Prof. Monti – classe IV – – a.s. 2016/2017

Francis Bacon 1561 - 1626

1. IL PROFETA DELLA TECNICA

Se Galileo ha chiarito il metodo della ricerca scientifica, Bacon ha intravisto per primo e in modo chiaro il potere che la scienza offre sulla natura e, in questo senso, l’ha concepita come orientata alla realizzazione del regnum hominis.

Nato a Londra, studiò a Cambridge e trascorse poi alcuni anni a Parigi al seguito dell’Ambasciatore d’Inghilterra. Di ritorno in patria volle intraprendere la carriera politica, ma non poté ottenere incarichi importanti sino a che visse la regina Elisabetta. Salito al trono Giacomo I, nel 1603, Bacon seppe sfruttare l’appoggio del favorito del re, Lord Buckingham, per ottenere cariche e onori. Venne così nominato avvocato generale (1607), poi procuratore generale (1613), infine Lord Guardasigilli (1617) e Lord Cancelliere (1618). Divenne anche Barone di Verulamio e Visconte di S. Albano. Quando Giacomo I, nel 1621, dovette convocare il parlamento per chiedere l’imposizione di nuove tasse, Bacon fu accusato di avere accettato doni in denaro nell’esercizio delle sue funzioni e si ammise colpevole. A questo punto Bacon decise di ritirarsi dalla vita politica e trascorse negli studi gli ultimi anni della sua vita.

La sua carriera politica, come abbiamo visto, fu quella di un cortigiano abile e senza scrupoli. Uomo amante del denaro e della bella vita, ebbe una concezione altissima dell’utilità e del valore della scienza in servizio dell’uomo e dei suoi bisogni. Tutte le sue opere, non a caso, tendono a illustrare il progetto di una ricerca scientifica che, portando il metodo sperimentale in tutti i campi della realtà faccia di questa il “dominio dell’uomo”. La scienza, nella concezione baconiana, avrebbe dovuto attraverso la tecnica fornire all’uomo il dominio di ogni parte del mondo naturale.

Quando, nella sua Nuova Atlantide, Bacon volle dare l’immagine di una città ideale (ricorrendo al pretesto, già adoperato da Thomas Moore nella sua Utopia, della descrizione di un’isola sconosciuta), non si limitò a vagheggiare forme di vita sociali e politiche perfette, ma immaginò un paradiso della tecnica dove fossero portate a compimento le invenzioni e i ritrovati di tutto il mondo. L’isola – Atlantide, appunto – altro non era se non un enorme laboratorio sperimentale i cui abitanti cercano di conoscere tutte le forze della natura per estendere il dominio dell’uomo. I numi tutelari dell’isola erano i grandi inventori di ogni paese, le reliquie erano gli esemplari di tutte le più rare e grandi invenzioni.

L’attenzione di Bacon non si rivolse, però, solo alle scienze della natura – la sua prima opera, Saggi, era infatti costituita da sottili ed erudite analisi di vita morale e politica – ma la sua maggiore attività fu dedicata al progetto di una grandiosa enciclopedia delle scienze, capace di rinnovare completamente la ricerca scientifica ponendola su basi sperimentali. Il piano dell’enciclopedia baconiana comprendeva: 1

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1) le scienze che si fondano sulla memoria, in particolare la Storia, che si divide in “naturale” e “civile”;

2) le scienze che si fondano sulla fantasia, cioè la poesia, che si divide in “narrativa”, “drammatica” e “parabolica” (che serve a illustrare una verità);

3) le scienze fondate sulla ragione, tra le quali troviamo la “filosofia prima” o “scienza universale” e, più nello specifico, le varie scienze particolari che concernono la natura, Dio, l’uomo.

Di tutte queste scienze, Bacon si proponeva di fornire almeno le direttive principali nella sua opera Instauratio magna.

L’opera, che doveva essere divisa in sei parti, trovò effettiva realizzazione solo nella seconda, il Nuovo Organo, pubblicato nel 1620. Le altre opere di Bacon sono schizzi o abbozzi per le altre parti della Instauratio: La sapienza degli antichi (1609), Storia naturale (1622), Sulla dignità e sull’accrescimento delle scienze (1623). Negli ultimi anni, Bacon scrisse pubblicò anche una Storia di Enrico VII.

2. IL PROGRAMMA DI UN NUOVO SAPERE

Del progetto grandioso di una Instauratio magna – che doveva culminare nella Scienza attiva, cioè in una tecnica applicativa delle scoperte teoriche – Bacon riuscì, come abbiamo visto, a realizzare ben poco. Ciò che riuscì a realizzare, il Nuovo Organo, comprende una logica del procedimento tecnico-scientifico che veniva da lui polemicamente contrapposta alla logica aristotelica, ritenuta adatta solo a riportare vittoria nelle dispute verbali, cioè strettamente teoriche. Con la vecchia logica si espugna l’avversario, diceva Bacon, con la nuova si espugna la natura. Questa “espugnazione” è il compito fondamentale della scienza. L’uomo, ministro e interprete della natura, tanto opera e intende, quanto dell’ordine della natura ha osservato o con l’esperienza o con la riflessione: al di là di questo non sa né può nulla. L’intelligenza umana ha bisogno di strumenti efficaci per penetrare nella natura e dominarla: come la mano, essa non può compiere alcun lavoro senza lo strumento adeguato. Gli “strumenti” della mente sono gli esperimenti, escogitati e adattati tecnicamente allo scopo che si vuole realizzare. I sensi, da soli, non bastano a fornire una guida sicura: solo gli esperimenti sono i custodi e gli interpreti dei loro responsi. Essi sono il “connubio della mente e dell’universo” dal quale Bacon si aspetta “una prole numerosa di invenzioni e di strumenti atti a domare e mitigare almeno in parte le necessità e le miserie degli uomini”.

Tale connubio fra mente dell’uomo e natura non si può celebrare fino a che la mente rimanga irretita in errori e pregiudizi che le impediscono di interpretare correttamente la natura medesima. 2

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Bacon opponeva fra loro, a questo riguardo, i due concetti di interpretazione della natura e di anticipazione della natura.

L’anticipazione ha due caratteristiche: essa prescinde dall’esperimento e passa subito ad assiomi generalissimi. In base a questi, poi, l’anticipazione trova i cosiddetti assiomi medi fra le cose e i principi generali. Di questa via si serve la logica tradizionale: si tratta di una via sterile perché gli assiomi che essa stabilisce non servono a inventare nulla di concreto.

L’interpretazione, invece, è feconda: dagli assiomi da essa esibiti scaturiscono nuove conoscenze particolari.

Il compito preliminare assunto da Bacon nel suo tentativo di stabilire l’organo nuovo della scienza fu quello di eliminare tutte le anticipazioni: a questo è dedicato il primo libro del Nuovo Organo. Qui Bacon intende purificare l’intelletto da quelli che chiamava “idoli” – le nozioni anticipatorie – avvicinandolo alla conoscenza delle cose stesse. Vediamo di cosa si tratta.

3. LA TEORIA DEGLI “IDOLI”: I PREGIUDIZI DELLA MENTE

Le “anticipazioni” che si radicano nella natura umana sono definiti da Bacon come e . Mentre i primi sono comuni a tutti, i secondi sono propri di ciascun individuo. Bacon utilizza il termine "idoli" poiché a suo avviso l'uomo, invece di ricercare e onorare la verità, onora e ricerca proprio questi.

" Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l'accesso alla verità ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso) risorgeranno di nuovo e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini preavvertiti non si agguerriscano per quanto possibile contro di essi. "

F. Bacon Nuovo organo

IDOLA TRIBUS L’intelletto umano è portato a supporre nella natura una armonia molto superiore di quella che effettivamente c’è, a dare importanza più a certi concetti che ad altri (per esempio, più a ciò che colpisce la fantasia che a ciò che è nascosto e lontano). Inoltre, l’uomo è impaziente, vuole sempre procedere oltre e pretende che la natura lo assecondi. Tutte queste tendenze naturali sono fonti di idola tribus. La principale fonte di tali idola è, però, l’insufficienza dei sensi ai quali sfuggono tutte le forze nascoste della natura.

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IDOLA SPECUS I cosiddetti idola specus, invece, dipendono dall’educazione, dalle abitudini e dai casi fortuiti in cui ciascuno di noi viene a trovarsi. Bacon dice che Aristotele, dopo aver inventato la sua logica, asservì ad essa la sua fisica, rendendola del tutto sterile. Ciò fu certo dovuto a una particolare inclinazione del suo intelletto. Ogni uomo, del resto, ha le sue propensioni e interessi peculiari: per gli antichi o per i moderni, per il vecchio o per il nuovo, per le cose semplici o per quelle complesse, per le somiglianze o per le differenze. Tutte queste propensioni individuali sono fonte di idola specus, quasi che ogni uomo avesse nel suo interno una caverna che rifrange e distorce il lume della natura.

Oltre a queste due specie, ci sono anche gli – provenienti dall’esterno – e gli – che derivano “dalla piazza” o dal linguaggio.

IDOLA FORI Gli idola fori derivano dal linguaggio. Gli uomini credono di imporre la loro ragione alle parole: ma accade anche che le parole ritorcano e riflettano la loro forza sull’intelletto. Accade, insomma, che l’uomo cerchi di adattare in modo forzato il mondo reale alla struttura del linguaggio umano. Gli idola che derivano dalle parole sono di due specie: nomi di cose che non esistono; nomi di cose che esistono, ma confusi e male determinati. Della prima specie sono nomi come “fortuna”, oppure “primo mobile”: essi hanno origine da false teorie e si riferiscono, appunto, a cose inesistenti. Alla seconda specie appartiene, per esempio, la parola “umido”, che indica cose sì esistenti, ma diversissime fra loro; altri esempi sono parole che indicano azioni come “generare” o “corrompere”.

IDOLA THEATRI Gli idola theatri derivano dalle dottrine filosofiche del passato o da dimostrazioni errate. Bacon li chiama così, "idoli del teatro", perché paragona i sistemi filosofici del passato a favole, che sono come mondi fittizi o scene di teatro.

Fra le cause che impediscono agli uomini di liberarsi degli idoli, Bacon pone in primo luogo la riverenza verso l’antico sapere. Bacon osserva fra l’altro che, se per antichità si intende la vecchiezza del mondo, il termine dovrebbe invece applicarsi ai tempi nostri, non alla gioventù del mondo che ci fu presso gli antichi. Come è lecito aspettarsi maggior conoscenza in un anziano che in un giovane, così è lecito che noi sappiamo più degli antichi. La verità, dice Bacon, è figlia del tempo, non dell’autorità. Come Bruno, egli pensa che essa si riveli all’uomo solo gradatamente, attraverso gli sforzi che si sommano e si integrano nel corso della storia.

Per uscire dalle vecchie vie di contemplazione, bisogna mettersi sul terreno dell’esperimento. La semplice esperienza non basta, perché procede a caso e senza direttive. Essa è simile, dice Bacon, a una scopa slegata, oppure al procedere a tentoni di chi vada in giro di notte tentando di imboccare la via giusta. Converrebbe prima accendere un lume, oppure attendere il giorno, e poi esplorare la via. Lo scopo pratico che Bacon attribuisce alla scienza non la rinchiude però in un angusto utilitarismo: agli esperimenti “che portano frutto”, egli ritiene che siano da

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preferirsi “quelli che portano luce”. Questi ultimi non falliscono mai e non sono mai sterili, in quanto rivelano la causa naturale dei fatti.

4. IL METODO INDUTTIVO

La ricerca non si fonda né solo sui sensi né solo sull’intelletto: L’intelletto da solo conclude arbitrariamente, mentre i sensi sono disordinati e confusi. Dunque l’intelletto deve imporsi la disciplina dei sensi e i sensi quella dell’intelletto. Il procedimento che realizza questa esigenza è, a parere di Bacon, l’induzione. Bacon si preoccupa di distinguerla nettamente da quella aristotelica, la quale passerebbe troppo in fretta dalla enumerazione di singoli casi alla definizione dei principi generali. L’induzione baconiana, invece, si fonda sulla scelta e sull’eliminazione degli elementi inessenziali alla comprensione di un fenomeno: scelta ed eliminazione ripetuta più volte sotto il controllo dell’esperimento, fino a giungere alla determinazione della vera natura del fenomeno osservato. Questa induzione procede senza salti, ma per gradi: essa risale gradualmente dai fatti particolari ai principi. La scelta e l’eliminazione suppongono, in primo luogo, la raccolta e la descrizione dei fatti particolari, raccolta che deve essere dettata dalla natura stessa e che Bacon chiama storia naturale e sperimentale. Questa raccolta sarà, di per sé, vastissima e confonderebbe l’intelletto se non fosse composta e ordinata. A questo servono scopo servono le tavole baconiane.

Per meglio comprendere l'induzione di Bacon, proponiamo un semplice esempio. Immaginiamo di voler studiare un fenomeno naturale assai comune: il fulmine. Cominceremo con l'osservazione di numerosi esempi di questo fenomeno e, a partire dai dati osservativi raccolti (per esempio: giorno e ora di manifestazione, temperatura e umidità dell'aria, ecc.), compileremo le cosiddette TAVOLE DI PRESENZA: qui enumereremo tutti i casi in cui il medesimo fenomeno, nel nostro caso il fulmine, si è presentato benché in circostanze diverse. Nelle TAVOLE DI ASSENZA, invece, raccoglieremo i casi in cui il fenomeno sotto osservazione, il fulmine, non si sarà presentato pure in circostanze vicine o molto simili a quelle notate nelle tavole di presenza. Vi saranno anche le TAVOLE DEI GRADI O TAVOLE COMPARATIVE, nelle quali raccoglieremo i casi in cui il fenomeno fulmine si sarà presentato in gradi di differente intensità. Continueremo il nostro studio compilando una TAVOLA ESCLUSIVA, nella quale saranno esclusi dall'analisi tutti quei fattori concomitanti che saranno apparsi, grazie alla comparazione delle tavole precedenti, non essenziali alla manifestazione del fenomeno. Nel suo complesso, questa prima raccolta ed elaborazione di dati ci consentirà di formulare una prima ipotesi intorno alla natura del fenomeno studiato, il fulmine, ipotesi che farà da base di partenza per l’ulteriore ricerca. La nostra ipotesi, infatti, dovrà essere messa alla prova dall’induzione in successivi esperimenti che Bacon chiama istanze prerogative. La cosiddetta istanza cruciale (o experimentum crucis) sarà quella che ci permetterà di scoprire la vera causa del fenomeno studiato.

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5. LA TEORIA DELLE FORME E I LIMITI SCIENTIFICI DEL METODO BACONIANO

L’intero processo che abbiamo sommariamente descritto dell’induzione tenderà, secondo Bacon, a stabilire l'effettiva causa delle cose naturali. Questa causa è chiamata da Bacon "forma". Bacon, oltre ad utilizzare il concetto aristotelico di forma dopo aver così duramente criticato lo stagirita, accetta anche la distinzione aristotelica delle quattro cause: materiale, formale, efficiente e finale, pur eliminando subito quest'ultima come quella che nuoce alla scienza più che giovarle. “La ricerca delle cause finali è sterile: come una vergine consacrata a Dio, non partorisce nulla”. La "contemplazione dei fini" deve rimanere consacrata al servizio di Dio, non può essere trasportata sul piano della scienza naturale, perché questa non è contemplativa ma attiva. Delle altre tre cause aristoteliche, Bacon ritiene anche che la materiale e la efficiente siano superficiali e inutili per la vera scienza: rimane solo la causa formale, che però Bacon pretende di intendere in modo del tutto diverso rispetto ad Aristotele.

Cosa egli veramente intenda per "forma" è il più difficile problema della critica baconiana. Bacon, in generale, sembra vedere nella forma da un lato la struttura che costituisce essenzialmente, e quindi individua e definisce, un determinato fenomeno, dall’altro la legge che regola il movimento di generazione o produzione del fenomeno stesso. Non c’è dubbio che Bacon contrappose il suo concetto di forma a quello dell’aristotelismo scolastico, ma la forma da lui concepita, come principio statico e dinamico, corrisponde proprio all’autentica forma di Aristotele! Bacon, di fatto, innesta nel tronco dell’aristotelismo la sua esigenza sperimentalistica. In effetti, la dottrina di Bacon non avrà alcuna influenza significativa sul reale metodo sperimentale seguito dalla scienza moderna: essa aveva trovato nella matematica la sua logica sistemazione ed è assai significativo come proprio la matematica non trovi posto nel metodo di Bacon. Il filosofo inglese non riconobbe alla matematica alcuna funzione efficace nella ricerca scientifica, ed anzi affermò che essa “è al termine della filosofia naturale, ma non la deve generare né procreare”. Possiamo dunque affermare, in ultimo, che il valore storico di Bacon sia consistito soprattutto nell'aver riconosciuto e affermato la stretta connessione tra la scienza e la potenza umana: "sapere è potere".

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