Marion Delorme” Di Amilcare Ponchielli Camillo Faverzani
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Chiaroscuri di un adattamento: dalla ”Marion de Lorme” di Victor Hugo alla ”Marion Delorme” di Amilcare Ponchielli Camillo Faverzani To cite this version: Camillo Faverzani. Chiaroscuri di un adattamento: dalla ”Marion de Lorme” di Victor Hugo alla ”Marion Delorme” di Amilcare Ponchielli. La Torre di Babele, Monte Università Parma Editore, 2011, pp.61-73. hal-00683769 HAL Id: hal-00683769 https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-00683769 Submitted on 5 Jul 2016 HAL is a multi-disciplinary open access L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est archive for the deposit and dissemination of sci- destinée au dépôt et à la diffusion de documents entific research documents, whether they are pub- scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, lished or not. The documents may come from émanant des établissements d’enseignement et de teaching and research institutions in France or recherche français ou étrangers, des laboratoires abroad, or from public or private research centers. publics ou privés. Distributed under a Creative Commons Attribution - NonCommercial| 4.0 International License Letteratura Chiaroscuri di un adattamento: dalla Marion de Lorme di Victor Hugo alla Marion Delorme di Amilcare Ponchielli Camillo Faverzani L’opera di Victor Hugo, non solo drammaturgo, ma anche poeta e romanziere, è ben presto diventata una fonte di prim’ordine per la librettistica, italiana e straniera, tal- volta in tempi assai prossimi alla pubblicazione o alla rappresentazione dell’origina- le1. Marion de Lorme, stesa nel giugno del 1829, ma rappresentata solo l’11 agosto 1831 al Théâtre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, perché avversata dalla censura, ha ispirato diversi adattamenti2, tra cui spicca la Marion Delorme di Enrico Golisciani per la musica di Amilcare Ponchielli, andata in scena al Teatro alla Scala di Milano il 17 marzo 1885. L’attesa di un nuovo lavoro da parte del musicista cremonese aveva suscitato una certa aspettativa, dal momento che il “Teatro Illustrato” ne parla fin dal luglio 1882 e che la “Gazzetta Musicale di Milano” ne segue puntualmente la com- posizione3. Diretta dal maestro Franco Faccio, venne tenuta a battesimo da Romilda Pantaleoni (Marion Delorme, soprano drammatico), Francesco Tamagno (Didier, teno- re lirico spinto), Augusto Brogi (il Marchese di Saverny, baritono), Angelo Tamburlini (il Signor di Laffemas, basso) e Adele Borghi (Lelio, mezzosoprano)4. Rappresentata per quattro sere, ottiene un buon successo di pubblico, ma la critica si divide e le os- servazioni negative hanno senz’altro influito sulla decisione di Ponchielli di rimettersi al lavoro, operando diverse modifiche e affidandosi ad Antonio Ghislanzoni per la revisione del libretto, in vista di una ripresa al Teatro Grande di Brescia, prevista per il 9 agosto 18855. Nonostante il buon esito di queste recite, il titolo non si mantiene in repertorio dopo qualche sporadica apparizione a Venezia, Parma e Roma nel 1886, una breve carriera in Brasile (Sãn Paulo e Rio de Janeiro) lo stesso anno e un episo- dico ritorno nel 1919 al Teatro Lirico di Milano6. Nel XXI secolo è rinata all’Opéra Berlioz (Le Corum) di Montpellier nel dicembre 20017. Il presente studio desidera proporre una lettura ravvicinata del libretto e della fonte hugoliana in quattro direzioni, raffrontando dapprima l’uso delle indicazioni sceniche, per poi considerare come il poeta si serva del modello, ora traducendolo con spirito piuttosto fedele, ora introducendovi qualche slittamento significativo, ora modifican- dolo in modo più rilevante. Dato che la critica ponchielliana ha già fornito in diverse 61 La Torre di Babele occasioni il riassunto sia della fonte francese sia dell’adattamento italiano, preferiamo, per ovvi motivi di spazio, rimandare alla bibliografia esistente8, riservandoci di dare qualche stralcio della trama nel corso dell’analisi. Limitiamoci per ora a ricordare che si tratta del sincero e corrisposto amore della cortigiana Marion Delorme per il giovane popolano Didier, il quale, non conoscendone la vera identità, sfida a duello l’ex amante Saverny, mostratosi troppo premuroso nei confronti dell’amata; entrambi colpiti dal decreto di morte di Richelieu contro i duellanti, i due rivali preferiscono morire insie- me piuttosto che sfuggire alla sentenza: Saverny grazie all’intervento del potente zio, che però esclude Didier, e quest’ultimo in seguito all’intervento di Marion, sedotta da Laffemas. E si aggiunga che il dramma hugoliano è composto di cinque atti – ciascu- no provvisto di un titolo (rispettivamente Le rendez-vous, La rencontre, La comédie, Le roi, Le cardinal) – per i quattro di Ponchielli-Golisciani, che sopprimono l’atto IV dell’originale9 e che, oltre alle versioni milanese e bresciana, esiste un probabile terzo intervento sul finale ultimo10. La critica ponchiellina si è pure soffermata sulla presenta- zione e sull’analisi dei personaggi11, ma rammentiamo ancora che dai trenta della fonte si passa a nove12, e soprattutto che Ponchielli e Golisciani introducono il ruolo travesti di Lelio, sorta di compendio dei comédiens de province di Victor Hugo. “Personaggio- cardine”13, come è stato definito, in quanto principale artefice di quella commistione del tragico e del comico che fa di Marion Delorme “un’opera di mezzo carattere”14. In un saggio dedicato agli allestimenti delle produzioni di Ponchielli, Mercedes Viale Ferrero effettua un’interessante collazione delle didascalie del testo di Golisciani e di quelle dell’adattamento di Marcello per Pedrotti, limitatamente alle prime scene di ogni atto. Ne rileva la scarsissima quantità di varianti, per altro solo grafiche e verbali. E, dopo aver puntualizzato che la “derivazione dalla stessa fonte drammatica non basta a giustificare una così stretta somiglianza”15, riscontra, come unica vera e propria innova- zione di Golisciani, la determinazione esatta del momento della giornata in cui si situa l’azione. Benché l’approccio di Mercedes Viale Ferrero sia di tipo prettamente sceno- grafico e quindi volto a cogliere i mutamenti atmosferici e ambientali indotti fra l’altro dall’evoluzione dei mezzi tecnici, l’osservazione non è affatto trascurabile, dato che la precisazione temporale è assente in Victor Hugo, perlomeno nelle indicazioni diretta- mente corrispondenti. Tuttavia, è bene segnalare che il dramma francese non è del tutto sprovvisto di tali precisazioni, poiché la dicitura “La sera è avanzata” (I, 1) dell’opera milanese fa eco alla determinazione “On entend sonner minuit”16 (I, 2), per altro cor- roborata da “Suona mezzanotte” (I, 2) e dalla replica di Marion: “Mezzanotte…”. In modo più probante, l’atto II riflette in un iniziale “È la sera” (II, 1) la rievocazione che “Le jour commence à baisser” in conclusione della prima scena, poi confortato da “La nuit est tout à fait tombée” (II, 2), a sua volta ripreso ne “La sera è caduta” (II, 6) della scena analoga. Così come “La sera è vicina” (IV, 1) in apertura dell’atto IV ripropone “Le jour commence à baisser” (V, 4) archetipo, che procede quindi verso “La nuit est tout à fait tombée” (V, 5) e sfocia in ultimo sulla determinazione oraria “Neuf heures sonnent” (V, 7), assente dal libretto. 62 Letteratura Si aggiunga che, se le disposizioni della citata versione del 1865 risultano più strin- gate di quelle dell’adattamento del 1885, talvolta un tal fattore sembra corrispondere a un’aspirazione deliberata di Golisciani a emanciparsi dal modello del 1831, preci- sando maggiormente le proprie scelte sceniche. In effetti, se la prima didascalia segue fedelmente la fonte, è utile notare che alla semplice “lampe” dell’originale subentra una “ricca lampada accesa” (I, 1) e soprattutto che la “fenêtre ouverte sur un balcon” genera un “balcone che si apre su d’un terrazzo”, probabilmente per dare più adito alla scena conclusiva dell’atto I, in cui, salvato da Didier, Saverny si rifugia in detto luogo, da cui scopre la relazione tra il giovane e Marion (I, 4). All’inizio dell’atto successivo, Golisciani precisa la presenza, sulla sinistra, del “palazzo del Prevosto al di cui angolo un fanale” (II, 1), necessario a determinare il ruolo politico di Laffemas e a permetter- ne il ritiro dopo l’aria che ne definisce il carattere e le mire (II, 5). A sua volta, l’atto III mostra immediatamente, a sinistra, un “sentiero tortuoso che discende nel parco” (III, 1) e, a destra, l’“ingresso ad un granaio, appartenente al medesimo castello”, mentre in Marion de Lorme l’accesso alla “grange” (III, 3) interviene solo quando si annuncia l’arrivo della compagnia di attori da tenere a distanza a causa del lutto che rattrista il castello di Nangis per la morte, non ancora smentita, di Saverny, nipote del marche- se. Sappiamo che l’atto IV archetipo è completamente omesso nella versione lirica. Al riguardo, è utile sottolineare come in esso le indicazioni sceniche siano ridotte al minimo – la “salle des gardes au château de Chambord” –, mentre qualche didascalia successiva indugia sui costumi di Bellegarde e di Nangis (IV, 1), poi del re (IV, 5), e dispone l’avvicendarsi dei personaggi (IV, 1, 2, 4, 7) e il loro agire in scena (IV, 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8). L’atto IV della Scala ritrova il V di Parigi, pur sopprimendo qualche precisazione architettonica – “Un préau. Au fond, le donjon; tout à l’entour, un grand mur” –, ormai inutile, data l’assenza degli operai che vi aprono una breccia volta a facilitare il passaggio della lettiga di Richelieu (V, 1). Per quanto riguarda l’uso delle didascalie da parte di Golisciani nelle scene inter- ne, in linea di massima possiamo constatare una maggiore economia di particolari, soprattutto rispetto alle indicazioni iniziali or ora considerate. Il quadro della sfida, corrispondente al finale II dello spartito, risulta alquanto interessante in merito, poi- ché riprende il gioco di luci già proposto da Hugo – “On voit les fenêtres de la ville s’éclairer l’une après l’autre” (II, 2) – con “Le finestre s’illuminano internamente” (II, 6), e propone lo stesso ritratto fisico e psicologico di Didier, pur con un’ulteriore precisazione nell’abbigliamento: “Didier en sort rêveur, marchant lentement, les bras croisés dans son manteau”; “Didier, avvolto nel suo mantello, il cappello sugli occhi, esce pensoso dall’albergo”.