MAGGIO CINEMA 2016 CONTROCAMPO BEETHOVEN a cura di Gabriele Rizza

SPAZIO ALFIERI

Non sarà Napoleone, con cui pure in qualche occasione si incontrerà, ma di certo è il primo dei compositori. Sia da protagonista per non dire da autore di “colonne sonore”. Il più saccheggiato, insieme a Bach e Mozart (seguono Wagner, Verdi, Puccini, Chopin). La vita sullo schermo di Ludwig van Beethoven è una lunga sinfonia, andante con moto, variazioni sul tema, leit motiv la sordità. I primi accordi già ai tempi del muto: un Der martyrer seines herzens del 1918, una Beethoven’s moonlight Sonata del 1920 e una vita di Beethoven (Das leben des Beethoven) del 1927 dell’austriaco Hans Otto, con Fritz Kortner che per primo incarna, e traduce plasticamente, il temperamento tipico del personaggio, esuberante e ribelle, tutto eccessi e catapulte facciali, il leone indomabile e misantropo immortalato nel celeberrimo busto dallo scultore Bourdelle. Poi c’è Abel Gance. Il maestro francese, pioniere delle teorie e delle tecniche del montaggio, fa le prove nel 1918 (La dixième symphonie) e nel 1936 lancia Un grand amour de Beethoven, genio tormentato, offuscato dalla sordità, un difetto che consente all’interprete (Harry Baur) di esibire un bel campionario di smorfie boccacce e versacci, e offre al regista, sempre in cerca di sperimentazioni formali, il pretesto di operare assordanti manipolazioni e distorsioni sonore, così da farne quasi un Robert Schumann, lui sì aggredito da continue allucinazioni auditive, sibili, fischi, tintinnii e scampanellii (bellissimo nel ruolo di Karl, il nipote scapestrato, esordisce il 16enne Jean-Louis Barrault). Saltato nel 1936 un progetto al quale avrebbe dovuto collaborare anche Arnold Schoenberg, regista William Dieterle, la vita di Beethoven non smette di sollecitare la fantasia di produttori e sceneggiatori. Fugacemente, ma genialmente, inquadrato da Eric von Stroheim nel Napoleon di Sacha Guitry del 1954, produzione franco italiana che sfodera un cast ipertrofico (Daniel Gelin, , Maria Schell, Pierre Brasseur, , , Michèle Morgan, Micheline Presle, Silvana Pampanini, , Gianna Maria Canale, Cosetta Greco, , , Serge Reggiani: e non finisce qui) Beethoven è The magnificent rebel (Il magnifico ribelle, 1962) di Georg Tressler, solido e diligente lavoro che ripercorre episodi giovanili dalla natia piccola Bonn alla grande Vienna (l'unico film americano sulla vita di Beethoven, prodotto dalla Disney per la tivù, girato in Austria e Germania con un'accurata scelta dei luoghi e dei paesaggi), protagonista Karl Heinz Bohm (figlio del celebre direttore d’orchestra), specialista in ruoli di compositori, essendo stato Franz Schubert in Das Dreimaderlhaus (La casa delle tre ragazze, 1958) del viennese Ernst Marischka, quello della fortunata saga “Sissi l’Imperatrice”, dove sarà Francesco Giuseppe Cecco Beppe al fianco di Romy Schneider. Beethoven diventa Ludwig Van nel film sperimentale (diciamo provocatorio), girato nel 1970 da Mauricio Kagel per la televisione tedesca; vira su Karl, partendo dagli scritti di Luigi Magnani, nel franco tedesco Il nipote di Beethoven di Paul Morrissey (1985), già nella factory di Andy Warhol, con Wolfgang Reichmann, Jane Birkin, Nathalie Baye; lavora per la HBO (Beethoven lives upstairs di David Devine, 1992) e per la BBC (Eroica di Simon Cellan Jones con Ian Hart, 2003); si sdoppia in Io e Beethoven (Copying Beethoven, 2006) della polacca Agnieszka Holland che racconta in modo romanzato i suoi ultimi anni di vita, con Had Harris e Diane Kruger; finisce nel mirino del professor Mondrian Kilroy (John Hurt) e della sua Lezione ventuno sulla Nona Sinfonia, nel film omonimo scritto e diretto nel 2008 da Alessandro Baricco, al suo esordio dietro la mdp, passato in anteprima a Locarno, recitato in inglese e girato in Trentino e a Mantova.

Ora affannarsi a cercare Beethoven autore di musiche da film, è impresa impossibile quanto inutile. Però in fondo piacevole. E divertente. Perché attizza la memoria e sollecita la conoscenza. Allora qualche esempio, suggerito dagli anni, istruito da internet e dalle enciclopedie, dalle visioni ultime e dai ricordi andati, non è vano. Istruttivo? Riassuntivo? Diciamo indicativo. Così, al volo, Bunuel sfrutta il terzo movimento della Terza Sinfonia nell’Age d’or; la Patetica veleggia nell’Età dell’innocenza di Martin Scorsese; illustra il terzo episodio della Fantasia di Walt Disney la Pastorale, “trasformata – ironizzò Sadoul – in un Olimpo decorato come una casa da gioco di provincia del 1910”, le centaure che escono dall’acqua, indossano reggiseni floreali, si truccano, si incipriano e sfilano come a un concorso di bellezza prima di accoppiarsi a aitanti centauri; Per Elisa sfuma nella viscontiana Morte a Venezia e scolora gli incubi di Rosmary’s Baby di Roman Polanski. Che Beethoven usa anche in Che (Sidney Rome, novella Alice, che girella seminuda “al chiaro di luna” nella grande villa di Capri di proprietà di Carlo Ponti, produttore del film) e nelle dita di Adrien Brody, Il pianista. Beethoven finisce in Fassbinder (Selvaggina di passo), in Marguerite Duras (India Song), naturalmente in Kubrick e in chissà quanti altri. Ma soprattutto in Jean-Luc Godard, che con varie modalità (contrappunto, sottolineatura, giustapposizione, frammentazione, descrizione, cancellazione, straniamento) e in svariate occasioni lo accompagna alle immagini: da Tous les garcons s’appellent Patrick del 1957 a Hélas pour moi del 1993 passando per Le nouveau monde, secondo episodio di Ro.Go.Pa.G (1962), Une femme mariée (1964), Deux ou trois choses que je sais d’elle (1966), Made in Usa (1966), Passion (1982), Prenom Carmen (1983), Puissance de la parole (1988) Allemagne année 90 neuf zero (1992). L’ultima scoperta è di questi giorni (gennaio 2016): Suzanne Clément (musa di Xavier Dolan, canadese, 27 anni, enfant prodige del nuovo cinema mondiale) che sprigiona tutta la sua onirica sensualità “cantando” sotto la doccia al ritmo della Quinta Sinfonia in Laurence anyways (2012).