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SENTIREASCOLTARE digital magazine febbraio 2009 N.52

Mimes Of Wine immagini in movimento

Nuovi Corrieri Cosmici, Lo Spazio del Suono The Smiths, Raccoo-oo-oon, Zomby, Harmonic313 Jem Cohen, Action Beat, Hjaltalìn, Dälek, Circlesquare Flaming Lips SCOLTARE A SENTIRE .52 N 2009 febbraio magazine digital

nuovi corrieri cosmici expo‘70 emeralds j o n a s reinhardt News p. 4-5 Turn On p. 6-13 Raccoo-oo-oon, Zomby, Harmonic 313, Jem Cohen, Action Beat, Hjaltalìn Tune In p. 14-25 Dälek, Mimes of Wine, Circlesquare Drop Out p. 26-43 Nuovi Corrieri Cosmici (Expo’70, Emeralds, Reinhart...) Lo Spazio del Suono (Ralph Steinbruchel) recensioni p. 46-101 Svarte Greiner, Andrew Bird, zZz, Mi Ami..... We are Demo p. 102-103 Rearview Mirror p. 104-121 The Smiths - New Order... la sera della prima p. 122-128 , Tony Manero, Milk a night at the opera p. 130-131 I Puritani i “cosiddetti contemporanei” p. 132-135 Shostakovich

Di r e t t o r e : Edoardo Bridda

Co o r d i n a m e n t o : Teresa Greco

Co n s u l e n t i a l l a r e d a z i o n e : Daniele Follero, Stefano Solventi

St a f f : Gaspare Caliri, Nicolas Campagnari, Antonello Comunale

Ha n n o c o l l a b o r a t o : Leonardo Amico, Gianni Avella, Sara Bracco, Marco Braggion, Luca Collepiccolo, Alessandro Grassi, Andrea Napoli, Francesca Marongiu, Massimo Padalino, Giulio Pasquali, Stefano Pifferi, Andrea Provinciali, Antonio Puglia, Costanza Salvi, Vincenzo Santarcangelo, Giancarlo Turra, Fabrizio Zampighi.

Gu i d a s p i r i t u a l e : Adriano Trauber (1966-2004)

Gr a f i c a e Im p a g i n a z i o n e : Nicolas Campagnari

In c o p e r t i n a : Mimes of Wine SentireAscoltare online music magazine Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05 Editore: Edoardo Bridda Direttore responsabile: Antonello Comunale Provider NGI S.p.A. Copyright © 2008 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati.La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare

Sommario / 3  Necrologio cumulativo questo mese: il 22 gen- Best of Neil Diamond e Crazy Naked Girls… naio è scomparso Charlie Wesley Cooper metà dei  Franz Ferdinand, Kings of Leon, Oasis e Paul Telefon Tel Aviv a pochissimo dall’uscita dell’al- Weller sono i primi headliner dell’edizione 2009 bum Immolate Yourself; se n’è andato anche Bill del FIB Heineken 09 che si terrà a Benicàssim Powell, tastierista dei Lynard Skynard; Powell (Spagna) il 16, 17, 18 e 19 luglio 2009. Il resto e Gary Rossington erano gli unici sopravvissuti della programmazione sara’ svelato non appena dell’incidente aereo del 1977 in cui erano morti gli artisti confermeranno le proprie apparizioni. gli altri componenti Ronnie Van Zant, Steve Gai- Maggiori informazioni su fiberfib.com… nes e la corista Cassie Gaines. E ancora se ne va a  Nuovi dischi in arrivo tra febbraio e marzo per 60 anni , chitarrista degli Stooges; il Odawas, Julie Doiron e Swan Lake, tutti su musicista è stato trovato morto il 6 gennaio scor- Jagjaguwar; gli Odawas sono al terzo , The so nella sua casa in Michigan. A 76 anni muore Blue Depths previsto per fine febbraio, la Doi- il 27 gennaio per un cancro al polmone lo scrit- ron torna a marzo con Can Wonder What You tore americano John Updike. E per ultimo il 29 Did With Your Day, così come Swan Lake, con gennaio ci lascia a 60 anni il folk singer scozzese Enemy Mine. Quest’ultimo progetto di Daniel John Martyn. Ancora una scomparsa: il 4 febbraio Bejar (già con Destroyer e New Pornographers), muore in California a 62 anni per problemi car- (di e Wolf Para- diaci Lux Interior (Erick Purkhiser) dei Cramps, de) e Carey Mercer (di e Blackout Be- fondati insieme alla moglie Poison Ivy nel 1975 a ach)… New York, dove entrarono a far parte della scena gravitante intorno al CBGB.

 Dopo cinque anni tornano i chicagoani Tor- toise con un disco ancora senza titolo che uscirà  Nuovo album per , a due anni da il prossimo aprile… Woke On A Whaleheart. Sometimes I Wish  Ristampe in vista per i Monks e il loro gara- We Were An Eagle uscirà come i precedenti su ge rock su Light In the Attic: The Early Years e Drag City, in aprile… Black Monk Time in arrivo a marzo con distri-  Tornano i gallesi Super Furry Animals con buzione Goodfellas. Nel 1967 il gruppo si scioglie un’uscita ancora senza titolo, che appare prima lasciando un album – Black Monk Time – og- in forma digitale sul loro sito ufficiale superfurry. getto di culto, causa la sua irreperibilità. Nel 1994 com dal 16 marzo e poi dal 21 aprile fisicamente il bassista Eddie Shaw pubblica l’autobiografia su Rough Trade; l’album vede titoli quali The Very Black Monk Time; il gruppo si riunisce nel 1999

4 / News a cura di Teresa Greco durante il festival americano Cavestomp e poi in sulla tedesca Kompakt. Axel Willner è stato affian- Spagna nel 2004 ed in occasione del tour in Ger- cato in fase di composizione di alcuni ritocchi so- mania ed Austria del 2007… nori dal batterista dei Battles John Stainer…  Dopo ben quindici anni dall’ultima uscita con la sua band, That’s The Way It Should Be, Bo- oker T pubblicherà su Anti il 20 aprile il nuovo album Potato Hole, L’artista leader dei Booker T & the MG’s (session band della Stax Records di Memphis), ha collaborato con Neil Young, chi- tarrista in nove canzoni, e con i Drive By Tru- ckers come turnisti. Nel disco sono presenti tre cover, Hey Ya degli Outkast, Get Behind the Mule di Tom Waits e Space City dei Drive By Truckers…

 I tornano con un nuovo di- sco, Sounds Of The Universe, previsto per il 20 aprile su Mute, anticipato dal singolo Wrong e prodotto da Ben Hillier (già in Playing the An- gel del 2005). Secondo quanto da loro dichiarato, prevede l’uso di synth analogici e drum machine che bilanciano il sound retro futurista dell’allbum; come già annunciato saranno nel nostro paese per due date, il 16 giugno a Roma e il 18 a Milano…  Frank Black torna con l’incarnazione Grand Duchy, insieme alla moglie Violet Clark: il de- butto del duo si chiama Petit Fours e sarà pubbli- cato in aprile su Cooking Vinyl…  Sarà pubblicato il 14 aprile Fantasies, quarto album dei Metric, il primo ad essere venduto di- rettamente dalla band canadese, acquistabile dal sito ufficiale Ilovemetric.com. Sarà preordinabile dal 2 marzo. In Canada e Messico sarà anche di- stribuito regolarmente dalla Arts & Crafts…  I Black Dice pubblicheranno Repo, il loro quinto disco, il 7 aprile su Paw Tracks…  Novità per gli electroloopers svedesi The Field. Il nuovo album - che segue il successo del 2007 Here We Go Sublime - verrà pubblicato proba- bilmente intorno al 16 maggio prossimo sempre

News / 5 Raccoo-oo-oon

Il canto del procione

Dei defunti, almeno in Italia, si tende a parlare come in una dispersione così fortemente a stelle e sempre bene. Anche se la cosa solitamente non strisce (Andy è ora a Los Angeles, impegnato a tempo pieno corrisponde alla realtà della vita vissuta, nel caso nella scena artistica cittadina; Daren voleva trasferirsi a NY dei Raccoo-oo-oon è inevitabile. Così come inevi- e ora l’ha fatto; io e Ryan Garbes viviamo ancora a Iowa tabilmente la memoria ritorna alla famosa frase di City) non resta che ascoltare i 74 minuti pieni del Steve Albini, secondo il quale l’idea di sciogliersi personale swansong e da lì intraprendere un percorso è venuta troppo spesso ai gruppi sbagliati. Il (fu) a ritroso alla ricerca delle uscite precedenti e soprat- quartetto di Iowa City rientra appieno in questa tutto minori del gruppo, come i 5 volumi della serie categoria, come dimostra il canto del cigno appe- Mythos Folkways. Suddivisi equamente tra vinili na uscito col benemerito placet del logo Release e cassette mostrano il lato più selvaggio e sperimen- The Bats, eclettica etichetta svedese nel cui catalo- tale dei quattro; in alcuni casi con registrazioni in go confluiscono weirdità a profusione,Robedoor sede live devastanti – il Vol. IV, sottotitolato Fu- e Warmer Milks giusto per fare due nomi. In ture Visions – in altri in condivisione con spiriti tono col ruolo sommesso giocato dal quartetto nel affini, come nel caso del Vol. II – Pre-American corso della sua esistenza, anche lo split è passato Lands, pubblicato in vinile per Not Not Fun e split- sotto silenzio. Cosa privata era e tale è rimasta, tato coi Woods. Oppure non resta che attendere come conferma Shawn Reed: Si, Raccoo-oo-oon ha le pubblicazioni del nuovo progetto di Shawn, da chiuso i battenti l’anno scorso ma non l’abbiamo mai an- poco raggiunto da Garbes, a nome Wet Hair – più nunciato; è semplicemente successo, abbiamo vissuto la band ossessivamente synth-drone-oriented – di cui testi- intensamente per più di 4 anni ed era tempo che ognuno se- monianze sono uscite (il 12” one-sided, la cassetta guisse la propria via, le proprie cose…è stato naturale, come Irifi) e usciranno per Night People, etichetta di casa se avessimo inconsciamente realizzato che avevamo fatto tut- Reed con un catalogo che più strambo non si può. to quello che dovevamo fare e che fosse saggio così. I Raccoo-oo-oon non esistono più. Lunga vita ai Così mentre la diaspora del procione è in atto spin- Raccoo-oo-oon. gendo i 4 membri ai quattro angoli degli States stefano pifferi

6 / Turn On Nel giro dubstep c’è una spia che parla il verbo più tamarro troveranno qualcosa, dato che ci ascolti gli Orbital e rinnegato della storia degli ultimi anni, l’ardekore. You e i Nightmares On Wax laser verdi annessi, e gli know the score? Era l’anticristo di ogni afrofuturista tech- LFO in gara per il basso più sismico come l’umidi- no che si rispetti e ora rivive in un album che punta dritto tà colata dagli specchi mescolata alle deformazioni alla scienza del breakbeat… ma attenzione, in camuffa. La della cassa al girar di manopola. Quelle voci brek- scorza è anche italo house e technotronik. kate prese dall’hip-hop che credevamo trashy nel- Prendete uno del giro dub- la poco esclusiva accezione step e fatelo andare in fissa Snap! Technotronik e l’irri- con l’ardkore primi Novanta. tantissima balbuzie messa Esatto. Proprio l’hardcore ta- lì, da bambini cerebrolesi. marrissima decantata da E poi pure gli Orb, gli spe- Reynolds, quella che ha zomby aker KLF e le sirene Acid ispirato al critico la famosa Nation. Tante sirene ein teoria del continuum se- zwei polizei in remember condo il quale il più vitupera- degli scontri e delle retate to genere dalla scena alla luce del ‘92: l’anno della crocia- dei fatti era poi la chiave per ta governativa inglese anti- mutare e reinventarsi come rave, l’act che avrebbe stan- l’araba fenice. Fategli incidere gato tutti e riportato tutto un disco furbissimo che pren- nei club istituzionalizzando de il meglio (o il peggio) di quei il suono di una generazio- rush analogici e appiccicate- ne. Ci sono pure le tastie- ci sopra un’etichetta che più racce, quelle dei Black Box paracula non ce n’è: dov’eri nella variante taglia e cuci nel novantadue? La risposta di vocal che volgarizzavano è facile. Ero lì, proprio come per sempre il romanticismo lì c’era James Murphy nel- di Derrick May, ficcandoci la famosa canzone e proprio come un coltello in cuore la come qui tra le mie mani c’è disco music di dieci e passa questo dischetto uscito a no- anni prima. Supercafona vembre 2008 (Where Were ‘sta musica You In ‘92?) che è una chicca ‘ardekore you know what i mean che puzza di assurda. club scalci- Dentro, dice Mr Zomby, con- nato; ma più dentro puzza tattato istantaneamente via fido myspace, c’è tutta di ghetto, di negroni New York old skool (sentite- la jungle techno from u.k, o meglio il suo ombrellone chiama- vi la compila di Van Helden - New York A Mix to ‘old skool hardcore’. E se sei brit come dice lui non Odyssey 2). Quel kitsch che diede agli inglesi c’è scampo: jungle garage, hardcore, dubstep ecc. e tutto e agli europei tutti la voglia di sporcarsi le mani quel che c’è in mezzo, anche se il focus del disco è mentre oltreoceano gli intellettuali di Detroit at- su gente mirata e da addetti ai lavori come Manix, terrivano. Una nuova via per reinventare lo step Acen, 2 Bad Mice,Origination, Noise Factory, Hackney inglese è tracciata. Hardcore, Lennie De Ice e etichette come Formation, Edoardo Bridda e Marco Braggion Ibiza e Music House. Del resto dj o no tutti ci ri-

Turn On / 7 harmonic 313

Quando le macchine spaccano

Grazie all’one man project 313, la Warp si riappropria piccolo rewind con un riflettore puntato Beastie dell’ambient che la fece conoscere al mondo intero con una Boys periodo tuta gialla robo, importante quanto sorpresa, l’hip hop. E tutti quei bass e break tornano a casa il sottobosco 8bit che non buca la notizia ma non grazie a un magico brit finora rimasto in penombra. molla e si reinventa continuamente come il Virtu- Sono anni che SA manda missive agli Autechre. monde che infesta i PC. Poi voci. Vocoder grezzi, Parola chiave e diktat: reinventarsi, hip hop, ripar- kraft senza werk lontani dalle sofisticazioni franco- tire. Rasare daccapo. Via i vicoli ciechi del robo fone. Voci tirate in grana grossa come i pixelloni Cunningham. Via i rebus e i millennium bug. E sì, che si vedono nelle pubblicità. E pure l’internet pure quel cazzo di snobismo oramai storicizzato e tutt’uno con il suono. Fateci un giro nella home di anni Ottanta che nessuno vuole. Oltrepiù è l’unica Harmonic. C’è il segmento del loro pezzo chiave scelta artistica seria possibile, da artisti con le palle in animazione grafica stile graffiti Warp. Sincopi come direbbero i critics di Arte Fiera e Netmage, che vanno lette come basic beat. Tonde e sorde. un ritorno a casa che non sappia di ripiego a se- Giochino di voci I/O. Biglietto da visita di mr. guire certi ritorni stimolanti, come l‘ardkore per il Mark Pritchard, ovvero le palle di reinventarsi misterioso Zomby. Ma poi loro, gli Aut- li ricorda- come uno dei più intelligenti hip-hopper strumen- te? Nacquero b-boy graffiti e skate. Sangue e pane tali. Lui che ha un passato di ½ Global Comuni- del ghetto for real. Krautismo breakbeat stampo cation e che giustamente si merita un bel riflettore Warp. Label che ora fuori dal mucchio del pure puntato a fianco di Tom Middleton quello di Li- electro ripesca magicamente le origini, si ricom- fetracks. Non ci si era soffermati più di tanto in pone e anticipa un revival proprio sulle sue cose, occasione del paio di EP usciti nel 2008 (EP One prima che qualcuno soffi. Ma dicevamo hip-hop. e Dirtbox 12) ma rimediare è facile con un disco Che sarebbero stati gli Autechre di Amber tra me- come When Machines Exceed Human In- talli e sincopi pre-dubstep senza il prezzemolo del telligence, uno di quei lavori che reinventano il battito? Già, ce lo dicevano pure gli Amari che sul Warp sound più tech, rinfocolano il bbeat con dosi prototipo del Bbeat si fondano tutti i Novanta. Ce controllate di 8bit e ambient autistica. E per i più lo diceva il Dariella prima B e ora electro-pop: “è vibertiani c’è pure l’acid. 09=90. E pure la noia tutta trasfigurazione (break)beat”. Da tutto questo buona del bit quadrato. e dalle sacrosante sentenze, attacchiamo anche un Edoardo Bridda e Marco Braggion

8 / Turn On jem cohen

Da anni l’americano Jem Cohen rappresenta un esempio di mente in America, sotto l’amministrazione Bush cinematografia “sul serio” indipendente che pare aver trovato e dopo il 9/11.”) e commissionata dal Festival del ennesima conferma nell’uscita in dvd della riflessione sullo Cinema di , la pellicola veniva proiettata stato dell’unione Evening’s Civil Twilight In Empires Of a chiusura dell’edizione 2007 della rassegna. La Tin. sera stessa Cohen filmava l’esibizione ed eccoci Chissà se c’è un nesso tra l’insediarsi di Barack oggi con in mano un dvd pesante come un matto- Obama alla Casa Bianca e la quasi contempo- ne gettato dentro una vetrata; qualcosa che demo- ranea uscita del dvd Evening’s Civil Twilight In lisce la barriera tra rockumentary e film d’autore Empires Of Tin. E chissà che in qualche modo attraverso metafore sociopolitiche aguzze e dolo- serva a chiudere il capitolo su un decennio tra i rose, secondo le quali il kaiser Francesco Giuseppe più tristi in politica estera per gli Stati Uniti, col e “Mr. Dabliù” incarnano lo stesso timoniere di suo evidenziare errori e decadenza del (fu?) paese un vascello alla deriva. A tale scopo la macchina più importante del mondo. Anche così non fosse, da presa indaga tra le pieghe della Vienna di oggi si tratta in fondo di uno tra gli innumerevoli livelli e che fu e lo stesso vale per New York, restituen- di lettura di un’opera che fonde musica, lettera- do una metropoli-simbolo percorsa da ectoplasmi. tura e politica come in poche altre è dato sentire. L’uso del rallentatore e della velocizzazione tipi- Non poteva che essere altrimenti, visti i pezzi da ci di Cohen congelano le emozioni per restituirle novanta impegnati e cioè il regista fieramente indi- intatte nel loro potenziale evocativo e simbolico, pendente Jem Cohen, il cantautore , siano esse sgranate istantanee prebelliche, seppiate i post-apocalittici rockers A Silver Mt. Zion e l’ex intrusioni tra il centro città o panorami restituiti Guy Picciotto. L’ensemble che già si era alle tinte vitali di ogni giorno. L’architettura si fa trovato in sala per il meraviglioso North Star De- narrazione, pagina da indagare per leggere passa- serter e che qui si trova a fornire - con l’ausilio dei to, presente e futuro. Sperando che quest’ultimo newyorchesi Quavers - adeguato commento sono- non sia come quella bandiera americana che, ri- ro alle immagini. Basata liberamente sul roman- dotta uno straccio di brandelli, sventolava sopra il zo The Radetzky March di Joseph Roth (propo- “ground zero” nei giorni seguenti l’undici settem- stagli dal “montanaro d’argento” Efrim Menuck: bre di otto anni fa. “La ragione autentica dell’interesse del libro stava giancarlo turra nel fatto che questi sono tempi assai duri, special-

Turn On / 9 Action Beat

Viene da Bletchley, nord-est di Londra, una delle farlo lo stesso. Nel nostro ultimo tour il nostro van sensazioni più vivide dell’attuale panorama indie si è rotto in Germania e abbiamo affittato un’auto del Regno Unito. Una appartenenza sentita che suonando lo show successivo in Belgio. Quando viene sbandierata sin dal titolo del comeback The però il van fu riparato, alcuni di noi dovettero tor- Noise Band From Bletchley appena uscito per nare a recuperarlo a Leipzig e così abbiamo do- la neonata Truth Cult, sussidiaria della più nota vuto suonare l’ultimo show ad Amsterdam senza Southern. mezza band. È stato grande lo stesso!» Non una band in senso stretto, però, quanto piut- Totale libertà, dunque. Approccio punk che si ma- tosto un collettivo piuttosto ampio e mobile che terializza in un assoluto distacco da canoni e codi- fluttua intorno ad un nucleo tutto sommato stan- ci. Libertà, una parola che tornerà spesso durante dard di almeno cinque membri. Quando però si la conversazione e che si nasconde in ogni pezzo tratta di salire su un palco, la formazione base si del collettivo: «Chiunque può suonare con AB e moltiplica fino a prevedere come minimo 3 chi- questo ci permette grande libertà e indipendenza. tarristi, un bassista e da 1 a 4 batterie. Intorno a Per questo così tante persone hanno suonato con questo core ruota di volta in volta una marea di noi e permesso una così ampia libertà di suono».. collaboratori più o meno occasionali tra cui anche Date queste premesse – collettivo aperto + attitu- il drum-kit del nostro Bruno Dorella. Tanto per dine free – sarebbe facile attendersi una potenza rendere l’idea, nelle sessions del nuovo album se di fuoco impressionante. E invece ciò che stupi- ne contano almeno 10 tra chitarre, bassi, batterie, sce maggiormente all’ascolto di The Noise Band sax e trombe, come ci conferma Don McLean, From Bletchley è che cotanta artiglieria non si col quale abbiamo fatto una lunga chiacchierata: dedica, almeno in studio, ad un parossistico assalto «Non siamo una band classica, dato che ci adattia- sonico stordente e cacofonico come sarebbe lecito mo a situazioni differenti. Non abbiamo bisogno aspettarsi, bensì ad uno sviluppo focalizzato, con- di un nucleo di membri, così se qualche membro trollato, quasi ragionato delle strutture che però regolare non può suonare un live è molto semplice nasce spesso in circostanze pressoché improvvisa-

10 / Turn On te: «Per il nuovo album abbiamo precedentemente viamente, suonato con strafottenza e supponenza jammato 3 pezzi in sede live (i pezzi sono High Ac- tipicamente british alla Fall «Amiamo molto i Fall, tion, Meat Head e Manic Face suonati nel live ripreso specialmente quelli degli esordi…Live At The nell’artwork, nda) in modo da sapere cosa stavamo Witch Trials con la splendida Rebellious Jukebox» facendo. Le altre 9 canzoni sono totalmente im- ma memore anche di altri momenti dimenticati e provvisate e assemblate in studio, anche se sono apparentemente fuori contesto, come Stone Roses più corte, veloci e “song-oriented” rispetto alle e EMF «Cosa? ��������������������������������You’re Unbelievable??? Unbeliev- precedenti. Considera che come AB non abbiamo ably Shite!!!» mai provato; facciamo canzoni solo quando suo- Nonostante le grasse risate di Don, l’ascolto della niamo live». prima metà di Master Beat sembrerebbe dire il con- Un discorso valido anche per il precedente trario. Cioè che a stratificarsi nel background di 1977-2007: Thirty Years of Hurt, then us gruppi come questo sia una infinità di riferimenti Cunts Exploded, nei cui 6 pezzi l’aspetto im- più o meno consci agli stessi autori e che si river- provvisativo è ancor più evidente; in virtù soprat- berano in maniera latente nelle loro composizioni. tutto di un atteggiamento più jam-oriented che Ecco così che dalle impalcature noise-rock in so- genera un sound libero, informe, dilatato, ben rap- vrapposizione emergono moloch apparentemente presentato dalle cacofonie e dai vuoti cosmici dei estranei come le aperture jazzy, i fiati che impre- 16 minuti di Maximum Bletchley. ziosiscono e screziano il suono rendendolo schizoi- Nel percorso sonoro del collettivo sono però rico- de, il motorik krauto che si accende all’improvviso noscibili un paio di capisaldi piuttosto evidenti: oppure sorprendenti fascinazioni per drum’n’bass Sonic e Glenn Branca «Siamo completa- e musica africana. Se la prima trova giustificazio- mente fan di e Glenn Branca; da lì ne nelle parole di Don «tempo e ritmo sono con- proviene l’idea di accordare le chitarre in maniera trollati dal basso e dalla/dalle batterie…puntiamo differente». Le dissonanti accordature dei primi e sempre a beat dancey, un po’ come la d’n’b made i vortici ascensionali del secondo sono parte inte- in UK» la seconda sottolinea l’aspetto sciamanico grante del dna degli sgherri di Bletchley: l’ascen- che alcuni momenti più dilatati sembrano evocare: denza Daydream Nation cala come fall-out «Fondamentalmente siamo rockers che ascoltano post-atomico sugli incastri strumentali solo appa- underground noise shit e punk, ma amiamo ballare rentemente elementari di cui le partiture del col- con James Brown, soul music, Motown e non è una lettivo sono piene; le ramificazioni ascensionali di novità dire che la musica nera, africana è la miglio- Branca sfruttano la stratificazione delle chitarre re musica sulla terra. […] Mi piace ascoltare musica per creare piccoli tornado noise, senza mai scivo- africana come Konono N.1, e recentemente l’etiope lare nell’accademico. Mahmoud Ahmed. C’è così tanta musica africana Quello degli AB è però un percorso non circoscrit- che devo ascoltare che spero, col tempo, possa in- to alla riproposizione, seppur personale, del sound fluenzare gli AB». di quelle pietre miliari; da quelle che sono le vere Stefano Pifferi e proprie chiavi di volta per l’architettura sonica del collettivo, il suono di AB si allarga fino ad in- globare quanto di più rumoroso gli States abbiano prodotto nell’ultimo trentennio abbondante (scor- re nelle parole di Don un bignami delle musiche rumorose Usa: «Stooges, Black Flag, Fugazi, Nir- vana, Jesus Lizard, Swans, Big Black»). Il tutto, ov-

Turn On / 11 dell’album di debutto degli islandesi Hjal- talín, disco che ben Hjaltalín fotografa la condizione di ebbrezza cui sopra, Sleepdrunk Pop anche da un punto di vista musicale. Ci si trova allora davanti, in quest’album, a canzoni con massime variazioni in tempi e mood, uso di ampia strumentazio- ne tra indie rock e pop orchestrale, e insieme un senso di estrema ri- lassatezza da festa tra amici, in cui si passa agevolmente da uno stato a un altro, dall’eu- foria alla rilassatezza alcolica e così via. Con una leggerezza piacevo- le e easy derivata dallo stare bene insieme, an- che musicalmente. E in questo, una non sconta- ta complessità musicale. D’altronde, l’apparente facilità del pop è cosa difficilissima da ottene- re, si sa, frutto di intu- izioni e talento nonché Leo Stefansson

© di fortunate e magiche alchimie. Chi sono allo- ra questi newcomers del Leggerezza e ironia, chamber indie pop e catchyness le carat- chamber pop nordico lo andremo scoprendo man teristiche degli Hjaltalín, nuova scoperta islandese. mano, basti dire intanto, per ribadire il carattere di loro (apparente) easyness, che il gruppo messo La definizione di sleepdrunk in slang inglese così su nel 2006 da Hogni Egilsson, fresco di studi di recita: “Lo stato, dovuto alla mancanza di sonno, in composizione, cantante e chitarrista di cui si è talmente stanchi che le inibizioni si abbassano Reykjavik, nonché deus ex-machina del gruppo, e i processi cerebrali si affievoliscono, proprio come se si è in origine destinato a un’unica esibizione. Evi- fosse ubriachi”. E Sleepdrunk Seasons è il nome dentemente le cose vanno meglio del previsto e il

12 / Turn On combo variegato, che oscilla dalle otto alle dieci variegata, con uso massivo di cambio di tempi, alla persone, prosegue la sua attività. Accanto ai tra- maniera di mini suite tematiche (Goodbye July, dizionali chitarra basso batteria piano e tastiere, cantata per metà in inglese e per metà in islandese) si affiancano i meno usuali fagotto, tromba, trom- o colonne sonore classico-orchestrali (Kveldúlfur). bone, corno francese e clarinetto, e i più consue- Una passione nemmeno troppo nascosta per Ba- ti violino, violoncello, fisarmonica, harmonium, charach e Hazelwood così come per la musica col- banjo. E la voce imperfetta ma efficace di Hogni, ta traspare da subito. Ed ecco ancora Jens Lekman un misto di Jónsi dei Sigur Ros, Antony e Jens e i Decemberists incontrare le voci e le variegate Lekman, doppiata dal lato femminile di Sigga (Si- orchestrazioni degli Steely Dan (Traffic Music), gríður Thorlacius), contribuisce a creare una defi- mentre gli ultimi Sigur Ros pop si uniscono alla nita alchimia di gruppo nonché un vero e proprio sensibilità Antony (The Boy Next Door). Non sor- tratto distintivo armonico. Siamo dalle parti di un prende quindi incrociare anche il barocco meno chamber pop impetuoso ma lirico molto vicino ai melodrammatico dei canadesi Stars (Debussy, primi Arcade Fire, ai quali cominciano a essere Selur) e dei Belle & Sebastian più malinconici ben presto paragonati. Il solito passaparola su In- alla Drake (nell’intensa e melodica The Trees Don’t ternet fa il resto, anche se il gruppo oggi non ama Like The Smoke). Nonché il pop eclettico degli Hid- definirsi, con il senno di poi e con una certa punta den Cameras e la complessità dell’immancabile di snobismo, “una internet band tipica”. (da citare in questi casi) Sufjan Stevens. L’incontro con il Morr-iano Benedikt Hermann L’unità tematica si ritrova anche a livello contenu- Hermannsson alias Benni Hemm Hemm segue di tistico; Sleepdrunk Seasons può essere definito lì a poco (e non si possono non notare le più che un “concept album” atipico, ricco com’è di spunti evidenti affinità tra le due band), mentre si comin- ecologisti espressi anche in modo giocoso e non ciano a porre le basi per il disco d’esordio. forzato (così in The Trees Don’t Like The Smoke: “Put Intanto il gruppo si tempra massicciamente dal that cigarette out for the trees/ and if you’re so sure that it’s vivo, e qui la formazione varia di numero a secon- alright, then why don’t you say it out loud to the trees?”), da delle esigenze e delle occasioni. Una mini or- dettagli cinematici ed impressionistici alla manie- chestra la loro, che fa musica ben presto definita ra di una soundtrack, anche se molto spesso, più dalla critica locale “beautiful eclectic powerpop”, che le parole, piuttosto centellinate, è il carattere con descrizioni del tipo“suonano come se i Tele- prettamente evocativo della musica ad esprimersi tubbies avessero deciso di formare una band”, per pienamente. il loro aspetto elfico e il potere immaginifico ma Un gruppo potenzialmente in grado di dare molto d’impatto delle liriche. e ce lo dirà il tempo a questo punto. Intanto non A dicembre 2007 esce in Islanda il debutto Slee- si può non godere, ancora una volta, delle melodie pdrunk Seasons, prodotto da Hermannsson in- cristalline e della magia del loro pop. sieme a Gunnar Tynes dei Múm, ed è da subito Teresa Greco la consacrazione in patria, dove ricevono nel corso del 2008 numerosi riconoscimenti. Album d’esor- dio che nei primi mesi del 2009 è pubblicato nel resto d’Europa. Accade così che le fredde brume dei ghiacci nordi- ci producono calde melodie laddove non ti aspet- teresti, un equilibrio perfetto tra una base melo- dico ritmica beachboysiana e un’orchestrazione

Turn On / 13 dälek Of f -Ho p

- Marco Braggion

Il ritorno del doom per due degli hip-hoppers più duri del momento. L’uscita del nuovo al- bum e qualche riflessione sulla contemporaneità direttamente dalla strada. dälek: il nuovo incubo dal New Jersey.

os’è diventato l’hip-hop? I Dälek ne parlano , sfociavano improvvisamente nel ritmo Cnel loro nuovo album Gutter Tactics (re- urban per eccellenza. Oggi che di mesh ne siamo censito in questo numero): il genere è un magma pieni, queste estetiche suonano normali, a tratti ribollente che attinge da qualsiasi fonte sonora o scontate. E non ci sorprendiamo più degli accosta- linguistica. La voglia di innovare non si è affievo- menti inusuali. Il problema è uscire dal binario pur lita. Il duo -formato dall’MC Will Brooks e dal restando vicini all’ortodossia del genere. Senza ov- produttore Oktopus (coadiuvati nella prima parte viamente perdere la reputazione. Fedeli alla staticità del loro percorso dal turntablista Still)- è attivo dal che premia solo i più decisi, i più ‘massicci’, come si 1998. I due si trovano immersi fino alla gola nel- dice in gergo. la pre-millennium tension profetizzata dal santo- Il duo da Newark (New Jersey) esordisce con una ne Tricky. Era la stagione del doom: etichette che pletora di collaborazioni ed EP. Il primo è Negro, proponevano un hip-hop ‘sperimentale’, avant. I Necro, Nekros EP (1998). Un esperimento che nomi sulle copertine dei giornali musicali erano esce dalla stagione post-hardcore e che si fonde Anticon, El-P e cLOUDDEAD. I drones del rock con le estetiche cut’n’paste della Mo’ Wax e con lo e dell’elettronica, che avrebbero fatto la fortuna dei Shadow più illuminato. Ma è in combo con Tech-

14 / Tune In no Animal nel Megaton & Classical Homicide ne sta calando sulla scena, la crew si fa notare con EP (2002) che si avverte un segnale forte. Quattro l’arte della calibratura perfetta di vecchio e nuovo. tracce che mostrano la ‘shape of hip-hop to come’, Il rapping incazzato dell’MC che si districa attra- la visione futurista che è ancor oggi il loro bigliet- verso muri chitarristici in Asylum e i sample cupi to da visita: suoni lunghi, drones alieni mescolati a nell’inno che è Culture for Dollars; le cronache dal ritmiche old school. Vecchio e nuovo che collido- dopobomba narrate nell’ambient sinuosa della tit- no per far avanzare lo stile. Lo stesso anno, dopo letrack o nei paesaggi glitch di Koner ci fanno ca- quell’antipasto che ci aveva fatto venire l’acquolina pire la qualità di un combo che non ha mollato la in bocca, arriva il botto. corda davanti al compromesso e che sa di poter L’album sulla lunga distanza si chiama From Fil- scuotere ancora per molto il pianeta del ritmo. thy Tongue of Gods and Griots. Divinità e can- Poi la strada è tutta in discesa. Nel 2007 Abando- tori africani sono la giusta cornice per entrare in ned Language e la raccolta di B-sides Deadver- una visione che ancor oggi spaventa per la potenza se Massive consacrano il gruppo come alfiere di e per la freschezza del suono. Bordate del calibro di una ortodossia creata sul campo e sul palco. Gente Spiritual Healing hanno la cattiveria del metal mel- che si è costruita faticosamente un seguito, senza vinsiano e la grazia della strada, tracce lunghe come aver bisogno di sponsor o di raccomandazioni. l’incubo Black Smoke Rises ci fanno capire che non Scostanti, scivolosi e sfuggenti. Data l’impossibili- c’è compromesso. Il duo ha già il suono in tasca. tà della catalogazione, l’anarchia nella scelta della Ha già in mente le visioni electro-ambient dei Bo- proposta sonora è ormai d’obbligo. Loro sanno di ards of Canada, mescolate a suoni industriali à la dover fare quello che sentono senza dover rendere Nurse With Wound e a un vago sapore etnico che conto a produttori o a etichette. Solo a se stessi e a non si eclissa in sterili elitarismi. L’esordio li lancia noi che li seguiamo. A noi, fan stupiti che ci siano sull’olimpo delle classifiche; li si cataloga come hip- ancora delle sorprese dietro la grancassa e l’hi-hat. hoppers solo perché vengono usate le basi in quat- Per toglierci gli ultimi dubbi siamo andati a senti- tro. Ma sotto il vestito (ritmico) c’è molto di più. re direttamente uno dei protagonisti. L’intervista Due anni dopo li troviamo infatti al fianco dei telefonica con l’MC Will Brooks in esclusiva per Faust. Il combo krauto che va oltre la storia del SentireAscoltare. rock. In Derbe Respect, Alder (2004) esplode la visione affine al sentire europeo. E non sai chi Con il tuo lavoro hai cambiato la prospet- stia facendo cosa, se i maghi della psichedelia si tiva che guarda all’hip-hop. Il genere oggi stiano prendendo gioco dei pischelli americani o è difficilmente definibile dai critici. Pensi se proprio qui l’hip-hop si stia rivoluzionando nel- di aver spostato il limite musicale o di aver lo sgretolamento di tutte le certezze; perché non mantenuto le radici? c’è un pattern ritmico che segni la strada, non c’è Per me l’hip-hop è quello che faccio, quello con cui un minuto in cui possiamo sentirci sicuri di quel- sono nato e cresciuto, è la mia cultura. Scelgo suo- lo che succederà. Più che un disco, questo split ci ni differenti rispetto ad altri artisti, ma l’hip-hop è conferma il fatto che i ragazzi non scherzano. Da sempre stato questo, è sempre stato così: spostare i qui in poi non è più solo old school. Si passa alla limiti e usare suoni nuovi. Poi è anche diventato un maturità. affare commerciale, ma sicuramente queste opera- Absence (2005). Il disco che fa i conti con i clas- zioni non servono a creare cose nuove. sici. La pietra che scava nella storia hip-hop e che inserisce la freschezza degli esperimenti sonori. L’hip-hop è nato come una cosa di strada e Un lavoro coraggioso: proprio quando l’attenzio- -come dici tu- poi è passato anche al com-

Tune In / 15 merciale. Sì è persa definitivamente la re- Pensi che questo modo che hai di descrive- alness? re la realtà sia condizionato dai tempi in No. C’è ancora. Penso che l’hip-hop rimanga co- cui vivi? munque hip-hop, cioè questa evoluzione non mi È una domanda soggettiva, dipende sempre sorprende. Puoi trovare buona musica anche nella dall’esperienza di ognuno, da che tipo di vita vivi, parte commercia- da dove provieni. le, e anche ovvia- mente nella parte Ascoltando il tuo underground. nuovo album ho percepito due In Europa ci prospettive di- sono molte crew verse. Una più che stanno me- focalizzata sul scolando suoni suono e l’altra diversi: ban- sui testi. Come ghra, hip-hop, lavori? Che cosa electro, etc. influenza cosa? pensi che que- Dipende da can- sto mix di suoni zone a canzone. sia la next-big- Ma comunque thing? non è il suono che Mixare i suoni è influenza i testi o quello che io chia- viceversa. Si trat- mo hip-hop! Non ta di costruire una c’è niente di nuovo. canzone nel suo Scoprire nuovi suo- complesso. I testi ni e metterli assieme e la musica si in- in una canzone. Il fluenzano a vicen- cuore dell’hip-hop da. Ovviamente i è sempre stata la testi sono impor- scoperta di sample tanti, ma allo stes- da dischi o da film so tempo riflettono e il loro riassem- il mood dei suoni. blaggio. Pensa alle Nessuna delle due prime canzoni. Venivano usati anche samples dei componenti prevale sull’altra. Non ci sono regole Kraftwerk: è la mentalità che sta da sempre dietro ben definite. l’hip-hop. L’album è su Ipecac, l’etichetta di Mike Il mood che sta sotto alle tue canzoni è Patton. Perché hai scelto questa etichetta? sempre molto oscuro. Conosci Patton o lavori con lui? Secondo te si connette con il dubstep? Non ho mai lavorato con lui ma penso che la sua Ascolti dubstep? etichetta sia “open minded”, dà all’artista tutta No, non molto. la libertà che vuole. Puoi fare ciò che vuoi, quin-

16 / Tune In Alexandra Momin Alexandra © di penso sia una buona opportunità lavorare con cui la scrivo. un’etichetta del genere. Nei tuoi album parli spesso anche di po- Verrai in Italia per un tour? litica. Scusa l’ovvietà della domanda, ma Certo, ci sono stato qualche mese fa e di sicuro ci cosa ne pensi di Obama? Pensi che ci sarà tornerò! Non so ancora quando, ma sta sicuro che davvero un cambiamento? tornerò. Probabilmente è significativo. Penso sia grande che sia stato eletto Obama. Ma nello stesso tempo Molte delle tue canzoni sembrano musica non penso che un presidente possa cambiare così adatta per qualche film. Hai mai pensato tanto in 4 anni. Sono felice e orgoglioso, ma non di scrivere colonne sonore? sono stupido. Non penso che una persona possa Certo! Abbiamo già fatto qualcosina e probabil- cambiare l’intero sistema. mente nel futuro scriveremo qualcos’altro per film. Pensi che la tua musica ‘politica’ possa cambiare qualcosa? Perché scrivi se il si- Hai qualche progetto per il futuro? Un nuo- stema non cambierà? vo album? Non la vedo come musica ‘politica’. La ragione per Abbiamo due album su cui stiamo lavorando, ma cui scrivo musica è perché ho bisogno di qualco- adesso siamo in tour, quindi torneremo a lavorarci sa per esprimere le mie frustrazioni, i miei sogni o da marzo fino alla fine dell’anno. altro. Non penso che con questa musica cambierà qualcosa, Se la gente cambia ascoltandola certo sono il primo ad essere contento, e questa è una delle qualità della musica, ma non è lo scopo con

Tune In / 17 Circlesquare

Be r l i n Em o t r o n i c a

- Marco Braggion

18 / Tune In Mo m e n t s in l o v e diano remiscelato rave e dunque step che guarda a lacrimuccia sul dancefloor ci mancava. Che furbescamente al rock mentre dal taschino spunta Lsiano le tonnellate di break o di acidità ad aver- l’electro da cameretta che fa zero zero come non ci un po’ saturato le notti sul dancefloor non lo pos- mai. Cose che fanno innamorare le girls e che fan- siamo dimostrare, ma il riprendere in mano le bri- no arrossire i boys (ma anche no). E da qui sarà glie della melodia di tanto in tanto ce lo possiamo anche (vedi il riferimento al Duca) sempre più stile. pure concedere. Dopo essere stati prigionieri delle Sempre più fashion. camere dubstep e dell’ambient da decompressione La parabola romantica è sempre al confine col ci mancava l’emozione. Ovvero il sentimento tutto kitsch, perché se non la si prende sul serio la me- 80 che due decadi fa veniva sprimacciato con ton- lancolia sovrasta chi la canta, eppure quando qual- nellate di paillettes sulle classifiche del pianeta e su- cuno riporta i remi in barca e sa il fatto suo, allora gli aperitivi della Milano da bere. Quella sensazione si sbanca. Un nome. Kings of Convenience. è mutata dopo il crollo del muro, nelle camerette Ovvero saper guardare furbescamente a Simon & che la Morr ha abilmente nutrito con le sue sonori- Garfunkel, fotografarsi slavati sixties style, apparire tà; il cuore pulsante che nella disco di classe è sem- sempre in coppia. Aggiungi qualche color pastello pre stato soul (vedi l’ultimo paladino Erlend Øye), e qualche atmosfera fumè, l’aria distaccata di chi nella bianchissima Europa da un po’ di tempo non sa far parlare di sé entrando di diritto nel magma trovava più casa se non in qualche uscita infelice e pop, magari con qualche esotismo nerdy che ricor- ripetitiva. da la canzone d’autore ed è fatta, specie se la metà Gli alfieri di quelle cavalcate epiche sono gliAppa - della coppia di Bergen è il citato Øye, uno che da rat e i Röyksopp (nord e ancora nord). La loro è solo si è consacrato ‘The Voice’ in fatto di singing una visione che colpisce la pancia e che punta sulla disco pop, salvo ora ritrovare una sua dimensione voce. Con i primi si recuperano le lezioni tecniche suonata con Whitest Boy Alive. Sempre nerd ma di warpiana memoria, remiscelate nelle vocals che indie soul appalla. bilanciano il diabolico battito in quattro. Un inti- E poi, continuando la passerella, ancora gli Air e gli mismo che non si guarda le scarpe, ma che alza la esperimenti di eccellenza di Darkel. La francesità testa e fa vibrare. Cose che scuotono, come l’Arca- che non è solo confinata al touch da ballare, ma che dia (nella storica versione remiscelata dai Telefon sforna icone che stanno in piedi da sole sul palco. Tel Aviv), un mondo ideale da cui non vogliamo Gente che fa (la) scena. Giacca e occhiali uberchic scendere, o quell’inno che è da sempre uno dei ca- che si fanno chiamare Sebastien Tellier. Le sue pisaldi del minimalismo: Queer Fellow (magari nella rimembranze che pescano (ancora) dall’immagi- versione con Ellen Allien). Con i secondi invece nario gainsbourghiano ma alle quali s’aggiungono andiamo in direzione pop, quella perfezione che glitch e tastiere, una tradizione vieppiù rivisitata di ci annienta perché non ha una direzione, bensì la macchine e cuori che chiamale se vuoi emo perché sensazione romantica delle pianure sconfinate, gli parliamo di una combriccola eterogenea di per- abissi che solo dal nord Europa si possono amma- sonaggi che puntano altezza petto e vivono senza estrare. I vuoti e i silenzi di una terra che non ti re- troppi bassi, senza il fumo dei tombini NYC. E sono gala niente. La meditazione che ti porta a cercare gli artisti più posh di tutta la ciurmaglia soul d’ol- nuovi universi nel tuo io. treoceano, prescindono dalla street culture e ama- Dopo i fondatori, lo scettro passa a quel Patrick no lo studio di registrazione. A molti piace questo Wolf, il nuovo Bowie, che qualche anno fa ha atteggiamento snob. Un po’ retrò, un po’ cool che sorpreso le piste da ballo e le passerelle di mez- appunto ‘fa fico’, sicuro di accaparrarsi la copertina zo mondo. Un’estetica fatta di synth pop almon- o la prossima passerella di turno. A parte Wolf e

Tune In / 19 Øye, vecchi artisticamente ma non di passaporto, l’età anagrafica va sotto il ’76 e, a guardar bene, di nuovi adepti non ce ne sono poi molti. Fino a ieri. Oggi infatti giriamo tra le dita la con- fezione cd di nuovo ragazzo dal cuore d’oro. Je- remy Shaw in arte Circlesquare.

Qu a d r a r e il c e r c h i o È la !K7 del benemerito Herbert a portare sulla bocca di tutti questo ragazzo canadese. L’etichet- ta berlinese torna sulle orme del mid-tempo e ci fa ricordare in un deja vu estraniante le mitiche Ses- sions di Kruder & Dorfmeister. Paragonare il nuo- vo pupillo ai due DJ non è esagerato. Anche loro ci davano di elettronica e di digitale, ma sapevano distillare l’essenza che punta allo stile direttamente dalle menti dei remixatori. Quelle tracce che trasu- davano un calore mai provato e che stavano bene nei salotti dei parties più patinati. Dopo quasi 10 anni, lasciamo da parte il piatto e ci andiamo di analogico. Si torna in studio ma si suo- na e si canta. Perché Jeremy non fa il solito disco impostato sul 4. Jeremy ci fa respirare con vocalizzi fluidi, senza salti, una melodia cullante e piena di riferimenti dark-gothic in stile Close To Me. I Cure pop delle basi synth lanciate all’immortalità. Lui arriva dal Canada e si racconta al telefono dal- Dancing And Drugs (SA N°50), un album nato la capitale tedesca. “ho vissuto a Vancouver per quasi dalla collaborazione triennale con Colin Stewart. tutta la mia vita dove era molto difficile per la mia band “Lui ha uno studio a Vancouver (The Hive). Ha lavorato andare in tour. A Berlino ho avuto piena libertà d’azione”. con i Black Mountains, i New Pornographers e altre E infatti, in Europa, si tuffa mani e braccia in un band valide. Visto che volevo usare molti suoni di batteria e ricordo post Modest Mouse filtrato con l’electro. di chitarra registrati dal vivo nel mio ultimo album, lavorare Di fatto un ripristino degli strumenti in chiave mi- con lui è stata la scelta più ovvia. Lo conosco perché ho un nimal ma con radici non proprio indie. “La mia è amico che stava in una band negli anni 90 (i Beans, una una minimal con elementi acustici, ma penso che l’influen- band post-rock) a Vancouver. Loro registravano sempre in za maggiore provenga dalla musica folk. Gente come Leo- quello studio, così l’ho incontrato”. nard Cohen, più che gruppi indie. Forse qualcosa di mi- Acustico barra elettro sembrano essere il marchio nimal techno e di drum’n’bass, ma il riferimento principale di fabbrica delle produzioni Circlesquare. Già in è sempre Cohen. Più folk che elettronica”. E la trama si Pre-Earthquake Anthem (Output Recordings, infittisce: Shaw viaggia infatti attraverso i territo- 2003) senza troppo clamore aveva mescolato Ba- ri più disparati, elettronica e mesh innestati nella dalamenti e Joy Division, eppure nel lavoro a sor- post-minimal. Un cuore che pulsa dark-folk e tut- prendere è la semplicità e la freschezza. to ciò si riflette nella produzione di Songs About “Non so se sono più minimal o acustico. Dipende dal giorno

20 / Tune In della settimana [ride]. Ascolto sicuramente più rock’n’roll. usare lo sile techno nella musica pop”. Se dovessi fare la top ten dei dischi di sempre, penso ci met- Avremo modo di vederlo anche in Italia (sarà pro- terei solo un album di elettronica pura. Ma penso che dal babilmente da supporto ai Junior Boys) e di sen- punto di vista estetico, visto che lavoro molto con tools elet- tirlo in un prossimo remix per Matthew Johnson e tronici, sono più orientato verso l’electro. Non so, in fondo Patrick Wolf a cui sta lavorando. quello che mi piace sono le belle canzoni”. L’ago della Insomma, da quanto abbiamo capito questo SADAD bilancia, insomma. Tanto per capire cosa ha in te- è uno dei punti di svolta per la Berlino minimal. Ba- sta ci dice che ultimamente sta ascoltando molto sta con le tastierine. Torniamo a quei cari e vecchi “i Deerhunter, Conrad Black e dei remix di Pa- amplificatori analogici e rilassiamoci. La lampada trick Wolf ”. Un bel miscuglio di electro mutante in copertina ci ricorda il modo di aspirare la metan- ma sempre con le canzoni là a farla da padrone. fetamina, che appunto molti ragazzi americani ina- Si torna a cantare gli diciamo e lui risponde sicuro lano usando pezzi di lampada rotta. Un ritorno al sul fatto che corsi e riscorsi tra disco e non disco sintetico da camera. Per il nuovo sballo ritorniamo dell’elettronica cantata sono normali. Del resto tutti a sognare sul materasso. Songs… è la miccia che le pietre miliari restano i grandi gruppi. “Sono un scatenerà la rivoluzione. Ne siamo sicuri. Segnatevi grande fan dei Depeche Mode. E penso di avere una strate- l’appuntamento al Fabric, il 24 gennaio. gia simile agli Apparat o B. Fleischmann. In poche parole

Tune In / 21 Mi m e s Of Wi n e Im m a g i n i i n m o v i m e n t o

- Stefano Solventi

22 / Tune In Il pianoforte e la voce di Laura Loriga tornano a casa portando in testa e nel cuore immagini di altri tempi e altri spazi. La California, Parigi, Bologna: un triangolo tanto improbabile quanto plausibile oggi che nulla è incolmabile, che tutto è mobile, in ogni direzione/dimensione. Una sfida difficile ed esaltante per chiunque abbia voglia di catturare queste immagini in movimento.

n fantasma si aggira nell’occidente globaliz- ti dietro ad un progetto o unprogetto da Uzato, atomizzato, apolide. E’ un’inquietudine perseguire oltre al tuo essere musicista e febbrile, è un andare avanti comunque anche se di cantante? colpo non riesci a vedere la strada, è un voltarsi che Una cosa ha portato all’altra. Nascondermi die- spedisce i rimpianti e le angosce in un futuro che tro ad un nome che non è il mio ha forse messo sai irrinunciabile. Irreversibile. Forme e movenze la musica un po’ in primo piano rispetto alla mia antiche imbastiscono teatrini di sconcertante mo- persona, e questo mi ha aiutato perché volevo che dernità. Di cui senti l’urgenza ora e qui. Lo han- chi avrebbe fatto parte di Mimes of Wine con me no chiamato pre-war folk, ma è un’etichetta che si potesse sentire libero di giocare con forme ed Mi m e s Of Wi n e si è presto rivelata angusta rispetto alla ricchezza elementi quanto me. “Mimes of Wine, apocalypse sets espressiva di una Joanna Newsom, dell’imman- in..” sono i primi due versi di una poesia scritta da m m a g i n i i n m o v i m e n t o cabile Devendra Banhart, delle ineffabili Co- un mio amico, Amir, e ancora adesso mi piacciono I corosie e persino di una PJ Harvey inaspettata- ogni volta che li penso. mente – ma emblematicamente - gothic. Pensavo questo ascoltando l’ep d’esordio dei Mi- Francesco e Zeus della Juniper Band sono mes Of Wine, moniker dietro cui agisce Laura Lo- oggi con te nei M.O.W., in passato hai la- riga, pianista e cantante, nata a Bologna (dove ha vorato con Enzo Cimino dei Mariposa e fatto parte dei post-rockers Lanark) ma con base Adriano Modica: tutta gente in cerca di anche a Parigi e in California (dove ha dato vita al sonorità desuete però non estreme, selva- trio elettroacustico While They Sleep..). tiche ma ad altezza d’uomo, tra frugale e Impressiona la forza e la complessità ammaliante sperimentale. Quanto sono stati difficili, e dei pezzi, di cui lei stessa è autrice. Il piano e la perciò preziosi, questi incontri? voce si dannano in un’interpretazione senza scon- Tutti questi sono stati e sono ancora incontri pre- ti, strattonati tra allucinazioni folk- da came- ziosi. Per quanto diversi possano essere l’approccio ra, perniciose fatamorgane post-jazz, in un frullare di Francesco e Zeus da quello di Enzo o Adriano, di percussioni e ottoni, tra imprendibili folate elet- tutti loro sono stati disposti ad ascoltare molto fin troniche, nell’andirivieni di corde che ghignano e dal principio, e a venirmi incontro ognuno a modo carezzano. Un sound notevole, sviluppato dall’in- suo moderando a volte le mie scelte, e a volte ren- contro con Enzo Cimino dei Mariposa e Adria- dendole meno consuete. Con Enzo ed Adriano ho no Modica (un altro di cui varrebbe la pena par- cominciato ad apprezzare il suono di ogni singolo lare), quindi con Francesco Begnoni e Zeus campanellino, corda, respiro, rumore, e a mette- Ferrari, già Juniper Band e You Should Play re insieme le cose partendo da elementi piccoli, a In A Band. Soprattutto, c’è la sensazione di qual- volte a malapena udibili. Questa parte mi ha ap- cosa che sta ancora crescendo, in bilico tra antico passionato molto, infatti anche ora quando com- insopprimibile e futuro prossimo. Non potevamo pongo da sola utilizzo lo stesso metodo. lasciarci sfuggire l’occasione di intervistarla. Con Francesco e Zeus invece ho imparato come si possono creare delle atmosfere che accompagnino Mimes Of Wine è un modo per nasconder- ogni pezzo dall’inizio alla fine, come creare soli-

Tune In / 23 dità, e come sentire strati di suoni diversi influen- cose vicine a generi, posti e persone diverse, e Mi- zarsi a vicenda e impregnarsi l’uno dell’altro come mes of Wine è il risultato della combinazione di spugne una sull’altra. Non ci sono state grandi alcuni di questi tentativi. difficoltà in nessuna di queste circostanze, forse perchè abbiamo sempre cercato subito un punto Le canzoni del tuo ep mettono il dito nel- di comunicazione da cui partire. Il fatto che tut- la piaga tra avanguardia e tradizione, con ti questi musicisti siano sempre pronti a cercare il tutto quel che sta nel mezzo. C’è margine suono giusto per ogni particolare, avendo anche di manovra per sentirsi popular? Ovvero: cura del significato che questi possono assumere quando fai musica ti rivolgi al più vasto a livello di ascolto immediato, credo abbia aiutato auditorio possibile o ti senti destinata ad nella creazione di zone d’intersezione con il lavoro un pubblico di nicchia? che io avevo fatto da sola. Spero che questa piaga non sia così dolorosa, e che Credo ci sia ancora molto da poter fare con ognu- ci sia molto spazio tra questi due estremi per me no di loro, in un futuro più o meno prossimo.. come per molti altri. Non riesco a immaginare un pubblico di nicchia, forse perché non saprei bene Hai vissuto a Parigi, a Santa Barbara in con che criteri definirlo. Mi piace pensare che ci California, a Bologna. Che conseguenze ci sia ancora voglia di ascoltare (anche perché questo sono sulle tue coordinate artistiche? mi da molta più voglia di scrivere e di fare del mio In California ho incontrato musicisti che sono an- meglio) e ho fiducia nelle orecchie altrui, come che ora molto importanti per me a fianco di quelli credo ne abbiamo avuta tutti i musicisti che am- italiani, e che mi supportano anche quando sono miro di più, cercando di creare la musica che vo- qui. Se ho imparato un po’ a stare su un palco, a levano sentire. trasmettere tutto il possibile, a farlo con semplicità e poca paura lo devo a questo strano paese, a San Tra le Newsom e le Hyvonen, lanci evidenti Francisco e Los Angeles, che negli ultimi due anni allusioni alle performance saturnine della mi ha fatto impazzire dandomi però tantissimo. L’ Galas e della prima Harvey. Poi c’è quella ottimismo, la creatività, e l’apertura dei musicisti fregola jazz venata bossa che ammicca al che ho ascoltato e conosciuto hanno influenzato post moderno di una Cibelle. Cosa ho az- ogni cosa che ho scritto, e buona parte dell’album zeccato? Cosa ho colpevolmente lasciato è stato pensato lì. fuori? A Parigi ho fatto molti meno concerti ma ho cam- Vedo anche io alcune di queste somiglianze che minato molto. Mi veniva voglia di fermarmi e perciò mi sembrano azzeccate, però la maggior scrivere tutto il tempo, pensando a tutti quelli che parte delle mie allusioni sono tuttora inconsape- sono passati per quelle strade prima di me. Infine voli. Di alcune mi sono accorta dopo aver scrit- ho portato via con me un pochino di swing... Bolo- to, su altre mi stai facendo riflettere ora tu... Mi gna è casa, e credo che in fondo parta tutto da qui, sono riseduta al piano dopo anni passati piuttosto dalla decisione di comporre cose mie, fino al tipo lontano da strumenti acustici e voci femminili (PJ di sonorità che finora ho scelto. Non ho raggiunto Harvey è una delle eccezioni, con Kim Gordon, una grande saggezza, però ho cominciato a pen- Patti Smith, Kazu Makino), e ho cercato di ri- sare che forse la musica davvero può non avere ter- elaborare i suoni e i ritmi a me familiari con piano ritorio e che può diventare davvero quello che si e voce, usando soprattutto la seconda nel modo vuole, almeno in parte. più naturale possibile. Nel tempo mi è venuta la voglia di scrivere mille Anche ora se invento una linea di basso mi capita

24 / Tune In di pensare più che altro ai Morphine o ai June a quattro mani per cortometraggi e piccole com- of ’ 44. Da allora però, continuando a cercare, pagnie di danza. Sono curiosa di vedere che cosa trovando di più, e ascoltando in particolare Nico, può venire fuori lavorando a contatto con altri e Nina Simone, Mary Timony, Lotte Lenya, con le loro parole, gesti e luci, con immagini in Vashti Bunyan, Meredith Monk, e ancora PJ movimento. Harvey (White Chalk mi piace molto e lo sento effettivamente vicino a me) la mia prospettiva si è arricchita. Di Diamanda Galas ammiro molto la forza sia sonora che di presenza e la capacità di trasmettere, di Cibelle l’inventiva e la capacità di incollare insieme mille cose diverse con totale naturalezza.

L’immediato futuro sarà targato M.O.W. o ci sono altri progetti in cantiere? Come prima cosa vorrei portare Mimes of Wine in giro dal vivo il più possibile, e portare avanti il materiale che sto scrivendo ora e che mi piacereb- be presentare. Da poco mi è stato proposto come “side project” di scrivere piccole colonne sonore

Tune In / 25 Nuovi Corrieri Cosmici

Non è la prima volta che la Grande Musica Cosmica diventa oggetto di revival. Oggi ci sono però differenze sostanziali. Quei suoni, quelle tecniche, quelle atmosfere risuonano nei dischi degli ultimi mesi senza che necessariamente si tratti di tributi. È diventato uno stilema, un linguaggio trasversale, come tutto il krautrock. Non si tratta di rielaborazioni del prototipo Irrlicht; ecco a voi i Nuovi Corrieri Cosmici che parlano come quelli di ieri.

- Gaspare Caliri, Antonello Comunale, Stefano Pifferi; con contributi di Gianni Avella

26 / Drop Out mo, i suoi due modi principali di fare musica, si sono raddensati attorno a certa musica degli anni Novanta, da un lato nel post rock che lo ha rivalu- tato esplicitamente, dall’altro negli usi e nelle stru- mentazioni dell’ondata elettronica che fece capo al suono Warp. Di fatto conosciamo le prime vicende del genere anche grazie ad alcuni contributi ad hoc, come il sempre citato Krautrocksampler di Julian Cope, che da giovane, come si legge nel libro, era un “avvertito”, uno di quegli eletti – neanche trop- po pochi, in realtà – che in Inghilterra, nel pas- saggio tra Sessanta e Settanta, seguivano la scena di quello strano rock tedesco che non tutti regge- vano, a fianco del quale solo alcuni riuscivano a stare, senza annoiarsi o cercare il calore dei suoni tradizionalmente blu. In realtà il krautrock ebbe in Inghilterra una diffu- sione nient’affatto limitata, selezionò cioè parecchi “avvertiti” – spesso adolescenti - che compravano le nuove uscite Polydor a scatola chiusa; succes- se persino che alcuni dischi – i Faust siano da esempio – uscirono prima in Inghilterra e poi in Germania, cioè prima in quel paese che era diven- tato il “mercato” principale e poi nella “madrepa- tria”. Questo per dire che il rapporto tra apertura e chiusura nella diffusione del krautrock – dentro e fuori il territorio tedesco - ha una storia lunga; anzi, ha una storia che inizia assieme a quella stes- sa del krautrock, e che forse dovremmo abituarci a considerare sovrapponibili. Se volessimo proprio mettere una conclusione par- ziale di quella liaison anglo-tedesca citeremmo con rapidissima sicumera la vicenda dei This Heat, che importarono ad Albione il krautrock più in- dustriale, macchinino e meccanico, e finirono per essere a tutti gli effetti dei krautrocker, anni dopo Kr a u t r o c k -r e s a m p l e r le prime note della kosmische, nonostante la man- os’è il krautrock? è la musica tedesca dei cata provenienza tedesca. Tutti appena sentono il primi anni Settanta. Definizione pacifica, loro nome pensano al kraurock. Abbiamo con loro Cpalese, paleontologica, parziale. Eppure il primo esempio forse dell’inesattezza dell’equiva- la sua diffusione non ha una storia limitata a que- lenza kraut uguale Germania. E però a dirla tutta gli anni. Il suo modus operandi, anzi, come vedre- tale fatto non è neanche particolarmente rilevante

Drop Out / 27 o interessante. quell’atteggiamento “macchinico”, percussivo Il sampler krautrock di Cope è in realtà la narra- che prese corpo a partire dalla produzione dei zione dell’avvicinamento alla musica tedesca, cosa Neu! e per certi versi dei Faust, e proseguita, che poi si è riflessa nella stessa produzione dell’ex- come si diceva sopra, senza ombra di dubbio ge- leader dei Teardrop Explodes, non a caso proprio ografico, dai britannici This Heat. Parliamo na- negli anni Novanta. L’articolo che state iniziando turalmente del “motorik” di Michael Rother e a leggere parla invece di una bolla musicale - negli Klaus Dinger, e qui citiamo ancora Julian Cope, ultimi mesi sempre più presente e tangibile - che che nel suo libro confessa che il momento in cui è innegabilmente legata al krautrock di inizio Set- più di ogni altra circostanza ebbe la sensazione tanta. Vale come sempre la nostra prova del nove: netta di ascoltare qualcosa di semplicemente quante volte è comparso negli ultimi mesi il ter- nuovo, sconvolgente, rivoluzionario nel suo esse- mine “kraut” nelle recensioni e nelle riflessioni di re freschissima “acqua calda” del rock, fu quan- SA? Tante. È allora la quantità di occorrenze del do, nel 1972, il suo giradischi riprodusse per la genere ad averci messo sotto gli occhi la necessità prima volta Hallogallo, cavalcata motoristica per di un approfondimento; ma non solo. È la crescita, eccellenza e primo brano di Neu!. i cui primi passi sono datati a più di due anni fa, di D’altra parte di krautrock si parla anche quan- una lettura critica che ci ha fatto pensare al “revi- do si accenna a quella musica stellare che venne val” krautrock odierno come qualcosa di diverso immediatamente ribattezzata con l’appellativo rispetto agli atteggiamenti del decennio preceden- di Kosmische Musik; la fascinazione degli astri te. Per capire la bolla di quello che oggi finisce nella non era novità squisitamente appannaggio delle casella “krautrock” siamo dovuti tornare indietro fredde menti tedesche di quegli anni; il probabile perché sembra quasi che le evoluzioni – a partire dal vero esordio in ambito “rock” fu il gioco dei pia- krautrock – che hanno avuto corso nei ’90 siano sta- neti di quella Astronomy Dominé di The Piper At te quasi rimosse nella memoria storica del novello The Gates Of Dawn; e però non è un caso che “avvertito” del 2008. Ovviamente non può essere il sottotitolo di Krautrocksampler, per rifarcisi del tutto così; ecco la ragione di un approfondi- per l’ultima volta, si appellava alla volontà di fare mento che tocca sì le origini, ma soprattutto gli da guida alla “Grande Musica Cosmica”. In effet- esempi concreti della Musica Cosmica datata fine ti dopo le vicende tedesche di fine Sessanta-inizio Duemila; le ricognizioni spaziali di Emeralds, Settanta a quell’espressione si associano immanca- Cloudland Canyon e Be Invisible Now!, bilmente alcuni stilemi, alcune tecniche musicali, nonché le gesta dei californiani di Frisco The Arp alcune atmosfere propri degli iniziatori krauti, so- e Jonas Reinhardt, ci hanno aiutato a nutrire le prattutto il Klaus Schulze di Irrlicht, i Tange- nostre argomentazioni di dischi da ascoltare; con rine Dream, i Popol Vuh, gli Amon Duul II. la parabola e con la discografia (nutritissima) di Questi ultimi furono particolarmente esemplari Expo ’70 abbiamo poi sviscerato, discutendo con per il fatto che espressero musicalmente il prodotto il diretto interessato, il rapporto con quella musica di un’aggregazione quasi da comune hippie, e che molto ben localizzabile di quasi quattro decenni veicolarono in un certo senso la reazione politica fa. [g.c.] attraverso la colonna sonora dei pianeti. È una chiave di lettura forse grossolana, ma so- Pa s s a g g i d i s c a l a ciologicamente sottolineata a più riprese; e, so- Quando si parla di krautrock si intendono certa- prattutto, ci mette di fronte a una fondamentale mente almeno due cose, secondo una tradiziona- differenza tra quel krautrock e tutti momenti in le divaricazione critica. Da una parte si parla di cui si ebbe a parlare, successivamente, del gene-

28 / Drop Out popol vuh 1972 re. Pensiamo al post-rock, alla sua concentrazione quelli dei Sessanta e Settanta anglosassoni, per cui sulla struttura musicale e sulla capacità che ebbe, oggi si fa blues-rock senza necessariamente mette- a partire da presupposti squisitamente musicali, di re in discussione la distanza dalle fonti. far tornare in auge i corrieri cosmici – e tutto il Veniamo a oggi, anzi a pochi giorni fa. Siamo a krautrock. Pensiamo però anche alla disinvoltura - Netmage, festival bolognese di “arti elettroniche”, anche questa tutta Novanta – con cui i pionieri di rumorista e dronico per eccellenza. Ascoltiamo quello che sarebbe diventato il suono Warp ripreso nella giornata di giovedì, la prima del festival, il strumenti analogici e vintage propri del krautrock live degli statunitensi Pete Swanson, John Wiese, cosmico per una rielaborazione attaccata da più lati, Liz Harris. Noise a cui siamo sempre più abituati, tattica, della musica cosmica. Con gli inizi Warp fin troppo piatto nella sua capacità di far vibrare abbiamo assistito a qualcosa di nuovo; ma come pericolosamente i timpani. Subito dopo assistiamo per il post rock vi si arrivava attraverso una ripre- alla performance degli Emeralds, e lì la pulce sa, una riflessione su quel passato; niente filologia, nell’orecchio si sfoga. Una presa di peso di Schul- questo no, ma un ragionamento tecnologico. ze e dei Tangerine Dream, fino a Cluster e ai Popol Vuh. John Eliott, Steve Hauschildt, Mark I Nuovi Corrieri Cosmici, ci pare di poter dire, McGuire suonano con una chitarra in secondissi- hanno un atteggiamento diverso, che viene ap- ma linea, arpeggiata e astrale, ma soprattutto con presso a un cambiamento di statuto del kraut. Oggi un miniMoog, e portano nel tempio dell’elettroni- come dicevamo il krautrock è stabilizzato in un ca sposata all’arte visual quel linguaggio una volta .linguaggio, che si è isolato dai precedenti tentativi prodotto dalle comuni tedesche. di ripristino creativo. Un formato quasi autonomo. La kosmische musik è insomma entrata persino Un insieme di stilemi che vanno ad affiancarsi con nell’arte contemporanea, nella sofisticazione dei

Drop Out / 29 droni e delle ultime linee tracciate dall’esercito am- Torniamo allora a capire gli ancoraggi effettivi coi bientale, che a volte vanno allo spazio effettuando maestri. Ci concentreremo poi a leggere la para- un passaggio di scala, descrivendoci come il vuoto bola di una band che oggi indaga quei rapporti di una stanza sia omotetico, come in un frattale, che le comuni tedesche sperimentavano. Hanno a quello dello spazio. In questo contesto, il nuovo il nome dell’esposizione universale che avuto luo- krautrock dei circuiti dell’elettronica contempora- go a Osaka nel 1970. Era periodo di architetture nea si scarta da alcune associazioni assodate per megastrutturali, di spazi apertissimi, di progetti di tornare al passato del sogno al mandarino. scala enorme. Ma qui – anche grazie agli Expo La musica astrale è infatti diventata quasi un gio- ’70 - ci occupiamo di una scala ancora più ampia, co, un lavoro sull’opinione collettiva dello spazio e evidentemente. dei suoi suoni, sui pregiudizi musicali fantascienti- Del viaggiare verso lo spazio alla ricerca degli effetti fici che lega a determinati effetti sonori la rotazio- sul terreno. Della geografia della musica cosmica. ne dei pianeti; si legga a tal proposito – altrove su A partire dal caposaldo che fece da discrimine tra questo stesso numero di SA - l’epopea di Rafael un prima e un dopo, magnifica asserzione da e per Toral, portatore esplicito di “spazitudine” estetiz- la musica tedesca al passaggio di decennio ’60-’70, zata – in un gioco al rialzo rispetto allo sci-fi. Ci al passaggio definitivo tra lo sballo (allaAgitation sono aziende, come la ditta americana “Yuzoz”, Free) e la pesantissima levitazione verso lassù, a che hanno registrato per anni i suoni dello spa- sud di Irrlicht. [g.c.] zio dai loro satelliti che esse possiedono; altri siti web dove è possibile scaricare tracce audio di una Il m o n d o a s u d d i Ir r l i c h t gigante rossa; spazi virtuali che non fanno che ali- C’è una grande differenza tra guardare il mondo mentare il comune senso di curiosità e la catacresi in cui viviamo, sia pure con occhi trasognati e alte- della metafora sonica del viaggio cosmico e delle rati, e agognare le stelle che ci sovrastano. Il mood relative tecniche di reporting immaginario del fischio per forza di cose si tinge di liturgico e l’esperien- dell’astro. za non può che tradursi in un romanticismo dalle I corrieri cosmici producevano invece un senso mu- tinte apocalittiche. Klaus Schulze lo sapeva bene. sicale che toccava direttamente l’umano, nella fuga Non si inventa la musica cosmica di Irrlicht sem- da esso. Come esempio classico, citiamo il solito plicemente svegliandosi un giorno, come illuminati Schulze, la cui musica veniva associata agli umori sulla via per Antares. Basta ascoltare i primi dischi di Wagner, di quella magnificenza celebrale. dei Tangerine Dream e confrontarli con quelli più tardi e “schulziani” emeralds come Alpha Cen- tauri e Zeit. Irr- licht potrebbe essere preso come un meto- dico sistema per mi- surare la distanza tra l’uomo e le stelle. Il metro di questo inter- vallo tradotto nelle fo- late d’organo di que- sta “Quadrophonische Symphonie für Orchester

30 / Drop Out und E-Maschinen”. D’altronde ridurre l’intera espe- rienza e genesi della musica cosmica tedesca alla sola figura di Schulze sarebbe riduttivo. Ci dimen- ticheremmo di compagni di viaggio fondamenta- li come Manuel Göttsching, Sergius Golowin o Walter Wegmüller. Ma qui non si vuol tracciare un profilo storico di un periodo musicale o costru- ire un albero genealogico di una comune visione. Come sempre più spesso siamo condannati a fare, guardiamo al passato per tradurre il presente, ed è in questo senso che possiamo fermarci a parlare di musiche così attuali e al tempo stesso così tradi- zionali come quelle dei nuovissimi corrieri cosmici dei giorni nostri. Sul finire della prima decade del nuovo millennio quasi tutti quelli che decidono di trafficare con drones e moods dell’estasi cosmica tedesca vivono una sorta di dopo sbornia da post rock. Il suono dei questi anni si rivela così assai più integralista della commistione di generi e sottoge- neri che infuriava negli anni ’90. Quello che con- tributi a codificare il marchio Kranky, depurato dei suoi elementi eterogenei e ridotto all’osso della tradizione. Un percorso in qualche modo simile a quanto accaduto in ambito folk con il ricorso alle radici più tarde e vere del pre-war.

joseph raglani jamie bayer

La musica cosmica dei primi anni del nuovo mil- © lennio si allinea alle coordinate stellari dei maestri di sempre. Stabilisce ponti e fusioni tra Tangeri- vano neppure a trovare nuovi modi di coniugare ne Dream e Ash Ra Tempel, con la stella po- il verbo. Il loro è un modus operandi quanto mai lare di Irrlicht a condurre il viaggio. E’ questo il classico. Fasci e fasci di drones d’organo e synth caso degli Emeralds, tra i migliori esemplari del inframmezzati da reticoli di chitarra riverberata. nuovo corso. Trio proveniente da Cleveland, , Il loro viaggio è il classico anelito verso l’infinito costituito da Mark McGuire, John Elliott e Ste- fatto con cattedrali costruite tra quasar e superno- ve Hauschildt. I documenti migliori del trio pren- va. L’unico aggiornamento che concedono all’aria dono il nome di Allegory Of Allergies e Solar dei tempi è un generalizzato sentore d’apocalisse Bridge. La loro è una sintesi illuminata dell’estasi che adombra la maggior parte dell’anelito mistico cosmica tedesca. Le chitarre liquide e oniriche di degli corrieri cosmici originali. Quello degli Eme- Göttsching riprendono vita in brani sostenuti sulle ralds è un ponte costruito verso un sole nero. Meno nuvole come Nereus (Spirit Over The Lake), Lawn Of dark, ma non meno tortuoso il percorso di un al- Mirrors, Snores. Il trio è poi abile a traghettare queste tro caso eccellente che risponde al nome di Joseph corde liquide e oniriche nei gorghi a base di synth Raglani. Altro americano, del Midwest, cresciuto e organo di tradizione schulziana che costituisco- tra college, comic books e krautrock. Come sem- no il loro trademark. Gli Emeralds non ci pro- pre accade in questi anni, anche Joe è un autar-

Drop Out / 31 chico self-made-music e quindi si prodiga nell’ordinaria ammi- nistrazione di una va- ria e disordinata pro- duzione discografica a base di microlabel e formati per feticisti (cdr, cassette, edizioni limitate). Per usare le parole di Brad Rose, Joe Raglani “segna la linea di separazione tra la bellezza e il caos”. Una definizione altisonan- te ma stranamente centrata e giustifica- ta. Tra i capi d’opera be invisible now! dell’artista troviamo infatti cose come Oneism Una cassetta che parte sco dei Cloudland Canyon diventa il simbolo con un ronzio da synth valvolare e che arriva a perfetto del nostro discorso. Non che Kip Uhlhorn due passi dall’harsh noise. Ma il vero trademark e Simon Wojan siano deficitari di un gusto proprio di Raglani è l’eden scomposto e variopinto di epi- e di una capacità di rielaborare in modo nuovo la sodi come Living Room, Web Of Light e quell’ vecchia grammatica tedesca, ma sta di fatto che Of Sirens Born ristampato in fretta e furia dalla nel corso di due dischi e mezzo (due lp e un ep…) Kranky l’anno scorso. L’attacco di Web Of Light e di una collaborazione con Lichens, i due ab- non lascia dubbi. Dice di un autore che prende in biano praticamente inscenato un perfetto revival prestito da Cluster e Tangerine Dream e in mi- kraut, che non da spazi a dubbi o incertezze. Da sura ancora maggiore da Ash Ra Tempel, e que- qui a titolare quindi il primo brano dell’ultimo di- sto tradotto in soluzioni musicali significa erigere sco partorito su Kranky, Lie In Light, con il titolo costruzioni animate da fasci reticolari di note d’or- ammiccante di Krautwerk il passo è breve. gano e synth. Episodi più caotici e originali come È un piccolo duopolio, invece, quello stanziatosi Bardophasing vanno per altro a flirtare con i riferi- dalle parti di San Francisco. menti quarto mondisti di Hassell, ma come filtrati Jonas Reinhardt e The Arp – questi noto all’ana- attraverso un fitto intrico di riferimenti noise. Of grafe come Alexis Georgopoulos - sono amici di Sirens Born si rivela quindi come il disco che fa vecchia data armati di soli synth, e dai loro lavori maggiore sintesi delle diverse sfaccettature del mu- si evince una forma mentis oltremodo trance. sicista, mettendo dentro di tutto. Dalla quieta stasi Reinhardt in particolare ci sembra quello più onirica di Rivers al caos estetizzante e imperioso di ispirato. Nel debutto omonimo targato Kranky, il Washed Astore. Volendo però prendere in esame un Nostro, che alla maniera dei corrieri cosmici di un casus belli esemplificativo al massimo della nuova tempo azzera - a suo dire - il gap spazio/epider- stagione, anche in virtù dell’umore prettamente mico tra uomo e macchina, sciorina tredici istan- passatista dell’operazione, il duo americano-tede- ze dove lo spauracchio dei Cluster addomesticati

32 / Drop Out dalla cura Michael Rother, Modern By Nature’s Reward, risolve senza indugi, come naturale evoluzione della specie, nelle architetture a là Harmonia di How To Adjust People. Nel mentre, di contro ai palesi richiami teutonici, si tagliano rimandi a Wen- dy Carlos (la prima parte di Blue CutawayTore Earth Clinke) e peculiari appeal cinematici a piè pari tra i Goblin di Dawn of the Dead (Every Terminal Eve- ning) e il John Carpenter di Fuga Da New York (Tan- dem Suns). Contrariamente, Alexis Georgopoulos, dopo la breve parentesi in seno al combo punk funk Tussle, al proprio nome preferi- sce, dal 2006, il moniker The Arp. the arp La first release griffata Smalltown Supersound In Light gravita, anch’es- con strumentazioni e soluzioni d’antan. Tastiere sa, nell’interregno sito tra Cluster, St Tropez, e Har- Roland e Korg d’epoca e sintetizzatori valvolari, monia, Potentialities, parimenti a digressioni Brian per una generale atmosfera retro-futirista anni ’70 Eno, The Rising Sun. che collide in egual misura con Klaus Schulze e Ciò che lascia perplessi è il mancato effetto sorpre- John Carpenter. In brani come Antiparticella e Sarin sa. Non che sia necessario, ma contrariamente al il Nostro non fa mistero dei suoi riferimenti arri- dirimpettaio Jonas Reinhardt il canovaccio vive di vando addirittura ad una sorta di “mimetismo so- pochi scossoni; e alla luce delle palesi qualità tocca noro”, cercando a tutti i costi di suonare come un attenderlo fiduciosi al secondo step. vecchio corriere d’epoca, piuttosto che come un Ma il revival sei suoni cosmici anni ’70 non è sol- epigono degli anni 2000. Un approccio a tal punto tanto materiale per geek americani. Anche in Italia simile a quello dell’americano Expo ’70, che i due qualcuno sta provando a rispolverare i vecchi suo- non hanno potuto fare a meno di incrociarsi e di ni, i vecchi immaginari valvolari, e questo qualcu- condividere uno split ep, uscito l’anno scorso per no è Be Invisibile Now! al secolo Marco Giot- Kill Shaman. Musica minacciosa, brumosa, in pe- to. Nel suo primo disco, sorta di concept album renne stato di ansiosa sospensione. Tutte le liturgie dedicato ai neutrini, Giotto riprende a trafficare della nuova epoca hanno in comune un pathos ca-

Drop Out / 33 expo ‘70

34 / Drop Out rico d’angoscia che stride platealmente con l’ane- losangelino Living Science Foundation (Psyche- lito mistico e libertario dell’epoca che fu. I padri delic dub post-rock, nelle parole dello stesso chitarri- hanno lasciato ai figli un mondo in disfacimento sta). e il testimone viene passato con un anelito sempre Sulle prime non un solo-project, ad esser preci- più pronunciato verso la fine di tutte le epoche. I si, ma una collaborazione aperta, dato che della nuovi corrieri cosmici tendono al nero e al caos. partita erano anche i due cofondatori della Kill Questo oggi ci resta di tanta speme… [a.c., g.a.] Shaman: Paul Kneejie, del noise-duo The Pope, e Bryan Levine di Bipolar Bear. Un paio di cd-r Un infinito o h m n e r o p e c e (lo split con l’altro progetto di Kneejie, SXBRS Una discografia sterminata per un uomo solo. del 2003 e il live in studio July 18 2004, entrambi Ma anche e soprattutto una discografia stermina- su Kill Shaman) e, causa lo scioglimento di LSF, ta per un suono solo. Justin Wright, l’uomo nero Wright se ne ritorna nel Midwest. e solo dietro Expo ’70, propone da pochi anni e Prende così consistenza l’idea di una musica da tantissimi dischi un singolo, unico, ossessivo e di- sviluppare in solitaria, anche se nella natia Kansas latato suono che si perpetua in eterno: quello di City Wright/Expo ‘70 inizia a collaborare con lo un drone nero-pece di matrice chitarristica, debi- spirito affine – si veda la discografia in proprio per tore tanto del minimalismo più astratto quanto del conferme – McKinley Jones a.k.a. Cantus Fir- kraut-rock più lisergico e liquido. Una esperien- mus. L’ottimo album Surfaces (2005), seppur in za del limite, quella dell’artista di Kansas City; di cd-r, è il vero e proprio esordio lungo per la sigla quelle in cui l’apparente staticità del suono è simile e non fa che confermare l’affinità tra i due: l’ag- a quella dello spazio profondo, in cui l’assenza di giunta delle folate di synth e degli ambient noise gravità rende i movimenti sospesi, quasi impercet- sounds di McKinley rendono il suono ancor più tibili, rallentati al punto da poterne quasi vedere space-oriented nel loro sovrapporsi alle dilatazio- la scia. ni guitar-drone, peculiarità del progetto di Wright La metafora spacey non è scelta a caso. La musica sin dai primi passi. Musica che rimanda da subito targata Expo ’70 si inserisce, infatti, nel solco di alle suggestioni kraute più liquide ed evanescenti altre esperienze, spesso sotterranee, protagoniste di Tangerine Dream e Ash Ra Tempel per le della parziale carrellata offerta da queste pagi- dilatazioni strumentali che la pervade e per l’affla- ne e dedite più che a una infruttuosa e emulativa to cosmico cui rimanda. riscoperta, ad una sorta di comunione spirituale L’album successivo è sempre un cd-r: Exquisite con l’ala più libera e droning del kraut dei ’70. C’è Lust, impreziosito da una cover soft-lesbo anni però nelle musiche (nella musica?) di Expo ’70 e 70, sposta radicalmente le sonorità dell’accoppia- nell’uomo dietro questa sigla una coesione forte, ta Wright-McKinley verso un approccio più mi- una filosofia verrebbe da dire, che ci impone di nimalista – specie nella strumentazione ridotta a approfondirne l’evoluzione attraverso la discogra- corde, synth ed effettistica varia – che fonde loop fia – in gran parte sconosciuta da noi – e con una e drones in un magma sonoro evocativo. Link per- breve ma intensa intervista. fetto tra atmosfere kraute e ambient-music sempre Procediamo però con ordine. Rubato il nome alla made in Deutschland, Exquisite Lust è il primo prima expo mondiale tenutasi in Giappone (nella vero capolavoro di Wright e sembra attualizzare regione di Osaka, tra il marzo e il settembre del gli impro-drones di un leggendario gruppo prove- 1970, il cui tema era Progresso e armonia per il genere niente da tutt’altri lidi geografici: i giapponesi Taj umano), l’entità Expo ‘70 mosse i primi passi quan- Mahal Travellers. do Wright era ancora parte integrante del gruppo Sciolto il sodalizio con McKinley, è il turno di

Drop Out / 35 Centre Of The Earth, primo disco che vede tazione su altre uscite degne di menzione dalla Wright agire in completa solitudine. Le 4 lunghe ampia discografia Expo ‘70. La Audio Archive tracce che lo compongono – che, tanto per sot- series, soprattutto, giunta ora al suo terzo volu- tolineare il continuum delle musiche di Expo ’70, me, evidenzia l’aspetto più personale ed intimo iniziano con lo stesso drone montante che apre il dell’operato di Wright. Sorta di progetto di divul- recente e definitivo Black Ohms – sono pervase gazione in divenire della ricerca sonora wrightia- da una sensazione di assoluto romitaggio, qual- na, la serie, come suggerisce il sottotitolo al primo cosa che rimanda ad un vagabondaggio psichico volume, Music from Inaudible Depths, ren- che scaturisce dall’atmosfera notturna in cui sono de appieno l’idea di costante crescita di un suono state composte. Quattro pezzi untitled per una su- che sembra scaturire dal più profondo dell’animo ite di quasi un’ora di tensione ascensionale simile umano e da lì muoversi verso l’infinito dello spa- ad una marea montante e in cui le stratificazioni zio profondo. Non da meno sono alcuni momenti del suono sono apparentemente impercettibili ma dalla discografia “minore” – solo per formato e/o presenti. Le aperture psichedeliche dei 5 minuti durata – come il cd-r 3” Illusive Landscaping del pezzo conclusivo – Come osservare una tempesta o l’edizione limitata per un matrimonio di The di fulmini sopra l’oceano, ricorda Wright – fanno da Wedding Album, così come gli split con gente ideale testa di ponte con i dischi a venire. del calibro di Radhunes (il 12” per Kill Shaman), Da lì in poi, l’universo sonoro targato Expo ’70 si I Am Sea Monster (7” + cd-r 3” per Small Do- fa più coeso così come più densa si fa la poetica ses), il nostro Be Invisibile Now! (in collabora- visionaria di Wright. Le atmosfere si sbriciolano zione Kill Shaman/Boring Machines) e il 3 Way in pulviscolo spaziale, i toni si fanno più riflessivi e Split cd-r con spiriti affini, nonché collaboratori cupi, l’andazzo generale si riduce ancora di più in- estemporanei di Expo ‘70, Matt Hill e Duane Pi- torno alla ieratica figura dell’uomo in nero e delle tre. [s.p.] sue chitarre elettriche e acustiche. I pezzi del cd-r Mystical Amplification, dell’ot- timo esordio in cd ufficiale Animism ma soprat- In t e r v i s t a c o n Ex p o ’70 tutto del recente Black Ohms (per l’ossianica Beta-Lactam Ring) si avvicinano a certo riduzio- Mi piacerebbe sapere qual è il tuo rapporto nismo minimalista ripetitivo alla Riley e traggo- col fronte più psichedelico del kraut-rock, no il loro senso più compiuto dalle stratificazioni I cosiddetti corrieri cosmici… dei suoni di una chitarra dilatata, trattata, appa- Tutto è cominciato nei tardi anni 90 quando ini- rentemente statica fino a sfiorare l’immobilismo. ziai ad ascoltare i Can; suonavo in una band e Eppure quel suono – ché di un unico suono, un stavo cercando di sperimentare con pedali ed ef- ohm primordiale e magico, si tratta – è sempre fetti. Ero affascinato dai Can e pochi anni dopo, mobile, mutevole, in un viaggio siderale per certi quando un amico mi introdusse ad Ash Ra Tem- versi molto simile a quello dei kosmische kurier da pel, scattò qualcosa tra me e la loro musica. Era cui – come vedremo più avanti – trae direttamente fluttuante e molto più viva delle band rock dei ‘70. e esplicitamente ispirazione. Musiche ascensionali, Sembravano rendere vivo lo spirito di Hendrix o verrebbe da dire, che puntano indistintamente lo dei Cream, superandone i confini. Più tardi scoprii spazio più profondo dell’io e quello dell’universo. Cosmic Jokers e Tangerine Dream. Mi piace il fat- Space is the place; I am the space. to che queste band abbiano preso il concetto del Prima di proporre uno stralcio dalla fluviale con- free-jazz e incorporato l’elettronica, tanto che cre- versazione avuta con Justin, giusto qualche anno- do Stockhausen e il minimalismo siano stati una

36 / Drop Out influenza per loro. Ho sempre preferito l’analogi- la meditazione. Da bambino mi piaceva passare co al digitale e questi gruppi sono stati pionieri di molto tempo immerso nella natura, tanto che in un certo tipo di musica “elettronica”. un certo senso creo questa musica come una via di L’amore per la psichedelia viene da Pink Floyd e fuga, un qualcosa che mi permetta di distaccarmi, Hawkwind, ma è stato l’incontro con un live di di dissociarmi da ciò che mi circonda e dalla cul- Acid Mothers Temple ad influenzarmi realmente. tura pop. Amo l’estetica di questo suono e credo Vedere Kawabata Makoto al Knitting Factory di che questo sia il modo in cui la mia musica viene Los Angeles ai primi del 2000, mi ha costretto a creata. Ho una fascinazione per quei vecchi tipi di riflettere ancor di più su quella musica e sulla sua musica che sono in grado di creare un regno in cui provenienza. i concetti si fondono insieme. L’aspetto mistico scaturisce dalla sensazione di Expo 70 sembra legato agli aspetti improv- essere profondamente engaged nel regno dei suoni visativi di un’altra grande band: Taj Ma- che sono solito creare esplorando la mia psiche, hal Travellers…sappiamo che l’improvvi- componendo inconsciamente questa musica or- sazione è il tuo metodo di composizione ganica e “sentendola” dal di dentro. Questo crea preferito… un aspetto trance-inducing, un feeling di “longevità” Inizialmente ho dato vita alla band per suonare con la musica in grado di lasciarsi andare a ciò che come i Taj Mahal Travellers; li ascoltavo moltissi- sta succedendo e non focalizzandosi su un beat o mo quando July 18, 2004 fu registrato. All’epoca un ritmo che cerca di imporsi, ma in una maniera avevo cominciato ad interessarmi all’improvvisa- meditativa. zione con uno dei membri con cui suonavo allora e con Paul Kneejie che poi fondò la Kill Shaman. Cosa significa per te la parola spazio? Mi Condividevamo l’interesse per soundscapes e speri- spiego meglio: taj mahal tangerine dream mentazioni sui pedali, che divennero fondamentali ash ra tempel erano artisti con un mood nella prima incarnazione di Expo 70. Suonammo spacey che è facile ritrovare nelle tue mu- una manciata di show a LA prima che decidessi di siche: quella capacità di porre chi ascolta tornarmene a Kansas City verso la fine del 2004. nella condizione di perdersi, nello stesso Expo ‘70 nasce come fuga verso l’improvvisazio- tempo, in se stesso e nelle inaudibili pro- ne, esperienza aperta all’esplorazione di suoni e fondità dello spazio… textures in collaborazione con altre persone open- Sono sempre stato affascinato dallo spazio così minded. Per me, essere in grado di prendere un come dalla fantascienza, ma non credo che in- qualsiasi strumento e creare qualcosa di organico fluenzino la musica. Credo che il genere umano sia è molto più soddisfacente del fare prove e suonare attratto dallo spazio e che le culture antiche, mol- e risuonare qualcosa di continuo. È l’atto del mo- to più delle moderne, pensassero allo spazio come mento, l’immediatezza, il lasciare che l’ambiente ad una entità superiore…i suoni che creiamo non circostante interagisca col corpo ad essere creativo sono che l’infinita gamma di frequenze e toni pre- ed artistico. senti in tutta la musica e perciò nello spazio stesso, e quando li dilatiamo, li facciamo durare molto a Nella tua musica molto presente è l’aspet- lungo, rendendoli ripetitivi, essi diventano medita- to mistico, trascendente…c’è un intento tivi per il corpo umano… [s.p.] trance-inducing in Expo ’70? C’è del misticismo, indubbiamente; puoi trovare del ritmo in natura o nel corpo umano tramite

Drop Out / 37 Lo spazio del suono

- Sara Bracco e Vincenzo Santarcangelo

Ci sono almeno due motivi per i quali a partire da questo mese vi proporremo una serie di articoli dedicati a Lo Spazio del Suono, ossia ad una serie di artisti che hanno focalizzato la propria attenzione sulla proprietà spaziale del suono. Innanzi tutto per via del proliferare di giovani leve che affollano la scena della cosiddetta “nuova musica” animando il dibattito su questo argomento, e in secondo luogo, per cercare di ragionare su quella che a nostro avviso da semplice attitudine stilistica sta trasformandosi gradualmente in una vera e propria koinè linguistica. Alcune premesse ci sembrano dovute: consideriamo innegabile l’affinità che interfaccia l’arte sonora alla disciplina scientifica che va sotto il nome di acustica, come innegabile è il fatto che si possano rintracciare modalità estetiche proprie ad installazioni e a performance sonore - proprie cioè, di eventi sonori che avvengono in uno spazio, di qualunque tipo esso sia. Come, ancora, si possono considerare similari certe espressioni legate alla sound-art o lezioni care ad artisti qual Rolf Julius, John Duncan e Carl Michael Von Hausswolff (per citarne alcuni) che in un certo senso hanno dato il via ai primi dibattiti sulla questione. Questa materia d’indagine è ancora parzialmente inesplorata, e fonte tutt’oggi di discussione e produzione a firma dei maggiori artisti ed interpreti dell’elettronica che operano in direzioni affini. Artisti la cui matrice d’esplorazione consiste in una lettura sonora che va oltre il territorio dell’ascolto, che conduce la forma e il divenire attraverso lo spazio. Uno spazio immaginato, sommesso o al limite dell’ architettonico, uno spazio reale, uno spazio nello spazio, legato al luogo o ad esso distante. Uno spazio organico, effimero, assente o vividamente sommesso. E’ questo il motivo della nostre indagine strutturata in brevi monografie spesso corredate di interviste, un momento di riflessione ormai dovuto a fronte del proliferare di pubblicazioni e di artisti.

38 / Drop Out Ralph Steinbruchel

Un’arte preziosa quella dello svizzero Ralph Stein- poi con la borsa di studio “Pro Helvetia” ricevuta bruchel, noto agli assidui frequentatori delle zone dall’ Art Council of Switzerland che gli permette- limite dell’elettronica come uno dei più quotati rà di lavorare a una delle sue prime uscite firmate sperimentatori sulla piazza. LINE. Classe 1969, una carriera costantemente in bilico Ma andiamo con ordine. Ralph Steinbruchel è tra musica e grafica che trova consacrazione uffi- senza dubbio un figlio dell’elettronica anni ’90. I ciale dapprima nel 2002 con il conferimento del suoi primi esperimenti sonori risalgono al ’96 con premio “Max Brand Award for Electronic Mu- l’lp Stockwerk, il 7” On3 End e il cd-r Sinus, sic” (phono TAKTIK 2002, New York), grazie tutti lavori che si lasciavano già notare per le au- alla composizione Zwischen.raum (Domizil), stere letture sonore che contenevano. Gli esordi

Drop Out / 39 dichiarano apertamente un’estetica riduzionista dio e visuali - alla parentesi con l’etichetta Bine fortemente legata all’utilizzo del digitale, grazie al (Skizzen, del 2005), dalla Room40 alla più recen- quale l’artista riesce a catturare l’essenza spazia- te Koyuki, saranno molte le etichette a contendersi le di luoghi reali od immaginari e ad immergere i lavori di Steinbruchel. l’ascoltatore in ambientazioni sature di suono. Tornando al 2005, è da segnalare Status, proget- Ambientazioni glitch come quelle di Circa (Line, to a quattro mani con Frank Bretschneider, 2003), che prendono forma dall’installazione Zeit collaborazione tanto differente dallo stile-Stein- , esposta qualche anno prima presso il Parco Plat- bruchel quanto proficua, riuscita a pieni voti gra- zspitz di Zurigo, un evento importante che oltre a zie alla sua personale identità stilistica che regge confermare l’interdisciplinarità della ricerca dello il gioco di dodici tracce in equilibrio tra concrete svizzero, segna l’avvio di una serie di collaborazio- astrazioni e relazioni micro-ritmiche. ni con le maggiori etichette del settore e di uscite D’obbligo fermarsi alla tappa con la Room40 nel- discografiche che lo renderanno celebre al pubbli- la collezione estemporanea di Opaque (+Re) co dell’elettronica. Dalla 12k di Taylor Deupree (Room40, 2005), o sostare ad ammirare le dieci e Richard Chartier - in particolare la sussidaria scene di Stage (Line, 2006), raccolta di musica per LINE, nota per il suo prezioso roster d’artisti au- la performance di danza interattiva Hybridome.

40 / Drop Out La scrittura di Steinbruchel presta attenzione agli piacerebbe esibirmi dal vivo in performance mul- spazi immaginati e alle elaborate letture minimali, ticanale, laddove possibile tecnicamente, per crea- esibendone elementi o frazioni, assemblandoli con re una performance che si situi esattamente a metà calibrata avanguardie e liberata intensità. strada tra installazione e live performance. Una Non importa quale sia la materia da plasmare. sorta di “performance installativa”.Non credo che Drones, i glitch, le microscopiche particelle elet- il mio approccio al suono o alla composizione sia troacustiche, i contributi di chitarra, pianoforte, le cambiato a causa del progresso tecnologico, o per dissonanze o le risonanze: a fare la differenza è la simili ragioni. Fermo restando che il progresso nel deliberata trasformazione della massa sonora che campo della spazializzazione del suono e della tec- viene frammentata con una tecnica che ha qual- nologia multicanale hanno aperto la porta a nuove cosa del puntillismo. Flussi sonori che si prende possibilità, che sono ben felice di integrare nel mio gioco del tempo creando sospensioni o stasi ricche lavoro se conciliabili con la mia estetica. di dettagli infinitesimali (si ascolti Staub a firma Il legame tra spazio e suono è al centro del Steinbruchel&Macinefabriek, minicd-r 2008). O dibattito musicologico dagli inizi del XX ancora, spazi sonori microscopici come istantanee secolo. Qual è il tuo concetto di sound-art? di paesaggi (Sustain, Koyuki 2008). Ti senti più legato al filone purista legato Attenzioni proprie dell’estetica, che non dimen- alla materia sonora o a quello più conte- ticano le esperienze dell’universo percettivo, ne stualizzante d’indagine sonora e di lettura è un esempio il recente Mit Ohme (12k, 2008) del contesto? che prende spunto dall’installazione audio-visuale A nessuno dei due in particolare. Non mi conside- di Yves Netzhammer, la cui chiave di lettura è ro un sound-artist perché quello che faccio è lavo- sicuramente quell’aggraziata semplicità di forma rare sulla composizione di musica che mi smuova che Steinbruchel riesce a tradurre abilmente tra le emotivamente e che all’atto dell’ascolto risulti pia- superfici in tonalismi e i panorami di dettaglio. cevole. Nel mio fare artistico c’è meno concetto e Volevamo proprio saperne di più e quale migliore senso della struttura di quanto potrebbe sembrare occasione per un ‘intervista. ad un primo sguardo. Naturalmente mi servo di un approccio concettuale se questo può servire Hai girato il mondo grazie alle tue instal- alla resa finale, se il concetto è al servizio di ciò che lazioni: da Zurigo a New York, da Parigi a senti ed ascolti. Ma sono molto più interessato al Los Angeles e . Com’è cambiato il tuo risultato finale che al processo in sè. approccio al suono nelle live performance Con o senza l’utilizzo dell’elettronica la con il tempo, l’esperienza e i recenti pro- tua scrittura sembra plasmarsi in ognuna gressi tecnologici? delle tue esperienze produttive attraverso Attualmente non sto lavorando a nessuna installa- una sorta di naturale “manierismo esteti- zione, ed è da tempo che non sono impegnato in co”. Qual è, se ne esiste uno, il tuo perso- questo senso. La maggior parte delle mie installa- nale concetto di estetica del suono? zioni sono state collaborazioni con artisti visuli (o Molto difficile rispondere a parole. Come ti ho già programmatori), o con altri musicisti.Le installa- detto, la maggior parte delle mie musiche deve zioni mi hanno dato la possiblità di lavorare in pro- agire su di me da un punto di vista emozionale, fondità con la tridimensionalità del suono, dal mo- interagire con me in una qualche maniera. Cerco mento che erano tutte concepite per performance di appropriarmi di un mio linguaggio sonoro spe- multicanale. Per definirle mi sono sempre servito cifico che sottopongo ad aggiustamenti continui, della dizione audiosculture. Oggi come oggi, mi com’è ovvio che sia, dato che cambio giorno per

Drop Out / 41 giorno come persona grazie alle esperienze della permangano fondamentali differenze tra il mio la- mia vita quotidiana. Naturalmente alcuni di questi voro ed il suo. Ryoji ha creato ex novo un linguag- cambiamenti avvengono quasi impercettibilmente gio musicale e mi piacerebbe davvero poter dire e potrebbero rimanere inavvertiti o risultare illogi- lo stesso di me - chissà che un giorno io non possa ci quando percepiti dall’ascoltatore. davvero farlo! Tra le tue innumerevoli collaborazioni vor- Puoi parlarci di queste ultime esperien- remmo ci parlassi di quella uscita per la ze che potremmo definire concrete, quasi 12K di Taylor Deupree con Frank Bretsch- scultoree: Sustain, uscito per la Koyuki e neider, Status. Com’è nata e come siete ri- Home per la Slaapwel? Come nascono que- usciti a far combaciare due stili così diffe- sti due progetti? renti senza perdere l’identità? Mentre lavoravo al mio contributo per una compi- Ho incontrato Frank Breschneider qualche anno lation dell’etichetta and-oar una serie di suoni da fa, in occasione di alcuni festival e performance. Ci esso “fuoriusciti” mi hanno ispirato un’altra com- siamo subito piaciuti e abbiamo scoperto di avere posizione...così è nata Sustain. Ero già in contat- interessi comuni nell’estetica del suono (pur per- to da molti anni con David Sani (dell’eccellente venendo l’uno a risultati molto diversi dall’altro). mailorder Microsuoni), che mi chiese se avevo a Entrambi avevamo appena dato alle stampe un cd disposizione del materiale per una uscita sulla la- e avevamo voglia di lavorare su qualcosa di più bel Koyuki, che gestisce con Luigi Turra. Fui ben “aperto” e diverso dalle solite cose. Decidemmo di lieto di affidargliSustain . Home è stata creata su scambiarci dei suoni di partenza e di vedere cosa invito di Wim di Slaapwel Records. Sono entrato accadeva se il mio approccio “si scontrava” con il in contatto con lui perché cercavo un disco appar- suo. Questi suoni hanno così iniziato a rimbalzare tenente al catalogo di quell’etichetta, e così abbia- da un computer all’altro - il mio ed il suo. Ognuno mo iniziato a scambiarci delle mail. Mi è subito dei due ha lavorato sulle sequenze di suono fino piaciuta l’idea di comporre un brano di musica che a quando la resa finale non fosse risultata del tut- concilii il sonno. Per usare le parole dell’etichetta, to soddisfacente. L’obiettivo era realizzare musica «music which is interesting enough to listen to, but che nessuno dei due avrebbe mai concepito lavo- boring enough to fall asleep to». Un’idea davvero rando in solitaria. meravigliosa! Spesso la tua musica viene comparata al Mit Ohne è il documento sonoro di un’in- filone Neomodernista di Richard Chartier stallazione audio/video di Yves Netzham- e Ryoji Ikeda che cosa ne pensi? Ti rivedi mer intitolata “The feeling of precise in- in qualche modo nel loro linguaggio sono- stability when holding things”, ed esposta ro? al Museum für Gestaltung di Zurigo. Puoi In genere sono contrario ai paragoni. Non capisco parlarcene? Che ruolo ha avuto il suono perché debbano essere necessariamente fatti, dal nel suo funzionamento? momento che ogni artista – o quasi – segue la sua Yves Netzhammer è uno dei miei artisti visuali propria strada.Mi piace il lavoro di Ryoji Ikeda e preferiti. É in grado di creare animazioni ed illu- lo rispetto molto, soprattutto quando consiste in strazioni 3-D molto belle e poetiche. Aveva ricevu- una commistione di sonoro e visuale, così come to un invito a creare un lavoro sul futuro dei living rispetto il suo approccio – molto concettuale ma spaces e voleva aggiungere un elemento musicale dotato di un altissimo senso della musica. Potrei alla sua installazione. Così ha pensato di allarga- anche concedere che in alcune sue declinazioni mi re l’invito anche a me. Mi ha inviato una serie di ha influenzato - soprattutto in passato. Ma credo animazioni che ho sincronizzato a dei suoni. Ho poi composto sette brevi frammenti di musica che strumento addizionale. Ecco perché quando mi ora è possibile ascoltare nella recente uscita 12k esibisco dal vivo è molto importante per me di- Mit Ohne. Durante l’esibizione, le animazioni di sporre del tempo necessario - solitamente durante Yves venivano proiettate su tre schermi a loro volta il soundcheck - per entrare in sintonia con lo spa- riflessi da specchi posizionati sotto di essi. Un nuo- zio fisico nel quale sono situato; per capire come vo spazio prendeva forma grazie a questo sapiente i suoni interagiranno con quello spazio. L’atten- utilizzo delle leggi di riflessione. Il suono era irra- zione che riservo al concetto di spazio in sè e alla diato grazie ad un sistema multicanale: ogni scher- percezione del suono nello spazio mi spinge inoltre mo era dotato di uno speaker che permetteva allo a preferire il multicanale, laddove possibile. spettatore un’esperienza spaziale e sonora davvero Cosa pensi dell’attuale stato di salute della uniche. musica sperimentale? La tua musica ha la capacità di catturare lo C’è tanta buona musica, ma anche tanta pessima spazio immergendo l’ascoltatore all’inter- musica. Artisti validi e artisti meno validi. Etichet- no stesso del suono e mettendo profonda- te coraggiose ed etichette che non lo sono. Per mente in gioco il concetto di “percezione quanto mi riguarda, il mio gusto varia giorno per sonora”. Sei d’accordo? Qual è il tuo per- giorno, dato che quotidianamente scopro nuova sonale punto di vista? musica. Può piacermi come non piacermi: se non In un certo senso è vero, ma non c’è nulla di pro- mi è piaciuta quest’anno, probabilmente impare- grammato da un punto di vista teoretico o con- ro’ad aprezzarla l’anno prossimo, o forse no. E vi- cettuale. Per me lo spazio in sè funziona come ceversa. ►►►►recensioni ►► ►► febbraio

adriano modica andrew bird

2 Novembre – Bellorio (Elevator / Je- senza bussola tra pedalini Boss e flanger assortiti. strai, 2 novembre 2008) Nello specifico, confondere l’ispirazione con la di- Ge n e r e : g r u n g e -s t o n e r dascalia, il mal di vivere con il machismo più pac- Stoner e grunge, Kyuss e Melvins, a banchettare chiano, l’impeto e la claustrofobia con la noia. In amorevolmente tra testi in italiano pieni di buoni un’ora di musica che piace solo a tratti e pare fin sentimenti (“Merda! Merda! Te lo dico in faccia, Muo- troppo abbondante, considerata la quantità di car- ri!!”) e titoli che alludono ai progenitori senza rive- ne messa al fuoco. larli (King Buzzo). Il terreno è fertile per far crescere E dire che ai tre musicisti genovesi le doti tecniche chitarre elettriche a profusione, toni angoscianti, non mancherebbero come non manca un certo muri di bassi e batterie dispari, con lo scopo di rin- buon gusto, tanto che in qualche frangente ci si verdire i fasti di un’epopea musicale che – ahimè diverte non poco ripensando a quei diciottenni ca- - se non è morta e sepolta, pare per lo meno in pelloni che eravamo una quindicina di anni fa (gli fin di vita, attaccata com’è al polmone d’acciaio otto minuti dell’ottima GMB). Eppure, sono mo- del tempo. Se è vero, infatti, che pochi tra i re- menti sporadici. L’impressione generale, invece, è duci dei Novanta continuano a sfornare operette che molto si faccia e poco si sia – originali, perso- dignitose e nuove leve autoctone, come i milanesi nali, consapevoli –, che il nichilismo esistenzialista Grenouille, ci illudono che in Italia possa nascere dei padri si sia trasformato in oltraggio gratuito, una new wave della musica di Kurt Cobain e Josh che lo scarto tra opera di finzione e disco pregevo- Homme, è vero anche che i 2 Novembre illustrano le sia fin troppo ampio. 5.5/10( ) loro malgrado quali siano i rischi per chi si aggiri Fabrizio Zampighi

44 / recensioni prima che nei suoni e fateli viaggiare indietro nel tempo all’altezza di Daydream Nation; manda-

►►►►recensioni ►► ►► febbraio teli a rubare il master di quel disco e fateglielo ri- suonare tutto. The Noise Band From Bletchley inanella 12 pezzi pressoché strumentali, costruiti per stratificazione di suoni e distorsioni di chitarra, con echi tribaloidi e sovrappiù di energia adole- scenziale grezza e coinvolgente. Un muro di suono che – diversamente da come potrebbe immagi- narsi – non tocca picchi parossistici, né si piega su se stesso, ma piuttosto lascia presagire una certa maturità compositiva nelle aperture quasi trance e ridisegna il concetto troppo spesso abusato di noise-rock. A breve dalle nostre parti, perciò, siete avvisati. (7.0/10) Stefano Pifferi

Adam Payne – Organ (Holy Mountain, febbraio 2009) Ge n e r e : indie p o w e r r o c k

mi ami E’ davvero un bell’esempio di rinfrancante e rin- frescante melting pot, Adam Payne dalla Florida: figlio di un’italiana e un afroamericano, mostra un Action Beat – The Noise Band From talento musicale assai precoce nutrito dai cartoni Bletchley (Truth Cult, febbraio 2009) animati del sabato mattina. Polistrumentista, ma- Ge n e r e : n o i s e -r o c k neggia lui tutti gli strumenti di questo suo (credia- È magma bollente quello che fuoriesce dagli stru- mo) esordio - mini piuttosto corposo che un tempo menti – tanti, tantissimi – del combo più atteso sarebbe stato un album: trentasei minuti - e ap- d’oltremanica. Altro che cazzate brit-pop o sbruf- pese sul muro vanta quel paio di lauree in stati- fonate nu-rave; quello del collettivo spavaldamen- stica e psicologia. Impossibile per uno così fare te fiero delle proprie origini provinciali è un vero brutta musica, ma vatti a fidare in quest’epoca di e proprio assalto al calor bianco come non se ne intellettuali emaciati o megalomani: tocca invece sentiva da tempo, specialmente dalla perfida Al- ricredersi, perché Organ è disco frizzante e agile, bione. Chitarre, chitarre e ancora chitarre; batte- arguto e ricco d’idee e melodie. Mettete da parte rie a profusione; un basso; trombe e sassofoni più o le ipotetiche influenze soul - dovrete tuttavia tirarle meno occasionali. Il tutto in quantità variabile ma fuori per giustificare le cadenze a costante rischio in qualità costante, a sfiorare in alcuni momenti d’inciampo e impennata della tenera In Hell - e l’eccellenza. Avete presente Glenn Branca? Beh, immaginatevi un power pop corretto dalle sottili fatelo tornare adolescente nella grigia provincia sconnessioni “nerd” dei Pavement. Altrimenti inglese, clonatelo moltiplicandolo per 5, 6 o 10 e dei Replacements che preferiscono la Red Bull lasciatelo libero di suonare noise-rock in modali- alla Budweiser e sono di conseguenza cioè iperatti- tà impro. Oppure prendete gli olandesi The Ex e vi e non sbronzi, in ogni caso ferrati tanto in math la loro etica/estetica fieramente punk nell’umore rock e low-fi (gli otto e passa minuti diIncidental Ar-

recensioni / 45 Hi g h l i g h t

AA. VV. - Evening’s Civil Twilight In Empires Of Tin (DVD, Constella- tion / Wide, 26 gennaio 2009) p o s t r o c k Ci sono svariati modi di fare politica attraverso l’arte e, in chi scrive, il comizio dal palco non ha mai incontrato gran favori. Nel limitarsi a declamare slogan, sfuggono alla visione quelle inter- capedini in cui la gente comune finisce per cadere. dimenticata dai più. Ad esempio le masse di derelitti che marciano dritte nel tritacarne bellico, per le quali - causa i corsi e ricorsi della natura distruttiva umana - non esiste differenza tra la Marna e Bassora, il gas nervino e le bombe al fosforo bianco. Questo pare volerci In sostanza dire il regista Jem Cohen tramite questa splendida pel- licola, emozionante e leggibile a più livelli: che la Storia si ripete e gli imperi sull’orlo del collasso generano un nuovo ordine mondiale. Cadeva l’autunno del 2007 allorché Cohen - tra le tante cose autore del fantastico Instrument dei Fugazi e di alcuni video dei giovani R.e.m. - venne chiamato a concludere l’International Film Festival di Vienna con Evening’s Civil Twilight In Empires Of Tin. L’opera, ispirata in parte al romanzo The Radetsky March di Joseph Roth, sovrapponeva a immagini della Vienna antecedente il primo conflitto mondiale visioni contemporanee della capitale austriaca e di New York. L’impero americano come quello austro-ungarico ne uscivano come due Titanic in cui l’or- chestra seguita a suonare mentre si cola a picco, tutti insieme inesorabilmente. Un’affer- mazione “politica” netta e tagliente, offerta sommando in modo indistinguibile letteratura, musica e coscienza sociale. Il commento sonoro alle immagini lo offrirono nientemeno che gli artefici del capolavoroNorth Star Deserter, al tempo fresco di pubblicazione: Vic Chesnutt e i Silver Mt Zion, più Guy Picciotto e l’ensemble sperimentale Quavers. Tra ondate di rumore controllato e una decostruzione anticata e ondeggiante della straussiana Marcia di Radetzky, si dipanano i fili di un folk cameristico da tregenda nelle immense Distortion e Sponge, in una What He Is And What He Ain’t degna del Tom Waits più luciferino e nella ri- assuntiva Coward composta per l’occasione. Le immagini alternano sapientemente consunti fotogrammi d’epoca a paesaggi urbani qui avvolti in un granuloso grigio seppia, là ricon- segnati ai propri cromatismi; sono simboli e scheletri di luoghi in cui le persone si aggirano come fossero brandelli di vita, velocizzate e rallentate secondo lo stile tipico di Cohen. Il quale si sofferma poi sui volti dei musicisti a coglierne il particolare rivelatore da un gesto, un’espressione del viso rubata durante l’esecuzione live, in tal modo abbattendo il muro tra il tema e la sua rappresentazione. Oltre il rockumentary e la denuncia, oltre il film d’autore e la sperimentazione sonora, camminiamo in una terra a sé stante. Rabbrividente e veritiera per come riassume un decennio di avvenimenti americani e pertanto anche mondiali che speriamo destinati a essere definitivamente archiviati. Si resta in quest’ora e quaranta minu- ti, al contempo incollati alla sedia e al muro. Necessario esporsi a tanta penetrante bellezza, oggi più che mai. (8.0/10) Giancarlo Turra

46 / recensioni rangement si snodano torpidamente acidi e jazzy, un volezze e nuovi intenti, anche poetici. Nonostante po’ Polvo e un po’ Storm & Stress; la cavalcata orfano dell’amico Malcolm Middleton, che ormai wave Wind, Wind, Wind/Take A Look) quanto nello veleggia sicuro in solitaria, l’autore e cantante stile stradaiolo e meticcio canonizzato da Exile On sembra già sguazzare in una dimensione ideale, Main Street (The One After Eyes). Non contento, Pay- grazie anche a musicisti che ne assecondano ogni ne si ricorda di avere sullo scaffale un lp dei Big capriccio e, soprattutto, a buone idee. Star e uno dei Dinosaur Jr. e una sera gli viene Come ad esempio riscoprire le proprie radici folk, in mente che sarebbe una bella idea farli convivere e partire da esse per raccontare storie d’amore si- sotto una patina glam autoironica, facciamo simile curamente agrodolci, irrimediabilmente ubriache, a quella dei primi Urge Overkill (Never See You ma sincere e – in primis - a lieto fine. Anymore); infine, prima di coricarsi per il meritato Ci vorrebbe un capitolo a sé, ma basti l’esempio riposo quotidiano, estrae dal cilindro una Fruzstra- di Living With You Now, in cui Aidan riesce a cavare tion che - a passo di ballata cupa e sgasata - conduce fuori romanticismo anche da un rapporto che si i Jacobites al ranch dei Crazy Horse. Penserete esprime, primariamente, nell’azzuffarsi. Sarebbe di ascoltare una compilation, un condominio abi- bello se prima o poi si riconoscesse universalmen- tato da gente che non si parla e manco si guarda. te la statura di Moffat non solo come musicista – Un accidente: c’è il robusto filo conduttore di cre- sull’apporto del suo vecchio gruppo ci sono pochi atività a ruota libera e calligrafia convincente a dubbi, crediamo -, ma anche come uno dei poeti tenere insieme tutto. Ci sono canzoni che cantic- più personali della sua generazione; uno capace chierete in men che non si dica e alle quali sarà di portarti in posti precisi soltanto con la sua voce impossibile non affezionarvi. T storta, con la maniera inequivocabile di storpiare anta carne al fuoco, mai scotta o bruciata: compli- e cantilenare frasi e parole. menti al cuoco. (7.0/10) Quanto ai suoni, il tappeto è il più vario possibile, Giancarlo Turra in un riuscito amalgama acustico-elettronico sem- pre adatto a ciò che il brano richiede, sia l’indie Aidan Moffat & The Best Ofs – How To folk di classe del singolo Big Blonde, i sentori etilici Get To Heaven From Scotland (Chemi- Pogues di Oh Men, That’s Just Love e The Last Kiss kal Underground / Audioglobe, feb- o i semplici a cappella di Lover’s Song e My Goodbye. braio 2009) Qua e là le suggestioni Arab Strap non mancano, Ge n e r e : f o l k , songwriting , indie certo (A Scenic Route To The Isle Of Ewe, Now I Know La sfida di Aidan Moffat all’appuntamento ufficia- I’m Right); ma How To Get To Heaven From le post-Arab Strap? Scrivere un disco di canzoni Scotland (un plauso al titolo, ça va sans dire) somi- d’amore… felici. E, in effetti, gli umori di cui si glia più al lavoro di un cantautore dall’impronta nutre il suo debutto con i Best Ofs - più che una già inconfondibile che al tentativo di un ex di tro- band, una duttile compagine di accompagnatori, vare la propria strada - il riferimento a Middleton fra cui l’ex Delgado Alun Woodward – appaiono è puramente voluto, anche se ce ne duole. Voglia- lontani dalla malinconia del duo di provenienza, mo infine aggiungere un dettaglio tutt’altro che alla ricerca di diverse aperture e forme espressive. trascurabile: l’album viene pubblicato il giorno di Se I Can Hear Your Heart, pubblicato un anno San Valentino. Che sia un po’ di sano romantici- fa come Aidan John Moffat, era più un esperimen- smo alcolico l’antidoto ai tempi grigi che stiamo to di poesia (porno, ovviamente, con le sue buone attraversando? (7.3/10) dosi di sarcasmo e crudeltà), adesso si tratta di ri- Antonio Puglia prendere in mano la canzone con nuove consape-

recensioni / 47 Alela Diane – To Be Still (Naive / vas Ysatis sotto il nome ARC o Unit Park se parlia- Self, 20 febbraio 2009) mo di Schoenemann. Assistiamo così ad un cam- Ge n e r e : f o l k b l u e s bio di registro, non un vero e proprio volta pagina, Dallo scarno folk blues acustico del disco d’esor- ma una ponderata analisi di forma che per questa dio The Pirate’s Gospel (2007) sembra passato uscita firmata Bine Music si fa espressione di con- un bel po’ di tempo in fatto di produzione: To Be figurate radici techno. Dimenticate per un attimo, Still è infatti tutto fuorché minimale. Realizzato per quanto nitida ne permanga la memoria, le ite- al solito con un ampio gruppo di amici-musicisti e rate texture di Northen e il Taylor Deupree più con la collaborazione del sempre presente padrino introspettivo, per fare un passo indietro verso gli Michael Hurley (qui alla voce nella struggente esordi e le energie giovanili. Un dichiarato 4/4 che Age Old Blue), vede funge da filo conduttore di filtrazioni, introduzio- le composizioni, ni, battiti e linearità. Ma Habitat non è solo que- cantate con il soli- sto, è matura esperienza che intreccia elettronica to trasporto dalla con miniature-sonore, con la risaputa eleganza di Nostra, riempirsi stile che lo rende brillante. Giocano con il tempo di strumenti ed ar- e con il ritmo, queste quattro tracce, lavorano con rangiamenti, che il multiplo, le relazioni, il ripetitivismo e le pause, danno profondità ai senza spogliarsi delle fluenze techno, senza mai di- pezzi. Echi di Will ventarne schiave. Oldham e spettralità dolenti, nonché desertiche Per molti magari un azzardo, sicuramente l’enne- echeggiano per tutto l’album, come nella splendi- sima conferma della innegabile potenza sonora di da title track country con la pedal steel a dominare, Deupree. (7.0/10) nella già citata Age Old Blue con echi di Karen Dal- Sara Bracco ton. Altrove mandolini (Tatted Lace), archi (Take Us Back) violini (White As Diamonds) e le solite voci dop- Andrey Kiritchenko – Misterrious piate sua caratteristica, per un suono pieno e tra- (Spekk, 2008) dizionale che ricorda del resto l’ultimissima Lar- g e n e r e : m i n i m a l i s m i -a m b i e n t kin Grimm. Di inquietudine, contemplazione e Per la seconda prova con la Spekk dopo True De- solitudine qui si tratta, cantati con trasporto lirico lusion, A. Kiritchenko dimentica per un attimo ma senza eccessivi fronzoli. Il salto dal precedente le astrazioni in micro-suoni di Kinga Skazok o disco si sente in fatto quindi di coesione e compo- l’elettronica “pop” di There Was No End per sizioni, segno di avvenuta maturità. (7.1/10) condurre la sua creatività verso visionari territori Teresa Greco di confine. Artista di punta della scena ucraina e fondatore Ando – Habitat (Bine, 2008) dell’etichetta Nexsound, con Misterrious l’au- Ge n e r e : m i n i m a l /d a n c e f l o o r tore porta avanti le sovrapposizioni di Stuffed Il percorso di Taylor Deupree (Ando) è multiforme, With senza dimenticare l’eredità della passata non è certo una novità per chi lo segue da tempo, collaborazione con Courtis-Moglass.Un capitolo semmai per chi ne ha apprezzato le ultime opere fondamentale per Kiritchenko, che non si lascia in bilanciato rapporto tra acustico e sintetico. condizionare dal registrio elettronico per dedicar- Le premesse c’erano già nella scuola anni ‘80 che si a partiture decisamente più acustiche. Si met- ha segnato le sue inclinazioni all’elettronica più tono in circolo gerarchie soliste di un pianoforte sperimentale, nelle prime collaborazioni con Sav- (Let oneself in) dal sapore minimalista (Sparkling early

48 / recensioni mornings) che si lascia divorare dalle ridondanze in Barzin – Notes To An Absent Lover percussioni per poi imporsi come forma portan- (Monotreme, febbraio 2009) te (Wounded by love). Mentre all’elettronica spetta il Ge n e r e : s a d s l o w c o r e puntualismo di Your thoughts in scary forest, trai voluti Bisognerebbe rettificare il glossario musicale così eclettismi di batteria o i siderali contributi ambient che al posto di “intima ballata strappalacrime” si (Evening lights wrap me softly). Decisamente riuscite potesse inserire Barzin, solamente Barzin. Perché le formule acustiche in loop di Persistent visions o i sì, con il cantautore canadese abbiamo a che fare timori in pellicole che trasudano attesa (Untitled in- sempre con la ricerca della canzone d’amore per- quietudes). Una dinamica che dirige le frequenze, il fetta, sofferta e straziante. E il suo terzo album già cui trait d’union è la scelta di quella voce narran- dal titolo, Notes To An Absent Lover, non fa che te sotto forma di pianoforte che muta l’approccio confermarlo, non cambiando assolutamente nien- pur mantenendo quella coerenza sintetica di lin- te rispetto ai due lavori precedenti. E ciò, in que- guaggio concreto. Il tutto eseguito secondo il natu- sto caso, è senz’ombra di dubbio un merito: la sua rale ordine delle cose proprio dell’improvvisazio- sommessa ma suggestiva voce fa esplodere strug- ne, tra attitudini e feeling di delicata morbidezza. genti mondi fatti di carezze, assenze, solitudini, (6.7/10) sguardi e intermittenze emozionali, che un attento Sara Bracco e mai invasivo impianto sonoro asseconda dolce- mente, ora con ricercati saliscendi strumentali ora Asobi Seksu – Hush (One Little In- con uno scarno incedere. Il suo è un morbido slow dian, febbraio 2009) core cantautorale, affine a quello dei Dakota Suite, Ge n e r e : p o p che esce direttamente dal cuore. Insomma, l’esteti- Terzo disco per il gruppo nippoamericano di Yuki ca dello struggimento amoroso passa sicuramente Chikudate. Ci si aspettava qualcosa di più di uno da qua. Magari non se ne sentirà il bisogno di ac- scimmiottamento di movenze soniche trite e ritrite cederci, ma mai dire mai. (7.0/10) come gli accenni pastorali dell’iniziale Layers che Andrea Provinciali fa un po’ Enya un po’ Cranberries, le progressi- vità naïve di Fami- Bastion – Self Titled (Interregnum, liar Light, i tastieroni gennaio 2009) à la Organ di Sing Ge n e r e : f r e e -d r o n e Tomorrow’s Praise e le Pratica corrente quella del dialogo a distanza tra stanze lounge di ste- artisti più o meno lontani geograficamente e stili- reolabiana memoria sticamente. Quasi comune verrebbe da dire, con (Gliss). Le atmosfere un po’ di puzza sotto al naso. Senonché incroci hanno sorpassato il tanto inimmaginabili quanto entusiasmanti come citazionismo sho- quello che ha dato i natali al progetto Bastion, ci egaze e si sono in- fanno tornare in mente che tanto comuni dopo- vischiate in un emo che ha poca intraprendenza tutto non sono. Almeno nell’accezione di banali, indie e che in fondo è pop di normale amministra- semplici, normali. Jukka Reverberi nelle sue vesti zione. La voce della leader fa il suo mestiere, ma più sperimentali (il versante in solitaria die stadt non stupisce. Peccato. Lo spleen si è bruciato nel der romantische punks) e Valerio Cosi nelle giro di due anni. Ritroveranno la scintilla? Staremo sue vesti più incredibilmente camaleontiche sono i a vedere. Intanto basta e avanza un (5.0/10). protagonisti dietro Bastion e intessono per l’omo- Marco Braggion nimo esordio un denso 4pieces evocativo quanto

recensioni / 49 Hi g h l i g h t

Adriano Modica - Annanna (Trovarobato, dicembre 2008) a v a n t f o l k r o c k L’attesa per il nuovo album di Adriano Modica viene spezzata e ravvivata dalla pubblicazione di Annanna, il primo capitolo finora inedito della trilogia di cuiIl fanta- sma ha paura era il secondo e La sedia sarà il conclu- sivo. Trattasi del cosiddetto album di stoffa, perché - come dichiara lo stesso Modica - rimanda al senso di calore, sofficità e protezione in cui avvolgiamo l’infanzia, cui le nove tracce in scaletta si rivolgono come su una voragine mnemonica. Rispetto al successore, è album più intenso ed essenziale, di un lirismo crudo sorretto da immagini sconcertanti dall’odore minac- ciosamente familiare, capace di attraversare con lieve autorevolezza una terra di nessuno tra folk, psych, prog e post-cantautoriale. Soprattutto: è bello. Tanto che non ti spieghi come sia potuto rimanere ad ammuffire per tre anni, da non crederci che oggi te lo puoi scaricare gratis direttamente dal sito dell’artista reggino. Il quale ti conduce come un Virgilio sotto benzedrina tra flash di ricordi, aprendo vecchi cassetti che è “come rubare ciò che è tuo”, col passo sognante e irrequieto di un Gazzé via Radiohead (in Le sirene dello Stretto) o contagiato da emulsioni cosmiche Tiromancino (tolte le fregole festivalie- re, come in Sapone Verde e nella title track), tra fiabesche apprensioniBarrett e frastagliati tremori Marco Parente (Primo volo, Cassetti chiusi a chiave), sbrigandosela tra spasimi acustici finché la spinta visionaria non spinge su terreni acidi (il flamenco ghignante deIl settenano di pietra e soprattutto A.C.N.E., mitraglie di sfondo e passo robotico tra il primo Dalla, i Kuntz e i CSI). Da restare senza parole. Di nuovo in attesa. (7.5/10) Stefano Solventi

lugubre. Non una citazione casuale quella del pro- come nelle musiche, nelle cui architetture di tex- getto privato drone-ambient di Reverberi in vece tures, miscrosuoni, rumori bianchi e sfarfallii vari, del più plausibile e rinomato GDM di postrockia- ad essere evocato è quel cielo plumbeo, quel clima na memoria, perché proprio da lì prende il via Ba- soffocante, quel senso di ottundente claustrofobia stion. Oltre che dalle musiche, qui più “corpose” da jungla post-urbana. E se la caratteristica intrin- e screziate grazie alla sensibilità di Cosi, anche da seca fondante di Bastion è la distanza (apparente) un rimando postato in un commento sul suo blog tra i due bastioni, la resa è quella di una materia in tempi non sospetti, in cui ad essere direttamen- magmatica che ingloba l’ascoltatore fino a farlo te tirato in ballo è l’immaginario Blade Runner: precipitare nei suoi meandri. (7.2/10) le mie non sono lacrime nella pioggia. anche se con questo Stefano Pifferi progetto vorrei vedere i bastioni a largo di orione.... Proprio

50 / recensioni Ashley Beedle/Horace Andy – Inspi- memoria. Nonostante il talento e la sintonia, un ration Information, Vol. 2 (Strut / controllo qualità più approfondito avrebbe senz’al- Audioglobe, 2 marzo 2009) tro giovato. (6.5/10) Ge n e r e : e l e c t r o r e g g a e Giancarlo Turra Sulla carta è non poco stimolante l’idea alla base di questa serie di uscite della Strut, qui giunta al Beirut – March of the Zapotec & secondo tomo: similmente alla collana In The Fi- Realpeople – Holland (Ba Da Bing! / shtank edita tempo addietro della Konkurrent, si Audioglobe, 16 febbraio 2009) riuniscono un paio di artisti in studio di registra- Ge n e r e : indie f o l k b a l c a n i c o zione per pubblicare poi i risultati della collabo- Dopo aver annullato il tour europeo per troppo razione. Che è una moneta estemporanea e con perfezionismo, Zach Condon cerca di consolare i due facce, sulla quale grava il rischio latente che il fan con questa nuova uscita, che in qualche modo materiale possa suonare “tirato via” a causa della prosegue sulla linea della “stranezza” che contrad- fretta o dell’eccesso di entusiasmo. Va a finire in distingue il percorso del cantante: non di un nuovo parte così tra la leggendaria ugola reggae Hora- album si tratta, infatti, benché la durata alla fine ce Andy e il produttore Ashley Beedle, già con X- sia quasi quella, ma di due EP pubblicati insieme, Press 2, Ballistic Brothers e Black Science col secondo attribuito a Realpeople, lo pseudoni- Orchestra. Sono comprensibilmente i Caraibi mo con cui il nostro pubblicava musica elettronica. a rappresentare il terreno comune, anche in virtù Due facce dell’autore, quindi, rese in teoria ancora del fatto che Beedle - suddito di Sua Maestà Eli- più distanti dal fatto che Zapotec è stato registrato sabetta - vanta in parte origini nelle Barbados; un in Messico utilizzando una tipica banda da fune- fattore anagrafico che spiega l’agio col quale si è rali locale, i Jimenez, inizialmente contattata per in passato accostasto alla battuta in levare e il suo la colonna sonora di un film poi annullato. In real- remixare e “mash-uppare” alcuni classici di Bob tà, non solo le due facce si somigliano più di quan- Marley nel 2005. Detto che la forma delle corde to le premesse farebbero pensare, perché Condon vocali di Andy ha tuttora dello stupefacente, non dimostra ancora una volta di saper piegare le sue possiamo esimerci dal rilevare l’esito altalenante fonti a sfumature del suo inconfondibile stile, limi- del disco, che finisce per afflosciarsi nella seconda tando di molto le differenze tra il materiale costru- metà. Prima di una inqualificabile cover della sto- ito con 17 elementi e quello fatto col laptop; ma niana Angie - un orrore nell’originale, figuratevi voi scopriamo anche che il Messico e i Balcani non riletta con passo tra reggae e mariachi - sfilano il sono nemmeno così distanti. martellare militante di Rasta Don’t, una solare e ar- Eccettuata la breve intro di Zocalo e qualche sfu- guta Hypocrite Dog, le cadenze percussive di latinità matura qua e là (My Wife, The Akara in cui l’uku- modernista in When The Rain Falls. Altrove è una lele mal si distingue da un charango), l’orchestra concezione morbida e “conscious” del reggae a suona infatti per lo più come le sue omologhe elargire il frutto in assoluto migliore con The Light, della terra di Bregovic, il cui gruppo si definisce sviluppo melodico speziato di aromi arabeggianti, “orchestra per matrimoni e funerali”: una tradi- mentre soluzioni prossime a un agile dub elettro- zione che attraversa Mediterraneo e Atlantico che nico (Watch We) e prossime a intuizioni di scuola Condon armonizza grazie anche a partiture che, bristoliana (2-Way Traffic) chiudono il cerchio col come composizione e ritmi (dolenti melodie spesso passato recente di entrambi. Non disprezzabile il a tempo di valzer), hanno risentito poco della tra- rimanente, a parte una Hot Hot Hot ruffianotta e sferta pur lasciando più volte ai Jimenez spazi per col fiatone, che però scorre senza imprimersi nella esprimersi.

recensioni / 51 Anche nel secondo cd la penna di Condon man- anomale melodie flamenco. Non male nemmeno tiene la rotta sulle proprie coordinate (tutto som- Interloper/Latch, materia che ufficialmente sarebbe mato dividere in due il disco non era nemmeno potuta finire negli ultimi dischi di Fahey. Nauti- indispensabile), ma l’elettronica si fa sentire un po’ lus è invece il progetto solista di Heidi Diehl dei più del Messico: nel finale di No Dice, uno scher- Vanishing Voice/Time Life (siamo nella Brooklyn zo-omaggio un po’ allunga-brodo, più seriamente limitrofa alle storie cantautorali off di Wooden nei riverberi Yorkiani della suggestiva, splendida Wand), anche qui arabeschi drone, conditi da una Venice, nei quasi-Offlaga di My Wife… e nell’ini- rilevante componente krauta in area Amon Duul ziale My Night… dove si oscilla tra la riconosci- II/Popol Vuh. Tre brani, di cui Still Rings appare bilità dello stile e una rinfrescata sonora ottenuta come personale capolavoro: una psichedelia dei curiosamente riandando alle sue origini di mani- sensi che lascia ben sperare per prove più estese. polatore elettronico. Un disco -o due- che vanno Vinile limitato a 269 copie. (7.0/10) avanti tornando indietro, che ritrovano le origini Luca Collepiccolo allontanandosi: non tutto è splendido, ma il talen- to per fare un piccolo miracolo come questo c’è. Ben Kweller - Changing Horses (ATO, (6.9/10) 2 febbraio 2009) Giulio Pasquali Ge n e r e : a l t c o u n t r y Ricordo Ben Kweller ragazzino al debutto con Ben Nash / Nautilus – Split (Bla- Sha Sha (ATO, 2002), quella vena balzana e in- ckest Rainbow, gennaio 2009) dolenzita, i guizzi genialoidi lo-fi e una certa versa- Ge n e r e : d r o n e /f o l k tilità che scomodarono link più o meno immediati Mi ero letteralmente perso dietro ai ghirigori elet- con Badly Drawn Boy, paragone illustro visto tro-acustici di The Seventh Goodbye, edito la che all’epoca il buon Damon Gough veleggiava scorsa primavera in versione digitale da Aurora alto tra i favori e le Borealis, marchio solitamente dedito ad esplora- aspettative di pub- zioni in ambiti metal più prossimi al decadentismo blico e critica. Ac- ambient od al teatro della musica eterna. Ben Nash colgo quindi questo è cavallo di razza, già da quel confortante album Changing Horses si coglievano i segni di un’ispirazione quasi divina. - quarto lavoro per Musica da western da fine del mondo, un senso Mr. Kweller - con la inedito di sfida e attesa, pellicole polverose ed una colpevole mancanza chitarra sempre protagonista. Un po’ Ry Cooder, di aver saltato a pié un po’ Morricone, va da sé, ma con ovvi riman- pari l’omonimo terzo lavoro del 2006, forse incon- di a quello che è il cosiddetto movimento weird sciamente scoraggiato dal discreto sophomore On folk. Perchè i paragoni contemporanei più prossi- My Way (ATO 2004) che lo consegnò al rango mi non ingannano: in questa spettrale coltre stru- dei più, ovvero ad una medietà carina, a tratti in- mentale ci avviciniamo al senso onirico di un Ben trigante ma abbastanza ovviabile. Chasny o di un Alexander Tucker. Con l’ov- Scopro così con un pizzico di sorpresa che l’ex vio desiderio di travalicare l’epopea folk attraverso giovane Ben - oramai ventisettenne, praticamen- vibranti escrescenze soniche ed un’ovvia dedizione te decrepito - tenta la carta del country, col fare per il drone. Delle due tracce presentate Plymouth inevitabilmente “alt” che proviene da un approc- Bredren Blues spicca suprema, affacciandosi anche cio vagamente sbarazzino alla materia. Fermo re- in maniera mefitica verso il delta e convogliando stando il rispetto di norme e forme, a partire dalla

52 / recensioni line-up, composta da lui a chitarra, piano e voce, romantici e tutto sommato consolatori. Capita nel dai fedeli Chris Morrissey e Mark Stepro a basso passo frugale di All 4 You, dove la fisarmonica è e batteria (drums), più il bravo Kitt Kitterman ai una carezza frugale, oppure tra le brume tenere di ricami di dobro e pedal steel. Insomma, diavolo I Got You In con la tiepida benedizione del violino, d’un Ben: è ovvio che così mi frega. Per forza fi- e ancora nel soffice guaire dell’armonica nella dol- nisco con l’affezionarmi ad una Old Hat col suo ciastra Daly Suicide, nella lunare The Way To My He- ciondolare struggente Wilco, al rigurgito vaude- art con quei cori da Will Oldham cherubino, per ville di una Sawdust Man, ai languori spersi di Bal- non dire di quella Salina’s che tra pianoforte e cla- lad Of Wendy Baker (stiepiditi da un refolo d’archi), rinetto sbriglia un piglio da Lanegan ingentilito e all’asciuttezza Dylan di Wantin’ Her Again o ancora controcanto efebico quasi Rufus Wainwright. Il a quella Hurtin’ You come potrebbe un Malkmus tessuto s’increspa complicandosi in Honeysuckle Gal qualora lo cogliesse il morbo Gram Parsons. (delirio piratesco da Devendra Banhart waitsia- Detto ciò, Kwelle è lungi dal sembrarmi un artista no), concedendosi fregole jazzy nell’iniziale Roses imprescindibile. Facciamo che ha saputo muove- (con un piano quasi Paolo Conte) e masticando re con genuina arguzia le pedine giuste. Nulla da certe ugge inaffer- rimproverargli. (6.4/10) rabili vagamente Stefano Solventi Peter Hammill nella notevole Drink Black Eyed Dog - Rhaianuledada Me (le elettroniche a (Songs To Sissy) (Ghost Records / perturbare la trama Audioglobe, 22 gennaio 2009) di chitarre, piano e Ge n e r e : cantautorato f o l k -b l u e s percussioni). Non nascondo di provare una certa curiosità per Alla fine resti appe- Fabio Parrinello, cosmopolita o apolide non saprei so ad un senso di se- bene (nato a Varese, cresciuto tra Londra e Los dazione emotiva che appiana ogni escursione, alle- Angeles, attualmente domiciliato a Palermo), uno stendo un giaciglio forse un po’ monotono e schivo che si nasconde dietro ad un moniker sfacciata- ma ugualmente - e stranamente - affettuoso. Non mente drakeiano salvo poi disimpegnarsi più che parlerei di una crescita, ma di un riposizionamen- altro in direzione Tim Buckley, uno che dopo to poetico che conferma Black Eyed Dog tra le più i consensi ricevuti dall’esordio Love Is A Dog interessanti realtà indie nostrane. (7.1/10) From Hell (Ghost Records / Audioglobe, apri- Stefano Solventi le 2007) si è mediaticamente eclissato, magari per covare con le dovute attenzioni il qui presente suc- Boozoo Bajou - Grains (!K7/Audi- cessore Rhaianuledada. Nel quale vengono per- oglobe, febbraio 2009) lopiù abbandonati i buckleismi vagamente freak Ge n e r e : p o s t d o w n t e m p o dell’esordio in favore d’un cantautorato intimista, L’effetto che restituisce l’ascolto di questa nuova cupo e appassionato, sorta di versione schiva di un fatica della coppia tedesca ha del paradossale: ri- Goodmorningboy oppure un Josh Ritter pro- chiama alla memoria la breve e felice stagione in blematico. Da un certo punto di vista si tratta di cui esplosero trip-hop e downtempo, che prima di un’implosione, un rifugio morbidamente claustro- trasformarsi in salottiero sottofondo buono per i fobico, però non fai in tempo a sentirti soffocare centri estetici qualche bel disco fecero in tempo a che le melodie e l’essenziale lirismo degli arran- consegnarcelo. Sembra, insomma, di leggere oggi giamenti tracciano feritoie da cui soffiano refoli una missiva che doveva esser spedita un decennio e

recensioni / 53 rotti or sono per avere reale consistenza, per susci- “stroppiare”, pensando bene di sconcertarti fin tare le emozioni che chi la scrisse aveva in mente. dall’iniziale Outlaw Pete coi suoi scivoloni morrico- Alla prova dei fatti risulta difatti interessante il loro niani. No, l’onestà dell’uomo e dell’artista non la approccio moderatamente trasversale alla materia metterei in discussione neanche sotto tortura. Se volto a fare cosa sola di elettronica e jazz, soul e Bruce inciampa in questo presenzialismo frettolo- latinità, slarghi dub e inquietudini post: il problema so credo sia per generosità, un volerci essere ad sorge nel momento in cui realizzi che di calendari ogni costo in un momento tanto critico ma anche dal muro ne hai frattanto staccati un bel po’. Va di- esaltante per il Paese che da sempre è sfondo, pre- fatti benissimo omaggiare e in parte aggiornare gli messa e struttura della sua poetica. Accadde già Everything But The Girl di Eden tramite la deli- con quel The Rising (2002) che spezzò l’astinen- cata Messengers e genuflettersi aiMichael Brook e za discografica in vigore dall’ottimo The Ghost Daniel Lanois del caso nel sentire cinematico di Of Tom Joad Fuersattel e nelle tensioni “noir” di Kinder Ohne Strom (1995), affogando e Big Nicks; assai meno l’aver trattenuto di Isaac nello tsunami reto- Hayes la buccia e non il frutto, oppure perdersi rico post-undiciset- dentro talune eccessive gassosità del tipo che l’am- tembre malgrado biente lo riempiono senza riuscire a crearselo in- una scrittura tutto torno. Accade giusto in un paio di episodi e si deve sommato energica, tenerne conto, frattanto aggiungendo sul piatto le intensa, vibrante. title-track e le Same Sun più realiste del re nel loro Oggi, nel ventre ce- rifarsi ai primi Air. Se poi tra gli invitati alla fe- taceo della depres- sta sbucano fuori anche Kruder & Dorfmeister sione, Springsteen chiama a sé i ragazzi della E e sotto bracci recano la glassa sinuosa e suadente Street Band per soffiare tutti assieme sul fuoco del- che li fece famosi, converrete che Boozoo Bajou la speranza Obama. Anzi, più che una speranza di talento puro non ne hanno poi molto. Piuttosto un sogno, scenografia e orizzonte che ahinoi non abbiamo a che fare con artigiani valenti e mode- possiede bordi abbastanza robusti per contenere ratamente abili, dal discreto gusto e tecnica ade- l’esondazione appiccicaticcia del sentimentalismo guata. Prendendo spunto dai “what if ” resi celebri canzonettaro buonista e proattivo (Kingdom Of da Philip K. Dick, viene da pensare cosa sarebbe Days, la title track, Surprise Surprise, Queen Of The accaduto se Grains avesse visto la luce nel 1998. In Supermarket...). Quando ti va bene ti becchi una questa epoca confusa e indecifrabile, pur convin- My Lucky Day che potrebbe essere la sorellina di cendoci abbastanza, ci diciamo certi che non potrà My Love Will Not Let You Down, una Tomorrow Ne- lasciare segni di rilievo. (6.6/10) ver Knows rannicchiata tra placidi vapori mariachi Giancarlo Turra e quella The Wrestler (bonus track che avrete già sentito nei titoli di coda dell’omonimo film) che Bruce Springsteen - Working on a sgrana una dignitosa ballad a fari bassi e cuore Dream (Columbia, 27 gennaio 2009) pieno delle sue, mentre Good Eye è degna di nota Ge n e r e : f o l k r o c k giusto perché anomala con la sua robotica frenesia Non è certo per mera convenienza che il Boss si sta country-blues. Insomma, sembra la soundtrack di prestando ad uscite tanto… sconvenienti. Perché - una terapia di recupero collettiva. Mi fa venire il lo dico subito - Working on a Dream è un brut- disagio, voglia di alzarmi e salutare. Speriamo al- to disco. Spompa e confusa l’ispirazione, affogata meno che serva a qualcosa. (4.5/10) tra arrangiamenti che tendono inevitabilmente a Stefano Solventi

54 / recensioni Burning Hearts - Aboa Sleeping che riteniamo di poter risolvere in questa sede, in (Shelflife, 10 febbraio 2009) primis passando in rassegna i principali caratteri Ge n e r e : indie p o p della proposta musicale della band cosentina. Su Supponiamo ordunque che l’electro-pop malinco- tutti, quelli tipici di un “dopo-rock” corposo e nico, garbato, trepido, nostalgico ma a suo modo solido che tornano alla ribalta ciclicamente, negli ostinatamente proiettato in avanti, possieda pro- arpeggi insistiti, nelle porzioni strumentali elabo- prieta terapeutiche. Un lenitivo per il malanimo rate, nelle complessità dei fraseggi. Una formula che sempre più spesso accompagna i nostri gior- che come da ultimo aggiornamento del Prontuario ni saturi di troppe cose a perdere. Supponiamolo. del perfetto post-rocker, vive di veloci cambi di passo, Ecco, casomai oserei dire che i Burning Hearts - contempla qualche sprint al fotofinish, cerca di duo finnico formato dalla cantante Jessika Rapo e rinnovarsi richiamando estetiche che poco han- da Henry Ojala, polistrumentista già nei Cats On no a che vedere con l’ortodossia e molto con il Fire - stemperano nel debutto Aboa Sleeping il carattere, per lo meno nelle intenzioni. Nei fatti ci suddetto principio attivo, con la competenza un si imbatte in episodi elettro-acustici di pregevole po’ scostante dei farmaci generici, cui comunque fattura (la title-track) come in ampollose lentezze in finisci per tributare la giusta fiducia. saturazione (If You Are Tired, Don’t Risk), apprez- Del resto, la confezione calda ed essenziale testi- zabili progressioni in controtempo (New Song) e monia l’onestà del contenuto, che l’infermiera Jes- derive strumentali lasciate alla corrente (elettrica) sika ci propina con setosa autorevolezza, mentre (Caracol), in un tira e molla che ha certo il pregio il dottor Ojala si disimpegna tra scaffali Stereo- di non annoiare ma anche il difetto di non susci- lab (A Peasant’s Dream) e provette New Order (I tare sbalzi emotivi significativi. Mestiere e entu- Lost My Color Vision), distillando morbidezze Lali siasmo rendono il prodotto finale apprezzabile e Puna via Belle And Sebastian (Iris), conceden- tutto sommato onesto, pur correndo il rischio di dosi omeopatie Bowie (una We Walked Among the farlo passare in più di un’occasione per un eserci- Trees che ammicca Ashes To Ashes) e Kraftwerk zio di stile che piace alla gente che piace, gratifica (l’angelicamente frigida The Galloping Horse), per chi ci si è impegnato – al secondo episodio di- poi planare su una title track col passo delle ballad scografico della carriera - ma fatica a lasciare un importanti, coprendo d’amblé la distanza tra certe segno profondo. (6.7/10) ugge Delgados alle utopiche elevazioni Air. Fabrizio Zampighi Un disco non esaltante ma buono. Io comunque lo preferisco al Prozac. (6.7/10) Camouflage - Live in Dresden (Syn- Stefano Solventi thetic Symphony / Audioglobe, 19 gennaio 2009) Camera 237 – Inspiration Is Not Here Ge n e r e : t e c h n o p o p (Foolica, 13 febbraio 2009) Esiste da sempre un pregiudizio di fondo nei con- Ge n e r e : p o s t -r o c k fronti del techno-pop, che nemmeno gli sdoga- Verrebbe da parafrasare il titolo del disco per ta- namenti ripetuti di Depeche Mode, Pet Shop gliar corto sulle scelte stilistiche “un po’ attempa- Boys, Heaven 17 e chicchessia tra i maestri del te” e in qualche caso prevedibili dei Camera 237. genere non sono ancora riusciti a scalfire fino in Verrebbe da parafrasarlo ma sarebbe non rende- fondo. Che, insomma, si tratti di materiale vacuo re merito a musicisti che sanno comunque come e “commerciale”, privo di spessore e peso speci- suonare credibili e almeno in qualche frangente, fico. Come se, attenendoci al rock duro e chitar- spiccano per lucidità. Un paradosso? Forse, ma re, Bon Jovi e i Queens Of The Stone Age

recensioni / 55 fossero la stessa cosa. Non è per fortuna così e lo meno virtuosa delle due artiste citate in apertura, sappiamo bene, benché talvolta incappiamo in potrebbe rientrare a grandi linee in questa tradi- personaggi che poco (cioè molto) fanno per pro- zione, visto che con The Deep Blue confeziona curare ai detrattori prove a carico della loro tesi. un disco fortemente interessato alle stratificazioni I tedeschi Camouflage traggono il nome da una sonore (Behave), attratto dalle linee armoniche canzone dei Yellow Magic Orchestra, e pare inconsuete (Roll Over), affezionato alle vaghezze rappresentino da anni una delle band di synth- soffici della voce Dawn( Treader). Con in più il pop più importanti sulle scene. Devono avere un geneticamente modificato delle chitarre elettriche pubblico comunque folto se si permettono il lusso (I Wan’t You To Know e Very Young) e della psichede- di uscire con un mammut come questo - cd au- lia (Love’s Young e Dream, Be Thankful), a vergare a dio più dvd con più brani e ulteriore dischetto con caratteri cubitali un proposta finemente arrangia- tutti i video - oppure, in caso contrario, nessuno ta e, in qualche caso, piuttosto energica. Del resto si è premurato di dirgli che sulla carta d’identità non potrebbe essere altrimenti, visto che stiamo non hanno scritto Gahan o Gore. Eh, sì, perché parlando dell’ex chitarrista degli Ash, qui al quello è grossomodo l’ambito in cui ci si muove: secondo disco della sua neo-carriera solista. Una quello per l’appunto di un techno pop che vorreb- che oltre ad aver già le idee chiare sulla direzione be avere impatto rock senza epica e ridondanza. da prendere, coinvolge in fase di produzione figu- Il problema del quintetto è che tra le sue fila non re d’alto profilo come Rob Ellis e Eric Drew vanta un’ugola carismatica, uno scrittore capace Feldman (ex Captain Beefheart’s Magic Band) di conciliare immediatezza ed eleganza, uno che e sceglie come co-autore in Dawn Treader Andy arrangi i brani senza che gli anni Ottanta sfocino Partridge degli XTC. Tutti segnali da interpreta- nel 1993. Finisce che afferri l’apparenza e del ge- re, per un’opera che arriva in Italia soltanto ora nere restituisci un’idea tra stadio e alternative club nonostante una pubblicazione inglese risalente al di provincia, al cui confronto i Subsonica paiono 2007. (7.1/10) gente da prendere tuttora sul serio. Arrivare alla Fabrizio Zampighi fine della maratona è stata fatica che al sottoscrit- to ha richiesto numerosi e ripetuti passaggi di The Children’s Hospital – Alone Togeth- Luxury Gap e The Hurting per ossigenare i polmoni. er (Sacred Bones, dicembre 2008) (5.0/10) Ge n e r e : w a v e industriale Giancarlo Turra La transizione della scena tradizionalmente definita garage-punk, americana quanto europea, verso cer- Charlotte Hatherley – The Deep Blue te sonorità anni ’80 è ormai cosa consolidata. Se ce (Little Sister, 2007– Red House Re- ne fosse bisogno, ecco qui un’ulteriore prova di que- cordings, 2009) sto passaggio di testimone. Molte band e progetti Ge n e r e : p o p -r o c k solisti si sono prodigati negli ultimi tempi nella pro- Ultimamente sono sempre di più le musiciste che duzione di materiale dai connotati smaccatamente si cimentano in una rielaborazione del pop in e volutamente wave: Mike dei DC Snipers con Blank chiave personale e innovativa. Vengono in mente, Dogs, gli Homostupids con Factory Man (tra l’altro solo per fare un paio di nomi, St. Vincent e My artefici di un ottimo 7’’ su My Mind’s Eye) fino al Brightest Diamond, entrambe capaci di unire nuovo progetto di Erin Sullivan (cantante e chitar- una vena melodica suadente ad arrangiamenti rista negli A-Frames) a nome Rodent Plague, il cui strutturati e difficilmente etichettabili. Charlotte singolo d’esordio è uscito da poco su Kill Shaman. E Hatherley, pur essendo inglese e tecnicamente proprio dal famigerato asse A-Frames/Intelligence/

56 / recensioni Hi g h l i g h t

Andrew Bird - Noble Beast (Fat Possum / Bella Union/ Coopera- tive Music, 13 febbraio 2009) a r t f o l k La continuità dell’incanto, più che la sua intensità, ci convince del fatto che Noble Beast è - e probabilmente sarà - il capolavoro di Andrew Bird. Col quinto album da solista non fa che raccogliere quanto seminato nel suo frugale orticello, e siccome il nostro musicista chicagoano da sempre professa il culto della biodiversità sonora, ne viene fuori un raccolto variegato, ricco, persino robusto nella generale morbidezza del tono. Rispetto alle prove del passato sembra semmai più accorta la gestione del canto, tenuto al guinzaglio delle necessità espressive che pezzo dopo pezzo indagano con frugale gravità il mistero, la me- raviglia e la miseria del fattore umano. La scrittura invece è di quelle... nobili, sposandosi alla misurata brillantezza di arrangiamenti che, innervati su mai eccessive evoluzioni di violino, conferiscono abiti trepidi e setosi, un carosello discreto e ipnotico di fiabesche tensioni (Anonanimal e Nomenclature, con le apprensioni acustiche Kozelek contagiate di languori Rufus Wainwright), di bucolico abbandono (la fatamorgana Al Stewart/ Brian Wilson di Oh No), di esotismi fragranti (l’incalzante Fitz And The Dizzyspells) e ran- dagi (la bossa onirica di Masterswarm, lo sdilinquimento post moderno di Not A Robot, But A Ghost). Altrove predomina il battito traditional, appena carezzato da una verve freak, come in quella Tenuousness come potrebbe il nipotino garbato e arguto di Paul Simon, come in una Effigyscaldata dal tepore Gram Parsons (con la brava Kelly Hogan a fare la Emmylou Harris della situazione), o come quella Natural Disaster che incede docile e grave come il Beck di Sea Change. Volendo individuare l’apice della scaletta, punte- remmo l’indice verso Souverian, sorta di mini suite che parte come milonga da front porch e poi trascolora in un camerismo pervaso di languori coloniali, magnifico il ritornello, ineffabili le ambientazioni all’insegna di scenografie incantevoli e spossate. Inevitabile tirare in ballo il luogo comune della maturità, che Andrew Bird sta vivendo con la pie- nezza tipica di chi ha molto da dire. (7.5/10) Stefano Solventi

AFCGT giunge, inevitabilmente su Sacred Bones, il tecnologica avariata per dar vita a meccaniche no- primo LP dei Children’s Hospital, nuova formazio- stalgie analogiche, salvo di tanto in tanto riesumare ne nata sotto il grigio cielo di Seattle; accantonate le il fantasma del proprio passato con riff che lasciano chitarre, o almeno poggiate momentaneamente in intravedere una minima continuità (Unseen). Il pas- un angolo, si estraggono synth, tastiere e archeologia saggio, va detto, è indolore e in alcuni punti è anche

recensioni / 57 decisamente compiuto (Preschool Of Atonement, If You All Day e qualche tocco di banalità, sarebbe pro- Find Me I’m Here); tuttavia a volte tuttavia alle volte i prio un gran bel disco (7.0/10) nostri si lasciano sedurre da scorciatoie compositive Daniele Follero che, più che agevolare, rallentano il percorso (Af- ter the Aftermath, Blue/Green Algae). Certo è che Cristopher McFall – The City Of Al- questo è solo il primo lungo passo nella direzione di most (Sourdine, 2008) quella wave-proto-industriale di cui furono, a loro Ge n e r e : m i n i m a l i s m o -a m b i e n t tempo, fulgidi testimoni atti come Cabaret Voltaire, Andando oltre l’hic et nunc dell’aneddoto, i fields re- Throbbing Gristle e Factrix e i pezzi posti a chiu- cordings di Cristopher McFall si fanno strumento di sura di entrambi i lati lo dimostrano egregiamente. rilevazioni urbane. Linee narrative in quattro tracce Tuttavia , pensando ad esperienze più navigate in ed un’unica direzione di studio, una città del Kan- questo ambito, si insinua il dubbio che non si sia vo- sas un tempo molto prospera colpita con il passare luto tentare troppo in fretta un traghettamento non dei decenni da un evidente stato di degrado urbano. sempre così naturale come si potrebbe presupporre. Una lettura sonora che cela l’origine di registrazio- (7.0/10) ne sul campo per concedersi ad un elegante estetica Andrea Napoli digitale, deteriorata in claustrofobiche stratificazioni (Slow Containment) o esposta agli oscuri temi centrali Circus Devils – Ataxia (Static Cara- di drones (One of several possible endings). A colpire è van, 2008) l’accostamento al luogo, documentato dalle parti- Ge n e r e : l o w -f i ture che restituiscono l’evolversi del luogo dispen- Oltre alla prolifica e discutibile carriera solista, Ro- sando di esso immagini vivide. E’ tangibile l’essenza bert Pollard continua a portare avanti, più o meno temporale, nelle ariose decostruzioni in interferenze con lo stesso ritmo (ma con esiti senz’altro più inte- di Requiem for Troost (dovuto omaggio al quartiere e al ressanti) il progetto Circus Devils. Se c’è qualcosa suo centrale Viale Troost) o tra le estensioni in fon- ancora degno del passato dell’ex Guided By Voi- dali dal sapore vinilico che accompagnano trame ces, va cercato proprio nelle uscite di questa band oblique e microcosmi campionati (Al parts contained). che, seppure con qualche riserva, è riuscita ad Disco figlio dell’era post-industriale, a metà strada esprimere finora le sue (attualmente) migliori idee tra antropologia sonora e soundscape. (6.8/10) musicali. La caratteristica del musicista dell’Ohio Sara Bracco (quando è in forma) è quella di riuscire a compor- re su due piani, navigando nell’underground rock dälek – Gutter Tactics (Ipecac, gen- americano senza tuttavia esimersi dallo strizzare naio 2009) un occhio a piacevoli melodie. Quando riesce a Ge n e r e : d o o m -h o p mantenere il giusto equilibrio tra questi due diver- Dopo che certe fasce dubstep hanno virato verso si approcci alla composizione, Pollard dimostra di il modernismo techno, ci mancava un po’ di real- meritare le lodi del passato. ness. Se i generi subiscono inevitabilmente il destino Ataxia è un disco complesso, ma anche molto co- dell’eterno ritorno, il duo composto da MC Dälek erente del suo predecessore. C’è qui un’intenzione e dal produttore Octopus torna a parlare di doom di osare mai ascoltata prima, di spingersi fino alle ed è come una risposta alle fascinazioni banghra di soglie della psichedelica, del noise rock (Nets At Very gente come Dusk+Blackdown, a tutte quegli etno Angle) e della new wave , sfociando addirittura nel velluti escapisti ai quali occorre un fermo no con la dark ambient di I Found The Black Mind e Fuzz In crisi a caldo che ci brucia ogni giorno più il culo. Poi The Street. Se evitasse le sdolcinatezze alla He Had è come se fosse la prima volta, come se la Anticon

58 / recensioni non ci fosse mai stata, come se i cLOUDDEAD non iniziava a stare stretta al caro , al cui fossero mai esistiti. Rivisitando si cresce, si tirano estro solistico ha quindi giustamente pensato di con- fuori quei drones cupi ereditati dai Sunn O))) e dai cedere un po’ di spazio. Debutta quindi in solitario Melvins e il deja vù sorprende. In poche parole: con questo buon , fedele al verbo dei hip-hop is here to stay. Ovviamente mutato da una Keys coi contorni lasciati però sfumare, così come sensibilità trasversale che dal 2002 accompagna il la direzione delle parabole espressive, che si rannic- percorso compositivo dei rappers dal New Jersey e chiano tra folk ballad acidule e si spampanano tra che ancora una volta ci fa capire come il mesh sia svaporate psych, ora tirando per la giacca i fanta- d’obbligo. Ma non solo suono. Cavalcando le roots smi del blues col ghigno elettrico (I Want Some More), ci si va anche di scal- salvo poi grattare la pancia alle fatamorgane della pello sul testo. In di- nostalgia fifties. La calligrafia è diretta come da co- rezione contraria al pione (arrangiamenti essenziali, col piccolo aiuto di mainstream, che si pochi amici), prevedibile come da rituale, credibile dimentica del socia- perché convinta fino al midollo di fare quel che fa, le e del politico, in ragion per cui piuttosto che lasciar prevalere l’effet- un momento come to sferzante ma catchy alla maniera di certi White questo è sempre più Stripes, lo senti vicino al piglio roccioso d’un La- doveroso ripescare negan (Street Walkin, The Prowl, la quasi waitsiana la lezione dei sem- title track), anche per la tenerezza (Whispered Worlds, preverdi Public Enemy. Parola d’ordine: cattive- canzone scritta dal padre) e l’obliquità (When I Left ria. Già dall’iniziale Blessed Are… si parla di quello The Room) con cui rimastica certe situazioni Gun che sta accadendo da sempre: conquiste in nome Club. Certo che quando Dan spinge sul pedale del del dio denaro che non guardano in faccia a niente white soul (come una Real Desire che è quasi i Cre- e a nessuno, travalicando confini e diritti. La verve edence di Long As i Can See The Light) o della ballata engagé risuona poi nei colpi apocalittici di Los Ma- carezzevole (una When The Night Comes cantata assie- cheteros e nelle bordate che attraversano in stile Wu me a Jessica Lea Mayfield) il discorso cambia, per Tang Clan l’intero album. Cose che non si sentono non dire di quando si disimpegna sbrigliato e lirico più, dischi come questo ci fanno stare male, ci fanno rammentando il Devendra Banahrt ultima ver- incazzare. Senza sballo, una cosa che viene dall’ani- sione (My Last Mistake) e quello delle reminiscenze ar- ma, un sentimento che nel rock avevamo sperimen- caiche (Goin’ Home). Come dire, siamo chiaramente tato nei pogo dei RATM. Qui l’hip-hop ritrova la in presenza di un autore versatile e versato in quella sua possibilità di riscatto con una straightedgeness che per semplificare chiameremo Americana, come che suona nuova, sporcata da mille effetti e disorsio- già chiarisce in apertura quella Trouble Weighs A Ton ni, imperfezioni che arricchiscono e che sono sem- che non sfigurerebbe nel repertorio d’unWill Old- pre più necessarie per descrivere la (vita di) strada. ham, così per dire. Non un disco sorprendente, ma Respect.(7.5/10) comunque una bella sorpresa. (7.0/10) Marco Braggion Stefano Solventi

Dan Auerbach - Keep It Hid (None- Dead Letters Spell Out Dead Words such, 10 febbraio 2009) – Lost In Reflections (Release The Ge n e r e : b l u e s r o c k Bats, gennaio 2009) La formula Black Keys - tanto collaudata quanto Ge n e r e : p o s t -r o c k /s h o e g a z e /elettronica efficace, ma invero un po’ ripetitiva - probabilmente Dead Letters Spell Out Dead Words è lo pseudo-

recensioni / 59 nimo dietro cui si nasconde Thomas Ekelund, ar- dichiarazioni riguardanti il ruolo avuto dalla sua tista visuale e musicista di Gothenburg, e Lost in malattia (un disturbo della personalità) nella ge- Reflections è il suo ultimo disco. I luoghi esplo- stazione dell’album. Anche la sua musica in qual- rati nelle sue composizioni sono le stesse terre geli- che modo vuole mostrarsi vicina. I lunghi tappeti de e brumose che hanno fatto la fortuna di gruppi ambientali, gli sconfinati riverberi, sono graffiati come Sigur Ros. Ma se la musica degli islandesi da piccoli suoni, glitches digitali, sfrigolii elettrici sembra essere soltanto una sfocata concessione del di vinili polverosi, come se volesse mostrarci i suoi loro mondo – troppo alieno da capire, troppo di- luoghi attraverso le diapositive di un vecchio pro- stante da descrivere in titoli o parole – Ekelund iettore scrostato. Riducendo cioè il viaggio a una vuole invece condividersi apertamente, sin dalle dimensione più domestica, quindi più accessibile.

Hi g h l i g h t

Harmonic 313 – When Machines Exceed Human Intelligence (Warp, febbraio 2009) g l i t c h -e l e c t r o -h o p Mark Pritchard ritorna su Warp. L’uomo����������������� mezzo Glo- bal Communication si rifà il trucco e fa parlare di sé. Con questo album che è un tornare alla meccanizzazione, alla visione kraftwerkiana (guardate i video e gli artwork del sito) tutto però sporcato di break nero. E quindi di storia hip-hop. Una cosa così non te l’aspetti. Non ti aspetti che la proposta sia coinvolgente e a tratti squassante. Perché il ritorno sulla scena molte volte è un riproporre cose già dette senza pensare alla patina di polvere che hai davanti agli occhi. Qui si ripropone, ma con uno stile che è da archeologia 90. E in questo inizio anno capiamo che più avanti si va, più gli occhi sono rivolti all’indietro. Ce l’avevano già detto su altri lidi gli O.R.B. e gli Autechre. I vecchi suoni sono lì, ma chi saprà usarli a dovere? C’è ancora qualcuno che riesce a cavalcare le sterminate praterie ambient senza copiare Aphex T.? Sì, ascolta Köln e poi dimmi se il mago del synth ci ha spiazzato o no. C’è ancora qualcuno che sa parlarti col vocoder e distruggerti con una base glitch à la Space Invaders? Sì, ascolta Word Problems. Che lesson. Ci sono ancora quei bei break che sentivamo dalle parti dei Beastie Boys? Vediti il riff di Battlestar e poi muori. C’è ancora qualcuno che ricorda in modo degno la cultura a 8 bit? Cyclotron C64 SID sì. E avanti così. I rimandi sono infiniti, ma non sono nostalgia sterile. Qui si riparte per nuo- ve avventure nella matrix gibsoniana. Le guerre stellari le vedremo tra un po’ di tempo, quando capiremo che i teen del dubstep sono troppo concentrati a sfornare singoli che durano solo una notte di nerdy videogaming sfrenato. Chi invece ha la forza di prevedere il futuro va oltre il tempo. E questo, cari amici, è uno di quei dischi. Che voi siate Bad o no.(7.7/10) Marco Braggion

60 / recensioni Ad introdurre il disco è la semidensa progressione succede neanche con L’amore non è bello, però chitarristica di This Room Seems Empty Without You, almeno esso è da considerarsi come un album di ma nei brani successivi le atmosfere si fanno più transizione che lascia speranze per il futuro. I rife- rarefatte, le strutture sempre ascensionali, ma la rimenti sono sempre i medesimi: Battisti e tutta la tensione non arriva mai a sciogliersi come accade canzone d’autore pop anni Sessanta. Alcuni brani ad esempio nelle distensioni tipiche del post-rock risultano fin troppo monotoni e piatti nella loro di Mogwai o Explosions in the Sky. A chiu- nuova e più elegante veste strumentale, altri invece dere Himmelschreibenden Herzen, la traccia più cupa, incidono sublimi e delicate linee melodiche che si forse quella che meglio trasmette la frustrazione conficcano in testa senza più uscirne, grazie anche di cui Ekelund fa riferimento nelle sue dichiara- a delle liriche sempre ironiche e suggestive. Dente zioni. Le parti più riuscite sono però quelle che avrà tutto il tempo di maturare, per ora un più che fanno da cornice al nucleo dei pezzi: le lunghe scie meritato (6.5/10) di elettronica statica che introducono o concludo- Andrea Provinciali no i brani. Quando a prevalere sono piccoli suoni quasi quotidiani, in cui riconosciamo l’intimo si- El Cijo – Bonjour My Love (Still lenzio dei luoghi domestici. Fruscii, sospiri, magri Fizzy, ottobre 2008) feedback, hum di elettrodomestici, dettagli spesso Ge n e r e : f o l k -b l u e s ignorati o sommersi da conversazioni futili, televi- Se non ti conoscono che quattro gatti e te ne esci sori prepotenti, decibel sprecati nel chiasso degli con un disco d’esordio con sedici tracce in sca- spazi affollati. Non so se riesce appieno a comu- letta, o sei un giocatore d’azzardo o sei uno che nicare le sue sensazioni, ma sicuramente riesce a crede che le “logiche di mercato” siano una delle creare il miglior luogo possibile in cui si è disposti ultime punk band al femminile scoperte da Pitch- ad ascoltare. (6.8/10) fork. Non ci sono mezze misure. In tempi in cui Leonardo Amico anche un Ep sembra troppo lungo, in un’era di- scografica logorroica e dispersiva come la nostra, Dente – L’amore non è bello (Ghost, spiattellare in un’ora di musica micro-frammenti febbraio 2009) da un minuto come divagazioni da sei sperando di Ge n e r e : c a n z o n e d’a u t o r e farsi apprezzare da scribacchini perennemente in Quale data migliore del 14 febbraio per uscire con ritardo sulla tabella di marcia, equivale a puntarsi un album intitolato L’amore non è bello? Già da una rivoltella alla tempia. Basta un nonnulla per questa bizzarra scelta, intuiamo fin da subito che la far partire il colpo. Gli El Cijo ne sono consape- vena ironico-lessicale di Dente, ben espressa anche voli, dimostrano una fiducia incrollabile nelle loro nei suoi primi due album, è lungi dall’inaridirsi, capacità, fanno per un po’ gli equilibristi sul filo anzi. Ciò che invece viene smarrito per strada, per ma alla fine se la cavano piuttosto bene, se è vero una volontaria scelta artistica, è quell’approccio che questo Bonjour My Love non solo non è tem- lo-fi che faceva da perfetto contraltare alle liriche po perso, ma acchiappa pure. Con un tripudio di del Nostro. Dobbiamo ammettere che infatti que- folk in bassa fedeltà (Blackbird Messenger), blues sta sua terza fatica ne risente non poco di siffatta acustico (Every Woman), vaghezze jazz ricon- virata stilistica, perdendo in spensieratezza. Però ducibili al Tim Buckley più etereo (The Guy Of dobbiamo dargli atto del suo coraggio di non ri- Yellow Grain), morbidi strumentali (Calamari in petersi: molto probabilmente un clone di Non c’è frack) che si fa apprezzare da subito, regalando nel due senza te avrebbe stancato e non gli avrebbe contempo raffinate incursioni musicali in territo- permesso di fare il salto di qualità. Cosa che non ri di confine. Ancona la città di provenienza della

recensioni / 61 formazione, chitarre, contrabbasso, kazoo, piano trasforma nel tono imprecatorio di un Allen Gin- elettrico, fiati e chissà cos’altro la strumentazione, sberg che legge in pubblico (Februaries) o sopra, a Memphis (Tennessee) il quartier generale per que- sua volta, una band; un tono perentorio ma stra- ste registrazioni, per un disco che stupisce e non lunato nella sua aggressività; come in Bells, dove stanca, nemmeno alla lunga. Le idee, del resto, notiamo quell’intensità di accordo tra carica stru- non mancano, il linguaggio è forbito, la maturità mentale e vocale. E tra un voto che inizia per 5 e davvero a un passo. (7.0/10) uno che iniza per 6 propendiamo per il numero Fabrizio Zampighi più alto. (6.3/10) Gaspare Caliri Enablers – Tundra (Exile On Main- stream, 26 gennaio 2009) Fauna – Rain (Aurora Borealis / Ge n e r e : s p o k e n w o r d -p o s t r o c k Southern, 2008) È il 2009 e sembra davvero fuori tempo massimo Ge n e r e : Bl a c k Me t a l proporre uno spoken word che declama sopra del Si cela dietro un alone di mistero, questa band post rock Novanta. È il 2009 e Tundra è il terzo americana, giusto per far perdere un po’ di tempo lavoro del progetto Enablers, ideato da Pete Si- prezioso a chi cerca informazioni su Rain, capitolo monelli – alla voce - e accettato di buon grado dal primo dei Fauna, ovvero il duo formato da Echtra chitarrista Kevin Thompson. e Vines (tanto per rimanere in tema di storie ed A noi che ci abbiamo tanto riflettuto e scritto so- eroi nordici, quan- pra il progetto non può che ricordare i Massimo do si parla di Black Volume, con la differenza che allora i riferimenti Metal), provenienti del post oltreoceano erano – diciamo – coscritti, dal nordest del Paci- mentre ora sono storicizzati per tutti. Lo si capisce fico. Una sola -trac notando l’esperienza e la competenza calibrata cia lunga sessantatrè di Carriage, con la sua riuscita struttura angolare. minuti (!). A parte i Mentre la parentela con la tecnica di Mimì e soci neanche troppo ve- è dirompente, ossimorica rispetto alla riflessività lati riferimenti alla slow-core del pezzo, nella title-track; e non manca simbologia nazista nemmeno la catarsi, su cui abbiamo tanto insistito e ariana, Rain è la dilatazione estrema di tutti gli parlando dei MV. È un vortice che ci porterebbe stereotipi del black metal di stampo nord euro- solo a parlare solo della band italiana, non per de- peo: arpeggi in tonalità minore lenti e scheletrici plorevole campanilismo, ma per un debito critico alternati a velocissime accelerazioni, saturazione che sembra sgorgare come linfa e sangue insieme. sonora ai limiti della distorsione, voce strozzata e Sono però fortunatamente questi i casi in cui pre- macabra. Tutto sommato, questo concept album diligiamo le differenze al di là delle somiglianze, e non è il peggio che possa capitare tra le mani: me- che spesso le differenze sono quelle che “salvano” glio ascoltare il black metal in forma di suite che i nostri ascolti. In questo caso parliamo della ca- in un album con 15 brani tutti uguali. Per carità, i ratteristica vocale di Simonelli, un crooning par- contenuti non si discostano molto dalla brodaglia lato che per occasioni selezionate riesce a trovare di genere, a parte qualche lunga apertura al doom un’espressività che non può che giovare al combo dei primi My Dying Bride, ma almeno l’inten- post-rocckettaro. I momenti migliori, a tal propo- zione di fare un passo oltre lo stereotipo c’è e si sito e dal punto di vista di chi scrive, sono quando vede. (5.8/10) il teatro baritonale della cassa toracica di Pete si Daniele Follero

62 / recensioni Franz Ferdinand – Tonight: Franz gruppo, e dire che con The Empyrean colle- Ferdinand (Domino, gennaio 2009) ziona il suo undicesimo disco in solo, un bottino Ge n e r e : r o c k p o s t -p-f u n k niente male per un musicista che avrebbe potuto I Ferdinandi alla terza e fatidica prova. Come al comodamente adagiarsi sugli allori. Che il gruppo solito ci si aspetta qualcosa dal numero perfetto. madre sia un’attra- Poi per le band che escono dal nu-rave quest’at- zione per scolare- tesa è ancora più ricca di curiosità, dato che molti sche in libera uscita emul-baronetti stanno perdendo mordente (vedi non è mistero, ma per dirne due Kaiser Chiefs e Interpol). Già. non dimentichia- Smalto da irresistibili dandy, brit fab-four style mo che prima della virato amfetamina, mod di ieri e domani cosa? I penosa svolta arena ragazzi, già vecchi anagraficamente agli esordi rock i Red Hot Chili stanno riproponendo la più classica delle parabole Peppers hanno pur rock: ci fanno vedere la dark side del loro successo sempre occupato un in Ulysses, e ci ricordano la diaspora Beatles-let- ruolo di primissimo piano nella cultura alternati- it-be. Across the Universe non c’è qui, ma nel rifare va americana. Del resto l’emblematico white funk le origini con i soliti ritmi in levare e qualche ag- di dischi come Freaky Styley e Uplift Mofo giunta elettronica di tastiera che varia la ricetta, la Party Plan non è cosa da liquidare in due bat- dinamica con tutti i se e i ma del caso è la stessa, tute. Chi è il Frusciante solista quindi? Un uomo come in un disco di Bowie metà Ottanta. sicuramente innamorato delle sue origini, ma an- Capitalizzare il successo è ancora l’obiettivo prin- che un impensabile ed impenetrabile songwriter. cipale e i singoletti del duca di allora ci piacquero Detto che Eddie Hazel dei Funkadelic e Shuggie tanto quanto ci piaceranno per un po’ quelli del Otis rimangono quasi un punto fermo nel suo sti- quartetto di Glasgow. Del resto ci hanno stuzzica- le, sorprendono la sottile interpretazione di Dark/ to il basso e i synth che pompano uptempo funk Light quasi un’ outtake dal Pacific Ocean Blue nella citata Ulysses e No You Girls. Mica male il ri- di Dennis Wilson; ancor più coraggioso il confron- cordo northern soul con gli Hammond in Send Him to con uno dei più grandi di tutti i tempi: Tim Away, le atmosfere 80 di Live Alone e - per la prima Buckley. Accedere alle arcane e celestiali volte volta - un accenno di psichedelia mescolata alla di Song To The Siren non è esattamente un’impresa acid disco nella sorprendente Lucid Dreams. Tutti trascurabile, oltre al fegato ci vuole il buon gusto, ingredienti che ci fanno fare i soliti proseliti per ben intesi. Quando scorre l’apertura psichedelica un prossimo disco spiazzante proprio come quello di Before The Beginning, ci chiediamo davvero se i dei Supergrass. L’uso dell’elettronica probabil- Funkadelic di Maggot Brain, siano dietro ad una mente agevolerà i remixatori a sfornare singolet- colonna ad osservare in disparte, tanta è l’assonan- ti riempi pista, ma Alex, invece di fare il fighetto, za col periodo più lisergico della gang di George stupiscici la prossima volta. Ne sei ancora capace. Clinton. Idee ed intuizioni che al gruppo madre (6.3/10) sono venute a mancare in un sol colpo, anche se Marco Braggion e Edoardo Bridda il commilitone storico Flea è a dar manforte sul disco, sciorinando le consuete ed avvolgenti linee John Frusciante – The Empyrean di basso. Non è l’unico ospite di rilievo, visto che (Adrenaline Music, gennaio 2009) Johnny Marr degli Smiths si affaccia con discre- Ge n e r e : s o n g w r i t e r zione, forse a causa dei suoi nuovi interessi ame- Fa sempre notizia John Frusciante in uscita dal ricani (ha sbancato con i Modest Mouse come ri-

recensioni / 63 portano le recenti cronache). Di impatto anche la interpretare impastandone il senso attuale, quelli presenza del quartetto d’archi Sonus Quartet che passati e - casomai - quelli futuri. di recente è stato ospite in studio di Talora le escursioni danzerecce suonano un pizzi- e Gnarls Barkley. Lontano è il tempestoso e real- co inopportune - come quando in Martinsson scom- mente ‘drogato’ Frusciante del secondo album – paginano un assolo cameristico di violoncello, un Smile From The Street You Hold, sospeso tra po’ come servire un limoncello dopo un sassicaia fantasmi di Butthole Surfers e Jandek – il chitarri- – senza però rovinare la buona impressione com- sta californiano trova nuovamente la quadratura plessiva. (6.8/10) del cerchio con uno dei suoi più compiuti album Stefano Solventi di sempre. Chapeau! (6.8/10) Luca Collepiccolo Grandmaster Flash - The Bridge (Strut / Audioglobe, 23 febbraio Gadamer - Self Titled (AltriSuoni, 2009) gennaio 2009) Ge n e r e : h i p h o p Ge n e r e : e l e c t r o /a v a n t /j a z z Operati i dovuti distinguo di compressione stilisti- Il violoncellista (con fregole elettriche) Zeno Gaba- co-temporale, l’effetto è lo stesso. glio e il pianista (con tentazioni sintetiche) Andrea Quello di ascoltare un disco di Jerry Lee Lewis, Manzoni avviano questo progetto di avant-fusion meglio se circondato da ospiti prestigiosi, in pieno omaggiando nella ragione sociale uno dei padri nuovo secolo e con ciò misurare quanto e come il dell’ermeneutica, il filosofo tedesco Hans-Georg Pioniere di un genere musicale possa ancora dirsi Gadamer, morto nel 2002 ultracentenario non al passo coi tempi. Basterebbe in fondo trovare il prima però di averci regalato concetti straordina- Nostro in condizioni dignitose e non ridotto alla riamente post-moderni come il circolo ermeneutico e patetica macchietta di se stesso, ma pensateci: c’è la fusione degli orizzonti. gente che arriva al primo disco ed già suona risa- Bene, ringraziamo wikipedia e proseguiamo tes- puta, prevedibile, stantia e non importa se fa rock sendo lodi non sperticate ma abbastanza lusinghie- o hip-hop. re su un disco che riesce nell’impresa di fondere le Quindi tocca azzerare tutto e cancellare gli ap- allucinazioni cosmiche-ambientali del kraut (Gate) punti dalla lavagna, ascoltare questo disco come e le palpitazioni avant-jazz di Esbjorn Svens- fosse un album come gli altri. Chi sia Grandma- son Trio (Impro 14, Chiara), la fusion davisiana ster Flash (che come ricordava Deborah Harry e la techno in odor di IDM (Methode), suonando in Rapture “is fast”) lo sa chiunque abbia un mini- torva e suggestiva, misteriosa e immediata come mo di infarinatura nel rap e dunque eviteremo di la soundtrack di un lungometraggio suburbano, in esibirci in scienza dell’ovvio. attesa che il miracolo della natura ci assolva dagli Quel che ci preme semmai sottolineare è come squallidi residui (materiali e spirituali) della iper- The Bridge sia - non senza una certa sorpresa - me- tecnologia. diamente fresco e godibile, capace di esibire smal- Tra scenografie assorte e claustrofobiche (Impro 01) to ed equilibrio che difettano a tanti campioni e carezzevoli ossessioni sbocciate tra loop e fremiti del crasso e del botteghino. Sarà che il parterre è di violoncello (Orizzonte), tra deep bass ipnotizzati più che semplicemente adeguato (citiamo quasi a da un impertinente minimoog e barbagli romantici caso Q-Tip, Busta Rhymes, KRS-One, Big Daddy nella caligine androide, ti capita di ipotizzare una Kane…) e i suoni si adeguano, ma una gommosa e situazione in cui Popol Vuh, Brian Eno, Fen- subliminalmente krauta Bounce Back, il caramello di nesz e Zawinul rilasciano spore semantiche da Shine All Day e la squadrata però sexy Swagger non

64 / recensioni Hi g h l i g h t

Hjaltalín - Sleepdrunk Seasons (Kimi, febbraio 2009) Ge n e r e : c h a m b e r p o p Sensibilità pop all’ennesima potenza, chamber e orchestra- zioni, apparente facilità delle melodie e leggerezza, con lo zampino di Benni Hemmm Hemm e Mum: arriva in Eu- ropa a inizio 2009 la band che tanto entusiasmo ha suscita- to l’anno scorso nella patria Islanda. L’esordio sulla lunga distanza Sleepdrunk Seasons, che già dal nome (ebbrezza derivata dalla mancanza prolungata di sonno) evoca fa- cilità e rilassatezza, star bene insieme e piacevolezza, non smentisce affatto queste caratteristiche. Immaginate una mini orchestra sinfonica che arriva fino a dieci elementi, aggiungete strumenti non consuetissimi, quali fagotto, trom- ba, trombone, corno francese e clarinetto, oltre all’usuale armamentario di una band del genere, immettete canzoni con massime variazioni in tempi e mood, strumentali o can- tate a doppia voce, con parti in inglese e islandese, aggiungete un’impetuosità lirica ma non barocca come i primi Arcade Fire, una facilità alla melodia e una ottima alchimia di gruppo. Le caratteristiche per creare l’apparente facilità del pop sembrano esserci tutte, unite a un talento per la composizione, ad opera del leader Hogni Egilsson, vocalmente un incrocio tra Jónsi dei Sigur Ros, Antony e Jens Lekman. Il risultato è un gioiellino che unisce una base melodico ritmica beachboysiana con un’orchestrazione variegata, per mini suite orchestrali (Goodbye July) miste a pop song vere e proprie. L’amore per Bacharach o Hazelwood così come per la musica colta è palese; ecco poi Lekman e i Decemberists incontrare le voci e le variegate orchestrazioni degli Steely Dan (Traffic Music), mentre gli ultimissimi Sigur Ros più pop fanno eco alla sensibilità Antony (The Boy Next Door), Non sorprende imbattersi anche nel barocco meno melodrammatico dei canadesi Stars (Debussy, Selur) e nei Belle & Sebastian più malinconici virati Drake (nell’intensa e melodica The Trees Don’t Like The Smoke). Nonché nel pop eclettico degli Hidden Cameras. Ed è impossibile da non citare, arrivati a questo punto per gli Hjaltalín, la complessità di uno come Sufjan Stevens. Se si è già così ben riconoscibili all’esordio, non dovrebbe essere troppo difficile il proseguimento. (7.2/10) Teresa Greco

le ascolti ogni giorno; sarà che lo stesso vale per senti e ingegnose nonostante l’acqua passata sotto l’irruenza controllata di Tribute To The Breakdancer, i ponti. Più di tanto al Maestro del Giradischi non per il martello esuberante Here Comes My DJ e per si può a ragion veduta chiedere, pertanto non lo l’oriente immaginato in Those Chix; sarà che le basi faremo. Però, che classe. (6.5/10) sono per ogni episodio fantasiose ed elastiche, pos- Giancarlo Turra

recensioni / 65 Hauschka – Snowflakes & Car- che ha ospitato germinazioni e inseminazioni tra wrecks Ep (Fat Cat/Audioglobe, Gen- generi, a volte a coppie, a volte misti e improvvisi naio 2009) come una discendenza che si manifesta all’ennesi- Ge n e r e : c h a m b e r m u s i c ma generazione. La città non può che permeare Ancora una deliziosa offerta da parte del pianista il prologo alla recensione di NYC - quarto parto tedesco – con base a Düsseldorf - Volker Bertel- della coppia formata dal Four Tet Kieran Heb- mann, compositore a tutto tondo che ha letteral- den e dal batterista jazz Steve Reid -, che a sua mente trasposto il suo sapere accademico in contesti volta del resto probabilmente non può fare a meno intimamente indie. Un percorso che per certi versi di metafore di filiazioni e incroci. Per un motivo può rimandarci agli analoghi processi dei Rachel’s almeno; i precedenti (tre) dischi del combo erano di Music For Egon sì all’incrocio tra le due musiche degli autori, ma Schiele. Volker che giocavano sul terreno fertile e per certi versi neu- in arte è meglio tro del free jazz, dell’impro, e quindi da un certo conosciuto come punto di vista erano più sbilanciate verso quello Hauschka lavora da che dei due fa il jazzista di mestiere. NYC inve- sempre sulle ampie ce cerca altrove; il luogo lo sappiamo dal titolo, possibilità del pia- il concetto lo si può desumere senza troppe diffi- no preparato ed il coltà; è quel genere musicale che può indicare un nuovo Ep – 7 brani punto di tangenza neanche così sottile tra Kieran per quasi 40 minuti e Steve; quella cosa che contiene la pulsazione del di musica, quasi a rinnegare il formato merceolo- funk di fine Settanta (1St & 1St) che a volte si suole gico- nasce dalle session del precedente Ferndorf, chiamare mutant-disco, peccando di imprecisione un album che pur mantenendo la costante ‘mini- sineddotica; il sibilo dei synth (Arrival); il ritmo fisso malista’ introduceva sottili arrangiamenti d’archi dei crescendo; il groove sintetico e grasso (Lyman e piccole profezie ritmiche. Un fascino per nulla Place). E pensare che una operazione così chirurgi- snaturato dal nuovo cimento, che anzi si sposta ca è il prodotto di soli due giorni di registrazione. ancor più con decisione nei meandri della musica Ma non può neanche troppo stupirci la cosa; i due da camera, mantenendo un’ affatto trascurabile si sono studiati, prestati entrambi a concessioni e sobrietà. Prossima alle magie di Penguin Cafè Or- prove – quasi sempre soddisfacenti, peraltro; e ora chestra e del più riflessivo Philip Glass, la musica hanno scoperto, guardando verso New York, che a di Snowflakes & Carwrecks è puro impressionismo loro due piace anche fare le stesse cose. Né distanti contemporaneo, delizia auditiva che indica al stra- o più vicine più all’uno o all’altro; semplicemente da – tutta in discesa – per questo talento germa- spinti dalla percussività che monta fatta da elettro- nico, partito in sordina nemmeno 4 anni or sono nica e batteria. con il debutto – Substantial - per la piccola indi- E sentite la finale Departure; ritmo, pause e ripar- pendente Karaoke Kalk. (6.9/10) tenze che esaltano le due parti in causa e ne fanno Luca Collepiccolo sentire la reciproca necessità; una sincronia di in- tenzioni di impressionante efficacia; il brano meno Kieran Hebden & Steve Reid – NYC newyorkese forse, quasi continentale, si direbbe (Domino, novembre 2008) qui in Europa; una specie di jazz-motorik four-tet- Ge n e r e : j a z z iano; senza troppi giri di parole, un piccolo capo- Terre di mezzo. New York è stata spesso la città lavoro. (7.2/10) che ha visto nascere ritmi e melodie creoli, la sede Gaspare Caliri

66 / recensioni Honeychild Coleman - Halo Inside glio di Honeychild, ovvero la sua voce e il modo (Come la luna) (Matteite / Venus, in cui la usa per rilasciare un’idea costante di soul gennaio 2009) stemperato, smorzato, in agguato tra suggestio- Ge n e r e : c r o s s o v e r -h o p ni estrose e astruse, siano il funk-jazz torvo à la Inizia come una cuginetta arguta di Erykah Morphine di Torch Song, sia il folk-psych ombroso Badu invalvolata della Bjork altezza Enjoy, pro- della stupenda Molassess, sia la pop-wave trafelata segue concedendosi fregole indie-rock e strali e sognante di Inside, sia soprattutto la techno-funk drum’n’bass, quindi armeggia dense congetture evoluta di Headlock. dub, devozioni post-wave e setosi impasti folk-soul Divertente, intrigante, insidioso: un esordio note- come se nulla fosse. E’ il debutto solista di Carolyn vole. (7.4/10) “Honeychild” Coleman, versatile artista originaria Stefano Solventi del Kentucky ma cresciuta tra spasmi punk e club culture nel calderone newyorkese (non stupisce Hot Chip With Robert Wyatt and trovare tra le sue frequentazioni i cari Tv On The Geese – Self Titled (Parlophone Radio), dove ha fatto la busker nella metropolita- Records, febbraio 2009) na e la dj, ha dato vita ad una band “afropunk”, Ge n e r e : r e m i x e p ha strapazzato allucinazioni videoartistiche e or- Operazioni del genere, nella maggior parte dei ganizzato festival, finché non ha incontrato Mat- casi, le si riserva e consiglia - vedi ad esempio il teo Dainese, già batterista per Ulan Bator, ed è nuovo 5 track degli of Montreal – ai fan di stret- una specie di colpo di fulmine artistico. ta osservanza, ma Il nome della Coleman compare tra i credits di il novello extended Feed the Dog (Matteite / Venus, 16 febbraio play accreditato a 2007), album di debutto di Dejlight, band allestita Hot Chip, Robert da Dainese col bassista dei Tre Allegri Ragazzi Wyatt e Geese esula Morti Enrico Molteni. Assieme a Matteo Carolyn l’assunto. Made In abbozza l’ipotesi di questo Halo Inside, che vede The Dark, l’ultimo oggi finalmente la luce. Album che come dicevamo e indovinato disco esplora le sfaccettature espressive della ragazza col degli Hot Chip, ri- turgore e la flemma di chi la grinta l’ha smerigliata toccato in quattro in prima linea e sa bene come ci si muove a cavallo dei suoi episodi migliori per mano del sempre- tra underground e popular. Buona anzi buonissima verde ex Soft Machine e dalla coppia, al secolo la prima: grazie ad una scrittura capace di esplora- Emma Smith e Vince Sipprell, nota per i servigi re con sagacia e disinvoltura le forme in gioco, ad in seno all’Elysian Quartet. L’uomo di Canterbury una produzione (dell’italianissimo Max Stirner, al impreziosisce, con un cantato ai margini e qualche secolo Emanuele Fusaroli) che bilancia preziosismi orpello di giustezza, la ballad Made In The Dark per e misura, ad un variopinto parterre di ospiti che poi intervenire in modo voluminoso nella succes- porta in dote magia senza invadere la scena (oltre siva - già molto wyatt-iana di suo - Whistle For Will a Dainese, ci sono tra gli altri The Mad Profes- decorandola di un piano elettrico e di una voce, la sor nella fragranza dub di Your Idea Of Time, un sua, che non smetterà mai di emozionare. Il duo ottimo Jim “Natureboy” Kelly nella palpitante Geese interviene in corso d’opera convertendo, Never Goin’ Home Again e Robyn Gutthrie niente- ancora con Wyatt presente, We’re Looking For A Lot meno nell’etera December). Of Love in salsa cameristica e privando One Pure Ma l’ingrediente segreto che tutto avvalora è il pi- Thought dell’originaria patina dance a favore di un

recensioni / 67 appeal avant-pop decisamente più accattivante. E peccato che non abbiano sviluppato ulterior- Per i quanti lo trovassero difficile da reperire (è mente You Name It: finisce, un po’ come il disco, stampato in edizione limitata), sul sito degli Hot come se avessero staccato la spina. (6.7/10). Chip è possibile scaricare gratuitamente le tracce Giulio Pasquali Made In The Dark e We’re Looking For A Lot Of Love. Humcrush – Rest At Worlds End Quando si dice “non avere attenuanti”. (7.5/10) (Rune Grammofon, dicembre 2008) Gianni Avella Ge n e r e : j a z z /elettronica Del batterista Thomas Strønen, legato alla scena Hot Gossip – You Look Faster When avant-jazz norvegese, ci è capitato di parlare recen- You’re Young (Ghost / Audioglobe, temente a proposito marzo 2009) dell’ultima uscita Ge n e r e : In d i e r o c k della sua band prin- Gli italiani non lo fanno necessariamente meglio, cipale, i Food. Per nella fattispecie il rock; ma ogni tanto riescono a avere notizie su Sta- pareggiare se non a superare tanti colleghi della le Storløkken, guar- stessa nicchia: è il caso di questo gruppo milane- dare, invece, nel se che, con un nome azzeccato da next big thing dizionario della mu- –apprezzato infatti anche all’estero- e uno stile che sica scandinava, alla pesca nei classici modelli di questi anni (Devo, in voce Supersilent. questo caso, e altra rock-wave assortita), riesce a Un duo ben rodato, con all’attivo, prima di questo tenersi lontano da furberie e facilonerie di tanti Rest At The Worlds End, già due dischi, entrambi “eroi” (per un giorno, o poco più) d’oltremanica. pubblicati dalla Rune Grammofon. A distanza di Merito di una grinta che, abbandonati certi furo- due anni dall’ultimo Hornswoggle e di quattro ri punk e certe ingenuità del precedente Angles dagli esordi, la batteria free di Strønen ritorna ad (2006), viene incanalata nel tocco, nel piglio con incontrare le tastiere di Storløkken, in un binomio cui la band affronta ed esegue i suoi pezzi, dando timbrico piuttosto inedito. Nel caso dell’album in loro quel quid grazie al quale riescono ad usare questione, si tratta di una raccolta di registrazioni in maniera intelligente anche qualche fronzolo dal vivo in giro per la Norvegia, improvvisazioni abusato e a inventarne di tali da vivacizzare anche mai pubblicate prima e decisamente diverse l’una quelle canzoni apparentemente prive di melodie dall’altra. I suoni delle tastiere forniscono alla mu- o ritornelli memorabili o che indulgono troppo al sica un elemento inconfondibilmente electro, cui già sentito. il drumming si associa, in alcuni casi macinando Più che il materiale in sé, efficace comunque nelle groove tra il jazz e la fusion (Edingruv; Rest At Worlds iniziali Everybody Else e And Again, nel vaude- End), in altri liberando il ritmo e creando impre- ville di You Better Know e soprattutto negli am- vedibili impasti sonori con l’altro strumento (Au- miccamenti Stones-AC/DC della cavalcata Cops dio Hydraulic; Creak), impazzendo letteralmente nei With Telephones, è proprio questo tipo di approc- conati spastici di Bullfight. Se queste vibrazioni si cio, questa baldanza mentre si ritirano dal troppo rilassano, possono sfociare nell’ambient di Airport o ovvio -oltre a una maggiore coerenza e focalizza- nel prog di Solar Sail, in cui le tastiere compiono un zione stilistica- che alza questo disco un po’ al di tuffo nel passato di almeno quarant’ anni. La cre- sopra della media odierna e che fa ben sperare per atività dei due, quando riescono (quasi sempre, in i loro concerti. realtà) a combinarsi, dimostra di valere per quat-

68 / recensioni tro, facendo dimenticare completamente la man- sione libera dal capoluogo siciliano) e rockabilly canza di un supporto ritmico aggiuntivo: ascoltare forsennati (I fiori, Stile roberto il maledetto), pestati al la conclusiva Hit per credere. Conclusiva per il cd, ritmo di una festa di paese. poichè la versione in doppio vinile contiene addi- In attesa di una conferma sulla lunga distanza rittura sette brani in più. Un’altra conferma, l’en- consigliamo di tenerli d’occhio, perché quel poco nesima, dell’ottimo stato di salute di cui gode la che queste canzoni promettono varrebbe già tutta scena avant norvegese, sia in qualità che in quan- l’attenzione di solito riservata ad altri act indie no- tità. (7.2/10) strani più in vista – a nostro avviso, da qui si pos- Daniele Follero sono sviluppare gli anticorpi contro la depressione da “anni zero” di Vasco Brondi e delle sue Luci Il Pan del Diavolo - Il Pan del Diavo- della centrale elettrica; perché per scacciare lo EP (800A Rec / Malintenti, dicem- via il blues - chase the blues away, come diceva Tim bre 2008) Buckley -, in fondo, non c’é niente di meglio di Ge n e r e : f o l k , b l u e s , r o c k a b i l l y una sonora pernacchia. (7.2/10) Se è vero che il blues è il “pan del diavolo”, que- Antonio Puglia sto duo palermitano lo mastica che è un piacere. Non solo: lo metabolizza, lo trasforma in un ibrido James Yuill – Turning Down Water a base principalmente di folk (l’assetto acustico – For Air (Moshi Moshi / Self, 6 feb- chitarre, grancassa, sonaglio - è imperativo) e di braio 2009) vita vissuta, fatta di disgrazie quotidiane affronta- Ge n e r e : f o l k t r o n i c a te con irriverente sberleffo e parodistica, ironica La generazione glitch-pop dei primi anni duemila disperazione. Genuinità, spontaneità e freschez- in certi territori si è poi tramutata in folktronica, za sono le armi più affilate dell’arsenale di Pietro ossia quel flirtare di bleeps e beat prodotti dal lap- Alessandro Alasi e Gianluca Bartolo: una formu- top di turno con una chitarra acustica e una voce la personale che si riversa prepotente ed esplode melodiosa e rattristita quanto basta. Col senno di fragorosa nelle quattro tracce di questo dischetto poi, viene da ridere a pensare che intere genera- d’esordio, pubblicazione #1 della neonata 800A zioni di geek musicali abbiano preso quel Give Records, affiliata con quella Malintenti già- die Up dei Postal Ser- tro le interessanti uscite di Don Settimo e Toti vice totalmente Poeta. Come nel caso di quei dischi, parlare di come monito nono- “segnali positivi provenienti dalla Sicilia” è sem- stante siano passati plicemente riduttivo: questa è musica che guarda sei anni e di acqua ben aldilà dello Stretto, pur cibandosi di sensazio- sotto i ponti ne sia ni, attitudini, istinti fieramente locali. Vengono in scorsa parecchia. A mente tanto i Violent Femmes quanto il miglior scanso d’equivoci, Bennato, oltre al quasi ovvio Rino Gaetano (ri- essendo la formula ferimento obbligato per la visionarietà dei testi, fra del genere arrivata da tempo al ripetere se stes- piante cresciute dal ginocchio, volti cancellati con sa nei modi e nell’espressione, l’unico arbitro del- le mani e così via); il tutto caratterizzato da una la situazione è la compattezza della scrittura e la vocalità sopra le righe che galleggia fra toni rock presenza di singoli episodi che facciano da traino blues quasi urbani (Coltiverò l’ortica, complice la all’intero disco. James fa il suo lavoro con passione mano del produttore Fabio Rizzo, già in Waines e colleziona un buon numero di canzoni riuscite, e Second Grace, altre due formazioni in espan- dove l’intersecarsi dei soliti ingredienti in gioco

recensioni / 69 provoca un fluire dell’ascolto molto piacevole (l’hit traverso cui possiamo osservare i tormenti incon- da dancefloor alternativoNo Pins Allowed, la malin- fessati del campione di calcetto, la boria sotto vuoto conia gocciolante di Left Handed Girl, la ballatona spinto del critico musicale di lungo corso, oppure commovente This Sweet Love e la lezione Morr Mu- il melodramma minimale di chi ama malgrado la sic di No Surprise), che però tende alla lunga a mo- sindrome influenzale. Ballate che ciondolano tra strare il fianco quando gli stilemi diventano un li- l’acustico e il sintetico concedendosi talora un’elet- mite da ricalcare senza troppa fantasia. Quindi un tricità bonaria, ca- po’ Maximilian Hecker, un po’ Tunng, un po’ paci sì di appicci- tanto Gibbard + Tamborello, il difetto principale carsi alle orecchie di certe produzioni seppur supportate da un buon ma non abbastanza numero di pezzi sopra la media è il fatto di non da arrivarti al cuo- spostarsi di un millimetro da territori già esplorati re. Questo il difetto appieno, stemperando l’entusiasmo appena sopra principale del quar- la sufficienza. Il talento si avverte, manca solo un tetto romagnolo: la po’ di coraggio. (6.1/10) poetica del pensiero Alessandro Grassi debole conduce ad una debolezza espressiva oserei dire fisiologica. Un’impostazione rispettabile e ci Jocelyn Pulsar - Penso a Sonia ma mancherebbe, però si condannano da soli a fare i suono per la gloria (Agos Music - nipotini sfigati dei Pavement vita natural duran- 2009) te. Mi aspetterei - mi augurerei - da parte loro un Ge n e r e : l o -f i /p o p guizzo stilistico verso l’alto, un sussulto d’ambizio- Siamo al quarto disco dal 2004 per i Jocelyn Pul- ne. D’altronde, per dipingere una parete grande ci sar, il repertorio comincia a farsi significativo, roba vuole un pennello grande. O era un grande pen- da fare i conti con una certa maturità. Invece, loro, nello? Boh. (6.2/10) niente: stanno lì a palleggiare lo stesso disincanto Stefano Solventi ad alzo zero di sempre, indie a bassa fedeltà con l’ovosodo in gola e quel prurito al basso ventre su- Kid606 – Die Soundboy Die EP (Very bito smorzato da uno spleen frugale, di quelli che Friendly, dicembre 2008) al tempo del telefono fisso finivi per scrivere sulla Ge n e r e : d e e p t e c h n o paginetta del diario e oggi ti tocca dare in pasto ai Più che mai attuale questo EP lungo per uno degli social network e ai telefoni cellulari. L’ingrediente assi della techno deviata come il ragazzo Kid606. principale del loro songwriting è una sorta di ram- La proposta si situa infatti nel labile confine tra marico stupefatto per lo scarto insanabile dall’im- le esperienze dei maghi Warp prima maniera, le maginario degli ottanta, divorato dall’evoluzione atmosfere belgiche che stanno rivivendo nelle av- mediatica che significa anche profonda mutazione venture di Mr Oizo e inevitabilmente il dubstep. esistenziale. Personaggi e situazioni dell’altro ieri - Come a dire: techno. Come a dire: nord Europa dal portiere che parava senza mani al whiskey che e raving. Ascoltate ad esempio l’acidità di una invecchiava sette anni e non c’erano cazzi, dalla traccia come Loose Noose e sentirete gli echi degli grande festa al mobilificio al giocatore di basket esordi Chemical Brothers, proseguite poi con Get sovradimensionato a fine corsa, dal maggiordomo In The Way e ditemi se non c’è tutto il clubbing dei spacciatore di delizie all’incredibile forno autopu- 90, con quegli effetti che fanno ancora una volta lente - talmente obsoleti da sembrare di un altro ’House Nation’ un motto per cui morire col sorriso pianeta, provocando una pellicola di disarmo at- plastificato in faccia. Non solo club comunque:You

70 / recensioni Can’t Stop A Stepper è l’accenno al dubstep virato acidissimo, psichedelia krauta corrosiva, jam da reggae, Bat Manners ripercorre le orme della am- Velvet selvaggi, attitudine free, incubi jodorowsk- bient di gente come Pole e Gas e per finire Death yani, evanescenze spacey e tanto altro ancora che Is Pain Leaving The Body è un brivido nero che scuo- si avvicina ai picchi toccati da Tonal…. La qual te come il soul-grime di Burial. Tre quarti d’ora cosa ci fa avvertire ancor di più, come una nube che ci ricordano come alcuni vecchi maestri siano minacciosa, le dimissioni di Morgia. (7.0/10) ancora capaci di dire la loro e di come l’eteroge- Stefano Pifferi neità sia ormai d’obbligo. Ben fatto, Kid. Ora ci vuole l’album.(7.0/10) Lars Horntveth – Kaleidoscopic marco braggion (Smalltown Supersound / Family Af- fair, gennaio 2009) La Otracina – Blood Moon Riders Ge n e r e : c o n t e m p o r a n e a (Holy Mountain, gennaio 2009) Lo si era intuito dal debutto Pooka che Lars Hor- Ge n e r e : h e a v y psichedelia ntveth è personaggio che ama mettersi in gioco. Ultimo parto, temporalmente parlando, in casa La Kaleidoscopic è una mossa importante, imponen- Otracina con Ninni Morgia in formazione. Dopo te, per mole e giro di vite implicato. La Latvian qualche interlocutorio passaggio minore – meglio Symphony Orchestra al completo (quarantuno il cd-r Crystal Wizards From The Cosmic Weird usci- elementi suddivisi tra archi, percussioni, clarinet- to per Sky-fi con ancora la chitarra del siciliano, to, flauto, trombone e arpa) diretta dal norvegese che il “casalingo” The Risk Of Gravitation per Color Terje Mikkelsen e impreziosita dallo stesso Hornt- Sounds – esce ora in solo vinile per Holy Mountain veth al piano, fiati e clarinetto. Il canovaccio che questo 5 pezzi che si pone in scia all’ottimo Tonal ne viene - una suite di trentasette minuti ispirata, Ellipse Of The One. Non per sembrare patriot- a detta del suo artefice, a Jim O’Rourke, Robert tici, ma lo scarto essenziale rispetto alle nuove cose Wyatt, Stereolab, Dave Brubeck, Joanna Newson, pubblicate dal gruppo – virate verso un versante Bernanrd Herrmann e l’arrangiatore di archi di più metallico e francamente troppo pacchiano – Gainsbourg Jean-Claude Vannier – somiglia ad sembra risiedere proprio nelle volute chitarristiche una versione high tech di Steve Reich persosi in di Morgia. Un suonato in grado di trainare il suono un vaudeville venusiano. Lo scorrere dei minuti, pachidermico e lieve allo stesso tempo del terzetto, ripresi live in una piccola chiesa di Riga, dal deci- di farlo proprio, di dettare tempi ed evoluzioni in mo primo in avanti si leva nel suo essere policro- maniera anche netta (certe aperture hard-prog di mo alternandosi in incisi cinematici e leggiadrie Inner Mind Journey così come i deliqui mantrici di da musical post moderno che, secondo i dettami Ballad Of The Hot Ghost Mama Pt.1) ma mai bana- dell’autore, variano in funzione dell’umore. In le. Non da meno gli altri due vertici del triangolo progress insomma. Immaginifico. A suo modo un newyorchese, qui ognuno al rispettivo zenith: il genio, Lars Horntveth rischia seriamente di candi- bassista Evan Sobel (anche al piano elettrico) e il darsi a novello Simon Jeffes. Obbligatorio tenerlo batterista/fondatore Adam Kriney non sono com- d’occhio. (7.0/10) primari. Ma anzi, i supporter perfetti per il lavorio Gianni Avella della chitarra, col loro affiatamento e soprattutto con l’estrema duttilità: che si tratti di accendere il Leadfinger – Rich Kids (Bang! Re- motorik o di contrappuntare i frammenti chitarri- cords, 2008) stici, i due rispondono sempre presente. Il risulta- Ge n e r e : r o c k m a i n s t r e a m to perciò non può che essere un frullatore di rock A qualcuno che se ne intende un po’ del panorama

recensioni / 71 pop-rock australiano nomi come Yes Men, Aste- ne con ricercate orchestrazioni, ora dilatandole con roid B612 e Brother Brick può darsi che dica- eteree sospensioni sonore. Come se i Grandaddy no qualcosa. Così come il flirtassero con i Radiohead di Exit Music (For A nome di Stewart “leadfin- Film), tanto per rendere l’idea: su tutte Under A ger” Cunningham, chitar- Silent Sea, ballad lunare che si particolarizza con rista delle suddette band, aggiunta di vocoder e innesti faithlessiani a con- che stavolta si è messo “in trappuntare, e Harm, costruita sul celebre e dolente proprio”, dando vita ad Adagio di Albinoni. Singolarmente, ogni episodio un trio a sua immagine e piace e persuade ma è la loro concatenazione a non somiglianza (e nome), ac- convincere a pieno. Qualche più sbarazzino inter- compagnato dal bassista Wayne Stockes e Stephen mezzo avrebbe sicuramente giovato al risultato fi- O’Brien alla batteria. Le sedicenti premesse po- nale. Ma, nonostante ciò, Dear John è album corag- trebbero anche essere allettanti. Influenze “dichia- gioso da considerarsi, comunque, un passo in avanti rate”: MC5, Stooges, . Risul- e innovativo nel loro percorso artistico. (6.8/10) tato: un misto tra il southern rock, i Soul Asylum Andrea Provinciali e gli U2 più recenti. Non riusciamo veramente a trovare più felice paragone con un rock decisa- The Lucksmiths - First Frost (For- mente rivolto al mainstream, dagli spigoli limati e tuna Pop!, febbraio 2009) il ritornello facile e scontato, reso leggermente più Ge n e r e : indie p o p maschio da qualche timida distorsione. Speriamo Ci sono gruppi che immancabilmente portano a proprio non sia questo, come qualcuno dice, il riflettere su quanto un certo pop degli ’80 continui “vero” Sydney r’n’r. (5.0/10) tuttora ad essere seminale nell’indie pop odierno. Daniele Follero Ecco allora che le storie drammatiche e le melodie degli Smiths, la musicalità dei Go-Betweens e Loney, Dear – Dear John (Polyvinyl, della Sarah Records tutta affiorano di tanto in gennaio 2009) tanto, e quando i riferimenti sia pur così espliciti Ge n e r e : indie p o p sono ben amalgamati e resi intimamente propri, Gli svedesi Loney, Dear giungono con Dear John al ecco allora il gruppo che fa la differenza. È giu- traguardo del terzo album. Si registra il raggiungi- sto il caso degli australiani The Lucksmiths, sul- mento di una maggiore maturità stilistica, special- le scene da ormai ben più di 15 anni e cult band mente nello svilupparsi dell’impianto strumentale – tra gli appassionati del genere.First Frost non fa sempre più stratificato e curato da campioni e suoni eccezione alla regola; vi si ritrovano infatti con elettronici -, e di una più intensa introspezione della equilibrio perfetto gli ingredienti adatti all’occa- loro idea di pop. Infatti, essa si fa ancor più leggia- sione: il giusto amalgama tra melodie e malin- dra e malinconica concedendo più spazio alla rifles- conia suadente, il chitarrismo, la liricità, le storie sione. Ciò rappresenta simultaneamente un merito sull’ordinarietà e la problematicità dell’everyday life e un difetto: perché sì, le canzoni ora guadagnano e le liriche, accluse al libretto della bella edizione in profondità emotiva, ma finiscono per stancare a cartonata del CD, impetuose e intense che senza un ascolto intero dell’album. Esclusione fatta per clamore esprimono il malessere “adolescenziale” il buon “tiro” dell’apripista Airport Surroundings, in senso lato così caro alla band. Così si procede di Everything Turns To You e di Summers, il re- tra ballad smithsiane (Up With The Sun, South-East sto dell’album si muove su più quiete e distese suite Coastal Rendezvous), chitarrismo Aztec Camera musicali, ora intensificandone la drammatizzazio- e Housemartins (Good Light, Never And Always),

72 / recensioni Hi g h l i g h t

Mi Ami – Watersports (Quarterstick, febbraio 2009) Ge n e r e : p o s t -d u b -t r i b a l -p u n k Avevamo visto giusto incensandoli dopo la manciata di minuti racchiusa nel 12” d’esordio African Rhythms. Non che questo sia merito nostro, anzi, tutt’altro. Il meri- to va tutto a Daniel Martin-McCormick (chitarra, voce), Jacob Long (basso) e Damon Palermo (batteria), al seco- lo Mi Ami. Un passato targato Dischord quando si chia- mavano Black Eyes e spaccavano cuori ed orecchie a suon di epilessie no-(p-funk)-wave; un futuro lucente, se continueranno a mantenere le promesse come in questo Watersports. Sì, perché nei suoi 7 pezzi prendono corpo in maniera più compiuta quelle dichiarazioni d’intenti presenti nel 12”: tensione post-punk e instabilità emotiva, sfaccettato tribalismo terzomondista e dissonanze noise, isterismi vocali e dilagante atti- tudine dance-dub. È il senso di equilibrio, di perfetto incastro, di vicendevole supporto tra le varie forme musicali masticate dai tre a stupire, fornendo la chiave di volta per la comprensione di una musica matura ben oltre la relativamente giovane età del progetto. Gli 8 minuti dell’opener Echononecho stanno lì a dimostrarcelo: un suono nero talmente smostrato dai bianchi da venirne quasi rinvigorito. In ogni suo elemento, in ogni sua componente. Le frecce nell’arco di Watersports sono tante e varie. Riduzionismo dub e suggestioni da jazz libero dei sessanta, disco-music mutante e manipolazione dei ritmi, apnee strumentali e continue camere di decompressione. Il bello è che quelle frecce col- piscono sempre il bersaglio. (7.5/10) Stefano Pifferi

languori Go Betweens (Song Of The Undersea), fiati & Him (Volume 1, in coppia con l’attrice Zooey e puro B&S (The National Mitten Registry), l’afflato Deschanel) perché ci accorgessimo del talento di dei migliori Style Council melodici con mod- M. Ward, né ci stupisce, in fondo, che in Ameri- erazione (Pines). In fondo il segreto ben custodito ca il suo sia diventato uno dei nomi più cool da di questa musica è nel suo rimanere sottotraccia, mettersi in bocca quando si parla di alt-folk (o giù leggera ma significativa per chi coglie l’essenza. di lì), al pari dei suoi vecchi compari Bright Eyes (7.2/10) e My Morning Jacket. E’ un nuovo establishment Teresa Greco musicale che, in un certo senso, si sta creando, se pensiamo che Jim James e i suoi ormai si esibisco- M. Ward – Hold Time (4 AD, 17 feb- no a Las Vegas e che Conor Oberst è una star sdo- braio 2009) ganata già dai tempi del famigerato tour Vote For Ge n e r e : r e t r o f o l k p o p Change. Ed è una cosa assolutamente sacrosanta, Non ci voleva certo la recente uscita a nome She perché Ward è e resta musicista, compositore ed

recensioni / 73 arrangiatore di prima classe, e al bando tutti i giri legittimo dubbio che ciò sia effettivamente vero, ci di parole. E’ quello che ti ritrovi a pensare quando viene anche da pensare che la sua produzione, se stringi tra le mani questo Hold Time, che sin dal si manterrà su tale livello, sarà difficile da battere titolo, come l’acclamato Post-War, gioca su certe per altri anni ancora. (7.7/10) inevitabili tenden- Antonio Puglia ze retrò da sempre presenti nella sua Marissa Nadler – Little Hells (Kema- musica; pre-war e old do, 3 marzo 2009) time music non si pos- Ge n e r e : f o l k -p o p b a l l a d s sono certo sradica- Definire il nuovo disco di Marissa Nadler è lavoro re dal suo dna, ma assai arduo per chi ne aveva cristallizzato l’imma- adesso ci si è messo gine da sirena delle isole Aran destata dai rintocchi in mezzo anche il delle campane di The Saga Of Mayflower May. pop dei ’60, e allora Una voce che figurava come l’ultimo degli echi di non ce n’è per nessuno. Il punto di partenza in Cathy Berberian e una capacità di scrivere bal- quella direzione erano già le canzoni del disco con lad folk che incantava al primo ascolto. A due anni la Deschanel (peraltro, la ritroviamo come discreta di distanza da Song III: Bird On The Water, la presenza in un paio di episodi), ma qui è la sostan- Giunone di Boston fa il salto verso un altrove che za ad essere diversa. La densa pasta spectoriana in mai ci saremmo aspettati. Saranno stati gli ascolti cui si diverte a immergere melodie degne di Brian giovanili di Throwing Muses e Mazzy Star o Wilson, o meglio ancora del suo idolo dichiarato la voglia di sdoganarsi dalla nicchia o ancora la Daniel Johnston, è qualcosa di più che un mero curiosità di guardare alla propria musica con oc- esercizio di stile; l’affascinante veste sonora vinta- chi nuovi, perché la triade iniziata con Ballads of ge non copre, anzi risalta una scrittura sempre più Living & Dying non avrebbe potuto perpetuarsi ferma e forse mai così pop come adesso (For Begin- all’infinito. Da queste parti però ci si attendeva un ners, Star Of Leo, To Save Me, insieme all’ex Gran- salto di qualità sulla via buona, quella che, in al- daddy Jason Lytle). Altrove aleggia lo spettro dei meno un paio di episodi, Little Hells sembra im- Big Star più disperati virati Scott Walker (la title boccare: Heart Paper Lover e Loner, dove la presenza track), bilanciati dal treno in corsa rockabilly Jo- degli ospiti Farmer Dave Scher (Jenny Lewis, hnny Cash di Fisher Of Men. Poi beh, ci sono le Beachwood Sparks) ad organo, synth e piano e solite fascinazioni legnose alla John Fahey (Shangri- Myles Baer (Black Hole Infinity) alle chitarre La), c’è l’eccellente cover che conferma la sapien- assicura un morbida transizione dagli Appalachi za del sarto (un’ombrosa Oh Lonesome Me di Don alle atmosfere dreamy e sintetiche di ascendenza Gibson ricalcata dalla versione di Neil Young, con 4AD. Il seguito viaggia disomogeneo alla ricerca la voce da reduce di Lucinda Williams a ren- di involucri pop, esauditi di volta in volta in un’al- dere il tutto ancor più indimenticabile); e se non chimia Sandoval-Roback (Rosary) ed incubi alla bastasse, sui titoli di coda c’è pure la zampata fina- Blonde Redhead che affaticano l’ascolto nono- le: l’Outro, una malinconica chitarra twang su un stante l’ammaliante scrittura (Mary Come Alive). E’ tappeto orchestrale che nemmeno il Jack Nitzsche che qui una volta era tutta campagna, e probabil- più celestiale e irraggiungibile. L’avrete già capito, mente la sontuosa produzione di Chris Coady, saranno in molti a dire che questo è il miglior di- già all’opera con i Blonde Redhead, a tratti ha sco che M. Ward abbia pubblicato sinora (lo si era prevalso sullo stile di Marissa. D’altro canto la par- detto per Post-War, d’altronde). Oltre a covare il te centrale del disco rimane ancorata al passato più

74 / recensioni che mai (Little Hells, Brittle, Crushed And Torn). Senz’ Monno – Ghosts (Conspiracy, gen- altro un’opera di transizione, che non tralascia di naio 2009) nascondere tesori tra le pieghe di un’inaspettata Ge n e r e : Dr o n e /Sl u d g e veste pre-mainstream. Da segnalare la presenza di Non basta imbeccare buoni riff e trascinarli oltre Simone Pace dei Blonde Redhead alla batte- i 10 minuti per fare un buon disco. Ed è questo il ria. (7.3/10) motivo per cui a volte dischi di questo genere van- Francesca Marongiu no poco oltre la noia. I Monno (duo che maneggia laptop, basso batteria e sax) per esempio, si sono Massimo Falascone – Works spinti molto oltre. 05-007-2008 (Setola di Maiale, dicem- In Ghosts ci mostrano che è possibile scavalcare bre 2008) il suono caratteristico del drone/sludge, quei bassi Ge n e r e : i m p r o -j a z z riff che costituiscono il corpo massiccio del gene- Con colpevole ritardo torniamo su un interessante re, senza abbandonarne i territori densi e neri. I lavoro che sarebbe stato un peccato lasciar giacere Monno sembra asportino chirurgicamente quella nel dimenticatoio. Un disco di grande spessore e precisa porzione di spettro delle frequenze, deli- maturità, quello imbastito da Massimo Falascone, mitandone i con- sassofonista e sound artist di stanza a Milano. In torni con telluriche Works 05-007-2008 l’artista italiano colleziona vibrazioni al limite lavori sparsi – lavori in proprio, collaborazioni a dell’udibile e graf- distanza geograficamente e temporalmente, musi- fianti suoni sintetici che per piece teatrali, ecc. – tanto eterogenei che il e di sax ultraproces- titolo dell’album avrebbe potuto tranquillamente sato. Quel che resta fregiarsi del prefisso patch…. A far da contralta- è una pesante man- re, oltre che da collante, a tanta frammentazione canza, e una sensa- c’è però l’omogeneità della cura dei suoni e della zione di vertigine di ricerca di Falascone, che unita all’ottima qualità fronte alle enormi bolle di vuoto che restano. Forse media degli 8 pezzi, rende questo collected works i fantasmi a cui si riferisce il titolo. La prima trac- un disco immancabile per chi si occupi del versan- cia, Negative Horizon, prepara il terreno. Introdotta te più impro del jazz. Perché Falascone unisce ele- da innaturali cori si mantiene su un lento incede- menti apparentemente distanti – il caldo del suo re di basso e batteria, poggiandosi interamente su strumento e il freddo dei loop – con convinzione e un cupo accordo immutato per tutta la durata del gioia, senza seriose verbosità ma piuttosto con una pezzo. Ma è dal suono del successivo Troye che crol- grossa carica auto-ironica. la l’intero costrutto del drone. Riferimenti forse se Per tutti valgano i 7 minuti dell’iniziale Ottovolante. ne trovano nei Today Is The Day più recenti, Vero e proprio bignami del modus operandi di Fa- ma in questo caso l’effetto è decisamente più deva- lascone e del suo intendere il lavoro di ricerca sui stante. Quella che nella band di Steve Austin è sol- suoni e sulle possibilità delle interazioni con fonti tanto una strana equalizzazione, qui è un attacco, e personalità altre, Ottovolante rielabora una com- dall’interno, ai codici del genere. Merule continua posizione di 8 minuti dell’americano Bob Marsh lungo la stessa linea ma concedendosi un introdu- tramite cut-up invasivo, aggiunte di plug-ins, zione quasi jazz. Ormai il danno è stato fatto, e se bassi e immancabili contrappunti di sax. Ottimo in Hull si sale a velocità più tipiche di Naked City (7.0/10) o Zu, nell’ultima Endfall si continua a giocare con Stefano Pifferi opposti, costruendo abissi e disgragando macigni.

recensioni / 75 Sicuramente è solo un obiettivo di settore, ma in Mt. St. Helens Vietnam Band - Self Ghosts i Monno segnano un nuovo traguardo in Titled (Dead Oceans / Goodfellas, un genere dove il rischio di finire nel “già sentito” febbraio 2009) è sempre molto alto. (7.3/10) Ge n e r e : indie e m o Leonardo Amico Di questi tempi basta poco perché un nome divenga chiacchierato: da più parti si indica infatti il Mon- Morrissey – Years Of Refusal (Decca te Sant’Elena come futuro e assai plausibile santino / Universal, febbraio 2009) indie, in ragione di un suono debitore - in parti di- Ge n e r e : p o p r o c k suguali - a At The Drive In, Modest Mouse e Nella nostra era di download selvaggio la paura di Cursive. Senza tuttavia padroneggiare l’arguzia, la imbattersi nel nuovo DCFC fake è sempre in ag- scioltezza e il senso per la confidenzialità di costoro guato. E questa si fa ed è facile capire i motivi: ridi e scherza siamo arriva- quasi concreta non ti al 2009, “emo” è diventata una parolaccia o - nella appena si ascoltano migliore (?) delle ipotesi - un’imbarazzante casella di le prime due canzo- marketing giovanilista in cui si è infilata gentaglia ese- ni del nuovo album, crabile come 30 Seconds To Mars o Chemical il nono nella sua Romance. Non è colpa di questo quintetto prove- carriera solistica, di niente da Seattle, qui all’esordio lungo dopo un e.p. Morrissey. Ovvia- di riscaldamento; il problema pertiene all’attingere mente è una provo- da una vena inaridita, che di uno stile può restitu- cazione, perché im- ire solamente la parvenza esteriore. Le motivazioni possibile emulare così bene le corde vocali di uno originarie sono svanite e chi all’epoca non c’era non dei più grandi cantori pop. Ciò, però, va inevitabil- le può ricreare dall’ascolto dei dischi. Di conseguen- mente a discapito del Nostro: la prima sensazione za, il suono angolare ma tortuosamente pop dei Mt. che scaturisce all’ascolto di Something Is Squeezing St. Helens ecc. si racconta per lo più un ridondante My Skull e Mama Lay Softly On The Riverbed è teatro di buone intenzioni e padronanza esecutiva, quella di trovarsi dinnanzi una band emocore (da nel quale la spontaneità soccombe ai cambi di tempo intendersi nell’accezione più nobile del genere) che e atmosfera. Nell’alternanza sin troppo studiata dei ben scimmiotta gli Smiths. Menomale che Years Of quali il gruppo non impressiona granché e persino Refusal non è tutto cosi, alcuni brani (la malinconi- irrita con la pompa magna anni ’70 di Little Red Shoes, ca I’m Throwing My Arms Around Paris e la più En Fuego e Albatross, Albatross, Albatross. Meglio allora sbarazzina When Last I Spoke To Carol) si rivelano rivolgersi ad Anchors Dropped, filastrocca prossima agli ben riusciti e con un trainante impatto melodico, Xtc, e all’imbrigliata dolcezza quasi soul di A Year Or questo sì contraddistintivo di Morrissey, mentre le Two per fare chiarezza. Le carte restano comunque due ballad (It’s Not Your Birthday Anymore e You nebulose fino alla fine, allorché i sette minuti di On Were Good In Your Time) riescono finalmente a The Collar - sensazionale scintillio da qualche parte rendere al meglio le sue capacità compositive. Ma tra Forever Changes, Skylarking e Tones Of Town - indu- nell’insieme, purtroppo, si avverte una certa sua vo- cono all’applauso a scena aperta. E’ su tali percorsi lontà di mostrarsi fresco e giovane, quando noi in- la formazione americana dovrebbe investire il pro- vece l’avremmo preferito stagionato e maturo. Un prio talento ancora in embrione, più che cercare di rilevante ma non compromettente passo indietro compiacere l’ortodossia nerd che fa capo a Pitchfork e rispetto ai suoi ultimi due lavori. (6.2/10) dintorni. Speriamo. (6.5/10) Andrea Provinciali Giancarlo Turra

76 / recensioni My Morning Jacket - iTunes Live mescolando traditional e composizioni originali e from Las Vegas At The Palms – EP dotandoli del medesimo afflato melodico, resi con (iTunes, gennaio 2009) grazia armonica e strumentale. Voce suadente un Ge n e r e : f o l k , p o p , s o u l po’ Vashti Bunyan, un po’ Shirley Collins un po’ Questa uscita collaterale, in apparenza un appro- Anne Briggs a seconda delle occasioni. Album che do sicuro (appartiene a una serie di EP, esclusiva- si fa ascoltare senza essere niente di trascendentale mente in digitale, che vede band scelte da iTunes e nulla aggiunge fin qui al percorso della Wallace, registrare alcune loro canzoni dal vivo in un lus- che preferiamo a questo punto di gran lunga nel suoso studio di Las Vegas, presso il casinò At The gruppo di provenienza. (6.4/10) Palms), in realtà riconnette i My Morning Jacket Teresa Greco con una parte della loro musica - della loro storia - che sembrava ormai dimenticata, sepolta com’era – Time Waits For No dalla loro fama di roboante live band (e da recenti Slave (Century Media, Gennaio 2009) uscite discografiche che si concedono a diversioni Ge n e r e : De a t h -Gr i n d stilistiche fra l’azzardato e l’azzeccato). Quando Chi si aspettava di trovarli ancora lì? Chi avrebbe invece riposava soltanto sottopelle: l’approccio mi- mai scommesso un euro (una lira dell’epoca, alla nimale, narcolettico, sommerso da strati e strati di faccia dell’inflazione!) vent’anni fa sul futuro di una riverbero che era tipico del lontano esordio The band che nei primi cinque minuti di musica aveva Tennessee Fire (1999) lo ritroviamo qui, sia nel- già portato all’estremo e “macinato” (to grind) tut- la ripresa di rare canzoni del periodo - They Ran, ta la sua radicale carica innovativa? E invece eccoli From Nashville to Kentucky, Tonight I Want to Celebrate lì, i Napalm Death, a galleggiare, avvalendosi del With You, a loro volta iniettate di vibrazioni soul loro stato di miti, sui resti di una rivoluzione ormai - sia negli arrangiamenti di cose più recenti. E ci quasi del tutto dimenticata. Una rivoluzione con- si accorge sia che Knot Comes Loose (da Z, 2005) e sapevole di percorrere un binario morto negli svi- Thank You Too, uno dei gioiellini del’ultimo Evil luppi della musica, ultimo passo verso la totale de- Urges, affondano le radici in un passato mai in vastazione iniziata un decennio prima con il punk. fondo dimenticato, mentre l’inedita Dear Wife gio- Il , quello “vero”, radicale, anarchico, chicchia tenuemente con easy listening anni ’70 è nato e morto subito, ammazzato quasi subito, e primi Beatles. Una pubblicazione tutt’altro che proprio da chi lo aveva creato, salvo lasciare qual- priva d’importanza, a ben vedere. (6.8/10) che traccia nel metal a venire. L’approdo al death Antonio Puglia metal ha rappresentato il percorso di tanti pionieri del genere (dai Carcass agli stessi Napalm De- Nancy Wallace - Old Stories (Mid- ath) che lì si sono fermati, travolti da tecnicismi wich Records / Goodfellas, febbraio che solo in rari casi hanno rappresentato un valore 2009) aggiunto nella crisi del metal estremo, sempre più Ge n e r e : f o l k r e v i v a l fagocitato dal mainstream. Arriva al debutto solista la cantante del combo Persa ogni valenza artistica, la musica dei Na- folk inglese The Memory Band, e già ospite palm Death, dopo Harmony Corruption (Ea- l’anno scorso nel primo disco degli Owl Servi- rache, 1990) è da ascrivere quasi completamente ce. Folk britannico tradizionale che si riallaccia alla storia del e dei sui sottogeneri. E prepotentemente alla tradizione dei ‘60 e dei ‘70 a distanza di tanti anni, la band di Birmingham degli immancabili Steeleye Span, Fairport continua a vivere di questo, con dignità ma senza Convention, Pentangle. Folk rivisitato all’oggi, grandi sussulti, sfornando mediamente un album

recensioni / 77 Hi g h l i g h t

Mimes Of Wine – Self Titled EP (Midfinger, gennaio 2009) Ge n e r e : a v a n t /a r t /f o l k /b l u e s Se fosse un biglietto da visita (lo è) ti brucerebbe nel ta- schino, dovresti stropicciarlo per sentire se contiene un po’ dell’energia strana, insidiosa, avvolgente, primordiale e post-atomica che avverti nelle quattro tracce di questo ep d’esordio. Mimes Of Wine è Laura Loriga. Laura suona il piano anzi lo scuote con risoluta tenerezza, canta come se ne aspirasse il veleno e l’antidoto assieme, in mezzo a vortici di chitarre aspre, a vapori di ottoni, a fatamorgane di tastiere, folate e tramestii percussivi e impalpabili bave sintetiche. Prova ad incantarti (ci riesce) coi sussurri foschi e le fughe palpitanti, con l’agnizione tenue e selvatica di K (dove è una Diamanda Galas ingentilita Tori Amos, intensa ed eterea come la PJ Harvey di White Chalk). Ti sbalordisce coi languori teatrali, il passo freak marziale e la frenesia cavernosa di Fishes (dove avverti tracce del lirismo Jeff Buckley, dove ti figuri una Laura Nyro prigioniera dei Grizzly Bear). Ti strega con la lunare irrequietezza Hyvönen/Newsom di Carnival Scar (misteri folk e trepidazione post-blues), ti circuisce con lo struggimento jazzy venato bossa di Oberkampf, come una Cibelle invischiata nelle tossine Billie Holiday, il siparietto swing rurale a spettinare il ventaglio delle aspettative. Appunto: cosa attendersi dal full lenght Apocalypse Sets In, previsto per la primavera? (7.5/10) Stefano Solventi

ogni biennio e proseguendo il turnover di membri, yer, i Morbid Angel. Riff consumati dall’abu- che la caratterizza sin dagli esordi. so, distorsioni leggermente più pulite e la solita Eppure non ispira i sen- batteria di a fare la differenza, con timenti di pietà o tenerezza che di solito provocano le sue precise variazioni di tempo e i suoi ormai i dischi di band-Matusalemme, che non vogliono classici “stacchi” alla velocità della luce. Penose le proprio demordere e si trascinano per i capelli pur escursioni in improbabili territori melodici che gli di far uscire qualcosa di nuovo a proprio nome. sono a dir poco estranei (la Title Track; Downbeat Decisamente orientato verso il Thrash, il quin- Clique), e suonano goffi, trasformandoli in un clone dicesimo album dei Napalm Death dai tempi di venuto male degli Slipknot. Sì, i Napalm Death Scum (Earache, 1987) non abbandona del tutto sono vivi. E probabilmente anche il metal d’anna- la violenza esecutiva degli esordi, che però, dopo i ta continua ad avere il suoi seguito. Ma…cui������������ prod- momenti iniziali (Strongarm, Diktat e Work To Rule), est? (5.5/10) si perde in un suono spurio, a metà tra gli Sla- Daniele Follero

78 / recensioni Night Horse – The Dark Won’t hide valore. Che gli animali siano liberi di scorazzare You (North Atlantic Sound, 2008) ordunque; i sette che arrivano dalla nera Harlem Ge n e r e : h e a v y b l u e s conoscono il valore dell’improvvisazione ed una Per qualcuno il blues è stato un punto di partenza, continua – assai poco leziosa – jam appare questo per qualcun altro un punto di riferimento stabi- Clomeim, che registra il numero 100 in catalogo le. Ma c’è anche chi dal blues “duro e puro” non per Sound @ One, marchio da sempre associato vuole proprio staccarsi. Mi sembra sia il caso di alla No Neck Blues Band, anche quando si è tratto questi Night Horse, band losangelina, neonata ma di pubblicare tapes e cd-r in tiratura irrisoria. già vecchia. Il pagano odore di kraut avvolge le spire della ze- I suoi membri vengono tutti dal blues rock e non lante The Coach House, mentre le smorfie tra esoteri- mostrano alcuna intenzione di mollare la presa. smi psych folk e brutali nenie black metal (con am- L’ortodossia non ha limiti e i paragoni scomodi pio ricollegarsi al progetto satellite Angelsblood) di (e piuttosto datati) si sprecano: i Led Zeppelin Ministry Of Voices lasciano pensare ad una band più vicini all’hard rock, i Black Sabbath più persa alla propria deriva psicotica. Ancora suoni anonimi, l’Alice Cooper meno heavy sono tutti sfilacciati ma ovviamente tribali in Salai Widnalas, lì, mescolati nel nome della “purezza” rocketta- dove le urla gutturali assumono ancora il senso di ra più oltranzista. Ma rassegnamoci, perché non provocazione estrema. sono né i primi né saranno gli ultimi cloni di una Non va dunque per il sottile la No Neck Blues generazione di rocker ormai giunta alla meritata Bland, che di cedere ai crismi della normalità non pensione. Per avere un idea di ciò che può offrire ha vaga intenzione. In un consumato rituale la quest’album, basta dare un’occhiata alla copertina: loro proposta si infiamma, abbandonando i line- una foto con al centro un teschio tra due candele amenti della forma canzone e della composizione e dietro l’immagine di un nativo americano (quelli stessa. Un’immersione totale nello stream of con- che erroneamente vengono chiamati indiani, per sciousness. intenderci). Dietro questa iconografia americanis- Ragion per cui nessuno dei loro dischi in studio sima e un po’ volgaruccia (se non addirittura ridi- e delle loro performance dal vivo rispecchieran- cola), si nascondono sei brani scontatissimi, anche no una reciproca idea. E’ tutto giocato sul filo del se sinceri e in alcuni casi addirittura vivi ed ener- rasoio, in una rappresentazione spesso isterica, gici. La voce di Sam James Velde richiama il tono solo raramente celestiale. Con in dosso I panni semiserio dell’omonima band del Glenn Danzig dei sobillatori esistenziali i Nostri marciano verso post-Misfits e potrebbe anche risultare interessan- un assoluto in musica che si sgretola di continuo, te se non fosse sostenuta da anonimi riffettoni e nell’abbandono delle più terrene certezze. parti di basso e batteria essenziali, come vuole la Una musica che conserva ancora un carattere tradizione heavy rock. Nota di merito: la durata. iniziatico, cerimonia impalpabile della sofferenza Mezz’ora di heavy blues suonato bene non la si umana. Mutilando brandelli del catalogo ESP (so- nega a nessuno. (5.0/10) prattutto quello più off, si pensi ai Cro-Magnon o Daniele Follero alla Patty Waters di Black Is The Color Of My True Love’s Hair) ed accedendo alle pagine culto della No Neck Blues Band – Cloneim (Lo- musica germanica (Agitation Free e Amon Duul cust, dicembre 2008) in cima) con Clomeim fanno un’ulteriore passo Ge n e r e : k r a u t /p s y c h verso l’eternità, quella più scomoda. (7.3/10) Riuscire a intrappolare la ghenga di Dave Nuss non Luca Collepiccolo avrebbe molto senso, sarebbe come snaturarne il

recensioni / 79 Of Montreal – An Eluardian In- assalti feroci e ossessioni in stile Ian Curtis. Dal- stance; Jon Brion Remix Ep (Polyvi- le lacerazioni profonde che ne conseguono, esce nyl / Goodfellas, febbraio 2009) un’opera immediatamente riconoscibile, dal fasci- Ge n e r e : r e m i x e p no ambiguo, claustrofobica e disturbante nella sua Sull’onda lunga del vertiginoso Skeletal Camping, monocorde uniformità, capace di cedere giusto un il combo degli of Montreal pubblica un EP mani- paio di parentesi – il sax in bilico tra Morphi- polato da quel Jon Brion conosciuto per i trascorsi ne e Gallon Drunk di Breakdance e l’accordian al fianco di , Kanye West nonché fir- dell’ospite/produttore Rob Ellis di Rainbow Drive matario di score quali Magnolia e Eternal Sunshine – a contributi strumentali altri. Per un suono lonta- Of The Spotless Mind da noi noto, al solito, col pessimo no dal “pop” ma decisamente attraente. (6.9/10) titolo de Se Mi Lasci Ti Cancello. Le tracce in esame Fabrizio Zampighi sono due, An Eluardian Instance e Gallery Piece, e il trattamento di Brion consiste nel dare corpo a Pains Of Being Pure At Heart – Self materiale già corposo di suo; quindi se First Time Titled (Slumberland, febbraio 2009) High (nuova ragione sociale, per l’occasione, di An Ge n e r e : n o i s e -p o p Eluardian Instance) si impreziosirà, sia per il Re- Rinnova la sua fama la Slumberland con l’esordio constructionist Remix che nella versione acustica, di un quartetto misto dal nome terribilmente ado- del mandolino e le backing vocals dell’ospite Chris lescenziale. E rinnova anche i fasti di quel noise- Thile dei Nickel Creek, Gallery Piece la si vedrà pop zuccherumoroso che trova proprio nel cata- sfilare, dancereccia com’è, remixata, allungata e logo della label una delle sue gemme più nascoste: strumentale. i Black Tambourine. Alex (basso), Kip (chitarra + Operazione, comunque, per i fan di stretta osser- voce), Kurt (batteria) e Peggy (tastiere + voce) – vanza. (7.0/10) questi nomi e strumenti del quartetto newyorchese Gianni Avella – sono tre imberbi fanciulli e una nip- Oginoknaus – Nuclearcunt (Marina- po-girl tutto pepe io Gaio – Valvolare Records - Eleva- in fissa con la musi- tor / Jestrai, ottobre 2008) ca più semplice del Ge n e r e : p o s t p u n k -n e w w a v e mondo, da quando Narcotici come il Lou Reed più indisponente, alla i fratelli Reid acce- moda come un contraccettivo scaduto, essenziali sero gli ampli sco- ed efficaci come sa essere soltanto chi vede ancora perchiando il vaso le chitarre elettriche, il basso e la batteria al coman- del feedback-pop: do di quel vascello fantasma che è il rock contem- declinare al verbo del rumore le melodie più pop- poraneo, gli Oginoknaus tornano a quattro anni py e appiccicose del rock. Affogarle in un oceano dell’omonimo esordio. E lo fanno impilando una di riverberi e delay, quasi a volerle soffocare, nella sull’altra dieci tracce ruvide e ringhianti, pronte a consapevolezza che le melodie riemergeranno da consacrarne ancora una volta l’estro compositivo. quel marasma come niente fosse. Prendete come Nessun effetto speciale a foraggiare la meraviglia, ottimo esempio Contender, l’attacco del disco. Gio- nessun tono acceso a corroborare il bianco sporco ca su accordi che sembrano quelli di I Don’t Wanna e il nero pece dei suoni, nessuna facile concessione Grow Up di waitsiana memoria, ma è solo una fu- alla melodia: solo una guerriglia in piena regola gace impressione. Quando entra la voce, catturata portata avanti tra post-punk malato e spunti noise, a rimirarsi le scarpe su un tappeto di distorsioni

80 / recensioni gentili, esplode il caleidoscopio: reminiscenze Cure Richard Pinhas & Merzbow – Keio virati shoegaze (This Love Is Fucking Right), trasposi- Line (Cuneiform, dicembre 2008) zioni Pastels (Gentle Sons), svisate indie-nostalgiche Ge n e r e : i m p r o -n o i s e (Stay Alive), echi morriseyiani (Everything With You), Titolo e nomi in ballo permettono di inquadrare immaginario college nei suoi dettagli più apparen- da subito questa ennesima, curatissima edizione temente insignificanti (A Teenager In Love). Un de- Cuneiform. butto coi fiocchi e un disco da avere. Perché ogni Da una parte Richard Pinhas, storico esponente tanto si ha bisogno di tornare adolescenti sognati, dell’ala più radicale dell’elettronica rock (o vicever- così come ogni tanto si ha bisogno di canzoni. E sa) spacey & floating d’oltralpe; dall’altra Masami qui ne trovate di meravigliose. (7.0/10) Akita, aka Merzbow, incompromissorio violenta- Stefano Pifferi tore sonico e riconosciuto padrino del noise (non solo) giapponese. In mezzo, a far da anello di con- Phosphorescent – To Willie (Dead giunzione tra i due, Oceans, febbraio 2009) la Keio Line, linea Ge n e r e : c l a s s i c f o l k metropolitana della Matthew Houck stavolta mette le carte in regola, città di Tokyo dove chiarendo una volta per tutte che la sua somiglian- i due si sono incon- za artistica (perché evidente è anche quella fisica) trati per registrare con Will Oldham, al quale viene da sempre para- questo doppio cd. gonato, è soltanto apparenza e sicuramente figlia di Proprio il titolo e le medesimi ascolti. Il quarto album della sua creatura dinamiche relative fosforescente, infatti, non rappresenta altro che un alla produzione/ personale tributo a Willie Nelson, immenso cantore registrazione di questo Keio Line rendono per- folk americano esploso musicalmente a cavallo tra i fettamente l’idea di collegamento e viaggio tra la Sessanta e i Settanta. Proprio a quel periodo, infatti, Parigi di Pinhas e la Tokyo di Masami, così come sono debitori gli odierni cantautori indie come Pho- evidenziano la perfetta coesistenza tra imput so- sphorescent e Bonnie “Prince” Billy, per l’appunto. nori piuttosto differenti: l’elettricità rock dilatata e Ma la cosa curiosa è che lo stesso guru folk omag- estatica del primo e l’elettronica spigolosa e piena giato in questo album pubblicò, a suo tempo, nel di asperità del secondo. Pinhas fornisce una piat- ’75, un tributo dedicato interamente a Lefty Frizzell taforma sonora a base di chitarre e loop systems intitolato To Lefty From Willie. Da qui la scelta di sulla quale Merzbow esprime al massimo tutto il To Willie. E l’album in questione contiene undici potenziale esplosivo dei suoi synth e dei suoi noise cover (reinterpretazione di canzoni anche minori treatments. del catalogo nelsoniano) che, flirtando con il folk più L’effetto, vista anche la mastodontica durata delle classico, mostrano l’ottimo livello di maturità stilisti- suite – viaggiamo sul quarto d’ora abbondante di ca raggiunto dal Nostro: abbandona quell’approc- media – è quello di una musica visionaria, esta- cio lo-fi per dedicarsi completamente a una meti- tica, sciamanica e perfettamente in equilibrio tra colosa ricerca strumentale, impregnandola però di sporcizia digitale – beats, loop, noises vari, folate profonde e sincere emozioni. Adesso non resta che di rumore bianco – e flussi dreaming memori del attendere il vero salto di qualità con il quinto album, kraut più evanescente. altrimenti a nessuno tra vent’anni salterà in mente Un signor disco, da due signori della sperimenta- di intitolare un album “To Matthew”. (7.3/10) zione. (7.0/10) Andrea Provinciali Stefano Pifferi

recensioni / 81 Pixel – The Drive (Raster-Noton,2009) surreale. C’è quella sensibilità post-romantica cara Ge n e r e : elettronica -a m b i e n t ad alcuni artisti filo-giapponesi dell’eletronic wave, Excursus non convenzionali per il compositore ed le meditate atmosfere glamour e le sonorità chil- ex-sassofonista Jon Ekeskov in arte Pixel nella ling (Masato Shuffle, nuova uscita firmata Raster-Norton. Le tessiture K3), l’elettroacu- di The Drive si ancorano a saporite eloquenze stica isolazionista contemporanee, per poi incontrare gli orizzonti (Veisalgia), improv- decisamente poco ovvi dell’elettronica più speri- visata e sovrappo- mentale, il tutto grazie a quelle controllate matri- sta al limite della ci concrete ormai care agli adepti moderni della robotica (Bata) o sintesi. Sette elementi che dialogano con una im- contaminata dalle provvisazione minimale “melodica”, per poi farsi ritmiche in leva- spazio nelle poliritmiche e nelle oscillate strutture re (Not Hearing a tra dominata sostanza e accentuato dinamismo. Word). E all’acustica spettano gli arpeggi zucchera- Gli elementi leggibili dialogano tra glitch o micro- ti dai colori pastello (Non Hoi), gli archi sottoesposti frammentazioni che si lasciano scoprire attraverso (Seizure), le percussioni arabeggianti (Durban Pain) un incontaminato sub-bass, le cui maniere si di- e le arie cristalline in chiusura (Two Rooms). Fra- chiarano apertamente tra ritmiche in microsuoni, mes sonori a cui qualche particolarità e sfumatura dualismo e musica puntilista. Rimbalza all’orec- in meno non avrebbe fatto male specialmente se chio un potenziale sicuramente buono anche se a si considera il lavoro nel suo insieme. In compen- tratti troppo legato all’esercizio tecnico, a discapito so alcune tracce risultano decisamente godibili. del fascino comunicativo. (6.9/10) (6.7/10) Sara Bracco Sara Bracco

Plaid – Heaven’s Door (Beat Records, Quivers – 2012 (Tigerasylum, gen- 2008) naio 2009) Ge n e r e : c o l o n n a s o n o r a Ge n e r e : i m p r o Ed Handley ed Andrew Turner - ex The Black Quivers tries to have open minds and to open minds, chio- Dog - ora Plaid, sono un duo britannico che per sano i quattro newyorchesi (d’origine o d’adozio- uscita discografica firmata Beat Records concedo- ne, poco interessa) e come dar loro torto. no le loro propensioni elettroniche ai fotogrammi Il padrone di casa Jordon Schranz (basso), il presen- del primo live-action dell’animatore americano zialista Adam Kriney (batteria), l’iperattivo Chris Michael Arias. Il loro repertorio sonoro spazia in Welcome (cello) e l’ubiquo Ninni Morgia (chitarra) album, collaborazioni e remix per innumerevo- imbastiscono, su supporto vinilico, 5 pezzi untit- li artisti, passando per EP, compilation e colonne led che sa di apocalisse impro-rock prossima ven- sonore. Heaven’s Door infatti è la seconda pro- tura. I riferimenti non mancano, come l’esplicito va in questo campo: attraverso i mezzi tecnici del rimando del titolo alle profezie maya; tanto meno cinema sonoro propongono ambientazioni dalle le evoluzioni da “dopo-rock imbastardito con atti- sognanti dinamiche cinematografiche. E’ l’elet- tudine free-jazz” dei 5 pezzi untitled. tronica la chiave di lettura di queste sedici tracce, A farla da padrona come al solito è la sei corde del che si creano il proprio spazio senza perdere in siciliano: nella più totale libertà d’azione frattura coerenza ma trascinando con se l’ascolto attraver- e spezza, cuce e ricama un suono instabile e umo- so un idilliaco paesaggio che cavalca l’onirico e il rale, tra gorgoglii e estatici fraseggi. In questa sua

82 / recensioni azione di riduzionismo free (termine comprensi- Rahim – Laughter (Pretty Activity, 9 bile per chi segue anche le altre incarnazioni del settembre 2008) suo fare musica, La Otracina su tutti), Morgia è Ge n e r e : r o c k m e l o d i c o -cantautoriale ottimamente sostenuto dalla precisa azione di una I Rahim fanno canzoni, di quella guisa che in- sezione ritmica affiatata ed energica e contrappun- nerva tutto attorno alla melodia, alla costruzione tato dalle intrusioni rumorose di Welcome. vocale solista e coristica. Niente virtuosismi, sia È di nuovo l’impro di matrice jazz che si riversa chiaro; ma sulla strada della chiarezza neanche nel corpo morto del rock: ne mantiene lo sfogo solo quello, in Laughter. E forse qui sta il pro- liberatorio, estatico e privo di vincoli strutturali, blema maggiore. Primo, le strutture degli accom- senza negare però la tensione e la “corposità” del pagnamenti strumentali fanno spesso il verso a quei secondo. (6.7/10) tocchi incrociati batteria-basso-chitarra che fu- Stefano Pifferi rono del post-rock americano, tanto di Louisville che di Chicago, declinati qui alla dilatazione e al Raccoo-oo-oon – Self Titled (Release pochissimo rumore. E però, secondo, il gioco non The Bats, gennaio 2009) sempre riesce ai quattro di Long Island, al loro se- Ge n e r e : w e i r d a m e r i c a condo disco. Mischiare rock in forma libera e psichedelia so- Non è solo questione di melodie a volte imbaraz- gnante, carcasse da rock krauto maciullato e prog zanti (Cities Change); c’è che con la finta destruttu- mutante, tribalismo primitivista, rumorismo e nin- razione si rischia di spezzare decisamente in due i nananne ossessive. Questa la missione dei 4 Rac- brani, con la voce che va da una parte e gli stru- coo-oo-oon, di cui purtroppo questo omonimo è menti che provano a essere più sofisticati negli ar- l’inatteso canto del cigno. Musiche ostiche, diffici- rangiamenti. Meglio le armonie di Of Course, che li, a volte dissonanti, a volte sussurrate, sempre in iniziano a spostare la bussola indietro nel tempo, modalità improvvisativa e suonate non con piglio e o la quasi beatlesiana Dark Harbors; e soprattutto la supponenza arty, ma con semplicità quasi infantile, title-track, a fine album, che si smarca del tutto dal- giocosa, tanto è facile immaginarseli immersi nei la tendenza delle prime tracce del disco, estraen- boschi dell’america rurale, tra amici, impegnati in do dal cilindro sapori di primi Settanta post-acid, sessions più vicine a baccanali orgiastici che a vere si direbbe jethro-tulliani. Ovunque di positivo – e e proprie sedute in sala prove. È proprio nella totale raro, per certi versi – c’è che le melodie vocali non libertà da schemi e strutture che Raccoo-oo-oon sono mai troppo patemizzate. Ma visto i successi da il meglio di sé; nel far convivere nello stesso pez- con i decenni precedenti, facciamo in conclusio- zo, l’una accanto all’altra, cifre stilistiche agli anti- ne una proposta; Rahim, dimenticatevi i Novanta. podi come xilofoni cinguettanti e percussività free, (6.0/10) slabbrature synthetiche e chitarre accordate a caso, Gaspare Caliri stralci della tradizione folk americana e avant-rock devastato. Forse – ma è solo un pensiero ramingo RHumornero – Umorismi Neri (Arro- – proprio lì risiede(va) il fascino e il miglior pregio yo - Metamusic / Venus, 20 novembre dei Raccoo-oo-oon. Che sia la vastità degli spazi 2008) geografici o quella dei confini di una società cultu- Ge n e r e : r o c k ralmente mista, resta un mistero per noi europei. Di Banalizzare la spinta centrifuga del rock per tra- certo c’è che mai canto del cigno fu più inaspettato durne soltanto gli stereotipi più in uso. Questo è e triste. Ad memoriam (7.5/10) quello che fanno i Rhumornero con Umorismi Stefano Pifferi neri, allestendo uno spettacolo dal finale già scritto

recensioni / 83 Hi g h l i g h t

Plastic Crimewave Sound – Painted Shadows (A Silent Place, febbraio 2009) Ge n e r e : r o c k Per capire con un solo colpo d’occhio la filosofia di Steve Krakow, aka Plastic Crimewave, basta prendere uno dei suoi Galactic Zoo Dossier. In pratica una vera e pro- pria fanzine da lui curata (anche se venduta dal mailor- der della Drag City), interamente disegnata a mano e con argomenti rigorosamente scelti, come – cito a memoria - articoli sui classici della dark psichedelia, oppure sugli horror movies hippie e interviste a gente come Clive Pal- mer o Ed Askew… Il mondo di Krakow sembra flirtare da una parte con la psichedelia hard di Julian Cope, dall’altra con lo sballo acido di e dall’altra ancora con qualcosa di completamente inedito ma parago- nabile con il culto feticista per l’exotica. Un personaggio quindi con un senso della musi- ca e dell’arte che oscilla perennemente tra il retrò e il kitch bello e buono. Che poi la sua band sia ormai da tre dischi che pesti duro regalandoci alcuni dei migliori nuovi anthem psych rock non è certo di secondaria importanza. Painted Shadows, quindi, potrebbe essere un bel lasciapassare per addentrarsi in un mondo come quello di Krakow, in cui non è certo facile immergersi e per mandare finalmente iPlastic Crimewave Sound nel patheon dei nuovi psichedelici, da qualche parte tra Black Angels o Indian Jewe- lry. Confidiamo quindi nella qualità del disco e nel fatto che per la prima volta non si dovranno aspettare mesi e mesi per vederlo in formato cd, come accaduto per i prece- denti che hanno vissuto a lungo in esclusiva versione vinile. Painted Shadows prende il titolo dalla pratica in voga nell’espressionismo tedesco di dipingere le ombre diretta- mente sulla pellicola. Come riferimento culturale alla sacra scuola d’arte d’Alemagna, si fa centro pieno, perché di tutti i dischi pubblicati fino ad ora, questo è certamente quello dalle vibrazioni meno garage e più cosmiche. L’introduttiva I Feel Evils immerge subito in una nebbia wave che sembra essere stata filtrata daiLoop di Robert Hampson. Questo, insieme alla successiva (Can’t) Turn The Key, gli episodi più orecchiabili e “darkwave”. Le tirata acide non mancano comunque come si capisce quando attaccata la ronzante e feb- brile ritmica (quasi motorik) di The Grip e della successiva Ecstatic Song. Ma il capolavoro del disco arriva alla fine con la title track: venti minuti di delirio cosmico che suona un po’ come uno scontro tra titani, su una ideale battlefield che frulla di tutto, dagli Hawkwind ai Pink Floyd, dagli Stooges ai Motorhead passando per quintali di krautrock. E’ questo il suono del più feticista di tutti i messia rock contemporanei. (7.5/10) Antonello Comunale

84 / recensioni in cui si recita un hard-rock scuro tutto riff grani- parire un disco credibile. L’attenzione è tutta con- tici e lentezze marziali. Roba che neanche i Soun- centrata su linee vocali melodiose, arrangiamenti dgarden meno acidi e più sfilacciati si azzardavano semplici ed essenzialmente relegati al sostegno ar- a proporre, per lo meno non con tale semplicistico monico e un uso della forma canzone che, seppure slancio creativo. L’ambito di riferimento è una ter- minimamente esplorata nelle sue possibilità, non ra di mezzo tra la band di Chris Cornell e certi Ne- sconfina mai oltre le strutture stereotipate. Qual- grita periodo Reset, anche se in realtà, l’idea che che volte ci si spinge fino al punk rock annacquato ci si fa a fine programma, è che il naturale sbocco di By Silence Be Destroyed, ma a prevalere è quasi per la band pisana sia un immaginario decisamen- sempre un atteggiamento più soft, che non rispar- te più convenzionale, tipo il palcoscenico di San- mia episodi al limite della decenza, robaccia da remo rock(?). Per una formula che si accontenta radio ultra-generalista come Imaginary Queen Anne. di collezionare qualche arpeggio in distorsione e Neanche le fluttuanti melodie di una ballata raffi- un pugno di fraseggi poco originali, facilonerie nata come No Island o i toni cupi e darkeggianti di su tempi dispari e temi depressivi da piccola bor- On Shortwave riescono a salvare la barca dal naufra- ghesia, senza oltrepassare gli steccati della buona gio. (4.8/10) creanza. Certo, a cercar bene, qualcosa si salva: si Daniele Follero parla comunque di musicisti preparati – in giro c’è decisamente di peggio –, capaci di tirar fuori un Ryoji Ikeda – Test Pattern (Raster- suono attraente, talvolta in grado di osare qualche Noton, 2008) incursione in territori elettrici urticanti. Ma si trat- Ge n e r e : Ry o j i Ik e d a ta di piccole parentesi, per un disco che vorrebbe Interfacciano sintesi numeriche i composti para- tanto, ma non fa. (5.0/10) metri di Test Pattern, nuovo progetto dell’artista Fabrizio Zampighi giapponese Ryoji Ikeda a tre anni dal sublime ra- dicalismo di Datamatics. – The Crawling Di- Portavoci di valori performativi, le sedici tracce di stance ( Inc., 2009) Test Pattern oltrepassano la frequenza assumen- Ge n e r e : l o -f i p o p -r o c k do ad ogni capo polarità in pattern per poi mutare Abbiamo già avuto modo di notare come, tra le identità nell’elettronica di segnale. tante manifestazioni del Pollard-pensiero, quelle Si ritrattano i principi dell’estetica che acquistano che portano il suo nome di battesimo, siano le più forma e purezza nella geometria contemporanea scadenti. Rieccoci alla riprova delle nostre suppo- del limite; un limite finito che attraversa le regole sizioni, grazie all’uscita quasi parallela dell’ultimo dell’imput/output organizzando pulsioni sonore e più che soddisfacente Circus Devils e di que- che difficilmente superano i 5 minuti. sto The Crawling Distance, a firma del Nostro. Soggetti in segnali ad alte frequenze, in certi casi al La prima impressione che si ha ascoltando i due limite dell’udibile, che si lasciano condizionare dal dischi è che l’autore principale non sia per niente ritmo e da governate regolarità, mentre la struttu- lo stesso. Lo sbiadito e insipido pop-rock, legger- ra composita regola le volute tra sferzati, puntinati mente “sporcato” negli arrangiamenti, a metà tra o modulati ripetitivismi. i Dinosaur Jr. e i R.E.M., del Pollard solista non Geometrie che vanno oltre la minimal-techno e ricorda, se non molto lontanamente, né il passato superano i confini del glitch; che partendo da ele- dei Guided By Voices né il presente dei progetti menti primari, arrivano a plasmare masse di flus- collaterali del musicista statunitense. si sonori che s’impossessano del limite spaziale a Troppe le banalità e la retorica pop per farlo ap- tratti annientandolo, o radicandosi nel mutamen-

recensioni / 85 to seriale. Senza mai dimenticare poetica e stato cinato, negli anni, a David Tibet. Il secondo cd emotivo dell’ascoltatore, a conferma che i cosid- non si discosta di molto dal primo, richiamando detti nuovi suoni esistono ancora, ed hanno anco- alla mente la storica controparte inglese di Cha- ra molto da dirci. (7.8/10) sny, quell’ Alexander Tucker che segue con la Sara Bracco voce le linee della chitarra, fornendo un supporto non indifferente alla psichedelia selvaggia della sei Six Organs Of Admittance – RTZ corde. E’ forse tardi per gridare al miracolo, ma (Drag City, 20 gennaio 2009) contando che si tratta di materiale vecchio è lecito Ge n e r e : p s y c h -f o l k riportare l’orologio indietro. (7.8/10) Return To Zero, lo si evince dal titolo, è un disco Francesca Marongiu che va a ripescare nel percorso artistico di Ben Chasny dagli esordi fino agli split con Chara- Susumu Yokota– Mother(Lo Record- lambides, The Magic Carpathians e Vibra- ing / febbraio 2009) cathedral Orchestra, attingendo a piene mani Ge n e r e : (e l e t t r o ) p o p , n o i r , d r e a m e c c tra quei materiali pubblicati in edizione limitata Lo avevamo conosciuto poco più di un anno fà con e pertanto attualmente introvabili. E ad iniziare Love Or die anche se, Susumu Yokota ha già alle dalla lunga suite spalle una decina di anni di attività e una trentina Resurrection, divi- di album. sa in cinque parti, Tredici tracce e sette collaborazioni tutte al fem- ritroviamo tutti i minile per la neo uscita firmata Lo Recording ma; temi che ricorrono purtroppo in questo caso non sono i numeri a far nei dischi più cono- la differenza. Mother si lascia controllare e lo si sciuti del chitarrista dichiara apertamente già dai primi minuti dalle folk californiano: la scelte vocali, senza nulla togliere alle preziose op- profonda empatia zioni in talento che reggono il gioco con gradevole con la natura, la grazia ma, tramano inganno. E sono proprio i pie- febbrilità di un fingerpicking mai fine a se stesso ni e i vuoti, le identità in pigmenti elettroacustici e la dimensione corale e intimista della voce. Im- e i colori che pagano il pegno, risultando o troppo mancabile anche l’utilizzo minimale della percus- accondiscendenti ( A Ray of light ) o decisamente sione, spesso usata solo come contorno ambien- fuori posto (Meltwater). tale e, ovviamente, quella chitarra stratificata che Ritornano i residui del Sylvian e gli anni ’90, velati ha scavato a lungo tra le radici di una tradizione tra le piste a tre di “Love Tendrilises” o dichiarati ben consolidata (John Fahey su tutti) e di un’al- senza timore nei toccati confini d’intro ambient- tra invece, tutta da fare, dove è l’uomo, in buona house (The Natural Process) che a suo modo cerca ri- solitudine, a immergersi nella visceralità del suo- medio nel dovuto giusto ordine delle cose (Breeze), no. Più della metà delle tracce resta sospesa tra il tra battiti elettronici e le scritture in frequenza. raga indiano e la psichedelia polverosa dei deserti C’è un po’ di dead can dance, tanto smalto dream dell’ovest, alle sorgenti dell’intera scena neofolk e persino quella new age dai bozzetti angel-chic angloamericana, sulla quale il Nostro, indiscutibil- che fanno tanto Enya. mente, troneggia. Warm Earth, Which I’ve Been Told, Si salvano gli accostamenti in chiaro-scuro trai riff la seconda long track del primo cd, rispolvera la in chitarra e il grazioso cantato di Nancy Eliza- componente arcana e oscura dell’ opera dell’ ex- beth (A Flower White) mentre le multi-tracce in vo- Comets On Fire, forse la stessa che lo ha avvi- calità dall’approccio forse concreto (Reflect Mind)si

86 / recensioni lasciano perdere e confondere. di dosso la patina di uno scopiazzamento dei De- Congeniale a suo modo l’accostamento in per- peche Mode e dei Cure più tastieristici. L’eccel- cussioni e sintesi con le dualità vocali di “Suture” lente minimalismo acustic-pop di Circlesquare è o le chiusure in pianoforte che nel voluto eco si distante. L’album potrebbe piacere a chi non ha lasciano contaminare dall’avanguardia; anime che vissuto a fondo la stagione dell’emotronica, ma i sicuramente troveranno rifugio nei salotti per in- capolavori sono da tutt’altra parte. Senza infamia tellettuali cosmopoliti e stagionati. e senza lode, buono per un po’ di chilling e ‘mai Tirando le somme la noia fa da maestro ma, se niente di più’. (6.0/10) volete proprio dirigere l’orecchio e cercare un po’ Marco Braggion di sostegno andate verso la fine o centellinate qua e là l’ascolto dove forse emergono alcune attitudini Telepathe – Dance Mother (V2, feb- migliori. (5.6/10) braio 2009) Sara Bracco Ge n e r e : s y n t h -w a v e evanescente Ce le ricordavamo più tribali, robuste e ossessive, Telefon Tel Aviv – Immolate Yourself le Telepathe, all’altezza dei primi passi vinilici. Ma (Bpitch Control, gennaio 2009) si sa, le corte distanze possono ingannare nella Ge n e r e : e l e c t r o -a m b i e n t -p o p stessa misura in cui i primi passi non sempre por- Al terzo disco i telefoni approdano sull’etichetta tano a luoghi (musicalmente) certi. Eccole ora qui, berlinese di Ellen Aillen e si votano all’electro- Busy Gangnes e Melissa Livaudais (synth, beats, pop, tralasciando un po’ le atmosfere dilatate che qualche chitarra e tante voci), alle prese con l’esor- li avevano contraddistinti sin dall’esordio del 2001. dio lungo; con quella prova che le metterà spalle La svolta a tratti è fruttuosa, soprattutto quando si al muro e di fronte al mondo, visti anche i nomi punta sui crescendi in stile Apparat (vedi l’opener coinvolti nell’assemblaggio di Dance Mother, The Birds), quando si ricordano in modo estremo in primis quel Dave Sitek di Tv On The Radio gli Ottanta (le percussioni di Helen Of Troy o gli memoria.C’è da dire subito che per chi le seguiva archi darkettoni di Your Mouth) o quando ci si va da tempo lo scarto è notevole. Il suono si fa meno di progressività puramente synth-pop (You Are The corposo, si sfilaccia da quella wave “percussiva” Worst Thing In The e così tremendamente newyorchese che caratte- Word). Il disco ri- rizzava le uscite minori Farewell Forest e Sini- sente comunque di ster Militia, per avvicinarsi ad un concentrato una nostalgia verso compatto e (quasi) senza fronzoli di synth-wave- il synth-pop che nel pop accattivante e giocosa. Ripetitiva e minimale. complesso si rivela Ossessiva nella sua elementarità. Ma è il senso di essere troppo me- evanescenza al limite dell’ectoplasmico a segnare lanconica e in cer- sottotraccia i 9 pezzi di Dance Mother. Un senso ti casi zuccherosa. di sfuggevolezza che assume di volta in volta for- Se con Maps Of me diverse a seconda della strumentazione usata e What Is Effortless ci avevano fatto capire di che fa pensare ad una sorta di haunted-pop songs. avere qualche colpo in canna ancora da sparare Qualcuno dirà che sono perfette per l’innocuo (che in effetti li avrebbe portati a sfornare dei re- pubblico da performance arty che ingolfa certo mix epici per gli Apparat), qui Curtis e Coo- sottobosco indie williamsburghiano. Noi rispon- per entrano nel tunnel del pop in punta di piedi, deremo che certi dischi, nonostante riferimenti spogliandosi dell’anima e non riescono a togliersi ovvi e un certo senso di inevitabile dejà-écouté, si

recensioni / 87 fanno apprezzare al di fuori di qualsiasi improdut- che divide il comeback da Hobo Sunrise (In The tiva contorsione mentale sull’utilità della musica. Red, 2004). E molto probabilmente morti (nel senso (6.8/10) di sciolti) lo sono davvero, o magari si sono appe- Stefano Pifferi na riformati e festeggiano la rimpatriata con que- sto nuovo disco. Con gente del genere non c’è mai John Tejada – Fabric 44 (Fabric da fidarsi troppo. Di certo al momento c’è questo Records, gennaio 2009) Exit Dreams, e tanto basta per rendere felici noi Ge n e r e : c o m p i l a t i o n t e c h n o m i n i m a l e chiunque ami quello che genericamente si può Il DJ californiano torna a concentrarsi sulla sua ri- chiamare garage. Se poi quello che stiamo ascoltan- stretta cerchia di amici e sforna un mix degno del do fosse il canto del cigno degli Hunches, o l’ini- Fabric. Ancora una volta minimal techno a farla zio di un’altra sferragliante serie di release, beh, sia da padrona, dopo lo scherzetto 80 Metro Area (sul come sia la certezza è che colonna sonora migliore numero precedente della serie del rinomato club non potrebbe esserci. Chris Gunn (chitarre), Hart britannico). L’omogeneità della proposta conquista Gledhill (voce), Sarah Epstein (basso) e Ben Spen- subito al primo ascolto e man mano che si prosegue cer (batteria) (ri)mettono in scena il loro personale nel viaggio si ricordano le stagioni in cui eravamo teatrino garage-rock ad alto tasso di squilibrio, con là davanti alle casse a vibrare. Perché questo è club- un piede nella tradizione e l’altro sui distorsori. Da bismo distillato techno. Un magma di progressioni una parte la storia americana fatta essenzialmente (Subharmonik Atoms) e di laser sonori che fanno tanto di country e blues, dall’altra il lerciume depravato e sorriso stampato ibizenco (Colorseries Olive B), i confini iconoclasta del punk-rock. Che è un po’ come dire con l’acidità sorpassati nella poderosa WAX10001 e le ruvidezze dei Pussy Galore intenti a vivisezionare le due tracce autoreferenziali sono le cose deep che il cadavere del rock e la sguaiatezza slabbrata, tea- ti stampano il marchio sui timpani per tutta la notte trale, oscena dei Cramps. Senza mai raggiungere (la collaborazione con Arian Leviste in M Track 1 però né il parossismo distruttivo dei primi, né l’en- e con Justin Maxwell in Benus Boats). Ma al di là di fasi caricaturale dei secondi, evidenziando invece troppi tecnicismi, qui si parla di uno che va avanti gusto per melodia e perfetto equilibrio formale e per la sua strada underground. Con la sua Palette stilistico. Recordings il ragazzone classe ‘74 si sta costruen- La tradizione è trattata coi guanti mentre viene do una squadra di adepti che lo seguiranno ancora seviziata dalla carica irruente dei quattro, fatta per molto tempo. I nomi sono quasi tutti qui, e noi di sporcizia del suono e grezzume dei ritmi. Perle siamo felici di poterli ascoltare mixati in maniera come la conclusiva Swim Hole con quell’annegare ottimale dal loro produttore. Non solo comunque una melodia infantile e irresistibile in un’orgia ca- un ‘piccolo spazio pubblicità’. Ci sono anche del- cofonica esaltante, e l’opener Actors col suo stomp- le chicche da lacrime. La potenza degli Orbital, le rock robotico, lo dimostrano appieno. Volume a meditazioni di Spooky e il finale in acido con LJ palla è quello che si merita un disco del genere. Kruzer. La techno non muore, finché qualcuno ci (7.0/10) crede. Fabric must go on. (7.0/10) Stefano Pifferi Marco Braggion The Vickers – Keep Clear (Foolica / The Hunches – Exit Dreams (In The Halidon, 13 febbraio 2009) Red, febbraio 2009) Ge n e r e : indie-p o p Ge n e r e : g a r a g e -r o c k Ai tempi dell’EP autoprodotto che finì tra le grinfie Li davamo per morti, visto lo iato quinquennale del nostro We Are Demo guadagnandosi un quasi

88 / recensioni sette, li paragonammo a Pavement, Libertines e Ra- The Felice Brothers – Self Titled diohead. Una scelta su cui ritorniamo ora - a disco (Team Love Records, gennaio 2009) d’esordio acquisito - non senza qualche perplessi- Ge n e r e : Am e r i c a n a tà, dal momento che se è vero che qualcosa delle Capita, è capitato, capiterà ancora. Capiterà sem- formazioni citate la si ritrova ancora nella musica pre. Che un guizzo di tradizione Americana (folk, dei Vickers, è vero anche che ben altro si nasconde blues, swing...) s’incarni in una situazione contem- sotto la superficie. Nel nostro outing di inizio anno poranea, di cui senti con chiarezza la forza, l’estro potremmo comunque coinvolgere anche illustri risaputo ma necessario delle cose maturate a con- scrivani di altri “lidi”, dal momento che il ventaglio tatto con la vita vera. Simone, James e Ian Felice da di riferimenti scomodato per definire il sound del Catskill, stato di New York, misero assieme la band gruppo toscano è stato ed è tutt’ora, ampio e varie- come uno scherzo gato: Thrills, Coral, Turin Brakes, Bluetones, Char- della passione nel latans, Oasis, Blur, non troppo lontano ancora Pavement, 2006, finendo per solo per fare qualche fare i busker nella nome. Una tenden- metropolitana della za che, al di là delle Grande Mela, co- facili battute di spiri- gliendo apprezza- to, la dice lunga sul menti e strappando valore di una formu- entusiasmi che li la ricca e ambiva- portarono di lì a poco ad un tour in terra d’Al- lente, per certi versi bione, laddove licenziarono per la Loose Music il riconoscibile ma anche sufficientemente originale debutto Tonight At The Arizona (2007). I pochi da svincolarsi dalle facili categorizzazioni formali. che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo (tipico Ancora di più in questo Keep Clear, deciso passo caso di distribuzione a singhiozzo) ne sono usciti in avanti rispetto al passato recente oltre che – lo elettrizzati, una di quelle scariche valvolari d’una diciamo subito – disco di assoluto di valore. Dodici volta, che non lasciano in pace nessun nervo o ca- tracce per lo più chitarra, batteria, basso, tastiere, pello. Le esibizioni live, alcune prestigiose come al il cui maggior pregio è forse il naturale appeal me- Folk Festival di Newport, ribadirono il concetto. lodico, unito ad un’orecchiabilità virata seppia fa- Ed eccoci a questa sorta di secondo debutto, giu- miliare quanto spumeggiante. Una scrittura rubata stamente omonimo, per la Team Love Records. al brit-pop meno banale come all’incedere energico Un gran disco, quindici pezzi in cui l’estro roots di Pete Doherty e colleghi - Here Again -, al Dylan sprizza uno sghembo, irresistibile vitalismo, come più sboccato - I’ve Got You On My Mind - come una scorribanda Tom Waits nella famosa can- alle indolenze di Neil Young - I’ll wait -, che riesce tina della famosa Casa Rosa, con Dylan e The a entusiasmare senza svilire i modelli originali. Col- Band felici di impastare ebbrezza e arcaicismi, lezionando invece piccole gemme con stupefacente smarrimento ed eccitazione, sacro e profano. Rag semplicità, giocando con gli arrangiamenti, conce- dinoccolati nella taverna dei buoni sentimenti al- dendo a musica e testi il giusto spazio, facendo ap- colici, tenerezze country, storie spietate e impie- parire semplice un lavoro di rifinitura, invece, pun- tose, violini e fisarmoniche, pianoforti e banjo, il tuale. Niente di trascendentale, verrebbe da dire, conforto sbruffoncello della sezione fiati, voci che ma ce ne fossero di musicisti così. (7.1/10) ammiccano, sproloquiano, ti consolano e si conso- Fabrizio Zampighi lano. Canzoni come agili liturgie sconsacrate, gra-

recensioni / 89 vi e asprigne come la stupenda Helen Fry, argute e lori, aperture, niente di risparmiato, nessun lavoro struggenti come Greatest Show On Earth (venata di in- di sottrazione; si va più in là, rasentando gli Adult, fingarda flemma Lambchop), colme di indomita con Life Ob Boards; si incrociano le due proposte con apprensione come Murder By Mistletoe (di quelle bal- Double Double Yolk. Ma che ne è allora del fantasmati- lad che Grant Lee Phillips non ci regala più da co e scheletrico suonare cui ci ha abituato la forma- tempo), trascinanti e scombiccherate come Frankie’s zione? Proprio qui sta l’asserzione del disco, ci pare. Gun!, languide e distese come Don’t Wake The Scare- Sì perché è nella mimesi di Genesis P-Orridge crow. E lì in mezzo Goddamn You, Jim, a fungere da di Light After Sound riscopriamo il velo oscurantista formidabile anomalia, con la sua gravità degna dei della prima industria fatta a musica, e i These Are Low più funerei. Certo, siccome la veridicità è un Powers sono in grado di metterci dentro un riff tec- lusso che la finzione non sempre può permettersi, nologico ma pur sempre chitarristico, ponte (come capita di avvertire un vago senso di artificio, di ine- etimo vuole) tra il prima e il dopo, il rock e l’elettro- vitabile edulcorazione, un po’ come accadeva con nica, il fantasma, lo scheletro e la carne. Insomma, gli I Am Kloot (ex busker pure loro), se ricordate. pur corpulenta, anche questa elettronica è scarnifi- Ma, vi assicuro, non è un prezzo caro da pagare. cata. Ossimorici i These Are Powers. E, cosa che li (7.3/10) rende ancora più convincenti, gente in grado di far Stefano Solventi risbucare la propria ontogenesi nella filogenesi di questo ultimo lavoro. Non un capolavoro, ma una These Are Powers – All Aboard Fu- prova difficile e superata. (7.0/10) ture (Dead Oceans, 17 febbraio 2009) Gaspare Caliri Ge n e r e : e l e c t r o Questo è quello che vorremmo da un genere. Tim Hecker – An Imaginary Country Esplorare i confini – in questo caso dell’electro - ma (Kranky / Goodfellas, febbraio 2009) mantenere riconoscibili i riferimenti classici. Creare Ge n e r e : a m b i e n t accostamenti inediti. Riprovare strade che si sono L’uomo che compone “musica per stati d’animo da dimostrate pericolose – pensiero fisso alla parabola 4.00 del mattino” ritorna in proprio. Dopo la pa- post-El Guapo, e ogni esempio di ciò che sarebbero rentesi in compagnia di Aidan Baker, Tim Hecker potuti diventare scegliendo altre strade mette ama- riprende il discorso avviato con Harmony In Ul- rezza da un lato e speranza (per il nuovo) dall’altro. traviolet regalandoci un nuovo saggio di allegoria Tanto ci sarebbe bastato per caldeggiare l’ascolto ambient. An Imaginary Country, volendo smentire di All Aboard Future, nuova prova per These i dettami dell’autore, Are Powers. Ad aggiungere interesse nei confronti lo si può ascoltare in di questa uscita c’è poi anche la recente storia del- qualsivoglia fascia la band, con l’auto-definizione “ghost punk” che, oraria, che sia not- come si ricordava su SA, i TAP proponevano per te fonda o l’inizio se stessi fino allo scorsoTaro Tarot. Va allora som- di un nuovo giorno, mato a quanto detto lo scarto qualitativo dei generi; visto che l’effetto e pensate a come sia possibile cercare un ancoraggio sarà sempre di totale (di velcro, naturalmente) a tutto lo spettro dell’elec- trascendenza. Meno tro, dalla sua declinazione pop all’industrial music austero del predecessore, il lavoro si stende alla ma- for industrial people, dai Brainiac alle spezie digi- niera di un concept il cui soggetto è un immagina- tal hardcore. Si parte così con una versione più ti- rio paese esistito un secolo addietro (100 Years Ago), rata dei Blow con Easy Answers; drum machine, co- bagnato da acque pulsanti (Sea of Pulses, arricchita

90 / recensioni da un beat che fa tanto Jetone, il moniker minimal effetti lo amo. E la mia vita sarebbe indubbiamente techno del Nostro) che cingono l’umorale ambiente più vuota. Il primo a rendersene conto è proprio Van (l’elegiaca Borderlands) affinché i corvini orizzonti in “The Man”, che quaranta anni dopo quel prodigio lontananza (Her Black Horizon) vi si possano specchia- di vinile ha deciso di rendergli omaggio rivisitandolo re imponenti. Non si esagera se ci considera Tim live per due serate - ovviamente sold out - all’Hol- Hecker alla pari dei Flying Saucer Attack oppure, lywood Bowl, in quel di Los Angeles, California. giusto per rimanere nel presente, evocativo quanto Durante quei concerti è stato catturato il materiale l’ultimo Fennesz. C’è vita dopo Black Sea (Of PulsPuls-- per questo Astral Weeks Live at the Hollywood es). (8.0/10) Bowl, titolo che inaugura l’etichetta personale di Gianni Avella Morrison, la Listen To The Lion. Disco che trasuda un entusiasmo - va da sé - maturo, dove un disinvolto Tony Formichella & BaseOne – Not delizioso horror vacui riempie gli interstizi con friniti Too Long Ago (Point Of View / Ha- di viola, svolazzi di fiddle, trilli di mandolino, vam- lidon, 2008) pe di ottoni, palpiti Ge n e r e : j a z z d’organo. Insomma Jazzista d’avanguardia – c’è chi lo paragona, senza tutto un ricamare falsi pudori, a Sonny Rollins -, musicista con alle sbrigliato e friabile spalle quarantacinque anni di carriera spesi tra Sta- che non sovraccari- ti Uniti e Italia, collaboratore di artisti come Rino ca semmai spampa- Gaetano – suo l’assolo di sax ne Il cielo è sempre più na i bordi (e i testi) di blu -, Tony Formichella colleziona con Not Too quei vecchi gloriosi Long Ago nove spaccati di raffinato jazz d’autore. pezzi, stemperando- Materiale in bilico tra fascinazioni latine (Africa) e ne la densità in un rituale liberatorio, capace di sdi- funk anni settanta (Perverso Blues e Shatto), toni cal- linquirsi con la disinvoltura del jazz-rock-soul anda- di (Blue Blues) e rielaborazioni della tradizione (Saint to (raggiungendo l’apice in Ballerina e in Listen To The Lawrence), che oltre ad ammaliare con le sue ca- Lion, una delle due bonus track). In tutto ciò, la voce denze misurate, rivela una classe figlia, soprattutto, del cerimoniere paga impietosamente dazio alle ere dell’esperienza. La si coglie nelle partiture ma an- geologiche trascorse, mostrandosi competente (e ci che nell’estetica ricercata dei suoni, con quel disten- mancherebbe) ma legnosa nelle movenze, pronta ad dersi pacato del sax su fantasie minimali di batteria, affrontare le dinamiche più impervie ma depaupera- chitarra, contrabbasso, flauto traverso e ottoni. Una ta del pazzesco bouquet timbrico che ricordavamo. musicalità che non pretende sforzi di comprensio- Insomma, ho una notizia per voi: la nostalgia è un ne fuori dal comune, non nasconde brutte sorprese, gioco tenero e crudele, sia quando finge di credersi non prevede stravolgimenti, ma vive invece di parti- vera sia quando - come in questi casi - s’illude di non colari e sfumature. (6.9/10) averne bisogno. La differenza è sottile come il filo Fabrizio Zampighi delle emozioni, e tenace allo stesso modo. La diffe- renza la fate voi. (6.9/10) Van Morrison - Astral Weeks Live at Stefano Solventi the Hollywood Bowl (Listen To The Lion Records / EMI, 10 febbraio 2009) Vetiver - Tight Knit (Sub Pop, 17 feb- Ge n e r e : f o l k s o u l braio 2009) Se Van Morrison non avesse pubblicato Astral Weeks Ge n e r e : f o l k p o p lo rispetterei moltissimo ma non lo amerei quanto in Smaltito ormai del tutto il flirt col prewar fricchet-

recensioni / 91 Hi g h l i g h t

Svarte Greiner – Kappe (Type Records, febbraio 2009) Ge n e r e : d a r k a m b i e n t Ritorniamo in Norvegia. Li dove fa sempre freddo e il sole è un disco magro che non dà luce né calore. Avevamo lasciato l’eroe del precedente disco Knive, un kafkiano e ideale “signor K”, alle prese con boschi neri, flutti palu- dosi, corvi minacciosi e uno spirito d’assenza e abbando- no, nella spaesata scenografia d’ambiente architettata da Erik K. Skodvin. Nel 2009 assistiamo alla seconda parte di questo immaginario e intangibile excursus. Il signor K è riuscito a tirarsi fuori dalla selva oscura e pertanto questo sequel cambia buona parte dell’arredo di scena. I suoni perdono quasi del tutto quel mood onomatopeico che si alimentava a sparsi e disparati field recordings e inscenava gli andirivieni nella natura minacciosa. L’anelito metafisico ver- so l’alto è compiuto e il signor K si ritrova in una serie di malevoli e oscuri arredi interni, con pesanti tendaggi d’archi e un florilegio di note sostenute nel vuoto. E’ questo il nuovo trademark di Svarte Greiner: lasciare che le note cerchino una via d’uscita senza appa- rentemente trovarla. Da qui una sorta di pesante stasi armonica, costantemente ostile e intimidatoria. I sette minuti iniziali di Tunnels Of Love viaggiano via verso riverberi ed echi sempre più irraggiungibili e quando ti sembra di aver visto la via di fuga, ti accorgi che dietro la tenda la finestra è murata. Rispetto al primo disco, Skodvin si è ulterior- mente raffinato come ambiguo esegeta del mistero. Non cerca più di spaventare quanto proprio di angosciare, calando ogni cosa in una nube di indeterminatezza. Ne sono testimonianza i sedici minuti abbondanti di Candle Light Dinner Actress forti della mano di Kjetil Møster degli Ultralyd e dei macabri riverberi d’oltretomba che si animano sulla scia del Wendy Carlos di Shining, ideali traghettatori verso il climax sinfonico finale di Last Light. L’ultimo segno di luce prima che arrivi il buio. (7.5/10) Antonello Comunale

tone devendriano - mai troppo conclamato a dire il - se me lo consentite - british. Difatti, oltre ai noti vero - il quintetto californiano capitanato da Andy rimandi George Harrison (la dolciastra intra- Cabic torna a mettere in scena la consueta fasci- prendenza di Everyday, l’indolenza acidula di Strict- nazione folk, con piglio assieme frugale e alieno, ly Rule, lo sperso incanto di Rolling Sea), t’imbatti in ovvero spendendosi con le movenze e i modi delle una Through The Front Door come potrebbe Badly ballate country rock ostentando la devozione e il Drawn Boy invaghito Mojave 3, oppure in una distacco di chi proviene da altrove. Mai come in Strictly Rule che sembra i Belle And Sebastian di questo quarto album il punto di vista è sembrato Legal Man narcotizzati dal peyote Gomez. Quin-

92 / recensioni di - su un altro piano di alterità - ecco scorrerci in zona Basic Channel), la spaventosa parata di davanti una mischia oppiacea Lennon-Flying effetti di delay e panning in Instinct e per finireHunt Burrito Bros (quella Sister che ricicla con svam- You Down, 10 minuti che guardano nell’abisso del pita delicatezza Stand By Me), una fatamorgana minimalismo. Irresistibile e a tratti oscuro. Qui si Califone parecchio ingentilita (il mantra folk tra esprime la forza del club, senza alcun riguardo per caligini elettroniche di Down from Above) e una At l’editing da album. Se l’anno scorso c’erano state Forest che ciondola soffuso abbandono velvettiano le Carl Craig, quest’anno ci sono le Claro Intelecto altezza Loaded, per non dire di quella Another Re- Sessions. Altroché. Lasciamolo respirare. Lascia- ason To Go che strascica fiati e chitarrina liquorosa molo fare.(7.3/10) su disincanto bluesy tipo l’ultima . A Marco Braggion parte questa sensazione di riciclaggio tanto affet- tuoso quanto subdolamente po-mo, siamo dalle Wavves – Wavvves (De Stijl, gennaio parti di un intrattenimento ipnotico e carezzevole, 2009) tutto sommato innocuo, con qualche pretesa psych Ge n e r e : l o -f i b e a c h -p u n k che ne sfuma in meglio i limiti e gli obiettivi. Da Noise-pop in modalità lo-fi dalla assolata Califor- ascoltarsi quindi come un buon lenitivo. (6.4/10) nia. Nascondismo di default e isolazionismo fatto Stefano Solventi bandiera ideologica. Immaginario retro-futurista già ben noto – si veda alla voce Blank Dogs – ed Claro Intelecto – Warehouse Ses- escamotage puerili – raddoppio delle consonanti, sions (Modern Love, gennaio 2009) nello specifico – che cominciano a mostrare la cor- Ge n e r e : d e e p t e c h n o da. Ce ne sarebbe per dire basta alla terza riga. Mark Stewart ritorna con l’attesissima compila- Però. Come in tutte le (in)certezze che si rispetti- tion che raccoglie in CD i 5 vinili delle sue famose no c’è il fatidico però. Però,si diceva, nonostante sessions berlinesi (e aggiunge pure una postilla). tutti gli indizi giochino a sfavore, sto disco spacca Se l’anno scorso ci aveva stupito per la sua raffi- totalmente. Spacca davvero, e per un semplice fat- natezza ai confini con l’IDM con quel botto che to: perché al versante più synth-cold-wave di altre è stato Metanarrative, oggi questa antologia ci sensazioni – si veda sempre alla voce di cui sopra conferma che il ragazzo ha uno stile. Punto. Anni – Wavves oppone un immaginario di riferimento fa lo si sentiva poco, nascosto in qualche compila- totalmente bubblegum-pop. Le sue sono proprio tion o in qualche set che rischiava. Oggi non oc- canzonette dalle melodie irresistibili; spinte, scon- corre più andare a inseguire le uscite in vinile o il ce, abbrutite, violate, sia quel che sia ma sempre downoad selvaggio. La prova ce l’abbiamo qui. Il e solo canzonette irresistibili sono. Che vengano suo moniker è più azzeccato che mai. Fa il furbo: totalmente trasfigurate da baccanali di lerciume stare con un piede nella deep e non annoiare il elettrostatico o deturpate da ritmiche pestone e pubblico techno è dura. Mark ci riesce. Dal 2006 poverissime, beh, poco conta alla fin fine. Anzi, a oggi nelle sue corde sentiamo il compagno di eti- aggiunge proprio quel nonsochè che porta l’etichetta chetta Andy Stott e quel Maurizio come ombre a definire questo suono the sound of today’s american che assistono la darkness e la visione. Tutta gente youth e noi a darle ragione. Nathan Williams, clas- hypercool che sbanca con 4 battute e un po’ di se 1986, da San Diego – perché i misteri, nell’era cassa caldissima. E allora via con la giostra fatta di del 2.0, non esistono – ha messo su un dischetto, trance dub sporcata glitch à la Rhythm & Sound riedizione della cassetta per Fuck It Tapes, niente, (New Dawn), l’inno uberBerlin che è X (ascoltatevi niente male. (7.0/10) il passaggio in eco a metà e ditemi se non siamo Stefano Pifferi

recensioni / 93 William Elliott Whitmore - Animals ultima band, Hidden Hand, infatti, l’ex chitarrista In The Dark (Anti, 17 febbraio 2009) di Obsessed e Saint Vitus, gruppi che hanno Ge n e r e : Am e r i c a n a scritto le prime pagine della storia del doom, ha Dovessi suggerire un disco al mio migliore ami- pensato bene di provare la strada solista, firman- co voglioso di Americana, consigliando questo dosi con il solo nomignolo. L’approccio è un po’ di- Animals In The Dark andrei sul sicuro. Se mi sorientante per la varietà di elementi messi in cam- chiedesse qualche dettaglio, gli direi che col quin- po. L’impronta doom conserva la sua influenza su to album William Elliott Whitmore porta il suo un lavoro che accosta con disinvoltura, ma anche country nella zona franca che separa e unisce il con cognizione di causa, la psichedelia (Wild Blue mainstream dall’alternativo, definendo con sempre Yonder) l’acid blues (Release Me), il funk-metal (Smi- maggiore lucidità quella calligrafia fatta di tradi- lin’ Road) e il Thrash zione integerrima, basata su un ristretto novero di (la Title-Track; The segni immediatamente riconoscibili, intensamente Woman In The Oran- tipizzati. Una fisarmonica, l’hammond, il dobro, ge Pants), mentre un quella voce che sembra appena strappata al ventre brano come Eyes della terra, alle inquietudini e alle speranze covate Of The Flesh ricor- sotto al front porch. E la morbidezza, soprattut- da quanto siano to la morbidezza con cui accoglie stemperando- debitrici (ieri come la un’ebbrezza black, tanto che - volendo tagliare oggi), le correnti più un paragone con l’accetta - sembra posizionarsi oscure del metal, ai rispetto al soul e al blues come Ben Harper si primi Black Sabbath. Non mancano le cadute pone rispetto al folk-rock. Quale esempio porterei di stile, come il rock un po’ amorfo di Secret Realm senz’altro la trepida There’s Hope For You, oppure i Devotion, e gli stereotipati momenti di intimità con tremori espettorati da Who Stole The Soul e Let the la chitarra (Water Crane e i vari assoli-fiume un po’ Rain Come In. Inoltre direi buone cose sulla disar- noiosetti) molto comuni tra i chitarristi metallari. mante fierezza che pervade l’invettiva corsara di Ed abbondano le soluzioni scontate e decisamente Mutiny, così come sulla grana redneck fragrante e retrò, prevedibile richiamo alle migliori cose fatte priva di boria di Johnny Law e Lifetime Underground. in passato da Weinrich. Ma c’è da tenere conto Infine lo rassicurerei, che in certi casi la genuinità anche, che non ci troviamo di fronte l’album di la senti a pelle, capisci quanto profondamente è un povero cristo invecchiato e all’ultima spiaggia, radicata anche dalla serenità con cui si disimpegna ma di un musicista stagionato che qualcosa da dire tra un malanimo e l’altro. Questo è uno di quei ancora ce l’ha. Al di là di tutti i possibili, probabili casi. (7.0/10) e concepibili momenti revivalistici (6.4/10) Stefano Solventi Daniele Follero

Wino – Punctuated Equilibrium Yussuf Jerusalem – A Heart Full of (Southern Lord / Southern, gennaio Sorrow (Floridas Dying, dicembre 2009) 2008) Ge n e r e : m e t a l e d i n t o r n i Ge n e r e : g a r a g e f o l k n o i r Dopo venticinque anni di carriera, Scott “Wino” Cosa unisce le tonalità oscure di un certo neo-folk- Weinrich, chitarrista dal passato glorioso negli am- noir con quelle più ruvide, ma anche più solari, del bienti metal, ha deciso di fare per la prima volta le garage-country-rock? Il disco di Yussuf Jerusalem cose da solo. A seguito dello scioglimento della sua – primo LP di Floridas Dying – da una risposta

94 / recensioni ed una testimonianza in questo senso. Questo mi- per nulla cerebrale. Nessun atteggiamento nu-folk sterioso gruppo francese (le foto dei live rappre- e neppure leziosi orpelli strumentali, ma vere e sentano un trio, ma potrebbe essere una soluzione propria avanguardia in chiave popolare che sem- solo per i concerti) arriva al debutto con un album bra non rinunciare nemmeno alla presa diretta. che fa piazza pulita di ogni purismo di sorta, of- L’impatto è notevole, anche se ad alcuni potrebbe frendo in prima battuta una luttuosa copertina che sembrare trasgressivo per le dissonanze da live, tra sembra provenire più dal più tetro e putrido un- ritmi incalzanti, rallentati o trattenuti a mezz’aria. derground black metal che dai circuiti del garage- Con le vibranti danze di Batuta, le ancestrali rivisi- punk. E su quell’asse si continua con l’opener Gille tazioni di Picior, la lettura jazz di Mountain e le per- De Rais che fa subito tornare alla mente i Cel- cussioni tzigane di Bouchimich si abbattono le fron- tic Frost nel nome e band ben più estreme come tiere di un genere ormai ben radicato negli archivi i primissimi Emperor nel sound. Con il secondo sonori di Volksmusik, a conferma anche questa pezzo, che da il titolo all’album, cambia tutto: chi- volta che l’originalità premia. (8.0/10) tarre acustiche celticheggianti si sposano con linee Sara Bracco vocali dal sapore di Midwest statunitense, quella tradizione americana che arriva fino a Lanegan e Zomby – Where Were You In ‘92? Woven Hand. (Werk Discs, novembre 2008) Da qui si continua con ballate di alto impatto emo- Ge n e r e : h a r d c o r e r a v e -s t e p tivo e di lodevole fattura in cui acustica, elettrica Tempo fa un personaggio senza nome usciva in ed elettronica si mischiano alla perfezione, sempre sordina e ci sfornava un capolavoro del dubstep. in un sottile ma mai precario equilibrio; e allora la Si chiamava Burial. Solo dopo qualche tempo si è tradizione dei cantautori folk americani (The One capita a fondo la potenza del suo esordio. Oggi un You Really Want) si ricongiunge con i suoi esiti altro che ama nascondersi esce con un disco che moderni (We Aint Coming Back ricorda i Good- ha qualcosa in più. Lui dice di chiamarsi Zomby. Night Loving) senza per questo dimenticarsi di un E fa hardcore. Fin qua niente di sorprendente. Eh certa canzone popolare medievale (The End Of no, dico io! Fare hardcore oggi è come spararsi ad- Tomorrow), il tutto intervallato solo dall’obliquo dosso. Bisogna avere le palle quadre per ripropor- interludio pianistico di Jihad. Negli ultimi anni ra- re ancora una volta le sonorità della generazione ramente Death In June e Roky Erickson, Current E. Zomby ce la fa e ci sforna il disco che mancava 93 e Neil Young sono stati così vicini come nei sol- per iniziare degnamente il 2009. Anche se uscito chi di questo disco. (7.5/10) alla fine dell’anno appena terminato, questa chicca Andrea Napoli entra nel mondo dubstep e lo sfalda in modo ina- spettato. Per cui ce ne freghiamo e lo recensiamo Zeitkratzer – Volksmusik ora, consapevoli che ne sentiremo riparlare. Ma (Zeitkratzer Records, 2008) che cos’è quest’album? Solo un ricordo del rave? Ge n e r e : a v a n t -f o l k Come già detto in numerose recensioni e speciali, Ribalta i canoni cari alla scrittura classica del pri- la cosa per cui ci si distingue oggi è la capacità di mo ‘900 l’ensemble berlinese Zeitkratzer, e si con- meshing e di rifrullo della storia. E allora se in certi cede alla direzione di Reinhold Friedl, nel tentati- punti non si può prescindere dalla cupezza (vedi la vo inesausto di rompere gli schemi. citazione dal monologo più famoso di Blade Run- In Volksmusik è una evidente matrice folk che ner in Tears In The Rain), il grosso di queste 14 trac- attraversa i confini di Austria, Bulgaria e Roma- ce esula dalla grimeness e ci riporta direttamente nia a dettare i tempi di una musica complessa ma a contatto con il rave. Tutti quei break spezzati,

recensioni / 95 quei laser che ci attraversavano la mente e quel- E per vari motivi. Intanto perché, come prima si è le tastiere robotiche sono di nuovo atterrate. Le accennato, piazza la decima candelina sulla torta mitiche sirene à la O.R.B. in Get Sorted, le vocine di una carriera discografica di tutto rispetto. Poi velocizzate in We Got The Sound, i beatz superblack perché segna l’inizio con le voci acute che tanto piacciono al popolo del della collaborazione drum’n’bass (splendide in Float), il trucco nerdy di Zu per la Ipecac che non muore mai (il remix dello Street Fighter The- di Mike Patton, me). Il resto è un omaggio palese al rave. Ma se il coronamento di tributo è fine a se stesso non ci smuove più. Zomby un incontro musi- è invece un vulcano che sta per scoppiare. Perché cale già rodato dal con questa mossa disconosce e rifonda in modo vivo durante il tour furbissimo le sue origini dubstep. Una mistura in- con la doppia band telligente che colpisce il trentenne e che spopolerà Melvins-Fantomas. Terzo, perché per la prima nel popolo di head bangers che nel 92 non era an- volta non c’è un “quarto”, almeno in organico. cora nato. We were with you, Zomby.(7.5/10) Già perché di ospiti illustri ce ne sono comunque. Marco Braggion A parte lo stesso Patton, che presta la sua voce trasformista e un pizzico di Mr. Bungle alla cau- Zu – Carboniferous (Ipecac, 17 feb- sa (come definire altrimenti le atmosfere schizo- braio 2009) freniche di Soulympics e Beata Viscera?), si aggiunge Ge n e r e : j a z z c o r e al gruppo anche la chitarra di King Buzzo (Buzz Zu non sbaglia un colpo. Non ci pensa neanche Osborne) dei Melvins. la band romana ad indietreggiare e non pare per Le soluzioni di questa bizzarra equazione sorpren- niente propensa a fare passi falsi. Dieci anni di derebbero anche il più scettico. La durezza metal dischi, critiche positive e tour in tutto il mondo, e i tempi quasi doom, caratteristici del sound del non sono riusciti ad appagare il trio romano, che si trio, che trovano espressione nelle atmosfere dark tiene distante dalla tentazione di accomodarsi sui di Chthonian e Carbon, lasciano spesso e volentieri il famigerati allori. Dieci anni durante i quali Mai, posto a velocissime cavalcate math-noise (Ostia), a Battaglia e Pupillo le hanno provate davvero tut- follie hardcore alla Naked City (Erinys), arrivan- te, trovando il coraggio, di volta in volta, di rico- do a spingersi fino all’ambient delirante diOrc . Un minciare da capo, facendo si che ogni esperimento pot-pourri coerente, nel quale neanche per un atti- potesse godere di vita propria. La formula del 3+1 mo si perde la bussola dello stile che ormai i Nostri (con il trio a costituire la struttura di svariate colla- hanno scolpito nella roccia di un sound granitico, borazioni) ha concretizzato questo spirito progres- spigoloso e ormai assolutamente inconfondibile. sivo, creando incroci “pericolosi” che di volta in (8.0/10) volta hanno parlato un linguaggio diverso. Thur- Daniele Follero ston Moore, Steve MacKay degli Stooges, i jazzisti Ken Vandermark, Han Bennink e Mats Gustafsson, Nobukazu Takemura, il violoncellista Fred Lonberg-Holm, la band hip hop Dälek, sono solo alcuni dei nomi che hanno vestito i panni del “quarto Zu”, influendo radical- mente sulle idee del trio ostiense Carboniferous è un disco importante, un ennesimo punto di svolta.

96 / recensioni recensioni a confronto zZz – Running With The Beast (Anti / Self, dicembre 2008) Ge n e r e : w a v e /p o s t -p u n k

Mi chiedo dove sia l’hype e soprattutto il buon Sulle prime, il nuovo lavoro degli olandesi Zzz suo- gusto. Il duo olandese costituito da Daan (orga- na come l’ennesimo gruppetto di maniera neo-wa- no) e Tjess (batteria e voce) varca con imbarazzo ve preceduto dal suffisso “The” (Departure, Editors il dancefloor rock degli ‘80 con numeri che sanno e via discorrendo). Anzi, se ci soffermassimo alla di liofilizzato batcave, scimmiottando dove è lecito sola traccia inaugurale, Lover, non potremmo che i Sucide, senza chiaramente sfiorare la profon- pensare ad un clone bramoso di gloria parimenti i dità ed il fascino del duo Rev/Vega. Del resto se The Killers. Ma Running With The Beast, col gruppi “cartoon“ come gli MGMT (visti lo scorso passare degli ascolti, si manifesta disco sinistro e anno al Primavera Sound di Barcellona meritava- spigoloso. Prendiamo ad esempio la voce: giocata no una simpatica tanica di benzina a bordo palco) su varie tonalità di nero, talvolta evoca lo spaurac- riescono ad ammorbare le fantasie di critici e fru- chio di Ian Curtis (la ballad finaleIslands ) e tal’altra itori deve pur esserci qualche tarlo. il luciferino baritono di Alan Vega (il Il migliore duo con questo tipo di boogie di Grip). La ritmica gravita su strumentazione rimangono i Silver registri post-punk epico alla maniera Apples, concedetemelo, una sola dei Simple Minds periodo Empires nota per mettere a tacere la prova di and Dance (Spoil The Party) o stile questi pur volenterosi ragazzotti dai Psychedelic Furs dei tempi moder- Paesi Bassi. Non posso non pensare ni (Angel, con tanto di sax in coda), alla schizofrenia dei primi Rah Bras senza lesinare digressioni à la Man od alle pur contagiose evoluzioni or Astro-Man? (Sign Of Love), sortite dei Dance Disaster Movement, che mai hanno swamp-wave (Majeur), acidi pastiche pop tra Beat- usufruito di una distribuzione “major“ ed hanno les e Beta Band (The Movies) e invettive space-rock finito per occupare le poco ambite stanze del di- (Sign Of Love, Running With The Beast) che, riversate menticatoio. Volete ascoltare un organo creepy? in ambiti new wave, non possono che mirare ai Beh, allora risentitevi il buon vecchio Ray Manza- mitologici Chrome. Fortunatamente la prima im- rek, anche quando si affacciava in Los Angeles degli pressione è stata smentita. L’onda lunga del suono X o – se desiderosi di un esempio contemporaneo a cavallo tra ’70 e ’80 non si spegne, e finché non si – Maya Miller dei Religious Knives. Ammiccanti intravedono cloni di A Flock Of Seagulls all’oriz- e oscuri, su questo binomio costruiscono la loro zonte ci sta bene così. (7.5/10) fama gli zZz, risultando in ibridi discutibili come Gianni Avella Amanda, un qualcosa tra i Joy Division e l’ di Cry For Love. Spoil The Party è forse uno dei brani più spinti e muscolosi con una pressante cas- sa in 4, troppo poco per ambire ai luoghi culto della disco moderna, troppo derivativi per aggiun- gere note alla grande tradizione wave britannica. Da rivedersi. (5.0/10) Luca Collepiccolo

recensioni / 97 live report

Jamie Lidell – Live @ Velvet, Rimini Live: Squartet + Testadeporcu – (24 Gennaio 2009) Traffic, Roma (15 gennaio 2008) Nessuna band, solo un gregario al piano, all’organo Rome is burning. Una nebbia padana sorpren- e ai svariati tricks. In una parola “soul”. Quello di de i cieli stellati della capitale e avvolge il Traffic prim’ordine, quello con anima vibrante e corpo tra- tutt’intorno. Il locale, dopo il restyling del piano scinato al movimento. Quello che si porta dietro la inferiore, si è assestato in un accogliente mood an- storia tutta di un genere e non la offende, vedendola glofono anche su quello superiore. Niente più po- anzi omaggiata da una vocalità fuori dall’ordinario ster grindcore, locandine di gruppi emo né gadget e da un savoir-faire on stage che elettrizza l’imberbe giovanilisti. Siamo adulti e un po’ navigati, quindi ascoltatore che non sa quello che potrà attendersi. largo all’ordine e alla pulizia. Stasera assisteremo E Jamie, un novello Stevie Wonder bianchissimo, all’esibizione di due delle costole della Jazzcore tiene il palco benissimo con le sue smorfie e le sue Inc.: Squartet e Testadeporcu. Romani e con un movenze da autistico completamente inebriato dal disco uscito di recente i primi (Uwaga!, Jazzcore proprio senso del ritmo che esterna al meglio fa- Inc, 2009), bolognesi e in procinto di entrare in cendosi “human beat box”, basi e bassi grossolani studio i secondi. Come da copione capitolino, il partoriti dalla bocca ma rigorosamente a tempo che concerto inizia tardi; i tre Squartet, Manlio Ma- registra e campiona sul momento per crearsi una resca alla chitarra, Fabiano Marcucci al basso fondamenta da cui sprizzare tutto il suo dilagante e Marco Di Gasbarro alla batteria, prendono entusiasmo, che è tangibile poiché non filtrato. Cer- possesso del palco mentre dalla consolle fa capoli- to la formula “beat campionati + vocalismi” può no la testa rasata di Mr. Jamming (soundman e allettare (e lo fa eccome) ma alla lunga tende a risul- componente del gruppo ad honorem). Inaugura la tare un tantinello monotona e la fruizione dei pezzi scaletta Il piccolo samaritano, seguita da vari estratti (principalmente presi, come ovvio, dall’ultimo Jim) da Uwaga! (Perky Pat, L’infame, Sexy Camorra). Il trio, talvolta richiamano la mancanza di una vera e pro- compattissimo, attacca, sbanca, si ferma, cambia pria fullband alle spalle. Tanto basta però per assa- ritmo, ricomincia. I pezzi scivolano metronomici porare qualche brivido e sentirsi per una volta “neri e goliardici uno dentro l’altro, supportati dal genio dentro”, quando soprattutto si arriva ad un finale chitarristico di Maresca che rimanda tanto a cer- da singalong col pubblico sulle note di una “Ano- to virtuosismo pre-war quanto al rock e al punk, ther Day” a cappella, di cui prendere e stampare il il tutto annegato in un fertile territorio jazz, re- testo da esporre sullo specchio come monito posi- gno di febbrili ostinati e cambi di tonalità. Il basso tivista al fine di cominciare al meglio ogni singola emette delle bordate sì massicce e armoniche che mattina. Insomma un figlio della tradizione e della quasi non ci si accorge che nei primi pezzi l’ampli bizzarria dell’artista a tutto tondo che per fortuna sull’impianto è off. E la batteria è il cuore pulsante è ben attaccato al comunicare le proprie sensazio- nella corsa scatenata dietro ad un autobus di pe- ni, forse più dal vivo che su disco. E come si dice, riferia che va a tutta velocità. Altro che attitudine “quando lo spettacolo si fa emozione”… punk, qui si prende il testimone di gruppi come No Alessandro Grassi Means No, Pak e Victims Family sfoderando

98 / recensioni jamie lidell francesca garattoni © però un alto tasso di personalità. Musica tosta ma Deus Ex Machina, storica prog-band che forse fruibile, intelligente ma mai leziosa, schietta come qualcuno, più attempato della sottoscritta, ricor- la romanità, energica e contagiosa. derà). I Testa sono un monolite spaccato e ricom- Chiudono il set Radau e un pezzo nuovo, con Car- posto un’infinità di volte e se la forma e il colore lo Conti (Neo) al sax e il suo dialogo overlapping sono quelli di un grindcore “anomalo”, dalle crepe con il funk della sezione ritmica. fuoriescono gli adorati spettri della contempora- Dopo una breve pausa si torna giù e, come per neità. Non a caso i due definiscono la loro musica accoglierci al meglio, partono le basi un po’ losche punktemporary, punk-temporanea. Ed è il tempo dei Testadeporcu aka Diego D’Agata (basso, ex- il terreno dove si gioca un po’ tutta la partita: pezzi Splatterpink) e Claudio Trotta (batteria, già velocissimi, stoppati all’inverosimile, dove la schi-

recensioni / 99 zofrenia jazzcore mostra ora la maschera tecnica intimi. Che le corde dell’anima siano toccate in ora quella iconoclasta. Il tutto accompagnato da santa pace senza alcun filtro; poco importa se par- un atteggiamento ironico, di metacritica nei con- te delle canzoni qui proposte non sono autografe, fronti del punk e della musica contemporanea di ma quando la resa possiede una fedeltà emotiva matrice intellettuale. Sicuramente meno digeribili tale da riempire il cuore, si ha la netta certezza che dei romani, ma senz’altro coinvolgenti e da appro- l’obbiettivo prefissato è stato raggiunto, almeno fondire. All’uscita seguono rituali di aggregazione, osservando i volti degli astanti. finchè il Traffic chiude le serrande e un singolare Ad accompagnare il simpatico turco-inglese Adem personaggio con una farfalla in testa cerca di con- Ihan ci sono due ospiti d’eccezione che si rivelano vincerci ad accompagnarlo a ballare l’house. Vagli decisive per la resa dell’intenso live: Nancy Eliza- a spiegare che oltre a vivere veloce bisogna morire beth – già esordiente per conto della Leaf fra folk vecchi. Vagli a spiegare che Roma brucia. ed incanto un po’ alla Joanna Newsom – allo Francesca Marongiu xilofono e all’organo e Sarah Jones – batterista dei new wavers New Young Pony Club e dei “nuo- Adem (Velvet, Rimini, 29 gennaio vi” Bat For Lashes – dietro le pelli. 2009) Un inizio in punta di piedi e una voce toccante, Non ci dovrebbe essere bisogno d’altro che di una quella del Nostro, che comincia in solitaria pren- bella voce e di un’atmosfera piacevolmente rilas- dendo per mano la sua acustica e la sua timidezza, sata, quando si assiste ad un concerto con pochi e traghettando in soffici momenti sonori sulle onde

adem

100 / recensioni di Love And Other Planets e della splendida Long Drive mano in venticinque anni di carriera, insomma, Home, per poi abbracciare la minuta folla quando tutto il bello (tanto) e il brutto (poco, per fortuna) il trio si compie, grazie ad armonie vocali pulite e stanno in questo acuto understatement, nel gioco veramente rare. Dall’ultimo Takes scorrono le ce- - tratti somatici e sguardi luciferini ma sornioni in- lebri Hotellounge e Tears Are In Your Eyes che vibrano clusi - con la musica americana, seguendo le rego- di nuova vita nelle corde del gruppo, per poi giun- le peculiari di un enciclopedismo simpaticamente gere alle celestiali derive di Slide di Lisa Germano sconclusionato. Gli ci è voluto del tempo, a Howe, e prendere vigore ed energia in Everything You Need per riuscire a tramutare questo ipotetico limite in e Launch Yourself. Epico il finale sulle note di Laser un tratto caratteristico che lo rende riconoscibile e Beam dei migliori Low che dalle mani del terzetto addirittura geniale. Anche quando gli impasti vo- arriva diretta e pregna di emozione fra un falsetto cali traballano un po’ o, all’inizio del concerto, la di Adem e note solitarie di chitarra. Per una serata sezione ritmica e l’armonia suonano scollate. Ba- dove l’essenzialità del folk funge da pennello per sta poco per scaldarsi, tuttavia: tra un aneddoto e dipingere un’atmosfera calda e complice, viene da un inedito, una toccante The Desperate Kingdom Of sorridere per la gioia, considerando quanto a volte Love sottratta a P. J. Harvey e il medley prelevato sia necessaria la semplicità solo stando a guardare dal sottovalutato Rock Opera Years, arrivi all’ora e la grazia di Sarah che pacatamente, per tutto il mezza che manco t’accorgi. Allampanato, baffuto tempo, ha usato come grancassa una valigia… e di residenza desertica, Gelb ricorda Spike, il fra- Alessandro Grassi tello di Snoopy. Rispetto al quale ha contraccam- biato la scalogna con una creatività che scintilla sì Giant Sand – Circolo Magnolia, Mi- a intermittenza, ma che quando brilla scioglie la lano 02/02/2009 neve nell’anima come poche altre. Lui non se ne Parafrasando Forrest Gump, assistere a un con- preoccupa, visto che da tempo ha capito di essere certo dei Giant Sand - o di Howe Gelb, che poco - e difatti ce lo canta pure… - quel che si definisce cambia - equivale ad aprire una scatola di ciocco- un classico. latini. Nel senso che non sai mai bene che farà e giancarlo turra come lo farà: un pregio/difetto connaturato al suo rapportarsi alla musica in modo arruffato, sfrut- tando il caso e il momento. Se l’ispirazione c’è e i sodali sono all’altezza (nello specifico i danesi Thoger Lund al contrabbasso, l’abile Peter Dom- bernowsky dietro la batteria e il chitarrista Anders Pedersen, più la concittadina di Gelb Lonna Kelley - sguardo perso degno di David Lynch e incinta di un paio di mesi - alla seconda voce) può nascere la serata memorabile, dove si passa come nulla fosse da rock turgidi e aciduli a siparietti pianistici ragti- me, da ballate country impolverate al jazz-lounge, talvolta tutto insieme splendidamente. Altrimenti tocca sorbirsi uno sbraco approssimativo, i cui ar- tefici paiono vagare autonomamente dietro a una bussola smagnetizzata. Come con ogni album cui il Nostro ha messo

recensioni / 101 WE ARE DEMO #33 I migliori demo giunti nelle nostre cassette postali. Assaggiati, soppesati, vagliati, giudicati dai vostri devoluti redattori di S&A. Testo: Stefano Solventi, Fabrizio Zampighi.

Shabadà Orchestra - EP libertà), post-punk, ma anche blues e hard (quasi) à Quattro tracce per cambiare idea riguardo alla la Led Zeppelin (Industriale e Di terra e di me), filtrati patchanka, ricettacolo di sonorità parecchio abusate da una scrittura che riesce nell’impresa di mescolare in chiave combat folk al punto da provocarci l’ortica- le carte per suonare, infine, originale. (voto: 7.2/10 ria al solo sentirla nominare. Ma, appunto, gli Shaba- myspace.com/omosumo ) (f.z.) dà Orchestra arrivano ed è un balsamo, un unguento, un bicchiere di rhum e polvere da sparo. Aromi me- Dresda – We Are The Superfunkers diterranei imbizzarriti, estro balcanico, sentori mar- Più che post-rock, malinconie strumentali concepite sigliesi e aspro spasmo black (errebì + Africa), il tutto per pellicole struggenti, crescendo umorali su arpeggi cucinato nel calderone partenopeo che non significa rinsecchiti, stratificazioni in punta di plettro intense autoghettizzarsi nel dialettale, infatti l’inno tabagista ed evocative. Il nome è Dresda – ripreso dall’insupe- 40 sigarette potrebbe benissimo essere un Capossela rabile Mattatoio n.5 di Kurt Vonnegut – e l’ideologia incazzato e sbarazzino, mentre la sordidella e bluesy che serra le fila pare essere quella di “descrivere am- Il gabbiano affonda il bisturi nella piaga strattonando bientazioni con la musica per rendere i suoni parte locale e universale come una favola noir. Tutto in loro di una scena a più dimensioni”. Tra field recordings è contagioso, dalla voce - a metà strada tra Peppe Vol- e elettriche urticanti, tastiere e glockenspiel, basso e tarelli e Rocky Roberts - alla foga sferzante della chi- theremin, i quattro genovesi riescono nell’impresa, tarra, dalla ruspante collusione sax-fisarmonica (con alternando momenti di stasi a distorsioni violente e sorprendenti link a certo jazz etiope) ai nomignoli consegnando ai posteri un Ep inquietante e catartico. che si sono scelti (roba tipo Sdugtmbò e LuAplles). Si (voto: 7.1/10 myspace.com/wearedresda )(f.z.) attende a breve l’esordio su lunga distanza. Qualcosa mi dice che non passerà inosservato.(voto:7.2/10 my- Giuda Matti - EP + Il trittico del space.com/shabadaorchestra ) (s.s.) male Quartetto modenese - e non fanno nulla per nascon- Omosumo – Promo EP derlo - i Giuda Matti vantano un repertorio breve ma Scartabellando tra i crediti di questi Omosumo fi- impudente, EP del 2008 e il recentissimo Il trittico niamo per scoprire alle chitarre un Roberto Cam- del male. Nel primo fregola punk-pop-folk in guaz- marata già passato per We Are Demo con gli ottimi zo sixties come dei Blur circuiti da Ivan Cattaneo e Waines e al basso un Settimo Serradifalco, principale strattonati da mancanza di riguardo Skiantos, nel attivista del progetto Donsettimo. Artisti, entrambi, secondo uno spurgarsi l’anima in tre atti senza solu- di buon livello, a cui si aggiungono Giuseppe Megna zione di continuità, rievocazioni beat tra il perverso e alla batteria e un Angelo Sicurella alla voce definito lo scazzato (con tanto di pronuncia paraenglish alla dalle note stampa come “il miglior cantante rock di Mal), oppure una versione demenzial-psych e ingru- Palermo”. Sia come sia, un fatto è certo: l’EP in og- gnita degli Offlaga Disco Pax. Che è un po’ come getto punta i riflettori su una formazione che mostra cercare nuovi modi di circoscrivere l’ennui periferi- carattere da vendere, pur frequentando compagnie co prima della bucolica (falsa) resurrezione finale. In poco raccomandabili per gli amanti dell’originalità loro c’è del tragicomico che non posso fare a meno di a tutti i costi. Nello specifico, new wave (Sensazioni di adorare.(voto:7.0/10 myspace.com/giudamatti) (s.s.)

102 / recensioni Sundance Capoeira – A Low Choice EP C’entrano i Giardini di Miro’ e Il Nucleo, dal momento che in formazione militano il bassista dei primi, Mirko Venturelli, e il bassista dei secondi, Mauro Buratti, ma questi Sundance Capoei- ra, nonostante alcune analogie nell’approccio alla musica, fanno storia a sé. Anche perché il post-rock qui si trasforma in digressioni eteree e inafferrabili, suoni morbidi e ovattati, sulle ali di una voce, quella della svedese Karin Nygren, che funge da collante armo- nico tra gli strumenti. La vena è inaspettatamente pop – nei limiti concessi da una forma che privilegia le sfumature -, l’incedere len- to e avvolgente, il sentire decisamente godibile, figlio certo dell’esperienza dei musicisti coinvolti ma anche di un tocco magico che riesce a semplificare una musica per sua natura raffinata e complessa. (voto: 7.3/10 web: myspace.com/sundancecapoeira ) (f.z.)

Formanta! - F! EP confluiscono i retaggi prog-rock di entrambi. Det- Assieme dall’estate del 2008, i romani Formanta! to che ad aiutarli intervengono il basso di Andrea sono un quartetto col pallino per l’indie pop viziato Castelli e le voci di Elena Antonelli e Alice Bardini, wave, roba garrula ma tesa, graffiante ma con una direi che il risultato finale è un ineffabile ibrido tra sua gentilezza di base, informata alla nostalgia de- i Massive Attack più atmosferici, un pizzico di Po- gli anni in cui ti capitava di intercettare nelle radio pol Vuh stregati Cocteau Twins, Steve Roach alle e sulle piste da ballo le ultime fatiche di Blondie o prese con fregole etno, i Floyd persi in un sogno Smiths, di Pretenders o Television, però con quella industrial-psych. A tratti sfiorano certa deprecabile disinvoltura che ti regala un approccio autorevole e effettistica new age, ma in genere riescono a man- sbarazzino alla materia. Ovvero: ci vogliamo seria- tenersi aggrappati ad un’idea estetica abbastanza mente divertire, secondo la lezione Broken Sovial precisa, solenne e suggestiva. Malgrado non sia il Scene e Blonde Redhead per intenderci. In man- mio genere, mi sono piaciuti. Vorrà pur dire qual- canza di intuizioni davvero geniali - nelle cinque cosa.(voto:6.8/10www.vicolomargana.it/(s.s.) tracce di questo F! si raggiunge al più un’intrigante gradevolezza - mi sembra un buon punto di parten- za.(voto:6.9/10 myspace.com/formantamusic ) (s.s.)

Vicolo Margana - A Perfect Life I Vicolo Margana sono sostanzialmente un duo, Francesco Antonelli e Fabio Bizzarri, attivi dai pri- mi anni settanta e quindi non proprio debuttanti allo sbaraglio, però è fresco questo loro progetto che esordisce appunto con A Perfect Life, undici trac- ce all’insegna di una calda electro ambient in cui

recensioni / 103 Th e Sm i t h s

Te e n w a v e Po p

Gli Smiths sono tornati a far parlare di loro: in primis con l’attuale uscita dell’ultimo album di Morrissey, indirettamente con la pubblicazione della Rhino di un cofanetto contenente tutti i loro singoli in versione originale, e (forse) direttamente per il vociferare di una loro possibile reunion. Quale occasione migliore per tornare a parlare della band che ha fatto la storia del pop, brit e non solo, e del suo mondo “acquatico”? Testo: Andrea Provinciali

104 / Rearview Mirror Non avete mai visto fare surf a Manchester, gri- gia città del North West dell’Inghilterra? Peccato, perché un mercoledì (da leoni) di quasi trent’an- ni fa l’aria divenne improvvisamente limpida, la primavera esplose prematuramente e una grande onda, di dimensioni gigantesche, raggiunse il cuo- re metropolitano con il suo incedere irrefrenabi- le. In quel momento quattro ragazzi qualunque si fecero trovare pronti all’appuntamento, e ca- valcarono quell’onda per alcuni anni, disegnando solchi sublimi che innaffiarono la loro città prima, l’Europa poi, il mondo intero infine, come se non avessero fatto altro nella loro vita. Certo, non tutto dura all’infinito, ma fin quando riuscirono a do- mare a loro piacimento quell’incontenibile massa d’acqua, beh, bisogna ammettere che fecero im- medesimare molti nella loro impresa, portandoli metaforicamente con loro lassù, su quella cresta esuberante. Perché quella non era un’onda qua- lunque, era quella eterna dell’Adolescenza che da sempre e ovunque avvolge tutti, lasciando dietro di sé vortici di rimpianti, ricordi, sogni e illusioni. Ma, si badi bene, qui adolescenza è da considerar- si con la A maiuscola. Infatti, in una società dove i principi e le certezze sono smarriti, questa con- dizione vitale si dilata all’infinito perdendo la sua limitata accezione temporale. E gli Smiths sono riusciti a formalizzarla e sublimarla perfettamente in canzoni pop da tre minuti che proprio come il moto ondoso hanno invaso tutto e tutti, nel tempo e nello spazio, fino ad oggi. Questi signor Rossi qualunque, questi ragazzi del- la porta accanto, fin dalla pubblicazione del primo singolo, hanno parlato a generazioni su generazio- ni, determinando tuttora il panorama musicale, pop e non solo, inglese e non solo. A loro devono moltissimo band come Housemartins e The Wedding Present prima, The Stone Roses poi, Suede, Blur e Pulp pochi anni più tardi, ma anche il college rock e le miriadi di gruppi emo- core oltreoceano sul finire dei Novanta; non solo, addirittura compagini post-hardcore e post metal come Quicksand e Deftones hanno dichiarato

Rearview Mirror / 105 tutto il proprio amore per Morrissey e Co. dirittura presidente del fan club inglese delle New Le loro canzoni hanno espresso il linguaggio York Dolls. Assiste a ogni concerto, aiuta le pic- dell’amore, quello ideale ma disperato perché dif- cole case discografiche, cerca in ogni modo di ali- ficilmente avverabile, riposizionando l’uomo e la mentare quel fermento artistico che sente intorno sua sfera personale al centro di tutto. Una vera e a sé, che sente dentro di sé. Si chiama Stephen propria romantica rivo- Patrick Morris- luzione pop, per i ca- sey “Moz”, è nato noni estetici imperanti il 22 maggio 1959 all’alba degli Ottanta. e ha forti e radicate Per quattro anni, la origini irlandesi. loro spinta artistica è Questo narrano riuscita a tener testa a le cronache, ma quell’onda irrefrenabi- in realtà tutto si le, ma poi - si sa - il suc- è originato pri- cesso forse arricchisce ma, molto prima, economicamente ma quando un timido spegne interiormente ed effeminato ra- e quel moto sinusoida- gazzino, cresciuto le ha continuato la sua in un duro con- corsa disarcionandoli testo sociale, per in maniera definitiva. fuggire tutto ciò e Giusto così: l’alba e il dalla sua esterna tramonto, il giorno e la apparenza di sfi- notte, la vita e la mor- gato si rinchiude te fanno parte della quotidianità, della natura e nella sua cameretta consacrando ogni speranza e dell’umanità, e chi più della band mancuniana felicità agli idoli immortalati nei poster appesi sulle ha espresso meglio questi concetti? Per cui sentir sue quattro mura, tra tutti David Bowie, Roxy vociferare oggi di una loro possibile reunion ci Music e New York Dolls. Brama il successo, ma fa sorridere amaro, perché sappiamo bene che le soprattutto riflette su di sé, sulla sua condizione. E canzoni da loro scritte in quegli anni continuano a infatti la struggente poetica degli Smiths non può propagarsi e a consolarci come lunghe onde infini- prescindere dai dolori del giovane Morrissey. te. Non saremmo surfisti, ma quel dolce suono di Chi invece interpreta il mondo su scale armoni- risacca ci fa sentire come in cima alla cresta pronti che è John Martin Maher “Marr”. Nato il 31 per l’adrenalinica discesa. E no, non pensiamo che ottobre 1963, di lui c’è poco da dire sennonché sia dei redivivi Smiths possano rievocare ciò che fu, un dotato chitarrista dal gusto melodico superiore ciò che è stato e ciò che sarà per sempre. alla norma. I suoi polpastrelli riescono con una fa- cilità disarmante a far scaturire arcobaleni di note, Ha n d In Gl o v e a metà tra la pioggia e il sereno, per l’appunto. Manchester, primi anni Ottanta, piena era post Se la poetica degli Smiths è tutta opera di Moz, punk. C’è un ragazzo col ciuffo, eccentrico e mo- non c’è dubbio che l’incisività pop dei brani sia tivato, che orbita intorno all’ambito musicale della tutta farina del sacco di Marr: ecco i presupposti città, ne scrive su alcune riviste locali, ma soprat- della sintesi perfetta in eterna dualità. Ma come si tutto ne incarna lo spirito più fanatico: diviene ad- incontrano questi poli contrapposti? Tramite mi-

106 / Rearview Mirror steriosi e segreti bivi del destino, come sempre. dica, con un impatto pop di sicuro successo. Uno Entrambi orbitanti in band minori cittadine, si scheletro essenziale di basso e batteria sul quale si sfiorano in un gruppo chiamato Nosebleed. I aggiungono le sei corde di Marr, qui ancora trat- due, buttando giù alcune canzoni insieme, annu- tenute in un refrain ripetitivo ma già in grado di sano l’aria, guardano l’orizzonte, sentono il boato accendere quel virtuoso e intermittente prisma di lontano e, nella quiete contratta prima della tem- colori che le contraddistinguerà splendidamen- pesta, scambiandosi occhiate complici, decido- te, un’armonica a impreziosire, ma soprattutto la no di prepararsi per cavalcare l’onda insieme al voce di Morrissey a incidere le prime ferite con i batterista Michael Joyce e al bassista Andrew suoi emozionanti saliscendi e con la sua malinco- Rourke. Alcune prove per testare l’equilibrio e i nica forza comunicativa. quattro sono pronti. L’oceano si allunga ritraen- Questi i pregi dal punto di vista stilistico-musicale. dosi, un’irrefrenabile corrente li risucchia fin sulla Chiari sono i riferimenti allo spleen attitudinale cresta spumeggiante, l’adrenalina è al massimo: è estrinsecato da band come Joy Division, Televi- tempo del carpe diem, non c’è un istante in più per sion e Fall, ma gli Smiths trascendono ogni limite pensare. post punk, creando una loro personale e originale Attorno al gruppo si crea sin da subito un gran mo- idea pop, guardando ancora più indietro nel tem- vimento di manager e discografici, perché il primo po, verso i Sixties. Si canta di un amore idealizza- demo registrato dai Nostri riluce di predestinazio- to, quasi ultraterreno nella sua semplicità, perché ne. Nel 1982 il verbo degli Smiths inizia così a var- inviso dal perbenismo imperante. care i confini mancu- Il booklet del 45 giri, niani, conquistando che in copertina im- e fidelizzando un po’ mortala in una foto ovunque in Gran rétro un uomo nudo Bretagna: i concerti di schiena (tratta dal cominciano ad essere libro Il maschio nudo sold out, e addirittu- di Margaret Walters ra la EMI si interes- del 1978) ritenuta sa a loro. Ma è il più scandalosa alla sua lesto e lungimirante uscita, inizia quel- Simon Edwards la che sarà l’estetica della Rough Trade a iconografica degli farli firmare, assicu- Smiths: provocatoria- randoseli per sempre. mente romantica con L’onda che arriva rimandi letterari e ci- è gigantesca e ver- nematografici. Presa tiginosa, e i Nostri la decisione di non sembrano non aspet- effigiare mai la band tare altro. Balzano o qualche suo com- in piedi e in quel giorno di primavera del maggio ponente nei booklet, è Morrissey stesso a scegliere 1983 scivolano a tutta velocità e a proprio agio nel le immagini che andranno a identificare ogni sin- ventre cristallino, come se non avessero mai fatto golo e ogni album della band. Tale decisione, oltre altro. Il loro primo singolo, Hand In Glove, sono tre che alimentare inevitabilmente un alone di miste- minuti e ventitré secondi di pura incisività melo- ro intorno alla band, si fa rivelatrice della ricerca

Rearview Mirror / 107 estetica del cantante: la sua straordinaria “omo” colorati come fiori, non più celati. Fanno tutto ciò sensibilità feticistica lo conduce ad esorcizzare con leggiadri arpeggi sixties, con falsetti femminei ogni frustrazione esistenziale nell’idealizzazione sopra le righe, con maglioncini a collo alto, con li- del bello trascendentale. Ecco perché le copertine riche sofferte ma giocose, romantiche ma pensose. immortalano star ci- Certo, anche tutte le nematografiche -de band inglesi orbitanti gli anni Cinquanta intorno alla Sarah e Sessanta nella loro Records, con tutte pura e spensierata le loro delicate inter- eleganza: sono i miti, mittenze pop, si muo- come Alain Delon o vevano parallelamen- James Dean, ad aver te ai Nostri, causando segnato per sempre simili scosse sismiche la sua adolescenza, al contesto musica- catalizzando i suoi le preesistente. Ma sogni e desideri. non di pari intensità Oppure sono scatti e potenza mediati- anticonformisti, pre- che di quelle smith- gni di rimandi an- siane: Morrissey e drogini, omosessuali Co., infatti, unendo o antimilitaristici, a autenticità, genio e, rappresentare il lato soprattutto, carisma più coraggioso e ol- sono riusciti a farsi traggioso, difficile da trovare nel posto giu- esprimere quotidianamente. Proprio per questo sto al momento giusto, e la Storia li ha innalzati l’impatto grafico degli Smiths fa tutt’uno con la e mitizzati, azzerandogli apparentemente la con- loro musica, diviene complementare perché si erge correnza. Lo stesso motivo per cui l’amore dei fan come perfetto contraltare alle canzoni. Mentre ve- nei loro confronti è infinito quanto l’odio provoca- niamo straziati da testi che cantano delle difficoltà to dai loro detrattori. Cose che capitano solo alle della vita, di ipocrisie e sogni infranti, si resta affa- grandi band, purtroppo. scinati visivamente desiderando di esser rapiti dal mondo-copertina. Th e s e Ch a r m i n g Me n Ma gli Smiths hanno causato un terremoto socio- La pubblicazione di altri due 45 giri, This Char- artistico non solo per la loro iconografia. Il fatto ming Man - allegro e sbarazzino riff chitarristico, è che in quegli anni il pubblico non era abituato sul quale il melodioso falsettare di Moz declama a tanta sensibilità estetica: erano tempi in cui il una storia sulla ricerca di maturità di un ragazzo punk e il suo post avevano innalzato l’oscurità, il seduto in un auto affianco ad un uomo affascinan- nichilismo e la dissonanza a paradigmi estetici, il te - e What Difference Does It Make?, fa degli Smiths nascondere e il decolorare le emozioni e le frustra- il nome nuovo su cui puntare. I quattro sembrano zioni dietro un atteggiamento iconoclasta. Con gli danzare a proprio piacimento su quell’onda vorti- Smiths tutto ciò viene ribaltato romanticamente cante, ora lambendone la cresta con manovre ra- nel segno della naturalezza e della spontaneità: se i dicali, ora scivolando lineari col sole negli occhi. problemi ci sono essi devono sbocciare luccicanti e Dopo un trittico di singoli capolavoro come que-

108 / Rearview Mirror sto, l’attesa del vero debutto discografico su grande colta della band, Hatful Of Hollow. Adesso è formato si fa a dir poco spasmodica. Ma l’uscita di l’etichetta a cavalcare le onde create dal passag- The Smiths slitta continuamente fino a febbraio gio di quella smithsiana, e queste profumano di del 1984. soldi e di affari. Male di poco, comunque. Perché Eccolo qua l’esordio ufficiale: copertina impecca- la tracklist dell’album è di quelle che passano alla bile e di forte impatto e undici canzoni che han- storia. Ci sono tutti i pezzi più riusciti dai Nostri, no veramente poco da farsi recriminare. Si va da con l’inclusione di b side e riletture di brani iniziali melense ballate bucoliche (Reel Around The Fountain) composte per l’occasione. Un disco che sintetizza a giovanili frenesie umorali (Still Ill), fino a malin- perfettamente tutta la portata pop rivoluzionaria coniche introspezioni (Suffer Little Children e I Don’t della band nei suoi primi anni di attività, che per Owe You Anything). Da evidenziare come Marr sem- molti hanno rappresentato la vetta più alta della bri apparentemente soltanto accompagnare, con loro produzione artistica. Ma non solo, scorrendo giri di chitarra quasi ossessivi nel suo ripetersi, la i titoli se ne scorge uno nuovo di zecca, How Soon voce di Morrissey, salvo poi constatare che proprio Is Now?: canzone devastante, che oltre cambiare la questo loro duettare a distanza si elevi sopra il più vita di molti fans, detterà anche il nuovo percorso monotono schema post punk da cui prendevano artistico-umano del gruppo. le mosse, dando vita a ciò che sarà il loro persona- le sound. Troppa però la differenza tra l’album e Ho w So o n Is No w ? quei tre preziosi 45 giri. E questo sarà un “difetto” Il brano viene anche pubblicato come singolo nel che i Nostri mai perderanno: saranno sempre più febbraio del 1985. È un vortice di riverberi ed ef- incisivi e a proprio agio nel piccolo formato che fetti, ora, a scandire l’incedere chitarristico, l’at- non negli album veri e propri. mosfera si fa contratta e umbratile, la sezione rit- Dimostrazione di ciò giunge sul finire del 1984 con mica si fa più pensierosa, in altre parole si perde l’uscita di due nuovi singoli, nei quali una glassa quell’innocente andatura naif e spensierata che li pop multicolore ricopre un cuore tenero e dolce aveva contraddistinti fino ad allora, ma si guada- di marzapane che al solo assaggio la primavera gna stupendamente in profondità. Il mood è av- sembra esplodere nel palato e tutt’intorno: Heaven volgente, lisergico, sul quale la voce di un inquieto Knows I’m Miserable Now e William, It Was Really No- Moz non fa che spennellare sfumature ancor più thing. drammatiche fino a raggiungere un climax emo- Ecco qua tutta l’incisività pop degli Smiths, la loro zionale da lasciare tramortiti. E poi quel testo sulla dualità che si diverte a intrecciarsi continuamente, debolezza e sulla disperazione umana e sul biso- mostrando simultaneamente il dolore e la cura, il gno incommensurabile di amore che molto proba- giorno e la notte, il riso e le lacrime, a volte ad- bilmente mai arriverà. dirittura divertendosi a scambiare di posto que- Se fino adesso gli Smiths piroettavano su quell’on- sti estremi contrapposti. E che sorpresa scoprire da indomabile da nessuno se non da loro, con How come b side del secondo 45 giri un brano che in Soon Is Now? si intubano nel suo ventre buio e ma- un minuto e cinquantuno secondi provoca intime terno per uscirne maturati e più consapevoli dei rivoluzioni estasianti: Please Please Please Let Me Get propri mezzi. Ma si sa, quando si cresce, quando What I Want. il successo ci conquista totalmente, a volte è faci- Il 1984 passerà alla storia come l’anno più pro- le disconnettersi da quel mondo che fino a poco ficuo degli Smiths. Infatti, con solo un album e prima ci era familiare, seppur ostile: l’adolescen- una manciata di singoli alle spalle, la Rough Tra- za. È come quando un bravo surfista troppo sicuro de decide di pubblicare addirittura la prima rac- diminuisce l’attenzione e viene travolto. Ecco, gli

Rearview Mirror / 109 Smiths hanno rischiato di fare la stessa fine, e me- loro manovre virtuose sono limitate al minimo in- nomale che il loro secondo album, Meat Is Mur- dispensabile. E un cielo livido oltremodo si staglia der, ne risentirà solamente in parte, continuando sopra le loro teste. Che sia l’inizio della fine? però a confermare la teoria della loro predisposi- zione al piccolo formato. Th e r e Is A Li g h t Th a t (Ne v e r ) Go e s Il disco pur rappresentando un mezzo passo falso, Ou t racchiude in sé buoni episodi,soprattutto per le liri- Tutto sembra andare per il peggio, nonostante che sempre più pungenti e intelligentemente impe- l’incetta di premi che i Nostri fanno un po’ ovun- gnate di Morrissey. Bellissimo booklet, come sem- que: saltano i manager, i rapporti interni si fanno pre, che avvolge dieci sempre più tesi. Ma a tracce che prendono far quasi degenerare in qualche modo le il tutto è Morrissey. distanze da quella Rinchiusosi nella pro- spontanea semplicità pria torre d’avorio, dei trascorsi recenti. sembra guardare tut- Emblematico di ciò ti dall’alto della sua è il minutaggio delle spocchia, fino a salta- canzoni che aumen- re presentazioni tele- ta considerevolmen- visive della band sen- te la propria media za avvisare nessuno. rispetto ai tre minuti Nemmeno la pubbli- pop. Non dispiac- cazione di un nuovo ciono i virtuosismi singolo, The Boy With musicalmente acidi The Thorn In His Side e liricamente violen- (con una splendida ti di Barbarism Begins copertina raffiguran- At Home, la melodica te Truman Capote), circolarità pop di The riesce a stemperare Headmaster Ritual e le gli animi. E sì, che quiete dilatazioni sonore delle title track e del sin- dentro questi poco più di tre minuti ci sono tut- golo That Joke Isn´T Funny Anymore. Ma How Soon ti gli ingredienti giusti: solari e sbarazzini fraseggi Is Now?, però, resta l’unica a toccare certi picchi chitarristici, ritmiche vigorose, e il solito falsettare artistici, e dunque l’unica vera grande canzone malinconico e prodigioso a declamare la cecità di dell’album. un mondo che non riesce a capire l’amore sofferto Stavolta, neanche il successivo singolo pubblicato, del ragazzo con una spina nel fianco. La prima- Shakespeare’s Sister, riesce nell’impresa dei suoi pre- vera sembra germogliare rigogliosa ascoltando il decessori. Il successo di pubblico è sempre tanto, brano, e invece tutto all’interno della band sembra oramai i due volti trainanti la band, Moz e Marr, appassire inevitabilmente. sono considerati alla stregua di vere e proprie ico- Ma forse è proprio vero che nei momenti di diffi- ne: il fanatismo che li circonda ha raggiunto livelli coltà il genio che si cela dentro ognuno di noi, den- esorbitanti e la loro coppia è già entrata a far parte tro l’uomo qualsiasi, trova sempre la via migliore della storia della musica. Ma gli Smiths sono in una per diradare l’aria malsana intorno. fase di stanca, tengono ancora l’onda ma adesso le Il terzo album degli Smiths, uscito nel 1986 dopo

110 / Rearview Mirror esser rimasto parcheggiato per molti mesi senza seggiata al cimitero “un terribile giorno di sole” alcun motivo, è la riprova empirica della loro pe- tra rimandi letterari in Cemetry Gates. culiarità artistica. E chi l’avrebbe mai detto che The Queen Is Dead è senza ombra di dubbio in una situazione che si apprestava a collassare l’album più riuscito degli Smiths: il suono è matu- definitivamente, i Nostri avessero calato il poker ro ma il minutaggio medio delle canzoni difficil- d’assi vincente, fin già dal titolo e dalla copertina: mente oltrepassa i tre minuti, si alternano passaggi The Queen Is Dead impresso in una suggestiva frenetici e immediati ad atmosfere dilatate ed inti- immagine di Alain Delon. In queste dieci canzoni mistiche senza mai cadere nel banale o nel melen- il sole sembra esser tornato a baciare di luce ab- so. Ma veramente quella luce mai si spegnerà? bacinante quella cresta spumeggiante sulla quale i Nostri, con i virtuosismi da polpastrelli di Marr Th e Sm i t h s In An Un d e r w a t e r Dr e a m e le impennate e le invenzioni vocali di Moz, pi- Ora tutto fa pensare che le cose vadano veramente roettano armoniosi e veloci con il primo singolo per il meglio: un nuovo singolo viene pubblicato estratto Bigmouth Strikes Again: canzone ironica e e immediato è il successo, forse il più grande dal arrabbiata che ci narra di una Giovanna D’Arco punto di vista commerciale. Si tratta di Panic: un “lingualunga” contemporanea, con tanto di cuf- riuscito lavoro di spontaneità, in cui la chitarra di fiette, che “non ha diritto di avere un posto nel ge- Marr, ben coadiuvata dalla sezione ritmica, crea nere umano”. un tappeto sinuoso in cui la voce di Moz declama Ecco, proprio le liriche colpiscono nella loro in- ripetutamente il famoso verso “Hang the Dj” (im- telligente commistione di cinismo, ironia roman- picca il Dj). Per la prima volta in assoluto i mancu- ticismo e giochi lessicali, trattando temi ora impe- niani decidono di promuovere il brano anche con gnati ora frivoli, ma sempre anticonformisti anche un video. Il lavoro viene assegnato al talentuoso quando è una “semplice” storia d’amore ad esser regista Derek Jarman, che ne costruisce un vero e cantata. Proprio come accade nella ballad dal ti- proprio cortometraggio di una ventina di minuti tolo folgorante, There Is A Light That Never Goes Out: da non perdere, con l’inserimento anche di There emblematica sintesi Is A Light That Never di quello spirito ado- Goes Out e The Queen lescenziale con la A Is Dead. maiuscola. Non da Inoltre nel 1987 vie- meno è la title track ne pubblicata dalla che nella sua anti- Rough Trade anche istituzionalità, in la seconda raccolta di questo caso monar- materiale, intitolata chica, fonde insieme The World Won’t poeticamente imma- Listen, che tra sin- gini rabbiose, disin- goli e b-side racchiu- cantate e disperate. de il secondo periodo Oppure l’umorismo della band. Di essa dileggiante in Frankly, l’etichetta inglese ne Mr Shankly, il malin- stampa anche una conico decadimento versione alternativa in I Know It’s Over e ed estesa, Louder l’emozionante pas- Than Bombs, sol-

Rearview Mirror / 111 tanto per il mercato statunitense. fosse l’ultimo omaggio al mondo, lo valorizza più Ma altre e più compatte nubi arrivano improvvi- di quello che realmente vale. se e minacciose ad oscurare il cielo sotto il quale La verità è che esso è un lavoro dignitoso, che al- gli Smiths sembravano finalmente vorticare senza terna ottimi episodi, ma non memorabili canzoni, problemi. Il tour americano, appena intrapreso ad altri davvero trascurabili. Certo quella magia sull’entusiasmo dei buoni riscontri dell’album, di- pop a cui ci avevano abituati è lungi dall’essere viene esperienza disastrosa se non traumatica: la evocata, ma l’onda si è chiusa su di loro e questi carovana si interrompe senza portare a termine sono soltanto gli spruzzi e i riverberi delle ultime tutte le date in programma. Il gruppo viene cor- virate multicolori. Girlfriend In A Coma, A Rush And teggiato pressantemente dalle major, e la Rough A Push And The Land, Last Night I Dreamt That Some- Trade è sul punto di capitolare. Tutto ciò riacutiz- body Loved Me, Death Of A Disco Dancer e I Started za ferite mai rimarginate, provocando un’emorra- Something I Couldn’t Finish gli episodi migliori. Passa gia, stavolta difficile da tamponare. appena un anno e la Rough Trade pone il suo si- Ci provano con il successivo singolo Ask: il brano gillo sulla carriera della band con la pubblicazione ha tutte le carte per sfondare e infatti così è, ma dell’immancabile live: Rank contiene la registra- non riesce ad arginare i malumori che circondano zione del concerto tenutosi al National Ballroom la band. Quel ritornello che si incunea inesorabil- di Londra nel 1986. mente nelle orecchie, che fa battere le mani, con Ma ormai gli Smiths hanno terminato la loro calei- quello zucchero filato che esce direttamente dalla doscopica corsa e la fine è stata autistica: silenziosa chitarra, conquista il pubblico, ma non fa tornare e incomunicabile. Il fatto è che nessuno, esterna- il sole, neanche un raggio. Infatti gli altri due 45 mente, ha potuto registrare la loro caduta da quel- giri, Shoplifters Of The World Unite e Sheila Take A la mastodontica massa d’acqua che fino a quel Bow, che dovrebbero allietare l’attesa per il nuovo momento avevano padroneggiato: non si sono vi- album in registrazione, risultano essere puro ma- sti corpi mulinare nella schiuma e soprattutto non nierismo, niente di più. si sono scorte teste riemergere in superficie, come L’onda si sta avviluppando sugli Smiths incame- se loro non fossero mai stati lì, come se tutto fosse randoli nel proprio ventre ora freddo e scurissimo. stato un sogno, un bellissimo e confortante sogno. Dall’esterno si potrebbe avere l’erronea impressio- Oppure, come se avessero deciso di non riemerge- ne che il gruppo si stia preparando all’ennesimo re mai più, restando confinati per sempre nell’abis- prodigio, dato che si trovano in studio a preparare so, e magari lì continuare a suonare e cantare quello che invece sarà il loro ultimo album in stu- dell’adolescenza dei pesci, delle alghe, dei caval- dio. Strangeways, Here We Come uscirà, in- lucci e delle stelle marine. Ma sappiamo bene che fatti, postumo nel 1987, sempre sotto l’egida della non è andata così. E tutto quello che è successo Rough Trade, nonostante la EMI avesse oramai in dopo è un’altra storia, ché qui abbiamo narrato di pugno la band. Il primo ad abbandonare è Marr, onde e primavera, di surf e adolescenza. stufato ed estenuato dall’ennesimo capriccio del “Life is very long, when you’re lonely” (The Queen suo vocale alter ego. Disorientati, Rourke e Joyce Is Dead). non attendono altro che sia proprio un irato Moz ad ufficializzare la resa nel settembre del 1987. L’album, con Richard Davalos in copertina (dal filmLa valle dell’Eden), rappresenta così il loro testa- mento artistico, e forse proprio questo alone misti- co che lo circonda, questa consapevolezza che esso

112 / Rearview Mirror Rearview Mirror / 113 Ristampe

Boohoos – Here Comes The Hoo (Spit/ terete, conserva anche oggi la sua freschezza. Si Fire, novembre 2008) sente che la band amava allo stesso modo tanto Ge n e r e : g l a m r o c k Black Sabbath (vi ricordano niente ritmo e riff In Germania i musicisti locali ascoltarono il r’n’r delle strofe di Meet Us?) quanto New York Dolls. e ne trassero il krautrock. In Italia quando arrivò Si sente la determinazione. Si sente Detroit ma an- la new wave fu gara a chi riuscisse a somigliare che un pizzico di Pesaro. Nella sfacciataggine forse, di più ai modelli anglosassoni. E via dicendo. Può chi lo sa, magari menefreghismo; insisto: è deter- essere, ma i Boohoos furono una mezza stagione. minazione; e coinvolge come la cover di Search And Mettersi a fare glam rock nella seconda metà degli Destroy, o, ancora meglio, come Bloody Mary – voo- anni Ottanta deve aver significato qualcosa come doobilly manualistico, forse, però che spasso. battere il pungo sul (7.0/10) tavolo per spazzare Gaspare Caliri via le tappe obbli- gate, per rincorrere The Gynecologists – Hoosier Psycho- la rincorsa di cui paths 1981-1994: The Official Re- sopra – benché al- cordings (Gulcher, 2008) cuni membri della Ge n e r e : p u n k band fecero gavetta Ripercorrere le oscillazioni. Fare una ristampa di nell’hc nostrano. tutta la carriera di una band significa soprattutto Ne vennero fuori un questo. Vuol dire accostare le cose più famose a demo (Bloody Mary, 1986), un LP (Moonshi- quelle meno note, persino mettere nelle condizioni ner, 1987), un EP (The Sun, The Snake And di far risuonare i brani meno riusciti in quelli più The Hoo, 1987) e una buona risonanza a livello convincenti. E viceversa. nazionale, con qualche puntata tattica lassù, nel Viceversa c’è del buono e proattivamente marcio mainstream. Qualche mese fa Spit/Fire (divisione anche in Jimmy Jones, e in analoghe canzoni punk- Spittle, e come poteva non esserlo) ha stampato banalizzate dei The Gynecologists; l’esempio è una sorta di summa/selezione delle tre produzioni We’re An American Band, sporcatura di qualcosa che della band, e la intitola Here Comes The Hoo. è semplicemente banale, pur se forse il titolo de- Bisogna ammettere che quel rockaccio fatto di riff nuncia una certa ironia attorno al pezzo. C’è però e urla d’Iguana (Downtown Train), solo all’apparen- anche di molto meglio nelle trenta tracce di Ho- za dannato e melmoso, in realtà divertito e diven- osier Psychopaths 1981-1994: The Official

114 / Rearview Mirror Recordings, album-ristampa-culto edito da Gul- Marlene Kuntz - Best Of (Virgin / cher per recuperare le gesta della band di Indiana, Emi, 23 gennaio 2009) che in realtà constava delle fibrillazioni del solo Ge n e r e : r o c k cantautoriale Tommy Afterbirth – inquieto e repubblicanamen- Come giudicare un “Best Of ”? Diciamo la verità: te ambiguo, ma capace di essere genuinamente è un dilemma che ci risparmieremmo volentieri, dirompente, come in Leper Colony, o in Infant Doe, tanto ci sembra evitabile questo raccogliere il già dove il suo timbro vocale ricorda un misto tra gli raccolto, questo rituale che celebra una (vana)glo- scimmiottamenti cartoonati dei Residents di Not ria postuma di se stessa, col prosaico seppur lecito Available e l’ugola sgraziata di Ian McKaye scopo di raggranellar grana. Tuttavia, son vizietti C’è tutta la produzione del gruppo in questa rac- cui nessuno o quasi sfugge, quindi perché biasima- colta, e l’ascolto fa sentire l’odore acre di scoppiet- re i Marlene Kuntz se a tre lustri dal debutto si tanti aneddoti; come quella volta che Tommy in- concedono questo peccatuccio veniale? Tanto vale viò Faces & Psycopaths, primo EP della band entrare nel merito, che in casi del genere significa (qui presente nelle spesso fare l’appello e inarcare le sopracciglia per prime 4 tracce), al le “clamorose assenze”. E’ presto detto: tra i titoli New Yorker per ot- in programma non figurano tracce comeLieve , So- tenere una recensio- nica, Ape Regina e Le putte, pezzi che ogni fedelissimo ne, che gli fu negata non toglierebbe dalla playlist kuntziana neanche motivando il rifiuto sotto la tortura di un redivivo Bellarmino tra i de- col fatto che c’era liziosi confort di Bolzaneto. Ma il fedelissimo se ne già troppa roba di- faccia una ragione, perché a mio modo di vedere è sgustosa, in giro. In una scelta giustificata. effetti gli esordi erano assimilabili al punk, specie Difatti, la selezione sembra voler porre un deci- nella sua proto-versione stooges-iana – citiamo so accento sulla cifra autoriale che negli ultimi a testimone il cavallo di battaglia (nonché primo lavori ha preso il sopravvento sulle intemperanze pezzo scritto dall’Afterbirth), Dog Face; e però in- soniche, quasi ad indicarvi un approdo naturale, dicavano già le tastiere come strada di differenzia- l’immancabile evoluzione di un discorso che an- zione. Ricordate gli Stranglers? che nell’asprezza degli esordi tirava in ballo situa- La cavalcata prosegue con un altro EP (Kinder, zioni e modi dai palpabili rimandi letterari. Un Gentler Nation) e due cassette (A Goat...You “messaggio” reso ancora più pregnante da episodi Geek e Auto-Erotica Asphyxia & Various come La libertà, capolavoro firmato Gaber di cui Moldy Turds), dove, come si sottolineava sopra, Godano e soci s’impadroniscono con impeto e na- si toccano alti e bassi; ma è nella sezione finale del- turalezza, rimarcando assieme alle altre due cover la compila che crediamo di aver sentito le cose mi- - quella Impressioni di settembre presenza fissa nei live gliori; sono B-Side e rarità soprattutto live, come recenti e una sordidella Non gioco più - link sempre Fart Speak / Fucking Wench, la traccia finale, che più saldi con la tradizione canzonettistica (in senso ricorda i Chrome, spettro industriale percussivo alto) e finanche progressiva italiana. e sporchissimo; dal vivo, dove pare proprio che Se l’interpretazione fosse giusta, se - in altre paro- Tommy desse il suo meglio. Secondo chi scrive le - la stesura della scaletta riflettesse l’immagine soprattutto i suoi musicisti. Per una volta le rarità che la band oggi ha di se stessa (e chissà quanto ha fanno da vero compimento di una ristampa. realmente pesato la volontà di Godano e soci nel (7.0/10) redigerla), questa compilazione raggiungerebbe Gaspare Caliri appieno lo scopo: tirare in ballo più o meno equa-

Rearview Mirror / 115 mente tutti i sette album disegnando una parabola sisce questo cartonato – oltre alle apprezzate scelte che decolla sui furori sonici per avvitarsi via via nei grafiche. È un concetto che sembra scontato ma tormenti acri e pensosi della canzone rock adulta. solo senza la profondità del tempo; si tratta della Non a caso, ecco che nel bel mezzo del cammin questione della selezione all’interno di un contesto; spunta Il pregiudizio, pezzo inedito - gioia e danna- cioè dell’importanza di queste band come selettori zione del fedelissi- e “importatori” in Italia delle proprie fonti che a mo di cui sopra - che loro volta saranno quelle dei successori. Sono deci- sintetizza egregia- sioni come queste che diventarono “condizioni di mente quanto detto possibilità” per il post punk italiano; e lo dimostra- confezionando una no, a creare peso specifico, le sovrapposizioni tra ficcante e trepida quest’album e le compile tratte da Rockerilla che invettiva in aspra poco tempo fa la stessa Spittle ha ristampato, nelle vestigia rock. primissime file del suo catalogo della rinascita. Tirate le somme, In fin dei conti questo è il mestiere della Spittle; la alla fine più che ricostruzione – sotto un qualche criterio di perti- un’antologia rivolta al neofita bramoso di “farsi nenza, qui locale e geografico, per esempio - di un un’idea” - cui consiglierei semmai i due gustosi tentativo di costruire una scena. È una questione live H.U.P. del ‘99 e S-Low del 2006 - sembra un di taglio, più che di riscoperta. E non è operazione buon pretesto per farsi una ponderazione su pas- semplice.(7.0/10) sato, presente e (forse) futuro di una band che - la Gaspare Caliri si apprezzi o meno - in Italia ha scavato un solco ancora parecchio trafficato. (6.8/10) – TWIN INFINITIVES (DRAG Stefano Solventi CITY, GENNAIO 2009) GENERE: PSYCH/DEMENTIA Jeunesse D’Ivoire, La Maison, Other A distanza di quasi vent’anni dalla sua originale Side, State Of Art – Milano New Wave messa in circolo – anno di grazia 1990, per la stessa 1980-83 (Spittle, 2008) Drag City - Twin Infinitives non appare più come Ge n e r e : n e w w a v e quel mostro informe Milano New Wave 1980-83. Quattro band dei che in origine fece primi anni Ottanta milanesi – Jeunesse D’Ivoi- gridare – a seconda re, La Maison, Other Side, State Of Art - degli schieramen- che la solita Spittle Records decide di pubblicare, ti – al miracolo od compilate da Fred Ventura (sì, quello della italo- allo scandalo. Con disco), per dare loro un corpo stampato (su cd) che questo non inten- spesso non hanno mai avuto; un invito a nozze per do ridimensionare ovvi giudizi circa la dervivatività dei detti gruppi l’opera eroinomane nei confronti dei modelli stranieri allora in auge. dei due, che prima Fatto che in realtà sussiste, specie nei confronti dei di passare al metadone e ad una forma canzone in Contortions-pensiero (onnipresente ovunque si odor di Rolling Stones (l’ottimo debutto per Vir- palesi un sax o una base funk) e della miriade di gin, Thank You, e l’altrettanto riuscito Accelerator esempi goth-punk inglesi – a loro volta poco origi- per la ritrovata Drag City) seppero inscenare un nali, nella maggior parte dei casi. tributo sincero alle brutture del rock’n’roll tutto. Eppure c’è qualcosa che al di là di questo imprezio- Restando ovviamente fuori dal circo. Che in que-

116 / Rearview Mirror gli anni significava rinunciare all’ottica esistenzia- apertamente gli interessi e gli intenti dell’artista. lista del lo-fi e alle dorate volte delle multinazionali I nove elementi di Channel X (1985-95) utilizzano alla caccia di nuovi rockers dal Northwest. Jennifer la forma breve per dar voce alla frammentazio- Herrema e l’ex-Pussy Galore Neil Hagerty muove- ne elettronica e al collage sonoro fatto d’incisioni vano in tutt’altra direzione, pur ammaliati da una d’eventi e disparate altre fonti sonore. Dalle in- dimensione casalinga. Tra squassanti drum ma- terferenze in trasmissioni radio alle voci tagliate, chines, blues al fulmicotone, litanie d’altri tempi e le tracce mutano psicotiche frequenze proto-folk, i nostri realizzava- forma e spazio per no il loro capolavoro errato. Che Drag City ripub- poi diventare parte blica nel formato doppio vinile, proprio per riba- unitaria di una sor- dire l’importanza dell’ingombrante disco nero. Un ta di conversazione doppio album proprio come in origine, un grosso universale: il tutto punto interrogativo nell’evoluzione dell’indie-rock ottenuto grazie a dei primi novanta, con una coppia di junkie che quella personale te- soffriva dei propri incubi musicali, rispondessero nuta d’insieme fatta al nome di Captain Beefheart, Wild Man Fischer, d’elettronica di segnale e di drones. Alle cinque Throbbing Gristle o King Tubby (per godere Zones (1994-1995) spettano invece le meditazioni dell’estatica componente dub del gruppo consi- più profonde, quelle di borbotti atonali, matrici gliamo il postumo Hand Of Glory). Mistificatori o minimali, astrazioni elettroacustiche e incisioni no con Twin Infinitives sbeffeggiarono – ed anche sintetiche che entrano in perfetta sintonia con ri- sonoramente – il rock più pantofolaio, in una ressa letture che si sarebbero dette ambient. di idee e screzi affatto calcolati (7.2/10) Ed infine Luxus (1993), dalle concretezze decisa- LUCA COLLEPICCOLO mente attuali, che dialogano rarefacendosi, tra passaggi di luce in voci ed archi, astrazioni in glis- Ryoji Ikeda – 1000 Fragments sato e basse frequenze. (Raster-Noton / 2008) A fine ascolto 1000 Fragments vince l’ostacolo Ge n e r e : Ry o j i Ik e d a del tempo e conquista ancora oggi con quel suo Il primo incontro con l’universo creativo di Ryoji naturale senso d’appartenenza al suono che in po- Ikeda risale al 1995, anno che battezzò la sua car- chi sanno catturare come Ikeda. (7.9/10) riera artistica con il nome 1000 Fragments. Sara Bracco A distanza di più di dieci anni, la seconda edizione dell’omonimo disco firmata Raster-Norton diven- New Order – Movement / Power Cor- ta quasi necessaria a consolidare il dovuto merito ruption And Lies / Low Life / Broth- all’artista giapponese. Bisogna allora ancora una erhood / Tecnique ristampe (Rhino volta fare i conti con quella che è stata definita e Records, 2008) continuerà ad essere definita un’uscita decisamen- I quattro Joy Division avevano già deciso che se te influente, che lascia intravedere, leggere per la qualcuno avesse lasciato il gruppo, i restanti avreb- prima volta, o riscoprire inclinazioni e anticipazio- bero continuato con un altro nome. Dal maggio ni. La differenza la fa proprio la distanza,il tempo 1980 quindi c’è stato un dipanarsi temporale che che ha legato e tutt’ora lega gli ormai assodati ri- ha portato la band di Manchester ad una rinascita sultati di perle sonore quali +/-, 0°C o Matrix. personale, che avrebbe fatto perdere la stima dei La materia si divide in tre principali composizioni fan della prima ora per acquisire un largo seguito, che risalgono a tre periodi differenti e dichiarano e che ha consegnato agli ‘80 alcune delle miglio-

Rearview Mirror / 117 ri contaminazioni fra musica di ispirazione pop e costruire numeri di brioso dance/synth-pop (The nuove frontiere dance. Village, Ecstasy, 586), malinconiche canzoni da Siamo alla fine del 1981.Movement come la mi- spiaggia a fine estate Leave( Me Alone), meravigliose gliore elaborazione del lutto possibile. E infatti le derive di synth e sequencer in media battuta che trame tribaloidi del fu singolo Atmosphere dei Joy marchieranno a fuoco tutti gli ’80 (Your Silent Face, Division, accompagnamento definitivo del fere- Ultraviolence) e non fosse altro (grazie al secondo tro di Ian, diventano il leitmotiv per entrare nei cd) per traghettarci nel manifesto di prima “dance chiaroscuri di que- grandeur” che è Blue Monday. Altre chicche risie- sto primo disco dono nella ballad languida in chiave synth-pop di New Order. Sentori Thieves Like Us e nei beat quadrati della poliedrica dark per un’intro- Confusion. (8.0/10) spezione opprimen- Low-Life è l’esternazione completa e matu- te e scomoda, dove ra del senso pop che il gruppo si porterà dietro a sgambettare sono fino agli ultimi dischi e soprattutto la quadratura gli spettri di Closer di un cerchio electro-pop che sarà cannibalizzato a braccetto con un e depredato largamente dalla dance da classifica più oculato utilizzo dei synth, ma con il tremen- tutta fino ai primi ’90. The Perfect Kiss è lì a dimo- do errore di un Bernard Sumner che tenta di strarlo in tutta la sua fulgida grandiosità: il basso scimmiottare la voce di Ian invano. C’è ancora il di Hooky come centro attrattivo e un tripudio di post punk che talvolta diventa arresa inconsistenza synth e chitarre a divagare melodia su beat che (Dreams Never End), primordiale sincronizzazione di sono storia. Love Vigilantes che è canovaccio pop su synth e chitarra (Chosen Time) o sfogo da rigettare cui plasmare mille epigoni, Sub-Culture che ha dato in decibel di frustrazione (la coda di The Him), ma un perché al suono dei (e di tanti c’è soprattutto tutta un’estetica dark, ovviamente altri) e This Time Of Night che è bignami di “quel” desolata e nichilista (la marcia per organo e percus- tipico romanticismo mitteleuropeo. A impreziosire sioni di Denial, i beats elettronici e il basso sottopel- la presenza di versioni “lunghe” e remix dei singoli le di Truth). Un primo passo che sa di sguardo ma- e una Shame Of The Nation, prima mattonella sulla linconico indietro, che paga dazio all’ombra lunga costruzione del successivo singolo State Of The Na- del poeta maledetto e alle sue ultime atmosfere. tion. (8.2/10) La ristampa ridimensiona il voto aggiungendo un Brotherhood è stato il Republic degli anni ’80, mezzo punto in più alla luce principalmente della i New Order che fanno con un filo di gas quello ballata post punk per eccellenza, quella Ceremony dove sono diventati più “automatizzati”, la loro di- (primo singolo) di bellezza sopraffina e grazie alle mensione più pop e commerciale. Non un album prime avvisaglie “dancey” di Everything’s Gone Green brutto, perché esempi come Weirdo, Paradise e Way e della Temptation che traghetta i Nostri in quello Of Life veleggiano tutti sopra la sufficienza con il che verrà dopo ossia negli umori dancefloor, cifra loro appeal profumatamente catchy, ma è nella stilistica imprescindibile del dopo 1982. (6.8/10) malinconia romantica di Angel Dust e nello “strike Prima di tutto in Power, Corruption And Lies out” di Bizarre Love Triangle che sono ravvisabili le Sumner prende coscienza della propria vocalità componenti interessanti di un lavoro che si siede e inonda le vibrazioni che fuoriescono dalle cas- sugli allori, compiacendosi. Alza di parecchio il se con il suo timbro post-adolescenziale tendente giudizio il secondo cd che contiene l’indispensabile all’etereo. In secondo luogo la mutazione avvenuta State Of The Nation, un piacevole remix (abbastan- con Temptation diventa fonte di ispirazione su cui za fedele all’originale) del “powerseller” True Faith,

118 / Rearview Mirror il delizioso mid-tempo di Touched By The Hand Of Di mezzo, l’episodio centrale della storia, dove si God e il nuovo mix (velocizzato e pericolosamente scopre che l’assassino è il maggiordomo e l’arma iperfarcito) di Blue Monday. (7.0/10) l’attizzatoio, è Vicious Circle, l’album di vero Gli ultimi New Order degli ‘80 sono quelli che si esordio sulla lunga durata (più o meno, date le abi- radunano nel 1988 a Ibiza per registrare il nuovo tudini del genere) e di vera raccolta dei frutti di disco e che ci hanno buttato dentro l’l’atmosfeta – già peraltro abbondantemente citati esta(sia)tica della fatidica “summer of love”. Beat a fonte in Piece Of Me, ultima traccia di Living… prorompenti e basi quasi techno per un profluvio -, Germs, Circle Jerks. Magistrale nel disco era di sequenze da dancefloor che fanno di Fine Time, la brevitas della title-track, il gioco strofa-refrain Round & Round e Vanishing Point un culmine dance di Amphetamine Addiction – che strania nel momento che non tornerà mai più così limpido. A braccetto in cui ci si accorge che usa la struttura armonica con la loro vena pista-orientata c’è la dimensione di The Other Window pop che riscopre la brillantezza di Low-Life in All degli Wire. The Way, nella circolarità perfetta di Dream Attack Tutto questo – EP, e nell’electro-pop sopraffino di Mr. Disco. Il già ot- album e tracce di timo Tecnique originale è infarcito nel secondo quel potenziale se- disco del buon singolo Run 2, da un remix di World condo album che In Motion e dalle versioni in 12 pollici dei singoli non vide mai la luce estratti dal disco. (7.8/10) – va a comporre Alessandro Grassi una coppia di uscite Secretly Canadian Zero Boys – Hystory Of / Vicious – meritevole da tutti i punti di vista più ovvi, ma Circle (Secretly Canadian, 2 marzo anche per la completezza storica delle note di co- 2009) pertina; oppure solo per lo sforzo discografico di Ge n e r e : p u n k riscoperta. Basta quello, ad ascolto avvenuto. Le Era la primavera del 1980 quando gli Zero Boys, ovvietà diventano più interessanti, se giustificate. band di Indianapolis nata l’anno prima, resgi- (7.0/10) trarono otto brani di filata in una sola notte, nel Gaspare Caliri “basement” di un amico. Nacque così il corpus di Living In The ‘80s, EP con cui esordì quello che oggi viene presentato come il miglior gruppo hc del Midwest di allora. La canzone che diede titolo al mini era un inno primo-punk speziato di Nuggets e di garage, in maniera midollare; ma anche dimostrava un gusto per la scrittura davvero più saporito della media – ribadito nella combinazione melodica voce-chitar- ra di Stick In Your Guns. Gli Zero Boys durarono fino al 1983, mutando in un hard core vero e proprio (Seen That Movie Before), nel punk hc melodico di Positive Change, fino a sbucare inAmerika , brano che li collegò, all’atterraggio della parabola, persino al rock hard-garagista di Stooges e MC5.

Rearview Mirror / 119 (GI)Ant Steps #24

Freddie Hubbard

Open Sesame (Blue Note Records, giugno 1960)

Entrò dalla porta principale, accese tutte le luci della stanza, denza generosa, si pose al centro della scena. Sembrava mosso da una frenesia languidamente incandescente, il talento spedito a mille per colmare il ritardo declinato latin tinge, insomma il frutto perfetto di anagrafico rispetto alla Storia. Spese molto, e ci riuscì. Ma quella cuspide tra cinquanta e sessanta quando il non ebbe indietro il resto. jazz era una tensione urbana e un brivido libera- Freddie Hubbard ha lasciato questa valle di lacri- torio, un sogno esotico e il lasciapassare per la mo- me sul finire del 2008, settantenne, solo un lustro dernità. A testimoniare il talento fuori dal comune più anziano d’un Mick Jagger, tanto per dire. La di Freddie basti il suo assolo in All Or Nothing At All, notizia mi ha ovviamente intristito, obbligandomi a standard spedito a cento all’ora col fraseggio della fare i conti con questo trombettista che mi sembra tromba a centrifugare dinamiche come una turbina, incarnare la parabola dell’hard bop come pochi al- la calligrafia pastosa spinta in avanti come un prodi- tri. Nato nel ‘38 a Indianapolis, era un ragazzino gio, uno sbattimento festoso d’illuminazioni così ra- quando Miles, Dizzy e Bird palleggiavano be bop pide da spingere l’improvvisazione sull’orlo del free nei locali più torridi della Grande Mela, città che (non a caso di lì a poco Hubbard sarà chiamato da raggiunse ventenne portando in dote l’esperienza Ornette Coleman a far parte dell’impresa Free coi fratelli Montgomery (tra cui l’immenso chitar- Jazz). Detto ciò, il mio amore per Hubbard ha dei rista Wes) e un talento che scomodò subito paragoni limiti: lo sento come un suono troppo preoccupato col compianto Clifford Brown. Suonò tra gli altri a manifestarsi nella propria tempestosa epifania, su- con Sonny Rollins, con Philly Joe Jones ed Eric perandosi di evoluzione in evoluzione, lasciando in- Dolphy, persuadendo i luminari della Blue Note a dietro così il dramma, quel peso specifico che sfida concedergli subito una chance da leader. L’occhiuto l’inconsistenza materiale – assieme rasserenante e Alfred Lion pensò bene di mettergli a fianco una carnefice - nei Davis e nei Baker. Così mi pare va- miscela di esperienza e brio giovane: alla flessuosa dano le cose in questo riuscitissimo debutto e un po’ autorevolezza delle quattro corde di Sam Jones fa- lungo tutti i ruggenti sixties, passando dalla sban- ceva eco ai tamburi un Clifford Jarvis neanche ven- data fusion alle peripezie che ne smarriranno via tenne ma già all’opera con Chet Baker e Curtis via la brillantezza, fino al brutto incidente che nel Fuller, e se al pianoforte sedeva un McCoy Tyner ’93 danneggerà le preziose labbra. Infine, l’attacco sul punto di decollare in orbita Coltrane, del sax si di cuore, atto senza ritorno, chiusura dello scrigno. occupava il ventottenne Tina Brooks, uno che sme- Hubbard mi è sempre sembrato uno che sale al volo rigliò l’ancia incidendo assieme a Jimmy Smith e sul treno già in corsa, se ne sbatte dei macchinisti, Kenny Burrel, vantando altresì un album come del cuore infernale della belva e armeggia per gua- leader alle spalle (Minor Move del ‘58). dagnarsi un buon posto magari in prima. Però che Di Brooks, straordinario compositore ed interprete, fantastico compagno di viaggio che eri, Frederick riparleremo presto. Quanto a Open Sesame, fac- Dewayne. ciamo subito: disco stupendo, swingante con impu- Stefano Solventi

120 / Rearview Mirror classic album rev

Bruce Springsteen

Tunnel Of Love (Columbia, 1987)

Fin dalla copertina Tunnel Of Love rappresentò Faces sono viscide uno scarto netto, spiazzante: Bruce vi compare in come ranocchi stolido piano americano (guarda un po’…), giacca di plastilina, per non dire degli sciagurati “sound nera su camicia immacolata, algida cravattina te- effects” messi in testa alla title track, del drum- xana, l’espressione così vaga e imbiechita che non ming polimerizzato e di tanti sciocchi coretti a cura sembra neanche lui, al più un cugino spacciatore dell’ineffabile Patti Scialfa. Ma tant’è, erano tempi di auto usate. Coi primi ascolti, la drammatica evi- in cui l’arte della produzione andava organizzandosi denza: ruggito innodico? Piglio blue collar? Epica in rigidi e frigidi format, sintetica mattanza da cui in rockista? Niente di tutto ciò. Ne discutevamo con pochi usciranno veramente indenni (non Lou Reed, sconcerto, chi imprecando sulla fuoriuscita di Little non Neil Young...). Si potrebbe inoltre cavillare sul Steven dall’entourage - peraltro sostituito dal valido piglio tra l’inane e il tronfio diTougher Than The Rest, Nils Lofgren - e chi maledicendo il matrimonio del ma - per quanto mi riguarda - le critiche finiscono Boss con la modella Julianne Philipps. Insomma, qui. Sinceramente, trovo ragguardevole l’impeto all’epoca questo disco suonò come un mesto dopo- di Spare Parts, la cui rabbia ancestrale supera (e di sbronza. Una roba dimenticabile. Lo riascolto oggi gran lunga) quella “volumetrica” di Born In The e trovo che sia un disco emblematico. A suo modo USA, mentre Brilliant Disguise ha semplicemente il importante. Perché parla del tempo e nel tempo da passo delle ballate di razza. Inoltre, se Cautious Man cui proviene, errori e orrori compresi, raccontando- anticipa di un decennio l’uggia insidiosa del Tom ci di quando Springsteen (l’uomo e l’artista) volle Joad, One Step Up sa rendere con cruda nitidezza la spingersi ancora una volta all’indietro, smarcan- resa dei sentimenti al disincanto del quotidiano. In dosi dalla valanga rock da egli stesso provocata (e chiusura, poi, t’imbatti nella leggerezza stagionata dalla band, parcellizzata brano per brano) per non di When You’re Alone e Valentine’s Day, dolci trepidazio- esserne travolto. Certo, Tunnel Of Love non può ni country-folk sull’ultima luce che bagna l’asfalto, competere con l’intensità di titoli quali Nebraska quello stesso che un tempo - irreversibile - era pur o Darkness On The Edge Of Town. Ma è l’in- sempre Thunder Road. Oggi, dopo oltre vent’anni di tensità di uno sguardo dietro una maschera di cera. passi falsi, resurrezioni, recuperi d’archivio e flirt Una “freddezza” - quel posarsi della melodia su hollywoodiani, il Boss tenta con ostinazione am- emulsioni algide di tastiera – necessaria, adattissima mirevole di porre se stesso e la propria musica al a rappresentare quell’intimismo tormentato in cui servizio dell’amato Paese. La cruda tenerezza senza Springsteen sentì di doversi rifugiare. Da qui la scel- scampo di quei racconti in prima persona è diven- ta, consapevolissima, di eleggere a modello melodi- tato un “noi” saturo di sensazionalismo emotivo ad co la vecchia Stolen Car, concentrando l’obiettivo sui alto tasso retorico. Rispetto al quale, quanto più san- pochi metri quadri in cui si consuma tanta parte del- gue, ossa, tremori, penombre e luce in Tunnel Of la vita dei più, sul riflesso sfrangiato di mille esistenze Love. E quanta America: quella più fragile e vera. regolari. Certo, le tastiere di Walk Like A Man e Two Stefano Solventi

Rearview Mirror / 121 Christmas On Mars

A Fantastical Film Freakout

L’ultima fatica del delirante lunapark lipsiano è un viaggio in versione celluloide nei meandri della coscienza e della vita umana, un dramma tragico venato di humour nero e surreale.

Ben sette anni sono trascorsi dall’inizio delle ripre- cerchio, forse, e riaprire, chissà una nuova fase in se di Christmas On Mars, ovvero Flaming Lips un prossimo futuro. on film, impresa cominciata a girare nel 2001, ter- Ossessione è la parola chiave per entrare in Chri- minata nel 2005 e il resto in post-produzione fino stmas On Mars. La storia che fa da collante al a metà 2008; a novembre dello stesso anno risale film si svolge nel futuro, su uno spettrale pianeta l’uscita in DVD. Nello stile autarchico della band, Marte colonizzato dai terrestri; siamo alla vigilia la pellicola è naturalmente artigianale, low bud- del primo loro Natale passato lì, in una stazione get e autoprodotta, con cast prevalentemente fai spaziale ormai quasi in avaria, dove si verifica- da te (band, staff, parenti, ad esclusione di qualche no strane allucinazioni, blocchi psichici, suicidi e amico attore, come , il comico di paranoie da isolamento, mentre nel frattempo si Saturday Night Live Fred Armisen e ), sta cercando di riparare le macchine e di dare un alla regia c’è Wayne Coyne aiutato da Bradley Be- senso di ottimismo, celebrando la festività, anche esley, documentarista e co-regista dei video della in occasione della nascita del primo bambino lì; band di Oklahoma City. nascita artificiale che simboleggia l’inizio della Cosa aspettarsi allora dall’ennesimo delirante lu- colonizzazione marziana. L’arrivo di un bizzarro napark lipsiano in versione celluloide? Niente di superessere, Coyne stesso, che ripara il generato- troppo diverso in fondo, per chi li ha sempre fre- re d’ossigeno, infonde speranza alla crew tutta e quentati, dal loro stile psych freak. L’ambizioso ed si riesce anche a risolvere un problema di gravità. elaborato (concettualmente) loro ultimo parto si “It’s magic and hard work that really gets the job done”, la può definire l’approdo ultimo di un percorso che filosofia coyniana sottesa in questo esprime com- ha fatto da sempre della tenacia, della tensione piutamente il suo credo (“siamo artefici della nostra morale e dell’ottimismo venato di humour surre- felicità”). In altre parole, ottimismo e realismo. E ale e caustico la loro cifra stilistica. A chiudere un un pragmatismo assoluto su tutto.

122 / La Sera della Prima Ossessione si diceva poc’anzi. La genesi di Chri- un meccanismo e contro cui altri personaggi op- stmas parte da lontano e mette insieme alcuni pongono di contro il loro humour surreale e una nuclei tematici delle personali ossessioni della mente certa dose deterrente di ottimismo. C’è in tutto ciò di uno come Wayne Coyne. L’inconscio e i ricordi anche la percezione evidente della nostra fragilità, dell’infanzia, la differenza tra ciò che ricordiamo a pur in un mondo ipertecnologizzato qual è quello posteriori e ciò che rimane sepolto nel subconscio, attuale. And the fight for our sanity will be the fight of our la parte infantile di noi tutti a cui da adulti difficil- lives. La paranoia da isolamento è anche quella che mente si riesce più ad accedere. In altre parole, i circolava nei Settanta intorno a una favoleggiata nostri viaggi interiori nel tempo. E la capacità diffici- conquista USA del pianeta Marte non andata a lissima, che hanno pochi, di riuscire ad accedervi buon fine e di conseguenza mai rivelata al mondo. anche da adulti. Questo il punto di partenza che Leggenda che fa un po’ il paio con la (supposta) ha dato vita all’idea del film, cristallizzatasi dopo conquista della Luna nel 1969. Teorie cospirative la morte del padre di Coyne, avvenuta nel 1997. sul loro governo che tanto piacciono e continuano C’è anche la fascinazione per l’oscurità e il sen- a piacere agli americani del resto. so del magico e dell’imprevedibile, presente negli E su tutto, ritorna il senso della comunità e della anni formativi infantili, insieme al senso di luci ed famiglia, del clan così tipico dell’universo Lips. A ombre, così importante per un graphic designer proposto di ricordi, Coyne rivela come la storia si qual è anche il Nostro. Luce ed ombra così corre- basi essenzialmente su di un (falso) ricordo del- late alle paure infantili del resto. la madre che, rimasta di notte sveglia davanti alla Ancora la sensazione claustrofobica dell’isolamen- televisione - siamo a metà degli anni ’70 - aveva to e della relativa conseguente paranoia, così domi- rielaborato, addormentandosi, qualcosa che cre- nante in alcuni characters del film, i quali rappresen- deva di aver visto in un film. La storia appunto che tano la parte psichica che è rimasta intrappolata in si svolgeva in una pellicola degli anni’40 su di uno

La Sera della Prima / 123 sperduto avamposto, tipo sottomarino o astronave, della magia infantile mista a una situazione tragica e re- dove una ciurma ormai alla deriva per guasti mec- alistica”. E’ Coyne stesso ad offrirci suggerimenti canici e convinta di dover morire, nel momento in sulle alcune delle influenze, dal commento aChri - cui affronta la morte e la accetta, viene visitata da stmas On Mars sul sito ufficiale flaminglips. un’entità sovrannaturale e si trova così cambiata com. Certamente essenziali sono stati Kubrick, positivamente dall’evento. Che è quel che succede la magia e la speranza di un film comeIl mago di in Christmas d’altra parte. Inutile dire che il film Oz di Victor Fleming, l’artigianalità, il paesaggio oggetto del sogno-ricordo si rivelò poi difficile da industriale ed emotivo desolante di Eraserhead trovare nel corso del tempo e che sia stata matu- di David Lynch (ma il bambino dell’allucinazio- rata da Coyne la convinzione che non fosse mai ne in Christmas è più tranquillizzante!), il senso del esistito. surreale e del parodistico del Dark Star di John Se la genesi di Christmas ha avuto le radici fin Carpenter, frammisti a spruzzate di Solaris e qui esaminate, quali sono state invece le influenze Tetsuo. Senza dimenticare però la science fiction filmiche e tematiche che ne hanno determinato il più popolare di fumetti, b-movies e serie TV, quali risultato finale? Si è già detto della sua lunga ela- Star Trek, e uno z-movie scombinato quale San- borazione e postproduzione, frammista alla lavo- ta Claus Conquers The Martians (di Nicholas razione degli album da fine ‘90 ad oggi. In mez- Webster,1964) che fa il paio con i film del famige- zo alle riprese anche la dipendenza, poi vinta, da rato Ed Wood. Un immaginario fertilissimo per eroina del protagonista del film, il batteristaSteve chi cresceva negli psichedelici Sessanta-Settanta Drozd (alias Major Syrtis) tra le altre cose. “Forse tra hippismo e controculture. E il senso del cita- Eraserhead o Dead Man misti a fantasia e aspetti spaziali, zionismo diffuso da sempre nei Lips. come Il mago di Oz e probabilmente 2001-Odissea nello Girato in 16 mm con prevalenza del bianco e nero spazio, ma realizzati senza veri attori o budget e ambientati (il colore viene associato al suono in scene topiche, durante il periodo natalizio. La storia che si svolge possiede come le disturbanti visioni del Major Syrtis o l’ap-

124 / La Sera della Prima parizione del marziano verdissimo e ipercolorato con inserti kraut orchestrali: Drozd negli extra del Coyne), Christmas On Mars è di base un film DVD cita non a caso Bernard Hermann, Brian puramente artigianale - girato per la maggior par- Eno e Stravinskji come maggiori influenze com- te nel giardino di casa - ma con ambizioni “arty”: positive. E Coyne parla di tono drammatico della ritmo rallentato, esplosioni soniche, pellicola in- musica che ben si adatta e amplifica la tragicità e vecchiata e via dicendo. Sarebbe un errore con- l’amarezza di fondo della pellicola. siderarlo unicamente come prodotto a sé stante - Ultimo paradosso e humour nero dei Nostri, la prodotto di modesta caratura, in verità. Altra cosa mancanza di sottotitoli - inglese compreso - se si è immetterlo contestualmente nell’universo lipsia- escludono i soli presenti, in cirillico (!). Ad un esa- no, da dove scaturiscono, come si è già visto, una me degli stessi nei titoli di coda di Christmas, è miriade di sensi compiuti, che partono da lontano stato sottolineato che la traduzione non è neanche nel tempo e chiudono completando il cerchio di letterale, ma immette dell’altro, come ad esempio un’esperienza più o meno trentennale all’insegna commenti sulla ricerca della felicità nella vita e via dell’immaginazione e della psichedelica più sfre- discorrendo. Ennesimo detour di senso. Ma non ci nata e liberatoria. aspettavamo davvero niente di diverso. Si diceva dell’irruzione della musica in alcune sce- “La vita è dura per lo più priva di senso. Ma sta a noi ren- ne; la colonna sonora viene acclusa all’edizione derla migliore. Sta a noi cercarne il magico e il senso di me- speciale di questo DVD, ed alcuni estratti erano raviglia sotteso. E nel significato più profondo, scoprire cosa già stati pubblicati negli anni scorsi; la composi- sia il sublime. Ce la possiamo fare, al di là delle sofferenze, zione risale alle session di quello che sarebbe poi a creare la nostra gioia e la nostra felicità. Questo è il Natale diventato Yoshimi Battles The Pink Robots di cui parliamo”. (Wayne Coyne, 2008) (2002). Lo score strumentale, che irrompe sonica- Teresa Greco mente a maggior volume in alcune delle scene più deraglianti, ha derivazione prettamente ambient

credits:

• Titolo originale: The Flaming Lips - Christmas On Mars (DVD & CD - Warner, novembre 2008) • Regia: Wayne Coyne con e George Salisbury • Sceneggiatura: Wayne Coyne • Fotografia: Jeremy Lasky • Musica: The Flaming Lips • Cast: , Wayne Coyne, Adam Goldberg, Fred Armisen, Steve Burns, , , J. Michelle Martin-Coyne • Genere: Fantastico, drammatico • Nazionalità: USA • Durata: 1h 22’

La Sera della Prima / 125 Tony Manero (di Pablo Larrain - Cile tà evade, con il cinema “straniero”, americano in 2009) particolare, con il ballo, anche questo importato. Abbiamo visto più volte sul grande schermo la Siamo nel 1978, che vide la “febbre del sabato sera” storia tragica delle dittature sudamericane, ma un di travoltiana memoria (Saturday Night Fever, film il cui protagonista non è il buono ma risulta 1977) diventare globalmente febbre di tutti. O persino sgradevole non ce lo ricordavamo. E ne- quasi. E la disco massiccio fenomeno di costume. anche un tema all’apparenza frivolo come il ballo, Ci troviamo alla periferia di Santiago del Cile. ma così rivelatorio in realtà della condizione della Raúl Peralta (Alfredo Castro, anche sceneg- popolazione cilena degli anni ’70 alle prese con la giatore del film) è un ballerino cinquantenne che dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990). Po- sbarca il lunario arrangiandosi come può, con l’os- polazione rassegnata e stanca, che vede la violenza sessione per questo film, che va a rivedere in sala per strada giorno per giorno, gente abbrutita, co- in continuazione. prifuochi, esercito e soprusi. È a capo di un gruppo di ballerini che si esibisco- Chi si ribella e chi per sfuggire alla sordida real- no in un piccolo bar di periferia, e anche loro so- gnano il successo e l’evasione. Ma a differenza di chi lo circonda, il prota- gonista non esita a fare qualsiasi cosa per perseguire i propri scopi di affer- mazione, anche rubare, ingannare, uccidere. Indifferente a tutto quello che ha attorno, se non lo tocca da vi- cino per i suoi scopi primari. Tutto pur di migliorare le sue performance di ballo e cercare di vincere dei soldi e la gloria a un concorso in televisio- ne, presentandosi come sosia di John Travolta alias Tony Manero. Pablo Larrain, qui al secondo film dopo Fuga del 2005, affronta il film realizzandolo con stile documentari- stico, incollandosi quasi ai personaggi e seguendoli strettamente, con alcune scene anche in fuorifuoco. Assistiamo così passo dopo passo all’amoralità di Raúl, fino alle estreme conseguen- ze; Larrain lascia il finale in sospeso, dopo averci fatto assistere attoniti alla vicenda. E l’altra storia parallela, il cui epilogo è in sottofinale (la figlia della sua convivente e il suo ragazzo arrestati dalla polizia per opposizione clandestina al regime) che era la nor- malità tragica in anni come quelli, è

126 / La Sera della Prima vista con gli occhi del protagonista, che al momento silenzi, la gestualità minimale ha reso al meglio la dell’irruzione nella casa in cui anche lui vive, trova mancanza di morale del tragico Raúl. il modo per fuggire, anzi è come un fantasma, co- Teresa Greco perto come se non fosse mai esistito. Un no man’s land, uno spettro che si aggira nei meandri di una Milk (di Gus Van Sant – USA, 2009) dittatura approfittando dell’amoralità generale e “Sono Harvey Milk e voglio reclutarvi tutti”. usandola a suo favore. Gus Van Sant alle prese con un biopic? Non proprio, E il senso di continua tensione in Tony Manero anzi non solo. è avvertibile sin da subito, quando dopo le scene Nel portare sullo schermo un progetto accarezzato iniziali in cui il protagonista sembrava solo una po- già da un po’ di anni e mai riuscito a realizzare fi- vera vittima che cerca di farcela in qualche modo, nora, si avvicina abbastanza a suoi film “regolari” si rivela bruscamente per quel che è. Momento ri- quali Will Hunting (1997) Psycho (1998) e Sco- velatore da cui si procede poi in discesa negativa prendo Forrester (2000). La libertà che offre una per tutto la pellicola. storia del genere non è invero moltissima, anche se L’ultima fatica di Larrain si conferma quindi come pensando al suo recente Last Days (2005) ispirato un crudissimo spaccato della perdita di valori e di a Cobain, i margini di deragliamento ci sarebbe- identità di una società, ormai rassegnata a tutto. ro potuti benissimo stare. Invece il regista sceglie Un fallimento dei personaggi che è quello di tutto il apparentemente un impianto narrativo classico per Cile di allora. E un film estremamente politico. raccontare parte della vita dell’attivista Harvey Vincitore del premio per il miglior film e per il mi- Milk (1930-1978), il primo americano omosessua- glior attore al Festival di Torino 2008, premio me- le dichiarato a riuscire a ricoprire una carica pub- ritato dall’ottimo Castro, che con la sua mimica, i blica, quella di consigliere comunale nell’America

La Sera della Prima / 127 pianosequenza, la fotografia minimale, la cura dei particolari, alcuni dei quali appena appena insisti- ti. Come il riflesso del fischietto che è inquadrato durante una manifestazione di protesta, a simbo- leggiare il movimento tutto, o l’inquadratura in prefinale, durante l’assassinio, con Josh Brolin nei corridoi del Comune, inquadrato di spalle alla maniera di Elephant mentre meccanicamente dà vita al massacro di Milk e del sindaco che lo appoggiava. Viene in mente un altro grande alle prese con film più apparentemente regolari della sua carriera, il Cronenberg di A History Of Violence (2005). E non c’è solo in scena quasi il protagonista, come in genere nei biopic. Van Sant è Van Sant ed ecco coralmente la sua massa di diseredati, hobo, adole- scenti, emarginati di tutti i suoi film, il popolo gay di San Francisco, qui al centro dell’attenzione per combattere e affermare i propri diritti. Contro la Proposition 6, una proposta di legge che chiedeva tra le altre cose l’allontanamento degli omosessuali dalle scuole pubbliche della California e che per mesi infiammò il dibattito politico e sociale ame- omofoba di fine anni ’70, a San Francisco, e tragi- ricano. L’abbattimento di catene che imprigiona- camente assassinato da un suo collega. vano la vita sociale degli omosessuali, e di riflesso Prendendo spunto dalle centinaia di taccuini e re- anche la loro vita privata, il togliersi le maschere e gistrazioni audio che Milk aveva lasciato, in par- rivelarsi per quel che si era: ecco uno dei capisal- ticolare da un lungo nastro rievocativo della sua di del pensiero di Milk (“dì a tutti chi sei”, rivolto a carriera da rendere pubblico in caso di assassinio, chiunque, non solo alla comunità gay). Van Sant usa questo espediente narrativo, parten- E per ultimo non si può non citare il gran lavo- do dalla decisione del coming out personale e po- ro sul e del cast tutto: Sean Penn si cuce lette- litico del personaggio dopo anni di vita regolare ralmente addosso i panni di Milk, conferendo al e conformistica. Si comincia quindi da un disvela- personaggio una nota dolente e malinconica da mento, iniziando a rivelare se stessi. grande istrione; così anche i tre co-protagonisti, “Lo stile più rivoluzionario che mi sembrava giusto seguire Emile Hirsch che interpreta l’attivista Cleve Jo- per raccontare la vita di un gay era proprio quello classico, nes, già visto l’anno scorso in Into The Wild, Ja- per lasciare spazio alla storia e a tutto quello che di impor- mes Franco il compagno di Milk e il tormentato tante Milk ha fatto, e mettere l’etica prima dell’estetica. Non Brolin, l’assassino Dan White. volevo che fosse considerato un eroe ma un grande uomo, che Teresa Greco si preoccupava dei diritti di tutti gli esseri umani. Comunque non penso assolutamente di avere rinunciato al mio personale modo di girare”. Così dalle parole dello stesso autore. Il tocco di Van Sant c’è comunque tutto: i lunghi

128 / La Sera della Prima BEST OF 2008

THE FIREMAN DAVID BYRNE & BRIAN ENO BLACK MOUNTAIN THE BLACK CROWES MY BRIGHTEST DIAMOND (Paul McCartney & Youth) “Everything That Happens Will “In The Future” “Warpaint” “Thousand Shark’s Teeth” “Electric Arguments” MPL Happen Today” Jagjaguwar Silver Arrow Asthmatic Kitty

FUCK BUTTONS VIC CHESNUTT/ELF POWER PETE MOLINARI ELI PAPERBOY REED RODRIGUEZ “Street Horrrsing” “Dark Developments” “A Virtual Landslide” “Roll With You” “Cold Fact” ATP Recordings Orange Twin Damaged Goods Q Division Light In The Attic

SEUN KUTI MURCOF BENGA ALBOROSIE PATTI SMITH & KEVIN SHIELDS “Many Thing” “Versailles Sessions” “Diary Of An Afro Warrior” “Soul Pirate” “The Coral Sea” Tout Ou Tard Leaf Label Tempa Forward Pask

JULIAN COPE WIRE THE MELVINS JESSE MALIN A SILVER MT. ZION “Black Sheep” “Object 47” “Nude With Boots” “Mercury Retrograde” “13 Blues For Thirteen Moons” Head Heritage Pink Flag Ipecac One Little Indian Constellation

DEERHOOF ROSE KEMP WILDBIRDS & PEACEDRUMS EARTH XIU XIU “!” “Unholy Majesty” “Heartcore” “The Bees Made Honey In The “Women As Lovers” Kill Rock Star One Little Indian Leaf Lion’s Skull” Kill Rock Star Southern Lord

DISTRIBUZIONE / PROMOZIONE / EDIZIONI via Fortebraccio 20/A, 00176 Roma (Pigneto) Tel. 06 21700139 Fax: 06 2148346 - e-mail: [email protected] www.goodfellas.it - www.myspace.com/goodfellasdistribution - news sempre aggiornate su goodfellasblogspot.com La Sera della Prima / 129 RADIATION RECORDS VENDITA PER CORRISPONDENZA: Ordini telefonici: +39 06 90286578 - Ordini via e-mail: [email protected] Circ.ne Casilina 44 (Pigneto) 00176 ROMA L’incantevole voce di Florez

Dopo sei anni ritorna al Comunale di Bologna I Puritani di Vincenzo Bellini, ancora una volta con la regia e le scene di Pier’Alli, che, per la quarta volta consecutiva mette in scena l’ultima opera di Bellini nel teatro della città petroniana. Un allestimento bello, anche se non eccezionale, nel quale la splendida voce del tenore Juan Diego Florez ha fatto la differenza.. Testo: Daniele Follero

I Pu r i t a n i d i Vi n c e n z o Be l l i n i – Te a t r o Co m u n a l e d i Bo l o g n a (8 – 17 Ge n n a i o 2009)

I Puritani: Opera seria in tre atti su libretto di Carlo Pepoli. se potuto godere ancora qualche anno della pre- Musica di Vincenzo Bellini. Regia e scene: Pier’Alli. Or- senza di icone viventi come Jimi Hendrix, Jim chestra del Teatro Comunale di Bologna, direttore Michele Morrison e Kurt Cobain? E Verdi? Il Verdi Mariotti popolare, di Traviata e Rigoletto, il musicista risorgimentale per eccellenza, avrebbe avuto una Al di là dei meriti stilistici e di quelli storici, impre- carriera così limpida se la vita avesse permesso a scindibili nel caso di un’opera rimasta saldamente Bellini di andare oltre I Puritani? legata al repertorio per 150 anni, ciò che confe- Domande inutili, forse, ma che aprono a un venta- risce un’aura quasi mitica ai Puritani di Bellini, è glio di ipotesi ampio e suggestivo, che condiziona la stretta relazione che essa ha avuto con la morte inevitabilmente il giudizio storico sull’arte e le sue del compositore siciliano, scomparso giovanissimo espressioni. e nel pieno del suo successo internazionale, una L’ultima opera del compositore catanese, pur man- manciata di mesi dopo la Prima parigina di quella tenendo alcune caratteristiche tipicamente belcan- che sarebbe stata la sua ultima partitura per il tea- tiste (non manca il lirismo che aveva reso grandi tro. La morte prematura di un artista che dimostra due grandi capolavori precedenti come Norma e di avere ancora molto da dire, ha sempre destato La Sonnambula) segna anche un superamento un certo fascino, orientando la critica verso un giu- dello stile belliniano, verso tecniche e atmosfere che dizio sbilanciato verso ciò che sarebbe diventato, ben presto diverranno caratteristiche fondamentali quell’artista, se il fato non avesse deciso anzitempo del melodramma romantico: maggiore espressività la sua scomparsa. E’ successo con molti musicisti e colore dell’orchestra; uno sviluppo musicale sem- del passato e succede ancora oggi nei più svariati pre più intimamente legato all’azione drammatica; ambiti musicali: cosa sarebbe diventato Mozart cantanti ai quali è sempre più richiesta la capaci- se avesse vissuto i primi fermenti romantici, lui tà di interpretazione attoriale a scapito del virtuo- che in anticipo su tutti aveva già impregnato le sue sismo; argomento patriottico. L’estetismo lascia il ultime opere di una drammaticità anticipatrice posto alla funzione drammatica della musica, che dello spirito beethoveniano? cosa sarebbe stata la culminerà nella concezione totalizzante del teatro musica del Settecento se Pergolesi avesse potuto di Wagner, per il quale musica, testo e azione di- esprimere la sua maturità invece di essere stronca- ventano un tutt’uno inscindibile. to a 27 anni dalla tisi? e come sarebbe il rock aves- Il conflitto tra i Puritani seguaci di Cromwell e gli Stuart assume, nel libretto dell’esule patriota bolo- ralezza e una chiarezza che oltrepassano il livello gnese Carlo Pepoli, toni che preannunciano già il medio delle altre presenze, che riesce a svolazzare risorgimento italiano, divenendo un esempio di lot- tra le note alte, ma è capace anche di vestirsi di toni ta per la libertà trasferibile idealmente nello spirito cupi e drammatici senza perdere vigore. In alcuni nazionalista italiano dell’epoca. Da questo punto tratti il ruolo di Lord Arturo Talbo, sembra cucito di vista l’opera di Bellini non acquistò la fama e il perfettamente per la plasticità della sua voce, ancor rango di vero e proprio “inno alla Patria” di alcune più che i ruoli mozartiani, grazie ai quali si è impo- musiche verdiane, anche se passi dei Puritani come sto sulla scena internazionale. “Suona La Tromba, Intrepido” già esprimevano L’allestimento, una collaborazione a tre tra il Comu- quel complesso di valori liberali di cui il composito- nale, il Massimo di Palermo e il Lirico di Cagliari è re di Busseto sarebbe diventato, di lì a poco, la più stato, per il teatro bolognese il quarto consecutivo a evidente espressione. portare la firma del regista fiorentino Pier’ Alli, del Non sarà la Norma in quanto a successo popolare quale avevamo potuto apprezzare, lo scorso anno, e posizione nella particolare gerarchia del reperto- la messinscena multimediale del Requiem di Ver- rio, ma I Puritani è entrata di diritto tra le opere di. Niente video, stavolta, ma predilezione per scene più eseguite di Bellini e, più in generale, del teatro mastodontiche e spigolose, a contatto con le quali musicale della prima metà dell’Ottocento e, con la luce fioca crea un’atmosfera cupamente gotica. una certa continuità, sin dai suoi esordi, è arrivato Enormi spade, a mo’ di colonne doriche disegnano fino a noi, come dimostrano le rappresentazioni la scena, tenendo ben presente per tutto il dramma ospitate dal Teatro Comunale di Bologna, che dal l’idea del conflitto, della lotta a testimonianza della 1836 e prima di questo nuovo allestimento, ar- grande attenzione ai simboli caratteristica dello stile rivavano fino al 2002. Nella memoria bolognese scenografico di Pier’Alli. resterà senz’altro la grande interpretazione di un Sul podio, Michele Mariotti, ormai sempre più Pavarotti già maturo, ma non ancora divissimo, lontano dalla qualifica di “giovane” vista la sua del 1969, accompagnato da Mirella Freni, su- sicurezza nel dirigere, ha interpretato in manie- bentrata a un’indisponibile Joan Southerland ra decisa e accentuata i chiaroscuri presenti nel- (come dire, calcisticamente, che esce Maradona la partitura, dimostrandosi un dignitoso erede di ed entra Platini!). Daniele Gatti, pur avendo caratteristiche diver- Altri tempi, direbbe qualche nostalgico del belcanto. se dal direttore milanese. “Tiempe Belle ‘E ‘Na Vota…E Pecchè Nun Turna- Quando le cose stanno così, quando la regia fun- te”, come recita una nota canzone napoletana, con ziona e dialoga bene con la musica e con cantanti nostalgia e pessimismo. Domanda legittima per il “sopra la media” come Florez, è un bene per tutti. melomane. Che forse però, ascoltando la voce di Anche per chi la lode non la meriterebbe. Juan Diego Florez, qualche speranza l’avrà cova- ta, dentro di sé, come il tifoso (sempre per rimanere in tema calcistico) che solleva speranze nella nuova promessa, sognando il ritorno dei grandi campioni del passato. La voce di Florez, tenore peruviano an- cora giovane ma già maturo musicalmente e di no- tevole fama internazionale, è, secondo la mia ancor più giovane conoscenza della lirica, la più espressiva e limpida voce tenorile che abbia mai ascoltato dal vivo. Una voce che prende la scena con una natu-

a night at the opera / 131 Dmitri Shostakovich Fino all’ultima sinfonia

Stretta tra la voglia di aprirsi ai nuovi linguaggi delle avanguardie europee, la fedeltà agli ideali del socialismo sovietico e le censure del regime, la carriera artisica di Dmitri Schostakovich ha coinciso del tutto con la vita dell’U.R.S.S., dalla morte di Lenin alla “normalizzazione” di Breznev, assorbendone tutte le contraddizioni. Personaggio schivo, introverso, amico di Majakovskij, comunista convinto, ma spesso avversato dal regime, Mitja, come veniva chiamato dai più intimi, rappresenta, nel bene e nel male il compositore sovietico per eccellenza. Testo: Daniele Follero

“Quando un uomo è disperato vuol dire che crede ancora in portabile, l’arte alla vita politica. Non lo fece Ma- qualcosa” scagni, adattatosi senza vergogna alle esigenze Dmitri Schostakovich populiste del fascismo e caduto presto nel dimenti- catoio; e lo fece solo a metà Prokofiev, prendendo Affrontare e, talvolta, giudicare la storia e l’opera le distanze dalla rivoluzione leninista per ritornare di artisti vissuti all’ombra dei regimi totalitari non in U.R.S.S. all’apice del regime stalinista. è mai cosa facile. In società dove la cultura è con- Per Shostakovich, invece, che con gli ideali della trollata da istituzioni create ad hoc e le espressioni Rivoluzione di Ottobre si era alimentato e credeva artistiche sono censurate ogni qualvolta non si al- nel socialismo sovietico, restare a vivere in patria lineino alle direttive del regime, le soluzioni sono fu atto dovuto, un motivo d’orgoglio, manifestato due, non si scappa: emigrare (laddove si possa) o attraverso la piena adesione agli ideali del nuovo adattarsi, reprimendo, in maniera un po’ schizo- potere politico che aveva rovesciato l’ultimo zar. frenica, gli istinti creativi che rischiano di trasbor- Ci credette a lungo, nonostante percepisse che dare verso libertà non concesse. Molti artisti del qualcosa non quadrava. Ci credette, almeno fino Novecento (ma anche scienziati, come Freud e a quando, nel 1935, la Pravda non pubblicò quel Einstein), nati in Germania, Italia o Russia e sen- maledetto articolo sulla sua Lady Machbeth, dal sibili ai cambiamenti radicali delle avanguardie titolo: “Caos anziché musica”. A cui seguì il mar- “storiche” (che coincisero, cronologicamente, con chio definitivo di formalismo apposto dal regime il periodo delle grandi dittature del XX secolo) op- alla sua Quarta Sinfonia, Da quel momento, la tarono per la prima soluzione, con la conseguenza contraddizione tra lo Shostakovich artista e il citta- di apparire come degli eroi, pur avendo scelto la dino sovietico cominciò a diventare incolmabile e via più semplice (per modo di dire, ovviamente) a rappresentare un ostacolo sempre più insormon- ma, in ogni caso, più coerente con le proprie idee, tabile per il carattere mansueto e debole (come la politiche e culturali. sua salute) del compositore di San Pietroburgo. Una scelta quasi obbligata per evitare di scende- re a compromessi umilianti, che qualcuno non La Ri v o l u z i o n e d i Mi t j a ha avuto il coraggio o la semplice intenzione di Nato a San Pietroburgo nel 1906, ma vissuto a compiere, con conseguenze spesso devastanti per Leningrado (il nome che assunse la sua città na- la propria carriera o, quantomeno, con il rischio tale dopo il 1917) Shostakovich è figlio legittimo, sempre incombente di sacrificare, fino all’insop- sia per ragioni anagrafiche sia ideologiche, della rivoluzione bolscevica. Il clima familiare nel quale nale all’età di appena 19 anni, il “modernismo” cresce il piccolo Mitja (come veniva chiamato dai del primo Prokofiev è presente in tutta la sua ca- parenti e dagli amici più intimi) risente molto delle rica dirompente, espressa con sonorità spigolose idee leniniste e contribuirà non poco a stimolare il e ritmi sferzanti, trame melodico-armoniche che suo spirito progressista, fino a coinvolgerlo di per- alternano atonalità e politonalità e un particolare sona (è stato per molto tempo membro dell’Unio- interesse per l’organizzazione timbrica. Ma non ne dei Compositori). Durante gli anni giovanili dei mancano le influenze mitteleuropee, che si con- primi studi musicali, viene in contatto con Proko- cretizzano, nei primi lavori sinfonici di S.(almeno fiev, di qualche anno più grande,e con Majakovskij, fino alla Quarta Sinfonia), soprattutto nella figu- personaggi che influenzeranno non poco la prima ra di Paul Hindemith e del suo neo-oggettivismo. sua prima fase compositiva, anche se i rapporti tra Pungente, sarcastico, nel complesso uno stile non lui e il compositore ucraino non saranno mai idil- certo facile da digerire, per un ambiente musicale liaci e si limiteranno ad una cortesia di maniera come quello russo, ancora strettamente legato al non priva di critiche reciproche. Già nella Prima sinfonismo tardo-romantico. Sinfonia, che lo impone all’attenzione internazio- Se lo stile guarda all’occidente, però, le intenzioni,

i cosiddetti contemporanei / 133 i messaggi, sono tutti rivolti al socialismo sovieti- cazione) diventa lo strumento più in voga per “sco- co. Spesso le composizioni di S. sono dedicate ai municare” un artista. Una recensione sulla Pravda miti della rivoluzione o scritte per particolari ce- critica aspramente la seconda opera teatrale di S., lebrazioni (ne è un esempio la Seconda Sinfonia, Lady Macbeth Del Distretto di Mcensk (rivisitata denominata “Ottobre” e composta per il decimo poi nel 1963 con il nome della protagonista femmi- anniversario della Rivoluzione, nel 1927). nile, Katerina Ismailova), che pure voleva interpre- Anche nell’opera lo stile di S. si mostra ricco di tare il delitto di Macbeth come gesto di rivolta an- sfumature ed evidenzia una forte carica ironica, tiborghese, bollandola come “caos” e, addirittura, espressa attraverso un linguaggio musicale a volte parlando di “pornofonia” nel caso della descrizione parodistico, altre esasperato, con l’orchestra che as- musicale dell’amplesso tra Katerina e Sergej. Segue sume un ruolo determinante nell’effetto comples- a ruota la stroncatura della sua Quarta Sinfonia. E sivo. Nasce con queste caratteristiche il suo primo in meno di un anno uno dei più grandi composi- lavoro teatrale, Il Naso (1930), tratto dall’omonimo tori della Russia Sovietica, viene messo al bando e racconto di Gogol’. La personale elaborazione dei costretto a ritrattare le sue idee artistiche (firmando linguaggi delle avanguardie europee (Stravinskij, addirittura una poco convinta condanna critica alla Hindemith, Berg) e la deformazione di timbri e figura di Schoenberg), con lo scopo di fornire solide voci che assume toni talvolta ironici, talvolta grot- garanzie al controllo del regime. E’ da questo mo- teschi, rendono quest’opera assolutamente ecce- mento che la contraddizione che covava nel mite zionale nel mondo in cui prende vita. S. esplode in maniera irruenta nella sua vita. Una condizione sì dell’uomo, ma che si può estendere a Il Re a l i s m o So c i a l i s t a , Sh o s t a k o v i c h e tutta la società sovietica, stretta tra parole di libertà l’U.R.S.S.: u n a s t o r i a d i c e n s u r e e un atteggiamento del potere che esprime l’esatto Il dibattito culturale su un’arte che esprimesse la re- contrario altà della società post-rivoluzionaria e sovietica era Si spiega così la virata improvvisa di S., dalla Quin- già ampiamente avviato all’epoca, ma la censura ta Sinfonia in poi, verso uno stile più sobrio e li- non aveva ancora colpito il compagno Mitja che, rico, che abbandona i radicalismi avanguardisti e seppure in maniera troppo “occidentale” (a quei si riavvicina al tonalismo. L’orchestra viene ridotta, tempi sinonimo di borghese e quindi di nemico il linguaggio si accosta di più a Mahler e al poe- politico e culturale) aveva dimostrato di aderire ai ma sinfonico e spesso e volentieri vengono utilizzati precetti della nuova arte russa. Un’adesione ad un testi, come nel caso della celebre Settima Sinfonia linguaggio che fosse il più possibile comunicativo, “Leningrado”, scritta durante la battaglia del 1941. celebrativo e funzionale al cambiamento radicale La vitalità compositiva di S. non si spegne neanche della società. E che S. interpreta a suo modo attra- durante gli anni della guerra, ma ben presto un al- verso una raffinatezza compositiva che gli permette tro colpo, un’altra confessione strappata con la for- di esprimersi a più livelli, senza per questo cadere za a seguito del rapporto Ždanov, lo costringe ad nelle grinfie della critica più ortodossa e intransi- abbandonare qualsiasi benché minima intenzione gente. Ma questo equilibrio riesce a durare ancora innovativa, lasciando cadere la sua musica verso qualche anno, anche perché sempre più stretta si fa toni maggiormente celebrativi e un sinfonismo tar- la morsa del potere politico (che culminerà dopo la do-romantico alla Tchaikovsky. seconda guerra mondiale negli “editti” di Ždanov, il plenipotenziario “colonnello” di Stalin) sulla cul- Ri f l e t t e n d o s u l l a m o r t e tura e l’accusa di “formalismo” (cioè di un supposto La conseguenza di questi colpi bassi, porta un or- interesse per la forma in sé a scapito della comuni- mai disilluso S. ad allontanarsi sempre di più dal- la realtà (ormai irreparabilmente confusa con la sperimentando a suo modo con i linguaggi della propaganda. Una condizione descritta in maniera modernità (la Sinfonia n.13 si testi di Evtušenko, eccellente da Orwell in 1984), spingendosi verso che gli valse l’ennesima censura nel 1962), ha rap- i territori dell’immaginazione. La riflessione sulla presentato una costante, assunta a fondamentale morte diviene il tema più ricorrente dell’ultima caratteristica stilistica, dello S. compositore. Che fase compositiva del compositore di Leningrado, come abbiamo avuto modo di vedere, non era mol- che si chiude così, in un pessimismo fatalista sem- to diverso dall’uomo, combattuto in questo eterno pre più scuro. Proprio lui, che per tanti anni aveva conflitto, rimasto irrisolto fino alla sua morte. Fino creduto nell’”uomo nuovo”! Anche la musica si fa all’ultima sinfonia. Sarebbe stata la Sedicesima. più cupa: abbandonati già da molto tempo i ge- neri dell’opera e del balletto (altro genere molto stimato nella Russia sovietica e al quale S. aveva regalato, prima del ’35 opere di ottimo livello e The Essential Dmitri Shostakovich “sopra la media” come L’Età Dell’ Oro, Il Bullone * Sinfonia n.1 in Fa minore (1925) e Il Limpido Fiume, rispettivamente del ’30, ’31 e * Sinfonia n.2 in Si maggiore “Ad Ottobre” (1927) ’35), S. si concentra sulle sinfonie e sulla musica da * 10 Aforismi per Pianoforte (1927) camera, mantenendo costante anche il suo impe- * Musiche per il film muto “Nuova Babilonia” (1929) gno come compositore per il cinema, reso più pro- * Sinfonia n.3 in Si bemolle maggiore “Il Primo Mag- lifico ma anche meno interessante, artisticamente, gio” (1929) dall’avvento del sonoro (degne di nota sono le mu- * Il Naso (1930) tratto da un testo di Gogol’ siche scritte per l’unico film muto musicato da lui, * Suite per Jazz Orchestra n.1 e 2 (1934 e 1938) Nuova Babilonia). Ma se la sinfonia rappresenta * Lady Macbeth Del Distretto Di Mcensk (1934) trat- ormai la forma prediletta dal regime per la sua au- to da un testo di Leskov tocelebrazione, nelle partiture per organici piccoli * Sinfonia n.4 in Do minore (1936) e destinata a luoghi d’esecuzione ridotti, MItja ri- * Sinfonia n.5 in Re minore (1937) esce a sviluppare la sua ricerca musicale più since- * Sinfonia n. 7 in Do maggiore “Leningrado” (1941) ra, ancora attratta dai linguaggi della modernità, * Sinfonia n.8 in Do minore (1943) dalle avanguardie al jazz. Nei numerosi Quartetti * Quartetto d’archi n.8 in Do minore (1960) (15 in tutto) e Quintetti S. può ancora permettersi * Sinfonia n.13 in Si bemolle minore “Babi-Yar” di comporre, indisturbato, utilizzando le serie do- (1962) decafoniche e i cromatismi più estremi. Tra questi, * Quartetto d’archi n.9 in Mi bemolle maggiore l’Ottavo Quartetto (1960) è senz’altro il più signi- (1964) ficativo: una sorta di epitaffio auto celebrativo, nel * L’Esecuzione Di Stepan Razin (1966) su testo du quale il tema è ricavato dalle iniziali del nome del Evtušenko compositore (D.S.C.H., che corrispondono alle * Quartetto d’archi n. 12 in Re bemolle maggiore note Re-Sol-Do-Si). (1968) La contrapposizione tra, da un lato, un atteggia- * Sinfonia n. 15 in La maggiore (1971) mento celebrativo, sottomesso alle volontà del re- * Quartetto d’archi n.15 in Mi bemolle minore gime, espresso attraverso un acceso lirismo e l’uso (1974) costante di elementi folclorici (le Sinfonie n.11, * Sonata per Viola (1975) dedicata alla rivoluzione fallita del 1905 e la n.12, “in memoria di Lenin”) e, dall’altro la voglia di confrontarsi con i suoi contemporanei europei

i cosiddetti contemporanei / 135 sentireascoltare.com abreve dinuovo online......