Jérémie Rhorer Orchestra Del Teatro Regio
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
I CONCERTI 2017-2018 JÉRÉMIE RHORER DIRETTORE ORCHESTRA DEL TEATRO REGIO VENERDÌ 30 MARZO 2018 – ORE 20.30 TEATRO REGIO Jérémie Rhorer (foto Luc Braquet, 2018) Jérémie Rhorer direttore Orchestra del Teatro Regio Gustav Mahler (1860-1911) Sinfonia n. 5 in do diesis minore (1901-02) I. Trauermarsch: In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt [Marcia funebre: A passo misurato. Severo. Come un corteo funebre] II. Stürmisch bewegt. Mit größter Vehemenz [Tempestoso. Con la massima veemenza] III. Scherzo: Kräftig, nicht zu schnell [Vivace, non troppo veloce] IV. Adagietto: Sehr langsam [Molto lento] V. Rondo-Finale: Allegro PROGETTO MAHLER Restate in contatto con il Teatro Regio: f T Y p Emil Orlík (1870-1932), Ritratto di Gustav Mahler. Vernice molle e puntasecca su pergamena, 1902. Gustav Mahler Sinfonia n. 5 Secondo un’interpretazione tradizionale, che risale al primo grande studioso mahleriano, Paul Bekker, la Quinta rappresenterebbe una svolta nel suo percorso compositivo, un autentico cambiamento di prospettiva. Dopo le sinfonie, dalla Seconda alla Quarta, intercalate o concluse da interventi corali o vocali, il più delle volte provenienti dalla raccolta del Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), ad affermarsi è la musica pura, l’autonomia delle strutture musicali. La rinuncia alla voce e l’esclusione dei testi, col loro seguito di suggestioni im- maginative, con i loro suggerimenti narrativi, sembrano condurre alla scomparsa di ogni intenzione programmatica, di ogni programma anche soltanto interio- re. L’eroismo della Prima, il respiro religioso e filosofico dellaSeconda , l’afflato panteistico della Te r z a , il sogno di un Paradiso infantile della Quarta, tutti più o meno giustificati da riferimenti poetici e letterari, lasciano il posto all’oggettività formale, all’astrattezza dei puri valori sinfonici. La svolta si direbbe radicale so- prattutto rispetto alle dimensioni “classiche”, al gioco infantile, alla diffusa ironia della Quarta, la sinfonia che la precede immediatamente. Eppure i legami con l’universo letterario che confluiva nei precedenti lavori non si sono del tutto interrotti. Nell’agosto del 1901, la stessa estate in cui il progetto della Quinta comincia a formarsi, Mahler compone Der Tambourg’sell, uno dei Lieder sinfonici dal Corno magico (l’altro è Revelge) che si aggiungevano ai dodici già musicati durante la Seconda e la Te r z a Sinfonia. La storia del povero tambu- rino condannato a morte per non si sa quale colpa, il più triste e il più tenero fra i tanti diseredati mahleriani, suggerisce un clima musicale e un tematismo assai vicini all’iniziale marcia funebre di questa Sinfonia. Non è il solo elemento ad av- vertirci che il mondo poetico individuato dalla prediletta raccolta non ha ancora esaurito le sue risorse: nel Rondò-finale sarà preciso il ricordo proveniente da un altro Lied del Wunderhorn, la gara di canto fra il cuculo e l’usignolo, Lob der hohen Verstandes (Lode all’alto intelletto), con l’asino che risolve la contesa e assegna la vittoria al cuculo. In questa prospettiva, non solo il mondo poetico di Mahler non conosce una vera frattura, ma si può dire che nel frattempo si stia aprendo un nuovo versan- te, completamente diverso. Dopo gli antichi canti medioevali tedeschi raccolti da Arnim e Brentano nei tre libri del Corno magico, è il momento della poesia senti- mentale e letteraria di Friedrich Rückert. Anche questa fonte poetica, trapiantata in altri Lieder composti nella stessa estate, ha lasciato nella Quinta più di una traccia. Mentre la lunga melodia dell’Adagietto (sic) rielabora la parte conclusiva del Lied Ich bin der Welt abhanden gekommen (Sono ormai perduto al mondo), poco prima di giungere alla Coda dell’iniziale Marcia funebre, si nasconde una ci- tazione dal primo dei Kindertotelieder (Canti dei bambini morti), il ciclo di cinque poesie tratte sempre da Rückert che Mahler completerà solo tre anni dopo. Dunque nessuna svolta, nessun radicale mutamento di prospettiva? Certo c’è la rinuncia all’aiuto del testo, c’è l’abbandono della «parola che chiarifica» e il consegnarsi interamente alla musica sinfonica. Ma non ha molto senso dividere la creatività mahleriana in fasi o periodi, trascurando i legami, i rimandi e i pre- sagi che tengono allacciate tutte le sue composizioni, anche la Quarta e la Quinta, apparentemente così lontane fra loro. Rinunciare al testo non vuol dire che le due grandi polarità della sua arte, la Sinfonia e il Lied, si siano separate, scegliendo strade differenti. Le affinità fra i due piani potranno rivelarsi meno dirette, più sottili o sfumate, ma se si vuole davvero parlare di svolta si dovrà considerare piuttosto la transizione dall’universo realistico e oggettivo del Wunderhon all’inti- mismo poetico di Rückert, e sottolineare come proprio nella Quinta Sinfonia quei due mondi si siano trovati, per una volta, a convivere. Quanto al programma, in una lettera al critico musicale Max Kalbeck, senza data, ma probabilmente scritta proprio nel 1902, l’anno in cui la Quinta si con- clude, Mahler si esprime con una chiarezza troppe volte trascurata e dice due cose importanti: «Non c’è musica moderna, cominciando da Beethoven, che non abbia un programma interno. Ma nessuna musica è valida se all’inizio bisogna avvertire l’ascoltatore delle esperienze che vi sono contenute, con la conseguenza di dirgli anche ciò che dovrà provare». Dunque, c’è un percorso segreto che non si svela; non un programma illustrativo, ma un «decorso sentimentale d’idee» sostenuto da una forma narrativa (il coté romanzesco di cui ha parlato Adorno) e concretiz- zato in un pensiero musicale. Articolata in cinque movimenti, la Quinta si divide in tre parti, la prima in cui si riuniscono la Marcia funebre e l’Allegro, quindi una sezione centrale occupata dallo Scherzo, infine una terza parte formata dagli ultimi due movimenti. Inedito e del tutto particolare è soprattutto il vincolo fra i primi due, la Marcia funebre e il «Tempestosamente mosso» del secondo. Da un lato, il secondo movimen- to, anche per essere costruito secondo una tradizionale forma-sonata, potrebbe sembrare il vero primo movimento della Sinfonia, relegando la Marcia funebre a una sorta d’introduzione; dall’altro, il fatto che esso riprenda e sviluppi ampie sezioni della Marcia, non fa che annodare le due pagine in un unico, inseparabile complesso. Anni dopo, Alban Berg, che molto amava e ammirava Mahler, coglierà l’interesse di questa forma binaria nel suo Quartetto per archi op. 3. Rompe il silenzio e avvia la Sinfonia una fanfara della tromba, tanto tagliente e crudele quanto più eseguita piano; ma non più sinistra di un segnale militare che poco a poco scompare e si va quindi spegnendo, affondando nel grave dei bassi. C’è un senso acuto della rappresentazione nella scena che si distende ai nostri occhi, ma per quanto intensa sia l’impressione d’essere immersi in un’atmosfera desolata, ci rendiamo conto di assistere solo a una cerimonia, di contemplare un rito osservandolo solo dall’esterno. È uno di quei momenti in cui la musica di Mahler aspira a una dimensione collettiva, sogna che gli uomini possano unirsi fra loro, affratellati dal dolore, ma non può esprimere questo desiderio se non con un sentimento personale, soggettivo, con quella lunga melodia in cui si fondono amarezza e consolazione. Ma in quel modo, tutto suo, che rende più dolce l’ama- rezza e più vana la consolazione. A interrompere il clima è un’ondata di violenza pronta a troncare il ritorno della fanfara, un’irruzione selvaggia che ferisce la mi- sura processionale della marcia e anticipa la tempesta del secondo movimento; seguito da un episodio ripiegato in un tempo più lento, dal tono elegiaco. Un canto senza parole, accompagnato da rintocchi che non smettono di farsi sentire, e frapposto al sospiro di un ampio intervallo ascendente alle viole che sarà il tratto unificante e segreto col movimento successivo. L’espressione, che era prima contenuta nel passo processionale del rito, pro- rompe ora inarrestabile e questo secondo movimento sembra giustificare la sua esistenza nel tentativo di neutralizzare la Marcia funebre. Assorbendone ampi pas- saggi e immergendoli in un clima del tutto contrastante, frantumandone il passo con irruzioni che sembrano introdurre impetuosamente tutto ciò che il primo movimento si sforzava di allontanare. Oppure sospendendo tutto in un’immobile meditazione: il nudo recitativo dei violoncelli sopra un lungo rullare del timpa- no. Ma, soprattutto, affidandosi a un corale che poco prima della conclusione si staglia come una visione chiarificatrice. Una fata morgana, un’apoteosi prematura e in anticipo sul finale, sgretolata nelle ultime battute dalla frammentazione dei temi (sopravvive il gemito dell’intervallo ascendente) in un fantomatico isolarsi dei timbri. Chiave di volta della Sinfonia è il grande Scherzo. Costruzione meravigliosa in cui, come Mahler racconta all’amica Natalie Bauer Lechner, «ogni nota è animata da una vita suprema e tutto gira in tondo, come in un vortice o in una coda di cometa». Ancora qualche anno dopo, in una lettera alla moglie, descriverà questo «tempo maledetto» con immagini di stelle che danzano, o di un mondo che dura un solo istante per poi tornare subito a dissolversi. Mahler è un maestro della va- riazione e giustamente se ne compiace. Ma lo Scherzo è anche un trionfo del ritmo ternario e della danza, interpretati in una moltitudine di atteggiamenti diversi, messi a confronto in un disegno capriccioso, dagli innesti sbrigativi. Il Ländler del gruppo iniziale trapassa in una sorta di perpetuum mobile trattato in stile fugato, il Valzer viennese sfocia in delicati spunti di serenata. Un episodio, al centro, forse ispirato a una canzone popolare, concede qualcosa alla nostalgia. Mentre il lungo assolo di un corno obbligato porta con sé una voce di natura finora assente dalla Sinfonia, un estatico pizzicato degli archi immobilizza il quadro in un’impagabile fusione fra l’ironico e il sentimentale.