Università Degli Studi Del Molise
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Università degli Studi del Molise Dottorato di Ricerca in “Storia della società italiana” (XXV ciclo) Dipartimento Scientifico Disciplinare SUSS CAMILLA RAVERA E MARGHERITA SARFATTI: DUE PARABOLE UMANE A CONFRONTO Candidata Relatore/Tutor Dott.ssa Benedetta Mancino Prof. Giovanni Cerchia Coordinatore del Dottorato Prof. Giovanni Cerchia 1 INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO I: DONNE NELL’EPOCA GIOLITTIANA 1.1 Un nuovo “stivale” per il Re. Il Regno d’Italia tra Otto e Novecento: problematiche e condizioni di vita nel periodo post-unitario 11 1.2 … e le donne? 13 1.3 Camilla Ravera e la sua lunga strada verso corso Siccardi 19 1.4 Margherita Sarfatti: un’ “analfabeta” raffinatamente colta 30 CAPITOLO II: L’ITALIA DALLA PADELLA (DELLA GUERRA) ALLA BRACE (DELLA DITTATURA) 2.1 Dallo scoppio della “polveriera” europea alla costruzione del Regime 52 2.2 La mobilitazione femminile: dalla Grande guerra al Fascismo 61 2.3 La “svolta” comunista di Camilla Ravera 67 2.4 Margherita Sarfatti e l’addio al socialismo 76 CAPITOLO III: GLI ANNI DEL REGIME: DAL CONSOLIDAMENTO AI PREPARATIVI BELLICI 3.1 Benito Mussolini conduce l’Italia 90 3.2 Il contributo delle donne durante il Ventennio 98 3.3 I duri anni del carcere e del confino di Camilla Ravera 107 3.4 Margherita Sarfatti: da “musa” a vittima del Fascismo 118 BIBLIOGRAFIA 129 2 INTRODUZIONE La tesi si propone di analizzare i diversi elementi che hanno generato ed agevolato l’emancipazione della condizione femminile in età contemporanea, muovendo dall’età giolittiana ed attraversando quasi l’intero Ventennio, fino ai preparativi del secondo conflitto mondiale. Lo studio inizia da una prospettiva generale per poi focalizzare l’attenzione sul vissuto di Margherita Sarfatti e Camilla Ravera. Attraverso le due parabole individuali, cioè, lo scopo è quello di evidenziare il superamento dell’ormai passata – parafrasando Victoria de Grazia – “eredità liberale”1, mediante un’attiva partecipazione alla vita politico-sociale, nonché artistico-culturale della Nazione – anche se non sempre ben accolta dall’uomo “nuovo”. Con questa ipotesi di lavoro mi sono avvalsa delle fonti reperite presso i seguenti fondi documentali: l’Archivio Centrale dello Stato, l’archivio dell’Istituto Gramsci e l’Archivio del Novecento presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, MART, con sede a Rovereto. Come progettato, grazie alle carte compulsate in questi luoghi mi è stato possibile seguire una sorta di binario parallelo, una specie di confronto permanente tra le parabole umane, culturali e politiche della “piccola grande signora del PCI”2 – per dirla con le parole di Nora Villa – e dell’ “altra donna del Duce”3 – come rimarcavano Cannistraro e Sullivan – intrecciando la loro vicenda con quella di osservatori esterni. Questo è stato utile per la ricostruzione di alcune vicende e per effettuare, laddove era fattibile, un confronto al fine di avere una visione il più possibile obiettiva. Mi sono mossa dentro uno spazio temporale che va dalla fine dell’Ottocento ai preparativi della seconda guerra mondiale, passando per le vicende succedutesi all’interno della mobilitazione femminile nel suo impatto con la società di massa e le guerre totali. La Sarfatti e la Ravera muovono entrambe da convinzioni socialiste. La prima, la “vergine rossa”, le professava fin dagli anni veneziani; la seconda, la riservata piemontese le scopriva invece nella “maturità”. Come è noto, hanno poi preso strade profondamente diverse: Margherita accanto a Benito Mussolini e Camilla nella milizia tra le fila del Partito Comunista d’Italia. 1 Cfr. Victoria de Grazia, “Le donne nel regime fascista”, Venezia, Marsilio, 2007, p. 39. 2 Cfr. Nora Villa, “La piccola grande signora del PCI”, Milano, Rizzoli, 1983. 3 Cfr. Philip Cannistraro, Brian Sullivan, “L’altra donna del Duce”, Milano, Mondadori, 1993 3 Pertanto, ho cercato di ricostruire alcune dinamiche partendo da un vissuto privato, dandone una percezione anche personale. In altre parole, ciò che ricostruisco è il corso degli eventi in relazione ai personaggi che li hanno vissuti – e alle relative impressioni, sensazioni. Proprio per questo, ovviamente, la narrazione deve tener conto di un limite intrinseco, poiché la fonte scritta, spesso, non riporta un fatto come è realmente accaduto, ma come l’autore del documento lo percepisce o come lo vuole percepire. In quanto tale, esso è corredato da una distorsione della verità, inevitabile e più o meno intenzionale. Ecco perché nel visionare le carte di cui sono venuta in possesso ho cercato di “guardare”, contemporaneamente, sia dall’esterno che dall’interno, intersecando costantemente i piani e i punti di vista. Per assolvere a questo compito, in merito all’ex prima donna del Regime, sono stati utilizzati dei documenti dell’ACS – presenti in ridotta quantità perché, appartenendo lei alla fazione “giusta”, non aveva a suo “carico”, come nel caso dei dissidenti, nessun faldone di polizia zeppo di scartoffie bensì delle cartelline dalle modeste dimensioni – ma soprattutto le carte del MART. La documentazione dell’archivio trentino ha presentato degli aspetti molto interessanti, principalmente per i “Quaderni”, una sotto-serie della terza sezione. Si tratta di una via di mezzo tra un diario ed un taccuino su cui la Sarfatti scriveva di svariati argomenti, non solo in lingua italiana, ma anche in inglese e francese. In essi, inoltre, sono meticolosamente conservati ritagli di articoli di giornali e riviste riguardanti argomenti che l’avevano colpita, non mancando di commentarli con critiche aspre e pungenti o, talvolta, con adulatorie frasi di approvazione – quasi come se quegli articoli avessero bisogno di un suo giudizio. Ma i Quaderni sono i depositari anche di commenti inerenti la situazione socio- politica del suo tempo; si tratta di frasi riportate accanto a ritagli di articoli oppure delle opinioni ben argomentate. Espressioni della stessa natura sono state rintracciate anche nella Corrispondenza. La prima serie del fondo è costituita dall’insieme di lettere di carattere personale, professionale e familiare che Margherita ha ricevuto nel corso della vita e ha accuratamente custodito – e dopo di lei le sue nipoti. Le epistole, divise per contenuto, mostrano le diverse sfaccettature del personaggio in esame. Margherita, infatti, intratteneva un rapporto epistolare con varie personalità di spicco dell’epoca: da Panzini 4 a D’Annunzio, da Sironi a Giovanni Gentile, da Acerbo a Dino Alfieri, Ada Negri, ecc. dimostrando tutta la versatilità intellettuale di cui era dotata. Di contro c’era Camilla Ravera. Per ricostruire il suo vissuto ho effettuato un duplice percorso: uno interno, basato cioè su fonti quasi dirette perché appartenute alla protagonista e comunque tramandate dalla sua frazione politica; e l’altro esterno, basato cioè su fonti custodite dagli uffici del Regime e pertanto deformi, in alcune informazioni – nel senso che tutto era guardato secondo l’ottica fascista. Quest’ultimo gruppo è formato dall’insieme delle carte che ho reperito a Roma all’Archivio Centrale dello Stato. Qui sono stati diversi i fondi consultati: la serie del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato – zeppa di fogli sottilissimi su cui venivano riportate le varie condanne della “pericolosa comunista latitante” – il Casellario Politico Centrale, l’Ufficio Confino Politico, nonché il Ministero di Grazia e Giustizia per la sezione dei Detenuti Politici. Per quel che ha riguardato, invece, il percorso “interno”, con questa espressione mi riferisco al fatto che la documentazione è appartenuta direttamente alla Ravera o comunque non è soggetta a quel pregiudizio di cui possono risentire le carte custodite presso l’ACS. Si tratta, insomma, di ricerche condotte sempre a Roma, ma presso il “Gramsci”. Presso questa struttura ho compulsato il Fondo Memorie e Testimonianze, relativamente al fascicolo personale di Camilla Ravera, reperendo varie carte riguardanti perlopiù il periodo degli anni ’20 e ’30 che narrano il periodo della segreteria clandestina, dell’arresto nel 1930 e qualche altra vicenda raccontata da lei stessa o da qualche suo “compagno”. Ad ogni modo, al termine di questo lavoro ciò che si auspica è che si riesca – dall’intreccio delle notizie reperite – ad “impreziosire” questa pagina della storia italiana con qualche elemento di inedito interesse. In conclusione, volendo tirare un primo bilancio sintetico della ricerca, si potrebbe dire che appare evidente come Camilla Ravera e Margherita Sarfatti partecipassero allo stesso clima politico, culturale e civile. Pur provenendo da ambienti familiari assolutamente diversi, sembravano professare la stessa fede politica. Difatti, se dai Ravera ci si aspettava un certo interessamento nei confronti delle problematiche sociali, lo stesso non poteva dirsi per i Grassini o i Sarfatti. Non che l’attaccamento alle vicissitudini del volgo potesse “scandalizzare”, ma sicuramente l’insegnamento e l’educazione di “base” – che partiva principalmente dalla famiglia –consentiva un vivo coinvolgimento per alcune tematiche sociali più alla piemontese che alla veneta. 5 Tra le nostre protagoniste, dunque, c’erano due situazioni di partenza diverse, tanto da potersi permettere due percorsi didattico-culturali assai disomogenei. Margherita, dal canto suo, aveva al proprio “servizio” i migliori istitutori sulla “piazza”, mentre Camilla – alessandrina di nascita ma torinese d’adozione – portava avanti il suo iter nella scuola pubblica, senza che ciò pregiudicasse la qualità del bagaglio culturale avuto in “dotazione”. Queste differenti