Il Piccolo 10 Ottobre 2017 Dai Moscerini Una Cura Per La Sla
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Il Piccolo 10 ottobre 2017 Pianeta scienza Dai moscerini una cura per la Sla Il gruppo del dottor Fabian Feiguin (Icgeb) da 10 anni studia le malattie neurodegenerative di Lorenza Masè. Utilizzare i moscerini della frutta per studiare le malattie neurodegenerative. È quello che da oltre 10 anni fanno i ricercatori del laboratorio di Neurobiologia dell'Icgeb. In questi anni gli studi del gruppo internazionale di ricerca, guidato dal dottor Fabian Feiguin, sono stati pubblicati su prestigiose riviste scientifiche aprendo nuove possibilità terapeutiche per una malattia per cui ad oggi non esiste una cura. La SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, è una grave malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, causando una paralisi progressiva della muscolatura con effetti devastanti su salute, qualità e aspettativa di vita. Finanziato dalla fondazione AriSla, i ricercatori hanno concentrato l'attenzione sul ruolo di una particolare proteina la TDP-43 una delle principali proteine implicate nel processo di degenerazione dei motoneuroni e che risulta modificata nel 90% dei malati di SLA. Oggi la sua anomalia è collegata con l'insorgenza della malattia. Il moscerino della frutta o Drosophila melanogaster è geneticamente molto simile all'uomo: su 700 malattie causate per mutazione di un singolo gene nell'uomo, l'80% di questi geni è conservato anche nel moscerino, geneticamente molto meno sofisticato e con un solo gene per funzione. La Drosophila ha un omologo della TDP-43 per il controllo dell'attività motoria e dell'innervazione muscolare. «Capire in che modo la proteina funziona e regola la locomozione della mosca - commenta Feiguin - equivale alla possibilità di ottenere una cura per la SLA. Ci siamo pertanto chiesti quali sono i meccanismi che conducono alla neurodegenerazione, scoprendo che questa proteina è richiesta permanentemente nel sistema nervoso per determinare l'organizzazione funzionale dei motoneuroni e delle connessioni sinaptiche». Alla soppressione della TDP-43 in mosche adulte compaiono immediatamente evidenti problemi locomotori, sintomi neurologici di paralisi e la sopravvivenza appare seriamente compromessa: in qualsiasi momento della vita della mosca si interrompe la funzione della proteina compaiono i sintomi della SLA. «Abbiamo valutato anche se nelle mosche in cui avevamo soppresso la TDP-43 - spiega - era possibile rigenerare i neuroni. Abbiamo atteso tutto lo sviluppo della mosca riattivando in età adulta la proteina e ciò ha fatto sì che le mosche riprendessero a camminare, il motoneurone quindi ha una capacità funzionale residua e intervenendo ha una capacità di rigenerarsi». I risultati ottenuti dai modelli animali hanno dimostrato che una ripresa funzionale tardiva dell'attività neuronale è possibile. «Iniziamo a capire - commenta lo scienziato - le basi molecolari della modificazione della proteina e questo apre a nuove terapie farmacologiche» . Il team di Feiguin sta infatti cercando applicazioni farmacologiche per compensare la mancanza della funzione della TDP-43, in particolare manipolando farmacologicamente nelle mosche l'eccesso di glutammato, un aminoacido usato dalle cellule nervose come segnale chimico: quando il suo tasso è elevato ne determina un'iperattività che può risultare nociva, generato per la mancanza della TDP-43, e stiamo ottenendo buoni risultati». «Nuove terapie post-infarto» La ricercatrice Serena Zacchigna è anche capofila del progetto Train di Mary B. Tolusso. Si è laureata a Trieste in Medicina, specializzata poi tra la Sissa e il Belgio sul parallelismo tra sistema vascolare e sistema nervoso. Dal 2008 Serena Zacchigna lavora presso l'Icgeb e dal 2015 ha il suo gruppo di ricerca. Due figli, con cui ama trascorrere tutto il tempo libero, ma adora anche la corsa: «Proprio la scorsa settimana», dice «ho partecipato alla Sincro-Run, la staffetta competitiva attorno all'anello di Elettra». La sua ricerca invece si svolge nei laboratori dell'Icgeb: «Ci occupiamo di trovare nuovi approcci terapeutici per 1 stimolare la rigenerazione del cuore e dei vasi sanguigni dopo l'infarto. Dai nostri esperimenti ci siamo resi conto che il cuore adulto è un po'refrattario alla formazione di vasi sanguigni. Questa scoperta ci ha portato a esaminare in quale misura questo sia correlato alla scarsa incidenza di tumori e di metastasi nel cuore». Una ricerca che collega la scienza alle imprese, Zacchigna infatti è capofila di Train, il progetto Interreg Italia-Slovenia finanziato per oltre un milione di euro: «Nell'ambito del progetto Train, vogliamo collaborare sempre più con le imprese e gli istituti di ricerca della regione transfrontaliera. Le nostre ricerche utilizzano degli screening ad alta processività. Presso l'Icgeb c'è una piattaforma che si chiama Hight- Throughput-Screening, ovvero dei robot che in maniera automatica dispensano cellule reagenti, quindi nel giro di poche ore si può testare l'effetto di 10. 000 farmaci». Ciò genera una grande quantità di dati che richiede un'elaborazione informatica: «Il progetto Train coniuga la nostra esperienza in biologia e medicina con dei gruppi sloveni che fanno bio- informatica. Per estrapolare dei dati da questi screening, che possono essere nuovi demarcatori o nuovi farmaci, bisogna aprirsi all'industria al fine di arrivare al mercato e alla clinica. Non è sostenibile oggi una vera traslazione della ricerca dalla realtà accademica». La seduta» oltreconfine Ziberna rilancia la Casa del parto «Torniamo sulla carta d'identità» Riunione del Consiglio comunale assieme a quelli di Nova Goriza e Sempeter nella sala del Casino Perla Il sindaco scommette sul progetto finanziato con 700mila euro : " Nascite in Slovenia ? E' stato un flop " di Francesco Fain. «Entro due anni Gorizia avrà la sua Casa del parto». L'annuncio porta la firma del sindaco Rodolfo Ziberna che intende concretizzare uno dei progetti più importanti (assieme al Cup transfrontaliero) inseriti nella programmazione del Gect, oggetto ieri di approfondimento da parte dei tre Consigli comunali di Gorizia, Nova Gorica, Sempeter Vrtojba, riuniti nella sala conferenze del casinò Perla di Nova Gorica. L'obiettivo è duplice: dotare la città di un centro avanzato per il parto naturale e, soprattutto, far rientrare dalla porta principale il nome di Gorizia sulle carte d'identità. La chiusura del Punto nascita, infatti, ha determinato la morte "anagrafica" del capoluogo. «La Casa del parto? Certo che si farà. Peraltro, c'è una fetta di finanziamenti (700mila euro) già nella disponibilità del Gruppo europeo di cooperazione territoriale e che serviranno per realizzare questa struttura. L'iniziativa parte dalla considerazione che il parto non è una patologia, è un evento naturale e la Casa introdurrebbe un percorso che oggi, in queste zone, non abbiamo. La partoriente viene presa per mano dalle ostetriche e accompagnata verso il parto. Se dovessero insorgere complicazioni, c'è l'ospedale di Sempeter. Ecco perché è giusto puntare tutte le nostre carte su una struttura dove le mamme che lo vorranno potranno partorire in modo naturale (sono escluse quindi le emergenze, le situazioni critiche e ovviamente i parti cesarei), secondo i ritmi fisiologici del travaglio, senza forzature e interventi non necessari e assistite da ostetriche esperte». Diciamo che sarà una versione "moderna" del vecchio parto casalingo. In Italia attualmente sono solo sei le Case del parto, tre in Lombardia, due in Emilia Romagna e una nel Lazio, ma il loro numero è in progressiva crescita per assecondare il desiderio di molte donne di affrontare un parto naturale, in un ambiente intimo, confortevole e tranquillo. La struttura sanitaria verrà realizzata presumibilmente nel Parco Basaglia o, in alternativa, nell'area di via Tuscolano dove c'è ancora il vecchio obitorio e un vasto parcheggio al servizio dell'ex ospedale civile. Perché tali location? Tali tipologie di servizio presuppongono, appunto, la presenza (preferibilmente nelle immediate vicinanze) di un Punto nascita per gestire le eventuali emergenze: siccome a Gorizia il reparto non c'è più, spazzato via dalla riforma regionale della sanità, gli eventuali casi complessi e le urgenze verrebbero dirottati a 2 Sempeter, dove il reparto materno-infantile continua regolarmente a operare. Ma Ziberna ha molto da dire anche sulla convenzione con l'ospedale di Sempeter Vrtojba per i parti oltreconfine. Nel 2014 si registrarono due nascite di bambini italiani "di là". Che diventarono quattro nel 2015. Nel 2016 c'è stata una conferma: altre quattro nascite al di là del confine che non c'è più. Il riferimento è ai numeri, assolutamente striminziti, dei parti (fisiologici, tramite taglio cesareo o ausilio ventosa, con o senza complicanze) di donne goriziane all'ospedale sloveno di Sempeter Vrtojba. Non serve nemmeno dire che l'esperimento non ha funzionato o, quantomeno, non come si pensava (o si sperava). A parlare sono i numeri. Meno del 2% delle gestanti goriziane si è rivolta al nosocomio d'oltreconfine per dare alla luce il proprio bambino. «È stato un flop vero, non ci sono altre parole - sottolinea Ziberna -. Quella convenzione sembra essere stata scritta con il manuale delle giovani marmotte. Era prevedibile che andasse così. Ci sono anche difficoltà linguistiche di mezzo e, poi, non tutti sono d'accordo nel vedere scritto sulla carta d'identità "nato a Sempeter, Slovenia". Semplicemente, è una convenzione che non serve. Piuttosto, è stato sbagliato, oltreché offensivo per la città, chiudere il Punto nascita. È vero, registrava meno di 500 all'anno, eppure era un'eccellenza