ANNO XLVIII - NUMERO 1 GEnnaio-Aprile 2018

RICERCHE STORICHE Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto-Pisa www.pacinieditore.it [email protected]

ISSN 0392-162X ISBN 978-88-6995-432-0

In copertina Moschea di Mohammad Al-Amin e Cattedrale di San Giorgio Beirut (Libano) RICERCHE STORICHE Rivista Quadrimestrale

Anno XLVIII - numero 1 Gennaio-Aprile 2018 sommario

Minoranze in Nord Africa e in Medio Oriente tra tradizione e modernità (a cura di Leila El Houssi)

L. El Houssi Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia. Il caso dell’ devozionale » 5

A. Melcangi Gli aqbāt al-mahjar e l’internazionalizzazione della questione copta dagli anni Settanta al regime di Mubarak» » 19

F. Petrucci Le comunità ebraiche del Maghreb, la loro emigrazione, il loro stato attuale » 35

M. Fois Il Nord Africa tra contestazione politica e culturale. Il caso Berbero » 55

B. Panchetti Lo stato per tutti, Dio per ciascuno: la minoranza cristiana in Siria dall’indipendenza alla guerra civile » 73 Discussioni e Ricerche

A. Zagli Mezzadria e vita rurale nelle fattorie valdarnesi dei Serristori (secolo XVII) » 99

E. Caroppo Alle origini di un welfare per i ceti medi. L’Istituto internazionale per le classi medie e l’Italia nel primo Novecento » 133

G. Poidomani La storia “immaginata”: Public History e immaginario storico nelle serie tv » 153 Note

R. Barzanti In ricordo di Maurizio Bossi » 171

Abstracts » 177

Gli autori » 187

TENTATIVI DI RIMOZIONE E DI VIOLAZIONE NEL PROCESSO DI NATION BUILDING DELLA TUNISIA. IL CASO DELL’ISLAM DEVOZIONALE

1. Introduzione All’indomani del rovesciamento del regime di Ben Alì (1987-2011), le elezioni per l’assemblea costituente (ottobre 2011) decretano la vittoria del partito Ennahda che pur rappresentando, un nuovo modello di Islam politico assente in altri contesti 1, ha rivendicato con forza il legame tra religione e identità del popolo tunisino 2. Per Ennahda, la laicità intesa in senso occidentale sarebbe stata un’imposizione dall’ester- no, mentre è l’Islam a costituire il tradizionale e fondamentale punto di riferimento normativo della società. Le tensioni tra il fronte laico e il governo non sono le uniche ad aver prodotto un inasprimento del clima sociale della Tunisia. Ulteriori inquietu- dini sono state provocate dalle correnti legate all’estremismo salafita (la salafīya, da salaf, “antenato”) d’ispirazione wahabita, sostenute dai paesi del Golfo come il Qatar e l’Arabia Saudita, che aspirano a un ritorno all’Islam originario con l’applicazione della Shari’a 3. Essa afferma la predicazione di un Islam “autentico” che si oppone fermamen- te a forme di un Islam parallelo a quello istituzionale, come quello delle confraternite religiose che hanno sviluppato dal basso una religiosità profondamente legata al culto dei Santi (walī) e delle Sante (lāllā), svolgendo nel corso dei secoli una funzione socio- religiosa estremamente preziosa 4. È noto come in questa regione, questi Santi che da vivi erano venerati e ascoltati, una volta morti le loro tombe fungono da santuario e da luogo di incontro e vengono visitate periodicamente in occasione del compleanno del Santo che rappresenta il punto di riferimento di una confraternita 5 che ha, nei luoghi di presenza, una o più zâwiya, che fungono anche da luogo di accoglienza e di rifugio.

2. L’Islam devozionale L’antropologo franco-algerino Jacques Berque nel 1955 scriveva che non vi è

1 S.M. Torelli, L’Islam politico in Tunisia: l’evoluzione istituzionalista di al-Nahda, in «Rivista Italia- na di studi sull’Islam politico», 0 (2013), p. 77. 2 L. El Houssi, La Rivoluzione velata in«il Mulino online», 23 febbraio 2012. 3 E. Pace, Sociologia dell’Islam, Roma, Carocci, 2008, p. 199.; J. Spencer Trimingham, Gli Ordini Sufi nell’Islam, Un viaggio singolare nel cuore dell’Islam, tra antichi riti e pratiche sufi, Nardò, Controluce, 2015; Les Voies d’Allah. Les ordres mystiques dans le monde musulman des origines à aujourd’hui, dirigé par A. Popovic-G. Veinstein, Paris, Fayard, 1996; N. Amri, La sainte de , Tunis, Sindbad, 2008. 4 L. El Houssi, La profanazione di un popolo, in Yalla Italia, 25 ottobre 2012, in http://www.yallai- talia.it/2012/10/la-profanazione-di-un-popolo/ 5 U. Fabietti, Medio Oriente. Uno sguardo antropologico, Milano, R. Cortina, 2016, p. 241.

Ricerche Storiche anno XLVIII, numero 1, gennaio-aprile 2018 6 Leila El Houssi

rien de plus commun, en Afrique du Nord, que ces coupoles blanches que la croyance populaire multiplie au bord des rivières, au sommet des collines, au milieu des plaines, bref partout ou le concours du paysage et de l’histoire favorise une signalisation du sacre. Le voyageur presse, des vitres de son wagon, ne peut rester insensible aux valeurs affec- tives et pittoresques non plus qu’au message archéologique de ces lieux. Lieux de rite, lieux d’élan si l’on peut dire, auxquels il en faut ajouter d’autres, plus humbles, moins panoramiques, mais infiniment plus nombreux : grottes a légende, arbres a nouets, simples enceintes de pierres. Milliers de points, en somme, ou le sacre sous toutes ses formes, des plus brutes aux plus élaborées, perce la vieille terre du Maghreb. L’idée s’impose aussitôt que « magie et religion » ont ici la part essentielle, imprègnent toutes les catégories de la vie sociale : l’économie, inséparable de ses rites naturistes; le droit, infiniment plus proche d’un tel contexte que de ses prototypes savants ; la politique, toute pleine de prestiges irrationnels ; enfin le comportement de tous les jours, encore domine par présages et prohibitions 6.

Il culto dei santi–marabutti, oggetto di venerazione da parte della comunità tan- to da legittimare la definizione di “Islam devozionale”, ha una sua forma fortemente differenziata da quella dell’Islam istituzionale. Il ricorso a una formula “devozionale” è stata dettata dalla necessità di reclamare, in modo privativo, il legame religioso globale, quindi di contrassegnare la sfera pubblica con il sigillo dell’intimità 7. La credenza nel Santo o nella Santa dotati di barakāh (sorta di benedizione divina) è diffusa soprattutto nelle società rurali. La barakāh si trasmette ereditariamente: o per via familiare o di affiliazione. Clifford Geertz ha descritto cosi il significato di barakāh:

Letteralmente barakāh significa benedizione, nel senso di favore divino. Ma oltre a quel significato primo, che lo specifica e lo delimita, esso racchiude un’intera serie di idee collegate: prosperità materiale, benessere fisico, soddisfazione corporale, completamen- to, fortuna, pienezza, e l’aspetto messo maggiormente in rilievo dagli scrittori occiden- tali ansiosi di costringerlo nella stessa casella con mana, potere magico. In termini più larghi, barakāh non è, come si è voluto sostenere spesso, una forza para fisica, una specie di elettricità spirituale – opinione che, benché non del tutto priva di fondamento, lo semplifica al punto di renderlo irriconoscibile. Come il concetto di centro esemplare, esso è una concezione del modo in cui il divino penetra nel mondo. Implicito, indi- scusso, e ben lungi dall’essere sistematico, anch’esso è una “dottrina”. Più esattamente, è un modo di costruire – emotivamente, moralmente, intellettualmente – l’esperienza umana, un’interpretazione culturale della vita. E per quanto questo sia un problema vasto e intricato, il significato centrale di questa costruzione, di questa interpretazione, così almeno mi pare, è l’affermazione (ancora, naturalmente, tacita) che il sacro appare più direttamente nel mondo come una dote – un talento, una capacità, un’abilità spe- ciale – di particolari individui. Più che l’elettricità, l’analogia migliore (ancorché non molto buona) per barakāh è la presenza personale, forza di carattere, vivezza morale. I marabutti possiedono il barakāh come gli uomini possiedono la forza, il coraggio, la dignità, l’abilità, la bellezza o l’intelligenza. Come questi, benché non sia la stessa cosa e nemmeno tutte e due messe insieme, è un dono che alcuni possiedono in grado mag-

6 J. Berque Une exploration de la saintete au Maghreb, in «Annales. Économies, Societes, Civilisations. 10e annee», 3, 1955. pp. 367-371; http://www.persee.fr/doc/ahess_0395-2649_1955_num_10_3_2461. 7 M. Kerrou, Public et privé dans l’Islam, Tunis, Istituto di ricerca sul Maghreb contemporaneo, 2014. Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 7

giore di altri e che pochi, i marabutti, possiedono in grado superlativo. Il problema e di decidere chi [...] ce l’ha, in che misura e come trarne beneficio 8.

La teologia musulmana ha teorizzato attraverso il sufismo, lo sviluppo di catene mistiche (selselah) i cui anelli iniziali risalgono a Muhammad o ai suoi compagni, quali ‘Ali e o dai loro discendenti diretti. Coloro che detengono la barakāh e che sono chiamati abitualmente mrabet 9 sono spesso individui dal comportamento parti- colare che conducono: una vita considerata pia, ascetica dedita alle pratiche religiose, insegnamento coranico compreso. Possiedono una sorta di mana, di origine teorica- mente divina ad azione automatica, benefica o punitiva il cui impiego filtra attraverso il temperamento del Santone stesso. La manifestazione pratica di barakāh può avvenire fin dalla giovane età o dopo la morte e il Santo opera anche a distanza di secoli purché entro il proprio recinto tombale, M’zara. Lo spazio sacro è, infatti, una caratteristica importante del Santo che esercita i suoi poteri attraverso gli Jnûn cioè spiriti custodi del luogo sacro 10. Il termine di origine berbera corrisponde a una concezione locale degli spiriti che trova riscontro nei gĭnn coranici. Le entità sovrannaturali, i gĭnn, possono possedere gli esseri umani. Il gĭnn “possessore” è detto mluk che significa anche re, dunque dominatore. Mluk è la forma plurale di melk (maschile singolare) o melka (femminile singolare). Mluk é usualmente indicato anche con il termine Jnûn (plurale), jinn (maschile singolare), jinniya o jinni- niya (femminile singolare) in arabo standard; vengono utilizzate anche le forme djinn o gĭnn al singolare, djnun o gn ̆un al plurale 11. Nel Corano i gĭnn sono forze soprannatu- rali o spiriti creati dal fuoco [Sura 15, 26-27; 38,76] e beneficiano del massimo rispetto e sono solitamente temuti, ma anche amati. La loro intromissione costante nella vita di tutti i giorni è accolta fatalisticamente, ma è possibile evitarne le conseguenze con offerte, oppure celebrando una lila (serata) in loro onore con lo scopo di migliorare il legame tra l’umano e il soprannaturale. Per questa ragione le lila vanno replicate annualmente perché chiunque può essere posseduto da uno o più gĭnn. Le persone che più intensamente subiscono l’influenza degli spiriti spesso diventano celebranti dei culti. Di solito frequentano i luoghi sacri più assiduamente e in essi parlano con santi e gĭnn, in una condizione di trance individuale. Le prerogative taumaturgiche del “Santo” s’identificano con la capacità di farsi obbedire dai gĭnn e garantisce il compor- tamento tra i fedeli. Si potrebbe definire come una sorta di operatore di magia bianca e svolge funzioni sacerdotali quale tramite tra Allah e il muslim (fedele musulmano).

8 C. Geertz, Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in Indonesia, Milano, Cortina, 2008, pp. 44-45; ed. or. Islam Observed. Religious Development in Morocco and Indonesia, Chicago, University of Chicago Press, 1968. 9 Mrabet significa: annodato al Ribat. Per estensione poi il vocabolo acquista significati collegati alle attività ivi svolte: luogo di meditazione e di studio; scuola coranica, sede di riunione a sfondo religioso. Quindi è da un concetto di sede topografica che prende il nome di Marabutto attribuito al Santone. Cfr. M. El Houssi, Il marabuttismo in Tunisia, in «Quaderni di scienze antropologiche» 4, 1980, pp. 164-196. 10 Il culto dei santi si e innestato su quello dei gĭnn: nella mitologia popolare alcuni santi sono diven- tati apparizioni terrene di gĭnn. Spesso i luoghi di culto dei santi erano già abitati dai gĭnn, e i due ambiti vi hanno convissuto e convivono e continuano a intrecciarsi in complesse trame di relazioni Cfr. E. Der- menghem Le culte des saints dans l’Islam maghrebin, Paris, Gallimard, 1954, pp. 101-103. 11 D. Kapchan, Traveling Spirit Masters. Moroccan Gnawa Trance and Music in the Global Markeplace, Middletown, Wesleyan University Press, 2007, p. 18. 8 Leila El Houssi

Grazie alla potenza morale e materiale, i santi-marabutti esercitano un ascendente straordinario sulla vita dei credenti. L’intimità di questo sistema di credenza, che si ma- nifesta attraverso cerimonie religiose di carattere estatico, rimanda a un’altra dimensio- ne socio-culturale. Una dimensione di ritualità quasi magiche. Seduti in circolo i fedeli sanno che il Santo o la Santa a cui si rivolgono saranno in grado di trovare la soluzione ripetizione ritmica del nome di Dio (ذکر)-a qualsiasi difficoltà. Con il Dikr al-Hadra attraverso la trance, che permette di accedere a una condizione di estasi mistica attra- verso la musica e la danza, cadono le barriere con il mondo esterno fino a giungere ad un processo di estasi basato su un equilibrio che si instaura tra il ritmo vocale, il ritmo respiratorio e il ritmo circolatorio del fedele. Come ribadisce Z. Rhani, «signifie littéra- lement la présence; si elle désigne dans la lexicologie soufie le moment du dhikr quand les participants se sentent en présence divine [...] dans le cas de la lila, elle symbolise surtout la présence des mluk qui participent à la cérémonie tout en possédant certaines personnes» 12. La teatralità di questo processo a cui partecipano i credenti o le credenti è il risultato del dialogo tra l’universale e l’individuo che rimanda inevitabilmente a una memoria antica di cui i santi marabutti sono i custodi. In questo quadro risulta impor- tante la presenza di confraternite femminili, con Sante come Lalla Zeïnab in Algeria o Santa Rabi’a el-Adawiya di Basra o Sayyda Mannûbiya in Tunisia. Il sociologo tunisino Imed Melliti racconta di una zâwiya femminile della Tijaniyya a Tunisi e constata che le donne vi si recavano per « chercher remède à une forme de possession maléfique », ov- vero per domandare un intercessione al Santo 13. In questo contesto appare interessante il quadro che Katia Bosseivan elabora nel suo volume dedicato a Sayyda Mannûbiya quando s’interroga sull’effettivo ruolo delle Sante all’interno delle confraternite e sulla loro trasmissione. Un quesito, che Bosseivan fa rinviare a

des conceptions récurrentes de la religiosité féminine, souvent traitée en tant que « islamiste et moderne » ou en tant que « populaire et traditionnelle ». Il existe peu de travaux sur les femmes « entre les deux », celles qui ne se situent ni dans le contexte de la tradition et de la ruralité, ni dans celui de la revendication (parfois active) d’un engagement militant plus strict et épuré. Il importe de rappeler qu’entre ces deux extrêmes, existe une place, dans le spectre des attitudes religieuses, pour un large groupe de femmes et d’hommes dont les conceptions religieuses sont informées de références multiples 14.

Nuclei di aggregazione, le confraternite religiose hanno da sempre avuto nel Maghreb e in Tunisia una funzione socio-religiosa importante poiché offrono una «religione che parla al cuore» e che si rivela nel quotidiano. Possiamo tranquillamente definirle zâwiya marabut- tiche poiché in Tunisia e nella regione le confraternite si sono innestate nel marabbutismo 15.

12 Z. Rhani, Le pouvoir de guerir. Mythe, mystique et politique au Maroc, Leiden- Boston, Brill, 2014, n. 136. 13 I. Melliti, La zawiya en tant que foyer de sociabilité : le cas des Tijâniyya de Tunis, thèse de doctorat, Université de Paris V-René Descartes, 1993. 14 K. Boissevain, Sainte parmi les saints Sayyda Mannûbiya ou les recompositions culturelles dans la Tunisie contemporaine, Tunis, Institut de recherche sur le Maghreb contemporain, 2005, ( posizione nel kindle 290). 15 T. Zarcone, Confrérisme, maraboutisme et culte des saints face au réformisme. Le cas de la Turquie d’Atatürk et de la Tunisie de Bourguiba, in Réforme de l’Etat et Réformisme au Maghreb (XIXe-XXe siècles), édité par O. Moreau, L’Harmattan, 2009, pp. 323-336. Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 9

3. Il marabuttismo in Tunisia Le differenze geografiche, economiche e culturali hanno determinato la variabilità della natura e dell’intensità del marabuttismo in Tunisia anche a causa dell’avanzare dell’europeizzazione. L’importanza delle confraternite varia secondo la zona e, ad esem- pio, sappiamo che la capitale Tunisi è ricca di marabutti, per la maggior parte sede di confraternite. Tra queste ve ne sono di importanti per l’azione religiosa e morale ma anche sociale e politica, che tuttora svolgono. Citiamo alcuni Santi famosi: Sidi Abdallah, Sidi Ben Fallah, Sidi Abdelkhader, Sidi Mehraz. Nel nord est della Tunisia, invece è meno rilevante l’importanza delle confraternite ed è limitata alla città di Biserta. Mentre per quanto riguarda l’area del Capo Bon, riscontriamo negli anni settanta il declino, che conduce al disuso di molti marabutti celebri quali mete di importanti pellegrinaggi terapeutico-devozionali. Nel centro della Tunisia incontriamo la città santa, , meta importante per la sua Moschea fondata da Sidi Oqba ben Nafi nel 670 dc. In questa regione l’Isla- mizzazione ha raggiunto il più alto grado di conformità della Sunna e di conseguenza fu lasciato poco spazio al culto dei Santi e i marabutti, dotati di una propria struttura architettonica, risultano rarissimi. Nella zona meridionale della Tunisia e in particolare nella città di Sfax, considerata città santa dei malekiti, si ritrova la presenza di molti marabutti che sono noti per la cura delle malattie nervose, tra i quali si ricorda quello dedicato a Sidi Salem, Sidi Dja- mel Kebiri, Sidi Abid, Sidi Mansour e Sidi Raf Raf. Nell’area desertica, dove ritroviamo vene idriche artesiane che alimentano gli Chott ( laghi salmastri) e le oasi di Tozeur, Nefta, Kebili le popolazioni arabo-berbere erano dedite ad un’economia mista, agricolo-pastorale. Grande importanza è stata loro attribuita quali trasmettitori di barakāh per contatto ed era fortemente sentito il legame di lignaggio con la propria sede marabuttica. Le cittadelle suddivise in quartieri apparivano ciascuna con un proprio Santo venerato e la m’zara era sede cimiteriale 16. Interessante è, tuttavia, il ruolo politico della santità che, in Tunisia ha una sua peculiarità. Infatti, sin dall’epoca della dominazione ottomana (1574) i shorfa tuni- sini ( custodi di tombe) ottengono dal potere governativo l’autorizzazione ad operare nel campo della religione. Questo rivela che il potere politico centrale non esprimeva un’interpretazione rigorista della religione coranica ed era attento a dialogare con il po- tere religioso periferico, rafforzando in tal modo il potere del lignaggio santo. Così, ad esempio, il lignaggio santo degli Ahl ‘Akerma controllava il Santuario di Sidi Amor 17 nell’oasi di al Gsar 18. Ma come riferisce U. Fabietti «l’esercizio del potere locale sotto

16 Aspetto che desta attenzione poiché la convivenza tra vivi e morti non è parte dell’Islam istituzio- nale, anzi. 17 Sidi Amor Bou Hajla sarebbe arrivato nella regione alla fine dell’VIII secolo. Ancora oggi a questo santo sono attribuite molte qualità e avrebbe compiuto molti miracoli con un semplice gesto della mano. Secondo la leggenda chiamava Sidi Amor Bou Hajla, perché una pernice lo accompagnava sempre e lo proteggeva dal fastidio degli insetti e alcuni dei suoi seguaci lo definivano un santo, vicino a Dio, dotto, virtuoso e devoto. 18 Cfr. M. Khilani, La Construction de la mémoire. Le lignage et la sainteté dans l’oasis d’El Ksar, Ge- neve, Labor et Fuides, 1992. 10 Leila El Houssi l’approvazione del governo centrale ricorda al primo che non devono operare contro il governo ottomano e poi francese» 19. Tuttavia l’ostracismo nei confronti dell’Islam devozionale in Tunisia risale ai tem- pi dell’ex presidente Habib Bourguiba (1957-1987) anche se non è stato il primo a criticare profondamente le confraternite e il culto dei santi nell’area. Infatti, già dall’e- poca ottomana nel XVIII secolo molteplici voci critiche si sono levate nei confronti di questo tipo di credenza e a questi, si aggiungono voci che si rifanno al salafismo e al riformismo che ne denunciano l’attitudine quietista, contemplativa e superstiziosa. Anche i francesi, all’indomani dell’instaurazione del Protettorato avvenuta nel 1881, sostenevano pubblicamente che si trattava di fanatismo, come si può leggere dal giornale, La Dépêche tunisienne che nel 1901 titolava un articolo Encore les Marabouts

Dans tous les cas nous sommes étonnés que le gouvernement Tunisien (?) ne soit pas mieux informé des agissements de tous les chefs religieux On devrait avoir des agents spéciaux dans le but de sonder leurs desseins. Un service de renseignements particuliers devrait être organisé; il est certain qu’il rendrait les plus grands services.

In effetti, dal 1896-97 il dispositivo documentario sulle confraternite aveva iniziato a funzionare. Ma bisognerà attendere il 1924 con l’arrivo alla residenza generale di Lucien Saint che, in una nota ai controllori civili, specifica che lo scopo di queste infor- mazioni è quella di «trouver dans les confréries un élément à opposer aux nationalismes des villes», reclamando dati statistici. Grazie all’aiuto dei caid l’elaborazione dei dati fornirà un’importante mappatura, come possiamo vedere dalla seguente tabella

NOME CONFRATERNITE ZÂWIYA NUMERO ADEPTI 1 - Kadria 109 117 681 2 - Rahmania 50 114 152 3 - Aissaouia 144 37 534 4 - Tijania 24 16 094 5 - Soulamia 87 12 087 6 - Bou Alia 19 2 457 7 - Ameria 13 2 371 8 - Ben Ayed 1 2 218 9 - Alaouia 2 2 002 10 - Ammaria 6 957 11 - Chadlia 17 627 12 - Azzouzia 4 620 13 - Tabassia 4 463 14 - Taïbia 12 452

19 Cfr. Fabietti, Medio Oriente. … cit., p. 248. Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 11

15 - Madania 7 360 16 - Hassinia 2 271 17 - Keraïria 3 252 18 - Senoussia ? 60 (1) 19 - Hafnaoui 1 41

Come afferma il sociologo T. Zarcone, in quella fase la visione che predomina nella classe politica è

de protéger les États nouveaux qu’ils constituent, est la même que celle que développait l’administrateur colonial au Maghreb ; la confrérie est vue comme une « structure forte- ment hiérarchisée, solidaire, à grande capacité militaropolitique». Surtout, l’administra- teur colonial constate qu’« étudier les ordres religieux de l’Afrique mineure, c’est presque faire le chapitre de l’association dans la société maghrébine ». Cette remarque vaut pour la sociabilité confrérique de l’Empire ottoman au début du XXe siècle 20.

4. Nel nome dell’Islam o della laicità? L’Islam devozionale da Bourguiba a Ben Ali All’indomani dell’indipendenza dalla Francia ottenuta il 20 marzo 1956, il nuovo governo ha intrapreso una politica volontaria di modernizzazione della pianificazione urbana della capitale, che ha comportato la distruzione di molte zâwiya. Nell’unico sobborgo meridionale di Bâb el-Jazîra, delle ottantadue zāwiya visibili su una mappa del 1930, nel 1972 erano ancora presenti quarantaquattro, di cui solo cinque attive. I numerosi interventi di riqualificazione, come quelli del quartiere di Sidi al-Bashir, la costruzione della scuola femminile a Mourkadh e quella di El-Gorjani, hanno portato alla scomparsa di molti santuari 21. Da un punto di vista religioso, il progetto sociale di Bourguiba, all’indomani dell’indipendenza dalla Francia si rifaceva a una lettura modernista delle regole religio- se, rifiutando le forme locali di venerazione e per questo motivo desiderava sradicarle. Senza essere intimorito dalle leggende sulle disgrazie dei profanatori di mausolei ordinò la distruzione e la chiusura di molte zâwiya. Sarà dall’abolizione degli habous promossa dal Presidente tunisino il 18 luglio 1957 che le confraternite subiranno un capovolgimento, in quanto, da un lato l’ex presi- dente tunisino incoraggiava a «un ritorno alle fonti della nostra religione e ai nostri insegnamenti fondamentali al fine di liberare la mente che ci aiuta nel nostro cammino tenendo conto della nostra realtà nazionale e dell’insegnamento del secolo che stiamo vivendo» e dall’altro riteneva utile l’eliminazione di associazioni ostili al progresso e al riformismo che potevano costituire una sorta di contro-potere alla repubblica che si stava costruendo. Lo storico P. Sebag, parlando della zâwiya dedicata alla Santa Sayyda Mannûbiya, riferisce che il marabbutismo

20 Zarcone,Confrérisme, maraboutisme et culte des saints face au réformisme. … cit., p. 329. 21 K. Boissevain, Sainte parmi les saints: Sayyda Mannûbiya ou les recompositions cultuelles dans la Tunisie contemporaine Paris, Maisonneuve & Larose, p. 55. 12 Leila El Houssi

compte parmi les “mauvaises coutumes” que le gouvernement de la Tunisie indépendante s’efforce de combattre. L’ancienne zâwiya est devenue le siège d’une cellule destourienne. Dans ses locaux, le jour, garçons et fillettes, qui n’ont pu trouver place dans une école apprennent à lire et à écrire, et, le soir, des cours sont donnés aux adultes analphabètes 22.

Tuttavia, la chiusura non aveva interessato tutte le zâwiya e alcuni santuari sono stati restaurati come quella di Sidi Mahrez e di Sidi Bel Hassen a Tunisi, di Sidi Sahbi a Kairouan, di Sidi Boulbaba a Gabès. Si tratta di zâwiya che sono oggetto di una gran- de devozione popolare e Bourguiba, per mantenere il suo ruolo di Mujahid al Akbar (padre della patria), comprende che sarebbe alquanto sfavorevole continuare nella sua opera di demolitore e paradossalmente diventa il «protettore di Santi» 23. In seguito, con l’ascesa al potere di Zine Al Abidine Ben Ali (1987-2011), s’inaugurava un periodo nuovo che vedeva il governo centrale sostenere un progetto politico innovativo, in particolare nell’ambito religioso in cui il nuovo Presidente della Repubblica dichiarava di avere una posizione profondamente diversa rispetto a quella del suo predecessore. In questa nuova fase si assiste in Tunisia a una riappropriazione dei simboli religiosi attraverso un sostegno da parte governativa al culto dei santi attraverso l’autorizzazione all’apertura di numerose zâwiya (anni 90) e incoraggiamento al pellegrinaggio sulle tombe. Ben Ali, dal suo arrivo sembra investire direttamente nella sfera del religioso e del sacro. Insiste sul ruolo dell’Islam, «fonte di ispirazione e orgoglio» e afferma pubblica- mente che «spetta allo Stato assicurare la prosperità e la diffusione dell’Islam» 24. D’ora in poi, le chiamate dal muezzin alla preghiera scandiscono i programmi della televi- sione e si vede regolarmente il presidente della Repubblica partecipare alle cerimonie religiose. Dal 7 novembre 1987, ciascuno dei suoi discorsi si apre con la formula reli- giosa «Nel nome di Dio, il Clemente e il Misericordioso», rompendo con la tradizione del regime precedente che ha sempre evitato questo tipo d’invocazione nei discorsi ufficiali. Un nuovo controllo dell’Islam che è stato descritto da alcuni ricercatori come «re-islamizzazione dall’alto», inteso a «disinnescare la protesta islamista» 25. Ben Ali, non aveva, infatti, mancato di ribadire quanto l’Islam fosse una compo- nente essenziale del popolo tunisino 26 che, come egli affermava, «è sinceramente legato alla propria religione e ai valori che essa rappresenta. Per questo abbiamo preso delle misure che costituiscono un omaggio giusto all’Islam e al riconoscimento del ruolo prestigioso che la nostra religione ha giocato nella storia del nostro popolo». In quest’ottica era sembrata attenuarsi progressivamente anche la diffidenza nei confronti del movimento islamista (MTI) capeggiato da Rashid Ghannushi 27. Il rin-

22 P. Sebag, ivi, p. 55 23 E. Fekih, Bourguiba, héros national et “saint laïque” de l’islam contemporain, in Saints et héros du Mo- yenorient contemporain, dirigé par C. Mayeur-Jaouen, Paris, Maisonneuve & Larose, 2002, pp. 103-120. 24 Tunisia Press, 1989. 25 O. Roy, L’echec de l’Islam politique, Le seuil, Paris 1992. 26 Cfr. «Interview accordé par le Président Ben Ali au quotidien français Le Figaro» (5 aprile 1988) in Interviews et articles de presse, Tome 1987-1988, p. 40. 27 Il leader islamista, condannato alla pena di morte nel 1987, ottenne la grazia dal presidente tunisi- no il 14 maggio 1988. Con questo gesto Ben Ali aveva mirato ad acquisire il consenso di quella parte non trascurabile della popolazione tunisina che si riconosceva nel movimento islamista. Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 13 graziamento del leader islamista non si fece attendere: in un’intervista rilasciata al quo- tidiano tunisino Assabah egli dichiarò che il proprio movimento non avrebbe più fatto ricorso alla violenza 28. In questo modo il movimento islamista era obbligato a misurar- si con principi e interessi differenti dai propri in un paese che sembrava completamente trasformato con l’insediamento di Ben Ali. Anche sul fronte legato all’islam devozionale, Ben Ali nei primi anni novanta au- torizza l’apertura di numerose zâwiya incoraggiando il pellegrinaggio sulle tombe dei santi. In questo quadro, il presidente tunisino pensava di avere in pugno la situazione e di poter controllare facilmente il clima politico e sociale. Ma, l’apertura democratica si arenò presto e il sistema inclinò prepotentemente verso la dittatura. L’inversione di rotta si verificò nei primi anni novanta quando, dopo la Guerra del Golfo del 1991, la minaccia dell’integralismo islamico inquieta l’Occidente e in partico- lare il partner commerciale più importante della Tunisia, la Comunità Europea. In questo quadro diveniva fondamentale rassicurare i propri partner rispetto all’evoluzione del pro- cesso di democratizzazione che la Tunisia stava compiendo. Di fronte alla questione posta dalla crescita dell’integralismo, Ben Ali manifestò pubblicamente la volontà

di costruire il futuro del nostro paese su basi sane appoggiandosi sui valori della auten- ticità arabo-musulmana ma restando aperti alle altre civiltà. Ma nello stesso tempo vige la determinazione a fermare movimenti sovversivi che appartengono all’integralismo internazionale [...]. Contiamo così sulla cooperazione di tutte le forze progressiste sia nel contesto interno sia internazionale poiché la minaccia dell’integralismo islamico è reale e costituisce un serio pericolo per i valori della democrazia e dei diritti dell’uomo 29.

Nonostante la riabilitazione dell’Islam nel contesto tunisino fosse stato uno dei punti chiave della nuova politica di Ben Ali, la questione religiosa sembrava adesso costituire una delle maggiori preoccupazioni per il paese. Il “leader osservante” che aveva ripristinato l’Università Zitouna e aveva dato il via alla costruzione di numerose moschee, volendosi distinguere con tali azioni dal suo predecessore Bourguiba, comin- ciò a imporre all’interno del paese un rigoroso controllo per “motivi di sicurezza”. Nel corso degli anni novanta Ben Ali rilasciò molte interviste alla stampa internazionale in cui rassicurava sul fatto che il “fenomeno integralista” non avesse intaccato in alcun modo il paese, in quanto si trattava di un fenomeno «incompatibile con la natura e il temperamento del popolo tunisino di cui chiunque conosceva lo spirito di apertura, di tolleranza e di moderazione» 30. In realtà, s’innescò un processo involutivo che ebbe ripercussioni importanti in termini di limitazioni delle libertà civili e dei diritti umani. La sovranità nazionale e l’indipendenza del paese andavano salvaguardati e in nome di questo si rendeva indispensabile l’esclusione dalla scena politica e dallo spazio pubblico degli islamisti e di tutti coloro che potevano dare un’immagine negativa della Tunisia.

28 Cfr. Assabah, 17 luglio 1988; Michel Deure, «L’émir des islamistes exprime sa confiance en M. Ben Ali», in Le Monde, 17 mai 1988. 29 Cfr. Interview accordé par le Président Ben Ali à l’Agence «Reuter» (5 giugno 1992), in Interviews et articles de presse, Tome 1991-1992, p. 22. 30 Cfr. Interview accordé par le Président Ben Ali à l’Agence «Ansa» (novembre 1993), in Interviews et articles de presse, idem Tome 1993-1994, p. 20. 14 Leila El Houssi

«I traditori della nazione», come venivano identificati coloro che avevano un’opinione contraria al governo, non erano più tollerati 31. In questo quadro fu collocato il parti- to Ennahda considerato dallo stesso Ben Ali «di natura violenta e terrorista». Rashid Ghannushi tornava così a essere nuovamente il nemico della patria, ma soprattutto il nemico della modernizzazione autoritaria del paese.

5. La Tawhra in Tunisia tra salafyya e culto dei Santi Colpiti da una disoccupazione crescente, i giovani non erano più in grado di sopportare un sistema degenerato qual era quello tunisino 32. Erano semplicemente “persone” ai cui occhi il regime, che aveva vantato di fondarsi sull’equazione sicurez- za-benessere sociale, appariva un sistema ingiusto, di ostacolo al perseguimento delle proprie aspirazioni 33. Un regime che non convinceva affatto i giovani del ventune- simo secolo e soprattutto mostrava di non funzionare più poiché alla corrotta classe dirigente tunisina risultava ormai impossibile concedere compensi salariali e beni sociali in un contesto di crisi economica mondiale. Risoluta ed efficace, la Tawhra (rivolta) tunisina del 2011 ha rivelato la cecità della scelta di quei governi che alla democrazia avevano anteposto l’obiettivo della stabilità dell’area, coltivando rapporti di interesse con regimi autoritari. All’indomani della rivolta si acuisce, tuttavia, la divaricazione tra Islam devozio- nale e Islam ufficiale ed in particolar modo con il movimento della salafīya 34. Alcuni si oppongono categoricamente al culto dei Santi, per motivi religiosi, rifacendosi al modello wahhabita. Altri denigrano la Zâwiya e le pratiche che si svolgono lì principalmente per ragioni ideologiche (pratiche obsolete, non in linea con l’idea di modernità). A volte, le correnti moderniste e islamiste si uniscono nel loro rifiuto del culto dei santi con gli stessi argomenti invocati sia dall’uno che dall’altro. È noto che la dottrina islamica afferma l’impossibilità di intermediazione tra il muslīm e Allāh, per questo è stato affermato che «l’Islam non conosce culto 35». Tuttavia, per quanto

31 M. Desmeres, La società civile tunisina in ostaggio, in F. Bicchi-L. Guazzone-D. Pioppi, La que- stione della democrazia nel mondo arabo, Stati, società e conflitti, Monza, Polimetrica, 2004, pp. 223-244. 32 L. El Houssi, Le rivoluzioni della dignità, in «Italianieuropei online», 4 febbraio 2011. 33 B.Hibou, La force de l’obeissance, économie politique de la répression en Tunisie, Paris, La Découver- te, 2006. 34 Come scrive Samir Amghar nel suo volume Le salafisme aujourd’hui, la galassia salafita è composta da tre gruppi principali: i quietisti (coloro che si astengono dalla politica e si concentrano su un proseliti- smo religioso), gli attivisti (coloro che si impegnano in politica e la considerano un mezzo per diffondere il messaggio salafita) ed i jihadisti (che preconizzano la lotta armata per raggiungere i loro obiettivi ). Anche se alcuni analisti sostengono che si possono individuare la categoria quietista e quella jihadista, è tuttavia difficile tracciare nel caso tunisino linee rigide fra questi gruppi. Ne è esempio il movimento Ansar al Shari’a, costituitosi nell’aprile 2011. 35 In proposito l’arabista Giorgio Vercellin rileva che «è indiscutibile che nel mondo musulmano esistono ‘ulamā e mullā e mujtahid e imām e via via tutta una concreta varietà e persino gerarchia di au- torità (para) religiose. E altrettanto innegabile è che vi esistono e vi operano e vi sono venerati personaggi carismatici come shaykh, pīr, marabutti, awliyā ecc. E ancora: è davanti agli occhi di chiunque si occupi di Islam che i fedeli musulmani compiono veri e propri pellegrinaggi a veri e propri santuari locali con festeggiamenti che ricordano le nostre feste dei santi patroni, o che scansioni cruciali della vita (nascite, Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 15 ciò possa trovare una propria legittimità in linea teorica, storicamente si è verificato un percorso diverso. Come suggerisce l’arabista Giorgio Vercellin

fin dai primi momenti dell’Islam si assistette a un pressoché inevitabile processo di venerazione e di glorificazione di Muhammad, tanto più accentuato e giustificato per la funzione subito attribuitagli di modello per il taqlīd. In seguito tale tendenza si ripropose prendendo come oggetto dapprima i quattro califfi ben guidati e poi via via i vari personaggi che in qualche modo si erano distinti vuoi per la devozione manife- stata vuoi per esser caduti contro i nemici (esterni ma soprattutto interni) dell’Islam, vuoi per aver dimostrato poteri taumaturgici e così via. Questi personaggi vennero identificati come walī (pl. Awlīya ) [...] Se per esempio, dal punto di vista giuridico walī indica un tutore legale, o un funzionario responsabile, nell’ottica religiosa denota “colui che è vicino a Dio”, “un prediletto da Dio”. Il termine compare nell’accezione che qui interessa già in Corano X, 62 “No ! Per gli amici di Dio [awlīya’ Allah] nessun timore, nessuna tristezza 36!”

Ma chi ha preso di mira le pratiche devozionali legate all’Islam devozionale è indub- biamente il movimento salafita, come dimostrano una serie di profanazioni e attentati contro molti mausolei in tutta la Tunisia. I Salafiti si rifanno sia all’interpretazione che ritroviamo in Ibn Tamiyya vissuto nel XIV secolo che condannava il sufismo e il culto dei Santi perché riteneva potesse attentare all’Unicità di Dio, sia a quella di Ibn ‘Abd al-Wahhâb, fondatore della setta wahhabita. Quest’ultimo che come il suo predecessore esalta il Tawhīd (unicità di Dio), condanna quella che definisce idolatria ribadendo che sia necessaria la distruzione, il sradicamento e la cancellazione di qualsiasi segno legato al culto dei santi. Anche il sociologo T. Zarcone individua che la

La « zawiyya maraboutique » se trouve ainsi, de fait, exposée d’une manière plus nette à la critique des salafis qu’elle favorise la continuation, en son sein, des éléments les plus discutables de l’islam populaire (culte des saints, chamanisme, fakirisme, etc.). Dans la mesure où il est rattaché à une zaviyya, un tombeau se présente comme le champs de rencontre de deux mouvances,celle du confrérisme et celle du culte des saints 37.

Tra il 2012 e il 2013 le profanazioni contro le confraternite furono numerose e tra queste ricordiamo l’attentato avvenuto nella notte del 16 ottobre 2012 a Tunisi contro la zâwiya di Sayyda Aïcha Mannûbiya (o Lalla Manoubyyia). Nel descrivere quanto è accaduto lo scrittore Abdelwahab Meddeb riferisce che

au bout de la nuit du mardi 16 octobre, à 3 heures du matin, cinq cagoulés entrent dans le mausolée de la soufia Sayyida Aïcha Mannûbiya, à la Manouba, près de Tunis ; ils terrorisent les quatre vieilles gardiennes du sanctuaire, aspergent d’essence le catafalque, éparpillent tout autour des pneus et y mettent le feu, après avoir dépouillé les vieilles du peu de bijoux et des portables qu’elles avaient, tout en harcelant au passage la jeune matrimoni e morti) vengono segnate con celebrazioni ad alto contenuto religioso, per non parlare dei momenti connessi ai riti di passaggio come la circoncisione (Khitan)». Cfr. G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, Einaudi, 2002, p. 214. 36 Cfr. ivi, p. 258. 37 Zarcone,Confrérisme, maraboutisme et culte des saints face au réformisme … cit., p. 328. 16 Leila El Houssi

dame de 22 ans qui était en leur compagnie, tentant d’en abuser. Cet acte criminel met à exécution la menace réitérée des salafistes auprès des gardiennes 38.

Aïcha Mannûbiya è da sempre considerata la Santa «sapiente» che aveva osato sfida- re la segregazione di genere, e come ci illustra ancora Meddeb, era vissuta a Tunisi tra il XII e il XIII secolo

en pleine époque où Tunis était sous autorité almohade, avant qu’une branche de la dynastie berbéro-atlasienne s’affranchisse et fonde une dynastie propre, locale, celle des Hafsides. Cette sainte est tellement inscrite dans l’imaginaire collectif qu’elle marque la nomenclature des noms. Manouba, où se trouve l’une des deux zaouias érigées pour sa gloire, est un toponyme qui s’inspire de sa mémoire. Et bien des femmes portent le nom de Mannûbiya que je n’ai rencontré nulle part ailleurs dans le monde arabe. Le nom se décline aussi au masculin et bien des Tunisiens s’appellent Manoubi 39.

La profanazione del mausoleo della Santa «sapiente» ha quindi destato profondo sdegno sia in Tunisia sia al di fuori dei confini nazionali, anche per un suo contenuto simbolico poiché è stato rivolto verso il luogo che custodiva le memorie di una donna che si era battuta per l’emancipazione femminile già all’inizio del XIII secolo. Irina Bokova, segretario generale dell’UNESCO ha dichiarato all’indomani dell’attentato che, «attentare ai luoghi della memoria popolare e della storia della Tunisia è commet- tere un crimine contro il popolo tunisino che si è sempre distinto, nel corso della storia, per la sua tolleranza e il suo rispetto delle diversità delle credenze e delle pratiche spiri- tuali» 40. La violazione del mausoleo di Sayyda Mannûbiya, oltre ad essere un attentato al luogo della memoria, si rivela anche come profanazione dell’anima tunisina. L’Islam popolare non incarna solo una tradizione secolare ma interpreta anche l’aspetto spiri- tuale e morale di un popolo “plurale” che da sempre è stato in grado di far convivere l’unicità di Dio con il culto dei santi e delle sante 41. Altre zâwiya sono state, tuttavia, profanate come quella di Fahs, vicino a Zaghouan, di Sidi Bouhdiba e rasa al suolo con un bulldozer, di Sidi Ya’qûb à Beni Zelten, vicino a Matmata, nella provincia de Gabès. E il mausoleo di Sidi ‘Abd al-Qâdir Jilani ( Abdelka- der) à Menzel Bouzelfa, ha visto nel 2012 la sua chiusura da parte di alcuni gruppi salafiti e l’uccisione del guardiano il 3 febbraio 2015. Malik Ayari, esperto in prevenzione dei conflitti sostiene che l’aver preso di mira da parte di estremisti le zâwiya in Tunisia

révèle parfaitement l’aversion des jihadistes pour cet aspect déterminant de la culture reli- gieuse maghrébine et d’Afrique de l’ouest (destruction des mausolées de Tombouctou). Leur haine de cette culture illustre la pertinence de mener la confrontation cultuelle sur ce front, car l’islam soufi porte en lui la dimension spirituelle qui manque tant au wahhabisme et dont il est l’antithèse. La «daêchisation» des esprits est un appauvrissement spirituel et moral qui

38 A. Meddeb, La destruction de la zaouia de Saida Monoubia, in http://www.leaders.com.tn/ article/9625-la-destruction-de-la-zaouia-de-sayyida-Mannûbiya, 20-10-2012. 39 Ibidem. 40 L. El Houssi, Il risveglio della democrazia. La Tunisia dall’indipendenza alla transizione, Roma, Carocci, 2013, p. 67. 41 El Houssi, La profanazione … cit. Tentativi di rimozione e di violazione nel processo di nation building della Tunisia 17

mine la société, en réduit la capacité de résilience, et la rend vulnérable aux fascismes de tous bords. Ce n’est peut-être pas un hasard si les jihadistes de Daêch affectionnent tant ladécapi- tation: l’idée même de se servir de son cerveau leur est complètement étrangère 42.

I tentativi di rimozione e di violazione nei confronti dell’Islam devozionale riman- dano a quel processo ben delineato dallo scrittore tunisino Meddeb di «desertificazione della memoria» di un popolo. Un popolo cui non è stata rivelata la propria «purezza» dal rigorismo morale di un Islam istituzionale bensì dal millenario intreccio con le altre culture. E il mondo intellettuale tunisino ribadisce, attraverso comunicati e sag- gi, quanto sia fondamentale difendere questi luoghi della memoria che riportano alla tradizione malechita maghrebina che tollera il culto dei santi. Un culto che oltre ad avere una valenza simbolico-religiosa riporta alla memoria culturale della quotidianità di un popolo. In questo, Meddeb ci ricorda che nelle celebrazioni religiose all’interno dei mausolei la teatralità del processo ci riporta alla

survivance du dionysiaque tel qu’il a été illustré par le dernier des trois grands tragiques grecs, Euripide (IVe siècle avant l’ère commune) dans sa pièce Les Bacchantes. Cette scène où se déploie le culte des saints reçoit l’excès pour reprendre encore un mot du lexique qu’emploie Georges Bataille. On peut aussi parler de démesure si l’on se réfère au langage de Nietzsche, lequel défend le pôle dionysiaque qu’il met sous tension avec le pôle de la mesure incarné par Apollon. A travers la scène qui accueille l’excédent féminin pendant les séances de transe telles qu’elles se pratiquent à l’intérieur du mausolée de Sayyida Mannûbiya, nous retrouvons aussi la scénographie du théâtre de la cruauté prôné par Antonin Artaud, un de ceux qui ont révolutionné le théâtre dans la première moitié du XXe siècle en s’inspirant notamment de multiples représentations archaïques venues du Mexique et d’Indonésie.

Ma oltre all’impegno del mondo intellettuale a difesa di questa memoria culturale osserviamo anche la mobilitazione della classe politica che con l’ex ministro della cul- tura Mehdi Mabrouk, nel gennaio 2013 annunciava l’avvio di una strategia nazionale urgente da compiersi in collaborazione con il dicastero da lui presieduto, con il Mini- stero degli affari interni e degli affari religiosi. Una collaborazione che potesse fronteg- giare le ripetute aggressioni contro i mausolei e zâwiya nel territorio tunisino. In una riunione congiunta con l’ex presidente della Repubblica Moncef Marzouki, il ministro dichiarava che si era difronte ad una vera e propria marcia pianificata di alcune frange oscurantiste che volevano distruggere simboli della storia che costituiscono una parte importante della memoria nazionale.

6. Conclusioni Il culto dei Santi e delle Sante appartiene alla storia e alla cultura tunisina. Nono- stante gli intensi cambiamenti in atto, la formula transculturale che contraddistingue la Tunisia si rivela anche attraverso il radicamento a tradizioni simili.

42 Cfr. M. Ayari, Tunisie : La réforme du champ religieux, in Kapitalis, 10 luglio 2015 in http://kapi- talis.com/tunisie/2015/07/10/tunisie-la-reforme-du-champ-religieux-4-4/ 18 Leila El Houssi

Questo Islam pacifico e luminoso, certamente contrario al nichilismo dello Sta- to islamico (Daêch), svolgeva in passato una funzione socio-religiosa estremamente preziosa e si poneva in prima linea contro gli attacchi al di fuori della regione. Come abbiamo analizzato, il radicamento di una tradizione, qual è quella dell’Islam delle con- fraternite, ha visto declinare il tentativo di rimozione da parte dell’ex Presidente Bou- rguiba e in seguito ha esortato Ben Ali ad autorizzare l’apertura di numerose zâwiya incoraggiando il pellegrinaggio sulle tombe dei santi. Nonostante le difficoltà, l’Islam delle confraternite sembrerebbe costituire ancora oggi un potente anticorpo contro forme radicali e andrebbe preservato, perché come sostiene M. Ayari,

La Tunisie devrait se joindre à cette dynamique, et apporter sa contribution à une ripo- ste islamique soufie. Elle en a la légitimité religieuse, la stature et les ressources. Cette initiative sera le pendant culturel et religieux de la riposte sécuritaire, elle implique de restaurer le maillage du tissu socio-religieux (un village/un marabout), dont la capillarité peutcontrer celle rampante du wahhabisme 43.

Leila El Houssi (Università di Padova)

43 M. Ayari, ibidem.