Addio a Lucia Bosè, diva d’altri tempi

L’epidemia mondiale di Coronavirus, ci porta via una delle dive più rappresentative e più leggendarie del nostro glorioso cinema, ovvero Lucia Bose’. Lei, che era stata scoperta, giovanissima, dal maestro Luchino Visconti, quando andando a comprare le paste nella pasticceria dove lavorava come commessa, le disse “Lei ha un viso fotogenico, farà del cinema”. Lucia aveva sì e no 16 anni: era la Milano dell’immediato dopoguerra, e proveniva da una famiglia semplice dove si parlava esclusivamente il dialetto milanese e nessuno aveva grilli per il capo. La vita di Lucia cambia quando un giovane ignoto fotografo, invia una sua foto alla rivista “L’Europeo” senza nemmeno dirglielo. La rivista ha lanciato un concorso, Miss Sorriso 1947. Da quella foto parte però l’offerta di andare alla seconda edizione di , che allora è un evento per il quale il Paese si ferma. Lucia va a Stresa con la mamma Francesca, nel settembre del ’47, e contro ogni pronostico (suo, in primis) vince. E’ un podio pazzesco: seconda si classifica Gianna Maria Canale, terza Gina Lollobrigida, mentre una quarta concorrente – tale – viene squalificata perché già sposata. L u c i a B o s è a l l ’ e p o c a d e l t i t o l o d i M i s s I t a l i a . In giuria, a Miss Italia, c’è Edoardo Visconti di Modrone, parente di Luchino: un segno del destino. Lui si innamora follemente di lei e la invita ad andare con lui a Roma, dove ritroverà Luchino; ma è un uomo sposato, e a un certo punto la diciottenne Lucia deve scegliere fra una vita da “amante segreta” e una possibile carriera nel cinema. Sceglie la seconda, e il suo esordio è incredibilmente rocambolesco. Visconti la vorrebbe per un film che sta preparando ma non farà, “Cronache di poveri amanti”; Giuseppe De Santis è indeciso fra lei e per “Riso amaro”, e alla fine sceglie la seconda. Dopo l’immenso successo del film sulle “mondine” De Santis prepara “Non c’è pace tra gli ulivi” (1950) e vorrebbe di nuovo la Mangano, che però ha appena sposato Dino De Laurentiis ed è rimasta incinta; a quel punto Visconti dice a De Santis “perché non prendi la milanese?”, come la chiamano tutti nel giro. “Non c’è pace tra gli ulivi” è un esordio folgorante, seguito quasi subito dai primi due film di Michelangelo Antonioni, “Cronaca di un amore” (1950) e “La signora senza camelie” (1953), dove Lucia – pur giovanissima, e di estrazione proletaria – incarna meravigliosamente due donne borghesi molto più grandi di lei.

L u c i a B o s è e W a l t e r Chiari nel 1954.

Torna poi a lavorare con De Santis, interpretando “Roma, ore 11” (1952), un film corale tutto al femminile, tratto da un fatto di cronaca molto ben rielaborato dal punto di vista narrativo, con un’unità di luogo che prima attira e poi disperde miriadi di singole storie. Uno dei capolavori del “tardo neorealismo”, per uno sfaccettato ritratto della donna italiana anni ’50, con una congrua riflessione sui mass-media invadenti e manipolatori. Un anomalo film-inchiesta in cui spicca la straordinaria interpretazione drammatica di Lucia Bosè, che a soli 21 anni dimostra una sicurezza di fronte alla macchina da presa, davvero da attrice matura. Lavorerà anche nella commedia, ad esempio in “Parigi è sempre Parigi” (1951), storia di un gruppo di italiani in vacanza a Parigi, per seguire un’amichevole della nazionale di calcio. Su questo set conosce un giovanissimo e soprattutto il maestro Aldo Fabrizi.

Seguirà una carriera discontinua, di grandi picchi e lunghi silenzi. Leggendario resta il suo legame d’amore con Walter Chiari. Il fascino seducente di Walter Chiari non è di certo un mistero. La loro storia d’amore si sviluppa alcuni anni prima che la donna sposasse il torero Luis Miguel Dominguin. Sono tante le fotografie che li ritraggono insieme, una coppia che farà sognare gli italiani e che varrà ad entrambi il titolo degli eterni fidanzati del cinema. Il loro legame durò circa due anni, con anche alcune collaborazioni cinematografiche in comune: “Era lei che lo voleva” e “Accadde al commissariato”, per citarne alcune. Lucia diventerà vicina di casa dell’attore e i due convivranno così a Milano, come sottolinea un articolo di Oggi del ’54. Alla fine di quell’anno però, la Bosè conoscerà e sposerà Luis Miguel Dominguin, dopo essere partita per la Spagna per lavorare con Bardem contro il parere del fidanzato Chiari e della sua famiglia. All’epoca il torero era fidanzato con , che lascerà per l’attrice. La prima invece si fidanzerà con Chiari, in uno strano scambio di partner. “La Bosè è stata la donna della sua vita, lo capisco. Bellezza rara, faceva impazzire anche me”, dirà diversi anni più tardi a Diva e Donna Simone Annicchiarico, il figlio di Chiari. L u c i a B o s è c o n i l t o r e r o D o m i n g u i n .

Poi venne il matrimonio con Luis Dominguin che lei, ancora oggi, chiamava semplicemente “il torero”: un matrimonio che in Spagna la trasforma in una sorta di “first lady”, perché è difficilmente immaginabile la popolarità di cui gode in quel paese il toreador numero 1; ma che la mette anche in situazioni imbarazzanti, dalle obbligate frequentazioni con il “caudillo” Franco e il gotha della reazionaria chiesa ispanica, fino alla progressiva rinuncia al cinema che è poco degno della “donna del torero”. Ciò nonostante, dopo la separazione, avvenuta in seguito ai continui tradimenti del marito, torna a lavorare per il cinema “impegnato” con i fratelli Taviani, con Fellini (nel “Satyricon”), con la Cavani, con Buñuel, con Bolognini, con la Duras, con Ponzi e con tanti altri. Ma se Visconti, fu lo scopritore del talento in erba di Lucia Bosè, il suo mentore fu Michelangelo Antonioni, che la conobbe in seguito al suo debutto sul grande schermo grazie al regista Giuseppe De Santis. https://youtu.be/w_ZA_3uv4lM

Sarà un pranzo con Luchino Visconti, a permettere che quella ragazza dalla bellezza significativa entri in contatto con il terzo regista più importante per la sua vita. All’epoca Antonioni è alla ricerca di un volto di primo piano per il suo film “Cronaca di un amore” e Visconti gli suggerirà di pensare alla Bosè. “Era scettico, mi considerava giovane e acerba per il ruolo di una trentacinquenne elegante e borghese, ma decise di farmi un provino che superai alla grande”, confesserà l’attrice nel corso di un’intervista. Sarà su quel set che si sentirà per la prima volta bellissima. Antonioni si rivelerà però estremamente severo sul set, “a tratti terribile”. “Dopo quaranta ciak, visibilmente stanca, sovrastata da un enorme cappello con veletta, mi scappò da ridere. Non lo avessi mai fatto, Michelangelo si avvicinò furioso e mi mollò uno schiaffo”, confessa la Bosè. Di fronte a quella scena, chiunque fosse stato presente avrebbe iniziato a darsela a gambe levate, ma non l’attrice. Lei, sicura di aver peccato di non professionalità, chiederà semplicemente di riprendere a girare.

Se ne va dunque la “Ragazza di piazza di Spagna”, la giovane sartina Marisa, che nel leggendario film di Luciano Emmer (“Le ragazze di piazza di Spagna”-1952) sognava di fare la mannequin e si ritrovava a fare colazione sulle scalinate della famosa piazza romana, insieme ad altre due ragazze piene di sogni di e di speranze. Parlavano del domani, parlavano del futuro, diventando il simbolo di altre milioni di ragazze che in quegli anni erano chiamate ad emanciparsi e a diventare il motore trainante del nascente boom economico italiano.

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L’Italia che usciva dagli scempi e dalle rovine della seconda guerra mondiale aveva voglia soprattutto di distrarsi, e se respingeva i tentativi di riproporre l’abulico cinema dei “telefoni bianchi”, non per questo voleva sentirsi ricordare lo sfacelo che aveva travolto il paese. E dopo la sfolgorante, ma breve stagione neorealista, al cinema italiano si chiese dunque intrattenimento, ma un intrattenimento che raccontasse storie vere, plausibili, autentiche, storie che avessero a che fare più da vicino con gli italiani stessi, con la loro voglia di riscatto e con la voglia di rinascita di un’intera nazione.

Nel decennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 l’Italia infatti, visse una stagione di crescita economica e di cambiamenti sociali veloci e intensi, e divenne una delle maggiori potenze industriali. Lo sviluppo economico superò addirittura quello demografico (pure evidente) e ciò ebbe come conseguenza un miglioramento diffuso del tenore di vita (i primi apparecchi televisivi, la storica 500). Molti dei film girati in quegli anni testimoniano sia questi cambiamenti, sia le tante contraddizioni ad essi collegate. E se è vero che il cinema è stato ed è lo specchio della società, allora non è azzardato dire che la storia del cinema italiano è andata di pari passo con il mondo reale, e che il cinema dunque è la maniera migliore per rivivere una fetta importante della storia del nostro paese, meglio di qualsiasi trattato sociologico.

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In tutto ciò si inserisce prepotente la commedia all’italiana che parte sempre da un’analisi attenta della realtà, ma lo strumento che usa per rappresentarla è l’ironia unita alla satira di costume; e l’ambiente che viene preso di mira non è più quello dei contadini e dei poveracci, ma quello della borghesia rampante che scalciava per emergere, messa alla berlina per i suoi tanti vizi e le sue contraddizioni. Primi scampoli di benessere economico si registrano già a partire dai primi anni ‘50 in due capisaldi della commedia all’italiana: “La famiglia Passaguai” di e con Aldo Fabrizi; e “Pane, amore e fantasia” con e Gina Lollobrigida, due film leggendari che ironizzano splendidamente sui comportamenti di una piccola borghesia che si confronta a fatica con i primi segni del benessere, ma che guarda con rinnovata fiducia verso il futuro. Entrambe le pellicole vennero definite il punto di svolta del nostro cinema verso la commedia all’italiana.

E poi venne la fine degli anni ’50 e pellicole leggendarie come “Poveri ma belli”, con Maurizio Arena e Renato Salvatori; “I soliti ignoti” con , Marcello Mastroianni e ancora Renato Salvatori; e “La dolce vita”, che contribuirono a lanciare nel mondo il mito della “dolce vita” italiana, sinonimo di spensieratezza e di benessere economico. In particolare quel 1960 de “La dolce vita” di Fellini e Mastroianni e de “La ciociara” di De Sica e della Loren, è il nostro anno mirabilis: ciliegina sulla torta le Olimpiadi di Roma ’60, il punto più alto dell’Italia del secolo scorso.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema Negli anni ’60 poi, in clima di benessere economico, la commedia all’italiana è quasi dispoticamente dominati dai volti dei quattro grandi protagonisti brillanti del periodo: , Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, più l’apporto di Marcello Mastroianni spesso impegnato in produzioni internazionali; e quello di Walter Chiari, a metà strada tra cinema più spiccatamente popolare e commedia all’italiana, con la perla, però de “Il giovedi”, delizioso film che per primo pone l’attenzione sulla difficile situazione dei padri separati in epoca pre-divorzio. Allo stesso modo epocali sono altre pellicole del periodo, tra le quali spiccano “Il sorpasso” con Vittorio Gassman; “I mostri” con Tognazzi e ancora Gassman; e “Una vita difficile” con Alberto Sordi, così per citarne alcuni, fra una miriade di ottimi film e non pochi capolavori.