IL MESSAGGERO VENETO 12 GENNAIO 2019

Scontro su futuro e fondi per la Tav lungo la Venezia-Trieste Il leghista: cancellata dal Pd. La dem: fatte scelte ragionevoli Alta velocità Fvg Tra Fedriga e Serracchiani è guerra di cifre

Mattia Pertoldi UDINE. La Tav in Friuli fa litigare in diretta televisiva (pur a distanza) l'attuale presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, e l'ex governatrice Debora Serracchiani con lo scontro che, successivamente, si sposta sui social a colpi di post e tweet.Andiamo con ordine. Tutto comincia ieri mattina quando Fedriga, rimasto a Roma dopo l'incontro con Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini per il rinnovo dei Patti finanziari con lo Stato, è ospite di Agorà, programma televisivo della Rai. In trasmissione si discute delle tensioni tra M5s e Lega sui principali temi governativi tra cui c'è anche il destino dell'alta velocità. Il governatore, da sempre favorevole all'opera, ha di fronte a sé l'ex ministro della Sanità Beatrice Lorenzin ed è giocando di sponda su di lei che affonda il primo colpo. «Mi sembra surreale - attacca - che oggi il Pd vesta i panni del grande sostenitore della Tav quando in Fvg la tratta ad alta velocità Venezia-Trieste non si farà più. E sapete chi lo deciso? Proprio il Pd con Serracchiani che all'epoca festeggiava la cancellazione di quest'opera».Fedriga, nel dettaglio, si riferisce all'accordo firmato a fine 2016 tra la Regione e l'allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio che, in sintesi, conteneva l'ok alla velocizzazione dell'attuale linea che da Venezia (Mestre) porta a Trieste - passando per la Bassa friulana, Latisana e Cervignano - grazie a una serie di interventi propedeutici sul traffico ferroviario e un pacchetto di lavori successivi con l'obiettivo di arrivare, entro il 2025, a definire una tratta da poco più di un'ora di viaggio. Un'operazione, questa, da 1,8 miliardi di euro - con però soltanto 200 milioni già messi a disposizione - al posto degli 8 miliardi necessari alla realizzazione della Tav. A questo punto in trasmissione interviene telefonicamente Serracchiani che replica alle accuse. «Fedriga sa benissimo - dice - che la Venezia-Trieste si può fare e che gli ho lasciato in eredità la Valutazione di impatto ambientale completata. Il problema è che all'epoca non c'erano gli 8 miliardi necessari e, d'accordo con Luca Zaia, intanto abbiamo trovato il miliardo e 800 milioni per la velocizzazione della tratta. Se Fedriga tiene tanto alla Tav, invece di andare ogni giorno in televisione, trovi i fondi necessari alla realizzazione dell'opera e intanto spenda i soldi che ha disposizione come sta facendo il suo collega Zaia».Pronta la controreplica di Fedriga. «In televisione ho poco tempo di andarci visto che sono sempre in ufficio - attacca -, ma al di là di questo faccio notare come a bilancio ci siano soltanto 200 milioni visto che il miliardo e 800 milioni di cui parla Serracchiani è soltanto programmato. Ricordo poi all'ex presidente che il gruppo consiliare del Pd, nel momento in cui in Aula ho presentato le linee programmatiche della legislatura, mi ha attaccato, compreso il suo ex numero due Sergio Bolzonello (il quale ha poi smentito di aver mai parlato di Tav invitando il governatore a «soppesare meglio le parole, prima di attribuirle ad altri» ndr), proprio perché stavo riproponendo la Tav».Fedriga, però, non si ferma qui e a stretto giro di posta il suo staff recupera un tweet di Serracchiani pubblicato sul profilo della dem il 25 ottobre. Parliamo, cioè, del giorno in cui la commissione Lavori pubblici del Senato garantisce il via libera allo schema di contratto di programma 2017-2021 tra il ministero dei Trasporti, ora in mano a Danilo Toninelli, e Rfi in cui, secondo il capogruppo grillino a palazzo Madama Stefano Patuanelli, è contenuto il definitivo altolà alla Tav sulla Venezia-Trieste. In realtà il blocco era avvenuto due anni prima con Delrio come ricorda proprio Serracchiani. «L'invasiva Tav Venezia-Trieste - si legge nel tweet di fine ottobre - è sparita da anni con il governo di centrosinistra, ma i #M5s oggi spacciano come novità che è merito loro: bugiardi. Ci sono già risorse per velocizzare la linea, facciano uscire Toninelli dal tunnel e cominci a occuparsi del Nordest #sciecomiche». Fedriga, dunque, ha gioco facile a ripescare quel "cinguettio", pubblicarlo sul proprio profilo Facebook per attaccare l'ex governatrice. E non è finita qui perché Serracchiani nel pomeriggio rivendica di «essere stata favorevole alla Tav, e di avere fatto scelte ragionevoli e realistiche, dal punto di vista delle risorse, dei tempi di realizzazione e della sostenibilità ambientale». Scelte che «ho condiviso con il governatore Zaia dopo che per anni la Tav Venezia-Trieste era rimasta solo sulla carta». Colpo finale in mano a Fedriga, però, visto che in serata pubblica un video in cui viene montata la puntata di oggi di Agorà assieme ai tweet e agli interventi sui giornali di Serracchiani (e di alcuni esponenti del gruppo dem) in cui si rivendica la scelta di abbandonare il vecchio progetto della Tav.

L'assessore parla del futuro del sistema. E sul raddoppio della tratta da Mestre dice: non ho trovato nemmeno un euro, ma solo un progetto

Pizzimenti: «In ritardo di lustri nei collegamenti via treno» l'intervista «Il Fvg è in ritardo di qualche lustro nel trasporto su rotaia». Parola dell'assessore alle Infrastrutture, Graziano Pizzimenti, che lamenta anche di non aver trovato «neppure un euro sulla Venezia-Trieste, c'è solo un'idea progettuale. Per cui per il raddoppio della linee bisognerà aspettare anni».Quello dei trasporti è un settore particolare, «in cui non puoi pensare un progetto e realizzarlo in poco tempo - ha spiegato l'assessore -: ci vogliono anni, accordi, studi, progetti». Ora dunque siamo in ritardo, «è un fatto innegabile - ha aggiunto -. Ma io non ho trovato un euro sulla Venezia-Trieste, c'è solo un'idea progettuale tant'è che quest'anno in commissione parlamentare è passato l'ok allo studio per la velocizzazione. Vale a dire il via libera alla possibilità di fare lo studio di fattibilità economica. Vuole dire che non c'è neanche un progetto».Ma una speranza c'è e passa dal nuovo contratto. La Regione ha già deciso che si procederà con un affidamento diretto, bypassando quindi la gara europea, per un impegno di dieci anni, rinnovabile per altri cinque. La partita dovrebbe chiudersi già entro marzo, nelle intenzioni dell'assessore. Il contratto sarà decennale e potrebbe aggirarsi sui 400 milioni, ma la presenza di due contendenti - Trenitalia e Arriva (Gruppo Deutsche Bahn) - potrebbe consentire risparmi. Di sicuro l'affidamento diretto sbloccherà gli investimenti, fermi da due anni a causa della proroga del contratto. «Con la firma del contratto ci giochiamo molto - è l'opinione di Pizzimenti - perché in base all'accordo potrebbe essere migliorato il servizio sia in qualità sia in quantità. Cerchiamo un aumento delle corse e treni migliori. Anche con l'orario cadenzato sarebbe più opportuno pensare alle coincidenze a Mestre e in base a quelle ripensare le nostre corse in modo da offrire treni a lunga percorrenza efficienti».Sul contratto di servizio del trasporto su rotaia per il Fvg hanno accesso i riflettori Trenitalia (attuale gestore) e Arriva (che si è già accaparrata il servizio su gomma). E questa è una notizia positiva per la nostra regione che potrà contrattare su corse e costi. Ovviamente in caso di vittoria del gruppo tedesco si potrà pensare a un'integrazione modale rotaia-gomma, viceversa no. Ma Trenitalia, dati alla mano, ha dimostrato di lavorare bene in questi anni, nonostante gli investimenti siano mancati e l'utilizzo del parco rotabile di proprietà della Regione sia a costo zero.«Ho avuto diversi incontri con i responsabili di Trenitalia, mentre da Arriva ho ricevuto soltanto una letterina, nessuno è mai venuto a parlarmi - ha sottolineato Pizzimenti -. Ma mi pare chiaro che entrambi abbiano manifestato voglia di sedersi al nostro tavolo. Per cui a breve incontrerò le parti per sentire le singole offerte e se ce ne sarà una che soddisferà la stragrande maggioranza delle nostre richieste, allora procederemo con l'affidamento diretto che potrebbe arrivare nel giro di un paio di mesi. Non ho invece mai avuto contatti da Italo». Nel frattempo la Regione ha studiato, gomito a gomito con Trieste airport e l'Azienda dei trasporti di , un sistema per consentire a tutti i viaggiatori in partenza o arrivo a Ronchi di spostarsi con il treno o con il bus senza attese. «È stato un lavoro molto impegnativo, ma siamo riusciti a mettere d'accordo tutti e le soddisfazioni non mancano - ha detto il titolare regionale dei Trasporti -, ma ora la sfida passa anche dalla cessione delle quote dell'aeroporto che rappresenterà un momento strategico per il rilancio dello scalo e non soltanto».

L'amministrazione regionale finanzia il servizio con 43 milioni di euro l'anno Il costo è di 36 euro per residente. Senza contributi pubblici addio Frecce Ma nel trasporto ferroviario il Friuli è periferia dell'impero

Michela Zanutto UDINE. C'è un vecchio adagio che circola fra gli addetti ai lavori: «L'Italia ferroviaria inizia a Mestre». E, infatti, il Friuli Venezia Giulia - da ormai troppi anni - è una regione tagliata fuori dal resto del Paese a causa di collegamenti troppo scarni. Per evitare l'abbandono totale del nostro territorio, la Regione nel solo 2018 (ma il medesimo copione vale per gli anni precedenti e le giunte precedenti) ha pagato 46 milioni a Trenitalia (43 milioni per il contratto regionale più 3 per assicurarsi le Frecce), oltre a concedere in comodato gratuito dodici treni di proprietà (i "famosi" Caf). Ogni giorno sulla rete regionale si muovono 140 convogli come previsto dal contratto, stretto fra Regione e Direzione regionale Fvg di Trenitalia. Ogni anno il servizio costa ai contribuenti circa 43 milioni (è il conto presentato nel 2018), vale a dire che ciascun abitante del Friuli Venezia Giulia sborsa 36 euro l'anno, che usi oppure no il treno. A questa cifra vanno aggiunti altri 3 milioni per il cosiddetto contratto Frecce (gestito questa volta dalla Direzione passeggeri, che si occupa dell'alta velocità) per fare in modo di avere il servizio anche sul territorio. La nostra è fra le due regioni italiane costrette a pagare per le Frecce. Senza contare i dodici convogli messi a disposizione di Trenitalia dalla Regione a costo zero. Treni che gareggiano con le Frecce per tempi di percorrenza, tanto sono nuovi. E che potrebbero rappresentare la chiave di volta per uscire dal capestro del contratto. Ma avere le Frecce è un biglietto da visita per la Regione, al punto che l'arrivo del servizio al Trieste airport ha fatto migliorare i numeri dello scalo. Un'altra delle frasi ripetute dai vertici regionali di Trenitalia, una decina di anni fa, era «siete pochi e viaggiate poco», come a dire "non pretendete miglioramenti nel servizio". E in effetti, il nostro milione e 200 mila abitanti fa sì e no una metropoli (Milano ha un milione 350 mila abitanti, Roma 2,8 milioni). Di più, l'unico asse che ci salva è quello con Vienna, un pochino anche Belgrado, città mete di spostamenti dall'Italia. Da qui la concorrenza prossima allo zero. Italo non è presente e Obb collega Venezia con Vienna e Salisburgo, fermando anche a Udine e Pordenone. Il numero di fermate poi, rappresenta l'altra questione: meno soste, più velocità. Invece in regione c'è una chiara volontà politica, legata in particolare ai territori, di coinvolgere le stazioni intermedie (Latisana, Cervignano...). In questo modo però si vanifica la velocità del convoglio, e il regionale riacquista la propria attrattiva. Ora qualcosa pare muoversi. Perché sono stati individuati alcuni servizi a lunga percorrenza sulla base dell'utenza. Per esempio, gli ex treni Fast che andavano fino a Torino erano pensati per i pendolari di Fincantieri e Generali. Oggi si punta su Roma. In questi anni si è strutturato un orario legato alle esigenze dei pendolari di lunga percorrenza. Chiaramente però il nodo di Mestre comanda, perché da lì partono le coincidenze verso il resto d'Italia. Da settembre sono stati messi a punto due treni mattutini (regionali veloci da Trieste) che permettono le prime coincidenze con le Frecce a Mestre, dove però bisogna scendere e cambiare convoglio. «Siamo molto favorevoli al miglioramento delle infrastrutture, purché le opere siano utili e non si buttino i soldi - ha spiegato Andrea Palese del Comitato pendolari Alto Friuli -. Pensare alla Tav in regione forse sarebbe esagerato, possiamo però migliorare l'esistente. Il trasporto non deve diventare un'ideologia. È vero in Friuli Venezia Giulia si potrebbe fare di più, ma va considerata anche tutta la questione della concorrenza, che da noi purtroppo non esiste».

Nel mirino l'aggiudicazione al Consorzio Connetting People. L'accusa è di concorso esterno in associazione a delinquere

Gestione dei migranti al Cie in Friuli indagati i prefetti Zappalorto e Marrosu

Laura Borsani MONFALCONE. L'avviso di conclusione delle indagini è stato notificato ai primi di gennaio a 42 indagati, tra cui 39 persone fisiche e tre persone giuridiche, ossia società. È il terzo filone investigativo relativo alla gestione del Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo, già peraltro al centro del processo tuttora in corso al Tribunale di Gorizia, a fronte della riunificazione di due procedimenti.In questa fase ancora iniziale, pertanto tutta da definire ai fini dello sviluppo del procedimento, rientrano a titolo di indagati due prefetti e due viceprefetti operanti nell'Isontino nel periodo tra il 2011 e il 2015. Si tratta degli ex prefetti di Gorizia Maria Augusta Marrosu, che aveva ricoperto l'incarico dal 2008 al 2013, e Vittorio Zappalorto, subentrato fino alla successiva assegnazione a Venezia, nonchè gli ex viceprefetti Gloria Allegretto e Antonio Spoldi. Zappalorto è stato prefetto a Udine dal 2015 al 2018, Marrosu è stata viceprefetto nel capoluogo friulano fino al 2006. Gloria Allegretto è tuttora in servizio a Udine. L'inchiestaSiamo dunque all'ulteriore approfondimento della vicenda che attualmente vede invece una trentina di imputati, inerenti a fatti collocati tra il 2009 e il 2013, nell'alveo dell'indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Tarcento. La nuova attività inquirente, affidata alle Fiamme gialle di Udine, riguarda quindi un arco temporale che si spinge fino al 2015.Chiamato in causa ci sarebbe anche il Consorzio Connecting People, già imputato nell'ambito del processo riunificato, affiancato dalla cooperativa sociale Luoghi Comuni di Trapani e dalla coop Interpreti e Traduttori di Roma. Indagati, inoltre, sarebbero Romano Fusco, di Torino, Claudio Battistella, di Ronchi, e Francesca Filla, di Gorizia, all'epoca componenti della Commissione giudicatrice nell'ambito dell'appalto dei servizi del Cie-Cara che aveva sancito l'assegnazione alla Connecting People. Rientrerebbero, ancora, sempre stando a questa fase iniziale, i presidenti, rappresentanti legali, del Consorzio appaltatore del Centro, Giuseppe Scozzari, di Castelvetrano, e Orazio Ettore Micalizzi, di Acireale, oltre ai legali rappresentanti di Interpreti e Traduttori, Marianna De Maio, e Luoghi Comuni, Alessia Barbagallo. Nel procedimento sarebbero coinvolti peraltro dipendenti e direttori della Connecting People, oltre a commissari giudiziali che hanno curato il concordato preventivo del Consorzio.Ipotesi di accusa Tra le principali contestazioni, si fa riferimento a turbativa d'asta in ordine allo svolgimento della gara di appalto che s'era conclusa con l'aggiudicazione della gestione del Centro di Gradisca al Consorzio Connecting People. Sul tappeto, a quanto sarebbe dato sapere, presunte irregolarità circa le modalità di esecuzione della gara. Si parla, ancora, dell'ipotesi di associazione a delinquere in riferimento ai presidenti, amministratori e dipendenti della Connecting People, con i prefetti Marrosu e Zappalorto, nonché il viceprefetto Allegretto, in presunto concorso esterno.Altro reato ipotizzato frode in pubbliche forniture, in riferimento all'erogazione di sigarette, pocket money e schede telefoniche agli ospiti del Centro. Quindi alcune truffe ai danni dello Stato che sarebbero riconducibili alle fatturazioni emesse dal Consorzio (dal 2011 al 2013). E ancora, ipotesi di truffa ai danni dello Stato inerente la chiusura del rapporto con la Connecting People, mediante la rescissione del relativo contratto d'appalto. Le presunte incongruenze sarebbero legate alla liquidazione alla società gestore del Cie-Cara per la quale non si sarebbe tenuto conto di alcune contestazioni nel frattempo già segnalate all'autorità giudiziaria. Si parla di una somma sull'ordine dei 4 milioni, di cui 2 milioni all'epoca oggetto di attenzione da parte della magistratura.Siamo dunque nella fase di chiusura delle indagini, in attesa degli sviluppi tenendo conto quindi anche della possibile archiviazione.

LO SFOGO Di Zappalorto ora in carica a Venezia

«Ho servito lo Stato con onestà ora mi sento offeso e amareggiato» Filippo Tosatto venezia. «Sono indignato, queste accuse offendono la mia dignità di onesto servitore dello Stato. A Gorizia ho posto fine agli intrallazzi ripristinando la legalità e l'ho fatto agendo tra mille difficoltà, in un clima di emergenza, osteggiato dal territorio e chiamato a fronteggiare quella che i giornali definivano la Lampedusa dell'Est». Rabbia e sconforto nelle parole strappate faticosamente a Vittorio Zappalorto, il prefetto di Venezia nel mirino della Procura goriziana che indaga sulle irregolarità nella gestione del Cara (il Centro d'accoglienza richiedenti asilo) di Gradisca. Il pm Valentina Bossi gli contesta un ventaglio di reati - dal concorso esterno in associazione a delinquere, all'omessa denuncia, fino alla truffa - tutti riferiti alla gestione dei flussi di profughi tra il primo gennaio 2014 e la fine del luglio 2015, l'arco temporale del del suo mandato istituzionale a Gorizia. Nel merito, dal Viminale è giunta la ferrea consegna del silenzio e Zappalorto si trincera nel "no comment" malcelando l'amarezza per un ciclone inatteso e - ai suoi occhi almeno - destituito di fondamento. I fatti a ritroso, allora, raccontano che al suo arrivo nella città giuliana la situazione era prossima al collasso: migranti a centinaia in arrivo attraverso la frontiera austriaca e un Cara in via di sfaldamento; il consorzio di cooperative che l'aveva in gestione, il chiacchieratissimo Connecting People di Trapani, era finito sotto inchiesta, tanto da chiedere il concordato in tribunale. Da mesi il personale (soci e precari) non riceveva lo stipendio e in prefettura nessuno si azzardava a firmare un atto di pagamento; persino la manutenzione ordinaria era sospesa, con il pericolo concreto di fughe in massa e rischi conseguenti per l'ordine pubblico.Quali furono, allora, le iniziative di Zappalorto? Da fonti prefettizie locali si apprende che lavorò anzitutto a ripristinare condizioni di normalità, riattivando i primi pagamenti per evitare l'esodo dei lavoratori e istituendo un nucleo di controllo e di monitoraggio sull'andamento del centro; un punto cruciale, questo, richiamato dal pubblico ministero in fase istruttoria; al prefetto è contestata la mancata denuncia alla magistratura delle irregolarità emerse, segnalate peraltro al ministero dell'Interno e sanzionate attraverso le penali previste dal dettato contrattuale. Ciò consentì a Gradisca di raggiungere la massima capienza e nel frattempo a Gorizia furono attivati un nuovo Cara, capace di accogliere 200 persone, e una comunità in grado di ospitarne altre cento. Boccate d'ossigeno in un clima di ostilità diffusa («I sindaci rifiutavano ogni tipo di accoglienza») tra pressioni ministeriali sempre più incalzanti e flussi di stranieri che si susseguivano senza sosta. L'inchiesta, in ogni caso, verte sulle illegalità commesse da Connecting People - gli investigatori sono convinti che il consorzio "gonfiasse" il numero delle presenze per lucrare sui pagamenti erogati dalla prefettura - e sulle eventuali corresponsabilità istituzionali, sia dirette che omissive; in proposito, Zappalorto (inguaiato al pari del suo predecessore, Maria Augusta Marrosu) non apre bocca. La cronaca, però, documenta che fu proprio lui a sbarazzarsi delle coop inadempienti, assegnando infine l'appalto ad un gestore goriziano esperto nel settore e scongiurando i licenziamenti già avviati.

Ridda di voci e colpi di scena nella gara per il controllo dello scalo regionale I veneti, prima interessati, potrebbero attendere lunedì per la scelta finale F2i punta su Trieste airport In attesa della mossa di Save

Elena Del Giudice UDINE. Grandi manovre, e colpi di scena, attorno all'Aeroporto di Trieste. Save, che sembrava essersi defilata dalla corsa all'acquisto della partecipazione di maggioranza nello scalo regionale, potrebbe tornare in pista. F2i, che sperava - a quanto pare - di essere la sola a competere, conferma l'interesse ma forse dovrà "battersi" con i veneti se davvero intende diventare "il" socio di riferimento della Regione Fvg.Ridda di voci, lanci di agenzie, conferme e smentite si sono susseguite ieri per buona parte della giornata. Aveva iniziato F2i che, attraverso Radiocor, l'agenzia del Sole 24 ore, aveva confermato l'interesse del fondo infrastrutturale per Ronchi, e anticipato la definizione di un'offerta che dovrebbe venire presentata nelle prossime ore (visto che il termine per la presentazione delle offerte è stato fissato per le 12 del 14 gennaio). «Il valore stimato della quota indicato nel bando è pari a 32,5 milioni di euro (va ricordato, tuttavia, che l'anno scorso era andato a vuoto un tentativo di vendita del 45%, con opzione per un altro 10%, a 40 milioni). Lo scalo Ronchi dei Legionari - si ricorda - ha chiuso il 2017 con ricavi per 15,3 milioni, un mol in forte aumento a 5,4 milioni e un utile netto di 3 milioni, a fronte di un traffico passeggeri che è aumentato del 7,3% a quota 780 mila. Per F2i sarebbe un ulteriore investimento negli aeroporti in cui opera attraverso la controllata al 51% 2i Aeroporti, a cui fanno capo gli scali di Torino, Napoli e il 45% nella Sea oltre al 10% di Bologna».Poi è arrivata un'indiscrezione su Save che, contrariamente alle previsioni, non avrebbe ancora gettato la spugna rispetto alla partecipazione alla gara per Trieste airport. «Si tratta, secondo quanto risulta a Mf- Dowjones, di un nuovo colpo di scena nella lunga partita a scacchi che la società aeroportuale veneziana sta giocando sul dossier Ronchi dei Legionari. Il colpo di scena arriva dopo che nei giorni scorsi si sono succedute prima voci di conferma e poi di smentita dell'interessamento della società che gestisce lo scalo di Venezia a partecipare al bando che mette in vendita il 55% dell'aeroporto di Trieste». Secondo l'agenzia, controllata pariteticamente da Class Editori Spa - editore di Milano Finanza - e Dow Jones & Co, Save avrebbe tenuto coperte le sue carte sostenendo di essere interessata all'asset senza però voler presentare una offerta. «Ora però sarebbe pronta a farsi avanti concretamente e presentare una proposta lunedì prossimo quando scadranno i termini previsti dal bando». Da un punto di vista strettamente industriale, Save è l'interlocutore naturale per una eventuale aggregazione con Trieste che le consentirebbe, dopo l'operazione con Verona, di diventare il protagonista del sistema aeroportuale del Nordest. Nel volgere di qualche giorno la partita si chiuderà, e questa volta dovrebbe essere quella definitiva, dopo il nulla di fatto della scorsa estate quando la gara, che metteva in gioco una quota non maggioritaria della Spa, non era risultata appetibile per gli investitori. Il nuovo bando ha modificato la condizione fondamentale ponendo in vendita la quota di controllo, resta da capire quanto interesse è riuscita a suscitare l'operazione. E lo si capirà dal numero di offerte che verranno depositate lunedì.

L'annuncio dei parlamentari della Lega eletti in regione «Le risorse daranno risposte agli enti e sosterranno le imprese locali»

Dallo Stato ai Comuni del Fvg stanziamenti per intervenire in scuole, strade e patrimonio i beneficiari UDINE. «Grazie al governo targato Lega, sono in arrivo 400 milioni di euro da destinare ai Comuni per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici e patrimonio culturale». L'annuncio è dei parlamentari leghisti del Fvg Vannia Gava, Raffaella Marin, Mario Pittoni, Daniele Moschioni, Aurelia Bubisutti e Massimiliano Panizzut. Ovviamente solo una parte dei 400 milioni approderà in regione: 11,29 milioni destinati ai Comuni che riceveranno fondi variabili, a seconda del numero dei rispettivi abitanti, per la realizzazione di interventi e opere pubbliche. «Oltre a portare risposte concrete ai Comuni - rimarcano i parlamentari -, questi fondi sono un aiuto concreto per l'economia del territorio impiegando le nostre imprese per i lavori finanziati». Ed ecco in dettaglio le risorse in arrivo e i Comuni beneficiari.100 mila euroRonchi, Cervignano, Cividale, Codroipo, Gemona, Latisana, Tavagnacco, Tolmezzo, Muggia, Azzano X, Cordenons, Fiume Veneto, Fontanafredda, Maniago, Porcia, Sacile, San Vito al Tagliamento, Spilimbergo.70 mila euroCormòns, Gradisca, Grado, San Canzian, Staranzano, Basiliano, Buja, Campoformido, Fagagna, Fiumicello Villa Vicentina, Lignano, Majano, Manzano, Martignacco, Pagnacco, Palmanova, Pasian di Prato, Pavia di Udine, Povoletto, Pozzuolo, Remanzacco, Rivignano Teor, San Daniele, San Giorgio di Nogaro, San Giovanni al Natisone, Tarcento, Tricesimo, Duino Aurisina, San Dorligo della Valle-Dolina, Aviano, Brugnera, Caneva, Casarsa, Chions, Pasiano, Prata, Roveredo in Piano, Sesto al Reghena, Zoppola.50 mila euroFogliano Redipuglia, Romans, Sagrado, San Pier, Turriaco, Aiello, Aquileia, Arta Terme, Artegna, Bagnaria Arsa, Bertiolo, Buttrio, Carlino, Cassacco, Castions di Strada, Colloredo di Monte Albano, Corno di Rosazzo, Coseano, Dignano, Faedis, Gonars, Lestizza, Magnano in Riviera, Mereto di Tomba, Mortegliano, Moruzzo, Muzzana, Nimis, Osoppo, Palazzolo dello Stella, Paluzza, Paularo, Pocenia, Porpetto, Pradamano, Premariacco, Ragogna, Reana del Rojale, Rive d'Arcano, Ronchis, Ruda, San Pietro al Natisone, Santa Maria la Longa, Sedegliano, Talmassons, Tarvisio, Terzo d'Aquileia, Torreano, Torviscosa, Trasaghis, Varmo, Venzone, Villa Santina, Sgonico, Budoia, Cordovado, Montereale Valcellina, Morsano, Polcenigo, Pravisdomini, San Giorgio della Richinvelda, San Quirino, Sequals, Valvasone Arzene.40 mila euroCapriva, Doberdò, Dolegna, Farra, Mariano, Medea, Moraro, Mossa, San Floriano, San Lorenzo, Savogna, Villesse, Amaro, Ampezzo, Attimis, Bicinicco, Bordano, Camino, Campolongo Tapogliano, Cavazzo Carnico, Cercivento, Chiopris-Viscone, Chiusaforte, Comeglians, Dogna, Drenchia, Enemonzo, Flaibano, Forgaria, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Grimacco, Lauco, Lusevera, Malborghetto Valbruna, Marano, Moggio Udinese, Moimacco, Montenears, Ovaro, Pontebba, Prato Carnico, Precenicco, Preone, Prepotto, Pulfero, Ravascletto, Raveo, Resia, Resiutta, Rigolato, San Leonardo, San Vito al Torre, San Vito di Fagagna, Sappada, Sauris, Savogna, Socchieve, Stregna, Sutrio, Taipana, Treppo Grande, Treppo Ligosullo, Trivignano, Verzegnis, Visco, Zuglio, Monrupino, Andreis, Arba, Barcis, Castelnovo, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Clauzetto, Erto e Casso, Fanna, Frisanco, Meduno, Pinzano, San Martino al Tagliamento, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto, Travesio, Vajont, Vito d'Asio, Vivaro.

Fondi nella legge di Stabilità: in cantiere oltre mille progetti Riccardi: «La necessità è quella di garantire la sicurezza» Pronti i 40 milioni per il post-maltempo

UDINE. Entro una settimana le direzioni regionali competenti presenteranno le priorità di intervento rientranti nei 43 milioni di euro stanziati dalla Regione per i territori del Fvg colpiti dal maltempo di fine ottobre. Sono inoltre in via di perfezionamento le procedure amministrative per l'affidamento dei lavori e l'esecuzione delle opere in un quadro di coinvolgimento e di condivisione con gli enti locali.È questo il risultato del tavolo riunitosi ieri a Trieste - dopo la prima giunta dell'anno solare - cui hanno partecipato il vicegovernatore con delega alla Protezione civile, Riccardo Riccardi, nella sua veste di soggetto attuatore per la gestione degli interventi relativi ai danni causati nell'Alto Friuli e nella Carnia dalle alluvioni di ottobre e novembre dello scorso anno, e gli assessori Sergio Emidio Bini (Attività produttive), Stefano Zannier (Risorse forestali), Fabio Scoccimarro (Ambiente) e Graziano Pizzimenti (Infrastrutture).«Si tratta di programmare subito - ha spiegato Riccardi - una lista di interventi prioritari nell'ambito di ognuna delle aree di competenza e, parallelamente, chiudere sull'iter procedurale per la realizzazione delle opere». Il vicegovernatore ha quindi sottolineato, assieme agli altri assessori, anche la necessità di instaurare un dialogo e una collaborazione costante con i Comuni coinvolti, condividendo con i sindaci l'attribuzione delle responsabilità amministrative e procedurali.Dei mille e 138 interventi stimati, il 70 per cento di essi rientrerebbe sotto la soglia dei 150 mila euro. In quest'ambito, come deciso dagli esponenti di giunta presenti al tavolo, verranno individuati i meccanismi più snelli e veloci al fine di garantire una rapida realizzazione delle opere. Lo stesso Riccardi ha rimarcato come questa prima tranche di lavori, definiti come «opere indispensabili», deve rispondere ad un criterio fondato sulla garanzia di sicurezza delle persone che vivono in quelle aree.Tutto ciò, ha evidenziato il vicegovernatore, in attesa della definizione di quello che sarà lo stanziamento statale oltre ai 6,5 milioni già erogati dalla Protezione civile nazionale. Ad oggi sono stati compiuti 110 interventi di somma urgenza per oltre 4 milioni di euro di lavori relativi, in particolare, alla messa in sicurezza della viabilità, dei corsi d'acqua e delle frane. Il maltempo ha prodotto danni per quasi 615 milioni. Quasi un milione i metri cubi di legname a terra con danno stimato in circa 110 milioni di euro sono stati, invece, i danni sul patrimonio boschivo registrati nei Comuni della Carnia e del Pordenonese.

Nessun accordo in maggioranza e tutto rinviato a martedì Il Carroccio non molla sul tetto massimo dei mille abitanti Il muro della Lega tra i sindaci friulani e il terzo mandato nei piccoli Comuni

Mattia Pertoldi UDINE. Fumata nera in maggioranza al termine del vertice che avrebbe dovuto portare a un accordo tra i quattro partiti di centrodestra - Lega, , Progetto Fvg e Fratelli d'Italia - sulla reintroduzione del terzo mandato in favore dei sindaci dei Comuni più piccoli.Il problema, in estrema sintesi, è il muro del Carroccio che pare proprio non voler andare oltre il limite massimo dei mille abitanti. Una posizione dura e chiara per quanto sulle motivazioni di una chiusura così netta, almeno a oggi, i dubbi continuino ad aleggiare sulla maggioranza. Ufficiosamente, infatti, da quello che si è capito ed è trapelato in queste settimane, la Lega sostiene la quota dei mille abitanti perché, a sentire gli ex padani, indicativa di Comuni dove veramente il ruolo di sindaco equivale a quello di un volontario e in cui trovare gente disposta a vestire i panni del primo cittadino è spesso molto difficile.In realtà, però, tra gli alleati di governo i sospetti sono diversi. In primo luogo più di qualcuno crede che la Lega, specialmente dopo il deposito del disegno di legge da parte di Forza Italia sul terzo mandato giudicato da sempre come una fuga in avanti, a questo punto voglia dimostrare al resto della coalizione chi comanda facendone, quindi, una questione di principio. Non va dimenticato, poi, come in tanti all'interno del Carroccio puntino, alle prossime amministrative, a fare bottino pieno di sindaci, sfruttando il vento a favore e la più che probabile abbinata Comunali-Europee che potrebbe trainare il simbolo leghista anche in salsa locale. Per cui "liberare" gli slot nei Comuni dove il sindaco ha completato il secondo mandato agevolerebbe, stando a quest'ottica di pensiero, la corsa di candidati con alle spalle il logo con Alberto da Giussano.Sia come sia, la posizione della Lega, ormai è palese, non collima con quegli degli alleati. Forza Italia, come accennato, è stata la prima forza a depositare, con la firma dell'intero gruppo, un disegno di legge che, appunto, garantiva il terzo mandato a tutti i sindaci sotto i 3 mila abitanti. E da lì gli azzurri non si sono ancora mossi, al pari di Progetto Fvg. Certo, la visione della civica è sicuramente più sfumata rispetto a quella di Forza Italia, ma non va dimenticato che nel corso dell'ultimo Consiglio regionale era stato Giuseppe Sibau, eletto con Autonomia responsabile ma in gruppo con Progetto Fvg, a presentare richiesta formale, al pari di Forza Italia, di terzo mandato nei municipi sotto i 3 mila abitanti prima che entrambi gli emendamenti venissero ritirati di fronte alla promessa di Massimiliano Fedriga di analizzare la materia a gennaio.Ora, però, il 2018 è stato scavallato e dunque un accordo, o almeno un compromesso, andrà trovato. Forse già martedì quando gli esponenti di maggioranza si siederanno nuovamente attorno a un tavolo. Il tempo d'altronde stringe e tra commissioni, approdo in Aula, approvazione della legge e le settimane che vanno lasciate a disposizione per eventuali ricorsi, il tempo a disposizione da qui a fine maggio non è poi molto, specialmente se consideriamo la mole di lavoro - dalla sanità agli enti locali - che il Consiglio potrebbe essere chiamato ad analizzare.

a fine maggio

Verso l'election day tra Amministrative ed elezioni Europee L'ufficialità ancora non c'è, ma è quasi scontato che la Regione - anche per non portare due volte nel giro di una manciata di mesi i friulani al voto - scelga l'election day tra elezioni Europee e Amministrative. La data? È molto probabile che i 118 Comuni chiamati alle urne vadano al voto assieme alle Europee domenica 26 maggio. --

Mareschi Danieli: dal Governo passi avanti ma non basta Critici anche i tributaristi sugli aumenti delle imposte locali «L'economia rallenta temiamo un'altra crisi E la manovra delude»

Maura Delle Case udine. Frena l'economia italiana. Nel terzo trimestre 2018 il Paese ha registrato un Pil negativo dello 0,1% che "sommato" al segno meno del trimestre precedente equivale - per gli analisti - a recessione tecnica. Un segnale che allarma gli industriali friulani, timorosi che si tratti dell'anticamera a un nuovo periodo di crisi. A dirlo è stata ieri a palazzo Torriani, aprendo il convegno dedicato alle novità fiscali introdotte dalla legge di Bilancio, la presidente di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli: «Se i dati di tendenza verranno confermati, all'inizio del 2020 avremo una nuova recessione. Siamo preoccupati - ha denunciato la presidente -. Se gli investimenti pubblici in infrastrutture non riprenderanno, se non ci sarà creazione di nuova ricchezza, non ricominceranno nemmeno gli investimenti privati. Significa che la crescita non è tra le nostre prospettive». Per un orizzonte che dunque si fa nuvoloso, il presente non può dirsi sereno. La manovra economica non soddisfa infatti la Confindustria friulana che pure riconosce i passi avanti fatti dal governo giallo-verde nel segno dell'accoglimento di alcune richieste avanzate dagli industriali. «Penso a Industria 4.0, all'innovazione, all'alternanza scuola-lavoro, al reddito di cittadinanza ridimensionato. Partivamo da un livello di soddisfazione molto basso per le imprese - ha puntualizzato Mareschi Danieli - ne abbiamo raggiunto uno medio, non ancora soddisfacente. Vogliamo di più e continueremo a dirlo». La lista dei desiderata, destinati almeno per il momento a restare tali, è lunga: interventi sulla fiscalità, facilitazioni all'internazionalizzazione, investimenti sulla formazione sono solo alcuni di quelli ricordati ieri da Mareschi Danieli all'affollata platea di imprenditori che la presidente ha accolto con un monito: «Il sollievo rispetto allo scenario peggiore non può offuscare il risultato finale». Lo scenario peggiore era quello dell'infrazione Ue, il risultato finale è una manovra che resta «assai distante rispetto alle nostre aspettative». «Abbiamo una manovra che in extremis ha evitato la procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea - ha detto ancora Mareschi Danieli -, ma che ci relega nella scomoda posizione di osservati speciali» per di più «appesantiti da nuove e onerose clausole di salvaguardia per gli anni a venire». Critico anche Roberto Lunelli, presidente della sezione Fvg dell'associazione nazionale tributaristi italiani, chiamato a coordinare il convegno di ieri. «Sotto il profilo tributario - ha esordito Lunelli - la manovra finanziaria non ha portato l'atteso cambiamento. Né di metodo, né di merito: una politica fiscale nuova non può infatti basarsi su un mini condono senza riforma tributaria e su una flat tax settoriale». Il commercialista ha quindi messo in guardia i presenti dall'effetto del "liberi tutti" introdotto dal governo sulle imposte locali: da quest'anno i Comuni potranno infatti aumentarle. «E aumenteranno di certo - ha concluso Lunelli - visti i tagli operati ai trasferimenti agli enti locali».

L'assessore Ciani: vogliamo ripristinare la legalità Sarà prorogato anche il servizio di vigilanza privata Le ruspe del sindaco: pronti 170 mila euro per la demolizione degli edifici abusivi

Cristian Rigo Il Comune stanzia 170 mila euro per la demolizione degli edifici abusivi. E l'assessore alla Sicurezza, Alessandro Ciani assicura che il «il 2019 sarà l'anno in cui entrerà a pieno regime la lotta dell'amministrazione all'illegalità». Gli uffici di Palazzo D'Aronco hanno già avviato le pratiche per arrivare allo sgombero e alla demolizione di alcuni immobili abusivi. I primi nell'elenco sono quelli di via Flagogna e via Prasingel dove lo stesse assessore, accompagnato dalla polizia locale, era stato a fare un sopralluogo alla fine dello scorso settembre. «Abbiamo riscontrato situazioni inaccettabili - aveva riferito l'assessore -, in via Prasingel ci sono due abitazioni in cemento costruite senza alcuna autorizzazione e in via Flagogna è stato allestito un vero e proprio accampamento con una casa in legno, altre tre "mobili" in prefabbricato e un tendone da sagra attrezzato con la spina per la birra e il frigo. Tutte abitazioni precarie, improvvisate e occupate prevalentemente da famiglie di etnia rom». Da qui la decisione di procedere con le demolizioni. «A breve sarà bandita una gara - spiega Ciani - ed entro l'anno mi auguro che venga finalmente ripristinata la legalità». Nell'elenco degli immobili da demolire non figura al momento lo store dell'Udinese che è stato dichiarato abusivo dal tribunale perché il Comune conta di arrivare a una soluzione in tempi brevi. «Il bilancio che sarà discusso tra qualche giorno in Consiglio - prosegue l'assessore -, lungi dall'essere un documento meramente tecnico o contabile, recepisce la linea della giunta in tema di sicurezza e legalità, come dimostra il fatto che sono previsti 170 mila euro per la demolizione di edifici abusivi presenti in città grazie a uno stanziamento regionale risalente a vari anni fa e fino ad oggi mai utilizzato, cui vanno aggiunti i fondi messi a disposizione dalla giunta Fedriga per la sicurezza e i sistemi di videosorveglianza». Le demolizioni saranno quindi sono un aspetto degli interventi previsti sul fronte della sicurezza. «Occorre sempre ricordare - precisa Ciani - che il concetto di sicurezza non corrisponde solo al diritto dei cittadini di vivere tranquilli nel loro quartiere ma presuppone, più in generale, il rispetto della legge. Vivere nell'illegalità non è un diritto; è invece un dovere della politica lottare con ogni mezzo messo a disposizione dalla legge contro le zone d'ombra, di illegalità e di criminalità che purtroppo a volte si vengono a creare soprattutto nelle periferie. Anche per questo abbiamo deciso di riportare la Polizia locale alle dipendenze del Comune di Udine, dopo la parentesi della gestione Uti, e di ricominciare ad assumere personale già da quest'anno». Il piano del Comune prevede l'assunzione di 12 vigili oltre alla nomina del nuovo comandante. «Nel corso del 2019 proseguiremo anche con gli sgomberi mirati di appartamenti ed edifici occupati abusivamente, come abbiamo fatto lo scorso autunno con le due palazzine abbandonate in via Zilli, ripristinando in questo modo la normalità e restituendo ai residenti il diritto di vivere in un contesto fatto di sicurezza e legalità», assicura. Grazie ai contributi della Regione sarà inoltre prorogato l'utilizzo delle guardie giurate e verranno installate delle telecamere in grado di riconoscere anche i volti dei passanti. «Il servizio di vigilanza privata in Borgo stazione ed in altre zone della città è stato particolarmente apprezzato e quindi siamo intenzionati a prorogarlo (la Regione ha stanziato 200 mila per la vigilanza privata dei luoghi pubblici da dividere tra i quattro capoluoghi di provincia, ndr) inoltre - conclude l'assessore - daremo vita, con lo stanziamento di 400 mila euro nel triennio 2019-2021, a un piano straordinario di implementazione dei sistemi di videosorveglianza che prevede l'utilizzo di telecamere ad alta definizione in grado anche di riconoscere i volti dei passanti».

13 GENNAIO 2019

Mancanza di trasparenza e troppi adempimenti fanno crollare l'indice di qualità dei servizi offerti dagli uffici pubblici Fvg nella morsa della burocrazia è la peggiore tra le regioni a Nordest

Maura Delle Case UDINE. Nonostante le promesse elettorali ricorrenti di una sforbiciata alla burocrazia, il risultato è tutt'altro che apprezzabile. L'Italia è penultima nell'Eurozona per qualità della pubblica amministrazione, fa peggio solo la Grecia. Nemmeno il Friuli Venezia Giulia brilla. A livello delle 192 regioni europee la nostra è 133ª in classifica, quinta se si restringe il campo alle sole italiane, capeggiate dal Trentino Alto Adige che è primo tra le nostre ma appena 118º a livello europeo, vale a dire nella seconda metà della classifica. E la peggiore a Nordest. L'elaborazione è riferita al 2017 ed è stata realizzata dalla Cgia sulla base dell'Eqi, l'indice europeo della qualità dei servizi offerti dagli uffici pubblici dei 19 Paesi che utilizzano la moneta unica, risultato di un mix di 18 quesiti posti a 80 mila cittadini di cui 8.400 italiani relativi alla qualità di istruzione, sanità e pubblica sicurezza, all'imparzialità con la quale questi servizi vengono assegnati e alla corruzione. Fatto 100 il punteggio massimo ottenuto dal Paese migliore, le altre nazioni e regioni vengono posizionate di conseguenza. Ne deriva una classifica che pone sul podio la Finlandia (con un Eqi di 80,5), i Paesi Bassi (75,6) e il Lussemburgo (75,5), in coda invece la Slovacchia (31,7), l'Italia (24,7) e la Grecia (19,1). Impietoso il giudizio degli italiani su imparzialità e corruzione, rispettivamente di 29,6 e 26,9 punti, che concedono appena un po' di più alla qualità dei servizi, 41 punti che restano in ogni caso lontani dalla sufficienza. Basti guardare all'altro capo della classifica cosa fa la Finlandia, con oltre 82 punti messi a segno su tutti e tre i temi posti.Ci si rincuora un po' passando ad analizzare la performance dell'indice su base regionale: sebbene sia relegato al 118º posto a livello europeo, il Trentino Alto Adige (indice pari a 41,4) è la realtà territoriale più virtuosa d'Italia, seguita a pari merito da altre due regioni del Nordest: l'Emilia Romagna e il Veneto (indice pari a 39,4), che si collocano rispettivamente al 127º e al 128º posto della classifica generale. Il Friuli Venezia Giulia manca anche la medaglia di legno, che va alla Lombardia (indice di 38,9, 131° posto), e arriva 5º, con un indice pari a 38,7, attestandosi sul 133º gradino della classifica stilata dalla Commissione europea. Sul tema qualità dei servizi la regione si ferma a un passo dai 50 punti, a 49,6, ed è quarta in Italia, fa meglio infatti del Trentino Alto Adige che qui si ferma a 46,6 punti. Anche in materia d'imparzialità guadagna posizioni: è terza con 45,2 punti, dopo Valle d'Aosta (54,1) e Trentino Alto Adige (53,1). E pure di corruzione: con 40,3 punti è quarta dopo Trentino Alto Adige (42,5), Valle d'Aosta (41,7) e Toscana (41,3). Tornando alla classifica delle regioni italiane, si posizionano in coda quelle del Mezzogiorno. È lì che si registrano le performance più preoccupanti. Se la Campania (indice pari a 8,4) è al 186º posto, l'Abruzzo (6,2) è al 189º e la Calabria, il territorio in cui la pubblica amministrazione (Pa) funziona peggio tra tutte le nostre 20 realtà regionali, è addirittura al 190º gradino della graduatoria generale, con un indice di soli 1,8 punti.La situazione è dunque seria, ma la Cgia mette in guarda dalla tentazione di generalizzare. «Sarebbe sbagliato - ammonisce il coordinatore dell'Ufficio studi, Paolo Zabeo -, non tutta la nostra amministrazione pubblica è di bassa qualità. La sanità al Nord, molti settori delle forze dell'ordine, diversi centri di ricerca e istituti universitari assicurano performance che non temono confronti con il resto d'Europa». Ciò nonostante, il livello medio complessivo è preoccupante. «L'incomunicabilità, la mancanza di trasparenza, l'incertezza giuridica e gli adempimenti troppo onerosi hanno generato una profonda incrinatura, soprattutto nei rapporti tra le imprese e i pubblici uffici, che ha provocato l'allontanamento di molti operatori stranieri che, purtroppo, non vogliono più investire in Italia anche per l'eccessiva ridondanza del nostro sistema burocratico». Un esempio banale? Per qualsiasi pratica digitale fatta con la Pa serve una marca da bollo. Compilati i documenti online, per applicare la marca è necessario stampare la domanda, applicare il bollo, scannerizzarla e inviarla. «I tempi e i costi della burocrazia - afferma il segretario dell'associazione di categoria, Renato Mason - sono diventati una patologia che caratterizza negativamente una larga parte del nostro paese. In particolar modo le imprese italiane, essendo prevalentemente di piccolissima dimensione, hanno bisogno di un servizio pubblico efficiente ed economicamente vantaggioso, in cui le decisioni vengano prese senza ritardi e il destinatario sia in grado di valutare con certezza la durata delle procedure». --

Callari: la situazione è inaccettabile, va semplificata la vita di cittadini e imprese «Insiel cambierà, a partire dal Cda allargato a cinque componenti-esperti» Tempi biblici da abbattere la giunta punta sull'online

Maura Delle Case UDINE. «Un giudizio negativo e di forte sconforto per un dato che non rende giustizia all'Italia, Paese che è la settima nazione più industrializzata del mondo e vanta un'industria manifatturiera che resta ai vertici europei». L'assessore regionale alla Funzione pubblica, semplificazione e ai sistemi informativi, Sebastiano Callari, guarda senza sconti al dato sulla qualità della pubblica amministrazione diffuso dalla Cgia di Mestre che colloca l'Italia al penultimo posto tra i Paesi dell'Eurozona: «La dice lunga - afferma Callari - sullo scollamento che vi è fra pubblica amministrazione e la parte migliore del Paese». Quello Fvg non è d'altro canto molto più confortante. Su 192 regioni europee prese in considerazione, la nostra si piazza appena al 133º. Significa che in materia di semplificazione e sburocratizzazione c'è molto da fare e «in tal senso - annuncia colui al quale Fedriga ha affidato il delicato compito - l'amministrazione regionale investirà molto». A partire da Insiel, la società informatica della Regione Fvg. Per snellire i tanti ingorghi burocratici, la parola d'ordine scelta da Callari è infatti "digitalizzazione".L'Italia in Europa arriva terzultima in materia di digitale nella Pa. Appena prima di Cipro e della Grecia. «Sono dati che conosco bene, non ultimo per il mio ruolo di presidente dell'agenda digitale in seno alla Conferenza delle regioni. Se la Pa - afferma Callari - non si contamina con il digitale, sconfiggere la burocratizzazione sarà impossibile. Ormai facciamo tutto in rete, dalle operazioni bancarie alla ricerca delle informazioni. Bene, pensare che le certificazioni e tutti i documenti di cui necessitano le imprese e i cittadini debbano continuare a passare dalla carta, con i tempi biblici che ne conseguono, non è accettabile e mina la competitività del Paese e delle nostre imprese».È dunque da Insiel che la giunta intende partire per dar corpo alla rivoluzione. Con la nomina di un nuovo board, rappresentativo di tutti gli stakeholeders, e con una nuova missione che sarà messa nero su bianco in un piano industriale di portata triennale. «Mi sto impegnando molto - fa sapere Callari - perché Insiel diventi un motore molto più attivo per aiutarci a semplificare la vita dei cittadini e della pubblica amministrazione. Lo faremo partendo dal rinnovo del consiglio di amministrazione (oggi dimissionario): per comporre il prossimo vertice della società andremo a nominare 5 consiglieri (al posto degli attuali tre), persone che rappresenteranno il mondo della ricerca e dell'università, gli enti locali, la sanità e la pubblica amministrazione. Al tavolo del consiglio porteranno i bisogni reali che Insiel raccoglierà per poi tradurli in soluzioni». Alla guida della società resterà Simone Puksic, presidente uscente, a sua volta dimissionario. «Abbiamo la fortuna di avere un presidente che ha già esperienza e vogliamo dare continuità alla società. Non intendo avere il tipico atteggiamento di chi arriva e fa tabula rasa», assicura Callari che promette le nomine entro fine mese e a seguire la definizione di un piano industriale per la partecipata, «un piano - conclude Callari - che abbia validità di almeno tre anni. Noi metteremo le risorse necessarie perché il piano possa prendere corpo, convinti che la burocratizzazione debba passare necessariamente dal rilancio di Insiel».

le categorie

Industriali e artigiani concordi: così respingiamo gli investitori udine. Non c'è convegno, intervento pubblico o intervista che non veda i vertici delle associazioni di categoria rilanciare il tema sempreverde (purtroppo) dell'eccessiva burocrazia vissuta come uno dei più gravi deficit competitivi per le imprese italiane. I dati diffusi ieri dalla Cgia di Mestre confermano ancora una volta quella che è più di una sensazione, riproponendo lo spinoso tema all'attenzione delle forze politiche e delle associazioni di categoria, che come detto, sentono forte la necessità si snellire i tanti, troppi adempimenti richiesti alle aziende.«La burocrazia - afferma la presidente di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli - è uno dei principali problemi del nostro Paese, una delle principali motivazioni per i mancati investimenti esteri. Non farsi carico di questa problematica significa non dare una prospettiva di crescita sufficiente al nostro Paese».Il tema è tra quelli più cari alle imprese, «fondamentale - rilancia Mareschi Danieli - per colmare il deficit competitivo che ci mette in difficoltà rispetto alla competizione europea». Risolverlo è una priorità. Per l'industria, per la piccola e media impresa come per l'artigianato. Se è vero infatti che con il ridursi della dimensione d'impresa si vanno riducendo anche gli adempimenti richiesti, è vero anche che le micro-realtà sono molto meno attrezzate delle grandi ad affrontare le tante formalità burocratiche e rischiano di essere quelle più penalizzate dal sistema sia sotto il profilo dei tempi che dei costi.«Le norme con cui ci troviamo a fare i conti, penso all'anti-corruzione, sono state introdotte a ragione, per esigenze di trasparenza, ma non hanno ottenuto il risultato sperato. Hanno piuttosto appesantito l'iter amministrativo. Bisogna tornare alla semplicità - afferma il presidente di Confartigianato Fvg, Graziano Tilatti -, bisogna avere il coraggio di abolire alcune norme fatte nel post terremoto e tornare a ripristinare quelle che hanno consentito la rinascita dalle macerie».La burocrazia non è per altro l'unico appesantimento che si prospetta nel 2019 alle imprese nazionali e regionali. C'è anche lo spettro di più pesanti imposte locali dopo lo sblocco del tetto deciso dal governo a favore dei Comuni che da quest'anno potranno decidere autonomamente di aumentare le proprie imposte. «Siamo preoccupati - denuncia il leader degli artigiani regionali - pur capendo che se da un lato lo Stato taglia i trasferimenti agli enti locali per finanziare altro è evidente che i Comuni per far quadrare i conti sono costretti ad aumentare le imposte. È un gatto che si morde la coda, peccato che alla fine sono sempre imprese e cittadini a farne le spese».

l'ex governatore

Renzo Tondo: «Va arginata questa mania di controllo» UDINE. «Abbiamo in tutto il Paese una bulimia di legislazione, vogliamo regolamentare tutto, non è purtroppo una novità. Dopo il 1992 (Tangentopoli) siamo precipitati ancor più in questa mania di controllo che va arginata». Sul come, almeno a livello regionale, il deputato Renzo Tondo (Noi con l'Italia) un'idea ce l'ha. «Quand'ero governatore del Friuli Venezia Giulia ho fatto la mia parte in materia di semplificazione e contenimento della spesa. Ricordo solo che ho ridotto l'ufficio di gabinetto, il numero dei consiglieri, ho fatto un'Ater unica, ho chiuso l'Esa e tolto l'agenzia del lavoro. Provvedimenti sui quali chi mi ha succeduto al governo della regione in parte ha fatto retromarcia». Ora, per ridurre la burocrazia, Tondo invita a un'azione di "forza". «C'è un unico modo: andare a battere i pugni sul tavolo a Roma. Se oggi dovessi essere presidente - conclude il parlamentare carnico - procederei a fare una legge quadro che semplifica, penso agli appalti, e andrei poi a un duro confronto con il Governo. Visto che l'autonomia fiscale non ce la danno, ci diano almeno la facoltà di semplificare».

Il presidente: oggi la deputata sostiene la Tav, prima era contraria. La dem: il governatore esca dal ritornello e amministri Resta alta tensione Fedriga-Serracchiani Nuovo botta e risposta sulle grandi opere

Maurizio Cescon UDINE. Dopo lo scontro dialettico in diretta tv e sui profili social di venerdì, continua la lite a distanza tra l'attuale presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e chi l'ha preceduto, ovvero Debora Serracchiani, oggi deputata Pd. I temi di discussione sono i medesimi: immigrazione, infrastrutture, governo della Regione. Fedriga ha parlato all'agenzia Ansa, spaziando a 360 gradi. «Spero che si chiuda velocemente la faccenda, che venga individuata, se c'è, qualche colpa e si discolpi chi non ne ha perché mi sembrerebbe scorretto tenere due funzionari dello Stato in una situazione di incertezza per troppo tempo», ha detto in merito all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel terzo filone investigativo sulla gestione del Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo, notificato a 42 indagati, tra cui due ex prefetti di Gorizia, Maria Augusta Marrosu e Vittorio Zappalorto. Il presidente del Fvg «non ha avuto avvisaglie» di scorrettezze all'interno del Cara di Gradisca, se non riferite a «coloro che andavano ad alimentare gli scontri all'interno del Cie, quando c'era». Gradisca dovrebbe a breve ospitare un Centro di permanenza per il rimpatrio: «Io credo che in primavera sarà pronto», ha concluso il presidente. «Il superamento del modello di accoglienza diffusa è garanzia in primo luogo della sicurezza dei cittadini della regione - ha continuato Fedriga in tema di migranti parlando alla scuola di politica ed etica sociale dell'arcidiocesi di Udine - , ma rappresenta al contempo fonte di tutela per quelle persone che hanno realmente diritto a essere ospitate dalla nostra comunità. Aprire le porte in modo indiscriminato ai migranti è una soluzione sbagliata, tanto sotto il profilo politico quanto etico, perché presta il fianco a chi specula sul traffico di esseri umani e abbandona al proprio destino chi invece quel viaggio non è nemmeno riuscito a intraprenderlo». Il governatore ha quindi sottolineato l'importanza di «guardare avanti, a soluzioni diverse e più efficaci anche nel lungo periodo, quali la creazione di centri di protezione sulle rotte migratorie e il potenziamento degli investimenti nei Paesi di origine per favorire lo sviluppo e l'occupazione. Le poche risorse a disposizione devono essere utilizzate nel modo migliore, salvaguardando chi quei soldi li mette a disposizione, cioè la nostra comunità, e chi ne ha reale necessità». Infine una "bacchettata" alle politiche dell'Ue. «L'Europa, anziché discutere sulla ripartizione delle quote, utilizzi la propria forza politica ed economica per far rispettare gli accordi bilaterali ai Paesi di origine che li hanno sottoscritti - è l'appello di Fedriga -. A dispetto di un accordo bilaterale in essere, il Pakistan non riconosce i propri cittadini e ne impedisce il rimpatrio, lasciandoli così in carico alle comunità del Paese di arrivo». Infine Fedriga ha tirato per la giacchetta Serracchiani. «Certo io sono pro Tav - ha dichiarato - , ma alle manifestazioni di piazza dovrebbe esserci anche Debora Serracchiani visto che adesso è diventata improvvisamente sostenitrice della Tav quando invece l'aveva fermata in Friuli Venezia Giulia. Volevo ringraziare gli organi di informazione che hanno fatto vedere come il Pd quando è al governo per ingraziarsi una parte politica blocca la Tav, quando invece è all'opposizione diventa favorevole alla Tav. Io sono molto favorevole alle grandi opere, non credo nei "si" a prescindere o nei "no" a prescindere. Se serve una grande opera è giusto farla senza avere condizionamenti ideologici».La parlamentare Pd Debora Serracchiani non ha mollato il colpo e ha replicato a distanza alle ultime esternazioni che l'hanno chiamata in causa. «Fedriga, esci da questo ritornello e governa la Regione di cui hai l'onore di essere presidente. Come stanno le cose sulla Tav in Friuli Venezia Giulia e cosa ho fatto io per i trasporti lo sai benissimo, perciò non ci torno nemmeno sopra. Ti auguro di fare altrettanto, ma adesso puoi cambiare argomento - ha replicato l'ex presidente - . Fai bene a ringraziare gli organi di informazione anzi dovresti farlo ogni giorno per il servizio che rendono. Invece finora la carica più alta della Regione si è distinta per gli attacchi alla Rai, le critiche fuori luogo ad Assostampa Fvg o le accuse di intimidazione rivolte all'Ordine dei giornalisti». -- BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

sentenza sul conflitto di attribuzioni

Shaurli e Spitaleri: la Consulta dà ragione al centrosinistra udine. «Alle dichiarazioni strumentali, o meglio alle pagliacciate in diretta Facebook di Fedriga, risponde la Corte costituzionale che riconosce il lavoro fatto dal centrosinistra per la nostra Regione». Lo afferma il segretario regionale del Pd Cristiano Shaurli, a proposito della sentenza della Corte Costituzionale in materia di conflitto di attribuzioni tra Regione Sardegna e Stato. Per Shaurli «ci vengono riconosciuti fatti concreti: non solo i 120 milioni di "sconto" per il nostro territorio, ben più di quanto concesso ad altre Regioni, ma anche il blocco definitivo dal 2019 di ulteriori prelievi, quelli che furbescamente prova a intestarsi Fedriga. La Corte reclama anche la necessità di tempi congrui e di una preparazione e visione complessiva sui temi dell'autonomia e delle competenze regionali. Tutte cose che poco hanno a che fare con certe riunioni di partito convocate a palazzo Chigi, del cui esito - conclude - nulla si dice e che peraltro nulla ci fanno portare a casa». «La Corte costituzionale - aggiunge Salvatore Spitaleri, componente della Commissione paritetica Stato-Regione - ha certificato che nell'ultima legge di Stabilità del Governo Gentiloni il Fvg ha goduto di una posizione di vantaggio e particolare riconoscimento». Per Spitaleri, nella sentenza, si fa riferimento a «una questione di metodo nelle relazioni Stato-Regione», «anticipando la stortura dell'attuale termine al 31 gennaio 2019, dato per chiudere la rinegoziazione del patto con il Fvg e la Sardegna».Sulla manovra regionale attacca anche la consigliera Pd Mariagrazia Santoro. «A parte l'ideologia di destra spinta che guida il Paese e la Regione, il denominatore comune più preoccupante è il disinteresse per gli investimenti. L'Italia e il Friuli Venezia Giulia si indebitano per assistenzialismo e spesa corrente, rinunciando a politiche di crescita e sviluppo».

Quei patti Stato-Regione complicati e svantaggiosi Dei patti siglati fra Regione e Stato per la compartecipazione alla spesa pubblica si capisce poco.Sappiamo che dal 2010 la Regione contribuisce al risanamento delle finanze; l'ammontare complessivo delle risorse in uscita dalla Regione è mitigato da accordi sulle modalità di riscossione di tasse e contributi; il risultato è un'operazione di finanza pubblica volta a migliorare la salute del bilancio nazionale, grazie anche al variegato contributo delle altre regioni a statuto speciale.Sappiamo che ogni accordo si compone di complesse articolazioni su tassazione, ricorsi, compartecipazioni, smobilitazione di risorse accantonate e altre norme da azzeccagarbugli. Accordi così complicati da districare che diventa difficile capire se siano vantaggiosi o no. Eppure la Regione non ha pensato di allestire un sistema di comunicazione efficace per aiutare noi cittadini a capire: si potrebbe iniziare con una pagina sul sito istituzionale, che non ci vuole molto se si vuole essere chiari e trasparenti.Sappiamo che fino ad ora la qualità degli accordi dipende sostanzialmente dalle entrature romane dei nostri amministratori regionali e non da piani di investimento o sviluppo. Nel 2014 e nel 2017 la Presidente Serracchiani che allora, come il PD, aveva il vento in poppa, spuntava per alcuni anni condizioni migliori, cioè più soldi da spendere. Oggi il Presidente Fedriga, vista la sua rilevanza all'interno della Lega, cerca un nuovo accordo per continuare a versare meno risorse di quante previste dal primo accordo, il Tondo-Tremonti, tutt'ora valido. Che dire? Speriamo di avere sempre un governatore dello stesso colore del Governo, altrimenti chissà che succede!Sappiamo, per mesta esperienza, che l'unica cosa che il politico di turno vuole sbandierare non è una visione diversa dell'autonomia, ma l'aver strappato qualche milione in più rispetto al politico precedente, un fatto che non sembra però interessare più di tanto all'opinione pubblica. Perché, a mio parere, è chiaro a tutti che in ogni caso da anni lo Stato sta prendendo dal FVG più di quanto incassasse prima: per quanto ci sforziamo di ridurre il deflusso verso Roma, "la pacchia è finita". Un deflusso che segnala come l'autonomia delle Regioni speciali sia meno rispettata dallo Stato centrale (e dalle altre Regioni) in periodi di burrasca. Anche perché quando lo Stato ci ha presentato il conto non mi risulta che il FVG abbia dimostrato di aver buoni argomenti per non pagare: non un'idea concreta di investimento, di sviluppo o di nuove competenze da gestire è stata messa sul piatto. E il nazionalismo che oggi permea l'azione del Governo non può che continuare a vincere il conflitto con i territori privi di progettualità.Come sempre, senza buone idee non vai mai molto lontano.

agricoltura

Sviluppo rurale: il Fvg migliora la posizione in fatto di pagamenti udine. La percentuale di avanzamento della spesa pubblica (28,10%) del Programma di sviluppo rurale (Psr) alla fine del 2018 registra un risultato eccellente e pone il Friuli Venezia Giulia per performance di spesa in undicesima posizione nella classifica delle Regioni. Lo testimoniano i dati comunicati da Agea- Agenzia per le erogazioni in agricoltura in merito alle risultanze dei pagamenti a valere su tutti i Psr italiani alla data del 31 dicembre 2018. Da inizio programmazione, per il Psr Fvg sono state effettuate liquidazioni per complessivi 82.152.101 euro. Nella classifica, il Fvg risale dalla penultima posizione a cui era relegato a fine 2017 fino all'undicesima, collocandosi nella media nazionale (28,73%) e davanti a Regioni come Toscana e Lombardia, dotate peraltro di proprio organismo pagatore. «Avevamo ereditato - spiega l'assessore regionale alle Risorse agroalimentari, Stefano Zannier - una situazione di estrema criticità, con un avanzamento finanziario appena del 6,7% nel primo quadrimestre 2018, ma abbiamo impresso subito un cambio di passo facendo perno soprattutto su un diverso approccio alla risoluzione dei problemi e sulla semplificazione burocratica». Lo scorso anno, con dati riferiti al 31 dicembre 2017, la spesa sostenuta dal Friuli Venezia Giulia registrava un grado di avanzamento del 4,21%, nettamente inferiore alla media nazionale che era allora del 13,53%. Nei mesi successivi la situazione è migliorata, ma non di molto, stante che al 30 aprile 2018 la performance era pari al 6,69%. In seguito lo stallo dei pagamenti si è sbloccato portando al risultato attuale, per cui l'incremento della performance conseguito dal primo quadrimestre a fine 2018 è stato di oltre 21 punti percentuali. Il primo traguardo è stato conseguito a fine ottobre 2018, con il raggiungimento del livello di spesa necessario a scongiurare il disimpegno automatico delle risorse 2015. --

Parla l'ex rappresentante del governo a Udine e Gorizia, indagato per la gestione del flusso di stranieri al Cie-Cara di Gradisca «Il problema non si risolverà senza il coinvolgimento europeo su progetti di aiuto e di contrasto alla povertà in Africa» Zappalorto: «Ho cacciato i delinquenti poi la politica mi ha lasciato da solo» l'intervista elena del giudice Ferito, amareggiato, offeso, ma resta un fiero civil servant Vittorio Zappalorto, oggi prefetto a Venezia, in passato a Udine e a Gorizia, indagato per concorso esterno in associazione a delinquere nell'ambito di un'inchiesta sulla gestione dei migranti al Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo. Ma lungi «dall'aver tenuto il sacco ai ladri, io sono stato colui che li ha cacciati, i ladri... ammesso lo fossero». Non solo, Zappalorto è stato, insieme a tanti altri prefetti, in prima linea a gestire un'emergenza, quella relativa ai migranti, «in cui la politica avrebbe dovuto impegnarsi», e non l'ha fatto. E il problema rimane. «Ma non si risolverà senza una politica europea che si faccia carico di intervenire, con progetti di aiuto e di contrasto alla povertà, in Africa».Dottor Zappalorto, come vive questa vicenda?«Non benissimo, ne risento anche fisicamente, fatico a dormire... Sono una persona perbene che non ha mai avuto problemi con la giustizia per cui trascorro intere notti in bianco e faccio fatica a svolgere il mio lavoro con il consueto impegno».Mi pare di capire che vive come un'ingiustizia l'essere finito sotto inchiesta.«Certamente. Direi che più che il sentimento di ingiustizia, prevale l'offesa... Ma non parliamo dell'inchiesta».Non entriamo nel merito, ma se lei si ritiene offeso dall'accusa, evidentemente si proclama innocente.«Le dico solo che mi si addebitano cose che non ho fatto. Anzi il mio operato è andato esattamente in un'altra direzione rispetto a quel che si sostiene. Io non solo non ho tenuto il sacco ai ladri, ma li ho cacciati. E non so nemmeno se fossero dei ladri perché, a oggi, nessuno ancora lo ha stabilito».Un'inchiesta errata, dunque?«Ripeto, non entro nel merito di inchieste della magistratura che servono a far luce su determinati fatti. E la mia fiducia nella giustizia non è venuta meno. Auspico che i tempi, però, siano brevi: otto anni sono davvero troppi. Tenere in sospeso l'esistenza di persone, siano prefetti o semplici cittadini, per anni e anni, non è una cosa che si accetta con facilità».Lei ha detto prima che, oltre che amareggiato si è sentito offeso. Che cosa intende dire?«Certe accuse, per chi lavora per lo Stato, suonano non solo ingiuste ma offensive. Hanno un carattere di offensività».Ovvero?«Premetto, tutti possono sbagliare, anche i magistrati. Accade che si guardi ai fatti dal proprio punto di vista, dal punto di vista dell'inquirente, senza considerare la situazione nel suo insieme, né il contesto in cui le persone sono chiamate a operare. Io credo invece sia fondamentale esaminare il contesto per capire quali siano le intenzioni delle persone, se ci sia o meno dolo o colpa».Si riferisce alla gestione dell'emergenza profughi?«Noi siamo stati chiamati a risolvere un problema che la politica avrebbe dovuto, per prima, affrontare. Il tema migranti è delicato e complesso, e l'accoglienza dei migranti non porta consenso. Il governo avrebbe dovuto interessare direttamente Regioni, Province e Comuni, ma quale sarebbe stata la risposta dei governi locali? Qual è la politica che può decidere di affidarsi ai sindaci o ai presidenti di Regione?».Vien da dire, quella che preferisce evitare di assumersi responsabilità...«E allora come se ne esce? Incaricando i prefetti che non sono né di destra né di sinistra. Ovviamente i prefetti possono supplire alle carenze della politica, ma dovrebbero essere dotati di strumenti. Invece sono stati lasciati soli e "disarmati", salvo poi dire: "non sei capace, quindi ti rimuovo dall'incarico", come è accaduto al prefetto di Treviso».Prefetti vittime di un sistema di accoglienza inefficace...«Il sistema di accoglienza, così come concepito nel 2014, era fallimentare in sé».Perché?«Perché non coinvolgeva i Comuni e le Regioni fermandosi alle prefetture. Gli Enti locali se lo volevano, potevano impegnarsi, me non c'era alcun obbligo. Per cui laddove i prefetti hanno trovato il consenso dei Comuni, il sistema ha funzionato; in altre parti d'Italia no perché gli ostacoli erano tali da non poter essere affrontati dai prefetti e avrebbero avuto bisogno dell'intervento della politica».Un intervento di che tipo?«Andava istituita l'obbligatorietà dell'accoglienza da parte dei sindaci. Anche in maniera decisa, imponendo ai Comuni di mettere a disposizione del ministero dell'Interno un numero definito di posti da utilizzare in caso di emergenza umanitaria. Un sistema di Sprar obbligatorio, quindi. Solo così il soccorso in mare diventa possibile. Senza un sistema di accoglienza strutturato, i problemi che si generano sono enormi. È accaduto che il sistema di accoglienza non esisteva e i prefetti se lo sono dovuti inventare, peraltro dalla sera alla mattina. Solo che a sopportare le conseguenze siamo rimasti solo noi».E il riferimento va all'inchiesta...«Alle inchieste... Ci sono decine di prefetti, viceprefetti, funzionari indagati. Sono tutti incapaci o delinquenti, oppure qualcosa nel sistema non funzionava?».Dovesse verificarsi una nuova emergenza migranti?«Personalmente mi limiterò a garantire il servizio trasporto. Il ministero mi dirà dove collocare i migranti e io mi occuperò del loro trasferimento nei luoghi indicati».Il tema migranti è delicato e politicamente scomodo, da qui il gioco a scarica barile...«Certamente ci sono ambiti complessi, difficili in cui la politica fatica a intervenire, ma anche in Europa accade la stessa cosa. Tra contrapposizioni e veti incrociati, la politica sull'immigrazione non va avanti».Situazione dalla quale se ne uscirebbe... come? «Ricordando che, in generale, per il nostro Paese e l'Europa, il problema è l'immigrazione dall'Africa, continente che ci sta presentando il conto di politiche sbagliate dei Paesi europei, e di azioni di spoliazione progressiva che hanno generato solo povertà, a me pare evidente che è lì che bisogna agire con progetti mirati in grado di generare sviluppo e maggiore benessere».E le persone in fuga sulle barchette che rischiano la vita?«Non possiamo assistere indifferenti alla morte di queste persone, ma è chiaro che l'accoglienza dei migranti e dei profughi non può essere un'esclusiva dell'Italia».Concludendo: come vede la sua carriere in prospettiva?«La mia carriera sarà quel che sarà. Sono sempre stato obbediente, come viene richiesto ad un prefetto. Una caratteristica che una certa politica conosce e forse se ne approfitta».Salvo poi lasciarvi soli...«Il conto è stato presentato a noi, è vero. La cosa che più mi fa male è il dovermi giustificare; ciò che mi consola è il sapere che sono una persona per bene, e le tante attestazioni di vicinanza e solidarietà che ho ricevuto sicuramente mi hanno fatto piacere. Resta il fatto che io la pena la sto già scontando perché le persone per bene iniziano a scontare la pena non appena la notizia si diffonde. I delinquenti, invece, dormono sonni tranquilli».

L'ex sindaco di Venezia difende Zappalorto, che conosce «È una persona seria e capace, non può pagare lui» «Vicenda indecente siamo alla negazione della politica»

Mitia Chiarin MESTRE. «Una vicenda indecente». Senza mezzi termini. Così il filosofo Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, commenta l'ennesima indagine sulla gestione dell'accoglienza ai migranti in cui finisce coinvolto, sotto indagine, un prefetto.L'ultimo caso è quello che coinvolge Vittorio Zappalorto, oggi prefetto di Venezia. Zappalorto, che è stato anche commissario in Comune, è indagato nel filone investigativo relativo alla gestione del Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) per immigrati, già al centro di un processo in corso al Tribunale di Gorizia. L'indagine coinvolge anche Maria Augusta Marrosu, anch'essa ex prefetto di Gorizia.Massimo Cacciari, il prefetto Zappalorto lo conosce bene e lo stima. «A Zappalorto ho appena inviato un messaggio per testimoniargli tutta la mia solidarietà. Lo conosco personalmente e so che è una persona seria e capace», dice il filosofo.Ovviamente Cacciari non entra nel merito dell'indagine ma prende posizione, ritenendo che non sia corretto che a fare le spese delle falle nella gestione dell'emergenza immigrazione, siano oggi i prefetti.E lo dice senza timori: la colpa è dei governi che hanno gestito, male, la questione. «La vicenda ha dell'indecente», ci dice, «perché è evidente che stanno scaricando tutto sui prefetti. Questa non è politica, questa è negazione della politica che non è capace di risolvere i problemi quando si presenta e poi scarica tutto sui prefetti. Una vicenda indecente», ribadisce l'ex sindaco.Come andrà a finire, chiediamo al filosofo. E Cacciari si lascia andare all'ennesimo, amarissimo, commento.«Buon anno a tutti, in questo paese come vuole che vadano le cose? Bisogna aspettarsi di tutto, purtroppo».Una considerazione, quella di Cacciari, dettata dall'indignazione per indagini che, conferma con il suo pensiero, stanno vedendo finire sul banco degli imputati prefetti, ovvero rappresentanti dello Stato nei territori. Prefetti, che si sono trovati spesso da soli e contrastati dalla politica nazionale a gestire l'emergenza migranti, con sbarchi dai numeri ben più elevati di quelli attuali, e con un blocco a soluzioni di accoglienza diffusa da parte di moltissimi sindaci del centrodestra e della , quella che oggi al governo assieme al Movimento 5 stelle.Le posizioni di Cacciari sul tema immigrazione sono note da tempo e il filosofo solo pochi giorni fa, ospite di "Otto e mezzo", la trasmissione di La7, aveva dato in escandescenze dichiarando che la nave di migranti rimpallati in mezzo al mare, vicino a Malta, è «una vergogna per tutta l'Europa». Lo scontro con la ministra della pubblica istruzione Giulia Bongiorno è stato totale.Ieri il filosofo ha scelto di schierarsi, non da solo, a fianco del prefetto di Venezia che dal canto suo, aveva subito chiarito come stava vivendo questa indagine. Cacciari ha saputo subito della indignazione di Zappalorto, del fatto che queste accuse offendono la sua dignità di «onesto servitore dello Stato». Sin da quando la notizia è stata resa pubblica, il prefetto ha spiegato come a Gorizia abbia «posto fine agli intrallazzi ripristinando la legalità». E l'ex sindaco di Venezia Cacciari sa che Zappalorto ha agito tra mille difficoltà, in un clima d'emergenza, osteggiato dal territorio e chiamato a fronteggiare quella che era definita la Lampedusa dell'Est.

Il superprefetto dell'immigrazione si schiera con il collega «Ho molta stima di lui e della sua trasparenza» «Ipotesi fuori misura accusarlo di tale reato significa ammazzarlo»

Rubina Bon venezia. «Un'accusa assolutamente fuori misura». Cerca le parole giuste, Mario Morcone, per commentare la notizia dei due prefetti e una vice accusati dalla Procura di Gorizia, tra gli altri reati, anche di concorso esterno in associazione per delinquere. Ma non ne trova altre di fronte a una contestazione pesantissima. Dal 2014 a inizio 2017 è stato il "superprefetto" chiamato a gestire l'emergenza immigrazione nel periodo più caldo. «Accusare un collega di concorso esterno in associazione per delinquere significa ammazzarlo», chiarisce Morcone, oggi direttore del Consiglio italiano per i rifugiati. «Quando tutto questo sarà chiarito, e sono sicuro che tutto ciò non ha un fondamento, quel collega comunque ha chiuso la sua carriera». Il pensiero di Morcone è soprattutto a Vittorio Zappalorto: «Ho molta stima di lui e della sua trasparenza. In quegli anni a Gorizia aveva cercato, anche attraverso il consiglio dell'Avvocatura dello Stato, di allontanare l'ente gestore di Gradisca d'Isonzo. Ora parlare di concorso esterno mi pare un'imputazione, lo ripeto, fuori misura». Una notizia, quella dell'inchiesta chiusa dalla Procura di Gorizia con l'interessamento di due prefetti (oltre a Zappalorto, anche di Maria Augusta Marrosu) e della vice Gloria Sandra Allegretto, che per l'ex superprefetto è un fulmine a ciel sereno. Ricordava infatti solo un problema relativo al numero di migranti accolti nel centro di Gradisca d'Isonzo che sarebbe stato inferiore rispetto a quanto dichiarato dall'ente gestore. Vicenda che aveva coinvolto la vice prefetto Allegretto. «Ma pensavo si trattasse di un caso chiuso», chiarisce.Certo è che inchieste di questo genere - al pari di quelle che nei mesi scorsi hanno travolto il business dell'accoglienza a Bagnoli (Padova) e a Cona (Venezia) - contribuiscono a minare il rapporto tra il cittadino e lo Stato. «Certamente sono indagini che mettono in difficoltà chi in questo momento ha funzioni di governo sul territorio», osserva Morcone. «Viene gettato un discredito così grande su persone che si sono prestate a risolvere i problemi disperatamente, notte e giorno. Sono sconcertato».Resta il ricordo di quei mesi vissuti in prima linea, nel cuore dell'emergenza. «Soprattutto tra il 2014 e il 2016 abbiamo dovuto affrontare anni particolari, in cui la pressione migratoria è stata fortissima. Tutti i prefetti sono stati chiamati a svolgere un ruolo straordinario di accoglienza sul territorio, con numeri che non avevamo mai conosciuto. Può esserci anche stato qualche funzionario infedele e questo lo dovranno valutare i magistrati», spiega Morcone, «Ma per quanto riguarda i prefetti, trovo sconcertante il non aver voluto prendere atto che ci eravamo caricati un peso straordinario, affrontando una fase veramente complicata. Le persone sbarcavano, bisognava trovare un modo per accogliere ciascuna di loro».L'emergenza sbarchi ora si è molto smorzata, i numeri non sono più quelli dei mesi caldi, eppure il tema è ancora alla ribalta delle cronache nazionali. «Politiche di accoglienza del governo gialloverde? E quali sarebbero? Si parla invece di blocco degli arrivi. Politiche di accoglienza nuove non ne conosco», conclude l'ex superprefetto, «Avevamo creato una struttura di accoglienza stabile e qualificata. I numeri erano così alti che avevano determinato la necessità di assumere comportamenti straordinari».

Alla Cavarzerani 409 stranieri, mentre alla Friuli sono 75 Altri 1.082 negli appartamenti dell'accoglienza diffusa Immigrazione: rallentano i flussi Ora ospiti in Friuli 1.566 migranti

Anna Rosso Nel 2016 il maggior numero di arrivi di migranti in provincia di Udine con 2.809 persone accolte in totale. Nel 2017 una sensibile diminuzione: in Friuli sono approdati 899 stranieri. Lo scorso anno i flussi sono ripresi e, attraverso la cosiddetta rotta balcanica, sono arrivati 1.590 profughi e 1.218 hanno richiesto protezione internazionale, mentre gli altri si sono allontanati dirigendosi verso altre province. Attualmente in città e nei paesi friulani sono presenti 1.566 migranti: 409 sono ospiti all'ex caserma Cavarzerani di via Cividale, 75 alla Friuli - altro edificio un tempo usato dall'esercito - e altri 1.082 sono distribuiti negli appartamenti dell'accoglienza diffusa.Lo scorso anno la questura ha consegnato 11.496 titoli di soggiorno. Nei confronti di cittadini extracomunitari sono stati emessi 888 provvedimenti, tra espulsioni del Prefetto, ordini del questore di lasciare lo Stato entro sette giorni, accompagnamenti immediati alla frontiera o in centri di permanenza per il rimpatrio. Inoltre, a 20 comunitari è stato notificato un decreto di allontanamento (di questi, 18 sono stati emessi per motivi di pubblica sicurezza). In questo periodo sono 27.264 gli stranieri regolarmente presenti in Friuli e provengono soprattutto dall'Albania (3.835), Ucraina (2.947), Marocco (1.725), Serbia (1.379), Cina (1.339), Bosnia (1.297), Pakistan (1.256), Kosovo (1.108), Afghanistan (1.082) e Ghana (991).«Al momento i flussi - ha commentato il questo Claudio Cracovia - sembrano essersi fermati. La situazione è gestibile. Il maggior numero di arrivi, come rivelano i dati, c'è stato nel 2016 quando Udine ha accolto più o meno lo stesso numero di migranti che arrivavano nelle grandi città. Il 2017 è stato un anno di relativa calma e nel 2018 i migranti hanno ripreso a percorrere la rotta balcanica e sono entrati nel nostro Paese soprattutto attraverso il confine di Tarvisio. L'impegno del personale dell'ufficio immigrazione - ha concluso il questore - è sempre elevato. Sono stati infatti consegnati, tra cartacei ed elettronici, oltre undicimila titoli di soggiorno».

14 GENNAIO 2019

Plauso unanime alle forze dell'ordine. Fedriga: finita la latitanza di un criminale che macchiò di sangue la nostra regione Da destra a sinistra esultano tutti: «Giustizia è fatta anche per il Fvg»

Viviana Zamarian UDINE. Esultano le forze politiche. Tutte, da destra a sinistra. C'è una soddisfazione unanime per un arresto finalmente arrivato dopo averlo atteso per tanto, troppo tempo. Anche in Fvg, dove Cesare Battisti uccise il maresciallo Antonio Santoro nel 1978. «Giustizia è stata fatta - commenta il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga - , finalmente si chiude la lunga latitanza di un criminale le cui azioni hanno macchiato di sangue innocente anche la nostra regione. Un risultato importante, che offre alle vittime e ai loro familiari un risarcimento morale doveroso, sebbene mai sufficiente». «Ringrazio di cuore tutte le forze di polizia che hanno condotto con successo l'operazione e in particolare - aggiunge il presidente - il ministro dell'Interno Matteo Salvini per la determinazione e la fermezza dimostrate in questa complessa partita internazionale». E il plauso a tutte le forze dell'ordine è arrivato anche dal presidente del Veneto Luca Zaia. «A un risultato così importante si arriva soltanto con volontà, determinazione e intelligenza investigativa - afferma - . Qualcuno negli anni, prima di Matteo Salvini, si era, diciamo così, distratto».A ricordare il maresciallo Santoro è il sindaco . «Esprimo grande soddisfazione per l'arresto di Battisti - dichiara -. I figli del maresciallo Santoro hanno sempre lottato per non far mai dimenticare l'uccisione del padre. Speriamo che Battisti sconti finalmente la pena nelle carceri italiane». La deputata dem Debora Serracchiani, che a marzo aveva scritto all'allora presidente del Brasile Michel Temer affinché si esprimesse per l'estradizione dell'ex terrorista dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), ha ribadito «il grande rilievo esemplare che, una volta incarcerato, assumerà il caso Battisti, per rispetto verso i familiari delle vittime e quale giusta chiusura di un caso giudiziario che ci teneva legati all'epoca della lotta armata». «Abbiamo chiesto e atteso per anni - conclude - la cattura del criminale che ha ancora sulle mani il sangue del maresciallo Santoro. Vogliamo credere che sia venuta l'ora della giustizia, dopo che per quarant'anni Battisti ha esibito il suo sogghigno e il suo disprezzo impunito davanti alle famiglie delle vittime». Anche il vicepresidente della Camera Ettore Rosato (Pd), nel suo profilo Twitter commenta l'arresto: «Finalmente sconterà la sua pena. Lo si deve alle famiglie delle vittime. Complimenti alla forza dell'ordine e investigative per la cattura di Cesare Battisti». L'europarlamentare dem Isabella De Monte esprime soddisfazione «per una notizia che si aspettava da tanto tempo». Un giorno «di festa» per il presidente dei senatori di Fratelli d'Italia Luca Ciriani. In cui però «non dobbiamo dimenticare che per decenni questo criminale ha vissuto all'estero, tutelato da una rete di protezioni nazionali e internazionali. Con questo arresto esce sconfitta quella sinistra radical chic e mondialista che, attraverso il controllo dei media, è riuscita a diffondere e imporre agli italiani la sua versione della realtà. Al punto che tutti coloro che si opponevano, venivano zittiti e bollati, a seconda delle esigenze, come fascisti, antidemocratici, mafiosi, e oggi razzisti. L'arresto di Battisti sia, quindi, non soltanto la vittoria della giustizia di chi è stato vittima del terrorismo rosso, ma soprattutto la fine di una certa Italia». Il deputato di Forza Italia Roberto Novelli definisce la fine della latitanza del pluriomicida «una delle più grandi vittorie, seppur in ritardo, dello Stato italiano. Si riporti nelle patrie galere un delinquente che ha beneficiato di protezioni politiche a livello internazionale, che purtroppo ci sono state, anche se ciò resta un fatto incomprensibile. Il ministro dell'Interno ha detto che è solo l'inizio e se seguirà questo indirizzo troverà l'appoggio anche delle forze politiche di opposizione». Il capogruppo in Consiglio regionale della Lega Nord Mauro Bordin condividendo sulla sua pagina Facebook lo scambio di congratulazioni tra il vicepremier Salvini e il presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro, scrive «Finalmente un Paese rispettato e considerato!Finalmente un politico di spessore che sa farsi ascoltare ed è capace di incidere su decisioni che in passato subivamo passivamente! Finalmente la galera per un terrorista che per decenni, con diverse connivenze, è sfuggito alla giusta punizione per i suoi crimini». Il senatore del M5s Stefano Patuanelli, nel manifestare «la grande soddisfazione per la cattura di questo terrorista» sottolinea «l'impegno del Governo e in particolare del ministro Alfonso Bonafede in stretta collaborazione con il ministro dell'Interno Salvini. Ora manca l'ultimo tassello. Battisti dovrà scontare la sua pene nelle carceri italiane».

Gli "anni di piombo" da piazza Fontana al crollo delle Brigate rosse Il più terribile fu proprio il 1978 con 40 morti, a cominciare da Moro

Il terrorismo arrivò a Udine Quel risveglio scioccante nella provincia cresciuta tra il silenzio e il lavoro LA STORIA Paolo Medeossi Cosa furono in Italia gli "anni di piombo", cominciati con la strage di piazza Fontana nel dicembre 1969 e arrivati al capolinea con il crollo delle Brigate rosse nel 1982? Difficile far capire com'era l'angoscia che afferrava alla gola ascoltando i giornali radio che dettavano il primo bollettino di guerra tra uccisioni, azzoppamenti, assalti. L'anno più terribile fu il 1978 con quaranta morti, a cominciare da Aldo Moro, il presidente del consiglio assassinato dopo circa due mesi di sequestro. Unico caso al mondo di tale devastante gravità, eppure l'Italia reagì e resistette. E, per sapere come, è utile rileggere un libro dimenticato di Alberto Arbasino. Si intitola "In questo Stato" e spiega fantasmi, paranoie e autodifese di un popolo incredibile, vulnerabile e forte.Fra quelle vittime c'era il maresciallo Antonio Santoro, comandante delle guardie carcerarie di Udine, caduto in un agguato sulla porta di casa che confinava con l'istituto penitenziario in via Spalato: una mattina di sole, il 6 giugno 1978, a nemmeno un mese dall'uccisione di Moro mentre il Friuli si considerava al riparo dalla follia terroristica dovendo ricostruire i paesi distrutti due anni prima dal terremoto. Lo Stato, stretto alla gola dalla crisi economica e dall'eversione, decise di delegare tutto assicurando le risorse necessarie, tratte da un drastico aumento nel prezzo della benzina. Aveva insomma detto: «Fate da soli perché noi siamo nei guai».Fu un risveglio scioccante quel 6 giugno quando si scoprì che incombeva anche qui l'incubo del terrore. Il Messaggero Veneto diretto da Vittorino Meloni avvertì a piena pagina: «Il terrorismo arriva a Udine. La vita operosa del Friuli turbata da un attentato senza precedenti». E l'articolo di fondo del direttore, vinto il primo momento di panico, delineò un nuovo fronte per tutti sotto il titolo: «La capacità di resistere».Più tardi, negli anni Ottanta, grazie al racconto di ex compagni e complici, fu possibile sapere chi formava il commando dei quattro assassini, tra i quali una ragazza. A sparare, dissero i pentiti, era stato Cesare Battisti, che aveva conosciuto Santoro tempo prima essendo in carcere a Udine per rapine e reati comuni. Dietro le sbarre aveva conosciuto Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac (Proletari armati per il comunismo) e così era cominciata la sua politicizzazione. Una volta usciti, scelsero come obiettivo il maresciallo, seguendo gerarchie e piani dissennati, allora abituali tra sigle e schegge impazzite. Forse una vendetta contro il maresciallo.Non fu questo comunque l'esordio tragico del terrorismo a casa nostra. L'eversione nera aveva già causato nel 1972 l'attentato di Peteano con tre carabinieri uccisi e poi il fallito dirottamento aereo di Ronchi, con sparatoria e morte di un estremista di destra. La resa di conti definitiva con gli "anni di piombo" avvenne in Friuli nel 1982 quando vennero sgominate le Br e si capì che le nostre zone erano state usate come retrovia rispetto ai luoghi più sensibili e operativi (in una soffitta di Tarcento venne ucciso l'ingegner Taliercio, rapito a Marghera).Quasi una strategia per non attirare qui troppo l'attenzione, violata dal vile agguato compiuto da Battisti, che poi si concesse una settimana di vacanza a Grado.

È la stima dei beneficiari della misura. Pesano disincentivi come il taglio dell'assegno e il divieto di cumulo con altre rendite Pensione anticipata per quasi 12 mila otto su dieci sfrutteranno quota 100

Riccardo De Toma UDINE. In attesa ci sono 437 mila persone a livello nazionale, 11.700 in Friuli Venezia Giulia. La platea complessiva dei potenziali beneficiari di quota 100 nel triennio resta immutata, perché non cambiano i requisiti. Tanto è vero che il costo totale della misura, come previsione di spesa complessiva 2019-21, non scende. Scende invece, da 6,7 a 4 miliardi, la spesa prevista per il 2019, per effetto della finestra trimestrale introdotta per l'accesso alla pensione anticipata, raddoppiata a sei mesi nel pubblico impiego dall'obbligo di preavviso, sempre trimestrale, a carico del lavoratore. I CONTI Questa dilazione tra maturazione del diritto e accesso alla pensione consentirà di ridurre sensibilmente il conto nel primo anno di applicazione, dal momento che la platea dei beneficiari è costituita per il 90%, come attestato dalla relazione presentata a novembre dall'Ufficio parlamentare di bilancio sulla base dei dati Inps, da lavoratori che alla fine del 2018 erano già in possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione con quota 100. Un esercito di 390 mila persone, oltre 10 mila in Fvg, che anche presentando la domanda al primo giorno utile, dopo la predisposizione del decreto attuativo da parte del Governo e della relativa circolare applicativa dell'Inps, matureranno il diritto alla pensione solo a partire da aprile, se dipendenti privati o autonomi, o da luglio se dipendenti pubblici. Analogamente, scende anche la spesa (decisamente più contenuta) per le pensioni di chi raggiungerà quota 100 solo durante l'anno (40-50 mila lavoratori a livello nazionale, poco più di mille in regione): anche per loro vale infatti la dilazione di tre o sei mesi, che in molti casi, specie nel pubblico impiego, potrebbe rinviare al 2020 l'età di pensionamento effettivo.vantaggi e limiti La previsione di spesa è basata su una stima di beneficiari effettivi pari all'85% della platea potenziale del provvedimento: ogni 10 aventi diritto, almeno uno o due preferirà continuare a lavorare per continuare ad accumulare contributi e a irrobustire il futuro assegno mensile, il cui importo sale progressivamente man mano che aumenta l'età di pensionamento. Ecco perché, di fronte a un potenziale di 437 mila beneficiari, il Governo ha stilato una previsione di 350 mila pensionamenti anticipati, con una spesa di 4 miliardi nel 2019, e sensibilmente più alta (8 miliardi l'anno) nel biennio 2019-2020. LA SCELTA Solo vivendo, per citare Battisti, scopriremo se le stime sono realistiche. Ammesso che i conti di partenza dell'Inps siano esatti, il che non è così scontato, trattandosi di ricostruire storie lavorative e contributive quasi quarantennali, la quota massima di 437 mila beneficiari è solo teorica, perché una percentuale non indifferente di "rinunce" a quota 100 deve essere messo in conto. È infatti presumibile, in presenza di posti di lavoro stabili (come nel pubblico impiego), magari associate a un lavoro gratificante, a mansioni non particolarmente gravose dal punto di vista fisico e all'assenza di impegni familiari pressanti, che molti aventi diritto scelgano di attendere, anche se non necessariamente fino ai 67 anni di età previsti per la pensione di vecchiaia 67 anni o i 43 anni e 3 mesi di anzianità necessari per la pensione anticipata. REBUS TFR Fatto salvo il caso di regimi particolari come quelli previsti per l'Ape social, per i precoci o per opzione donna, destinati alla proroga, la scelta dipenderà dalla situazione individuale e dal costo dell'anticipo in termini di pensione mensile. Tutto previsto, mentre non erano previsti altri nodi che sono emersi con il passaggio dalle parole alle misure concrete e ai conti. Tra gli scogli da affrontare quello del Tfr (o meglio Tfs, trattamento di fine servizio) dei dipendenti pubblici. Di fronte alla prospettiva di almeno 130 mila pensionamenti pubblici come effetto di quota 100 nel 2019, l'idea del Governo era infatti di posticipare al compimento dei 67 anni, indipendentemente dall'età di pensionamento, il saldo del Tfs. Saldo che già oggi avviene 12 mesi dopo la pensione per le liquidazioni fino a 50 mila euro e in due rate, a 12 e 24 mesi, per quelle fino a 100 mila euro. Nel caso dei dipendenti pubblici, quindi, nel conto di quota 100 c'è da mettere in preventivo anche un congelamento fino a oltre sette anni del Tfs o l'ipotesi di farselo anticipare da una banca, versando i relativi interessi. Una penalizzazione di costituzionalità molto dubbia, trattandosi di salario differito. Il Governo ha promesso che si farà carico del problema, ma l'anticipo del Tfs, come precisato dalla ministra alla Funzione pubblica Giulia Bongiorno, non sarà a costo zero per i neopensionati. i NODi Altro disincentivo, per tutti i potenziali beneficiari, il divieto di cumulo, per i pensionati con quota 100, tra la pensione e altri redditi, ammessi solo fino a una soglia di 5 mila euro lordi. In caso di superamento del tetto, la pensione verrebbe decurtata di un importo corrispondente al surplus: una tagliola che rischia di disincentivare quota 100, o in alternativa di favorire il lavoro nero tra i nuovi pensionati. Da qui le critiche, trasversali, di molti addetti ai lavori, che spingono per la rimozione o l'attenuazione di questo vincolo.

UDINE. Tra i delusi per gli effetti collaterali di quota 100, oltre ai dipendenti pubblici, ci sono anche i pensionati. Non soltanto i "paperoni" con assegni sopra i 100 mila euro annui, che saranno soggetti al prelievo di solidarietà, ma tutti quelli con pensioni lorde al di sopra dei 1.500 euro mensili, la soglia dalla quale l'adeguamento degli assegni al tasso d'inflazione era e resta parziale. PENSIONI E INFLAZIONE Dal 1º gennaio era previsto il ritorno al sistema vigente fino al 2011, che sui primi 1.500 euro avrebbe garantito la rivalutazione piena all'inflazione per tutte le pensioni, di qualsiasi importo, con progressive riduzioni solo sugli scaglioni d'importo successivi (90% dell'inflazione tra i 1.500 e i 2.500 euro, 75% sopra i 2.500 euro). Ma il Governo ha fatto dietrofront, confermando il modello adottato fino al 2018, con percentuali di perequazione lievemente ritoccate. Per i pensionati con redditi fino ai famosi 1.500 euro, poco più della metà degli oltre 350 mila residenti in regione, non cambia nulla, quelli al di sopra della soglia si vedono confermati gli importi del 2018, ma incassano meno di quanto avrebbero percepito se si fosse tornati al sistema ante 2012.CONGUAGLIOL'effetto più visibile si avrà a febbraio. In gennaio, infatti, l'Inps aveva già predisposto i pagamenti con il sistema di rivalutazione previsto dalla prima stesura della legge di bilancio 2019. Il prossimo mese invece i conti saranno corretti, con in più il conguaglio di quanto indebitamente erogato dall'Inps a gennaio. Va detto che si tratta di importi contenuti: per le pensioni fino a 2 mila euro la differenza è inferiore all'euro, per crescere progressivamente fino ai 25 euro da restituire su un assegno da 5 mila euro lordi o i 44 di un assegno da 10 mila. A pagare il conto della ridotta rivalutazione saranno soprattutto i pensionati con reddito medio alto: sono loro che garantiranno gran parte dei risparmi, oltre 2 miliardi, che il dietrofront del Governo assicurerà nel triennio 2019-21.PENSIONI D'ORO Ben più pesante il conto per le cosiddette pensioni d'oro, che per 5 anni saranno sottoposte a un prelievo di solidarietà del 15% sugli importi lordi compresi tra i 100 e i 130 mila euro annui; del 25% tra i 130 e i 200 mila euro; del 30% tra i 200 e i 350 mila; del 35% tra i 350 e i 500 mila e del 40% sopra i 500 mila euro. L'applicazione, prevista solo sugli assegni col sistema retributivo, sarà per scaglioni di reddito, mantenendo esenti i primi 100 mila euro, per cui un pensionato con un assegno da 10 mila euro annui, ad esempio, sarà sottoposto a un contributo di 4.500 euro lordi. Conti salati individualmente, ma che genereranno un gettito complessivo piuttosto basso, circa 80 milioni l'anno, perché la platea interessata, a livello nazionale, sarà di poche migliaia di persone.

Corsia preferenziale per categorie deboli e impieghi usuranti Requisiti con molti limiti: tante domande vengono bocciate Ape verso la proroga ma i numeri sono bassi udine. I numeri sono marginali, ma le misure saranno prorogate, dal momento che sono le uniche a garantire una corsia preferenziale per categorie deboli come i disoccupati, chi assiste familiari disabili, i lavoratori precoci o addetti a mansioni gravose o usuranti. Ecco perché Ape social e quota 41, introdotte in via sperimentale per il biennio 2017-18 dal Governo Gentiloni, dovrebbero proseguire anche dopo la prima Finanziaria gialloverde. La proroga è legata allo stesso decreto che regolerà l'attuazione di quota 100, e che dovrebbe anche prolungare la vita di opzione donna, la scorciatoia che fino al 2018 ha consentito il pensionamento anticipato per le donne nate entro il 1958 (1957 se autonome) e con un'anzianità contributiva di almeno 35 anni al 31 dicembre 2015 (le indiscrezioni parlano di una proroga con estensione alla classe 1959 e al 2018 come termine per il raggiungimento dei 35 anni di anzianità).APE SOCIALE E QUOTA 41Oltre a opzione donna, introdotta per il 2015 e successivamente prorogata, le possibilità di pensionamento anticipato rispetto ai limiti di età (66 anni e 7 mesi fino al 2018, 67 anni dal 1º gennaio 2019) o anzianità (42 anni e 10 mesi fino al 2018, 43 anni e 3 mesi da quest'anno, ma il decreto del Governo potrebbe congelare lo scatto) passano attraverso tre strade: l'Ape (Anticipo pensionistico) volontario, l'Ape sociale - possibili a partire dai 63 anni di età - o la quota 41, cioè la possibilità di accedere alla pensione anticipata con "soli" 41 anni di anzianità, concessa (in alcuni casi) ai lavoratori precoci, cioè quelli con contributi versati prima dei 19 anni di età.i dubbiIn attesa della proroga, non richiesta per l'Ape volontaria (che scade a fine 2019) ma necessaria per le altre misure, l'ultimo resoconto Inps su Ape, Ape social e quota 41 conferma quelle che fin dalla prima approvazione erano le grandi perplessità sulle tre misure: per l'Ape volontario l'eccessiva onerosità in termini di interessi e polizze assicurative, per l'Ape sociale e i lavoratori precoci l'elevato numero di paletti, legato alla necessità di restringere la platea vista la limitatezza delle risorse. Al 15 luglio 2018, quindi in 15 mesi a dall'entrata in vigore, le domande complessivamente presentate (Ape volontarie compreso) erano soltanto 185 mila a livello nazionale, di cui soltanto 62 mila, una su 3, conclusesi positivamente.ITALIA E FVGRisultano accolte 33.623 richieste di Ape social su 78 mila pratiche chiuse, 24.129 domande per quota 41 su 62 mila, con percentuali di bocciatura pari al 60%. Il Fvg è in linea con la media nazionale. In assenza di dati sul 2018, e ipotizzando un andamento simile a quello del 2017, si può stimare un totale (a luglio 2018) di 3.300 domande e non più di 1.300 pensionamenti. Ancora più deludente il bilancio per l'Ape volontario: su 26 mila richiedenti a livello nazionale, disposti ad accollarsi gli oneri dell'anticipo pensionistico pur di non lavorare fino a 67 anni, solo 4.850 sono riusciti a chiudere la pratica. Quanto al Fvg, le pensioni maturate grazie al prestito si aggirano attorno al centinaio.

attesa fino a 7 anni

Il rebus liquidazione per i lavoratori pubblici Cgil e Cisl: inaccettabile UDINE. «Fino a sette anni di attesa per la liquidazione dei dipendenti pubblici? Il problema va risolto prima: già con la norma attuale, infatti, il pagamento differito del Tfs è in odore di anticostituzionalità». A parlare è il segretario regionale della Cisl Funzione pubblica, Massimo Bevilacqua, anche alla luce della recente decisione del Tribunale di Roma, chiamato a dirimere una delle cause pilota promosse dal sindacato, che ha rimesso gli atti alla Consulta perché si esprima sulle legittimità delle attuali norme. Norme che prevedono tempi di attesa minimi di oltre 12 mesi per il pagamento del Tfs, e progressivamente più lunghi a seconda dell'importo della liquidazione, arrivando fino a 3 anni per il pagamento dell'intero importo. Dilazione che, per effetto di quota 100, potrebbe arrivare a 7 anni rispetto alla data di pensionamento.«Il problema - commenta Bevilacqua - nasce dal fatto che il datore pubblico non è tenuto ad accantonare i soldi come un'azienda privata, e che i soldi per il Tfs vanno quindi stanziati anno per anno. È assurdo che un lavoratore debba essere chiamato a pagare interessi o altre forme di penalizzazione per farsi anticipare soldi suoi. Lo Stato ha detto che si accollerà l'onere del prestito? Dovrà farlo integralmente e risolvendo il problema per tutti, non soltanto per la parte relativa a quota 100».Molto dura, su una questione che in Fvg riguarderà quest'anno 3.500-4 mila dipendenti pubblici vicini alla pensione con o senza quota 100, anche la segretaria regionale Fp-Cgil Orietta Olivo. «Questo del Tfs è un problema frutto di una filosofia tesa alla separazione tra lavoro privato e pubblico, fatta propria anche da questo Governo. Così, combinando questa logica agli effetti della legge Fornero, si è arrivati al paradosso di portare a 70 anni l'età di incasso della liquidazione. Se il Governo farà ammenda - dice Olivo - e lo Stato pagherà gli oneri dell'anticipo, che anticipo non è, allora dovrà valere per tutti, perché anche uno, due o tre anni di attesa per il Tfs sono inaccettabili». L'esponente della Cgil esprime perplessità anche su quota 100: «Prima hanno promesso, poi si sono resi conto che non potevano mantenere gli impegni. Il caso del Tfs dimostra che, se quota 100 sarà, non sarà a costo zero. Tanto che la ministra Bongiorno ha escluso l'ipotesi di un prestito senza oneri per i lavoratori, smentendo il sottosegretario Durigon».

Saranno organizzati tour guidati nella sede del Comune A breve pronto un volume che racconta la storia dell'edificio

Fontanini apre le porte di palazzo D'Aronco a studenti e visitatori

Cristian Rigo Il sindaco Pietro Fontanini apre le porte di palazzo D'Aronco a studenti e turisti. La sede del municipio si appresta a svelare i suoi segreti. A breve sarà pubblicato un volume curato da Diana Barillari e da Giuseppe Bergamini e saranno organizzate delle visite guidate coinvolgendo anche le scuole. «Il Comune è per definizione la casa dei cittadini - scrive il sindaco nella prefazione del volume - ed è anche per questo motivo, oltre che per l'indiscusso valore artistico del palazzo, che la decisione di riaprirlo e farlo conoscere ai tanti turisti, ma anche agli stessi udinesi ha un significato importante e si inserisce a pieno titolo nell'idea di una città aperta, consapevole della propria storia e orgogliosa dei propri tesori. Troppo spesso, in passato, nella nostra città sono stati commessi scempi e veri e propri delitti contro il patrimonio architettonico, e mi riferisco ovviamente alla demolizione, a fine anni Cinquanta, del meraviglioso Cinema Eden, altro capolavoro situato proprio di fronte a palazzo D'Aronco e con il quale dialogava in maniera naturale a creare un'atmosfera elegante, possente, mitteleuropea. Memori di questi abbagli iconoclasti, dettati da un'idea distorta e ideologica di futuro inteso come rimozione del passato, della storia e della memoria, oggi abbiamo il dovere di tutelare, valorizzare e soprattutto riportare al centro della vita cittadina il nostro patrimonio immobiliare, a partire proprio da palazzo D'Aronco e da quel salone del Popolo destinato al dialogo diretto tra i sindaci e la cittadinanza e che oggi sta tornando a essere il luogo abituale per incontri, dibattiti, conferenze stampa». Ma il sindaco invita gli udinesi a non venire a vedere solo la sala Ajace e il salone del Popolo. «Chi visiterà i meandri del palazzo, resterà sorpreso dalla quantità di sale, passaggi, terrazze che lo stabile nasconde e - assicura - scoprirà visuali panoramiche inedite e mozzafiato sulla città, come quella che si può avere dalla Campana dell'Arengo, situata sul tetto, esattamente di fronte al terrapieno di piazza Libertà». La progettazione di palazzo D'Aronco ha impegnato l'architetto Raimondo D'Aronco dal 1888 al 1930 quando sono stati completati gli ultimi elaborati. Il palazzo municipale è un esempio d'architettura del XX secolo in stile liberty. All'esterno, caratterizzato da ampi colonnati a volta, ci sono 17 statue alte 2, 5 metri che rappresentano diversi mestieri. La sala Ajace deve il suo nome alla statua che è al suo interno, realizzata da Vincenzo Luccardi che rappresenta l'eroe greco Ajace che partecipò all'assedio di Troia e sfidò gli dei. Quasi tutti i saloni sono arredati con i mobili originali d'epoca, realizzati anche da Sello, Brusconi e Fantoni.

IL PICCOLO 12 GENNAIO 2019

I nomi di Zappalorto e Marrosu nel filone ter dell'inchiesta per turbativa d'asta e frode. Altri due funzionari nei guai Gare irregolari al Cara di Gradisca Due prefetti tra i 42 indagati

Laura Borsani MONFALCONE. L'avviso di conclusione delle indagini è stato notificato ai primi di gennaio a 42 indagati, tra cui 39 persone fisiche e tre persone giuridiche, ossia società. È il terzo filone investigativo relativo alla gestione del Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo, già peraltro al centro del processo tuttora in corso al Tribunale di Gorizia, a fronte della riunificazione di due procedimenti. In questa fase ancora iniziale, pertanto tutta da definire ai fini dello sviluppo del procedimento, rientrano a titolo di indagati due prefetti e due viceprefetti operanti nell'Isontino nel periodo tra il 2011 e il 2015. Si tratta degli ex prefetti di Gorizia Maria Augusta Marrosu, che aveva ricoperto l'incarico dal 2008 al 2013, e Vittorio Zappalorto, subentrato fino alla successiva assegnazione a Venezia, nonchè gli ex viceprefetti Gloria Allegretto e Antonio Spoldi.Siamo dunque all'ulteriore approfondimento della vicenda che attualmente vede invece una trentina di imputati, inerenti a fatti collocati tra il 2009 e il 2013, nell'alveo dell'indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Tarcento. La nuova attività inquirente, affidata alle Fiamme gialle di Udine, riguarda quindi un arco temporale che si spinge fino al 2015.Chiamato in causa ci sarebbe anche il Consorzio Connecting People, già imputato nell'ambito del processo riunificato, affiancato dalla cooperativa sociale Luoghi Comuni di Trapani e dalla coop Interpreti e Traduttori di Roma. Indagati, inoltre, sarebbero Romano Fusco, di Torino, Claudio Battistella, di Ronchi, e Francesca Filla, di Gorizia, all'epoca componenti della Commissione giudicatrice nell'ambito dell'appalto dei servizi del Cie-Cara che aveva sancito l'assegnazione alla Connecting People. Rientrerebbero, ancora, sempre stando a questa fase iniziale, i presidenti, rappresentanti legali, del Consorzio appaltatore del Centro, Giuseppe Scozzari, di Castelvetrano, e Orazio Ettore Micalizzi, di Acireale, oltre ai legali rappresentanti di Interpreti e Traduttori, Marianna De Maio, e Luoghi Comuni, Alessia Barbagallo. Nel procedimento sarebbero coinvolti peraltro dipendenti e direttori della Connecting People, oltre a commissari giudiziali che hanno curato il concordato preventivo del Consorzio.Ipotesi di accusa a vario titolo. Tra le principali contestazioni, si fa riferimento a turbativa d'asta in ordine allo svolgimento della gara di appalto che s'era conclusa con l'aggiudicazione della gestione del Centro di Gradisca al Consorzio Connecting People. Sul tappeto, a quanto sarebbe dato sapere, presunte irregolarità circa le modalità di esecuzione della gara. Si parla, ancora, dell'ipotesi di associazione a delinquere in riferimento ai presidenti, amministratori e dipendenti della Connecting People, con i prefetti Marrosu e Zappalorto, nonché il viceprefetto Allegretto, in presunto concorso esterno. Altro reato ipotizzato frode in pubbliche forniture, in riferimento all'erogazione di sigarette, pocket money e schede telefoniche agli ospiti del Centro. Quindi alcune truffe ai danni dello Stato che sarebbero riconducibili alle fatturazioni emesse dal Consorzio (dal 2011 al 2013). E ancora, ipotesi di truffa ai danni dello Stato inerente la chiusura del rapporto con la Connecting People, mediante la rescissione del relativo contratto d'appalto. Le presunte incongruenze sarebbero legate alla liquidazione alla società gestore del Cie-Cara per la quale non si sarebbe tenuto conto di alcune contestazioni nel frattempo già segnalate all'autorità giudiziaria. Si parla di una somma sull'ordine dei 4 milioni, di cui 2 milioni all'epoca oggetto di attenzione da parte della magistratura. Siamo dunque nella fase di chiusura delle indagini, in attesa degli sviluppi tenendo conto quindi anche della possibile archiviazione.

Nel mirino la gestione del centro dal 2009 al 2013 e l'attività svolta dalla realtà trapanese oltre che dai fornitori di bottiglie d'acqua e materiali L'appalto al consorzio siciliano e l'ipotesi di fatture gonfiate

MONFALCONE. Due filoni di indagine frutto di due procedimenti confluiti in un unico processo. Analoga infatti la vicenda, relativa alla gestione del Cie-Cara di Gradisca d'Isonzo, sviluppatasi nello stesso arco di tempo, dal 2009 al 2013. Il tutto, dunque, a fronte di una trentina di imputati. Il processo incentrato sul Centro di accoglienza dei rifugiati, tuttora in corso, coinvolge assieme al Consorzio Connecting People di Trapani, alla quale all'epoca faceva capo la gestione dei servizi, risultata aggiudicataria dell'appalto, la CGS Consortive che riforniva il Centro di bottiglie d'acqua, e la Imaflex in ordine alla fornitura di materassi.L'ipotesi di accusa contestata è l'associazione a delinquere ed una serie di reati legati alla fornitura di materiali e fatturazioni ritenute non conformi dalla pubblica accusa, rappresentata dal pm del Tribunale di Gorizia, Valentina Bossi, ricondotto all'attività di ospitalità dei rifugiati. Viene inoltre contestata una serie di reati fiscali. Tra gli aspetti rientranti nel dibattimento rientra in particolare quindi l'ipotesi di accusa incentrata sul presunto "sovradimensionamento" delle fatture rispetto al reale numero degli ospiti all'epoca presenti nel Centro gradiscano. Tra gli imputati il vicepresidente della Camera di commercio Venezia Giulia, Giancarlo Madriz, in qualità allora di socio di una delle imprese coinvolte. Un processo tradottosi in sette faldoni, atti di indagine inizialmente rimasti in acquisizione della Guardia di Finanza di Tarcento. Novantacinque peraltro le intercettazioni telefoniche prodotte dagli inquirenti.

il quadro attuale

L'incertezza dei 60 addetti della cooperativa Minerva Luigi Murciano GRADISCA. Sono una sessantina, attualmente, i lavoratori che operano al centro immigrati di Gradisca d'Isonzo. In questo momento la gestione del Cara è affidata in prorogatio alla cooperativa isontina Minerva. Il contratto terminerà a fine aprile. Dopo quella data, conclusi i lavori di ripristino di sbarre e dispositivi di sicurezza e stabilito il contingente di forze dell'ordine da destinare all'ex Polonio, inizierà l'era del Cpr, il centro per i rimpatri destinato alla detenzione amministrativa di immigrati irregolari e chiamato a sostituire appunto il "vecchio" Cie. Un centinaio i posti per migranti previsti all'interno della struttura di Gradisca, l'unica esistente nell'intero territorio regionale. Ma al momento poco si sa del destino del vicino Cara, che invece ospita i richiedenti asilo. Verrà chiuso, come l'amministrazione comunale richiede da tempo, e come lo stesso governatore Massimiliano Fedriga in occasione della sua visita alla struttura pareva essere orientato a fare? O sarà progressivamente svuotato delle sue attuali 200 presenze? O, infine, si andrà verso lo scenario più temuto dal territorio, quello della convivenza fra due strutture molto diverse e impattanti (un unicum nel Nord Italia) la cui gestione sarà inserita in un unico maxi-appalto? Domande ancora senza risposta, come ha precisato lo stesso prefetto di Gorizia, Massimo Marchesiello: «È una decisione politica che ci deve essere comunicata».Al di là del destino del Cara, resta il rebus dei posti di lavoro alla luce delle novità introdotte dal decreto Salvini. Il provvedimento dà infatti una decisa sforbiciata ai fondi destinati alle cooperative che gestiscono i centri. Meno risorse pubbliche per i servizi alla persona, a partire da quelli per l'integrazione che letteralmente spariscono. Oggi un richiedente asilo ospitato al Cara a gestione Minerva costa 35 euro pro capite al giorno. In futuro la spesa potrebbe scendere di molto e attestarsi su una cifra compresa tra i 26 e i 19 euro. «I punti di domanda sono ancora troppi per non chiederci se il nuovo sistema sarà sostenibile - riflette il sindacalista Uil Michele Lampe -: la gestione di un Cpr presenta costi e responsabilità molto più elevate, per la sua particolare natura detentiva, ma il Viminale sembra voler stanziare meno risorse. Il rischio è chiaro: oltre a una qualità del servizio in calo, per le imprese il margine di guadagno si assottiglia. Il gioco potrebbe non valere la candela: all'appalto potrebbero affacciarsi aziende poco serie, e a pagare sarà l'anello piu'debole della catena, quello dei lavoratori: vuoi con tagli di organico, vuoi con tagli ai salari. Su questo vigileremo. Per la stragrande maggioranza i lavoratori vivono nell'Isontino. Si rischia di innescare una bomba sociale» .

13 GENNAIO 2019

Gli effetti del decreto sicurezza sull'economia dell'accoglienza. Rischio tagli per centinaia di mediatori culturali e assistenti sociali. L'allarme di Ics e Caritas Stretta sui finanziamenti per l'ospitalità ai migranti Tremano 1.200 lavoratori

Laura Tonero trieste Mediatori culturali, assistenti sociali, insegnanti di italiano per stranieri. E ancora tutor nei corsi professionali, addetti alle pulizie e autisti. Sono tante le figure professionali che ruotano attorno all'accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Un mondo che, contrariamente a quanto si crede, si regge solo in parte sul volontariato e dà lavoro invece a centinaia di persone. Solo in Friuli Venezia Giulia sono circa 1.200 gli operatori assunti regolarmente da cooperative e consorzi o da aziende che lavorano nell'indotto del settore. Lavoratori che ora temono di finire in mezzo ad un strada a causa del taglio dei finanziamenti deciso dal governo gialloverde.il decreto sicurezzaRiducendo in maniera significativa i servizi offerti finora ai richiedenti asilo, infatti, il decreto sicurezza voluto fortemente dal vicepremier Salvini produce inevitabilmente effetti sull'intera economia dell'accoglienza. Una galassia, come detto, che contiene all'interno molti pianeti: dalla gestione degli alloggi alla formazione professionale al sistema dei trasporti. Attività assicurate da aziende che, a fronte del taglio dei ricavi legati ai finanziamenti statali, non potranno far altro che ridurre il personale. l'allarmeA Trieste i più a rischio sono gli operatori assunti da Ics, il Consorzio italiano di solidarietà, e Caritas. Alcuni di loro, fanno sapere i bene informati, sono già stati lasciati a casa nelle settimane scorse. Per sapere con precisione quanti posti di lavoro verranno cancellati, però, ci vorrà ancora un po' di tempo.I vertici delle due realtà attive nell'accoglienza, quindi, per ora non si sbilanciano. «Stiamo cercando di capire la situazione - sostiene Gianfranco Schiavone, direttore dell'Ics -. La situazione è in divenire, c'è ancora parecchia confusione dal punto di vista politico-amministrativo. Per ora abbiamo sentito molti proclami e poca sostanza. Ovviamente, però, a seconda di come verrà modificato il sistema di accoglienza si avvertiranno ricadute più o meno gravi». Che la questione sia di estrema importanza, lo testimonia anche la due giorni convocata a Roma per fine mese (precisamente 24 e 25 gennaio) dalla Caritas nazionale. Al centro di questo confronto tra referenti delle varie realtà territoriali ci saranno proprio gli effetti del decreto Salvini. i numeri di triesteNel capoluogo regionale - città-simbolo in un certo senso dell'accoglienza diffusa e protagonista di vari progetti pilota sul piano della microspitalità - sono circa 200, tra operatori e mediatori culturali, i lavoratori messi sotto contratto da Ics e Caritas. A loro si aggiunge un altro centinaio di persone impiegate nelle attività correlate all'accoglienza: servizi di integrazione sociale, insegnamento dell'italiano nei corsi di lingue per adulti, percorsi professionali a cui vengono indirizzati i richiedenti asilo. «Nel 2018 abbiamo iscritto ai corsi di formazione 500 persone, avviato 60 borse lavoro in altrettante aziende locali e organizzato ben 1.500 corsi di italiano - spiega ancora Schiavone -. Quello che va messo a fuoco è che l'economia dell'accoglienza è un'economia del territorio. A noi non rimane niente, ridistribuiamo tutto sul territorio». i fondi stataliLa riduzione dei fondi destinati dallo Stato all'integrazione dei migranti annunciata dall'esecutivo ha proporzioni importanti: dagli oltre 30 euro al giorno per ogni richiedente asilo si passerà a circa 21 euro. «Se questi dati dovessero venir confermati - osserva il numero uno dell'Ics - andremmo incontro a scenari gravi.Dovremmo quindi ripensare al numero dei nostri collaboratori ma anche, ad esempio, tagliare gli abbonamenti degli autobus che sottoscriviamo mensilmente per i migranti. Abbonamenti per i quali versiamo alla Trieste Trasporti circa 400 mila euro l'anno. Una cifra che l'azienda di trasporto pubblico non incasserebbe più, anche perché molti richiedenti asilo, probabilmente, continuerebbero ad utilizzare i mezzi ma senza pagare biglietto». Gli alloggiC'è anche da considerare l'aspetto legato agli appartamenti che le realtà che si occupano di accoglienza affittano da privati. Un'altra voce importante delle ricadute economiche sul territorio. Attualmente a Trieste l'Ics ha in locazione 150 appartamenti sparsi un po' in tutta la città. Un'eventuale stretta sui budget a disposizione dell'ospitalità non potrà non tradursi in una riduzione del "parco alloggi", con conseguenze sospensione dei contratti già stipulati con decine di padroni di casa.le prime avvisaglieCome detto alcuni tagli al personale, seppur minimi per ora, a Trieste sono già stati avviati. Alcuni operatori che avevano un contatto in scadenza, non l'hanno visto rinnovare. Uno scenario già realizzatosi in maniera chiara in un'altra realtà del Friuli Venezia Giulia: quella di Udine, una delle prime città italiane dove un bando prefettizio "ponte" della durata di quattro mesi ha già recepito i nuovi parametri imposti dal decreto Salvini. il capoluogo friulanoA Udine le persone assunte dalle diverse realtà che si occupano di accoglienza sono un'ottantina.A queste si aggiunge un piccolo di esercito di altre decine di persone attive nell'indotto. «Non percepiamo più 32 euro bensì 21,35 euro al giorno, - testimonia Giovanni Tonutti, presidente dell'associazione Oikos che fino a poco tempo fa ospitava 55 richiedenti asilo e oggi ne accoglie 47 all'interno di dieci appartamenti -. Ho dovuto mandare a casa cinque degli otto operatori messi sotto contratto fino all'anno scorso, avviare tagli alla formazione e alla fornitura dei pasti, e non rinnovare nemmeno gli abbonamenti al trasposto pubblico locale.Nonostante questi tagli, ci andiamo comunque a rimettere». Tonutti anticipa che, alla fine dei quattro mesi di bando, la Oikos farà le sue valutazioni. E non è nemmeno escluso che si sfili dalla partita dell'accoglienza, diventata appunto insostenibile dal punto di vista finanziario.il quadro a goriziaPreoccupazione viene espressa anche da Giovanni Barbera, coordinatore delle strutture Ics nella provincia di Gorizia, che accolgono 44 persone con sei operatori. «Precludendo certi tipi di percorsi, le opportunità di integrazione finiranno per estinguersi, - valuta -. Non si possono parcheggiare delle persone e lasciarle nel limbo, senza nemmeno attività di formazione, fino a quando non si ottiene lo status di asilo politico».Restando a Gorizia, Giovanna Corbatto, presidente della cooperativa Murice che con sei operatori accoglie 42 persone, rileva un altro rischio. «Noi dovremo tagliare anche il servizio di psicologo che offriamo per trattare in autonomia certe fragilità, - spiega - e senza registrazione all'anagrafe i richiedenti asilo non avranno più un medico di base. Questa situazione ricadrà su un sistema sanitario già in sofferenza».

la vicenda

Le ricadute Fvg della "dieta" voluta da Roma Dall'alto a sinistra una mediatrice culturale al lavoro in un centro d'accoglienza per migranti, alcuni richiedenti asilo chiacchierano su una panchina nel centro di Gorzia e il presidente del Consorzio italiano di solidarietà Gianfranco Schiavone. Ics e Caritas potrebbero essere costretti a tagliare posti di lavoro per effetto delle riduzioni ai fondi statali per l'accoglienza.

IL GOVERNATORE

Ma Fedriga boccia il modello diffuso e rilancia sui Cpr TRIESTE. «Il superamento del modello di accoglienza diffusa è garanzia in primo luogo della sicurezza dei cittadini del Friuli Venezia Giulia, ma rappresenta al contempo fonte di tutela per quelle persone che hanno realmente diritto a essere ospitate dalla nostra comunità». Lo ha dichiarato il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga, intervenendo ieri alla Scuola di Politica ed Etica sociale dell'Arcidiocesi di Udine. «Aprire le porte in modo indiscriminato ai migranti - ha evidenziato Fedriga - è una soluzione sbagliata, tanto sotto il profilo politico quanto etico, perché presta il fianco a chi specula sul traffico di esseri umani e abbandona al proprio destino chi invece quel viaggio non è nemmeno riuscito a intraprenderlo». Fedriga ha quindi sottolineato l'importanza di «guardare avanti, a soluzioni diverse e più efficaci anche nel lungo periodo, quali la creazione di centri di protezione sulle rotte migratorie e il potenziamento degli investimenti nei Paesi di origine per favorire lo sviluppo e l'occupazione. Le poche risorse a disposizione - ha concluso Fedriga - devono essere utilizzate nel modo migliore, salvaguardando chi quei soldi li mette a disposizione, cioè la nostra comunità, e chi ne ha reale necessità. «L'Europa, anziché discutere sulla ripartizione delle quote, utilizzi la propria forza politica ed economica per far rispettare gli accordi bilaterali ai Paesi di origine che li hanno sottoscritti», è stato l'appello all'Ue lanciato dal governatore. «A dispetto di un accordo bilaterale in essere - ha spiegato Fedriga - il Pakistan non riconosce i propri cittadini e ne impedisce il rimpatrio, lasciandoli così in carico al Paese di arrivo». Di qui, la richiesta all'Europa di «farsi parte attiva per sostenere le realtà che, come il Fvg, si trovano a mantenere persone raggiunte da decreti di espulsione ma, di fatto, non allontanabili».

14 GENNAIO 2019

I commenti degli esponenti del Friuli Venezia Giulia. Patuanelli: ora finalmente la pena da scontare

Fedriga: grazie alla polizia e a Salvini Serracchiani: anche il Fvg vuole giustizia LE REAZIONI Un plauso alle forze dell'ordine per il risultato raggiunto e un pensiero alla giustizia che i familiari delle vittime potranno avere. Sono diversi gli esponenti politici del Friuli Venezia Giulia che commentano la cattura di Cesare Battisti. «Giustizia è stata fatta: oggi finalmente si chiude la lunga latitanza di un criminale le cui azioni hanno macchiato di sangue innocente anche il Friuli Venezia Giulia», sono le parole del governatore Massimiliano Fedriga: «Un risultato importante che offre alle vittime e ai loro familiari un risarcimento morale doveroso, sebbene mai sufficiente». Il presidente della Regione ringrazia «di cuore tutte le forze di polizia che hanno condotto con successo l'operazione e in particolare il vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Interno Matteo Salvini per la determinazione e la fermezza dimostrate in questa complessa partita internazionale».Debora Serracchiani cita l'omicidio di Udine annotando come «abbiamo chiesto e atteso per anni la cattura del criminale che ha ancora sulle mani il sangue del maresciallo Santoro. Vogliamo credere che sia venuta l'ora della giustizia, dopo che per 40 anni Battisti ha esibito il suo sogghigno e il suo disprezzo impunito davanti alle famiglie delle vittime». L'ex governatrice del Fvg, oggi deputata del Pd, ricordando di avere scritto lo scorso marzo al presidente del Brasile Michel Temer affinché si esprimesse per l'estradizione dell'ex terrorista dei Pac, ribadisce «il grande rilievo esemplare che, una volta incarcerato, assumerà il caso Battisti, per rispetto verso i familiari delle vittime e quale giusta chiusura di un caso giudiziario che ci teneva legati all'epoca della lotta armata».Anche il M5S si fa sentire, con una nota firmata dal capogruppo al Senato, il triestino Stefano Patuanelli, assieme al capogruppo alla Camera Francesco D'Uva: «L'arresto di Battisti mette fine a 25 anni di rabbia e sofferenze. Un plauso agli investigatori italiani e all'efficienza della cooperazione internazionale di polizia». Ora - rimarcano i pentastellati «sia assicurato alla giustizia italiana per scontare finalmente la sua pena. Siamo orgogliosi del lavoro di squadra e soprattutto della perseveranza di tutto il ministero della Giustizia (retto dal grillino Alfonso Bonafede, ndr) che non ha mai mollato di un millimetro sul caso Battisti, tenendo costanti contatti negli ultimi mesi con il Brasile». Un altro triestino, il deputato Pd vicepresidente della Camera Ettore Rosato, affida a Twitter il commento su un «condannato per 4 omicidi» che «finalmente sconterà la sua pena» sottolineando come «lo si deve alle famiglie delle vittime» e facendo i «complimenti alle forze dell'ordine e investigative.E intanto il presidente del Consiglio regionale Fvg Piero Mauro Zanin parla dell'arresto come di «un atto che rende giustizia alle vittime e ai loro familiari e infonde una rinnovata fiducia nelle istituzioni e nella legalità». Una notizia «significativa per il Paese e la comunità regionale - prosegue Zanin citando l'uccisione di Santoro - che, negli anni di piombo, fu duramente scossa da episodi cruenti, dettati da una violenza politica che puntava a distruggere e a destabilizzare».

In Fvg azzurri a quota 2.300 iscritti, Carroccio a 1.800 con un boom fra i soci sostenitori. Progetto Fvg dice 1.000 La sfida delle tessere nel centrodestra: Fi davanti alla Lega

Marco Ballico TRIESTE. Sandra Savino, la coordinatrice regionale di Forza Italia, si coccola gli obiettivi centrati nella campagna associativa. Massimiliano Panizzut non è da meno. La Lega ha aumentato militanti e sostenitori e pazienza se gli azzurri, di tessere, ne hanno di più. «Speriamo siano vere anche le loro», sorride il deputato pordenonese. I voti, in primavera, peseranno molto di più, ma i due principali partiti del centrodestra non hanno sottovalutato la partita del tesseramento. Al punto che Silvio Berlusconi ha nuovamente posticipato i termini. Dal 30 novembre si è passati prima al 10 gennaio e ora al 31 gennaio. Contestualmente il leader azzurro, con la consueta formula della lettera agli «amici», ha annunciato la mobilitazione del 26 gennaio, occasione per contestare in tutte le piazze la manovra del governo giallo-verde, con tanto di gilet azzurri, «che a differenza di quelli gialli - scrive il leader azzurro - sono dalle parti di chi lavora, di chi crea lavoro, di chi dopo una vita di lavoro riceve dallo Stato la pensione che si è guadagnato». FORZA ITALIAC'è dunque ancora qualche settimana per consolidare le cifre. A sentire i referenti territoriali, Fi avrebbe sin qui messo insieme in regione circa 2.300 tessere, superando l'obiettivo fissato da Roma (2.150 in totale tra le 800 di Udine, le 600 di Pordenone, le 500 di Trieste e 250 di Gorizia). Numeri precisi però non ce ne sono: Savino informa infatti che vanno ancora conteggiate le iscrizioni online. A Trieste, in ogni caso, si è già passati oltre quota 700, «un risultato sicuramente positivo - sottolinea la coordinatrice -. Lo slittamento della scadenza consentirà di aumentare la platea». Stessa linea anche a Udine, dove il coordinatore provinciale Ferruccio Anzit garantisce il superamento delle 800 tessere. A Gorizia, invece, Rodolfo Ziberna denuncia qualche intoppo informatico. «A noi risultano 150-160 iscritti - spiega il sindaco di Gorizia, che sta dividendo con Giuseppe Nicoli la gestione delle operazioni -, ma in più di un'occasione l'atto non risulta. A Monfalcone, per esempio, abbiamo fatto 30 iscritti, ma il sistema ne segnala 6. Il caso ha riguardato pure il mio assessore Silvana Romano e il capogruppo Fabio Gentile, e io stesso ho dovuto procedere per due volte. La prima volta ho speso 300 euro, la seconda è bastata una banconota da 10». Il riferimento è alla decisione del movimento di introdurre la quota unica di 10 euro per tutti i "volontari" (in precedenza chiamati a versare 100 euro), eletti compresi, eccezion fatta per parlamentari nazionali ed europei e consiglieri regionali, che dovranno continuare a versare 1.000 euro. «Siamo sotto le 250 tessere chieste da Roma? Non dobbiamo vendere enciclopedie, i numeri torneranno», garantisce Ziberna. A inizio febbraio Fi farà le somme. Il più possibile in fretta perché si tratta poi di far decollare i congressi. Bruno Marini, il forzista triestino che avrebbe voluto quello regionale, è già preoccupato: «Ci sarà poco tempo tra fine tesseramento ed elezioni, non vorrei che saltassero i congressi provinciali, necessari come il pane. Sarebbe la conferma di un partito in declino irreversibile». Ma Savino non ha dubbi: «Ho parlato con il responsabile dell'organizzazione Gregorio Fontana, i congressi si faranno prima del voto. Per quel che mi riguarda sia i provinciali che i comunali». IL CARROCCIOIn casa Lega tutto sembra più definito. I militanti, con tesseramenti chiusi a giugno, erano passati da 600 a 700, ma l'exploit riguarda i sostenitori: quasi quadruplicati a fine anno da 300 a 1.100. «E ho ancora un pacco di schede da caricare», dice Panizzut ricordando le due tipologie di iscrizione al movimento. Per diventare socio sostenitore leghista è sufficiente presentarsi a una qualsiasi sezione del territorio e versare 10 euro, mentre per la "promozione" a militante è necessario aver svolto un periodo di militanza attiva e volontaria della durata di non meno di dodici mesi. A quel punto, tirando fuori dalla tasca 40 euro, è possibile presentare domanda alla sezione comunale in cui si è iscritti. Fi batte Lega nelle tessere? «Loro non hanno la differenza tra militanti e sostenitori, ma sono comunque contento che un alleato abbia i suoi soci - commenta il deputato salviniano -. Di certo le nostre tessere sono certificate. E i nostri voti, l'anno scorso, molti di più». PROGETTO FVGE nel discorso, nell'orbita del centrodestra, ecco entrare anche il bilancio di Progetto Fvg: «Abbiamo un migliaio di iscritti - spiega Ferruccio Saro, coordinatore del movimento civico - ma il tesseramento non è ancora chiuso. Puntiamo a persone di qualità, non a fare massa: nel nostro movimento non ci sono questioni di correnti ma abbiamo bisogno di ricevere contributi di idee. I partiti di tessere non ci interessano - conclude Saro - e lasciano il tempo che trovano».

DALLE PRESE DI POSIZIONE AI PRIMI RISULTATI DI CIRCOLO

Il Pd viaggia verso il congresso nazionale E gli ex renziani convergono su Martina TRIESTE. Cristiano Shaurli, segretario di un Pd che in regione ha trovato la convergenza su un solo candidato, non si esprimerà in vista del congresso nazionale. E così faranno pure i segretari provinciali di Gorizia Diego Moretti e di Pordenone Giorgio Zanin, pure loro scelte unitarie. Il resto del partito, invece, prende posizione. Nella maggior parte dei casi per Maurizio Martina, ma con qualche big, a partire da Francesco Russo, pronto a sostenere Nicola Zingaretti, il favorito secondo i sondaggi e già con buoni risultati nelle prime convenzioni di circolo: ha prevalso a Cividale con 20 voti (13 per Martina, 8 per Roberto Giachetti), a San Vito al Tagliamento con 65 (19 Martina, 8 Giachetti, 1 Maria Saladino), a Spilimbergo con 33 (19 Martina, 2 Giachetti), mentre a Roveredo in Piano Giachetti (9) ha superato Martina (8) e Zingaretti (2). Il 3 marzo andranno alla conta delle primarie, con Martina, Zingaretti, Giachetti e Saladino, anche Francesco Boccia e Dario Corallo. Martina, l'uscente, è riuscito a unire le anime popolari e di sinistra. Di fatto a ricucirle dopo l'era Renzi. Coordinatore in regione della sua mozione è Salvatore Spitaleri, l'ex segretario regionale che ha chiuso il 2018 con circa 4.800 tesseramenti, di cui un migliaio a Gorizia e quasi 800 a Trieste, in linea con i numeri del 2017, quando il partito si preparava al congresso nazionale con in campo Matteo Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano. I renziani della prima o dell'ultima ora guardano oggi a Martina. A Trieste sia Ettore Rosato che Debora Serracchiani, deputati eletti nella circoscrizione del capoluogo regionale, non hanno avuto dubbi. E così anche l'ex assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti e l'ispiratore della riforma sanitaria del centrosinistra Franco Rotelli. In campo per Martina pure la segretaria provinciale Laura Famulari e l'ex vicepresidente della Provincia Walter Godina. A Gorizia ci sono poi l'ex segretaria provinciale Silvia Caruso, l'ex assessore regionale all'Ambiente Sara Vito e Franco Brussa, nome storico del Pd locale. Mentre a Udine hanno firmato per Martina l'ex deputato Paolo Coppola, il riconfermato segretario provinciale Roberto Pascolat, il sindaco di Paluzza Massimo Mentil e a Pordenone l'ex consigliere regionale Renzo Liva e la vicesegretaria provinciale Annamaria Poggioli. Quanto ai consiglieri regionali, schierati per Martina sono il capogruppo Sergio Bolzonello, Franco Iacop e potrebbe esserci anche Enzo Marsilio. Chiara Da Giau deve ancora esprimersi, come il sindaco di Palmanova Francesco Martines. L'ex assessore Mariagrazia Santoro, membro della commissione congressuale come Renzo Travanut, non è invece in campagna elettorale. Il resto del gruppo consiliare è con Zingaretti. A partire dal coordinatore della mozione Francesco Russo (a Trieste assieme a Caterina Conti, a Gorizia con Riccardo Cattarini), che ha organizzato lo scorso ottobre al Savoia un incontro molto partecipato con il presidente della Regione Lazio. Curiosamente dalla stessa parte ci sono Roberto Cosolini, sfidato da Russo alle primarie per le comunali 2016, e qualche grande vecchio, da Giorgio Rossetti a Tarcisio Barbo, in rotta di collisione, nelle recenti vicende congressuali triestine, con il consigliere dem più votato. Con Zingaretti anche l'ex segretario provinciale di Gorizia Marco Rossi, il sindaco di San Vito al Tagliamento Antonio Di Bisceglie e i consiglieri comunali di Udine Vincenzo Martines, segretario cittadino, e Cinzia Del Torre. Resta la mozione Giachetti, il candidato che cercherà di fare il terzo incomodo e che in Fvg ha come coordinatore l'ex segretaria regionale Antonella Grim.

La revisione degli enti locali resta un tema caldo e potrebbe rappresentare un banco di prova per le alleanze post elezioni europee in caso di tracollo dei moderati. Ammiccamenti trasversali

Le grandi manovre dei centristi al via con la Città metropolitana il retroscenaDiego D'AmelioLa Città metropolitana di Trieste è una suggestione che non finisce mai. Aveva tenuto banco nella scorsa legislatura, mentre il centrosinistra era alle prese con la faticosa applicazione della riforma degli enti locali. Riemerge come un fiume carsico in questi giorni, mentre il centrodestra elabora la reintroduzione delle Province "speciali". E stavolta l'argomento crea pure inedite sponde trasversali, mettendo in dialogo componenti centriste che oggi stanno su fronti opposti ma che si parlano sottotraccia, qualora le elezioni europee diano vita a uno smottamento del sistema capace di ridisegnare gli scenari. A riportare il tema al centro del dibattito è stato il "patto della tartara" stretto fra il sindaco di Trieste e il coordinatore di Progetto Fvg Ferruccio Saro. Un accordo fra due big della politica regionale, che porterà la civica friulana e quella triestina a un patto federativo, come già avvenuto con Autonomia responsabile di Renzo Tondo. A pranzo si è parlato appunto anche di Città metropolitana e l'accoppiata ha convenuto che il progetto va rilanciato ed esteso all'Isontino. La reazione dei sindaci di Monfalcone e Gorizia non si è fatta attendere. Per la leghista Anna Cisint, «come per il porto, Monfalcone non potrà accettare logiche di sottomissione». No fermo pure per il berlusconiano Rodolfo Ziberna, che parla di «prova di forza nell'ambito del centrodestra, una sfida a chi conta di più nella coalizione. Io sono pronto anche a cadere ma mai tradirò l'Isontino». Uno stop immediato, tutto interno al centrodestra, da parte di due amministratori che hanno mal digerito l'unificazione delle Aziende sanitarie e che ora non vogliono sentir parlare di una sola area vasta. Dipiazza e Saro sono subito corsi ai ripari. Il primo diffondendo un video in cui assicura che l'intenzione è di limitare la Città metropolitana alla sola provincia di Trieste; il secondo incontrando di persona Ziberna per spiegargli che non ci sono tentazioni annessionistiche ma anche che bisogna trovare forme di collaborazione fra territori che promettano un futuro per l'Isontino. Al di là delle rassicurazioni esteriori, Dipiazza e Saro sono però convinti che la soluzione ideale sia l'area vasta della Venezia Giulia ma sanno che al progetto manca sufficiente copertura politica, tanto più che la stessa maggioranza comunale goriziana presenterà una mozione «per garantire l'identità isontina nelle future riforme istituzionali regionali». Il punto è condiviso pure dal Pd goriziano, se il segretario Diego Moretti denuncia «la svendita della sanità isontina da parte del centrodestra. Noi restiamo contrari a qualsiasi ipotesi di riordino istituzionale che preveda l'annessione dell'Isontino con la sua conseguente scomparsa». Le fratture corrono in questo caso anche fra i dem, se il triestino Francesco Russo è un grande fautore della Città metropolitana, per cui ha raccolto cinquemila firme, anche a costo di ricevere gli strali dell'allora presidente Debora Serracchiani. Ma a Trieste l'argomento ha vigore perché solletica pulsioni autonomiste e di grandeur, tanto da essere stato alla fine inserito pure nel programma di Roberto Cosolini per le ultime comunali. Russo nota come «la logistica dice che siamo un'area unita e a firmare la mia petizione fu lo stesso Dipiazza, oltre a esponenti del mondo economico e delle professioni. Sono felice che Dipiazza rilanci il tema». E su Gorizia: «Da soli non si va da nessuna parte. Se non ci sono alternative, Trieste parta da sola e dimostri la positività di un'esperienza che sarà di sviluppo economico, semplificazione amministrativa e migliori servizi. Alla fine le cose saranno più forti delle obiezioni dei gruppi dirigenti». Frizioni nel centrodestra e frizioni nel Pd, ma qui cominciano a crearsi quelle intese trasversali che partono dalla considerazione che Confindustria, Camera di commercio e Cisl abbiano già scelto una strutturazione bicipite Trieste-Gorizia, per non parlare dell'Autorità portuale che abbraccia Trieste e Monfalcone. Dipiazza, Saro e Russo sono d'accordo sull'obiettivo. E se il dem è stato l'unico dei suoi ad assistere alla presentazione triestina di Progetto Fvg, il suo fedelissimo Marco Toncelli si è presentato al presidio organizzato dai moderati del centrodestra per protestare contro il blitz anticlochard del leghista Paolo Polidori. Russo e Dipiazza non fanno poi mistero di intendersi bene su Porto vecchio ed Esof 2020, mentre i ben informati raccontano di più di vari contatti fra l'ex senatore e Saro, il cui accordo con Dipiazza non dispiace anche a una parte di Forza Italia. Le cose al centro cominciano insomma a muoversi: bradisismi che per i moderati del centrodestra vanno letti oggi come il tentativo di arginare la Lega, ma che potrebbero diventare qualcosa di più, qualora le europee sancissero la crisi irreversibile di Pd e Fi. Ne potrebbe derivare uno smottamento politico e chissà che la Città metropolitana non diventi il banco di prova di un'alleanza del tutto nuova in vista delle comunali triestine 2021.

IL GAZZETTINO IN ALLEGATO