. La cova ha luogo tra marzo e aprile e sono deposte da 4 a 6 uova, che schiudono in 15 – 18 giorni; i piccoli, allevati da entrambi i genitori, abbandonano il nido dopo circa 20 giorni e diventano indipendenti dopo circa 4- 5 settimane. Il merlo acquaiolo è una specie tutelata ai sensi della L. 11/02/1992, n. 157 e dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'Italia dall'1 /6/1982; ne è inoltre vietata la detenzione e la vendita dei soggetti non anellati e sprovvisti di certificato di nascita in cattività.

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I mammiferi acquatici

Gli unici mammiferi strettamente legati all’ambiente acquatico potenzialmente presenti nel tratto di studio, sono le due specie di toporagni acquatici comuni in Italia, di seguito de- scritte.

Toporagno d’Acqua (Neomys Fodiens Pennant, 1771)

E’ un tipico insettivoro della Famiglia dei Soricidae, dal muso allungato e dalle piccole orecchie, bruno-nero nelle parti superiori, bianco sull’addome, nero sul dorso e sui fianchi. Ha una lunghezza testa-corpo di 72-96 mm, una coda lunga 47-77 mm e un peso di 10-20 g. Presenta una frangia di peli rigidi in tutta la parte posteriore della coda e sui piedi posteriori. Il suo areale di distribuzione comprende l’Europa dalla Scandinavia alle zone montuose della Regione Mediterranea (compresa la Penisola Italiana, ma esclusi altri paesi mediterranei), la Siberia e, a sud, l’Asia Minore settentrionale, il Caucaso e lo Tien Shan. In Italia è segnalato con sicurezza nelle regioni centro-settentrionali, ma è ancora poco conosciuta la sua effettiva distribuzione. Il suo habitat è rappresentato da rive di laghi, torrenti e anche piccoli ruscelli, purché circondati da un’abbondante vegetazione riparia e da tronchi d’albero. E’ un abile nuotatore, grazie anche alle setole della coda e dei piedi posteriori che fungono da pinne. La sua pelliccia folta e corta intrappola bollicine d’aria che fungono da isolante durante l’immersione e gli conferiscono sott’acqua una colorazione argentea. Ha abitudini crepuscola- ri e preda soprattutto piccoli invertebrati acquatici; grazie alla saliva velenosa può uccidere anche prede relativamente grandi quali pesci e anfibi. Le minute dimensioni ne comportano un elevato metabolismo e una attività frenetica di ricerca del cibo. Costruisce una tana sot- terranea, costituita da una cavità collegata all’esterno da cunicoli, almeno uno dei quali sboc- ca in genere sotto il pelo dell’acqua; parte di essa viene tappezzata da erbe, muschi e altri residui vegetali a costituire il nido del parto. Il periodo riproduttivo va da aprile a settembre, con 2-3 nidiate; dopo 20-24 giorni di gestazione nascono 3-8 piccoli, che aprono gli occhi a GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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22 giorni e vengono svezzati ad un mese. Vive in natura fino a 19 mesi. I toporagni sono for- temente territoriali e difendono attivamente non solo le immediate vicinanze della tana, ma anche il territorio di caccia. A dispetto dell’aggressività combattimenti sono molto ritualizzati e pertanto in genere senza conseguenze gravi. I nemici naturali del toporagno sono aironi, trote di grossa taglia ed altri predatori legati agli ambienti acquatici. Non esistono dati ogget- tivi sullo status di questa specie. Le popolazioni del Toporagno d’acqua, al pari di quelle del congenere Toporagno acquatico di Miller (Neomys anomalus), risentono delle modifiche am- bientali, quali il drenaggio e l’imbrigliamento dei corsi d’acqua, e della scarsità di cibo dovuta all’acidificazione delle acque e all’inquinamento delle stesse con pesticidi e fertilizzanti. Non esistono comunque dati quantitativi che permettano di asserire una diminuzione recente del- le popolazioni di questa specie. E’ una specie tutelata ai sensi della L. 11/02/1992, n. 157 e dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'Italia dall'1 /6/1982.

Toporagno Acquatico di Miller (Neomys anomalus) E’ un insettivoro della Famiglia dei Soricidae, congenere di minor taglia del Toporagno d’acqua (Neomys Fodiens), presente in quasi tutti i paesi europei sino, ad oriente, al fiume Don. Esistono segnalazioni dubbie per l’Asia Minore e l’Iran. La distribuzione in Italia sembra continua in tutta la penisola. Il Toporagno acquatico di Miller si rinviene in ambienti di prate- rie umide e sponde di corsi d’acqua ricche di vegetazione riparia, dalla pianura sino in mon- tagna ad oltre i 2000 m s.l.m. Le sue abitudini ecologiche sembrano essere condizionate dal- la competizione con il più grande Toporagno d’acqua, rispetto al quale presenta minori adat- tamenti all’ambiente acquatico. In N. anomalus infatti le setole sulle zampe posteriori sono presenti in misura ridotta e, per quanto riguarda la coda, sono del tutto assenti o limitate alla porzione terminale. Anch’esso invece è in grado di chiudere le aperture auricolari durante l’immersione. Lo spettro alimentare è simile e comprende invertebrati terrestri ed acquatici, ma anche anfibi e pesci di piccola taglia e le loro larve, la cui predazione è facilitata dal mor- so velenoso. Recenti ricerche indicano che mentre N. fodiens è in grado di cacciare le proprie prede anche in profondità, N. anomalus limita la sua attività di predazione alla superficie del- le torbiere ed ai prati umidi. Anch’esso, come il Toporagno d’acqua, costruisce cunicoli sot- terranei; la sua territorialità è però meno spiccata e mostra un comportamento più gregario di N. fodiens. In assenza di quest’ultimo, N. anomalus adotta abitudini più strettamente ac- quatiche e aumenta le proprie dimensioni corporee. La mancanza di dati sull’entità numerica delle popolazioni di questa specie non consente nessuna affermazione su una loro drastica riduzione. La continua perdita di ambienti idonei, quali il prosciugamento di corsi di fiumi e ruscelli, nonché la continua distruzione della vegetazione ripariale, rappresentano comunque fattori limitanti per la sopravvivenza delle popolazioni di Toporagno acquatico di Miller. E’ una specie tutelata ai sensi della L. 11/02/1992, n. 157 e dall’Allegato III “Specie di Fauna Protette” della Convenzione di Berna (Convenzione Relativa alla Conservazione della Vita Selvatica e dell’ambiente Naturale in Europa del 1979), recepita con la legge 503/81 ed in vigore per l'Italia dall'1 /6/1982.

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5. ANALISI DEGLI IMPATTI SPECIFICI PREVISTI IN FASE DI CANTIERE, RELATIVE MISURE DI MITIGAZIONE E COMPENSAZIONE PREVISTE

In questo capitolo sono esaminati nel dettaglio gli impatti che, tra quelli generici de- scritti nel capitolo 2, possono avere degli effetti nel caso specifico del progetto in esame; ol- tre ad essere definite entità, estensione spaziale e durata delle interferenze, verranno propo- ste eventuali misure di mitigazione e compensazione laddove possibili e/o previste.

5.1. Impatti specifici sull’ecosistema terrestre in fase di cantiere e relative misure di mitigazione

In questo paragrafo sono analizzati gli impatti specifici attesi in fase di cantiere per le due componenti dell’ecosistema terrestre in esame, cioè vegetazione e fauna.

Impatti attesi sul comparto vegetazione terrestre

Nei paragrafi che seguono verrà stimata l’entità e la significatività delle interferenze ef- fettive sulla vegetazione, durante l’attività di cantiere e durante la fase di esercizio della cen- trale idroelettrica. Tale valutazione terrà conto delle tipologie forestali individuate durante l’attività di sopralluogo e del corrispondente valore ecologico calcolato per ciascuna di esse, da cui dipende l’entità e il tipo di mitigazione ambientale previsti, in linea con le disposizioni della normativa nazionale in materia.

L’analisi degli impatti effettivi in fase di cantiere sulle formazioni forestali presenti che si verificano in seguito alla realizzazione delle opere di progetto vengono illustrati dalla matri- ce esposta in Tabella 25. Come da essa si evince, le interferenze relative alla realizzazione delle opere previste possono comportare effetti significativi o non significativi nei riguardi delle formazioni fore- stali presenti. Inoltre, per ogni impatto, viene distinto il tipo di effetto (diretto / indiretto) e l’entità dello stesso (temporaneo / permanente). La vegetazione coinvolta riguarda le tipologie forestali precedentemente individuate: la Faggeta sub-montana dei suoli mesici carbonatici, i Saliceti arbustivi di greto, il Castagneto dei suoli mesici e il Robinieto puro.

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Realizzazione di baracche Passaggio e attività dei mezzi di Realizzazione delle strutture

per il cantiere lavoro di progetto

Attività

FASE DI CANTIERE e/o i gassosi

Fattoreperturbativo Perditasoprassuolo di Propagazionedi polvere Produzionedi rifiuti Propagazionedi polvere Perditasoprassuolo di Costipamento delterreno di Emissione inquinantiliquid Perditasoprassuolo di Propagazionedi polvere Produzionedi rifiuti

Formazioni arboree e arbu- D – P I – T I – T I – T D – P I – T I – T D – P I – T I - T stive

Tabella 25: matrice degli impatti effettivi in fase di cantiere

Effetto Diretto D Legenda Effetto Indiretto I Interferenza significativa Effetto Temporaneo T Interferenza non significativa Effetto Permanente P

Tabella 26: legenda della matrice degli impatti effettivi in fase di cantiere

Impatti permanenti Gli impatti permanenti riguardano la perdita di soprassuolo, un impatto significativo e diretto dovuto alle aree e alle fasi di cantiere previste: area di cantiere logistico (1), acces- so all'opera di presa (2), area cantiere opera di presa (3), accesso e area cantiere sbocco galleria (4) e area cantiere centrale idroelettrica (5). Con riferimento alla planimetria di progetto relativa alla cantierizzazione (cfr. TAV. PG.13), le perdite complessive di superfici boscate sono quantificabili nel modo seguente: 1. Area di cantiere logistico: ha inizio mediante accesso dalla strada esistente, coinvol- gendo un'area di circa 2.000 m2, costituita in gran parte da prato e coinvolgendo esi- gue superfici boscate localizzate ai margini, stimate in circa 500 m2 che comporte- ranno una trasformazione temporanea del bosco, dato che l'area di cantiere po- trà essere, una volta conclusi i lavori, ripristinata con opportuna copertura vegetazio- nale, sia boscata che erbacea. 2. Accesso all’opera di presa: dall'area del cantiere logistico, per un tratto di circa 300 m di larghezza media di 6 m, si prevedono 1.800 m2 di trasformazione permanen- te di soprassuolo boscato per la realizzazione della pista di accesso all'opera di presa. Le formazioni boscate presenti e che verranno coinvolte per la sua realizzazio- ne sono riconducibili alla Faggeta sub-montana e in parte di saliceto arbustivo di gre- to; in fase di esercizio verrà mantenuta una strada di accesso all’opera di presa. Per tale motivo il tipo di trasformazione del bosco è permamente.

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3. Area cantiere opera di presa: sono intese le superfici spondali boscate coinvolte dal cantiere per lo stoccaggio del materiale (sponda destra) e per la realizzazione delle opere di derivazione temporanea delle acque (sponda sinistra); le prime riguardano un’occupazione temporanea di soprassuoli boscati (saliceti arbustivi) per circa 1.000 m2, mentre in sponda sinistra si prevede un’occupazione tempora- nea del bosco (Orno-ostrieto) di circa 500 m2; in corrispondenza dell’ingresso del- la galleria, data la presenza di un versante roccioso, non si prevede occupazione di soprassuolo vegetato di rilievo. 4. Accesso e area dello sbocco galleria: dall'abitato di Nandrus si sviluppa la strada di accesso all'area di sbocco della galleria che avrà una lunghezza di circa 450 m; tale accesso verrà creato ex-novo interessando un versante interamente boscato, afferibi- le alla tipologia forestale dei Castagneti dei suoli mesici; considerando una larghezza media della strada di 4 m, l'intervento comporta una trasformazione permanente di bosco di circa 1.800 m2. Riguardo l'accesso alla galleria si stima la trasforma- zione permanente di una superficie di castagneto di 2.300 m2. 5. Centrale di produzione e canale di restituzione: dato che la centrale e il relativo can- tiere logistico direzionale sono in parte in area boscata e in parte su superfici prative, l’occupazione di soprassuolo è distinta in: a. circa 400 m2 di trasformazione del bosco permanente per la realizzazio- ne della centrale e del canale di restituzione (zona con Robinieto puro). b. circa 200 m2 di occupazione permanente in zona prativa necessaria per la realizzazione della centrale; c. circa 1.000 m2 di trasformazione temporanea del bosco nell’area inte- ressata dal cantiere logistico direzionale (Robinieto puro); d. circa 5.400 m2 di occupazione temporanea di superfici prative interes- sate dal cantiere logistico direzionale. Riassumendo le perdite permanenti e temporanee di soprassuolo boscato e vegetato sono le seguenti:  6.300 m2 di trasformazione permanente di soprassuolo boscato;  3.000 m2 di trasformazione temporanea di soprassuolo (oltre a tale quantificazione certa sulla base della tavola di cantierabilità (cfr. TAV. PG.13) è ipotizzabile che durante il cantiere di verifichino ulteriori perdite di vegetazione in prossimità della aree di stretta pertinenza delle aree di cantiere, che in tal fa- se non è possibile stimare);  200 m2 di occupazione permanente in zona prativa;  5.400 m2 di occupazione temporanea di superfici prative. Sia le trasformazioni permanenti che quelle temporanee saranno oggetto di specifici in- terventi di mitigazione e/o compensazione ambientale, descritti nei seguenti paragrafi.

1.1.1.1. Impatti temporanei Gli impatti temporanei riguardano i fattori perturbativi di seguito descritti.  Propagazione di polvere; la produzione di polvere riguarda tutte e tre le ca- tegorie di attività della fase di cantiere (vedi Tabella 26). La valutazione di que- sto impatto risulta di difficile quantificazione, data l’impossibilità di poter preve- dere come i fattori ambientali coinvolti agiscano al momento delle operazioni di cantiere, ma considerata la prossimità al corso d’acqua l’impatto produrrà degli effetti di modesta entità.  Produzione di rifiuti; l’accumulo di materiali di scavo, sfridi ed altri materiali di scarto di lavorazione, interessa tutte le fasi di realizzazione dei manufatti di

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progetto. Essi possono ricoprire parte degli apparati vegetali delle formazioni arbustive e la rinnovazione delle formazioni arboree in prossimità delle strutture in progetto. L’effetto di tale fattore perturbativo è di breve durata, dato che il materiale verrà trasportato in appositi siti e non dovrebbe arrecare danni per- manenti alla vegetazione.  Costipamento del terreno; tale impatto riguarda tutte le aree di cantiere e risulta dovuto dal passaggio dei mezzi, dall’alloggiamento delle baracche e delle attrezzature meccaniche, e dal deposito dei materiali. A riguardo verranno pre- visti alcuni interventi di sistemazione ambientale finalizzate al ripristino dello stato ante-operam delle aree coinvolte.  Emissioni di inquinanti liquidi e/o gassosi; le emissioni di gas inquinanti sono riconducibili all’attività e al passaggio dei mezzi di cantiere. Si tratta di gas che vengono subito assimilati a livello fogliare ma senza risultare gravemente fi-

totossici (NOx, CO e PM10); la limitata durata alla fase di cantiere non comporta effetti fisiologici importanti. Per quanto riguarda le emissioni di liquidi, dovranno essere adottati alcuni accorgimenti, descritti nell’ambito delle misure di mitigazione e compensazione ambientale.

Misure di mitigazione e di compensazione ambientale L’obiettivo degli interventi di compensazione è quello di ripristinare alcune coperture boscate appartenenti alle formazioni forestali potenziali delle fasce riparie sottratte o comun- que alterate durante le operazioni di cantiere; inoltre, tenuto conto dell’importanza e del ruo- lo di corridoio ecologico delle fasce riparie naturali, dovrà essere favorita la continuità terre- stre delle aree di progetto verso il fiume e verso le aree limitrofe.

Riguardo gli interventi di compensazione ambientale, a livello normativo l'eliminazione della vegetazione esistente finalizzata a un'utilizzazione del terreno diversa da quella foresta- le, è considerata trasformazione del bosco (art. 42, comma 1, l.r. n. 9 del 23-04-2007). Distinguendo tra trasformazione temporanea e permanente del bosco, riassumendo quando descritto in precedenza, le superfici boscate coinvolte sono distinte in: . 6.300 m2 di trasformazione permanente di soprassuolo boscato; . 3.000 m2 di trasformazione temporanea di soprassuolo.

Nei confronti di tale fattore perturbativo, con riferimento alla specifica normativa di set- tore, la citata l.r. 9/2007, si dovrà procedere, in seguito ad autorizzazione da parte della Di- rezione centrale (art. 42), allo svolgimento di rimboschimenti compensativi su superfici non boscate di pari estensione rispetto a quelle oggetto di trasformazione (art. 43). Mentre per le aree boscate oggetto di trasformazione temporanea sarà possibile ripristinare un so- prassuolo boscato nelle medesime superfici coinvolte durante le operazioni di cantiere, nei casi di trasformazione permanente dovranno essere individuate aree idonee in cui svolgere l'intervento compensativo. Riguardo dunque tali interventi si rimanda a quanto prescritto dalla normativa vigente e all'autorità competente per l'ottenimento delle autorizzazioni del caso e per le specifiche degli interventi da svolgersi.

Una specifica misura di mitigazione riguarda il ripristino di adeguate condizioni del terreno in seguito al costipamento determinato dalla fase di cantiere. Tale misura dovrà essere attuata nelle aree di cantiere che prevedono un ripristino delle condizioni ante- operam. In tali situazioni, dato che il costipamento del terreno causa un'alterazione della

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struttura del terreno, una compattazione degli strati superficiali propri della rizosfera, prima di eseguire interventi di rivegetazione si prevedono delle lavorazioni superficiali del terreno, quale una scarificatura superficiale per una profondità di circa 30 cm, in modo da consentire una corretta affermazione e crescita della vegetazione che dovrà essere successivamente piantumata, a seconda del caso mediante un intervento di rimboschimento o mediante iner- bimento delle aree in origine a copertura prativa. Tutte le specie impiegate, sia relativamente alle specie forestali che ai miscugli di sementi delle specie arbacee dovranno essere autocto- ne e certificate ai sensi del D.Lgs. 386/2003.

Impatti attesi sul comparto fauna terrestre

In relazione alle caratteristiche dell’opera in progetto, si ritiene che la fase di cantiere comporterà per la fauna terrestre interferenze di natura localizzata e temporanea, dovute soprattutto al disturbo e al rumore per le attività svolte. La perdita di habitat si può ritenere poco significativa, in quanto coinvolge aree modeste – essenzialmente la strada di accesso alla presa - e non comprende am- bienti di particolare pregio o valenza ecologica per la sopravvivenza delle popolazioni di fauna terrestre presenti. Non si ravvisano pertanto, in fase di cantiere, interferenze tali da costituire una minaccia significativa rispetto alla fauna terrestre potenzialmente presente nelle aree interessate.

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5.2. Impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di cantiere e relative misure di mitigazione

In questo paragrafo verrà stimata l’entità e la significatività delle interferenze effettive sull’ecosistema acquatico durante l’attività di cantiere, indicando le possibili misure per pre- venire o mitigare gli impatti. Alterazione habitat fluviale

L’unica opera che richiederà l’esecuzione di lavori in alveo è la traversa di derivazione; non sono previsti attraversamenti per le piste di cantiere o per altri elementi del progetto. Questo tipo di impatto sarà pertanto estremamente localizzato. Prima della diversione delle acque per l’inizio dei lavori, la fauna ittica a valle sarà recuperata e reintrodotta più a monte, per evitare i rischi di asciutta temporanea; le operazioni di recupero dovranno essere concor- date con l’Ente Tutela Pesca. La zona prevista per la presa corrisponde ad una grande pool; si ritiene pertanto che tale ambiente possa ospitare una discreta biomassa ittica e sia zona di stazionamento di trote adulte, anche di taglia importante. I lavori non dovrebbero invece in- teressare in modo diretto le zone di riffle-run veloci, poco profonde e a fondale ghiaioso uti- lizzati per la frega dei Salmonidi. Alterazione del trasporto solido

La generazione di torbidità riguarderà i lavori di realizzazione della traversa. La mobiliz- zazione del sedimento fine potrà essere limitata cercando di lavorare su porzioni di alveo precedentemente messe in asciutta e isolate dal flusso principale dell’acqua (evitando per quanto possibile di asciugare l’intera sezione dell’alveo). Compatibilmente con le necessità di cantiere, è preferibile eseguire i lavori in alveo il più possibile lontano dal periodo novembre - marzo, durante il quale avviene la riproduzione della trota marmorata e si hanno l’incubazione e la schiusa delle uova all’interno del substrato di fondo. Disturbo e rumore

Questo tipo di impatto sarà del tutto transitorio e non si registra nell’area la presenza di specie che potrebbero subire interferenze significative in caso di temporaneo allontana- mento dalla zona di cantiere. Inquinamenti accidentali

Questo tipo di incidente può essere prevenuto attuando le opportune misure cautelati- ve di seguito descritte. Lo stoccaggio, la manipolazione e il rifornimento di carburante, lubrificanti e fluidi idraulici dei mezzi deve avvenire in un luogo opportuno, distante almeno 30 m dal corso d’acqua e scelto in modo che fuoriuscite accidentali di liquidi non possano giungere ad esso; deve essere predisposto un piano di emergenza per il contenimento di eventuali fuoriuscite. I kit di prima emergenza possono p.e. costituire una dotazione di sicurezza da posizionarsi in tutti quei luoghi nei quali sono possibili versamenti o perdite accidentali di liquidi, dove quindi è necessario avere una dotazione di materiali assorbenti pronta per l'intervento (es. deposito scarico fusti, deposito carburanti ecc.). A seconda dei modelli i kit contengono panni, cuscini, barriere assorbenti, sacchi per la raccolta e dispositivi di protezione individuale quali tute monouso, guanti e occhiali . GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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Il contatto tra l’acqua e la colata di cemento/calcestruzzo deve essere evitato per un minimo di 48 ore dalla gittata se la temperatura atmosferica è sopra lo zero e per almeno 72 ore se è sottozero, in quanto il cemento liquido è alcalino e fortemente tossico per gli organi- smi acquatici. Le zone di lavoro dove si fa uso di cemento devono quindi essere isolate da ogni possibile ingresso diretto o indiretto nel corso d’acqua di acque di scolo. E’ opportuno monitorare frequentemente il pH a valle della zona dei lavori, intervenendo se questo cambia di più di una unità o se esce dal range 6-9 unità. Interruzione flussi migratori

Non sono previsti attraversamenti in alveo, per cui tale problema si verificherà solo in modo transitorio e reversibile in occasione di deviazioni parziali o totali del corso d’acqua per consentire di mettere in asciutta porzioni di alveo interessate dai lavori per la traversa. Tali strutture provvisorie saranno smantellate a fine lavori.

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Matrice riassuntiva degli impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di cantiere

Nella Tabella 29 sono riepilogati gli impatti specifici precedentemente analizzati e sono riportate le valutazioni sintetiche rispetto ad entità, durata e scala spaziale, secondo la le- genda riportata in Tabella 27; la descrizione nel dettaglio degli impatti e delle misure di miti- gazione possibili è riportata nei paragrafi che seguono.

TIPO DI VALUTAZIONE LIVELLO DI VALUTAZIONE ABBREVIAZIONE NELLA MATRICE Impatto assente o trascurabile Nullo - Entità impatto Negativo Lieve NEG-L Medio NEG-M Rilevante NEG-R Entità impatto Positivo Lieve POS-L Medio POS-M Rilevante POS-R Durata temporale dell’impatto Reversibile a Breve Termine RBT Reversibile a Lungo Termine RLT Non Reversibile NR Estensione spaziale dell’impatto Locale/Comunale LC Provinciale/Regionale PR Nazionale/Internazionale NI Tabella 27: legenda per la matrice di valutazione degli impatti sull’ecosistema acquatico

Pesci Anfibi Rettili Mammiferi Uccelli Invertebrati acquatica Vegetazione

Tipologia di impatto prodotto

NEG-M NEG-L NEG-L NEG-L NEG-M NEG-M NEG-L Alterazione habitat fluviale RLT RBT RBT RBT RBT RBT RBT LC LC LC LC LC LC NEG-M NEG-L NEG-L NEG-L NEG-L NEG-M NEG-M Alterazione del trasporto solido RBT RBT RBT RBT RBT RBT RBT LC LC LC LC LC LC NEG-L NEG-L Disturbo e rumore - - - RBT RBT - - LC LC NEG-M NEG-M NEG-M NEG-M NEG-M NEG-M NEG-M Inquinamenti accidentali RLT RBT RBT RBT RBT RBT RBT LC LC LC LC LC LC LC NEG-M Interruzione flussi migratori RBT ------LC Tabella 28: matrice di valutazione degli impatti sulle diverse componenti dell’ecosistema acquatico in fase di costruzione

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6. ANALISI DEGLI IMPATTI SPECIFICI IN FASE DI ESERCIZIO, RELATIVE MISURE DI MITIGAZIONE PREVISTE

6.1. Impatti specifici sull’ecosistema terrestre in fase di esercizio e relative misure di mitigazione

In questo paragrafo sono analizzati gli impatti specifici attesi in fase di esercizio per le due componenti dell’ecosistema terrestre in esame, cioè vegetazione e fauna. Impatti attesi sul comparto vegetazione terrestre e relative misure di mitigazione

L’analisi degli impatti effettivi in fase di esercizio sulle formazioni forestali presenti che si verificano in seguito alla realizzazione delle opere di progetto vengono illustrati dalla matri- ce seguente.

Opera di presa

Strutture

FASE DI ESERCIZIO

perturbativo

Fattore Alterazionedei livelli idrici Produzionedi rifiuti

Formazioni arboree e arbustive I – P I – T

Tabella 29: matrice degli impatti effettivi in fase di esercizio

Effetto Diretto D Legenda Effetto Indiretto I Interferenza significativa Effetto Temporaneo T Interferenza non significativa Effetto Permanente P

Come risulta dalla matrice riportata, nella fase di esercizio gli impatti individuati ri- guardano le aree di derivazione dell’acqua e sono relativi ai due seguenti effetti: . Alterazione dei livelli idrici; è un impatto permanente che interessa, con effet- ti diversi, sia il tratto dall’opera di presa fino alla restituzione delle acque, che un tratto di monte corrispondenze all’invaso prodotto dalla presenza dell’opera di presa. A valle della presa, gli effetti della riduzione delle portate potranno comportare uno stato di stress idrico per la vegetazione spondale localizzata nelle immediate vicinanze del

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corso d’acqua. Considerando che il tratto sotteso all’opera di presa, risulta a tratti inforrato e di tipo roccioso e ciottoloso, si ritiene che non si verificheranno altera- zioni significative dell’assetto vegetazionale delle fasce boscate spondali (Figura 21).

Figura 21: alveo roccioso e ciottoloso presente nel tratto sotteso all’opera di presa

A monte della presa, il livello dell’acqua creato dalle briglie darà un rigurgito verso monte dell’ordine di 200 metri circa; l’invaso creato dallo sbarramento localizzato in alveo, comporterà dunque la sommersione e in seguito il deperimento della vegetazione attualmen- te presente nelle zone di greto (saliceti arbustivi) presenti in prossimità all'opera di presa; nel lungo periodo, lungo tale breve tratto, si potrà assistere ad una sostituzione delle specie ve- getali spondali, da cenosi riparie di acque lotiche verso formazioni idrofile tipiche di ambienti più propriamente lacustri, oppure si verificherà solamente un arretramento della vegetazione spondale lungo i versanti. La formazione che risentirà maggiormente sia dell’innalzamento idrico, sia della lacustrizzazione del tratto, è il Saliceto arbustivo di greto, attualmente lo- calizzato in prossimità dei livelli idrici nelle aree di greto che verranno sommerse interamente o parzialmente (Figura 22).

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Figura 22: saliceto arbustivo di greto presente a monte della localizzazione dell’opera di presa

Misure di mitigazione ambientale Dato che l'impatto più rilevante in fase di esercizio riguarda l'alterazione delle fasce di greto con coinvolgimento dei saliceti arbustivi presenti, l’obiettivo degli interventi di mitiga- zione è quello di ripristinare alcune coperture arbustive riparie in corrispondenza delle sco- gliere in destra idrografica previste a valle della strada di accesso alla presa. Nello specifico, in corrispondenza della scogliera in che si estenderà per circa 350 m costeggiando l'alveo a monte dell'opera di presa (cfr. tavola della cantierabilità di progetto TAV. PG.13), negli interspazi tra i massi ciclopici saranno inserite delle talee di salice, realiz- zando una scogliera rinverdita che oltre a ripristinare una copertura vegetata del saliceto nel- le vicinanze delle aree di greto che verranno inondate, contribuirà anche a rispristinare una continuità terrestre lungo le fasce spondali di valore ecologico. A riguardo dovranno dunque essere realizzate delle scogliere intasate con terreno vegetale secondo lo schema riportato (Figura 23) in modo da consentire l'attecchimento e il successivo accrescimento radicale dei soggetti.

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Figura 23: schema tipologico di scogliera spondale con posa di talee di salice

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Impatti attesi sul comparto fauna terrestre e relative misure di mitigazione

La fase di esercizio dell’impianto in questione comporterà interferenze minime sulla fauna terrestre, in quanto:  La perdita di habitat riguarda aree modeste e non comprende ambien- ti di particolare pregio o valenza ecologica per la sopravvivenza delle po- polazioni di fauna terrestre presenti. La lacustrizzazione dell’alveo a monte della presa non comporterà infatti un allagamento sensibile delle fasce riparie, per effetto dell’elevata pendenza delle rive, il canale di adduzione e la condotta sa- ranno in galleria e la centrale sarà realizzata in una zona già relativamente an- tropizzata. L’alterazione più rilevante riguarderà la breve strada da realizzare per l’accesso alla presa.  Il disturbo per il rumore e la presenza antropica è trascurabile. Le emissioni acustiche saranno infatti contenute nei rispetti della normativa vigen- te, mentre la presenza di personale per interventi di manutenzione sarà spora- dica, data l’elevata automazione dell’impianto. La zona della centrale è inoltre ai margini dell’abitato di Anduins, quindi già frequentata dall’uomo.  La realizzazione della galleria per il passaggio dell’acqua eviterà inter- ferenze con il movimento della fauna terrestre, potenzialmente presenti in caso di canali a pelo libero e condotte forzate all’aperto. Una possibile interferenza rispetto all’avifauna potrebbe essere data dalla pre- senza della linea aerea a MT per la consegna dell’energia elettrica prodotta alla linea Enel. Questo impatto, peraltro spazialmente limitato dalla modesta lunghezza della linea (150 m), può ulteriormente essere mitigato apponendo ai fili appositi segnalatori co- lorati per evitare collisioni in volo e dotando i montanti dei pali di appropriati posatoi alternativi e/o dissuasori per evitare l’elettrocuzione.

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6.2. Impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di esercizio e relative misure di mitigazione

In questo paragrafo sono valutati e quantificati – ove possibili – gli effetti specifici del progetto sull’ecosistema fluviale del T. Arzino, che rappresenta la componente più vulnerabile rispetto alla tipologia di opera in esame.

Alterazione del regime idrologico e dell’habitat fluviale

L’alterazione del regime idrologico del T. Arzino riguarderà esclusivamente il tratto de- rivato, in quanto l’impianto funzionerà ad acqua fluente, senza significativa capacità di accu- mulo; a valle della centrale le portate riprenderanno quindi ad essere naturali sia in termini di entità che di variazione nel tempo. Si può pertanto escludere il problema dell’hydropeaking, tipico degli impianti in grado di immagazzinare acqua negli invasi e di produrre energia idroe- lettrica in modo intermittente. La derivazione andrà a sottrarre acqua dalla portata naturale in arrivo alla sezione di presa fino ad un massimo di 7.4 m3/s, la portata massima di concessione; a valle della presa sarà garantito un Deflusso Minimo Vitale (DMV) pari a 610 l/s, che nei periodi di maggiore disponibilità idrica, sarà integrato dagli sfiori della portata in eccedenza alla capacità massima di derivazione. Sulla base dei valori medi mensili di progetto, la portata nel tratto derivato re- sterà appiattita al valore di DMV per undici mesi all’anno, con un incremento nel mese di novembre.

Figura 24: portate medie mensili derivate e rilasciate

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Figura 25: curva di durata delle portate naturali alla sezione di presa, portata massima derivata (in verde) e DMV (in rosso)

Analizzando la curva di durata delle portate si deduce che in realtà gli sfiori dalla tra- versa potranno verificarsi per circa 60 giorni all’anno; la valutazione delle portate medie mensili trascura infatti le punte di portata che si verificano per brevi periodi. La portata residua nel tratto derivato immediatamente a valle della presa sarà compre- sa, rispetto alle medie mensili, tra un minimo del 9% (in ottobre) ed un massimo del 29.9% (in febbraio) rispetto a quella naturale; è del tutto plausibile che procedendo verso valle si verifichi un non trascurabile apporto idrico dal bacino residuo – rappresentato soprattutto da apporti di acque sotterranee – come è stato possibile verificare nella campagna di misura dell’agosto 2010; in tale occasione infatti è stato registrato un incremento di portata tra la zona di presa e quella di restituzione pari a circa 500 l/s in valore assoluto e al 26% in termi- ni relativi. L’impatto del prelievo idrico sull’idrologia naturale e sulla conseguente disponibilità di habitat acquatico sarà pertanto parzialmente mitigato anche dagli apporti sotterranei, in misura crescente all’aumentare della distanza dal punto di derivazione.

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Dall’analisi del mesohabitat si evince che le unità morfologiche più vulnerabili al prelie- vo di portata - i riffle - sono il 24% dell’area complessiva del tratto derivato. Tali zone, che presentano mediamente un alveo piatto, poco profondo e a corrente veloce, sono quelle che perderanno più superficie idonea alla colonizzazione da parte degli organismi acquatici ed in particolare dai pesci, i più sensibili a tale problema. Il 29% circa del tratto è invece composto da step-pool e pool, che tendono a mantenere lo spazio vitale anche con il ridursi della por- tata, mentre il 46% è formato da run che presentano una vulnerabilità intermedia: presenta- no infatti generalmente sezioni ampie e basse, ma nel caso specifico dell’Arzino hanno fre- quenti zone di profondità relativamente elevata. La presenza di cascade è poco significativa in questo tipo di analisi, sia per la loro modestissima rappresentatività (2% dell’area totale), sia perché per definizione sono zone non idonee ad ospitare fauna ittica a prescindere dalla portata che vi fluisce. E’ importante sottolineare che nella bibliografia scientifica esiste un articolo in cui l’habitat fluviale del T. Arzino è stato modellizzato per analizzarne il comportamento in fun- zione della portata; tale studio è stato effettuato in località Pert, e le sue conclusioni possono pertanto esse molto interessanti ai fini del presente studio. L’articolo in questione è il se- guente: Saccardo I., Vitali R., Guzzi L., Annoni P. & Stigliano P. “First application of methodo- logies to define a proper minimum discharge for the preservation of aquatic species in italian Pre-Alps”, pubblicato tra gli atti del “1st International Symposium on Habitat Hydraulics – August 18-20, 1994. The Norvegian Institute of Technology, Trondheim, Norway”.

D MV 610 l/s

Figura 26: andamento dell’habitat (WUA – Weighted Usable Area) in funzione della portata (discharge) nel T. Arzino a Pert, per diversi stadi vitali: spawning (nidi di frega), fry (avannotti), juvenile (giovani), adult (adulti); da Saccardo et al., 1994

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All’interno di tale studio è stata applicata la metodologia PHABSIM (Physical Habitat Simulation) per individuare un DMV idoneo al tratto di F. Arzino presso Pert, utilizzando come specie di riferimento la trota fario (in quanto all’epoca non erano disponibili dati sulla prefe- renza ambientale della trota marmorata). Tale metodo consente di valutare in modo sitospe- cifico, in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’alveo, come varia la disponibilità di habitat acquatico effettivamente fruibile dalla specie prescelta (detta “specie target”) in fun- zione della portata (Figura 26). Il valore migliore per il DMV è generalmente quello corrispondente ad eventuali punti di flesso sulla curva, oltre i quali un ulteriore aumento di portata non corrisponde a benefici ecologici significativi. L’andamento della curva dipende dal fatto che gli organismi acquatici, nel caso in questione la trota fario (suddivisa nei diversi stadi vitali), manifestano una certa preferenza nei riguardi della profondità e della velocità dell’acqua (quantificata attraverso le “curve di preferenza”). Al crescere della portata, all’interno dell’alveo fluviale anche la veloci- tà e la profondità aumentano, con modalità che dipendono dalla geometria della sezione flu- viale. L’aumento della profondità è in genere sempre positivo per la trota, mentre quello di velocità lo è fino a determinati valori massimi, oltre i quali lo sforzo per vincere la corrente diviene troppo elevato. La forma della curva di disponibilità di habitat in funzione della porta- ta è quindi così motivata: al crescere dei valori inziali, profondità e velocità aumentano e si traducono in un grande miglioramento dell’habitat, individuato dalla parte più ripida della curva. Ad un ulteriore incremento della portata, la velocità comincia ad essere limitante e a controbilanciare i benefici dell’aumento di profondità; in questa zona la curva inizia a spia- narsi; per portate ancora più alte, la curva di spiana completamente, o in alcuni casi, arriva addirittura a scendere, quando la velocità diventa insostenibile nella maggior parte dell’alveo. L’articolo citato, indica in 400 l/s, la portata minima oltre la quale il DMV non deve scendere. Dall’andamento delle curve dei diversi stadi vitali si può osservare che il DMV pre- visto dal presente progetto, pari a 610 l/s, oltre ad essere superiore a tale minimo, si pone in una zona ottimale dal punto di vista dei benefici ambientali, in quanto per valori superiori di portata gli incrementi di habitat sono proporzionalmente sempre più modesti (quasi nulli per tutti gli stadi vitali eccetto che per le freghe). Per mitigare gli eventuali effetti negativi sul successo della riproduzione naturale della trota marmorata a causa del depauperamento della portata naturale nel periodo di frega, po- tranno essere attuati appositi ripopolamenti con novellame di trota; tale materiale ittico do- vrà provenire da allevamenti in grado di garantire i criteri di rusticità, purezza genetica e le caratteristiche igienico – sanitarie affinché l’immissione abbia successo e non comporti rischi di ibridazione o diffusione di malattie con i pesci selvatici presenti.

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Impatti sulla qualità delle acque e sul regime termico

Già dall’inquadramento geografico – ambientale del tratto di T. Arzino interessato dal progetto di derivazione, si può desumere che il rischio di impatto sulla qualità delle acque è assai modesto, in quanto: . il bacino imbrifero è in condizioni di elevata naturalità, con presenza antropica ri- dotta a piccoli insediamenti civili. . Sono del tutto assenti fonti significative di inquinamento puntiforme o diffuso, quali scarichi urbani, industriali, coltivazioni estensive, attività zootecniche ecc.. . Tutti gli indicatori di qualità utilizzati (parametri chimici, macroinverterbrati e dia- tomee) valutano la situazione delle acque all’inizio e alla fine del tratto di studio in uno stato ottimale, confermando l’assenza di sorgenti di contaminazione a monte o intermedie. . Il progetto non prevede la formazione di invasi o bacini artificiali che comportino una lacustrizzazione importante del corso d’acqua a monte della presa e/o un rila- scio significativamente discontinuo di portate a valle della centrale e una conse- guente alterazione delle dinamiche fluviali a monte e a valle dell’impianto. Dal momento che, la qualità delle acque prelevate e turbinate non subisce alterazioni sostanziali della sua composizione chimico – fisica e che, nel tratto derivato, non afferiscono inquinanti le eventuali variazioni qualitative saranno ascrivibili unicamente ai processi natura- li; l’unico parametro che può essere influenzato dall’entrata in esercizio dell’impianto è la temperatura dell’acqua, nei mesi estivi in particolare. Nei mesi invernali è possibile escludere il rischio di congelamento completo della massa d’acqua, in quanto il DMV previsto ha un valore di 610 l/s, portata che alle quote in questio- ne dovrebbe scongiurare il problema. Anche il possibile sovrariscaldamento delle acque nel periodo estivo appare mitigato sia dall’entità del DMV, sia dalla conformazione della valle che fornisce una discreta ombreggia- tura naturale all’alveo. Per maggior cautela è stato comunque deciso di approfondire su base modellistica e con un’anali sitospecifica per il tratto il problema delle interferenze della riduzione di portata rispetto alla qualità e alla temperatura dell’acqua nel tratto derivato; nel paragrafo seguente è descritta tale indagine specifica, effettuata mediante il modello QUAL2K.

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Applicazione del modello Qual2k per la valutazione degli impatti sulla qualità delle acque e sull’omeostasi termica Per acquisire ulteriori elementi a sostegno delle ipotesi precedentemente esposte, è stato utilizzato un approccio modellistico mediante il programma Qual2K, per valutare l’effetto del funzionamento dell’opera sulla qualità delle acque e la termica, sia per la mag- gior frequentazione turistica all’interno del bacino imbrifero. Per questo motivo è stata con- dotta un’apposita campagna di rilievo di dati di qualità nell’agosto 2010, i cui risultati (esposti nel capitolo sulla qualità delle acque) sono serviti per l’implementazioen del Qual2k ; in parti- colare, si è optato per verificare la situazione nel periodo estivo in quanto è il più critico, sia per le temperature elevate, sia per la maggior presenza antropica dovuta alla frequentazione turistica. Il segmento da modellizzare è stato suddiviso nei seguenti 4 tratti: . Il tratto 1 che rappresenta la situazione poco a monte del punto previsto di presa. . Il tratto 2, che rappresenta la situazione a valle del punto previsto di presa e a mon- te dell’immissione del riale di Anduins. . Il tratto 3, che rappresenta la situazione, sempre a valle del punto previsto di presa, tra l’immissione del riale di Anduins e il punto previsto di restituzione delle acque de- rivate. . Il tratto 4, che rappresenta la porzione finale a valle della centrale e che chiude il segmento di T. Arzino oggetto di simulazione. Le caratteristiche geografiche, dimensionali ed idrauliche dei tratti inserite nel modello sono riassunte nelle tabelle che seguono.

Element for diel plot 1 Reach Headwater Reach Reach Downstream Number Reach length Downstream Label end of reach label (km) Latitude Longitude inizio segmento traversa 1 Yes 0.60 46.26 -12.97 valle traversa foce riale 2 4.50 46.23 -12.97 valle traversa centrale 3 0.70 46.23 -12.96 valle centrale fine segmento 4 0.10 46.23 -12.96 Tabella 30: riepilogo delle caratteristiche geografiche dei tratti di T. Arzino simulati con il Qual2k

Element for diel plot 1 Location Element Elevation Reach Downstream Upstream Downstream Number Upstream Downstream Label end of reach label (km) (km) >=1 (m) (m) inizio segmento traversa 5.900 5.300 1 275.000 264.000 valle traversa foce riale 5.300 0.800 10 264.000 180.000 valle traversa centrale 0.800 0.100 2 180.000 165.500 valle centrale fine segmento 0.100 0.000 1 165.500 164.000 Tabella 31: riepilogo delle caratteristiche dimensionali dei tratti di T. Arzino simulati con il Qual2k

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Reach Downstream Reach Channel Manning Bot Width Side Side end of reach Label Number Slope n m Slope Slope label inizio segmento traversa 1 0.018 0.23 15 6 6 valle traversa foce riale 2 0.019 0.23 15 6 6 valle traversa centrale 3 0.021 0.18 15 6 27 valle centrale fine segmento 4 0.015 0.15 15 27 27 Tabella 32: riepilogo delle caratteristiche idrauliche dei tratti di T. Arzino simulati con il Qual2k

Tmedia Tmin aria Tmax aria Punto di rugiada Velocità media vento Periodo aria (°C) (°C) (°C) (Km/h) (°C) media luglio 25.7 19.9 29.0 19.2 7.4 media agosto 23.7 18.4 27.1 18.5 7.5 MAX luglio 32.9 28.0 36.6 25.0 17.0 MAX agosto 30.0 25.0 33.0 25.0 19.0 min luglio 19.0 12.6 21.0 10.4 0.0 min agosto 16.0 9.8 19.0 11.6 2.0 media luglio - agosto 24.7 19.2 28.1 18.8 7.5 MAX luglio - agosto 32.9 28.0 36.6 25.0 19.0 min luglio - agosto 16.0 9.8 19.0 10.4 0.0 Tabella 33: dati climatologici elaborati dall’archivio dati del sito ilmeteo.it, relativamente a Vito d’Asio per il periodo 2006-2010

Sono inoltre stati considerati un “bottom algae coverage” pari all’1% e un “bottom se- diment oxigen domand coverage” pari al 5%. I dati di qualità chimico – fisica a inizio tratto, il cosiddetto “headwater”, sono stati ri- cavati dai valori medi dei dati rilevati in campo nel mese di agosto e riportati nel capitolo 4.2. Per essere maggiormente cautelativi, i dati inferiori ai limiti strumentali di rilevamento sono stati assunti come prossimi a tali limiti, anche se nella realtà potrebbero essere decisamente inferiori. Per maggiore precisione, nonostante la portata trascurabile, si è considerato il riale sot- to Anduins come “point sources”; la maggior portata rilevata ad Anduins rispetto a Pert è stata considerata sotto forma di “diffuse sources”, in assenza di tributari significativi. I dati climatologici necessari all’implementazione del modello sono stati ricavati dall’archivio del sito ilmeteo.it, relativamente al comune di Vito d’Asio; si è fatto riferimento ai valori medi del periodo luglio-agosto degli ultimi 5 anni. Per i parametri “shade” e “cloud cover” sono state utilizzate delle percentuali pari ri- spettivamente al 30% e al 20%, sulla base della calibrazione tra dati reali e simulazione. I risultati della simulazione per i parametri più significativi, cioè la temperatura dell’acqua e i parametri del LIMeco, sono riportati nei grafici che seguono. Per quanto riguarda la temperatura (Figura 27), si può osservare che il valore medio in condizioni post-operam raggiunge un incremento massimo di circa 1.3 °C, con un massimo assoluto pari a 19.3 °C appena prima del punto di restituzione delle acque, ben al di sotto del limite previsto per le acque salmonicole dalla normativa, fissato in 21.5 °C nel D.Lgs. 152/2006; a valle della centrale, la restituzione delle acque turbinate, che durante il percorso GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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in condotta sono state preservate dal riscaldamento naturale, determina una diminuzione di temperatura di circa 1.4 °C rispetto allo stato ante-operam. Nello scenario peggiore, sulla base degli estremi superiore del range di valori ottenuti dalla simulazione, l’incremento mas- simo previsto è pari a poco meno di 2 °C; in questo caso, per circa 1.2 km, il limite per le acque salmonicole è superato di poco, raggiungendo un culmine di 22.2 °C. Si tratta però dell’ipotesi più pessimistica, che riguarda un tratto relativamente breve e che in ogni caso re- sta lontano dai limiti termici letali per la trota; per la trota fario, la semispecie di Salmo trutta che popola le zone più alte e fredde dei corsi d’acqua, sono considerate ottimali temperature comprese tra 12 e 19 °C, mentre di norma sono tollerate quelle tra 0 e 27 °C secondo Ra- leigh et al., 1986 e Elliot 1994). La restituzione delle acque turbinate, anche nello scenario peggiore, riporta la temperatura su range lontani dal limite di 21.5 °C. Lo scenario più favo- revole, quello con i valori minimi del range di risultati della simulazione, resta ampiamente al di sotto del limite di 21.5 °C in tutto il segmento derivato. Per quanto riguarda il deficit di saturazione di ossigeno disciolto (Figura 28), come at- teso non si osserva nessuno scostamento significativo tra la situazione ante-operam e quella post-operam, che sono entrambe ottimali. Anche i parametri che compongono, insieme al deficit di ossigeno, l’Indice LIMeco, cioè l’azoto ammoniacale (Figura 29), l’azoto nitrico (Figura 30) e il fosforo totale (Figura 31) non si scostano in modo apprezzabile tra la situazione ante-operam e post-operam; ancora più evidente è l’assenza di variazioni rispetto alle classi di qualità LIMeco di partenza.

25.0

22.5

20.0

17.5

Temperaturadell'acqua (°C) 15.0 T media ante-operam T min ante-operam T max ante-operam T media post-operam 12.5 T min post-operam T max post-operam Limite acque salmonicole dati misurati 10.0 6.0 5.5 5.0 4.5 4.0 3.5 3.0 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0

Presa Distanza da valle (km) Restituzione

Figura 27: risultato della simulazione dell’andamento della temperatura nel T. Arzino

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20 media ante-operam min ante-operam max ante-operam media post-operam min post-operam max post-operam Limite prima classe LIMeco dati misurati 15

10

5 Deficit di saturazione di ossigeno di Deficit (%)

0 6.0 5.5 5.0 4.5 4.0 3.5 3.0 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0

-5 Distanza da valle (km) Presa Restituzione

Figura 28: risultato della simulazione dell’andamento del deficit di ossigeno nel T. Arzino

50 media ante-operam min ante-operam

45 max ante-operam media post-operam ) 4 min post-operam max post-operam 40 Limite prima classe LIMeco dati misurati

35

30

25

20

15 Azotoammoniacale N-NH (microg/l

10

5

0 6.0 5.5 5.0 4.5 4.0 3.5 3.0 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0 Restituzione Presa Distanza da valle (km)

Figura 29: risultato della simulazione dell’andamento dell’azoto ammiacale nel T. Arzino

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1400

1200

) 3

1000

800

600

media ante-operam min ante-operam Azoto nitrico (microg/l N-NO (microg/l Azotonitrico 400 max ante-operam media post-operam min post-operam max post-operam 200 Limite seconda classe LIMeco dati misurati

0 6.0 5.5 5.0 4.5 4.0 3.5 3.0 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0 Restituzione Presa Distanza da valle (km)

Figura 30: risultato della simulazione dell’andamento dell’azoto nitrico nel T. Arzino

60

50

40 media ante-operam min ante-operam max ante-operam media post-operam min post-operam max post-operam 30 Limite prima classe LIMeco dati misurati

Fosforo totale (microg/l P) Fosforo (microg/l totale 20

10

0 6.0 5.5 5.0 4.5 4.0 3.5 3.0 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0 Restituzione Presa Distanza da valle (km)

Figura 31: risultato della simulazione dell’andamento del fosforo totale nel T. Arzino

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Alterazione del trasporto solido

L’opera in progetto può alterare il trasporto solido del T. Arzino con due diverse moda- lità, di seguito descritte, che differiscono negli effetti e nella durata. La presenza fisica dello sbarramento e la lacustrizzazione del tratto subito a monte di esso, comportano un rallentamento della velocità di corrente; rispetto al trasporto solido, ciò determina in tale area, un incremento del processo di sedimentazione dei solidi sospesi (per lo meno delle particelle più pesanti). Si avrà pertanto, a monte della tra- versa, un localizzato aumento di sedimento fine nel substrato e, a valle di essa, una sua ri- duzione. In genere l’aumento della percentuale di sedimento fine nel letto fluviale si traduce in uno scadimento dei microhabitat per gli organismi bentonici, in quanto vengono occlusi gli spazi interstiziali del substrato. L’effetto della traversa sarà pertanto quello di peggiorare la qualità dell’habitat bentonico nella zona di lacustrizzazione (il rigurgito è valutato in circa 200 m verso monte) e di migliorare quello nel tratto a valle. Si tratta peraltro di un effetto localizzato e di ridotta entità, in quando è possibile ipotizzare che nei momenti di piena, quando il trasporto solido è più elevato, la maggior parte – se non tutta – la portata del torrente fluirà liberamente a valle della traversa, insieme con il se- dimento sospeso. Le operazioni di pulizia periodica del dissabbiatore possono riversare quanti- tà importanti di sedimento nel tratto a valle, con tutti i rischi per la fauna acquatica descritti nel relativo paragrafo sugli impatti potenziali. Questo problema però può essere prevenuto sghiaiando periodicamente il dissabbiatore in occasione di eventi di morbida o di piena, quando la capacità di diluizione del sedimento sospeso è mas- sima e può rendere trascurabili gli effetti della manovra. Per maggiore cautela è pos- sibile utilizzare lo Stress Index di Newcombe per valutare quanto sedimento rilasciare e quale durata massima deve avere l’operazione al fine di non produrre impatti significativi sugli or- ganismi acquatici. Si sottolinea comunque che l’impianto in questione non prevede la costru- zione di un invaso artificiale, che necessiterebbe di svasi e spurghi periodici di importanti quantità di sedimento, ma che il problema è limitato alla sola manutenzione del dissabbiato- re, che ha un volume totale di circa 1000 m3. Interruzione delle migrazioni

Questo tipo di impatto, particolarmente rilevante per un corso d’acqua a bassa pendenza privo di rilevanti ostacoli naturali al movimento dei pesci, sarà del tutto prevenuto grazie alla realizzazione di un apposito passaggio artificiale nella traversa. Aspirazione di organismi

L’imbocco della presa è protetto da una griglia con maglia di 1.5 cm, che impedirà il passaggio dei pesci di media e grossa taglia. Il rischio di aspirazione degli organismi è limita- to a quelli che si lasciano trasportare passivamente dalla corrente (p.e. gli invertebrati duran- te il drift), in quanto l’acqua fluisce nell’opera di presa senza meccanismi “attivi” di pompag- gio. In posizione pressoché adiacente all’imbocco della presa vi è inoltre l’ingresso del pas- saggio pesci, attraverso ilo quale gli organismi possono passare verso valle bypassando l’impianto. Si può pertanto ritenere l’impatto dovuto all’aspirazione di organismi e al loro passaggio lungo l’impianto sia trascurabile.

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Lacustrizzazione corso d’acqua

La presenza della traversa comporterà un innalzamento di livello dell’acqua a monte di circa 2.5 m, con un rigurgito stimato in 200 m. Si verrà pertanto a formare un modesto inva- so d’acqua, con caratteristiche lentiche. Le sponde scoscese e l’assenza di oscillazioni di livel- lo repentine e frequenti non comporteranno alterazioni per la fascia riparia e quella litorale. La formazione di una zona di acqua profonda potrà addirittura essere positiva per la possibili- tà di accogliere trote di grande taglia, che necessitano di ampi spazi vitali. Nel complesso de- gli effetti possibili e in considerazione della dimensioni ridotte dell’area lacustrizzata, rispetto alla lunghezza del corso d’acqua interessato dal progetto, si ritiene che questa modifica localizzata dell’habitat idraulico-morfologico non comporterà impatti sensibili sul- la fauna acquatica. Inquinamenti accidentali

Il problema di inquinamenti accidentali nella fase di esercizio è limitata a eventuali epi- sodi negli interventi di manutenzione dell’impianto e può essere prevenuto con i dovuti ac- corgimenti già descritti per la fase di cantiere. Rimozione di rifiuti grossolani

La presenza di uno sgrigliatore automatico all’imbocco dell’opera di presa comporterà la rimozione dei rifiuti grossolani portati a valle dalla corrente; ciò si tradurrà in un effetto positivo dal punto di vista ambientale, sottraendo dal corso d’acqua materiali come sacchetti di plastica, bottiglie, resti di imballaggi ecc, che spesso non sono biodegradabili e si accumu- lano sul fondo o sulle rive.

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Matrice riassuntiva degli impatti specifici sull’ecosistema acquatico in fase di esercizio

Nella Tabella 34 sono riepilogati gli impatti specifici precedentemente analizzati e sono riportate le valutazioni sintetiche rispetto ad entità, durata e scala spaziale, secondo la le- genda riportata in Tabella 27; la descrizione nel dettaglio degli impatti e delle misure di miti- gazione possibili è riportata nei paragrafi che seguono.

Pesci Anfibi Rettili Mammiferi Uccelli Invertebrati acquatica Vegetazione

Tipologia di impatto

prodotto

NEG-L NEG-L NEG-L Alterazione del regime idrologico NR - - - - NR NR LC LC LC NEG-M NEG-L NEG-L Alterazione habitat idraulico - morfologico NR - - - - NR NR LC LC LC NEG-L NEG-L NEG-L Alterazione del trasporto solido RBT - - - - RBT RBT LC LC LC Alterazione della qualità delle acque ------

Alterazione del regime termico delle acque ------

Interruzione delle migrazioni -* - - - - -* - NEG-L NEG-L Aspirazione di organismi NR - - - - NR - LC LC POS-L NEG-L Lacustrizzazione corso d’acqua NR - - - - NR - LC LC NEG-L NEG-L NEG-L NEG-L NEG-L NEG-L NEG-L Inquinamenti accidentali RLT RBT RBT RBT RBT RBT RBT LC LC LC LC LC LC LC Tabella 34: matrice delle tipologie di impatto potenziali sulle diverse componenti dell’ecosistema acquatico in fase di esercizio; * impatto nullo grazie alla realizzazione del passaggio pesci

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7. CONCLUSIONI

L’impianto idroelettrico in progetto sul T. Arzino è ad acqua fluente; questa tipologia di funzionamento consente di escludere a priori tutti gli impatti generati dagli impianti che han- no capacità di invaso e quindi, turbinando in modo intermittente, producono interferenze ne- gative sul regime idrologico anche a valle della centrale. In questo caso, gli effetti del funzio- namento dell’opera in progetto saranno compresi tra il punto di massimo rigurgito delle ac- qua a monte della traversa (circa 200 m) e il punto di restituzione delle acque turbinate (4.8 km a valle della presa), andando ad influenzare meno del 20% della lunghezza dell’intera asta fluviale. L’assenza di un invaso eviterà inoltre i problemi connessi alla necessità di svasi e sfangamenti e all’alterazione delle zone litorali dovute alle escursioni di livello delle acque.

Per quanto riguarda l’ecosistema acquatico, gli impatti più rilevanti del progetto sono quelli generati dalla fase di esercizio, in quanto le interferenze dovute al cantiere sono tutte temporanee e reversibili, o addirittura possono essere prevenute con gli opportuni accorgi- menti descritti nella presente relazione. Il funzionamento dell’impianto e la sottrazione di portata naturale al tratto di torrente tra la presa e la centrale determina le alterazioni più sensibili e durature all’ecosistema fluviale; l’impatto principale è la riduzione quantitativa e qualitativa di habitat fruibile dagli organismi acquatici (i pesci in particolare) a causa della minore portata presente in alveo. Per tutelare la comunità ittica del tratto derivato, partico- larmente pregiata per la presenza di endemismi come la trota marmorata e lo scazzone, e per preservare il resto delle componenti dell’ecosistema fluviale, è previsto il rilascio di un Deflusso Minimo Vitale quantificato secondo legge in 610 l/s. Tale DMV, sulla base delle os- servazioni condotte sulla morfologia fluviale e di quanto descritto in letteratura scientifica (in cui si è trovata un ‘applicazione del modello PHABSIM per la definizione sperimentale del DMV nel tratto di studio), appare adeguato agli obiettivi di salvaguardia ambientale per lo specifico tratto di T. Arzino. Rispetto ad eventuali problemi di impatti del progetto sulla qualità e sul regime termico delle acque del T. Arzino, attraverso un approccio modellistico è stato escluso il rischio di in- terferenze significative; ciò era peraltro ipotizzabile già in prima analisi, considerata la ridotta presenza antropica (e quindi di potenziali fonti inquinanti) nel bacino imbrifero e la confor- mazione della valle a forra, che protegge l’alveo da un eccessivo riscaldamento solare. L’interruzione fisica alla continuità fluviale, che sarà generata dalla presenza della tra- versa di derivazione, sarà risolta dalla realizzazione di un apposito passaggio artificiale per pesci; ciò eliminerà pertanto ogni interferenza con la migrazione degli organismi fluviali. Nel complesso si può pertanto affermare che, la realizzazione dell’impianto in progetto, potrà avere delle ripercussioni soprattutto sulla componente più vulnerabile dell’ecosistema fluviale, cioè la fauna ittica; gli effetti saranno una riduzione della biomassa potenzialmente presente nel tratto, per effetto della riduzione della disponibilità di habitat acquatico. Il rila- scio del DMV e il passaggio dei pesci consentiranno comunque il mantenimento di una co- munità ittica di composizione analoga a quella esistente ed in grado di automantenersi, sal- vaguardando quindi la vocazionalità ittica del tratto derivato. Potranno eventualmente essere realizzati ripopolamenti a sostegno della popolazione di trota marmorata, purché con novel- lame in possesso dei necessari requisiti di purezza genetica.

Per quanto riguarda la vegetazione terrestre, la categoria d’impatto che genera, quali- tativamente e quantitativamente, l’effetto di maggior rilevanza è rappresentato dalla perdita di soprassuolo forestale. La perdita complessiva di formazioni forestali è quantificabile in 6.300 m2 di trasformazione permanente e 3.000 m2 di trasformazione temporanea.

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Il principale intervento di compensazione ambientale consiste nella ricostituzione delle medesime superfici boscate sottratte durante le fasi di realizzazione di cantiere. Con riferi- mento alla specifica normativa di settore, la l.r. 9/2007, si dovrà procedere, in seguito ad au- torizzazione da parte della Direzione centrale (art. 42), a svolgere rimboschimenti compensa- tivi su superfici non boscate di pari estensione rispetto a quelle oggetto di trasformazione (art. 43). Mentre per le aree boscate oggetto di trasformazione temporanea sarà possibile ripristinare un soprassuolo boscato nelle medesime superfici coinvolte durante le operazioni di cantiere, nei casi di trasformazione permanente dovranno essere individuate aree idonee in cui svolgere l'intervento compensativo. Riguardo dunque l'intervento si rimanda a quanto previsto dalla normativa vigente e all'autorità competente per l'ottenimento delle autorizza- zioni del caso e per le specifiche degli interventi da svolgersi. Una specifica misura di mitigazione riguarda il ripristino di adeguate condizioni del ter- reno in seguito al costipamento determinato dalla fase di cantiere. Tale misura dovrà essere attuata nelle aree di cantiere che prevedono un ripristino delle condizioni ante-operam. In tali situazioni, dato che il costipamento del terreno causa un'alterazione della struttura del terreno, una compattazione degli strati superficiali propri della rizosfera, prima di eseguire interventi di rivegetazione si prevedono delle lavorazioni superficiali del terreno, quale una scarificatura superficiale per una profondità di circa 30 cm, in modo da consentire una cor- retta affermazione e crescita della vegetazione che dovrà essere successivamente piantuma- ta, a seconda del caso mediante un intervento di rimboschimento o mediante inerbimento delle aree in origine a copertura prativa. Tutte le specie impiegate, sia relativamente alle specie forestali che ai miscugli di sementi delle specie arbacee dovranno essere autoctone e certificate ai sensi del D.Lgs. 386/2003. In fase di esercizio, dato che l'impatto più rilevante riguarda l'alterazione delle fasce di greto nel tratto di monte dell'opera di presa con coinvolgimento dei saliceti arbustivi presenti, che verranno sommersi, l’obiettivo degli interventi di mitigazione è quello di ripristinare alcu- ne coperture arbustive riparie in corrispondenza delle scogliere previste in destra idrografica a valle della strada di accesso alla presa. Nello specifico, in corrispondenza della scogliera in che si estenderà per circa 350 m costeggiando l'alveo a monte dell'opera di presa, negli in- terspazi tra i massi ciclopici saranno inserite delle talee di salice, realizzando una scogliera rinverdita che oltre a ripristinare una copertura vegetata del saliceto nelle vicinanze delle aree di greto che verranno inondate, contribuirà anche a rispristinare una continuità terrestre lungo le fasce spondali di valore ecologico. A riguardo dovranno dunque essere realizzate delle scogliere intasate con terreno vegetale in modo da consentire l'attecchimento e il suc- cessivo accrescimento radicale dei soggetti.

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7.1. Conformità del progetto di derivazione con le norme si salvaguardia del Piano di Tutela delle Acque Regionale Con Delibera n. 2000/2012, dopo aver acquisito il parere del Consiglio delle Autonomie locali, la Giunta Regionale ha adottato il Progetto di Piano di Tutela delle Acque e individuato le Norme in salvaguardia, attualmente vigenti. Successivamente il Progetto di Piano è stato sottoposto al parere della IV Commissione Consigliare ed è stato approvato il 19 gennaio 2015 con decreto del Presidente n. 013, previa deliberazione della Giunta Regionale 2641/2014.

L’allegato Norme di Attuazione, rispetto alle nuove derivazioni prevede quanto segue: Art. 43 Limitazioni alle nuove derivazioni 1. Non sono ammesse nuove concessioni a derivare che sottendano, in tutto o in parte, tratti di ricarica così come evidenziati nell’allegato 5.1. 2. Le acque dei tratti montani originati da sorgenti, come definiti nell’allegato 5.1, sono destinate esclusivamente all’uso potabile. 3. Sono vietate nuove derivazioni, ad eccezione di quelle ad uso idropotabile, il cui tratto sotteso ricade su di un corpo idrico classificato in stato ecologico ele- vato, salvo quanto previsto all’art. 77 comma 10 bis del D.LGS 152/2006. 4. Sono vietate nuove derivazioni il cui tratto sotteso ricade su di un corpo idrico classi- ficato in stato ecologico sufficiente, scarso o cattivo, ad eccezione dei seguenti casi: a) derivazione ad uso idropotabile; b) derivazioni con un tratto sotteso breve che utilizzano il salto di sbarramenti esistenti. 5. Sono vietate nuove derivazioni la cui opera di presa, ricadente su un tratto di fondo- valle, non sia impostata su traverse o briglie esistenti e a condizione che venga mantenuto inalterato il profilo longitudinale, la sezione e il salto.

L’art. 77 comma 10 bis del D.LGS 152/2006 prevede: 77. Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale … 10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui: (comma così sostituito dall'art. 3, legge n. 101 del 2008) a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono sta- to ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono do- vuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad altera- zioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei; b) l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni: 1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico; 2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni; 3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l'ambiente e la società, ri- sultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, siano inferiori rispet-

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to ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile; 4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori.

In base all’art. 77, comma 10bis, lettera b), punto 1) si evidenzia come siano state previste “le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico”, ed in particolare:  Il rilascio di un valore di Deflusso Minimo Vitale calcolato secondo quanto previsto dalla normativa e valutato idoneo anche dall’applicazione di un modello sperimentale sitospecifico.  La realizzazione di un passaggio per consentire la libera migrazione della fauna ittica. Si sottolinea inoltre come il tratto sia privo di potenziali elementi di pressione sulla qua- lità delle acque, che non sarà modificata dal prelievo idrico e che l’analisi modellistica del re- gime termico ha escluso anche problematiche dovute ad eccessive variazioni delle tempera- ture delle acque. In base all’art. 77, comma 10bis, lettera b), punto 3) si ricorda inoltre che il progetto in questione è finalizzato alla produzione di energia rinnovabile e senza generazione di gas ser- ra, con conseguenti vantaggi per l'ambiente e la società.

Sulla base di queste premesse si ritiene pertanto che il progetto in esame possa essere ritenuto conforme alle norme si salvaguardia del Piano di Tutela del- le Acque Regionale.

7.2. Potenziale interferenza del progetto con i siti di riferimento ARPA FVG ARPA FVG ha predisposto nel luglio 2013 un documento dal titolo: “Criteri di valutazio- ne della sostenibilità ambientale dei progetti di derivazione idrica sui corsi d’acqua superfi- ciali. Valutazione della funzionalità ecologica, idro-geomorfologica e idraulica”. In questo documento, sono descritti i criteri per valutare se i progetti di derivazione idrica sui corsi d’acqua superficiale garantiscano la sostenibilità ambientale e siano in linea con gli obbiettivi della WFD, del D.Lgs. 152/2006 e con l’obbiettivo della L.R. 28/2001; sono inoltre indicati i “criteri di esclusione”, di seguito dettagliati.

Criteri di esclusione In un corpo idrico dove sia stato individuato, ai sensi del D.Lgs.152/2006 e s.m.i., un sito di riferimento, non possono venir realizzate nuove derivazioni idriche. Nel caso la deriva- zione richiesta venga prevista su un corso d’acqua nel cui bacino a monte o in un tratto si- gnificativo del bacino di valle sia presente un sito di riferimento, deve essere valutata anche l’eventuale influenza dell’opera sulle condizioni di riferimento. Nell’Appendice 5 viene riporta- ta la lista dei siti di riferimento sino ad oggi individuati da ARPA-FVG; la presente lista verrà ampliata a seguito di valutazioni tuttora in corso.

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Nella lista dei 31 siti di riferimento individuati allo stato attuale da ARPA FVG, due di essi ricadono sull’asta del Torrente Arzino, come di seguito elencato.

CODICE ARPA FVG FIUME TIPOLOGIA MACROTIPO PN105 Torrente Arzino 02SS1T A1 (calcareo) PN026 Torrente Arzino 02SS2T A1 (calcareo)

In particolare, il sito di riferimento PN026 (ponte di Pert) si trova poco a monte del punto previsto di captazione delle acque per la centrale in progetto. Esso non subirà pertanto alterazioni dal punto di vista della portata naturale; l’unico effetto che potrebbe essere ipotiz- zato sulla zona campionata nell’ambito del sito di riferimento, è quello di essere lambito dal rigurgito a monte della traversa. La possibile lacustrizzazione del sito di indagine ARPA com- porterebbe una alterazione delle caratteristiche idraulico – morfologiche (riduzione di veloci- tà, incremento di profondità, deposizione di substrato più fine) e quindi delle caratteristiche del sito di riferimento. In fase di analisi degli impatti è stato però sottolineato come il feno- meno di rigurgito riguarderà un tratto di circa 200 m a monte della traversa di derivazione; dal momento che il punto di campionamento ARPA è situato a circa 500 m a monte del pun- to previsto di captazione, si può ritenere che sia le caratteristiche idrologiche che quelle idrauliche non saranno alterate dalla presenza e dal funzionamento dell’impianto in progetto. Si ricorda inoltre che il tratto derivato corrisponde al 18% della lunghezza complessiva del Torrente Arzino, che resterà quindi per la maggior parte inalterato.

Figura 32: ubicazione del sito di monitoraggio ARPA FVG PN26 (da http://www.arpaweb.fvg.it/asi/gmapsasi.asp)

SITO MONITORAGGIO ARPA FVG

PUNTO DI DERIVAZIONE PREVISTO

Sulla base di queste premesse si ritiene pertanto che il progetto in esame possa essere ritenuto compatibile rispetto alla presenza del sito di riferimento PN26 individuato da ARPA FVG.

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8. ALLEGATO METODOLOGICO

In questo paragrafo sono descritti i metodi utilizzati per la realizzazione del presente studio ambientale.

8.1. Indice di Funzionalità Fluviale (IFF)

L’Indice di Funzionalità Fluviale – IFF – (AA. VV., 2007; 2003) rappresenta un’evoluzione della scheda RCE-2 messa a punto da Siligardi & Maiolini (1993), rappresen- tante a sua volta un adattamento alla realtà dei corsi d’acqua alpini e prealpini dello RCE (“Riparian, Channel and Enviromental Inventory”), elaborato da Petersen nel 1982. L’IFF, ulteriormente aggiornato nella sua ultima versione del 2007, analogamente ai suoi “progenitori” valuta le caratteristiche dell’habitat fluviale e ripario ed è stato concepito per esprimere la qualità dell’ecosistema fluviale in termini di livello di “funzionalità idrobiolo- gica” del corso d’acqua. La scheda (Tabella 35:) si compone di 14 domande che appartengono a 4 diverse ca- tegorie sulla base degli aspetti che prendono in esame. Nel loro complesso queste domande consentono di indagare tutte le principali componenti dell’ecosistema fluviale, sia abiotiche che biotiche, per ciascuna delle quali vengono fornite 4 possibili risposte cui sono associati altrettanti punteggi. Una volta risposto alle domande, dalla somma dei singoli punteggi attri- buiti si otterrà il punteggio finale per ciascuna sponda, al quale corrisponderà una classe di funzionalità fluviale (Tabella 36). La compilazione della scheda deve essere riservata ad operatori di provata esperienza nel campo dell’ecologia fluviale: infatti, benché sia apparentemente di facile applicazione, il metodo presuppone adeguata preparazione scientifica, nonché capacità di osservazione e di ragionamento da parte del rilevatore.

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Sponda Domanda dx sx 1- Stato del territorio circostante Assenza di antropizzazione 25 25 Compresenza di aree naturali e usi antropici del territorio 20 20 Colture stagionali e/o permanenti; urbanizzazione rada 5 5 Aree urbanizzate 1 1 2- Vegetazione presente nella fascia perifluviale primaria Compresenza di formazioni riparie complementari funzionali 40 40 Presenza di una sola o di una serie semplificata di formazioni riparie 25 25 Assenza di formazioni riparie ma presenza di formazioni comunque funzionali 10 10 Assenza di formazioni a funzionalità significativa 1 1 2bis- Vegetazione presente nella fascia perifluviale secondaria Compresenza di formazioni riparie complementari funzionali 20 20 Presenza di una sola o di una serie semplificata di formazioni riparie 10 10 Assenza di formazioni riparie ma presenza di formazioni comunque funzionali 5 5 Assenza di formazioni a funzionalità significativa 1 1 3- Ampiezza delle formazioni funzionali presenti in fascia perifluviale Ampiezza cumulativa delle formazioni funzionali maggiore di 30 m 15 15 Ampiezza cumulativa delle formazioni funzionali compresa tra 30 e 10 m 10 10 Ampiezza cumulativa delle formazioni funzionali compresa tra 10 e 2 m 5 5 Assenza di formazioni funzionali 1 1 4- Continuità delle formazioni funzionali presenti in fascia perifluviale Sviluppo delle formazioni funzionali senza interruzioni 15 15 Sviluppo delle formazioni funzionali con interruzioni 10 10 Sviluppo delle formazioni funzionali con interruzioni frequenti o solo erbacea continua e consolida- 5 5 ta o solo arbusteti a dominanza di esotiche e infestanti Suolo nudo, popolamenti vegetali radi 1 1 5- Condizioni idriche dell’alveo Regime perenne con portate indisturbate e larghezza dell’alveo > 1/3 dell’alveo di morbida 20 Fluttuazioni di portata indotte di lungo periodo con ampiezza dell’alveo bagnato < 1/3 dell’alveo di 10 morbida o variazione del solo tirante idraulico Disturbi di portata frequenti o secche naturali stagionali non prolungate o portate costanti indotte 5 Disturbi di portata intensi, molto frequenti o improvvisi o secche prolungate indotte per azione an- 1 tropica 6- Efficienza di esondazione Tratto non arginato, alveo di piena ordinaria superiore al triplo dell’alveo di morbida 25 Alveo di piena ordinaria largo tra 2 e 3 volte l’alveo di morbida (o, se arginato, superiore al triplo) 15 Alveo di piena ordinaria largo tra 1 e 2 volte l’alveo di morbida (o, se arginato, largo 2 – 3 volte) 5 Tratti di valle a V con forte acclività dei versanti e tratti arginati con alveo di piena ordinaria < di 2 1 volte l’alveo di morbida 7- Strutture di ritenzione degli apporti trofici Alveo con massi e/o vecchi tronchi stabilmente incassati (o presenza di fasce di canneto o idrofite) 25 Massi e/o rami con depositi di materia organica (o canneto o idrofite rade e poco estese) 15 Strutture di ritenzione libere e mobili con le piene (o assenza di canneto e idrofite) 5 Alveo di sedimenti sabbiosi o sagomature artificiali lisce a corrente uniforme 1 8- Erosione delle rive Poco evidente e non rilevante o solamente nelle curve 20 20 Presente sui rettilinei e/o modesta incisione verticale 15 15 Frequente con scavo delle rive e delle radici e/o evidente incisione verticale 5 5 Molto evidente con rive scavate e franate o presenza di interventi artificiali 1 1 9- Sezione trasversale Alveo integro con alta diversità morfologica 20 Presenza di lievi interventi artificiali ma con discreta diversità morfologica 15 Presenza di interventi artificiali o con scarsa diversità morfologica 5

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Sponda Domanda dx sx Artificiale o diversità morfologica quasi nulla 1 10- Idoneità ittica Elevata 25 Buona o discreta 20 Poco sufficiente 5 Assente o scarsa 1 11- Idromorfologia Elementi idromorfologici distinti con successione regolare 20 Elementi idromorfologici distinti con successione irregolare 15 Elementi idromorfologici indistinti o preponderanza di un solo tipo 5 Elementi idromorfologici non distinguibili 1 12- Componente vegetale in alveo bagnato Periphyton sottile scarsa copertura di macrofite tolleranti 15 Film perifitico tridimensionale apprezzabile e scarsa copertura di macrofite tolleranti 10 Periphyton discreto o (se con significativa copertura di macrofite tolleranti) da assente a discreto 5 Periphyton spesso e/o elevata copertura di macrofite tolleranti 1 13- Detrito Frammenti vegetali riconoscibili e fibrosi 15 Frammenti vegetali fibrosi e polposi 10 Frammenti polposi 5 Detrito anaerobico 1 14- Comunità macrobentonica Ben struttura e diversificata, adeguata alla tipologia fluviale 20 Sufficientemente diversificata, ma con struttura alterata rispetto a quanto atteso 10 Poco equilibrata e diversificata con prevalenza di taxa tolleranti all’inquinamento 5 Assenza di una comunità strutturata; pochi taxa, tutti piuttosto tolleranti all’inquinamento 1 Tabella 35: scheda IFF

Valore di IFF Livello di funzionalità Giudizio di funzionalità Colore 261-300 I Ottimo 251-260 I-II Ottimo - buono 201-250 II Buono 181-200 II-III Buono - mediocre 121-180 III Mediocre 101-120 III-IV Mediocre – scadente 61-100 IV Scadente 51-60 IV-V Scadente – pessimo 14-50 V Pessimo Tabella 36: livelli di funzionalità dell’IFF

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8.2. Rilevamento delle unità di mesohabitat fluviale

Le caratteristiche morfologiche e idrauliche di un torrente sono elementi determinanti per la possibilità di colonizzazione da parte delle comunità biologiche e in particolare della fauna ittica, il cui svolgimento dell’intero ciclo vitale (alimentazione, accrescimento, riprodu- zione) richiede la presenza di diverse tipologie di habitat fluviale. Dal punto di vista della ecologia fluviale è particolarmente interessante lo studio della morfologia di un corso d’acqua a livello di mesohabitat, cioè su una scala spaziale nell’ordine della decina di metri, e con una durata temporale dell’ordine della decina di anni; gli elementi di mesohabitat, detti anche ”unità morfologiche”, sono riconducibili a quattro tipologie fon- damentali (White, 1973; Bisson et al., 1982; Marcus et al., 1990; Mc Cain et al., 1990): pool: raggruppa le tipologie caratterizzate da velocità di corrente moderata, acque re- lativamente profonde, fondo costituito da sedimento fine; riffle: indica tratti con corrente veloce, acqua poco profonda e substrati grossolani e duri. step pool: rapide disposte a scalinata, dove piccole pozze, poco profonde e posiziona- te dietro gruppi di massi, si susseguono alternativamente a corti tratti a pendenza più accen- tuata che vanno a formare delle piccole cascatelle. cascade: si riferisce a tutti quei tratti che non possono ospitare stabilmente pesci in quanto la velocità di corrente è eccessiva o la profondità d’acqua troppo scarsa; si tratta in genere di tratti con elevata pendenza, vere e proprie cascate o schiene di roccia viva e spes- so sono associati a discontinuità dell’alveo non superabili dai pesci. I riffle hanno caratteristiche idraulico - morfologiche (acque veloci e ossigenate, sub- strato grossolano che è ricco di interstizi e offre un’ampia superficie per la crescita del peri- phyton) particolarmente idonee alla colonizzazione da parte dei macroinvertebrati bentonici, e sono pertanto aree preferenziali per l’attività alimentare dei pesci, della cui dieta il macro- benthos è componente fondamentale. Essi rivestono, inoltre, una notevole importanza per l’attività riproduttiva di numerose specie ittiche (per esempio trote e temoli), le cui uova ven- gono deposte in substrati ghiaiosi e necessitano di un buon ricambio d’acqua; in tali aree si possono verificare temporanei addensamenti di individui adulti maturi nel periodo riprodutti- vo. Il valore biologico “assoluto” di un riffle dipenderà dalle sue caratteristiche: un tratto con substrato ciottoloso sarà meno favorevole alla riproduzione, ma potrà offrire più rifugi e maggiore disponibilità di macroinvertebrati, rispetto ad uno con substrato ghiaioso, più adat- to invece alla frega. Le pool forniscono rifugio dai predatori aerei e terrestri ai pesci di taglia maggiore, in particolare a quelli che fanno uso di tane come gli individui adulti di trota, che non trovano ripari idonei nelle acque basse dei riffle. In corsi d’acqua soggetti a notevoli riduzioni di por- tata, la presenza di pool con un sufficiente volume d’acqua di riserva è fondamentale per ga- rantire la sopravvivenza della fauna ittica nei periodi di magra, durante i quali le tipologie come i riffle possono essere soggette ad asciutte. Anche per le pool le diverse caratteristiche che le definiscono, quali la profondità massima e la presenza di rifugi, saranno determinanti nel definire il valore biologico che esse rivestono; è ovvio che una pool molto profonda sarà più importante per la sopravvivenza dei pesci rispetto ad una pool più bassa. Alcune pool, inoltre, terminano con una zona di acque veloci e poco profonde, mostrando una conforma- zione tale da consentire la riproduzione delle trote grazie alla possibilità di ospitare al con- tempo i riproduttori e la zona di frega.

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Sulla base di quanto esposto appare evidente che un habitat fluviale ottimale dovrà es- sere caratterizzato da un elevato grado di diversità idraulico - morfologica al suo interno: sa- rà necessaria la presenza di zone a riffle dove sia possibile svolgere l’attività alimentare e la deposizione delle uova, ma anche di pool ad esse contigue e collegate (dal punto di vista del- la percorribilità ittica), dove gli adulti possano trovare rifugio. La presenza di cascade può es- sere un fattore limitante per lo sviluppo della fauna ittica in un tratto di corso d’acqua se ne determinano una eccessiva frammentazione dal punto di vista della percorribilità ittica (spe- cialmente se si frappongono tra aree di frega e aree normalmente abitate dai riproduttori) o qualora ne rappresentino una vasta superficie, che di fatto non è disponibile alla colonizza- zione da parte dei pesci.

Operativamente la mappatura del mesohabitat avviene identificando le singole unità morfologiche e misurandone lunghezza e larghezza media, tramite telemetro laser o corda metrata. Ove è possibile percorrere il segmento di corso d’acqua studiato o un suo tratto rappresentativo, la composizione del mesohabitat sarà espressa in termini di percentuale di superficie rappresentata per ciascuna tipologia di unità morfologica. Nei casi in cui non sia possibile percorrere il corso d’acqua, si potrà fornire una stima descrittiva della presenza del- le diverse tipologie, con un opportuno corredo fotografico a supporto di quanto riportato.

Figura 33: schema di una sequenza tipo riffle-pool-run

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8.3. Strumentazione scientifica utilizzata per le indagini chimico - fisiche La misurazione della portata fluente in alveo è stata effettuata mediante lo strumento “Sonteck/YSI FlowTracker” (correntometro a effetto Doppler). Le caratteristiche chimico-fisiche delle acque in campo (temperatura, ossigeno disciol- to, conducibilità e pH) sono state rilevate con sonda multiparametrica YSI Professional Plus. Le analisi chimiche di laboratorio sono state effettuate con Spettrofotometro Hatch- Lange DR3800. 8.4. L’indice Biotico Esteso - IBE L’Indice Biotico Esteso IBE (Ghetti, 1995, 1997) è una rielaborazione dell’indice EBI (“Extended Biotic Index”), messo a punto nella sua versione originale da Woodiwiss nel 1978 e successivamente adattato all’impiego nelle acque italiane da Ghetti (1986). Il principio metodologico dell’IBE è basato sull’analisi qualitativa della comunità macro- bentonica; in particolare lo stato di salute dell’ecosistema fluviale viene messo in relazione alla diversa sensibilità di alcuni gruppi di macroinvertebrati la cui presenza / assenza costitui- sce una prima indicazione sull’entità del degrado ambientale, nonché al numero complessivo di unità sistematiche (taxa) che costituiscono la comunità macrobentonica e che, di norma, diminuisce in presenza di inquinamento. La sua applicazione consente di valutare il grado d'integrità ambientale di un corso d’acqua e di attribuirlo, mediante l'assegnazione di un pun- teggio, ad una determinata classe di qualità biologica. La determinazione del valore di indice IBE da attribuire ad una determinata sezione di corso d’acqua, si basa su una matrice a doppia entrata (Tabella 38). In ordinata vi sono indi- cati i gruppi di macroinvertebrati elencati in ordine decrescente di sensibilità agli effetti delle variazioni ambientali. In ascissa sono riportati gli intervalli numerici che fanno riferimento al numero complessivo di unità sistematiche ritrovate durante il campionamento nel tratto d’acqua in oggetto. Dal valore ottenuto attraverso l’uso della matrice a doppia entrata, prendendo in consi- derazione la Tabella 37 che pone in relazione il valore di IBE con le classi di qualità, sarà possibile esprimere un giudizio sintetico circa la qualità delle acque.

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IBE Classe Qualità dell'acqua Giudizio Colore 10 + I Buona Ambiente non inquinato o comunque non alterato in modo sensibile 8-9 II Accettabile Ambiente con moderati sintomi di inquinamento o di alterazione 6-7 III Dubbia Ambiente inquinato o comunque alterato 4-5 IV Critica Ambiente molto inquinato o comunque molto alterato 0-1-2-3 V Molto critica Ambiente fortemente inquinato o fortemente alterato Tabella 37: classi di qualità e relativo giudizio, secondo l’indice IBE

Numero totale delle Unità Sistematiche Gruppi faunistici costituenti la comunità (primo ingresso) (secondo ingresso) 0 - 1 2 – 5 6 - 10 11 - 15 16 - 20 21 - 25 26 - 30 31 - 35 Più di una U.S. - - 8 9 10 11 12 13 Plecotteri (Leuctra°) Una sola U.S. - - 7 8 9 10 11 12 Efemerotteri Più di una U.S. - - 7 8 9 10 11 12 (Baetidae e Caenidae°°) Una sola U.S. - - 6 7 8 9 10 11 Più di una U.S. - 5 6 7 8 9 10 11 Tricotteri Una sola U.S. - 4 5 6 7 8 9 10 Gammaridi, Atiidi e Pale- Tutte le U.S. sopra - 4 5 6 7 8 9 10 monidi assenti Tutte le U.S. sopra Asellidi - 3 4 5 6 7 8 9 assenti Tutte le U.S. sopra Oligocheti o Chironomidi 1 2 3 4 5 - - - assenti Possono esserci or- Tutti i taxa precedenti as- ganismi a respirazione 0 1 ------senti aerea Tabella 38: matrice per il calcolo del valore di IBE (Indice Biotico Esteso)

Note: ° : nelle comunità in cui Leuctra è presente come unico taxon di Plecotteri, e sono contempora- neamente assenti gli Efemerotteri (tranne Baetidae e Caenidae), Leuctra deve essere considerata al livello dei Tricotteri al fine dell’entrata orizzontale in tabella. °°: per le famiglie di Efemerotteri Baetidae e Caenidae, l’ingresso orizzontale avviene al livello dei Tricotteri.

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8.5. Il metodo di campionamento multihabitat APAT- ISPRA e l’Indice STAR_ICMi per la valutazione della comunità macrobentonica Il campionamento della comunità macrobentonica indagata secondo quanto previsto dal “Protocollo di campionamento dei macroinvertebrati bentonici dei corsi d’acqua guadabili” disponibile nel sito http://www.apat.gov.it/site/it- IT/APAT/Pubblicazioni/metodi_bio_acque.html. Il campionamento di macroinvertebrati è stato effettuato mediante apposito retino Surber immanicato; il prelievo è avvenuto all’interno dei microhabitat identificati come rap- presentativi tra quelli rilevati (cioè con superficie pari ad almeno il 10% di quella complessiva del tratto indagato). I campioni,dopo un esame preliminare in campo, sono stati fissati in formalina al 4% e successivamente riesaminati in dettaglio in laboratorio, con l’ausilio di uno stereomicroscopio e di un microscopio ottico, al fine di raggiungere il livello di classificazione tassonomica prevista dal metodo APAT. Oltre all’identificazione, si è provveduto al conteggio degli individui catturati; l’area indagata è pari ad 1 m2 per ciascuno sito di indagine. Nella Tabella 39 sono elencate e descritte le diverse tipologie di microhabitat che si possono rinvenire in alveo.

Microhabitat Codice Definizione substrato Igropetrico IGR Igropetrico strato d’acqua su roccia spesso ricoperta da muschi Megalithal MGL Megalithal massi che superano i 40 cm* Macrolithal MAC Macrolithal massi compresi tra 20 e 40 cm* Mesolithal MES Mesolithal ciottoli compresi tra 6 e 20 cm* Microlithal MIC Microlithal ghiaia compresa tra 2 e 6 cm* Ghiaia GHI Ghiaia fine (tra 2 mm e 2 cm) Sabbia SAB Sabbia ( tra 6μ e 2 mm) Argilla ARG Argilla (minore di 6μm) Artificiale ART Artificiale Alghe AL Macro-micro alghe verdi visibli macroscopicamente Macrofite sommerse SO Macrofite sommerse inclusi muschi e Characeae Macrofite emergenti EM Macrofite emergenti (Thypha, Carex, Phragmites) Terrestri TP Parti vive di piante terrestri radici fluitanti di vegetazione riparia Xylal (legno) XY Xylal (legno) legno morto, rami, radici CPOM CP CPOM depositi di materiale organico grossolano FPOM FP FPOM depositi di materiale organico fine Film Batterici BA Film batterici, funghi e sapropel *: le dimensioni si riferiscono all’asse intermedio Tabella 39: tipologia dei microhabitat rinvenibili e breve descrizione

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Il sistema di classificazione utile per la definizione dello stato ecologico dei campioni prelevati secondo il protocollo A.P.A.T. è denominato MacrOPer (Buffagni, Erba e Pagnotta, 2008). Tale sistema combina le informazioni relative ad i seguenti elementi fondamentali:  sistema tipologico nazionale;  limiti di classe definiti all’interno del processo di intercalibrazione europeo;  valori numerici di riferimento tipo specifici per sei metriche selezionate;  calcolo dell’indice STAR_ICMi; Il conteggio effettuato in laboratorio viene informatizzato esprimendo, per ogni fami- glia, l’abbondanza in termini di densità/m2. E’ successivamente applicato a questi dati l’indice STAR_ICMi (Indice multimetrico STAR di Intercalibrazione). L’indice è composto di sei metriche (Tabella 40), le quali forni- scono informazioni in merito ai principali aspetti che la Direttiva Quadro chiede di considerare per gli organismi macrobentonici.

Tabella 40: metriche che compongono lo STAR_ICMi e peso loro attribuito nel calcolo (da Buffagni, Erba e Pagnotta, 2008)

I valori di queste metriche, opportunamente normalizzati e ponderati, si combinano ad esprimere il Rapporto di Qualità Ecologica (RQE), che assume valori compresi fra 0 e +1. Per quanto riguarda i valori numerici di riferimento tipo-specifici per le sei metriche e per lo stesso STAR_ICMi, esse sono attualmente in attesa di un’approvazione formale da par- te di MATTM e Regioni interessate. La classificazione effettuata nel presente studio è pertan- to da ritenersi provvisoria, essendo basata sulle bozze dei documenti in circolazione, non an- cora ufficializzati.

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8.6. Il metodo di campionamento APAT-ISPRA e l’Indice STAR_ICMi per la valutazione delle diatomee Ad oggi, l’unico indice diatomico messo a punto in Italia e applicato principalmente ai corsi d’acqua appenninici e ad alcuni corsi d’acqua di tipologia alpina, è l’indice di eutrofizza- zione e polluzione diatomico (Eutrophication Pollution Index based on Diatom- EPI-D) svi- luppato nel 2004 da Dell’Uomo. In considerazione sia delle richieste della Direttiva sia delle differenti caratteristiche idrogeologiche dei corsi d’acqua italiani, è stato recentemente pro- posto, in via sperimentale, un nuovo metodo per la valutazione dello stato ecologico delle comunità diatomiche, l’Intercalibration Common Metric Index - ICMi (Mancini & Sollazzo, 2009). Il campionamento e l’analisi delle diatomee viene effettuato seguendo il “protocollo di campionamento dei corsi d’acqua” pubblicato sul sito dell’Ispra (ex Apat) alla pagina http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/metodi_bio_acque.html che si basa sul- le norme standard europee (CEN EN 13946,2003; CEN EN 14407, 2004). Il campionamento delle diatomee epilitiche viene effettuato attraverso la raccolta di 4 o 5 massi o ciottoli, che vengono ripuliti con l’ausilio di uno spazzolino e lavati con acqua. Per la conservazione del materiale raccolto viene poi aggiunto etanolo al 70%. Dopo la necessa- ria preparazione in laboratorio, con l’ausilio di un microscopio ottico dotato di obiettivo 1000X ad immersione, si procede all’identificazione delle Diatomee, sulla base dell’osservazione dei frustoli di cui viene analizzata la morfologia. Gli individui vengono identificati a livello di spe- cie e varietà, seguendo principalmente le chiavi dicotomiche di Krammer et Lange Bertalot (1997-2004) e per ogni campione devono essere contati 400 valve come previsto dalle nor- me standard (UNI EN 14407:2004). L’ICMi è un indice multi metrico composto dall’Indice di Sensibilità agli Inquinanti IPS sviluppato in Francia dal Cemagref (1982) e dall’Indice Trofico TI di Rott (Rott et al., 1999). L’IPS (Index de Pollo Sensibilité) è un indice saprobico che tiene conto della sensibilità delle specie all’inquinamento organico, mentre l’indice TI valuta principalmente l’arricchimento naturale in nutrienti e l’inquinamento trofico. Entrambi gli indici prevedono l’identificazione delle diatomee al livello di specie e attribuiscono a ciascuna di esse un valore di sensibilità (affinità/tolleranza) all’inquinamento e un valore di affinità come bioindicatore.

Il valore dell’IPS5 viene calcolato attraverso la formula di Zelinka e Marvan:

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Successivamente l’IPS5 viene convertito in classe 20 con la seguente formula: IPS=(4.75 x IPS5)-3.75 Anche l’indice TI si basa sulla formula di Zelinka e Marvan:

L’ICMi è dato dalla media aritmetica degli RQE (Rapporto di Qualità Ecologica), cioè del rapporto fra il valore osservato ed il valore di riferimento del “quality element” considerato, della somma dei due indici IPS e TI:

Gli RQE dei due indici vengono calcolati nel seguente modo:

I valori di riferimento degli indici IPS e TI per i diversi tipi fluviali sono riportati di se- guito.

Macrotipo fluviale IPS TI A1 18.4 1.7 A2 19.6 1.2 C 16.7 2.4 M1 17.15 1.2 M2 14.8 2.8 M3 16.8 2.8 M4 17.8 1.7 M5 16.9 2.0 Tabella 41: limiti di classe per i diversi macrotipi fluviali

Lo stato ecologico viene quindi espresso attraverso il Rapporto di Qualità Ecologica, fra le comunità osservate e quelle di riferimento. I limiti delle classi di qualità sono riportate nel- la tabella seguente:

Macrotipi E/B B/S S/S S/C A1 0.87 0.70 0.60 0.30 A2 0.85 0.64 0.54 0.27 C 0.84 0.65 0.55 0.26 M1-M2-M3-M4 0.80 0.61 0.51 0.25 M5 0.88 0.65 0.55 0.26 Tabella 42: limiti di classe per i diversi macrotipi fluviali

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8.7. Il Modello Qual2 In questo capitolo sono presentate in modo le modalità di applicazione del modello QUAL2 per lo studio della qualità delle acque. Il QUAL2K è la più recente versione del precedente QUAL2E (Enhanced Stream Water Quality Model, Brown & Barnwell, 1987), un modello matematico per la simulazione della qualità delle acque in reti fluviali, a sua volta un’estensione del precedente QUAL-II (1972) e del QUAL-I (1970). L’attuale versione, QUAL2K 2.11b, risale al 2008 (Chapra et al, 2008; la maggiore innovazione di quest’ultima versione è rappresentata dal fatto che funziona in Ex- cel, rendendo più agevole e versatile l’interfaccia con l’utente e superando alcune limitazione delle versioni più vecchie rispetto p.e. alla schematizzazione dei tratti fluviali. I pregi del suddetto modello sono il suo livello avanzato, la sua completezza e la sua vasta diffusione e applicazione, soprattutto negli Stati Uniti. Il modello è in grado di simulare l’andamento spazio-temporale di 15 componenti, eventualmente combinati a discrezione dell’operatore, lungo un sistema fluviale, anche rami- ficato e sono: 1. ossigeno disciolto (DO); 2. domanda biochimica di ossigeno (BOD); 3. temperatura; 4. alghe come clorofilla-a; 5. azoto organico; 6. ammoniaca; 7. nitriti; 8. nitrati; 9. fosforo organico; 10. fosforo disciolto; 11. coliformi; 12. un componente non conservativo (a scelta); 13. tre componenti conservativi (a scelta). Volendo fare un primo breve cenno alle principali opzioni consentite dal modello, si ri- cordano in particolare le seguenti funzionalità: l’applicabilità all’intero bacino idrografico del corso d’acqua (simulazione della rete), l’analisi statistica dell’incertezza, il calcolo della porta- ta incrementale necessaria per il raggiungimento di un livello predeterminato di DO in caso di deficit e la possibilità di operare sia in condizioni stazionarie sia dinamiche. In quest’ultimo caso, si possono prevedere non solo gli effetti sulla qualità idrica (temperatura ed ossigeno) ma anche le variazioni giornaliere di DO dovute alla crescita e alla respirazione algali in fun- zione delle variazioni giornaliere delle condizioni meteorologiche, che sono le sole funzioni forzanti variabili con il tempo. Il modello è in grado inoltre di simulare scenari che prevedono la presenza di scarichi, prelievi localizzati, immissioni, perdite distribuite e tributari non simu- lati. Rappresentazione concettuale Per modello s’intende una sequenza di equazioni che descrivono più o meno semplice- mente lo sviluppo di processi fisici, chimici e biologici. Naturalmente, quanto più realistica è la descrizione dei processi, tanto più complessa è in genere la struttura analitica del modello. E’ quindi necessario operare alcune semplificazioni, purché queste non distorcano l’evoluzione reale dei processi. La fase concettuale consiste proprio nell’approssimare il sistema reale con uno schema più semplice; per quel che concerne più specificatamente QUAL2, ciò significa sia sviluppare una rappresentazione semplificata del bacino idrografico e del suo bilancio idrico mediante

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una rete idraulica monodimensionale, sia per quanto riguarda la moltitudine di variabili di qualità, selezionare quelle maggiormente significative per il caso specifico. Il sistema fluviale o parte di esso viene, infatti, concettualizzato mediante una semplifi- cazione grafica, alla stregua di una rete ramificata monodimensionale. Ciò implica una sua suddivisione in porzioni più piccole detti tratti (nella vecchia versio- ne a loro volta suddivisi in elementi discreti tutti della medesima lunghezza, con la versione QUAL2Kw questa restrizione è superata). E’ di rilevante importanza sottolineare che ciascun elemento computazionale è considerato come un reattore chimico con uniformi caratteristi- che idrauliche, geometriche (forma e dimensione della sezione, pendenza dell’alveo, rugosi- tà) e bio-chimiche (tasso di decadimento del BOD, tasso di crescita algale, tasso di decadi- mento algale, ecc.) e che tutti gli elementi appartenenti allo stesso tratto presentano queste stesse caratteristiche. Gli elementi inoltre sono connessi tra loro sequenzialmente per la si- mulazione dei meccanismi di trasporto e dispersione. Gli elementi possono essere di sette tipi diversi:  sorgente (è sempre il primo elemento dell’asta fluviale principale e di ogni af- fluente);  elemento standard (qualifica un elemento che non appartiene a nessun tipo ri- manente);  elemento immediatamente a monte di una confluenza;  elemento di giunzione (in cui entra un affluente);  elemento finale (l’ultimo elemento nel sistema fluviale);  immissioni (scarichi concentrati e tributari non simulati);  prelievi (pozzi e captazioni localizzati).

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Figura 34: semplificazione del sistema fluviale e sua rappresentazione concettuale

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Rappresentazione funzionale Essa consiste nel definire, per ogni elemento computazionale, un bilancio idrologico in termini di portata, un bilancio di massa in termini di concentrazione ed infine un bilancio termico in termini di temperatura. Ciò comporta la traduzione delle caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche, dei processi e delle condizioni al contorno in un sistema di equazioni algebriche. E’ necessario quindi definire esattamente ogni variabile e ogni sua relazione con gli altri parametri che caratterizzano il modello. Bilancio idrologico QUAL2 si limita a simulare i costituenti della qualità fluviale per periodi durante i quali le portate della sorgente, dei tributari e delle immissioni e dei prelievi siano essenzialmente costanti nel tempo. Si assume in pratica che il regime idraulico sia stazionario, ossia che dQ/dt = 0, per cui il bilancio idrologico di ogni elemento fluviale può essere scritto semplice- mente come:

 Q     Qx i (2.1)  x i dove con (Qx)i si è indicata la somma di tutte le immissioni e/o prelievi nell’elemento i- esimo considerato. Una volta risolta la (2.1) rispetto a Q, sono determinabili le altre seguenti caratteristiche idrauliche con le relazioni:

b u  aQ (2.2)

Q A  (2.3) X u

 d  Q (2.4)

dove a, b,  e  sono costanti empiriche (determinabili da curve sperimentali) che de- vono essere fornite dall’utente, d è la profondità dell’alveo (m), u la velocità media (m s-1) ed 2 AX l’area della sezione trasversale (m ). Se non sono disponibili la (2.1) e la (2.4) e, al contrario, sono note le caratteristiche geometriche dell’alveo, espresse in funzione della profondità d, si approssima la sezione tra- sversale del fiume ad una sezione trapezioidale e la velocità u si ottiene dalla risoluzione dell’equazione di Manning: 1 2 1 Q   A  R 3  Se 2 n X X (2.5) con RX raggio idraulico (m), n coefficiente di scabrezza di Manning (adimensionale), Se pendenza del pelo libero (m/m), poiché Q u  AX (2.6) La portata, la velocità, l’area della sezione trasversale e la profondità sono informazioni indispensabili alla successiva determinazione dei flussi di massa e di calore tra gli elementi.

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Bilancio di massa Il bilancio di massa consente di determinare, per ogni elemento, la concentrazione dei costituenti conservativi, dei batteri coliformi e degli elementi non conservativi. Esso com- prende sia i processi di trasporto di massa, sia le trasformazioni dei nutrienti, la produzione algale, la domanda bentica e carbonacea di ossigeno, la riareazione atmosferica e gli effetti di questi processi sulla concentrazione di ossigeno disciolto. L’equazione di base risolta da QUAL2 è l’equazione di avvezione-dispersione monodi- mensionale per il trasporto di massa, che è integrata nello spazio e nel tempo per ogni costi- tuente. La suddetta equazione include gli effetti di avvezione, dispersione, diluizione, reazioni e interazioni tra i costituenti e termini di sorgente/prelievi Assumendo che la portata del fiume sia costante, cioè dQ/dt = 0 analiticamente essa si esprime per mezzo dell’equazione di continuità che per ogni costituente ha la seguente for- ma:

 C   A  D   x L  C 1  x  1  AX u C dC s       (2.7) t AX x AX x dt V

con C concentrazione (Kg m-3), x distanza (m), t tempo (s), AX area sezione trasversale (m2), DL coefficiente di dispersione (m2 s-1), u velocità media della corrente (m s-1), s immis- sioni esterne o prelievi (Kg s-1) e V volume incrementale (m3). Il termine sulla destra dell’equazione rappresenta rispettivamente dispersione, avvezio- ne, variazioni del costituente, sorgenti esterne/prelievi e diluizione. Il termine dC/dt si riferi- sce solamente a variazioni del singolo costituente, come l’aumento e il decadimento, e non deve essere confusa con il termine C/t, il gradiente locale di concentrazione, che sotto condizioni di stato stazionario diventa uguale a zero, ossia C/t = 0.

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Figura 35: rappresentazione concettuale di un tratto modellizzato

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Reazioni ed interazioni tra i costituenti Ossigeno disciolto (DO) Il principale indicatore di qualità fluviale è il tenore di ossigeno disciolto, il quale è lega- to a tutta una serie di processi e di fattori di cui i principali sono la respirazione di animali e piante, la fotosintesi, la riareazione atmosferica, la domanda biochimica di ossigeno, la do- manda bentica di ossigeno, la nitrificazione, la temperatura, la salinità e la pressione. Il modello QUAL2 considera le fondamentali interazioni fra i cicli dei nutrienti, la produ- zione algale, la domanda bentica di ossigeno, la domanda di BOD carbonaceo, la riareazione atmosferica e le loro implicazioni sull’ossigeno disciolto. Il modello QUAL2 tiene conto dell’ossigenazione dovuta alla riareazione atmosferica e alla fotosintesi, e della deossigena- zione dovuta alla respirazione, all’ossidazione biochimica delle materie organiche carboniose ed azotate ed alla domanda bentica di ossigeno. L’equazione di continuità è la seguente:

dO K  K (O * O )  (     )A  K L  4    N    N (2.8) dt 2 3 4 1 d 5 1 1 6 2 2

con: - O = concentrazione di DO (mg l-1); - O* = concentrazione alla saturazione nelle condizioni reali di pressione e tempe- ratura (mg -1); - = tasso di produzione di ossigeno per unità di fotosintesi algale (mg-O/mg-A); - = domanda di ossigeno per unità algale (mg-O/mg-A); - = domanda di ossigeno per l’ossidazione dell’ammoniaca (mg-O/mg-N); - = domanda di ossigeno per l’ossidazione dei nitriti (mg-O/mg-N); -  = tasso di crescita algale, legato alla temperatura (g-1); -  = tasso di respirazione algale, legato alla temperatura (g); - A = concentrazione di biomassa algale (mg-A l-1); -1 - L = concentrazione del BOD (mg l-1); - d = profondità media della corrente (m); - K1 = tasso di deossigenazione per l’ossidazione del BOD carbonioso, legato alla temperatura (g-1); - K2 = tasso di riareazione, legato alla temperatura (g-1); - K4 = domanda di ossigeno bentico, legata alla tempera tura (g m-2 g-1); -  1 = coefficiente di ossidazione ammoniacale (g-1); - 2 = coefficiente di ossidazione dei nitriti (g-1); - N1 = concentrazione di azoto ammoniacale (mg-N l-1); - N2 = concentrazione dei nitriti (mg-N l-1). La solubilità in acqua del DO diminuisce con l’aumentare della temperatura e della con- centrazione dei solidi disciolti e con il diminuire della pressione atmosferica. La concentrazione a saturazione dell’ossigeno viene valutata dal modello QUAL2 con le seguente equazione nelle condizioni standard :

 105   107   1010   1011  lnO*  139.35  1.58   6.64    1.24    8.62   T   T 2   T 3   T 4  (2.9)

dove GRAIA SRL, via Repubblica 1, Varano Borghi (VA)

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- O*= concentrazione dell’ossigeno all’equilibrio a 1 atm (mg l-1); - T = temperatura (°K). BOD carbonioso Il modello QUAL2 simula l’andamento del BOD ultimo, come processo di degradazione di primo ordine, secondo la seguente relazione:

dL  k L  k L (2.19) dt 1 3

con: -L = concentrazione di BOD ultimo carbonioso (mg l-1); -K1 = tasso di deossigenazione, legato alla temperatura (g-1); -K3 = tasso di perdita del BOD per la sedimentazione (g-1). Da rilevare che il modello utilizza come variabile il BOD ultimo ma, qualora si volesse fare uso del BOD5 sia in input sia come output del modello, quest’ultimo effettua automati- camente la conversione:

BOD5  BOD1.0  exp(5KBOD) (2.20)

con: -BOD5 = BOD dopo 5 giorni (mg l-1); -KBOD = coefficiente di conversione del BOD (g-1).

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Bilancio termico Il modello QUAL2 simula la temperatura facendo un bilancio termico per ogni elemento del sistema, considerando gli scambi termici tra atmosfera e superficie dell’acqua. Sono considerate le radiazioni solari ad onde corte e lunghe, i flussi legati alla conve- zione ed all’evaporazione:

H n  H sn  H a  Hb  Hc  He (2.24)

con: -2 -1 -Hn = flusso netto di calore che passa dall’aria all’acqua (BTU m g );

-Hsn = onde corte della radiazione solare al netto, dopo aver tolto l’assorbimento, la diffusione e la riflessione (BTU m-2 g-1); -2 -1 -Han = onde lunghe della radiazione dopo la riflessione (BTU m g ); -2 -1 -Hb = onde lunghe di ritorno della radiazione BTU m g ); -2 -1 -Hc = flusso convettivo di calore (BTU m g ); -2 -1 -He = calore perso con l’evaporazione (BTU m g ).

Figura 36 scambi termici tra l’atmosfera e la superficie liquida

Per quanto riguarda le modalità di calcolo delle variabili ora definite, Hsn dipende dall’altezza del sole (variabile giornalmente e durante le stagioni), dalla dispersione e

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dall’assorbimento in atmosfera, dovuto alla copertura nuvolosa, nonché dalla riflessione sullo specchio liquido: 2 H sn  H0at (1 Rs )(1 0.65CL ) (2.25) con:

- Ho = flusso di radiazione che raggiunge l’atmosfera terrestre (BTU m-2 g-1);

- at = termine di trasmissione atmosferica (adimensionale);

- Rs = coefficiente di riflessione o albedo (adimensionale);

- CL = frazione di cielo coperto dalle nuvole (adimensionale). A loro volta tutti questi parametri vengono valutati con altre equazioni proposte dalla Water Resources Engineers, per risolvere le quali, l’operatore deve indicare il giorno dell’anno della simulazione, la longitudine, la latitudine e la quota della località in esame ed, infine, la nuvolosità del cielo. Per quanto concerne Han, questo è determinato con l’equazione: 6 6 2 H an  (2.9810 )(Ta  460) (1.0  0.17CL )(1 RL ) (2.26) con:

- RL = riflessività delle radiazioni atmosferiche da parte della superficie acquosa pari a 0.03 (adimensionale);

- CL = frazione di cielo coperto (adimensionale);

- Ta = temperatura dell’aria sopra lo specchio d’acqua (°C); - = costante di Stefan-Boltzman (1.3807·10-23 J K-1).

Il calore Hb ceduto dalla corrente liquida con le onde lunghe di ritorno, è quantificabile con la seguente espressione: 4 Hb  0.97(Ts  460) (2.27) con: - Ts = temperatura dell’acqua in superficie (°F).

Più complessa è la valutazione del calore He ceduto per evaporazione, che si esegue con la seguente:

H e  H L E (2.28) con: - E = tasso di evaporazione (m h-1);

- HL = calore latente di evaporazione, a sua volta uguale a 1098 - 0.5 Ts; Anche questi parametri sono calcolati dal modello con equazioni che necessitano che l’operatore indichi la temperatura dell’aria, la velocità del vento e la pressione barometrica. Infine, per quanto riguarda il calore Hc ceduto dalla superficie liquida per convezione, essa risulta solamente funzione della temperatura dell’aria e della superficie liquida. E’ necessario ora valutare il collegamento tra la temperatura e gli altri processi simulati da QUAL2. Le costanti cinetiche relative ai processi chimico-fisico-biologici considerati dal modello sono dipendenti dalla temperatura secondo la seguente relazione:

(T 20) X T  X 20T (2.29) con:

- XT = valore della variabile alla temperatura locale T;

- X20 = valore della variabile alla temperatura di 20°C; -  = costante empirica per ogni variabile dipendente dalla temperatura.

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Si noti che i valori dei fattori di correzione per la temperatura, , possono essere speci- ficati dall’utente. Per simulare la temperatura lungo il corso fluviale, vale ancora l’equazione di continuità precedentemente considerata (2.7):  C    A  D   C 1 x L x 1  A u C dC s       X   (2.30) t AX x AX x dt V in cui C è però la concentrazione di calore, legata alla temperatura dalla:

C  c(T T0 ) (2.31) con: -  = densità dell’acqua (kg m-3); -  = calore specifico dell’acqua(J kg-1 g-1); - T = temperatura dell’acqua (°C);

- To = temperatura di riferimento arbitraria (°C). Differenziando la (2.31) rispetto al tempo, considerando costanti  e  e nulla la varia- zione interna di calore nel tempo (calore prodotto dalla dissipazione viscosa dell’energia e per attrito al confine tra acqua e alveo sottostante), cioè dC/dt = 0, sostituendo nella (3.30), si ottiene la seguente espressione:  T    A D    A u T T 1  x L x  1   1 s   x  (2.32) t A x A x c V x x una volta posto: s s H (Wdx) H   N  N (2.33) V A dx A dx d x x con:

- dx = lunghezza elementare del tratto considerato (m); - W = larghezza media della superficie fluviale (m); -2 -1 - Hn = flusso netto di calore transitante dall’aria all’acqua (BTU m g ); - u = velocità media della corrente (m s-1); -2 - Ax = area della sezione trasversale (m ); - d = profondità media della corrente (m); 2 -1 - DL = coefficiente di diffusione (m s ); - T = temperatura (°C).

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Figura 37: interazioni fra le principali componenti nel modello QUAL2

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9. BIBLIOGRAFIA

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