Cahiers d’études italiennes

26 | 2018 Da Ferrara a Buenos Aires. Contributi sulla ricezione italiana e internazionale dell’opera di

Enzo Neppi, Alessandro Martini, Barbara Aiosa, Francesco Bonelli et Giulia Cacciatore (dir.)

Édition électronique URL : http://journals.openedition.org/cei/3637 DOI : 10.4000/cei.3637 ISSN : 2260-779X

Éditeur UGA Éditions/Université Grenoble Alpes

Édition imprimée ISBN : 978-2-37747-040-2 ISSN : 1770-9571

Référence électronique Enzo Neppi, Alessandro Martini, Barbara Aiosa, Francesco Bonelli et Giulia Cacciatore (dir.), Cahiers d’études italiennes, 26 | 2018, « Da Ferrara a Buenos Aires. Contributi sulla ricezione italiana e internazionale dell’opera di Giorgio Bassani » [En ligne], mis en ligne le 28 février 2018, consulté le 30 mars 2021. URL : http://journals.openedition.org/cei/3637 ; DOI : https://doi.org/10.4000/cei.3637

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© ELLUG 1

Vingt ans après sa mort, Giorgio Bassani est sans conteste reconnu comme l’un des grands écrivains du XXe siècle. Toutefois, c’est surtout en dehors de son Italie natale qu’il jouit de cette réputation. Les études portant sur le travail d’éditeur de Bassani, sur ses liens avec le monde du cinéma et de l’art, ainsi que les analyses de ses textes et de leur intertextualité se sont multipliées ces dernières années ; mais celles sur la réception critique de son œuvre et sur les raisons de sa diffusion dans le monde sont encore peu nombreuses. Sans prétendre combler cette lacune, ce recueil a l’ambition d’ouvrir deux champs de recherche jusqu’à présent peu explorés : d’une part, l’étude des correspondances entre Bassani et des écrivains ou des critiques tels que Fortini, Siciliano et Varese apporte de nouveaux éclairages sur les motivations de l’écrivain, sa méthode de travail et son évolution ; d’autre part, le recueil propose des explications à l’intérêt renouvelé pour Bassani qu’on rencontre en Espagne et dans d’autres pays. Ce volume montre également que le succès international de Giorgio Bassani n’est pas sans lien avec sa très grande passion pour les langues et les littératures étrangères, passion qui est tout particulièrement attestée par son travail éditorial. Contrairement aux apparences, Barcelone, Rosario et Bloomington lui étaient aussi chères que Ferrare.

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SOMMAIRE

La Ferrara di Bassani, la Praga di Kafka e al di là: fare i conti con le proprie budella Alessandro Martini, Enzo Neppi, Barbara Aiosa, Francesco Bonelli et Giulia Cacciatore

La ricezione dell’opera di Bassani fuori d’Italia

«Un vero scrittore internazionale». La diffusione mondiale delle opere di Giorgio Bassani Rosy Cupo

Un «clásico tímido». Giorgio Bassani in Spagna: dalla Transizione democratica a oggi Silvia Datteroni

Giorgio Bassani e i lettori argentini Renata Adriana Bruschi et Silvia Datteroni

«Dall’altra parte della luna». Le poesie di Giorgio Bassani tra gli Stati Uniti e il Canada Valerio Cappozzo

Affinità elettive. Sulla ricezione delle opere di Bassani nei paesi di lingua tedesca Olaf Müller

Scrittori e critici dialogano con Bassani

«La città sepolta sotto la neve». Narrazione e lirica nel carteggio Bassani-Varese Lucia Bachelet

«Da poeta a poeta». Fortini lettore di Bassani tra critica e poesia. Gaia Litrico

«Tentato storicismo»: lettore indocile di Bassani Valter Leonardo Puccetti

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La Ferrara di Bassani, la Praga di Kafka e al di là: fare i conti con le proprie budella

Alessandro Martini, Enzo Neppi, Barbara Aiosa, Francesco Bonelli e Giulia Cacciatore

1 «[…] il passaggio dalla F. delle mie origini letterarie, alla Ferrara in tutte lettere dei miei anni maturi, non ha potuto realizzarsi che lentissimamente e, vi garantisco, mi è costato sudore e lacrime»1: così Giorgio Bassani nel 1980, a poca distanza dalla seconda edizione in un solo volume del Romanzo di Ferrara, sistemazione definitiva della sua opera narrativa in prosa2. Il fatto che, per rispondere alle critiche di chi lo accusa di trattare argomenti «che non hanno a che fare con la realtà», Bassani si senta in dovere di tornare sul processo che lo ha portato a precisare via via la denominazione dei luoghi in cui si svolgono le vicende da lui narrate, può essere inteso meglio solo restituendo alla scelta dello scrittore una prospettiva storica. In effetti, proprio negli anni in cui la sfocata — ma già chiarissima nelle intenzioni bassaniane — «città di pianura» cede il posto prima a F. e poi a Ferrara, la narrativa di Bassani è ridotta da una parte della critica a una semplice cronaca di provincia, con le sue tranches de vie. Non è questo il luogo deputato a riassumere una polemica, quella con i «novissimi», su cui già molto si è detto; basti ricordare che il conflitto si fondava in parte sul presunto trattamento di Ferrara come teatro di affetti scontati, rievocati attraverso un ricorso stantio alla memoria più disimpegnata ed elegiaca. La gravità con cui Bassani accolse e rintuzzò le critiche si cristallizzò in più occasioni in una veemente difesa: «Cassola non scrive per le donnette di Grosseto, io non scrivo per i ferraresi»3. La reazione di Bassani non deve essere fraintesa, né tantomeno letta come un gesto di disamore per i propri concittadini, perché non era questa la posta in gioco. Accusato di bozzettismo e dichiarato incapace di abbandonare vecchi stilemi, lo scrittore ferrarese intuisce che lo stigma ricevuto reca in sé una seria minaccia, tanto più dolorosa e insidiosa in quanto diretta contro uno dei punti nevralgici della sua opera narrativa, con cui egli ha dovuto misurarsi fin da principio: il rapporto complesso con le proprie origini, l’attaccamento — o meno — a esse. È per questo motivo che il livello di determinazione geografica si

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impone come un margine di manovra su cui può operare un autore che si definisce «condizionato dalle proprie radici» e che trova nella tradizione soluzioni diverse dalla sua, ma che si confrontano in fin dei conti con lo stesso problema: «Ogni artista vero, ogni poeta, non può non fare sempre i conti con le proprie origini, con le proprie budella. La città del Castello di Kafka non è Praga, d’accordo, ma d’altronde cosa potrebbe essere mai se non Praga?»4.

2 Per quanto scomoda o bisognosa di giustificazioni, la situazione di Bassani è quella di ogni scrittore che, come ricorda Gianni Venturi, nel momento in cui passa dal vuoto della pagina bianca al pieno dell’opera finita, deve far fronte a un «restringimento della libertà dovuto alla scelta» della materia narrativa5. Ma, come dimostra lo stesso Venturi, adattando a Bassani un’intuizione di Maria Corti6, tale diminuzione può rivelarsi feconda, e così forse accade anche nel passaggio dalla generica «città di pianura» — dove tutto, dalla topografia all’onomastica, sembra poter essere liberamente inventato — alla più limitante (ma solo in apparenza) Ferrara. Una lettura bassaniana in chiave ferrarese sarebbe perciò quanto di più fuorviante si possa immaginare, poiché al contrario la precisione geografica è pensata dall’autore proprio come mezzo per oltrepassare il localismo estense, e raggiungere, scandagliando un microcosmo, il macrocosmo che vi si rispecchia. Tuttavia, nel caso di Bassani, il timore in lui suscitato dagli attacchi subìti appare oggi giustificato, e a poco sembrano essere servite le avvertenze della critica più sensibile: l’iperdeterminazione toponomastica ha in parte fatto sì che la città padana nominata en toutes lettres divenisse non solo l’elemento imprescindibile per ogni approccio alle storie che ne compongono il Romanzo, ma anche, in molte occasioni, il solo orizzonte di riferimento, al cui interno vengono confinate le storie di Geo e di Pino, di Gemma e di Clelia, di Micòl e Malnate, giù giù fino a quelle di Bruno e di Uller; e questo anche quando all’opera bassaniana sono riconosciuti carica metaforica, rigore morale e spessore simbolico. E se è vero che da alcuni anni l’interesse per Bassani si è concretato in un numero crescente di interventi critici di altissimo livello, è altrettanto vero che il prisma ferrarese e provinciale rimane una cifra di cui almeno la manualistica scolastica non sempre riesce a disfarsi7.

3 La validità o meno di tale approccio all’opera di Giorgio Bassani può essere saggiata attraverso il banco di prova dell’estero, allorché la narrativa dell’autore ferrarese valica le Alpi, dove il nome di Ferrara suona più vago e indeterminato. La ricezione bassaniana oltralpe permette cioè di vagliare la validità dell’etichetta di autore di interesse ‘provinciale’ o ‘locale’, che troppo spesso, proprio in Italia, ha accompagnato la lettura del Romanzo di Ferrara e delle sue singole parti. Come conciliare, per esempio, un tale approccio con i dati sulla «diffusione mondiale delle opere di Giorgio Bassani», che emergono dal saggio di Rosy Cupo incluso in questo volume — saggio dedicato a una minuziosa ricostruzione delle fasi iniziali di questa diffusione — e soprattutto dalla doppia mostra8 (reale e virtuale) da lei allestita su questo argomento? Vi leggiamo che la casa editrice Penguin ha recentemente promosso una nuova traduzione dell’opera di Bassani a cura del poeta e scrittore inglese Jamie McKendrick, che nel 2014 Il giardino dei Finzi-Contini è stato tradotto anche in Cina, e che complessivamente, a tutt’oggi, sono state pubblicate nel mondo 160 edizioni di opere bassaniane9. Vi scopriamo inoltre con quanta cura Bassani sorvegliasse l’operazione di traduzione e il lancio editoriale dei suoi testi all’estero, convinto che «il successo del libro sia legato strettamente a una

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buona traduzione», che cattive traduzioni avrebbero definitivamente tradito il senso profondo dell’opera, e compromesso la sua diffusione.

4 Ma al di là dei dati quantitativi, un saggio densamente documentato come quello di Silvia Datteroni — dedicato alla ricezione spagnola dell’opera di Bassani dopo il 1975, anno dalla morte di Franco — attesta l’interesse rinnovato che ha suscitato in Spagna Bassani a partire dagli anni Novanta. Di fronte a un diffuso fenomeno di autoassoluzione o di amnesia collettiva, la questione della memoria storica, l’esigenza di affrontare senza paraocchi la verità intorno agli anni della guerra civile, ha infatti portato non pochi lettori spagnoli a vedere in Bassani un maestro, uno dei pochi scrittori europei che avessero avuto il coraggio di dire la «verità nuda e cruda», di fare i conti con il passato del proprio paese. Datteroni ci ricorda che Paco Marín, sin dal 1990, vedeva nelle microstorie di Bassani «un’impresa monumentale»; più recentemente la progressiva riedizione dei volumi che compongono Il Romanzo di Ferrara ha indotto Mercedes Monmany a definirlo come uno dei «cicli romanzeschi più importanti del XX secolo».

5 Gli scandagli fatti in Argentina da Renata Adriana Bruschi, con l’aiuto della stessa Datteroni, portano a conclusioni non meno interessanti, benché in parte diverse. La diffusione dell’opera di Bassani fu in parte dovuta alla presenza italiana ed ebraica in questo paese, ai legami personali fra Victoria Ocampo e la principessa Caetani, e a quelli di vari scrittori della ‘constelación Sur’ con il mondo culturale romano. Ma la tempestiva traduzione degli Occhiali d’oro, che uscì appena due anni dopo la prima edizione italiana, si spiega anche con la forte resistenza della società argentina a un dibattito aperto sui tabù sessuali, resistenza a cui si contrappose con molta tenacia la politica editoriale del Grupo Sur, a lungo diretto, oltre che da una donna ‘libera’ come Victoria Ocampo, da due omosessuali, prima José Bianco e poi Enrique Pezzoni. Anche i lettori e i critici argentini, come già quelli spagnoli, sono stati colpiti da una duplice caratteristica della scrittura bassaniana che invece, in Italia, sembra avere suscitato uno strano disagio: la capacità che ha il ferrarese di combinare una coscienza storica lucidissima e un intenso impegno morale con la magia del verbo, con uno straordinario potere di evocazione poetica. Ma lo si può veramente biasimare per questo talento, ha un senso condannare la potenza del verbo in nome dell’impegno morale e politico, e pretendere che uno scrittore rinunci alla propria arte? Senza l’ingegno poetico — che proprio nella prosa di Bassani si manifesta con tanta forza — l’ambizione di stampo dantesco, o foscoliano, di ridar voce ai morti, e corpo alle ombre, non rimarrebbe fatalmente lettera morta?

6 Ci duole non essere riusciti a includere in questo volume un contributo sulla ricezione in lingua inglese del Romanzo di Ferrara10, dal momento che proprio in Nord America sono uscite, molto presto, le due prime monografie approfondite sull’opera narrativa di Giorgio Bassani11, cui più recentemente si è aggiunto un altro importante studio globale12. Ma siamo lieti di pubblicare un saggio di Valerio Cappozzo che ci ricorda non solo la passione dello scrittore ferrarese per la letteratura americana, e le precoci traduzioni in inglese delle sue poesie (avvenute già negli anni ’50), ma anche i legami personali che lo scrittore poté allacciare durante i suoi soggiorni negli Stati Uniti e in Canada — paesi nei quali si recò più volte come visiting professor — e l’interesse che ancor oggi suscita nel mondo anglosassone la sua poesia. Particolarmente prezioso, da questo punto di vista, il resoconto di un incontro con Bassani — in un ristorante romano, durante un pasto innaffiato di vino e olio d’oliva — del poeta afro-americano

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Cyrus Cassells. A questo incontro Cassells ha dedicato una poesia. In Elegy for Giorgio Bassani, il writer del Sud degli Stati Uniti racconta come di fronte alla morte, di fronte al Giardino degli Olivi, al Gath-Shemanim che sta in agguato per ognuno di noi, il discendente degli africani deportati e fatti schiavi in America non può non identificarsi con il colto e raffinato ebreo ferrarese, che nel 1944 ha rischiato anche lui schiavitù e morte.

7 L’intervento di Olaf Müller, che chiude la sezione dedicata alla ricezione internazionale dell’opera di Bassani, ci riporta in Europa; ma anche qui, al di là della negligenza di una critica che ha spesso ricordato l’opera di Bassani in una miriade di micro-interventi (documentati con straordinaria pazienza da Portia Prebys), ma che solo raramente si è mostrata capace di fare i conti con gli orrori di un passato di cui la Germania è stata mandante e complice, anche qui ciò che emerge e si staglia con straordinaria evidenza sono alcuni incontri poetici. Quello di Bassani con Nelly Sachs in un ospedale svedese, quando lo scrittore italiano, davanti al volto emaciato e agli occhi ardenti della poetessa morente, intuisce la missione disperata ma non impossibile dei poeti: ridare la vita ai morti. Quello di Alfred Andersch con l’opera di Bassani — che ha probabilmente contribuito a modificare il suo modo di pensare la memoria e la guerra — e con la persona dello scrittore, in occasione della consegna del premio Nelly Sachs a Dortmund. Quello con la poetessa Hilde Domin, che non soltanto fu in corrispondenza con Bassani ma ha anche lasciato nelle sue carte la traduzione inedita di una delle più belle poesie di Bassani, Le leggi razziali — epitaffio di una trentina di versi, in cui una magnolia piantata nel 1939 diventa un emblema della resistenza al Terrore, ma anche una figura dei turbamenti di chi all’improvviso ritrova la libertà. O ancora quello di Sebald con la poetica di Bassani, che gli avrebbe rivelato una concezione inedita del rapporto fra poesia e documento, l’idea che proprio il documento, ricoprendolo con la sua polvere (e con le sue aspre ingiunzioni), può rendere poetico il verso. E infine l’incontro con lo storico e critico Gustav Seibt: nel 1995, nella sua casa romana, il poeta sorge all’improvviso davanti a lui, come uno degli «spiriti magni» che si accostano a Dante e Virgilio nel Limbo.

8 Negli ultimi tre saggi di questo numero di Novecento… e dintorni l’angolatura cambia e si ritorna in Italia. Ovviamente, la ricezione italiana di Bassani è un tema troppo vasto perché potesse essere esplorato in modo globale. Piuttosto che azzardarsi in una simile impresa, si sono dunque preferiti alcuni scandagli molto mirati. Nei primi due, grazie a un prezioso lavoro di catalogazione e di digitalizzazione svolto presso il Fondo epistolario Bassani a Parigi, due giovani e promettenti studiose hanno compiuto alcuni sondaggi e approfondimenti ermeneutici. Lucia Bachelet si concentra sul carteggio Bassani-Varese, privilegiando in particolare lo scambio di lettere che accompagnò l’elaborazione de Gli ultimi anni di Clelia Trotti, e ne trae informazioni degne di nota: il significativo parallelo, in un passo cruciale, con The Dead joyciani — qui esplicitamente dichiarato dall’autore; la straordinaria e precoce consapevolezza critica di Bassani intorno al proprio lavoro; e infine la decisione, pienamente maturata durante la stesura della novella, di non rappresentare in Bruno Lattes se stesso, al momento della propria conversione all’azione politica, ma «un infantilmente imbronciato piccolo decadente».

9 Non meno suggestive sono le conclusioni cui giunge Gaia Litrico, analizzando un segmento dello scambio epistolare tra lo scrittore ferrarese e Franco Fortini a proposito dei suoi primi saggi poetici. Sollecitato dai giudizi talvolta severi dell’amico, Bassani matura una maggiore consapevolezza della propria produzione in versi, ed è indotto a

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renderne più esplicita la ‘ragione poetica’ in quel Poscritto del 1952 in cui parla dell’evoluzione dalla «cultura», che presiedeva alla sua prima raccolta, a quella «nuova realtà», la realtà della guerra e della prigione, che solo più tardi, lottando senza pietà, sarebbe riuscito ad accogliere nei propri versi13. Fortini non fu pienamente convinto dagli esiti di questo ripensamento, analogo, almeno nelle intenzioni, a quello cui lui stesso, in quegli anni, sottoponeva la propria poetica. Ma Litrico ritiene di poter dedurre da certi indizi che se l’attività poetica di Bassani fu certo influenzata dalle critiche di Fortini, che gli rimproverava un eccessivo egotismo, di converso il ferrarese lo convinse forse che solo tornando temporaneamente alla casella esistenziale dell’io, gli sarebbe stato più tardi possibile conquistare un vero «noi» collettivo.

10 Infine, last but not least, Valter Leonardo Puccetti, studioso di tutti i secoli, e a cui si devono anche preziosi saggi sull’opera di Bassani, ci mostra l’itinerario sinuoso di Enzo Siciliano, introdotto nel mondo letterario proprio grazie a Bassani. Siciliano, negli anni delle polemiche attizzate dal Gruppo ’63, si mostra intelligente seguace del ferrarese, magari anche più munito e aggiornato ideologicamente del suo mentore, capace di cogliere le contraddizioni di una neoavanguardia il cui gioco combinatorio contribuisce a quella perdita del senso della persona che appunto contraddistingue la società contro cui essa pretende insorgere. Nel 1966, nell’Anima contro la storia, Siciliano rimprovera tuttavia a Bassani di non essere mai veramente riuscito a storicizzare la propria esperienza, di avere sempre inconfessabilmente continuato a giocare «l’anima» contro la storia, di non avere mai smesso di considerare sacra la memoria dei padri e il loro mondo borghese, di avere impreziosito il passato, di averlo distanziato e trasmutato in iperuranio, invece di calarlo davvero nel tempo e inverarlo alla luce del presente, come lui pretendeva.

11 Bassani, in ultima analisi, sarebbe dunque sempre rimasto un delicato poeta elegiaco, e mai si sarebbe trasformato in un vero scrittore civile. Ma se Siciliano sembra per tale via abbracciare la linea marxista di Fortini-Trombatore-Ferretti, in realtà se ne stacca, e la sua analisi corrosiva dell’opera di Bassani passa di nuovo a segno euforico, quando finalmente gli si rivela che il narratore, lungi dall’assurgere in tal modo a un’assolutezza intangibile, in realtà si denuncia come colui che non comprende, che non vuole esaminare più da vicino il travaglio del proprio cuore, come colui che rimane fino in fondo un enigma. E cosi l’autore demistificato si dimostra demistificatore più acuto di tutti quelli che vogliono demistificarlo. Si scopre che i suoi personaggi sono enigmatici proprio perché sono esseri vivi, e come tali poliedrici, incomprensibili, inafferrabili.

12 Fra Siciliano e Bassani rimane tuttavia uno iato irriducibile, legato al fatto che per Siciliano la letteratura è avventura, salto nel buio, mentre per Bassani, come dimostrerebbe una volta per tutte il Giardino, essa rimane o ridiventa in fin dei conti «poesia pura». È interessante constatare — osserva in conclusione Puccetti — che Bassani avrebbe potuto senz’altro sottoscrivere questo giudizio critico. Ce lo dimostra un’intervista newyorkese del 1966, in cui lo scrittore riconosce di non essere riuscito a essere davvero uno scrittore civile, accoglie cioè l’obiezione, ma trasformandola in un’obiezione eidetica, strutturale, a cui nessuno, ahimè, può sfuggire, da Dante a Petrarca, da Leopardi a Fortini, specie se è grande poeta. È vero, ammette Bassani, non c’è niente da fare, la poesia, se è poesia, non può non essere pura, e vani sono gli sforzi dello scrittore per mondarla dall’estetismo immergendola nel sangue e nel fango. Per quanto lo scrittore sia sinceramente e seriamente impegnato (e Bassani è convinto di

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esserlo come pochi), nella poesia l’impegno inevitabilmente fallisce — le poesie, nonostante l’impegno dello scrittore, non riparano il mondo — e ciò che rimane non è né avventura né salto nel buio, ma semplicemente una forma, un oggetto, che nella sua bellezza, se è bello, ci commuove perché ridà vita alle ombre e ci procura dolce diletto.

13 Vorremmo, prima di concludere, ringraziare Paola Italia per avere messo a nostra ‘disposizione’ le sue giovani allieve, e insieme a lei Sergio Parussa per l’utilissima conversazione a più voci che in un pomeriggio grenoblese di due anni fa ci ha aiutato a far cristallizzare le idee da cui è nato questo volume. Siamo inoltre grati a Lucienne Kroha, Sophie Nezri Dufour, Sergio Parussa, Antonello Perli e Paola Polito per l’attenta rilettura di alcuni dei testi che compongono questo volume, a Joel Golb per quella degli abstracts inglesi dei vari articoli, a Giulio Ferroni per avere sostenuto questo progetto in quanto Presidente del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario, e a Paola Bassani per gli incoraggiamenti che essa prodiga a noi, ma non solo a noi, a tutti coloro che lavorano per far capire, conoscere e apprezzare l’opera di Bassani.

NOTE

1. G. Bassani, Intervento, in W. Moretti (a cura di), La cultura ferrarese fra le due guerre mondiali. Dalla scuola metafisica a «Ossessione», Bologna, Cappelli, 1980, p. 216, citato da G. Venturi, Prime resultanze su uno scrittore, in A. Dolfi e G. Venturi (a cura di), Ritorno al «Giardino». Una giornata di studi per Giorgio Bassani, Roma, Bulzoni, 2006, p. 21. 2. G. Bassani, Il romanzo di Ferrara, Milano, Mondadori, 1980. Rispetto a quella del 1974, questa edizione presenta ulteriori varianti, e soprattutto comporta una radicale alterazione del sistema ‘epigrafico’: gli eserghi che nel 1974 figuravano sul frontespizio di ciascun volume, davanti a ogni storia di Dentro le mura, e prima di Laggiù, in fondo al corridoio, sono soppresse; in più la frase del capitolo VIII dei Promessi sposi su ciò «che sa il cuore», riservata, fino al 1974, al solo Giardino, viene a sostituire l’epigrafe dantesca del 1974, che faceva di tutto il Romanzo un gesto d’amore paragonabile a quello di Stazio verso il suo maestro Virgilio: «Ed ei [Stazio] surgendo: “Or puoi la quantitate / comprender de l’amor ch’a te mi scalda, / quand’io dismento nostra vanitate, / trattando l’ombre come cosa salda”» (Purg. XXI, vv. 133-136; ovviamente l’epigrafe del 1974 è costituita dal solo v. 136). 3. F. Camon, Intervista a Giorgio Bassani, in Id., Il mestiere di scrittore, Milano, Garzanti, 1973, p. 61. 4. G. Bassani, In risposta (VI), in Di là dal cuore, in Id., Opere (a cura di Roberto Cotroneo), Milano, Mondadori, «I Meridiani», 1998, p. 1323. 5. G. Venturi, Prime resultanze su uno scrittore, cit., p. 21. 6. M. Corti, Percorsi dell’invenzione, Torino, Einaudi, 1993, pp. 3-4. 7. Si veda per esempio M. Santagata, L. Carotti, A. Casadei e M. Tivoni, Il filo rosso. Antologia e storia della letteratura italiana ed europea, vol. 3***, Secondo Novecento, Bari, Laterza, 2006, in cui 60 pagine sono dedicate a Fenoglio, 50 a e solo 16 righe a Bassani, mentre a nostro modesto parere Bassani, nel panorama della narrativa italiana del Novecento, non è di molto inferiore a Fenoglio e Morante (ammesso e non concesso che lo sia) e per molti versi complementare. Né questo è solo il nostro parere: un critico ‘minore’ come Garboli, tanto per dare un esempio, definisce Dietro la porta e L’airone, «due autentici capolavori» (C. Garboli, Ricordo di Bassani [2000], in Id., Pianura proibita, Milano, Adelphi, 2002).

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8. Rimandiamo a questo riguardo alla prima nota del saggio di Rosy Cupo. 9. Vedi . 10. All’ultimo momento abbiamo anche dovuto rinunciare a un contributo sulla ricezione francese di Bassani, e ce ne dispiacciamo molto, visto che la nostra è una rivista francese, incardinata per di più nella città di un autore molto caro a Bassani. Il lettore infatti ricorderà che nella IV parte del Giardino dei Finzi-Contini il narratore racconta di un viaggio in Francia compiuto nell’aprile del 1939, per portare dei soldi al fratello Ernesto, che studiava a Grenoble. Nel seguito dell’importante passo, leggiamo che era rimasto nella capitale del Delfinato per una dozzina di giorni, trascorrendo la maggior parte del tempo a «sfogliare manoscritti di Stendhal» alla Biblioteca Municipale (G. Bassani, Opere, cit., pp. 517-518). Il tema ricchissimo della ricezione e dell’intertestualità francese dell’opera di Bassani dovrà essere quindi inevitabilmente ripreso in futuro. Ma ci rallegra sapere che nel volume degli Atti del convegno romano e ferrarese del Centenario figurerà un saggio di Vincent Raynaud sui rapporti di Bassani con la casa editrice Gallimard e con i suoi traduttori francesi, accanto a uno studio di Andrea Bresaola sulla ricezione di Bassani nella Spagna franchista, e a un altro di Anna Wasilewska sulla presenza di Bassani in Polonia — tutti utili complementi ai saggi di questo volume. 11. M. Schneider, Vengeance of the Victim: History and Symbol in Giorgio Bassani’s Fiction, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1986, e D. Radcliff-Umstead, The Exile into Eternity. A Study of the Narrative Writings of Giorgio Bassani, London, Toronto, Associated University Press, 1987. 12. L. Kroha, The Drama of the Assimilated Jew: Giorgio Bassani’s «Romanzo di Ferrara», Toronto, University of Toronto Press, 2014. 13. G. Bassani, Opere, cit., pp. 1162, 1165.

AUTORI

ALESSANDRO MARTINI Université Jean Moulin Lyon 3

ENZO NEPPI Université Grenoble Alpes

BARBARA AIOSA Université Grenoble Alpes

FRANCESCO BONELLI Université Grenoble Alpes

GIULIA CACCIATORE Università di Catania

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La ricezione dell’opera di Bassani fuori d’Italia

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«Un vero scrittore internazionale». La diffusione mondiale delle opere di Giorgio Bassani “A True International Writer”: The Worldwide Circulation of Giorgio Bassani’s Works « Un vrai écrivain international » : la diffusion mondiale des œuvres de Giorgio Bassani

Rosy Cupo

1 Nell’ambito delle numerose iniziative che hanno contribuito alle celebrazioni per il centenario della nascita di Giorgio Bassani, l’Università di Ferrara ha promosso una mostra incentrata sulla diffusione internazionale delle opere dello scrittore ferrarese. Il punto di osservazione prescelto, atto a ripercorrere e analizzare i modi, i tempi e le proporzioni di un fenomeno niente affatto secondario, si è rivelato poi importante per indurre una riflessione più ampia sulle ragioni letterarie ed extraletterarie di un successo mondiale. Il presente saggio si propone pertanto di approfondire i dati emersi da quella prima ricognizione1.

2 La ricerca ha preso avvio dallo studio dei carteggi intrattenuti da Giorgio Bassani con i principali esponenti del panorama culturale dell’Italia dell’immediato dopoguerra; a tal fine sono stati presi in esame i documenti dell’Archivio Giorgio Bassani di Parigi, quelli della casa editrice Einaudi, conservati presso l’Archivio Storico di Torino, e quelli dell’importante archivio dell’Agenzia Letteraria Internazionale, conservati presso la Fondazione Mondadori di Milano. La lettura sinottica dei materiali, consistenti per buona parte in lettere scambiate dallo scrittore con editori, agenti e traduttori di tutto il mondo, ha consentito di studiare le dinamiche dell’operazione editoriale (accordi preliminari, ricerca di un adeguato traduttore, promozione pubblicitaria dell’opera), e di ricostruire inoltre i rapporti con personaggi di rilievo del panorama culturale dell’epoca, come Erich Linder, Claude Gallimard, e i suoi collaboratori: interlocutori privilegiati dello scrittore o chiamati in causa come semplici consiglieri

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(nel caso, ad esempio, di ), allorquando il giovane Bassani si trovò a muovere i primi passi nel campo letterario.

3 Uno dei risultati che il presente studio consegue è di mettere in evidenza l’impegno caparbio con cui Bassani ha sin dal principio perseguito l’obiettivo della pubblicazione all’estero; infatti i racconti di Bassani cominciano a essere tradotti subito, immediatamente dopo la pubblicazione in rivista, ben prima del successo delle Cinque storie. Si riscontra pertanto una volontà precisa, che non può essere esclusivamente ricondotta ad un mero movente economico, dal momento che le edizioni estere, come si evince chiaramente dai materiali analizzati, non procuravano che una piccolissima percentuale sulle vendite, e non rappresentavano certo fonte di arricchimento.

4 In tale operazione fu importante la mediazione di Marguerite Caetani, non tanto per i rapporti e i contatti già instaurati che poteva offrire al giovane redattore di «Botteghe oscure», quanto per l’impostazione mentale che infondeva al suo collaboratore affidandogli il compito di gestire una rivista che nasceva con una prepotente vocazione internazionale, prevedendo stabilmente, sin dal secondo numero, sezioni di poesia italiana, francese, inglese, statunitense e tedesca; ricordandola a poche settimane dalla sua scomparsa, Bassani affermava di aver appreso molto da lei, e in particolare le riconosceva il merito di avergli aperto gli occhi, in un momento in cui era ancora «portato a vivere una realtà soprattutto interiore e in un certo modo ossessiva», soprattutto sul piano letterario, e insegnandogli al tempo stesso a «prendersi meno sul serio»2.

5 La carriera di scrittore di Giorgio Bassani si avviò, come è noto, nel 1940 quando, giovanissimo, pubblicò la raccolta di racconti Una città di pianura sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, a proprie spese, come ricorderà con commozione facendone dono a Giulio Einaudi nel gennaio del 19643. Nel 1948 divenne redattore di «Botteghe oscure»: fu il primo quaderno di questa rivista a ospitare la novella Storia d’amore, seconda versione del racconto Storia di Debora, già pubblicato nella prima raccolta. La novella, ulteriormente rielaborata, diverrà la prima delle Cinque storie ferraresi, con il titolo Lida Mantovani. È stato già messo in evidenza lo strettissimo rapporto intercorso tra la nascita dei primi racconti e la cordiale sollecitazione, o «attesa […] imperiosa»4, come Bassani stesso la definì, dell’amica Marguerite Caetani, che indusse lo scrittore a rielaborare la già citata Storia di Debora proprio per la pubblicazione su «Botteghe oscure». Ancora sotto il patrocinio della principessa Caetani, che della rivista era al contempo fondatrice e ‘anima’, si avviarono anche i primi tentativi, da parte di Bassani, di esportare all’estero la propria opera. L’esordio nel panorama letterario internazionale avverrà proprio con Love story in «An Anthology of New Italian Writers», una miscellanea, recita il sottotitolo, di autori le cui opere erano apparse sui numeri della rivista «Botteghe oscure»5. Subito dopo la pubblicazione su «Botteghe oscure» di Una passeggiata prima di cena (1951) la Caetani scrisse a Margaret Bottrall, scrittrice e studiosa americana, per affidarle la traduzione del racconto, come risulta da una lettera della Bottrall stessa del 23 luglio 1951, in cui la richiesta era approssimativamente fatta risalire a un mese prima; la traduttrice americana, pur apprezzando profondamente il racconto e la «tecnica sottile [con cui l’autore] evoca il tempo passato», non mancò di definire la traduzione «un’impresa assai difficile» soprattutto a causa di «tutte quelle parentesi». La traduzione fu approntata in pochi mesi di lavoro: possediamo infatti la minuta della lettera inviata da Bassani alla traduttrice6, in cui approvava il lavoro della Bottrall, definendolo «assolutamente magnifico: non solo essa riproduce il testo nei

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suoi significati particolari come meglio non avrebbe potuto desiderare, ma dà un equivalente efficacissimo del suo tono generale». Inoltre l’autore sottolineava «l’emozione […] provata nuovamente a veder[si] tradotto nella lingua letteraria amata più al mondo…»7. Se non è facile stabilire quanto di ironico ci fosse nell’osservazione: «nel complesso, la traduzione migliora l’originale: nel senso che lo rende più chiaro, più limpido», è certo che pur in così precoci tentativi Bassani adottò un metodo che si manterrà sostanzialmente inalterato per l’intera sua carriera: la scelta ponderata e cauta del traduttore, l’attenta analisi dei risultati ottenuti, effettuata personalmente e con l’aiuto di un consulente, l’invio di proposte migliorative della traduzione. Nel caso in oggetto sarà il prof. Salvatore Rosati, anglista, americanista e anche lui collaboratore di «Botteghe oscure», a esaminare la traduzione insieme allo stesso Bassani, e a proporre mutamenti riguardanti l’aspetto grafico, lessicale e anche sintattico.

6 Nella medesima lettera Bassani incitava la Bottrall a ricercare personalmente una sede letteraria per collocarvi il racconto, in quanto Desmond Fitzgerald, direttore della rivista «World Review», preventivamente interpellato, aveva risposto evasivamente, preannunciando in ogni caso una lunga attesa dovuta al fatto che «troppo di recente [erano] apparse nella sua rivista cose italiane»8. Ciò causò un incidente diplomatico tra i due: Fitzgerald, rotto ogni indugio, aveva proceduto in maniera autonoma affidando a Gwyn Morris il lavoro di traduzione, per cui il lavoro della Bottrall andò perduto, nonostante il pronto coinvolgimento della Caetani, che tuttavia liquidò in un succinto poscritto il suo pensiero sulla questione: «Fitzgerald ha fatto tradurre suo racconto senza avvertire noi. È stupido e ridicolo la Bottrall è furiosa»9. The Stroll before Supper uscì effettivamente sulla «World Review» nei primi mesi del 1952, e la traduzione Morris fu giudicata dalla Bottrall «buona ma meno fedele che la mia al testo originale»10.

7 Nessuna notizia certa è stato possibile rinvenire sulla effettiva realizzazione della proposta di includere un racconto di Giorgio Bassani in un’antologia di autori italiani a cura di un certo professor Marc Slonim per la casa editrice americana Simon & Schuster, avanzata per il tramite di Ben Jonson11. Ma erano proprio questi gli anni in cui prendevano forma le Cinque storie ferraresi, date alle stampe nel 1956 nella versione «rivista e corretta» presso l’editore Einaudi. Già nel marzo gli accordi con la casa editrice erano stati siglati, e il 24 maggio lo scrittore ne stringeva in mano i primi esemplari, stampati con una tiratura totale di 3 000 copie. L’edizione venne presumibilmente approntata in modo celere proprio per poter garantire la partecipazione al Premio Strega. Il carteggio intrattenuto in questi mesi febbrili con i diversi redattori della casa editrice Einaudi dimostrano il grande impegno e le non comuni doti organizzative dello scrittore, che pretese una distribuzione capillare e pronta, già in previsione della vittoria; così Armando Vitelli, redattore Einaudi, canzonava amichevolmente Bassani: «Vedo che oltre che un fine letterato sei anche un organizzatore e un attivista nato; singolare ambivalenza»12. La raccolta si aggiudicò il Premio Strega in quello stesso anno, ottenendo un grande successo, comprovato dalle ben tre ristampe che si succedettero in pochi mesi. La notizia della vittoria ebbe una grande risonanza: piovvero da ogni parte le lettere e i telegrammi recanti rallegramenti e congratulazioni per il premio ottenuto. Rinvigorito dall’importante riconoscimento, Bassani si mostrò ancor più esigente verso la casa editrice, con continui suggerimenti e lamentele neppure troppo velate, se echi di esse sono rinvenibili non solo nelle lettere di Bassani, conservate nell’Archivio della casa editrice Einaudi, ma anche in quelle di Vitelli e dello stesso Giulio Einaudi (che lo rassicurò personalmente sul fatto che «gli

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inconvenienti […] lamentati sarebbero stati ridotti al minimo») 13. Molto interessante la missiva con cui Armando Vitelli risponde alle sollecitazioni a far meglio dello scrittore, ma al contempo lo incita a proseguire sulla strada intrapresa, in cui sembrava aver rinvenuto la sua vena narrativa più congeniale e profonda: «Anche io sono d’accordo con Cecchi perchè tu continui a raccontare Ferrara. Ti è possibile? Ad ogni modo non far dire di te che sei quello dei due racconti e mezzo per lustro. Adesso hai una bella responsabilità ma sono certissimo che non la eluderai»14.

8 La pazienza dell’autore fu messa in realtà a dura prova, dal momento che diverse grandi città erano rimaste sguarnite di copie delle Cinque storie, sempre più richieste dopo lo Strega, soprattutto considerando che la metà della prima tiratura era già stata venduta ancor prima che il Premio giungesse. Pertanto, neppure le rassicurazioni dello stesso Giulio Einaudi soddisfecero le aspettative dell’autore, se in una cartolina datata 8 gennaio 1957 scriveva ancora a Vitelli: «Bada, sto scrivendo un romanzo che sarà quasi certamente un capolavoro […]. Ma se non vedrò che trattiate un po’ meglio i vostri ed i miei interessi, sarò perfino capace di venderlo a Garzanti»15: è certamente questo un cenno dell’autore al cantiere del suo primo romanzo, Gli occhiali d’oro.

9 Come è già emerso abbastanza chiaramente, Bassani fu un uomo assai energico e intraprendente; parimenti rapida e incalzante, quindi, fu la campagna per la diffusione all’estero; evidentemente l’autore aveva investito molto nella concreta aspettativa che lo Strega agisse come cassa di risonanza anche fuori d’Italia. La più antica richiesta attestata, pervenuta a Bassani già nel luglio del 1956, proveniva dalla Svezia, nello specifico dalla traduttrice e agente letteraria Karin De Laval, la quale aveva scritto direttamente all’autore chiedendogli di premere affinché l’incarico della traduzione del volume le fosse affidato; Luciano Foà rispose a Bassani spiegando che il più grande limite dato dalla collaborazione della De Laval consisteva nel fatto di «vincolare il collocamento dei diritti al fatto che la traduzione fosse affidata a lei», confondendo quindi «il mestiere di agente letterario con quello di traduttrice»; considerazione che aveva indotto la Einaudi ad affidare la rappresentanza esclusiva a un’altra agente letteraria svedese, Karin Alin. Allo stato attuale delle nostre ricerche, tuttavia, pare che le Cinque storie ferraresi non siano mai state pubblicate in Svezia.

10 Molto più concreto dovette sembrare a Bassani il progetto di pubblicazione negli Stati Uniti, per il quale si adoperò energicamente e a lungo. La traduzione di uno dei racconti, Una notte del ’43, era stata approntata da Raymond Rosenthal, già collaboratore di «Botteghe oscure», «per suo conto», come sostiene lo stesso Bassani16, ma certo con desiderio di autopromozione, e non senza il consenso (o l’incitamento) della Caetani; quest’ultima aveva interpellato Blanche Knopf, presidentessa della casa editrice statunitense Alfred A. Knopf Inc. (fondata nel 1915 con il marito Alfred Knopf) con la quale intratteneva una stretta amicizia; dopo meno di un mese, Bassani scriveva a Foà: Pare che Knopf, l’editore americano, abbia intenzione di prendere il mio libro. Vorrebbe però che io gli procurassi il volume già tradotto. […] L’amico traduttore disposto a ciò (ha già tradotto per suo conto, e benissimo, Una notte del ’43) si chiama Raymond Rosenthal e vive a Roma. Il suo nome è perfettamente gradito anche a Knopf17.

11 Del tutto comprensibili le perplessità di Foà, il quale fece notare a Bassani come fosse un «modo di comportarsi singolare» chiedere di far eseguire l’intera traduzione prima di decidere se pubblicarlo o meno, soprattutto considerata l’esistenza della traduzione già approntata di un intero racconto. Ma non è peregrina l’ipotesi che Bassani, volitivo com’era e profondamente consapevole del valore della propria opera, abbia in questa

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occasione cercato di forzare un po’ gli eventi. I punti salienti della vicenda sono presto riassunti: in un primo momento una lettera ricevuta dalla segretaria della Knopf, Eleanor French, informò Bassani che l’editrice aveva ricevuto una copia delle Cinque storie inviata da Curtis Brown (agente letterario della Einaudi operante negli Stati Uniti) per iniziativa di Erich Linder, e che sarebbe stata «most happy to see the translation by Mr. Raymond Rosenthal of the last story, A Night in ’43»18; a ciò seguì un promettente incontro a Parigi. Ma la risposta definitiva, giunta in tempi relativamente brevi, era stata, inaspettatamente, assai «scoraggiante»19, come eufemisticamente la definì la Caetani, inviando contestualmente a Bassani la lettera recante il parere della Knopf, che qui si riporta per intero data la sua rilevanza: August 2, 1956 Dear Marchesa Caetani, Thank you so much for sending me Bassani’s book of short stories which I think are excellent, beautiful writing and in every way shows what he is capable of. I don’t think we can publish these short stories now and what Bassani should do and I hope will is write a novel which I would be very surprised if we did not want to publish. And once he’s made his reputation with this we can take up the question of the short stories which are extremely difficult to sell in this country. I realize that short stories both in France and in Italy are much more acceptable than here, but on this side short stories are immediately against any possible sale and would only curt the novel when it comes out. Therefore, I suggest and I hope you will show this letter to Bassani, that he go [sic] ahead with his book. […] But I would hate to see him sell this book of short stories elsewhere now. It would only hurt him. Again I repeat not because of the quality which is fine but because they are short stories. Will you let me hear from you? I am leaving on Monday for the South of France but only for three weeks and any letter that you send to this office will either be forwarded to me or be taken care of. I’m holding the book here in the meantime. With all my good wishes and thanks and looking forward very much to our meeting in the autumn and to hearing that Bassani is willing to do this, Yours always, Blanche W. Knopf20

12 Come si può leggere, la decisione della Knopf, per quanto estremamente gentile e poco formale, si presentava come inappellabile. Incrociando le testimonianze giunteci, si spiega altresì come Bassani non potesse rassegnarsi facilmente di fronte a una valutazione così favorevole nell’insieme, che tuttavia non si risolveva felicemente; e forse ritenne di poter vincere la ritrosia dell’editrice inviando la traduzione dell’opera completa, o, ancora, che una traduzione completa già approntata potesse accelerare l’accordo con un «altro editore americano»21. Un anno più tardi, un nuovo incontro con la Knopf faceva rinascere le speranza in Bassani, che scrisse alla Caetani: «Mi ha scritto da Parigi Blanche Knopf, immagino per suo suggerimento. Grazie di cuore. L’importate signora sarà qui l’11, e ci resterà fino al 17. L’attendo a piè fermo, con la traduzione di Rosenthal in mano»22.

13 Ma l’intraprendenza di Bassani non si limitava a cercare di sfruttare al massimo le occasioni che gli si presentavano: egli lavorava alacremente anche per crearne di nuove; di fronte all’ennesima sollecitazione riguardante le Cinque storie, Foà rispondeva: «finora nessuna offerta ci è pervenuta. Con gli editori esteri bisogna armarsi di pazienza; è molto difficile che un libro sia collocato entro tre o quattro mesi dalla pubblicazione»23. Ma, nonostante il risoluto responso proferito, un suggerimento era giunto proprio dalla editrice americana Knopf, che aveva notato come le «short stories both in France and Italy are much more acceptable than here»; sicuramente grazie al

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suo interessamento, infatti, Bassani contattò Mrs. Bradley, amica della suddetta e agente letteraria residente in Francia. Bassani incontrò a Roma le due donne, informandone subito la Caetani: «Ho consegnato alla signora Bradley, che la leggerà subito, la traduzione del mio libro fatta da Rosenthal. Tanto la Bradley che la Knopf mi sembrano molto ben disposte nei miei riguardi. Speriamo bene»24.

14 Proprio per cercare di agevolare il più possibile questa seconda possibilità, nello stesso periodo Bassani scrisse per la prima volta direttamente a Erich Linder, direttore dell’Agenzia Letteraria Internazionale25 e agente di Einaudi per i diritti di traduzione all’estero, trovando infatti opportuno comunicargli di aver affidato, «sia pure verbalmente […] l’incarico […] di fare pubblicare il libro in Francia e in Inghilterra»26 alla signora Bradley. Il rapporto si avviò nel segno di una forte diffidenza, dovuta al fatto che Bassani non aveva mai ricevuto prima d’allora nessuna offerta; le parole piuttosto dure inizialmente impiegate27, vennero tuttavia dimenticate non appena l’autore poté, approfondendone la conoscenza, saggiare la competenza del direttore dell’ALI, soprattutto in situazioni delicate: il carteggio fa risaltare appieno la potente personalità, la fermezza del carattere, la professionalità di Erich Linder, grazie alle quali egli riuscì in breve tempo ad accaparrarsi la completa fiducia di uno scrittore pur esigente come Giorgio Bassani.

15 L’analisi commerciale compiuta da Mrs. Knopf era sostanzialmente corretta: se le Cinque storie ferraresi erano state frenate, nella loro diffusione, dal genere novellistico, commercialmente poco appetibile, cui appartenevano, pure avevano creato una forte attesa tra gli specialisti del settore; ecco perché la pubblicazione del nuovo romanzo, Gli occhiali d’oro, uscito sempre presso Einaudi nei primi mesi del 1958, suscitò immediatamente una pioggia di richieste di pubblicazione all’estero. Il primo ad attivarsi fu il prestigioso editore francese Gallimard, che inviò una proposta a Bassani battendo di poco sul tempo un altro editore francese, Les Éditions du Seuil. Ciò comportò per l’autore la difficoltà di scegliere tra i due, aiutato però da un consigliere d’eccezione, che parteggiava per Seuil: Italo Calvino28. A quest’ultimo Bassani scrisse una cartolina che dimostra quanto tenesse al parere dell’amico, sebbene, come dirà apertamente in una successiva lettera a Foà, preferisse Gallimard per il fatto che garantiva alle opere «una circolazione praticamente mondiale»29. Nella stessa lettera Bassani pone, quasi colto da un presentimento, una questione fondamentale, quella della ricerca del traduttore migliore: «Sono convinto che il successo del libro sia legato strettamente a una buona traduzione»30. Ancora nell’agosto del ’58 giunsero le proposte dell’editore inglese Faber & Faber e dell’americano Harcourt Brace, seguite nel dicembre dal tedesco Piper. Bassani rispose con entusiasmo: Sono al settimo cielo dalla felicità. Le tue notizie, che arrivano una dopo l’altra, mi danno la sensazione di essere un vero scrittore internazionale. […] Sono assolutamente d’accordo circa la Harcourt Brace di New York. Ho avuto anche un’altra proposta, tramite Raymond Rosenthal, che, come sai, ha già tradotto le Cinque storie ferraresi, dall’editore McGraw Hill31.

16 Il romanzo Gli occhiali d’oro fu la prima opera di Bassani pubblicata all’estero: in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nella versione di Isabel Quigly nel 1960, nello stesso anno in Germania tradotta da Herbert Schlüter. Ma la firma del contratto (Bassani l’avrebbe presto constatato) non significava affatto una pronta e soddisfacente conclusione del percorso editoriale. Due questioni in particolare, come emerge dall’analisi dei carteggi, si trascinarono a lungo: la pubblicazione del volume francese Les lunettes d’or et autres

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histoires de Ferrare32 presso l’editore francese Gallimard, e quella di The Garden of the Finzi-Continis per la Atheneum Publishers di New York.

17 Per l’edizione francese Bassani aveva immediatamente scritto a Paul-Henry Michel, sperando che accettasse di incaricarsi della traduzione. Dinanzi al rifiuto di quest’ultimo, Gallimard incaricò una certa Madame Mireille Rose (che Bassani si ostinò sempre, probabilmente con ironia, a chiamare Rosé); ma la lettura della traduzione gelò lo scrittore: questa risultava «inaccettabile». Linder venne immediatamente messo al corrente della questione: Colgo l’occasione per dirle che ho rifiutato la traduzione francese delle Storie ferraresi, che avrebbero dovuto, come sa, uscire da Gallimard. La traduzione era semplicemente infame, una vera e propria falsificazione, tale che, se fosse uscita, mi avrebbe precluso ogni futura possibilità in Francia. […] La traduttrice del mio [libro], madame Mireille Rosé, è una brava signora che prima d’ora non aveva mai fatto nessun lavoro del genere. Naturalmente, messa a confronto con un testo di quella difficoltà, ha combinato un incredibile pasticcio. […] Tengo ad avvertirla che sono deciso a fare qualsiasi cosa per impedire che le Storie ferraresi vengano fuori in simile veste33.

18 Allegata alla lettera sopra riportata si trova, conservata oggi nell’Archivio dell’ALI, anche una copia della lunghissima lettera inviata a Michel Mohrt, redattore della casa editrice Gallimard; in essa Bassani motiva il rifiuto della traduzione, illustrando dettagliatamente i grossolani errori compiuti dalla «femme charmante, qui de sa vie n’a traduit un livre». La lettera rappresenta un documento di eccezionale importanza, sia per le informazioni che adduce sulla delicata operazione di traduzione, sia perché in essa Bassani compie, servendosi del confronto con il testo in oggetto, un’interessantissima analisi delle caratteristiche della propria prosa, definita «lyrique» ma al contempo «fort logique». Il primo e più grave problema che la traduzione presentava era rappresentato dall’indebito passaggio dal discorso indiretto libero al discorso diretto, su cui l’autore si sofferma lungamente, spiegando la peculiarità e l’importanza del primo all’interno del proprio stile e i riverberi sull’interpretazione stessa della realtà affidata ai propri racconti: Il s’agit là d’une caractéristique fondamentale de mon style, caractéristique qui me permet de donner une représentation de la réalité extrêmement nuancée et ductile. De cette façon, le dialogue est presque toujours évité, afin, précisément, de mieux sauvegarder le réalisme. Le narrateur tient, dès la première ligne, tous les fils du récit, et ne veut surprendre le lecteur que par une interprétation à la fois critique et lyrique des faits. Le discours indirect s’étend et se développe parfois le long de plusieurs pages, quand il ne s’agit pas d’entiers chapitres. À la rigueur pourrait-on soutenir que tout le livre, tous les récits ne sont que de long discours indirects, où les rares dialogues constituent seulement des citations fortuites, qui servent à épauler les perpétuels raisonnements sur les sentiments et les choses.

19 Non siamo in possesso del testo originale di Madame Rose, ma Bassani inserisce una corposa serie di esemplificazioni, che ci consentono di verificare, in parte, le sue osservazioni: 1) Lida Mantovani, p. 41 (traduction): « Je sais bien, semblait-il vouloir dire, qui est le père de cet enfant … etc. À mon avis, il aurait fallu traduire : Oui, lui le savait parfaitement, semblait-il vouloir dire, qui avait été le père de cet enfant. Il savait tout. Il croyait à la sincerité de la passion juvénile qui l’avait poussée à se donner, à se perdre, il connaissait la douleur qui lui en était venue … etc.

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20 In secondo luogo, viene rimarcato «l’usage arbitraire et capricieux des verbes, qui d’une manière plus profonde et continue fausse les perspectives des temps» e il ritmo della frase, ottenuto attraverso un sapiente uso della punteggiatura e della paragrafatura, oltre che dei tempi verbali: «l’un des traits caractéristiques de ma prose est le sens du rythme. M.me Rosé a mis sens dessus dessous chaque page, n’y respectant ni la ponctuation ni surtout les alinéas»; il mancato rispetto di tali caratteristiche del testo originale da parte di «M.me Rosé» ha comportato un appiattimento dei piani temporali, conseguendo un risultato «catastrophique», e un testo «tassé comme de la chair à saucisse». In ultimo, l’autore segnala anche dei veri e propri fraintendimenti lessicali, e le intromissioni della traduttrice, che di propria iniziativa, considerando l’autore troppo «pédant, prolixe et ennuyeux, […] abrège, bouleverse, allonge, au point d’oublier parfois l’original !».

21 Per quanto Bassani fosse un uomo esigente e fors’anche difficile da trattare, pure le sue osservazioni, qui riassunte, non appaiono eccessive o peregrine. Ciononostante, il confronto sfociò nell’aperta polemica, come si può leggere nella risposta di Michel Mohrt, conservata nell’archivio dell’ALI di Milano (e quindi inviata per conoscenza a Erich Linder, ormai consigliere fidato di Bassani); la lettera di Mohrt, quasi altrettanto lunga e circonstanziata, da un lato ricusa di aver imposto la Rose a Bassani, e riconosce che «Madame Rose a pris avec votre texte des libertés parfois trop grandes; notamment je la blâme d’avoir remplacé le discours indirect par un discours direct» e che «il y a des cas où Madame Rose aurait pu obtenir le même résultat sans altérer autant votre texte»; dall’altra, però, giustifica l’accaduto forse con un po’ troppa indulgenza, sostenendo che «comme il vous arrive quelquefois à vous-même d’introduire dans le discours indirect quelques phrases en discours direct, elle s’est crue autorisée sans doute à en ajouter», e che la traduzione è, nonostante tutto, «écrite dans un français excellent»; Mohrt rifiuta inoltre decisamente il saggio di traduzione di Pressac inviatogli contestualmente da Bassani, definendolo un «mot à mot absolument impubliable, et la plupart du temps illisible». Ancora più interessante il prosieguo della lettera, in cui il redattore di Gallimard amplia il discorso fino a porre una questione generale, riguardante l’«arte del tradurre»: Le lecteur français ne va pas faire ce que vous faites d’une façon inlassable, c’est-à- dire confronter le texte original et la version française. Ce que demande le lecteur français, c’est un texte agréable à lire, qui ne sent pas la traduction. Autrement dit, le traducteur doit interpréter son texte pour en donner une autre version, conforme au génie d’une autre langue que la langue originale. Cela ne peut pas être obtenu par le mot à mot. […] La fidélité n’est qu’un des éléments d’une bonne traduction, et sans doute pas le plus important. Le plus important, c’est que le texte de la traduction soit agréable à lire.

22 La proposta di Mohrt consisteva, in definitiva, nel correggere il testo della Rose, magari con l’aiuto di Bassani stesso, che si prendesse «la peine de lui signaler trois ou quatre exemples en lui disant dans quel sens vous souhaitez qu’elle travaille», mentre Bassani aveva più volte ribadito la propria irremovibile opposizione alla traduzione Rose. Pur adottando tutte le precauzioni del caso, e senza alcuna intenzione di elevare questo episodio a caso tipico, la vicenda può essere d’aiuto nell’analisi dei rapporti tra Bassani e la casa editrice Gallimard, e indurre, al contempo, una riflessione sulla politica editoriale che Gallimard adottò nei confronti delle Cinque storie ferraresi. Se da un lato può apparire fondata l’ipotesi avanzata di Vincent Raynaud34, che la difficile collocazione ideologica di Bassani lo rendesse un autore non particolarmente gradito, è

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pur vero, e le lettere lo testimoniano, che Bassani fu letteralmente «corteggiato» dall’editore francese; non si può poi non paragonare tale modo di procedere con quello di un’altra casa editrice, come la Barral Editores, poi Seix Barral, che facendo affidamento proprio sulla limitatezza della lettura critica dei censori, che non consentiva loro di cogliere il carattere nuovo, quasi eversivo delle opere di Bassani, tentò di aggirarla, perseverando a lungo nel tentativo di ottenere il nulla osta alla pubblicazione35. È quindi comprensibile e forse addirittura condivisibile la percezione, che Bassani certamente ne derivò, di essere stato ridotto, lui che si definiva «il contrario di un autore naturalista, (di uno scrittore, cioè, che crede alla realtà oggettiva)», a «una specie di autore di romanzi d’appendice!». La vicenda qui brevemente riassunta comportò ovviamente un ritardo nella pubblicazione del volume, che infatti uscì solo nel 1962, tradotto da Michel Arnaud36.

23 Con la data impressa del 9 febbraio 1962 uscì per la casa editrice Einaudi Il giardino dei Finzi-Contini. Il romanzo riscosse immediatamente un enorme successo, vendendo centomila copie in cinque mesi e aggiudicandosi l’importante riconoscimento letterario «Premio Viareggio». Nell’aprile dello stesso anno Giorgio Bassani volò negli Stati Uniti dove avrebbe dovuto discutere le condizioni della pubblicazione con Atheneum Publisher; l’accordo fu prontamente raggiunto, come dimostra un telegramma entusiasta inviato congiuntamente da Bassani e Simon Bessie da New York: «Talked today all agreed regards / Bassani Bessie»37. Ma ancora una volta approntare una degna traduzione del romanzo si rivelò un ostacolo quasi insormontabile. Il giardino dei Finzi- Contini era già stato tradotto in Inghilterra per Faber & Faber da Isabel Quigly, ma la traduzione, si evince da una lettera di Simon Bessie, dopo una lunga consultazione che aveva coinvolto Bassani, Linder e lo stesso Bessie, non era stata considerata adeguata, anche se, in questo caso, non siamo in possesso di informazioni dirette sui difetti riscontrati nella traduzione. Sin da subito viene proposto il nome di come nuovo traduttore, ma purtroppo questi, che era legato da lunga e profonda amicizia a Bassani, non poté accettare a causa di impegni presi precedentemente. Dopo un lungo periodo di incertezza e dubbi, finalmente la traduzione Quigly fu sottoposta alla revisione di Cornelia Schaefer, che la trovò buona: le correzioni apportate si concentravano tutte nelle prime cento pagine, segno che, come scrive Linder, «la signorina Quigly aveva trovato una più equilibrata misura nel tradurre, con il procedere del lavoro». L’opinione di Linder, presumibilmente condivisa da Bassani, è che «il rischio più forte», ossia di «una traduzione manchevole» che impedisse di apprezzare l’opera, fosse scongiurato, e che la versione inglese avesse «nei limiti del possibile, tutta la precisione e tutte le necessità stilistiche dell’originale»: fu pertanto deciso di accettare la traduzione Quigly. Il 28 maggio del 1965, Bassani ne ricevette la prima copia. L’edizione americana ottenne molte recensioni positive, come dimostrano le numerose lettere inviate sia tramite Linder che dall’editore stesso.

24 Ma ormai la fama dello scrittore aveva travalicato i confini nazionali: Il giardino dei Finzi- Contini venne pubblicato anche in Svezia, presso l’editore Albert Bonniers di Stoccolma, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Olanda, Israele. Molto interessante la lettera in cui Bassani, in una lettera indirizzata a Abe Runnquist della casa editrice svedese, critica la scelta del titolo Il giardino perduto, per il fatto che «assomiglia troppo al “Tempo perduto” di Proust, ed io, nonostante le apparenze, non sono affatto proustiano». Non tardò la risposta in cui l’editore sottolineava che «il titolo svedese non riconduce all’opera di Proust, in quanto la parola “förlorad” [perduto] non è utilizzata nel titolo

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svedese dell’opera proustiana». Nell’autunno dello stesso anno Bassani compì un lungo viaggio nei paesi del nord, per promuovere il suo romanzo e tenere un ciclo di conferenze e letture.

25 Più difficile la penetrazione delle opere di Bassani nei territori di area comunista. Nonostante ciò, Il giardino dei Finzi-Contini fu pubblicato in Ungheria e in Polonia; del lavoro di traduzione in lingua polacca rimane una preziosa testimonianza nella lettera della traduttrice Jadniga Gaturska, che nel marzo del 1964, pochi mesi prima dell’uscita del libro, scrive direttamente all’autore per domandargli alcuni chiarimenti utili alla revisione finale. L’eco del successo delle opere di Giorgio Bassani giunge addirittura in Russia, anche se tardivamente, nel 1970: lo scrittore riceve una proposta di traduzione riguardante sia Il giardino che Gli occhiali d’oro. Ma i progetti avanzati rimasero tali, e l’unica opera bassaniana pubblicata nell’ex Unione sovietica rimase a lungo il racconto Una notte del ’43, uscito con la traduzione di Lev Verscinin in una antologia di autori italiani del XX secolo38.

26 Nel 1964 fu pubblicato, sempre presso Einaudi, il nuovo romanzo Dietro la porta. Il successo mondiale era ormai consolidato, e i rapporti con le case editrici estere già stretti: non si trattava che di rivedere le condizioni contrattuali e procedere con la traduzione. Mentre il traduttore storico e unico delle opere di Bassani in Germania, Herbert Schlüter, appronterà anche la traduzione di Dietro la porta, Michel Arnaud, il traduttore francese, rifiuterà, perché sobbarcato dal lavoro, di portare a termine quest’altra impresa; ma sarà lui stesso a suggerire come nuovo traduttore Gérard Genot, studioso di lingua e cultura italiana e traduttore anche della Giornata di uno scrutatore, di Italo Calvino.

27 Nel 1968 Giorgio Bassani diede alle stampe per i tipi di Mondadori L’airone, ultimo romanzo, insignito l’anno successivo del prestigioso premio letterario «Campiello», messo in palio dagli industriali veneti. Anche questo romanzo ebbe diffusione mondiale, forse anche in misura maggiore rispetto ai precedenti; nello stesso anno Bassani dovette nuovamente affrontare la spinosa questione di una nuova traduzione inglese del Giardino dei Finzi-Contini; le lettere dell’archivio dell’ALI giacenti presso la Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori di Milano ci permettono di ricostruire, in parte, la vicenda: scartata nuovamente l’ipotesi di attendere che William Weaver si dedicasse al lavoro di traduzione, Giorgio Bassani procurò diversi saggi di traduzione, affidati a un tale Melchiori (un appunto di mano di Bassani reca «B. Melchiori»; ma si tratta probabilmente di Giorgio Melchiori, un traduttore allievo di Mario Praz) e a Vivian Wolbach, «ex moglie di Mario Praz», entrambi considerati insoddisfacenti. Finalmente lo scrittore si arrese all’idea di attendere la traduzione di Weaver, già traduttore de Gli occhiali d’oro nel 1963, e a cui si deve anche la prima edizione americana delle Storie Ferraresi, con il titolo Five stories of Ferrara (1971), presso la casa editrice Harcourt Brace Jovanovich di New York.

28 L’ultima opera pubblicata vivente l’autore è L’odore del fieno, una raccolta di racconti uscita per Mondadori nel 1972. Contemporaneamente maturò nell’autore il desiderio e quasi l’urgenza di procedere ad una profonda revisione formale di tutte le proprie opere; la seconda edizione delle Cinque storie ferraresi, intitolata Dentro le mura, fu riunita, insieme ai quattro romanzi e all’ultima raccolta di racconti, sotto un unico titolo: Il romanzo di Ferrara. Anche questa edizione completa ha conosciuto una buona diffusione mondiale.

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29 Di estremo interesse la lettera che il poeta ricevette da Linder nel medesimo anno; in essa il direttore dell’ALI riferiva di una discussione intrattenuta con Helen Wolff (editor della Harcourt Brace Jovanovich) incentrata sul piano editoriale delle opere di Giorgio Bassani negli Stati Uniti: secondo Linder la casa editrice Harcourt Brace si era impegnata a creare una sicura piattaforma per la diffusione delle opere di Giorgio Bassani negli Stati Uniti, che avrebbe potuto essere resa «più fragile» dalla pubblicazione di una seconda raccolta di romanzi, cioè L’odore del fieno, dopo Dietro la porta. A distanza di quasi vent’anni, Bassani si vide nuovamente sbarrare la strada dalla «ragione (non valida letterariamente ma valida, purtroppo, negli Stati Uniti sul piano commerciale) che si tratta di un libro di racconti». La strategia commerciale proposta consisteva quindi nell’«attendere il nuovo romanzo, che [la Wolff] pubblicherebbe subito, e a cui farebbe seguire L’Odore del fieno e subito dopo, Gli occhiali d’oro [ristampa]». Ma forse Bassani sapeva in cuor suo che «il nuovo romanzo» non sarebbe più stato scritto.

30 Comparando le dinamiche di diffusione de L’odore del fieno con quella delle Cinque storie ferraresi, si nota in effetti una notevole somiglianza; anche L’odore del fieno fu tradotto in tempi brevi nei principali paesi Europei: immediatamente in Inghilterra, nel 1974 in Spagna e Germania, nel 1979 in Francia; ma sbarcherà negli Stati Uniti solo con la nuova traduzione (la terza in lingua inglese) promossa dall’importante casa editrice Penguin e curata dal poeta e scrittore inglese Jamie McKendrick, avviatasi nel 2007 con The Garden of the Finzi-Continis.

31 Nel centenario della nascita, la fama dello scrittore ferrarese continua a crescere. Anche la sua produzione poetica viene oggi riletta e studiata con rinnovato interesse, e tradotta in nuovi paesi, come dimostra la pubblicazione nel 2008 di Z rimo in brez, la traduzione in lingua slovena di una scelta di liriche bassaniane; e quella, avvenuta per la prima volta nel 2014 in Cina, del Giardino dei Finzi-Contini (ma anche in Russia, come si è visto, e ancora in Thailandia e in Corea). Nel ripercorrere questa appassionante storia, i carteggi si rivelano una fonte preziosa di informazioni e consentono, come si è visto, di seguire da vicino le dinamiche dell’operazione editoriale, delineando la fisionomia di un autore estremamente esigente, intento a sorvegliare personalmente l’intero processo al fine di scongiurare il pericolo che la trasposizione linguistica potesse tradire l’opera, o che la letterarietà del testo venisse subordinata a una presunta «leggibilità».

32 La questione qui posta in esame si riverbera in maniera interessante sull’insieme degli studi bassaniani, in quanto affronta, in maniera neanche troppo indiretta, il tema del «successo» delle opere di Bassani, e induce ad interrogarsi sulle cause di esso; allo stesso tempo sfiora la questione, ancora aperta, della valutazione critica non sempre positiva (per usare un eufemismo) a lui contemporanea. Il successo delle opere bassaniane è stato infatti costantemente imputato all’autore come la misura e in qualche modo il segno più evidente del carattere «popolare» della sua scrittura. In una intervista pubblicata sul «» nel 196439, pochi giorni prima dell’uscita di Dietro la porta, Bassani si sentiva porre questa capziosa domanda: «Credete che il successo del vostro romanzo [Il giardino dei Finzi-Contini] abbia delle ragioni che vanno al di là, per così dire, dell’esempio che rappresenta?»: il giornalista insinuava così pesantemente che il successo del romanzo fosse sproporzionato rispetto al valore del romanzo stesso, e da attribuirsi a ragioni estrinseche. Ma Bassani elegantemente rispondeva: «È fuor di dubbio, certissimo, che il successo del Giardino ha dietro ragioni

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che vanno oltre il mio “merito personale”. Io valgo molto meno del Giardino dei Finzi- Contini».

33 Ma tra le ragioni del successo estero delle opere di Giorgio Bassani è, a parer mio, senz’altro da annoverare l’innata e per niente scontata apertura mentale di un autore che si rivolge sin dal principio, intenzionalmente, ad un pubblico mondiale, che vuole parlare a tutti (ed è superfluo sottolineare quanto di manzoniano vi sia in questa idea): non solo attraverso l’uso di una lingua «media» che abolisse programmaticamente le barriere tra letteratura «colta» e letteratura popolare, ma con la volontà precisa di affidare alle proprie opere un messaggio che dalla specola di una piccola città di provincia si rivolgesse ai cittadini dell’intero mondo occidentale; in una intervista rilasciata a Roberto Bonetti per la «Voce Repubblicana» nel 1984, intitolato non a caso L’Europa della cultura e della ragione Bassani confessava infatti: «Nel romanzo di Ferrara c’è il mio messaggio all’Europa, il senso profondo del mio impegno morale e civile»; e ancora, a proposito dell’America, in cui, come si è visto, Bassani tentò con tutte le sue forze di essere conosciuto, pronunciava parole che suonano oggi inquietanti, nel loro essere quasi profetiche: Dobbiamo vedere l’America come un esempio da correggere: è più avanti di noi sulla strada dell’industrializzazione totale, anche perché è un paese semplice, meno ricco delle infinite complessità europee. Ma è il frutto nostro, l’erede della nostra cultura e della nostra tradizione […]. Tutti, americani ed europei, siamo nati qua, da questa parte dell’Atlantico, ma noi siamo più vicini alle radici, che sono anche loro. Difendere queste radici dalla barbarie di un mondo che considera l’uomo come un semplice oggetto da consumare, è il nostro compito comune.

NOTE

1. Cfr. I libri di Giorgio Bassani: traduzioni, tradizioni, negoziazioni (catalogo della mostra tenuta a Ferrara da novembre a gennaio 2016), a cura di R. Cupo, Bologna, Pendragon, in corso di stampa. Tutte le edizioni straniere reperite (più di duecento) sono visionabili consultando la mostra virtuale I libri di Giorgio Bassani nel mondo, a cura di R. Cupo, al seguente indirizzo: . 2. G. Bassani, In risposta (II), in Di là dal cuore, Milano, Mondadori, 1984. 3. Lettera di Giorgio Bassani a Giulio Einaudi dell’8 gennaio 1964, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino). 4. «Se nel primo numero di “Botteghe oscure” […] mi ripresentai narratore non fu tanto per obbedire al richiamo di una vocazione espressiva ineluttabile, […] quanto per corrispondere all’attesa, affettuosa e imperiosa insieme, di una persona amica» (G. Bassani, Laggiù in fondo al corridoio, in L’odore del fieno, Milano, Mondadori, 1972). 5. «An Anthology of New Italian Writers», Roma, 1950, che presentava direttamente in traduzione inglese una scelta di opere già edite su «Botteghe oscure»; di Bassani (contrariamente a quanto avvenne per gli altri autori) furono pubblicate sia alcune liriche (con il titolo Poems) che un racconto, Love story; tutti i testi furono tradotti da William Weaver (Introduzione di Stefania Valli a La rivista «Botteghe oscure» e Marguerite Caetani: la corrispondenza con gli autori italiani, a cura di S. Valli, Roma, L’erma di Bretschneider, 1999, pp. 11 e 65).

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6. Lettera di Margaret Bottrall a Giorgio Bassani s.d., ma collocabile tra il settembre e l’ottobre del 1951 grazie al riferimento all’«inizio dell’anno scolastico» (Bassani aveva ottenuto un incarico al Liceo di Napoli) e all’uscita dell’VIII numero di «Botteghe oscure», Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 7. Bassani si riferisce qui alla precedente apparizione di Love story; la stessa Bottrall, in una precedente missiva, aveva informato Bassani della «notizia dell’Antologia pubblicata in un numero recente del Times Literary Supplement, con un’allusione molto favorevole alla sua novella, Storia d’amore» (lettera del 29 maggio 1952, Archivio Giorgio Bassani, Parigi). 8. Ibid. 9. G. Bassani e M. Caetani, Sarà un bellissimo numero. Carteggio 1948-1959, a cura di M. Tortora, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2011, p. 127. 10. Lettera del 29 maggio 1952, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 11. Lettera di Ben Jonson a Bassani dell’11 maggio 1953, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. L’antologia avrebbe dovuto includere racconti di «Alvaro, Buzzati, Soldati, Pratolini, Tecchi, Svevo, Moravia, Berto, Calvino e molti altri». 12. Lettera di Armando Vitelli a Bassani del 5 giugno 1956, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 13. Lettera del 26 luglio 1956 di Giulio Einaudi a Bassani, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 14. Lettera di Armando Vitelli a Bassani del 24 luglio 1956, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 15. La minaccia era tra l’altro stata più volte reiterata: «Non sperare di ingelosirci dicendo che Garzanti chissà cosa avrebbe fatto» (lettera di Armando Vitelli a Bassani del 24 luglio 1956, Archivio Giorgio Bassani, Parigi). 16. Lettera di Bassani a Foà del 5 ottobre 1956, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino. 17. Ibid. 18. Lettera di Eleanor French a G. Bassani del 3 luglio 1956. 19. Lettera di M. Caetani a G. Bassani del 18 agosto 1956, in G. Bassani e M. Caetani, Sarà un bellissimo numero, cit., p. 160. 20. Ibid. 21. Lettera della Caetani a Bassani dell’8 settembre 1956, in G. Bassani e M. Caetani, Sarà un bellissimo numero, cit., pp. 161-162. 22. Lettera di Bassani alla Caetani del 5 luglio 1957, in G. Bassani e M. Caetani, Sarà un bellissimo numero, cit., p. 167. Non è dato sapere per quale motivo, ma evidentemente Bassani pensava di avere ancora ottime possibilità con la Knopf, dal momento che scrive alla moglie: «L’altro giorno è arrivata la Knopf, una grande editrice americana, sessantacinquenne, che dovrebbe stampare il mio libro in America, […] e una sua amica, del pari potente nell’industria editoriale» (lettera del 17 luglio 1957, Archivio Giorgio Bassani, Parigi). 23. Lettera di Luciano Foà a Bassani del 17 ottobre 1956, Archivio Giorgio Bassani, Parigi. 24. G. Bassani e M. Caetani, Sarà un bellissimo numero, cit., p. 171. 25. L’ALI, fondata a Torino nel 1898 da Augusto Foà, con lo scopo di favorire la diffusione degli autori stranieri in Italia, inizia ben presto a svolgere anche la funzione complementare di facilitare i contatti e gli accordi tra gli autori italiani e le case editrici estere. Dal 1946 l’ALI passa sotto la direzione di Erich Linder, destinato ad essere un personaggio di eccezionale rilievo nel panorama culturale italiano. 26. Lettera a Linder del 7 agosto 1957, Archivio dell’Agenzia Letteraria Internazionale, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano (d’ora in poi Archivio ALI, Milano). 27. «Mi sono convinto che Erich Linder e i suoi agenti, nonostante la loro migliore volontà, costituiscono un serio ostacolo alla diffusione del mio libro fuori d’Italia» (lettera a Luciano Foà del 3 dicembre 1957, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino). 28. In quel momento Calvino era editor della casa editrice Einaudi e fu tra l’altro imprescindibile supporto per Bassani durante la pubblicazione delle Storie ferraresi. 29. Lettera di Bassani a Foà del 8 agosto 1958, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino.

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30. Ibid. 31. Lettera a Luciano Foà del 11 novembre 1958, Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino. 32. L’informazione che Bassani comunica di aver ricevuto da Antonini nella cartolina a Calvino sopra citata, circa l’intenzione di Gallimard di pubblicare un unico volume di Storie ferraresi, era corretta: il volume riunì infatti Gli occhiali d’oro e le Cinque storie ferraresi. 33. Lettera di Bassani a Erich Linder del 14 febbraio 1961, Archivio ALI, Milano. 34. Relazione di Vincent Raynaud, L’opera di Giorgio Bassani in Gallimard, passato e presente, convegno I libri di Giorgio Bassani: traduzioni, tradizioni, negoziazioni, Ferrara 15-17 novembre 2016. 35. Come è stato messo in luce dall’interessantissima relazione del prof. Andrea Bresadola, La ricezione di Bassani nella Spagna franchista: traduzioni e censura, tenuta al convegno I libri di Giorgio Bassani: traduzioni, tradizioni, negoziazioni, Ferrara 15-17 novembre 2016. 36. Non si può poi non nutrire il dubbio che la situazione di stallo sia stata superata solo grazie all’uscita del nuovo romanzo di Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, vero e proprio best seller cui Gallimard non avrebbe mai voluto rinunciare. 37. Archivio storico Giulio Einaudi Editore, Torino. 38. Soltanto nel 2008 Il Giardino è stato pubblicato in Russia, seguito nel 2010 dalla prima edizione delle Cinque storie ferraresi, entrambe edite dalla casa editrice Text. 39. Ora edita in G. Bassani, In risposta (II), cit.

RIASSUNTI

Il saggio ripercorre le fasi del successo editoriale delle opere di Giorgio Bassani nel mondo; attraverso l’analisi dei carteggi intrattenuti con editori e traduttori, mette in rilievo da un lato la ferrea volontà dell’autore di far giungere il proprio messaggio intellettuale e morale ad un pubblico il più ampio possibile; dall’altra la cura scrupolosa esercitata nel seguire la delicata operazione di traduzione, al fine di consegnare una versione aderente non solo ai contenuti ma anche e soprattutto alla forma del testo.

This paper reconstructs the international circulation of Bassani’s œuvre. The analysis of Bassani’s correspondence with publishers and translators shows his strong determination to convey his intellectual and moral message to a wide international audience, as well as the scrupulous attention he devoted to the translation process. In his supervision of a translation, Bassani’s consistent goal was to develop a version that was precise, aesthetically valid, and respectful of the formal qualities of the original text.

L’essai suit les étapes du succès éditorial des œuvres de Giorgio Bassani dans le monde. L’analyse des correspondances entre l’auteur, ses éditeurs et ses traducteurs montre non seulement la volonté de Bassani de faire parvenir son message intellectuel et moral à un public aussi large que possible, mais aussi la méticulosité avec laquelle il a suivi le travail de la traduction, dans le but d’obtenir un texte non seulement exact mais aussi respectueux de la forme de l’original et de ses qualités esthétiques.

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INDICE

Mots-clés : traduction, édition, distribution, correspondances, travail éditorial Parole chiave : operazione editoriale, diffusione editoriale, traduzione, carteggi, traduttore Keywords : edition, editorial work, translation, correspondence of writers, translator

AUTORE

ROSY CUPO Università degli Studi di Ferrara

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Un «clásico tímido». Giorgio Bassani in Spagna: dalla Transizione democratica a oggi Un «clásico tímido». Giorgio Bassani en España desde la Transición Democrática hasta hoy Un « clásico tímido ». Giorgio Bassani en Espagne de la Transition démocratique à aujourd’hui

Silvia Datteroni

Osservazioni preliminari: Giorgio Bassani scrittore «einaudito» sotto il franchismo

1 L’avventura editoriale di Giorgio Bassani in Spagna inizia negli anni ’601, quando l’editore catalano Carlos Barral decide di pubblicare l’opera narrativa del ferrarese con il marchio di famiglia Seix-Barral. La corrispondenza epistolare tra l’editore spagnolo e l’agente letterario di Bassani, Erich Linder, conservata presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, ha permesso di ricostruire le tappe principali della vicenda editoriale dello scrittore nella Spagna franchista, orientando una prima riflessione sulla ricezione di Bassani durante la dittatura.

2 Le poche carte a disposizione permettono una lettura lacunosa della vicenda, ma bastano a dimostrare che l’interesse per l’opera di Bassani nasce all’inizio degli anni ’602 e si mantiene approssimativamente per tutto il periodo 1963-1974. La prima opera di Bassani a essere pubblicata in Spagna è El jardín de los Finzi-Contini, uscito nel 1963, e poi ristampato più volte negli anni dalla stessa casa editrice: nel 1968 — quando Barral riceve un’autorizzazione ‘extraoficial’ dello Stato a pubblicare libri in formato economico — e poi di nuovo nel ’73 e nel ’76. Sempre per i tipi di Seix Barral, si pubblica nel 1967 il volume Historias de Ferrara e nel 1969 si dà alle stampe Detrás de la puerta, che nel 1964 era stato rifiutato dalla censura. Nel 1968 esce L’Airone (La garza),

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poi ristampato nel 1970. Infine nel 1974 Seix-Barral pubblica L’odore del fieno (El olor del heno). Nel frattempo, Carlos Barral lascia la casa editrice e nel 1970 fonda Barral Editores. Con il nuovo marchio editoriale, nel 1971, egli pubblica nuovamente le storie ferraresi con il titolo Lida Mantovani y otras historias de Ferrara e nel 1972 Gli occhiali d’oro (Los anteojos de oro) nella collezione tascabile «De bolsillo».

3 Da quanto precede si può dedurre che, nonostante le molteplici pressioni esercitate dalla Oficina de orientación bibliográfica — un organismo che dipendeva dal Ministerio de Información y Turismo, e più comunemente conosciuto come ‘censura’ — l’opera del ferrarese ha potuto filtrare in Spagna durante tutto il periodo franchista grazie all’attività di Seix-Barral, una casa editrice che ha svolto un ruolo importante durante tutti quegli anni difficili. Le ricerche compiute recentemente da Bresadola3 presso l’Archivio di Stato di Alcalá de Henares (Madrid), dimostrano che la censura non è intervenuta troppo severamente sull’opera di Bassani, e non ne ha impedito la pubblicazione, a eccezione di Dietro la porta, inizialmente proibito, ma autorizzato a distanza di alcuni anni. Si può inoltre constatare che gli interventi della censura sono determinati sia da considerazioni ‘morali’, relative al contenuto dell’opera, sia da dinamiche extra-letterarie; fra queste ultime è da segnalare in particolare l’avversione nei confronti dell’editore italiano di Bassani, Giulio Einaudi, considerato come un soggetto pericoloso dal regime franchista e dichiarato ‘persona non grata’ in Spagna. Einaudi aveva infatti solidarizzato con la causa antifranchista pubblicando nel 1962 un’antologia dal titolo Canti della Nuova Resistenza spagnola: 1936-1961, bollata dal regime franchista come un atto di «propaganda sovversiva al servizio dei comunisti»4. L’ostilità verso Einaudi, aggravata dalla sua partecipazione agli Encuentros Formentor come editore engagé, non favorì Bassani, presto identificato come autore einaudiano, o «einaudito»5.

4 È dunque probabile che l’intervento della censura, volto soprattutto a colpire Einaudi, abbia rallentato la ricezione dello scrittore in Spagna; di converso è possibile che l’ammirazione di Barral per l’editore torinese — da lui definito un vero «maestro»6 — abbia contribuito, almeno inizialmente, al suo interesse per Bassani.

5 Durante l’epoca franchista, caratterizzata da una retorica dittatoriale asfissiante e da un controllo assoluto sulla vita culturale del Paese, Giorgio Bassani, come tanti altri scrittori suoi contemporanei, è pubblicato senza troppo successo di critica. Il periodico «La Vanguardia» di Barcellona gli dedica brevi e puntuali articoli, che coincidono per la maggior parte con l’uscita dei suoi libri. Vi si leggono accenni al linguaggio e allo stile dello scrittore, ma non ancora una riflessione sulla sua poetica. Nel 1963, per esempio, l’uscita del Giardino è annunciata in un trafiletto dedicato alle pubblicazioni di Seix- Barral, che menziona la fortuna del libro in Italia e in Francia e la sua «indiscutible calidad»7. Nel dicembre dello stesso anno un articolo del già ricordato Juan Ramón Masoliver è una sorta di recensione al Giardino dei Finzi-Contini. Il critico, che fa riferimento al tono lirico della narrazione e ai ripetuti contatti tra prosa e poesia, sottolinea l’importanza, in Bassani, dei dettagli che «constituyen la atmósfera» e rendono l’istante eterno8.

6 L’attenzione critica verso Bassani crescerà con gli anni. Nel decennio ’60-’70, in una classe intellettuale minoritaria se non clandestina prevaleva l’urgenza di colmare un allarmante ritardo culturale, dovuto al franchismo; di conseguenza, le esperienze straniere che erano inserite nel tessuto culturale spagnolo erano riunite sotto etichette generiche, senza che ne fosse pienamente assimilata la specificità. Al suo ingresso nella

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Spagna di Franco lo scrittore ferrarese non è chiaramente distinto dal neorealismo9. Lo storicismo di Bassani, che scandaglia la storia senza semplificazioni critiche né giudizi stereotipati sui personaggi, è assai lontana dall’ormai agonizzante realismo social10 spagnolo, ma solo in un secondo momento sarà riconosciuto come un esempio idealmente utile dal gruppo intellettuale militante dei letraheridos11.

7 La scrittura memoriale di Bassani, concepita dallo scrittore come un dovere artistico e morale, come un’arma per stanare le contraddizioni di una società postbellica che rifugge dalle proprie responsabilità storiche, sembra offrire un’alternativa alla letteratura spagnola di quegli anni, una via per trattare in modo nuovo una ferita storica e nazionale ancora aperta, generata dalla guerra civile e dalla dittatura. Il socialrealismo degli spagnoli, rappresentato da scrittori come Camilo José Cela, Ignacio Aldecoa, Rafael Sánchez Ferlosio, Juan Marsé, Juan Goytisolo e altri si mostrava infatti incapace di penetrare le contraddizioni di una società ancora divisa ideologicamente, e generava un’aporia stilistica che era ormai oggetto di importanti dibattiti culturali. Senza poter asserire con sicurezza un’influenza diretta di Bassani sugli scrittori spagnoli dell’epoca, si può comunque avanzare l’ipotesi di una preoccupazione estetica condivisa12, che condurrà gli intellettuali della penisola iberica a un realismo dialéctico — la cui apparizione si fa in genere coincidere con la pubblicazione, nel 1962, di Tiempos de silencio di Luís Martín-Santos — che a sua volta preparerà il terreno a nuove esperienze letterarie della transizione democratica.

Anni Settanta e Ottanta: «Il romanzo di Ferrara» in Spagna tra boom editoriale, impegno civile e poetica d’autore

8 Il periodo post-franchista — conosciuto storicamente con l’emblematica etichetta di Transizione13 — è una fase di assestamento politico e sociale, caratterizzata culturalmente dalla fine del realismo social.

9 Durante questa fase di ricostruzione nel segno della continuità, in cui la Spagna prova a rifondare una propria identità politica e culturale, abbandonando la mimesis impostata ideologicamente della realtà sociale14 e aprendosi sempre più a influenze occidentali, non si parla molto di Giorgio Bassani. Il suo realismo lirico, così atipico da renderlo un caso a parte sia in Italia che in Spagna, non sembra trovare spazio all’interno di un’epoca satura di trasformazioni, in cui lo sperimentalismo prende campo con il modello indiscusso di Juan Benet.

10 Tuttavia, le frenesie sperimentaliste della Spagna della Transizione, che portano alla pratica di modelli metanarrativi e antinarrativi rappresentati da autori come Enrique Vila-Matas, Juan Goytisolo, Juan Benet e Julián Ríos, non riescono a liquidare completamente l’estetica realista, legata al bisogno umano e sociale di capire un passato prossimo non ancora veramente archiviato. Senza tornare al socialrealismo si sviluppa quindi, parallelamente al metaromanzo e all’antiromanzo, un tipo di letteratura ‘utile’, in grado cioè di interpretare le preoccupazioni contemporanee, sopraggiunte con la democrazia. Torna la narratività, e con essa memorie, diari, autobiografie e romanzi storici. Il genere cronachistico e saggistico torna in auge, supportato anche dalla politica editoriale delle principali case editrici, che si interrogano sul genere e sugli autori su cui scommettere.

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11 Questo riarmo culturale nasce da una necessità di fondo, che è l’esercizio della memoria storica. E capire in che modo il paradigma della memoria abbia influito in un’epoca di bilanci e analisi delle responsabilità, nonché sulla successiva ricostruzione dell’identità nazionale, è indispensabile se si vuole comprendere la ‘funzione Bassani’ nella Spagna post-franchista.

12 Nella prima metà degli anni ’70 Carlos Barral continua a pubblicare i racconti di Ferrara nella collana Hispánica Nova e con il nuovo marchio Barral Editores. Quella di Bassani è una presenza forse anomala nel catalogo barraliano, soprattutto se consideriamo la traiettoria editoriale dello spagnolo: dopo il divorzio dalla casa editrice familiare, la leggendaria Seix Barral, in cui aveva ideato la collana Biblioteca Breve, responsabile della promozione letteraria del socialrealismo prima e degli scrittori del boom latinoamericano poi, Carlos Barral vira di bordo e scommette su istanze sperimentali, dovendo però scendere a compromessi e pubblicare parallelamente libri di stampo enciclopedico e scientifico che costituiscono il grosso del fatturato della nuova Casa. La presenza di un classico come Bassani può spiegarsi come un’eccezione nella linea editoriale del catalogo, proprio in virtù di quel suo realismo eterodosso che continua a non trovare un equivalente nella Spagna del momento e il cui valore canonico garantisce prestigio al catalogo di un editore «exquisito»15.

13 Tuttavia, durante i primi anni della Transizione, Bassani è presente forse solo per un fenomeno di inerzia editoriale. Nei cataloghi troviamo solo la riedizione del Giardino nel 1976, probabilmente legata alla precedente uscita nelle sale spagnole dell’omonimo film di De Sica, nel 1971. È probabile che la mediazione cinematografica dell’opera di Bassani abbia contribuito alla ricezione dello scrittore nella penisola iberica, mantenendo un certo interesse nei suoi confronti anche in quei periodi amorfi in cui la critica allontanava lo sguardo dalla sua opera.

14 Solo negli anni ’80, dopo che l’autore sistema la propria opera e licenzia presso Mondadori il complesso e definitivo ciclo del Romanzo di Ferrara, Bassani torna con forza sulle pagine dei principali quotidiani e delle riviste specializzate.

15 Tra il 1981 e il 1985, Bassani si reca più volte in Spagna; la prima tappa documentata è una visita all’Istituto italiano di cultura di Madrid, dove una conferenza permette all’autore di presentare il Romanzo di Ferrara e di chiarire la sua poetica. Lo scrittore insiste sul valore politico-resistenziale dell’opera, in particolare del Giardino dei Finzi- Contini, che definisce come «toma de posición contra el fascismo». Si tratta di un tema sensibile per una Spagna martoriata da quarant’anni di dittatura e con un’esperienza underground minima ed elitaria alle spalle 16. Nell’articolo di José F. Beaumont che annuncia la visita madrilena dello scrittore, sono trascritte alcune dichiarazioni rilasciate da Bassani a proposito del suo orientamento politico vicino ai «radicali italiani della democrazia di sinistra, laico, non marxista e con una forte esperienza anti- fascista»17. Beaumont fa poi uno dei primi accenni alla poetica post-neorealista di Bassani e alla struttura del Romanzo di Ferrara, definito come «l’opera di un artista a cui interessa solamente essere artista, senza per questo smettere di essere autentico, senza allontanarsi dalla verità».

16 Nello stesso anno, forse proprio in occasione dell’invito all’Istituto italiano di cultura di Madrid, Bassani compare come ospite di una puntata del programma televisivo Encuentro con las letras. Si tratta di un programma nato nel 1976, nello stesso anno in cui sono fondati i quotidiani «El País»18, «Diario 16» (1976-2001) e la rivista specializzata «Historia 16» (1976-2008), tutti mezzi di informazione che avranno un ruolo di primo

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piano durante la transizione spagnola. Il 1981 è l’ultimo anno di emissione del programma diretto da Roberto Vélez ed è caratterizzato da una decisa apertura alle lettere straniere. È proprio in quest’ultima fase ‘aperturista’ che Esther Benítez e José Luís Jover intervistano Giorgio Bassani e Leonardo Sciascia19.

17 È degno di rilievo che la ‘riscoperta’ di Bassani da parte di un settore della critica specializzata avvenga in un momento di trasformazione degli abiti e dei costumi sociali, in cui i valori di riferimento diventano cosmopolitismo, trasgressione, ambiguità sessuale, ecc., tutti aspetti della movida madrileña immortalati da Almodóvar nei suoi film diventati ormai cult. Ed è altrettanto significativo che in quegli anni euforici lo slancio culturale extra-nazionale avvenga proprio in direzione del realismo di Giorgio Bassani.

18 Nel 1983 Bassani è di nuovo in Spagna, a Valencia, ospite dell’Encuentro de Escritores del Mediterráneo. Si tratta di un incontro che propone una riflessione critica sul passato e sulla memoria, e al quale prendono parte più di duecento intellettuali, tra cui , che inaugura l’evento. Si tratta in sostanza di una commemorazione di un precedente incontro, svoltosi cinquant’anni prima in piena Guerra Civile, nella stessa Valencia. Bassani è presente con Carlos Barral, Francisco Ayala, Heberto Padilla, Francisco Rico, Jaime Salinas, Rosa Cachel e altri, ed è intervistato dallo scrittore Antonio Colinas, che ha da poco vinto il Premio Reína Sofia de Poesía Iberoamericana. Questa è l’unica intervista documentata di quegli anni in cui Bassani, partendo da tematiche morali universali, e riflettendo in particolare sui problemi cui deve far fronte uno scrittore dell’area mediterranea, approda a una dichiarazione di poetica in cui spiega il suo peculiare cortocircuito tra i generi, il suo altrettanto peculiare processo variantistico, che lo porta nel corso degli anni a una continua revisione e correzione dei testi, e il suo attivismo ambientalista, che compare tra le righe di una feroce critica della disumanizzazione dell’arte come conseguenza dell’industrialismo20. In un passo di particolare interesse, Bassani spiega che il compito di uno scrittore è quello di far capire come è «necessario essere», evitando ogni soluzione astratta. Secondo lui Il Romanzo di Ferrara è «una respuesta» alla società di oggi: Mi importa che sia conosciuto fuori d’Italia e, soprattutto che sia conosciuto […] nell’ambito della lingua spagnola. Uscirà presto in Germania. Nell’America del Nord non sono sicuro che si riuscirà a pubblicarlo, perché lì non digeriscono opere di questo tipo. Se c’è un libro lontano dallo spirito della civiltà industriale è il mio.

19 Dopo alcuni chiarimenti dello scrittore sul ciclo narrativo ferrarese, Colinas domanda a Bassani le sue impressioni sul mondo attuale. La sua risposta racchiude in poche frasi informali le sue convinzioni più profonde: È difficile che un poeta possa fare qualcosa per opporsi alla cosificazione del mondo. Può solamente mostrare la sua opposizione essendo se stesso e solo se stesso. Il nostro è un tempo tragico, che ha preferito l’industrialismo all’umanità. La prima e la seconda guerra mondiale (e, concretamente, il nazismo) sono il risultato, il segno di questa crisi, di questa direzione che ha preso l’industrializzazione. Crisi profonda, tremenda, che ci può portare alla fine del mondo. Noi abbiamo vissuto tutta questa crisi attraverso il fascismo. Per questo siamo già vaccinati, sappiamo che, in parte, abbiamo arricchito la nostra esperienza. In sostanza, il mondo ha bisogno di poeti e molto meno di fabbricatori. Finché ci saranno poeti e scrittori, il mondo non sarà definitivamente perduto e ci sarà speranza. Non dobbiamo arrenderci a coloro che vogliono che anche i poeti si trasformino in cose. Certa letteratura di consumo non entra, chiaramente, in questo schema.

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20 A Valencia, Bassani incontra anche il poeta, critico e saggista Jenaro Talens che lo ricorda come un uomo dallo sguardo nostalgico e profondamente coerente con il proprio impegno storico-poetico.

21 Interessante anche un articolo in cui Antoni Munné raccoglie alcune dichiarazioni rilasciate da Bassani durante un seminario su «Trayectos narrativos y urbanos en el siglo XX», organizzato dall’Università Internazionale Menéndez Pelayo di Barcellona nel 198421. Sappiamo da Munné che durante il seminario Bassani parlò del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la cui scoperta e successiva pubblicazione nel 1958 — in Spagna si pubblicherà nel 1984 per i tipi Seix Barral nella traduzione di Fernando Gutiérrez — avevano reso lo scrittore molto noto in Spagna, tanto da essere identificato talvolta con l’etichetta di «el descubridor de El Gatopardo»22.

22 Ancora nel 1985, nel giornale barcellonese «La Vanguardia», lo scrittore Robert Saladrigas dedica una rassegna critica completa all’opera di Bassani23, in occasione dell’allora recente pubblicazione della traduzione spagnola del Romanzo di Ferrara, uscita nel 1984 per i tipi di Bruguera24. Saladrigas ne sottolinea le doti di attento «miniaturista» della struttura narrativa e lo allontana dal costumbrismo25 di alcuni scrittori italiani coevi, tra cui Vasco Pratolini. Scrive inoltre che Bassani «contrappone la dolcezza del paesaggio emiliano all’immagine desolata della condizione umana, incapsulata nella solitudine dei vinti», e mette l’accento su ciò che definisce come un ammirevole processo evocativo, in cui l’impulso poetico prevale sul flusso realista. Lo scrittore spagnolo sarà uno dei primi a rilevare la profonda capacità di testimonianza dell’opera del ferrarese, vissuta quasi come un progetto di vita, sul quale altri critici attenti e sensibili alla tematica della memoria si soffermeranno in seguito. Fin dagli anni ’80, un motivo ricorrente nella critica è la singolarità di Bassani, il fatto che lo scrittore sia un caso letterario non facilmente inquadrabile né in Spagna né in Italia. È così cresciuta l’attenzione degli intellettuali spagnoli per un autore riscoperto anche a destiempo, forse proprio in virtù della sua poetica atemporale che si adatta a vecchi e nuovi, traballanti orizzonti culturali della penisola iberica.

L’esercizio di memoria degli anni Novanta come chiave interpretativa della ‘funzione Bassani’ nella Spagna del XXI secolo

23 La prudenza con cui negli anni ’80 si analizzano in Spagna colpe e responsabilità storiche del passato, porterà a uno strappo generazionale insanabile di cui sarà permeato anche il mondo della cultura. Il patto di silenzio fra i diversi partiti politici aveva quasi prodotto un’amnesia storica, e allontanato i narradores novísimos26 dalle generazioni passate.

24 Nei primi anni Novanta si produce invece un’inversione di tendenza e si inizia così a rivendicare la memoria storica. Il passato allora riaffiora intenzionalmente, progressivamente, come strumento critico, e finisce per diventare lo scenario privilegiato di una ricostruzione identitaria del Paese.

25 Si spiegano in questo modo alcuni saggi degli anni zero, tutti successivi alla morte dello scrittore ferrarese e legati alla gestazione di un nuovo paradigma politico della memoria27. Lo scrittore Alejandro Gándara28 si sofferma per esempio sul carattere atemporale della scrittura bassaniana, che sostiene quasi per contrasto l’ossatura di

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una composizione narrativa che consegna alla memoria storica le micro-storie degli abitanti di Ferrara. Javier Aparicio Maydeu parla invece di una «memoria ficcional»29, risultato di oculate scelte stilistiche che rendono possibile un trattamento linguistico del dolore esistenziale e della solitudine attraverso lo spazio metafisico di un sommesso simbolismo e di una memoria affettiva. Secondo Aparicio Maydeu la scrittura abile e precisa di Bassani conferisce all’opera una ‘missione evocatrice’ che riesce a prolungare nel tempo una storia bloccata tra immaginazione e memoria. Mario Goloboff approfondisce invece la ‘funzione Ferrara’ nell’opera di Bassani e parla di un’evidente e volontaria commistione di racconto e testimonianza, risultato di una «función esencial» concessa alla memoria, all’atto di ricordare [rememoración], inteso come punto di partenza per la costruzione letteraria30.

26 Il poeta Luís Mateo Díez, uno dei novísimos narradores, inserisce Bassani in una «irrepetible generación»31 di romanzieri italiani e Joaquín Torán — in un articolo dal titolo di forte valore simbolico, in quanto stabilisce un’equivalenza fra il nome dello scrittore e un’esigenza politico-culturale di dimensioni europee32 — lo colloca all’interno di un «ejercito de renovación» di cui fanno parte anche Calvino, Ginzburg, Pavese e Vittorini, tutti autori con «pedigrí antifascista». La sua sorprendente capacità di ‘sentire’ la vita senza svelarne il mistero è vincolata secondo Torán a una poetica del sentimento elegiaco e a un potere evocativo della memoria che rielabora i ricordi in chiave intimistica. Per il poeta spagnolo, l’aver prodotto un discorso sui «giorni di allora» [«los días de entonces»] rappresenta molto più di un «ejercicio de responsabilidad» verso se stesso e le proprie origini. Scrive in particolare Torán: In un momento (il duro dopoguerra) e in un luogo (l’Italia) in cui cineasti e scrittori concentravano i loro sguardi sull’incerto presente, Giorgio Bassani […] guardava inesorabilmente indietro. Mentre il Paese cercava di rinnegare i suoi peccati fascisti, lui sentiva l’imperiosa necessità di non dimenticare.

27 Ciò che più colpisce di Bassani, in una Spagna sospesa tra la necessità di riscattare il passato e la scarsa capacità di farlo, è l’atteggiamento di tutore della memoria: Bassani non vuole dimenticare e agli spagnoli non importa tanto che cosa lui non voglia dimenticare ma perché non vuole e come ci riesce. Dalla scrittura di Bassani si può imparare a far luce sugli angoli più scuri della storia nazionale e il microcosmo ferrarese diventa allora un sorta di correlativo oggettivo della macro-storia post- franchista. In un articolo del 2009, España e Israel: ¿Dónde está Micol?33, Enric Juliana, co- direttore de «La Vanguardia» di Barcellona, riflette sull’atipicità dell’atteggiamento degli spagnoli nei confronti della questione ebraica. Secondo Juliana la Spagna è l’unico Paese occidentale a non aver fatto mea culpa per l’Olocausto, a non aver sentito la necessità di comprendere l’accaduto, e questo a causa di un scarso sentimento di empatia per uno sterminio che non ha vissuto in situ. All’epoca delle leggi razziali, non c’erano ebrei in Spagna, perché già erano stati espulsi nel XVI secolo, in seguito al decreto dei Re Cattolici del 31 marzo 1492. Tra le atrocità del franchismo non si può dunque annoverare la persecuzione degli ebrei. Ne è risultato, in Spagna, un distanziamento nei confronti di un segmento importante della Storia, che continua oggi con il caso di Israele e che il giornalista esprime attraverso la metafora di Micòl e del destino dei Finzi-Contini. Scrive Juliana: La società spagnola, a differenza di quanto accade in altri paesi europei, non ha mai provato un senso di colpa per l’Olocausto. Non si è mai domandata dove sia finita Micòl. Non si è mai domandata perché non c’è più nessuno nel giardino dei Finzi- Contini.

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28 Confrontando la realtà spagnola con quella di altri paesi europei, in particolare l’Italia, Juliana nota la scarsissima presenza, in Spagna, di monumenti o piazze in memoria dell’Olocausto. Ciò che manca alla Spagna è l’input di fare memoria e di concepire questo momento della Storia come parte della storia nazionale. Scrive ancora Juliana: «Ne abbiamo sentito parlare nei libri, ma non abbiamo mai conosciuto Micòl».

29 Di Bassani colpisce ancora il fatto che in un momento preciso di urgenza storica lo scrittore non si sia sottratto a verità scomode ma le abbia denunciate all’interno della struttura armonica di un ciclo romanzesco in cui la responsabilità morale e civile della scrittura si lega alla questione dell’identità. José María Herrera scrive a questo proposito che mentre l’Italia del dopoguerra sperimentava il «rimorso senza penitenza, l’autoassoluzione e l’amnesia» Bassani, «cosciente del fatto che il fascismo di lì a poco sarebbe stato considerato qualcosa di irreale», decideva di «preservarlo, almeno in letteratura», offrendo una delle «testimonianze più delicate che abbia dato la letteratura sull’ipocrisia, la bassezza morale, la banalità e la messinscena»34.

30 Facendo un passo indietro nel tempo, vale qui la pena di ricordare un articolo del 1990 di Paco Marín, La novela de una vida35, in cui il critico recensisce una a una le narrazioni del Romanzo di Ferrara e si sofferma, primo tra i critici spagnoli che si sono occupati di Bassani, sull’importanza della ‘ferita storica’ dello scrittore; dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, Bassani è costretto a fare i conti con la propria identità ebraica in quanto cittadino italiano ebreo; proprio lui, che ha scelto da molto tempo «da che parte stare»36 rifiutando l’eredità di un «noioso ebraismo metastorico»37, deve riconsiderare quel frammento identitario di troppo che il filosofo Vladimir Jankélévitch definisce come un «in-più» per cui «nello stesso tempo in cui l’ebreo si assimila, cerca di assimilarsi agli altri», dato che «il bisogno di annullarsi negli altri è esasperato dal sentimento stesso dell’infedeltà alla specificità ebraica, e reciprocamente»38.

31 Sotto il profilo tematico, Marín individua nel localissimo j’accuse di Bassani verso i corrazziali — colpevoli di essersi mostrati prima miopi di fronte alla Storia e poi troppo indulgenti con le proprie colpe e responsabilità — la ragione della scarsa eco dell’opera bassaniana fuori dall’Italia, almeno a confronto di altri scrittori di area ebraica come , Carlo Levi o . Secondo Paco Marín, mentre questi altri autori sollevano tematiche universali, Bassani tocca un nervo scoperto in una specifica sfera spaziale e con le sue micro-storie entra direttamente e da protagonista dentro la Storia creando, con sforzo da miniaturista, ciò che Marín definisce una «impresa monumentale»39, in cui ogni dettaglio si risemantizza trasformando l’essenza di una città di provincia in essenza universale.

32 I riferimenti all’universalità delle tematiche toccate da Bassani sono comuni anche negli anni dieci del nuovo secolo. Torán per esempio, parla di «verità nuda e cruda», di una vittima che diventa una «generazione intera» di vittime40; Saladrigas sostiene che il microcosmo ferrarese racchiude una vita intera svelata nella sua più integrale drammaticità41; Gándara presenta l’opera di Bassani come un prodotto artistico vincolato da specifiche coordinate spazio-temporali, ma che riesce ad andare ben oltre l’affresco storico o di costume in virtù di un sentimento d’istantaneità dell’hic et nunc al di fuori del quale il tempo è impensabile. Come conseguenza «la Storia, tutti i passati, e il Futuro»42 finiscono col concentrarsi nell’istante di mondo ricreato dall’autore. Gándara si sofferma a questo proposito sulla capacità di Bassani di penetrare criticamente una realtà trascendendola, senza bisogno di una diagnosi sociologica, e prestando invece attenzione alle «pieghe del cuore umano». Lo scrittore italiano

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trascende il localismo ed «elude la diagnosi sociale o politica, la critica di costume o di cultura», mostrando interesse ed empatia verso i suoi personaggi.

33 Con questa definizione, Gándara sembra rivendicare una qualità tutta bassaniana, che per anni era rimasta in ombra, e cioè la straordinaria capacità di carpire le sfumature di un determinato ambiente in un determinato momento storico, penetrando la psicologia dei soggetti che operano in esso. In linea con la posizione di Gándara, José María Guelbenzu, in un articolo del 2007, sgancia definitivamente Bassani da una prima erronea assimilazione al neorealismo, e sottolinea invece la sua attenzione al dettaglio, e la sua scelta di una scrittura descrittiva e lineare che supera i limiti del costumbrismo, al quale più volte si erano arrestati certi esponenti del socialrealismo spagnolo. Così Guelbenzu: Bassani dovrebbe essere incluso nel neorealismo italiano per ragioni cronologiche, ma non per la sua scrittura, che possiede una magia [encanto] estranea a quel genere. Quando parlo di magia […] mi riferisco […] a una scrittura tersa, bella, apparentemente uniforme e dalle potenti correnti occulte, sostenuta dal dettaglio senza essere costumbrista, che dispone personaggi, conflitti e scenari in modo lineare e apparentemente leggero sotto il quale palpitano vite di affascinante intensità […]. Il mot juste flaubertiano si indovina dietro ogni frase […] in cui la descrizione, sia fisica che psicologica, che si snoda in subordinate snelle, non eccessivamente cariche ma complesse, si espande in ondate soavi e delicate molto precise, di un sereno vigore che creano un ritmo particolare di grande vivacità espressiva43.

34 Nel 2014 Manuel Hidalgo annuncia in un articolo di «El Mundo» il progetto editoriale di Acantilado di pubblicare separatamente i libri che compongono Il Romanzo di Ferrara. Il primo della serie sarà proprio il primo libro del Romanzo di Ferrara, Dentro le mura (Intramuros). Sebbene collochi Bassani in un’età dell’oro della letteratura italiana, Hidalgo considera l’autore come un «verso suelto», una personalità originale, proprio in virtù di quella sua scrittura «colta, raffinata e linda, che procura grandi soddisfazioni estetiche nel momento stesso in cui affronta politicamente il presente e la Storia drammatica del suo paese»44.

35 Nel 2015 Acantilado dà alle stampe il secondo libro del Romanzo di Ferrara, Gli occhiali d’oro (Las gafas de oro). Questi primi due volumi della saga ferrarese riscuotono un enorme successo. L’opera di Bassani viene descritta come «magistrale», «straordinaria». La scrittrice e critica letteraria Mercedes Monmany parla di un autore tra i «meno favoriti editorialmente e più ingiustamente dimenticati», che ha dato vita a uno dei «cicli romanzeschi più importanti del XX secolo»45. La critica è compatta nel riconoscere a Bassani le qualità di uno scrittore raffinato, archeologo sensibile di un mondo eterogeneo e conflittuale, che ne porta a galla le contraddizioni in tutta la loro complessità.

36 Ciò che piace di Bassani è la sua capacità di conciliare nella sua scrittura due forti impulsi narrativi della Spagna post-franchista: realismo e psicologismo. Lo scrittore italiano mette in valore il dettaglio senza perdere di vista le sfumature, traccia un contorno che ogni suo personaggio è libero di eludere o ridefinire.

37 In occasione della pubblicazione de Las gafas de oro edito da Acantilado, il poeta Narcís Comadira, traduttore de L’Airone (La garza) per Seix Barral nel 1970, afferma che la grandezza di Bassani risiede nell’essenza emblematica dei personaggi e delle cose che «formano parte di una Storia immutabile, la nostra, sempre assorta nella sua atrocità»46. La Storia, l’io del narratore e quello dei protagonisti parlano all’unisono in

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Bassani e testimoniano di una realtà specifica che si trascende continuamente. Storicismo e psicologismo si incontrano, facendo dell’opera dello scrittore ferrarese ciò che Corradino Vega definisce una «intensificación»47 della condizione umana.

A mo’ di conclusione

38 Come si è visto, la ricezione di Bassani nella Spagna della Transizione si concentra in alcuni segmenti temporali particolarmente densi, in cui la critica diventa più ricettiva, supportata anche dalla politica editoriale delle principali case editrici spagnole. Se si esclude la ristampa del Giardino in edizione tascabile nel 1976, il primo segmento temporale copre gli anni ’80 quando, dopo un primo momento di disorientamento culturale, successivo alla morte di Franco, si può parlare di una vera e propria riscoperta di Bassani in Spagna, sia nel mondo editoriale sia da parte della critica specializzata.

39 Contro ogni previsione inaugura il decennio una raccolta di poesie del 1983, dal titolo generico Poemas, tradotte da Juan Ramos per i tipi di Pablo Lluch. L’assenza di recensioni e di articoli critici induce a pensare che il volume non abbia avuto un particolare successo di pubblico e critica. Maggiore interesse suscitano le due prime edizioni della Novela de Ferrara, quella di Bruguera nel 1984, e quella di Lumen (1989). Nel 1985 escono Epitafio (Lumen) e El jardín de los Finzi-Contini (Seix Barral).

40 Negli anni ’90, nonostante un parziale disinteresse della critica, il Giardino è ristampato da Espasa-Calpe (1993), Seix-Barral (1996) e Planeta (1997). Nel 1995 esce una nuova edizione de La garza (L’airone) per i tipi di Cátedra.

41 A partire dagli anni zero l’attenzione critica a Bassani è costante. In particolare, nei primi tre anni del secolo, dopo la morte dell’autore, si tenta un primo e parziale bilancio della sua traiettoria poetica. Tra il 2001 e il 2004 è ristampato ben tre volte il Giardino, edito rispettivamente da Círculo de Lectores, El País ed Espasa-Calpe. Sarà ancora questione di Bassani nel 2007, quando la Novela de Ferrara è ristampata da Lumen. Nello stesso anno Tusquets Editores pubblica una nuova edizione del Jardín de los Finzi-Contini. Infine, dopo una nuova riedizione della Novela de Ferrara da parte della Casa Debolsillo nel 2009, arriviamo al biennio 2014-2015, quando la critica mostra un rinnovato interesse per Bassani, in coincidenza con il progetto editoriale di Acantilado, che decide di dare alle stampe i singoli volumi del Romanzo di Ferrara, iniziando proprio da Dentro le mura (Intramuros).

42 Il successo delle opere di Bassani nella Spagna democratica non è stato eccezionale dal punto di vista delle cifre. Carlos Barral aveva ragione quando già negli anni ’60 scriveva: «Siamo molto interessati al Bassani anche se non crediamo troppo probabile che diventi un best-seller come pare sia accaduto in Italia»48. Ciò si può spiegare col fatto che l’autore italiano è sempre stato accolto da una minoranza interessata a un prodotto di qualità, fra cui si contano non pochi intellettuali, poeti e narratori.

43 A titolo di esempio possiamo addurre il professore e scrittore di nicchia Eduardo Alonso che nel 1992 pubblica un romanzo breve49 in cui racconta le vicende di un professore di storia in preda a una crisi affettiva e che diventa ossessionato dalla Micòl di Bassani. L’eleganza dello stile di Alonso, in cui si avverte una lontana eco bassaniana, ha indotto la critica a applicare al suo romanzo l’etichetta di «novela lírica»50. Ogni parola è ben calibrata all’interno di una costruzione romanzesca in cui Alonso mantiene un delicato

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equilibrio tra realtà e finzione. L’attrazione che il protagonista prova per Micòl apre lo spazio di una sorta di metanarrazione in cui si intersecano sezioni narrative di diverso livello. In seguito al divorzio da sua moglie, il protagonista si abbandona rapito alla lettura del Giardino dei Finzi-Contini e ne è indotto a intraprendere un viaggio a Bologna e Ferrara sulle tracce di Micòl. A Bologna incontra Chiara, una ragazza che viene a svolgere la ‘funzione Micòl’ nella vita del professore. Scrive Alonso: Le mie fantasie erano iniziate alcuni mesi prima, poco dopo essermi separato da Ana, quando sognavo un incontro impossibile. Leggevo allora un romanzo di Bassani […]. Letto un paragrafo mi perdevo per le quiete strade di una città di provincia […]. L’unica cosa certa è che finii per essere ossessionato dalla protagonista di quel romanzo malinconico. Si chiamava Micòl Finzi-Contini, era smilza, e doveva trovarsi da qualche parte, però chissà che aspetto aveva adesso, chissà com’erano i suoi occhi, che cosa avrebbe pensato se mi avesse veduto. […] Micòl era una di quelle donne destinate ad amare senza scrupoli, ed io, al contrario, sono sempre stato propenso a compensare le mie goffaggini in amore con fantasie solitarie. […] In sogno la vedevo tornare in bicicletta dal campo da tennis, la spiavo nella sinagoga di via Mazzini […] le dicevo addio quando se ne andava in vacanza a Comacchio sulla Citroën nera della famiglia. […] Diventavo tanto diverso, via via che mi addentravo nel libro e diventava tanto reale la Micòl delle mie fantasie, che quella ferrarese del romanzo mi sembrava un’impostora, o almeno un ritratto impreciso di quella autentica, mentre la vera Micòl, nonostante avesse un altro nome, doveva starmi ad aspettare da qualche parte51.

44 Chiudiamo con qualche considerazione sulle case editrici che hanno determinato la fortuna editoriale di Bassani. Eccetto un’edizione de Il giardino dei Finzi-Contini pubblicata dal quotidiano «El País» nel 2003 — e che può essere considerata come un primo tentativo di ‘popolarizzare’ l’opera di un autore apprezzato prevalentemente da un pubblico colto ed elitario — è rilevante il fatto che Bassani sia sempre stato pubblicato da case editrici importanti, di ottima qualità, mosse dalla precisa intenzione di riorientare culturamente il pubblico. Da questo punto di vista, non è forse un caso che Planeta, la casa editrice di tendenza «divulgativo/comercial»52 che più interpreta lo spirito effervescente del tempo con un catalogo tra i meno esigenti e più popolari, pubblichi solo un’opera del ferrarese, Il giardino dei Finzi-Contini, nel 1997. Il resto della produzione bassaniana è stato pubblicato in collane che puntano più all’eccellenza del prodotto che alla tiratura. È il caso di Espasa-Calpe, Círculo de Lectores ed Ediciones Cátedra — presso cui esce L’airone (La garza) nel 1995 — Casa che nel 1997 ha ricevuto dal Ministerio de Educación y Cultura il Premio Nacional per la «mejor labor editorial y cultural». È il caso di Bruguera, la cui pubblicazione del Romanzo di Ferrara si spiega con un’evoluzione interna della casa editrice. Negli anni del franchismo, Bruguera era nota per la sua diffusione di narrativa popolare spagnola e fumetti, e aveva una collana di tascabili che tra gli anni ’60 e ’70 diede alle stampe una letteratura di intrattenimento non troppo esigente. Intorno agli anni ’70, l’arrivo in redazione dell’argentino Ricardo Rodrigo cambiò l’impostazione della casa editrice e fece di Bruguera un marchio di riferimento nella pubblicazione di grandi opere letterarie. Così, insieme a Scott Fitzgerald, Truman Capote, Italo Calvino, John le Carré e Jorge Luís Borges, a metà degli anni ’80 entra nel catalogo l’opera di Bassani. Fu un’operazione guidata dalla volontà di recupero e di riscatto di grandi figure della letteratura mondiale e fece di Bruguera il fulcro dell’editoria spagnola dell’epoca. In modo simile, la pubblicazione del Romanzo di Ferrara presso Lumen ne rispecchia coerentemente l’ambizioso programma editoriale. Dagli anni ’60 e sotto la direzione di Esther Tusquets la casa barcellonese sviluppa un

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catalogo di riconosciuto prestigio culturale. Lumen ha anche dato alle stampe l’unica raccolta di poesie di Bassani che sia stata finora pubblicata in Spagna.

45 A conferma del carattere elitario della ricezione spagnola dello scrittore ferrarese, proprio l’editrice Esther Tusquets ha dichiarato nel 2009, in un’intervista rilasciata a Carles Geli: «Potrei dire Joyce o Woolf, ma oggi sono orgogliosa di aver pubblicato Giorgio Bassani»53.

46 Sottolineiamo infine che nonostante il carattere elitario della ricezione di Bassani in Spagna, l’interesse per questo scrittore non è mai venuto meno, e la critica specialistica non ha mai cessato di riflettere sulla sua opera. Sembra dunque giustificata l’etichetta «clásico tímido» proposta dallo scrittore e critico Alejandro Gándara, che con l’aggettivo ‘timido’ designa un autore dal successo editoriale contenuto ma costante. Se poi consideriamo che l’interesse della critica bassaniana è stato in gran parte determinato da temi come quello della responsabilità, dell’impegno civile e del dovere di memoria, sembra legittimo parlare – almeno per quanto riguarda la penisola iberica – di un «clásico tímido» ma «esencial»54.

ALLEGATO

Edizioni di opere di Giorgio Bassani in spagnolo prima del 1975 Poetas italianos de hoy. Giorgio Caproni, , Vittorio Bodini, Giorgio Bassani, Barcellona, «Entregas de poesía», no 24, 1950 (rivista diretta da Juan Ramón Masoliver). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, SeixBarral, 1963 (trad. di Juan Petit). Historias de Ferrara, Barcellona, Seix Barral, 1967 (trad. di Elena Sáez de Diamante e Juan Augustín Goytisolo). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral, 1967 (trad. di Juan Petit). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral-Biblioteca de Bolsillo, 1968 (trad. di Juan Petit). Detrás de la puerta, Barcellona, Seix Barral, 1969 (trad. di Sergio Pitol). La garza, Barcellona, Seix Barral, 1970 (trad. di Narcís Comadira). Lida Mantovani y otras historias de Ferrara, Barcellona, Barral Editores, 1971 (trad. di Sergio Pitol). Los anteojos de oro, Barcellona, Barral Editores, 1972 (trad. di Sergio Pitol). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral, 1973 (trad. di Juan Petit). El olor del heno, Barcellona, Seix Barral, 1974 (trad. di Carlos Manzano).

Edizioni di opere di Giorgio Bassani in spagnolo dopo il 1975 El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral, 1976 (trad. di Juan Petit).

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Poemas en Quervo, Cuadernos de Cultura, Valencia, Pablo Lluch, 1983 (trad. di Juan Ramos). La novela de Ferrara, Barcellona, Bruguera, 1984 (trad. di Carlos Manzano). Epitafio, Barcellona, Lumen, 1985 (trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral, 1985 (trad. di Juan Petit). La novela de Ferrara, Barcellona, Lumen, 1989 (trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Espasa-Calpe, 1993 (trad. di Carlos Manzano, prólogo di Antonio Colinas). La garza, Madrid, Cátedra, 1995 (a cura di Anna Dolfi, trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Seix Barral, 1996 (trad. di Juan Petit). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Planeta, 1997 (trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Círculo de lectores, 2001 (trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Madrid, El País, 2003 (trad. di Carlos Manzano). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Espasa Calpe, 2004 (trad. di Carlos Manzano, prólogo di Antonio Colinas). El jardín de los Finzi-Contini, Barcellona, Editorial Tusquets, 2007 (trad. di Carlos Manzano). La novela de Ferrara, Barcellona, Lumen, 2007 (trad. di Carlos Manzano). La novela de Ferrara, Barcellona, Debolsillo, 2009 (trad. di Carlos Manzano, prólogo di Pier Paolo Pasolini). Intramuros, Barcellona, Acantilado, 2014 (trad. di Juan Antonio Méndez). Las gafas de oro, Barcellona, Acantilado, 2015 (trad. di Juan Antonio Méndez).

Edizioni di opere di Giorgio Bassani in catalano prima del 1975 Darrera la porta, Barcellona, Edicions 62, 1968 (trad. di Manuel Carbonell).

Edizioni di opere di Giorgio Bassani in catalano dopo il 1975 Darrera la porta, Barcellona, Edicions 62, 1989 (trad. di Manuel Carbonell). Dins la muralla, Barcellona, Edicions 62, 1989 (trad. di Joan Casas). Epitafi, Alzira, Bromera, 1996 (trad. di Josep Ballester). El jardí dels Finzi-Contini, Barcellona, Proa, 1987 (trad. di Carme Serrallonga). El jardí dels Finzi-Contini, Barcellona, GE, 1996 (trad. di Carme Serrallonga). El jardí dels Finzi-Contini, Barcellona, Proa, 2007 (trad. di Carme Serrallonga).

Edizioni di opere di Giorgio Bassani in basco (euskara) dopo il 1975 Finzi-Continitarren lorategia, Euba, Ibaizabal, 1997 (trad. di Koldo Biguri).

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NOTE

1. Preceduta soltanto dalla traduzione di alcune poesie antologizzate in un volume curato da J. R. Masoliver: Poetas italianos de hoy. Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Vittorio Bodini, Giorgio Bassani, «Entregas de poesía», no 24, 1950. 2. Così già scrive Barral a Linder nel giugno del 1962: «Ti prego non fare niente con un altro editore di lingua spagnola. Siamo molto interessati al Bassani» (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Agenzia letteraria internazionale – Erich Linder, 1962, B. 22, fasc. 13 [Seix Barral], Carlos Barral a Erich Linder, Barcellona, 19 giugno 1962, dattiloscritto originale). 3. Ringrazio Andrea Bresadola per avermi permesso di utilizzare i risultati della sua ricerca che è attualmente ancora in corso di stampa. 4. Dirección General de Información, «ABC», 9 gennaio 1963. 5. Il bisticcio è di Carlos Barral, che così scrive nelle sue Memorias: «Milano era allora, anche se non esattamente la capitale letteraria d’Europa, la capitale dell’ingegno e dell’inventiva editoriale dalle alte ambizioni, una vera e propria corte nelle vicinanze del palazzo reale, che si trovavava a Torino, dove regnava Einaudi circondato dai suoi pretoriani ‘einauditi’» (C. Barral, Memorias (Los años sin excusa), Barcellona, Lumen, 2015, p. 664. Delle memorie di Barral esiste una versione italiana parziale: Carlos Barral. Il volo oscuro del tempo. Memorie di un editore poeta. 1936-1987, a cura di R. Baravalle, P. Collo e G. Felici, Milano, Il Saggiatore, 2011). Preciso che qui e in tutto il saggio sono mie le traduzioni dallo spagnolo. 6. C. Barral, Memorias (Años de penitencia), cit., p. 560. 7. C. Barral, Carta de Seix Barral a los lectores de La Vanguardia, «La Vanguardia», 6 novembre 1963. 8. J. R. Masoliver, «… Soli rimasti dei giardini sepolti». Nuestra interior estela funeraria, «La Vanguardia», 4 dicembre 1963. 9. Negli anni ’70 Pérez Minik include Bassani tra gli autori rappresentativi di un nuovo «circuito democrático» che va da Vittorini a Arpino. Lo studio di Minik analizza il ‘nuovo’ panorama letterario italiano, e si sofferma in particolare su quei romanzi che gli sembrano corrispondere ai bisogni della Spagna di allora. Il critico mette su uno stesso piano non solo Vittorini, Pavese e Calvino ma anche Pratolini, Cassola, Piovene, Gadda e Bassani, tutti autori che gli sembrano poter nutrire il tessuto narrativo spagnolo, pur proponendo, ciascuno di loro, una diversa poetica realista, e una diversa morale. Giorgio Bassani viene introdotto come un intellettuale che deve essere collocato in una posizione intermedia tra la generazione postbellica e la nuova generazione, guidata da figure come Calvino, Cassola e Pasolini (D. Pérez Minik, Un circuito democrático: de Elio Vittorini a Giovanni Arpino, in Id., La novela extranjera en España, Madrid, Talleres de Edición Josefina Betancor, 1973, p. 229). 10. La novela social che si afferma in Spagna intorno agli anni Cinquanta riflette le principali preoccupazioni sociali dell’epoca trattando temi quali lo sfruttamento del proletariato e la condizione contadina, industriale e borghese, sviluppati senza uscire dai limiti di una narrazione stereotipata. I personaggi si presentano come caratteri tipici che si muovono all’interno di un contesto nazionale e regionale specifico, descritto con abbondanza di particolari. Sull’argomento vedi: P. Gil Casado, La novela social española (1920-1971), Barcellona, Seix-Barral, 1973; S. Sanz Villanueva, Historia de la novela social española (1942-1975), Granada, Editorial Alhambra, 1986; F. Alamo Felices, La novela social española: conformación ideológica, teoría y crítica, Almería, Universidad de Almería, 1996. 11. Letraherido è un gallicismo (lettre ferit) usato da Montaigne in Du pédantisme, e introdotto in catalano nell’accezione molto ampia di ‘amante delle lettere’. Il termine si afferma in Catalogna negli anni ’50, soprattutto fra i membri dalla celebre Escuela de Barcelona. 12. Come noto, infatti, anche Bassani ha sempre «mantenuto un atteggiamento di grande perplessità» nei confronti del neorealismo, per quel suo «sentimentalismo populistico», per «la facilità con cui […] si metteva al servizio della pratica, cioè della politica». La sua più volte

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dichiarata necessità di un’arte capace di riflettere la realtà in tutte le sue contraddizioni sembra trovare palesi affinità nell’atteggiamento critico della classe intellettuale spagnola che alla fine degli anni ’60 inizia ad interrogarsi con un certo scetticismo sulla reale efficacia di una letteratura socialista. 13. In genere il termine designa in modo specifico il periodo compreso fra la morte di Franco (20/11/1975) e l’approvazione della Costituzione spagnola (29/12/1978), ma può essere ampliato fino ad includere gli inizi degli anni ’90 quando, con il trattato di Maastricht, la Spagna entra ufficialmente nello spazio europeo. 14. Cfr. P. Rodríguez Pacheco, La otra mirada. Literatura española ¿crimen o suicidio?, Barcellona, Editorial Carena, 2015, p. 206. 15. Barral editore «exquisito» è un’etichetta di J. A. Molina Foix che compare nel libro di S. Vila- Sanjuán, Pasando página: autores y editores en la España democrática, Barcelona, Destino, 2003, p. 101. 16. Cfr. J. Gracia, La resistencia silenciosa. Fascismo y cultura en España, Barcelona, Anagrama, 2014. 17. J. F. Beaumont, Giorgio Bassani. «El jardín de los Finzi-Contini» es una toma de posición contra el fascismo, «El País», 27 maggio 1981. 18. Il quotidiano nazionale «El País» è stata una della principali fonti di questa ricerca. Negli anni in cui avviene la ricezione di Bassani in Spagna, il giornale è uno dei mezzi di orientamento culturale più importanti della penisola iberica, e vi hanno trovato spazio le voci più autorevoli della critica e della letteratura spagnola. 19. È stata inoltrata una richiesta agli archivi di RTVE per recuperare la registrazione del programma con l’intervista allo scrittore. 20. A. Colinas, Giorgio Bassani: «vivimos el mundo trágico del industrialismo», «El País», 10 gennaio 1983. 21. A. Munné, Giorgio Bassani considera que los artistas son muertos que tratan de regresar a la vida a través de la muerte, «El País», 18 settembre 1985. 22. J. Torán in Giorgio Bassani o el compromiso con la memoria europea («Ahora», 10 ottobre 2016) parla a questo proposito di «evidente fiuto letterario». 23. R. Saladrigas, Giorgio Bassani, hijo y recreador de Ferrara, «La Vanguardia», 30 maggio 1985. 24. G. Bassani, La novela de Ferrara, trad. di C. Manzano, Barcellona, Bruguera, 1984. 25. Il costumbrismo in letteratura è un movimento sviluppatosi in Spagna nel XIX secolo, e caratterizzato dalla descrizione oggettiva di usi e costumi di un determinato ambiente, popolo o classe sociale. Cfr. R. Espejo-Saavedra, Autenticidad y artificio en el costumbrismo español, Madrid, Ediciones de la Torre, 2015. 26. La nozione di ‘amnesia storica’ è stata introdotta da J. M. Izquierdo in Narradores españoles novísimos de los años ’90, «Revista de estudios hispánicos», vol. XXV, no 2, 2001. Izquierdo chiarisce anche la differenza tra la generazione poetica dei novísimos — proposti da J. M. Castellet nell’antologia Nueve novísimos poetas españoles, Barcellona, Barral Editores, 1970 — e i narradores novísimos della nuova narrativa joven degli anni ’90. 27. Annunciando la scomparsa di Bassani, la giornalista culturale Lola Galán lo definisce come «uno de los autores más representativos de la literatura italiana de la segunda mitad de siglo XX». Ripercorrendo la sua traiettoria poetica, essa sottolinea il suo impegno e il suo profondo senso di responsabilità sociale e politica, dall’antifascismo giovanile a Italia Nostra (L. Galán, Fallece en Roma Giorgio Bassani, autor de «El jardín de los Finzi-Contini». El escritor, de 84 años, padecía Alzheimer, «El País», 14 aprile 2000). Degni di nota anche due saggi pubblicati su «El País» il 18 dicembre dello stesso anno: L. M. Diez, El fermento de la memoria e A. Padilla, La memoria superviviente. 28. A. Gándara, Un clásico tímido, «El Mundo», 15 novembre 2007. 29. J. A. Maydeu, La novela de Ferrara, de Giorgio Bassani, «Letras Libres», 31 dicembre 2007. 30. G. M. Goloboff, La ciudad íntima de Giorgio Bassani, «Quimera: Revista de literatura», no 196, 2000, p. 55. Intervenendo a sua volta, e più recentemente, su Ferrara, Alejandro Gándara parla di

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«pérdida del alma», di smarrimento dei valori nella città pre e post-fascista; secondo lo scrittore con le leggi razziali si è perso lo spirito del secolo (A. Gándara, La pérdida del alma, «El Mundo», 13 gennaio 2015). 31. L. M. Díez, El fermento de la memoria, cit. 32. J. Torán, Giorgio Bassani o el compromiso con la memoria europea, cit. 33. E. Juliana, España e Israel: ¿Dónde está Micol?, «La Vanguardia», 9 gennaio 2009. 34. J. M. Herrera Pérez, Giorgio Bassani y la memoria histórica, «Cuadernos hispanoamericanos», no 791, 2016, pp. 120-129. 35. P. Marín, Giorgio Bassani. La novela de una vida, «Quimera: Revista de literatura», no 101, 1990, pp. 34-37. 36. «Quanto a me, ho scelto mezzo secolo fa da che parte stare. Mi sono difeso dalla identificazione di me stesso come ebreo, entrando nell’antifascismo militante clandestino, al seguito di un uomo che si chiamava Carlo Ludovico Ragghianti. […] Militante coraggioso, Ragghianti era culturalmente uno storicista, un seguace di Croce» (N. Ajello, “Un giorno sì e uno no gioco a tennis”, «Millelibri», no 5, 1988, p. 72). 37. G. Bassani, Le leggi razziali, in Opere, a cura di R. Cotroneo, Milano, Mondadori, 2009, p. 1438. 38. V. Jankélévitch, La coscienza ebraica, Firenze, Giuntina, 1995, p. 87. 39. P. Marín, Giorgio Bassani. La novela de una vida, cit., p. 37. 40. J. Torán, Giorgio Bassani o il compromiso con la memoria europea, cit. 41. R. Saladrigas, Un microcosmo que encierra una vida entera, «El País», 1 dicembre 2007. 42. A. Gándara, La pérdida del alma, «El Mundo», 13 gennaio 2015. 43. J. M. Guelbenzu, Un microcosmo que encierra una vida entera, «El País», 1 dicembre 2007. 44. M. Hidalgo, El jardinero y el infierno, «El Mundo», 6 dicembre 2014. 45. M. Monmany, Giorgio Bassani a los pies de Ferrara, «ABC», 27 dicembre 2014. 46. N. Comadira, Bassani, «Ara», 6 maggio 2016. 47. C. Vega, Verdad y belleza, «Estado crítico», 2 settembre 2015. 48. Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Agenzia letteraria internazionale – Erich Linder, 1962, B. 22, fasc. 13 (Seix Barral), Carlos Barral a Erich Linder, Barcellona, 19 giugno 1962, dattiloscritto originale. 49. E. Alonso, El retrato del Schifanoia, Barcellona, Muchnik Editores, 1992. 50. A. Basanta, El retrato del Schifanoia, «ABC», 26 giugno 1992. 51. E. Alonso, El retrato del Schifanoia, cit., pp. 10-11. 52. R. Acín, Narrativa o Consumo Literario (1975-1987), Zaragozza, Prensas Universitarias de Zaragoza, 1990, p. 83. 53. C. Geli, A mi edad, uno se lo permite todo, «El País», 11 novembre 2009. 54. A. Gándara, Un clásico tímido, «El Mundo», 15 novembre 2007.

RIASSUNTI

La fortuna editoriale di Giorgio Bassani in Spagna va studiata tenendo conto di una circostanza storica, quella del franchismo, che fa da vero e proprio spartiacque alla politica culturale del Paese. La ricezione del ferrarese nella penisola iberica inizia in un periodo di urgenza culturale e intellettuale sotto il regime di Franco e continua negli anni della Transizione e della democrazia, mostrando un’evoluzione critica interna direttamente legata alle esigenze politico-culturali della

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Spagna. Attraverso i concetti di estetica letteraria, memoria, testimonianza e responsabilità della scrittura, il saggio analizza la ‘funzione Bassani’ in Spagna dalla Transizione democratica a oggi.

La fortuna editorial de Giorgio Bassani en España tiene que investigarse a raíz del franquismo, o sea una anomalía histórica que ha constituido un hito en la política cultural del país. La recepción del escritor italiano en la península ibérica, arranca en un momento de urgencia cultural e intelectual bajo el régimen de Franco y continúa en los años de la Transición y democracia, cuando es evidente una evolución crítica interna directamente vinculada a las exigencias políticas y culturales de España. A través de los conceptos de estética literaria, memoria, testimonio y responsabilidad de la escritura, el ensayo precisa investigar la «función Bassani» en España, desde la Transición democrática hasta hoy.

Le succès de Giorgio Bassani en Espagne doit être étudié en tenant compte de l’anomalie historique du franquisme qui a marqué une véritable fracture dans la politique culturelle du pays. L’accueil de Bassani en Espagne commence dans un période d’urgence culturelle et intellectuelle sous le régime de Franco et continue dans les années de la transition et de la démocratie en montrant une évolution critique intérieure liée aux exigences politiques et culturelles de l’Espagne. À travers les concepts d’esthétique littéraire, de mémoire, de témoignage et de responsabilité de l’écriture, l’étude explore la « fonction Bassani » en Espagne de la transition démocratique à aujourd’hui.

INDICE

Mots-clés : esthétique littéraire, mémoire, témoignage, responsabilité de l’écriture Parole chiave : estetica letteraria, memoria, testimonianza, responsabilità della scrittura Palabras claves : estética literaria, memoria, testimonio, responsabilidad de la escritura

AUTORE

SILVIA DATTERONI Universidad de Granada e Sapienza Università di Roma

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Giorgio Bassani e i lettori argentini Giorgio Bassani et les lecteurs argentins Giorgio Bassani y los lectores argentinos

Renata Adriana Bruschi e Silvia Datteroni

Italia, Spagna e Argentina: rotte editoriali

1 La ricezione di Bassani in Argentina merita senza dubbio uno studio attento per via dell’importante ruolo culturale svolto dalla città di Buenos Aires in alcuni momenti del secondo Novecento, quando i suoi critici letterari orientano le scelte di buona parte dei lettori ispanofoni. Essa risulta tuttavia, come in Spagna, piuttosto elitaria e si deve soprattutto all’attività editoriale e all’interesse critico di alcuni intellettuali come José (Pepe) Bianco, Enrique Pezzoni e Victoria Ocampo, direttrice della rivista «Sur» e della casa editrice omonima. A differenza della Spagna, nel paese sudamericano è cospicuo il numero di lettori che leggono e parlano l’italiano, e quindi, nel condurre l’indagine, si deve prendere in considerazione il fatto che spesso le opere bassaniane circolano anche in versione originale, sebbene in prevalenza vengano lette in traduzione. Si tenga presente inoltre che i libri stampati in Argentina e distribuiti nei paesi ispanofoni sono più numerosi quando in Spagna il franchismo costringe all’esilio volontario diversi editori. Soprattutto dalla fine degli anni trenta agli anni settanta, l’editoria argentina è una risorsa fondamentale per la penisola iberica, in quanto gestisce la maggior parte delle pubblicazioni in castigliano censurate in Spagna dalla dittatura1. Il dato in questione ha una certa rilevanza dal momento che la prima edizione in castigliano di un romanzo di Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, risale al 1960 ed è realizzata appunto in Argentina.

2 La narrativa proveniente dall’Italia suscita crescente interesse a metà Novecento e molti scrittori trovano editori argentini pronti a proporre i loro titoli in traduzione. L’editoria argentina detiene in quegli anni una posizione di prim’ordine riguardo alla narrativa italiana, in virtù di complessi legami culturali, storici e sociali che sono stati già più volte studiati. Inoltre, come sopra accennato, a causa del franchismo l’industria editoriale spagnola non è stata sempre in grado di farsi carico della pubblicazione di

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opere internazionali, tra cui quelle italiane, considerate pericolose per la morale cattolica. Lo stesso Bassani è stato più volte censurato e le sue opere sono state sottoposte a costanti controlli da parte della Oficina de Orientación Bibliográfica. Il numero elevato di professori italiani attivi nelle facoltà umanistiche argentine, sin dalla loro creazione, e la conseguente presenza di librerie italiane a Buenos Aires, ha favorito la fortuna critica dei narratori peninsulari; in più hanno svolto un ruolo determinante alcuni esponenti del mondo intellettuale argentino, particolarmente sensibili alla letteratura italiana.

3 Alcuni ulteriori legami concorrono a spiegare la buona accoglienza della narrativa di Bassani in Argentina. Anche la presenza di esponenti delle famiglie Ravenna e Minerbi a Buenos Aires, presenti dagli anni della seconda guerra mondiale e ben presto affermatisi nell’ambiente socioeconomico argentino, possono spiegare il legame profondo tra lo scrittore e i lettori locali, non tanto in termini di promozione diretta da parte di esponenti della famiglia allargata, quanto come conseguenza del desiderio di giungere a una comprensione più approfondita dei recenti eventi storici italiani. In queste opere narrative, in altre parole, i lettori di origine italiana coinvolti in prima persona nei fatti cui esse alludono trovano una possibile interpretazione di ciò che hanno vissuto in un clima misto di orrore e incredulità.

4 È importante ricordare, inoltre, sia il prestigio del Partito Comunista Italiano in Argentina, visto come un movimento politico di intellettuali, sia la mediazione del politico Héctor Pablo Agosti2, che introduce nel paese il pensiero di Antonio Gramsci dagli anni cinquanta; si tratta di circostanze che preparano il terreno anche alla ricezione entusiasta del Neorealismo italiano. Infine, la fortuna della narrativa italiana è favorita dall’attività di alcuni scrittori locali che assegnano al lavoro traduttivo una valenza ampia e positiva, in quanto palestra di stile, e accolgono con interesse le novità letterarie italiane.

5 La conoscenza delle opere di Giorgio Bassani prende avvio negli anni sessanta, quando il sistema democratico mostra ancora alcune fragilità, che sfociano nell’alternanza di governi costituzionali e di colpi di stato. Questi squilibri politici, che si protraggono sino al 1983, sommati alle crisi economiche cicliche, incidono negativamente sull’industria editoriale e determinano, negli ultimi decenni del Novecento, la perdita di centralità degli editori argentini riguardo ai paesi latinoamericani di lingua spagnola. A conferma delle tensioni che attraversano il periodo di transizione appena ricordato, si può citare la dichiarazione dello scrittore argentino Juan Forn, ideatore e direttore del supplemento culturale «Radar» (supplemento culturale del giornale «Pagina/12») dal 1996 al 2002. Ai tempi dei suoi studi universitari, negli anni dell’ultima dittatura, Forn leggeva in modo disordinato testi narrativi che trovava nelle librerie di Buenos Aires. Appassionatosi ai romanzi di Scott Fitzgerald e Stendhal, inizia a leggere Il Giardino dei Finzi-Contini, in cui ritrova quelle stesse atmosfere rarefatte, e successivamente affronta la lettura delle altre opere di Bassani nell’edizione di Bruguera del 1984. Possiamo dedurne che anche se i contraccolpi politico-economici limitano il numero delle edizioni argentine affidate a traduttori locali, il flusso di informazioni e lo scambio di idee non si interrompono. In assenza di titoli proposti da editori argentini, le opere di Bassani continuano a circolare e interessare i critici letterari nelle versioni provenienti dalla Spagna.

6 Vari fattori mantengono vivo l’interesse per Bassani, ritenuto a ragione un autore di solida cultura letteraria e artistica. In primo luogo, l’egemonia in Argentina della

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cultura accademica, al cui interno l’apporto culturale italiano gode di particolare stima, rende più agevole la diffusione dello scrittore ferrarese. Esercita, inoltre, una certa influenza l’opera di promozione compiuta dalle testate nazionali «La Nación» e «La Prensa», inclini a promuovere opere letterarie di spessore accademico. Alcuni articoli apparsi negli inserti culturali dei due giornali citati richiamano l’attenzione su Giorgio Bassani. Non va poi sottovalutato l’influsso esercitato dalle comunità ebraiche, di provenienza geografica assai varia (Italia, ma anche Spagna, Francia, Europa dell’Est), che sono presenti in Argentina e inclini alle attività intellettuali. A ciò si aggiunga che il lasso temporale in cui si diffondono i romanzi e i racconti dell’autore coincide con l’arrivo in Argentina di una nuova ondata migratoria dall’Italia, composta in prevalenza da uomini e donne di formazione universitaria, abituati a fruire di proposte culturali qualificate, comprese le produzioni cinematografiche.

Rotte intellettuali: Gli occhiali d’oro in Sur

7 Riguardo alla ricezione di Bassani in Argentina va anche tenuto presente un ampio contesto di contatti, incontri e collaborazioni internazionali che fanno da telone di fondo alla nostra analisi. La diffusione iniziale di Giorgio Bassani in Argentina stupisce per la tempestività con cui Gli occhiali d’oro viene proposto in traduzione al lettore ispanofono. Stampata da Einaudi nel 1958, l’opera attira l’attenzione dell’editrice argentina Victoria Ocampo (Buenos Aires, 1890-1979) e, tradotta da Roberto Bixio in castigliano, viene pubblicata, come sappiamo, nel 1960 dalla casa editrice Sur. Come sia arrivata nelle mani degli editori argentini è ancora una questione aperta, in assenza di un chiaro riscontro negli archivi della casa editrice. Si conservano infatti pochi documenti: una lettera inviata dall’editore torinese nel luglio del 1959, in risposta a una richiesta spedita dall’editore argentino nello stesso mese — di cui non si è conservata la copia —, una lettera di accompagnamento al contratto inviato a novembre dello stesso anno da Nicolás Costa, dell’agenzia letteraria International Editors Co. di Buenos Aires e la copia del contratto siglato da Sur, senza indicazione della data. Durante un’intervista telefonica con Eduardo Paz Leston, membro della «constelación Sur»3, lo scrittore e critico argentino ha dichiarato che fu proprio Victoria Ocampo a voler pubblicare Bassani, secondo un criterio puramente estetico. Più volte infatti la Ocampo ha dichiarato a proposito delle sue scelte editoriali che «Le interesaba el talento»4.

8 Questi pochi riscontri inducono a pensare che la scelta rispondesse a contatti personali pregressi. Molti sono gli elementi che possono spiegare l’interessamento a quest’opera da parte di Victoria Ocampo e degli intellettuali argentini gravitanti attorno alla rivista «Sur». In particolare, nel caso della sua direttrice, la conoscenza della cultura italiana risaliva ai primi studi condotti a Parigi, agli inizi del Novecento, quando diciannovenne aveva seguito le lezioni di Henry Hauvette su Dante e di Alfred Jeanroy sulla letteratura medievale in lingua romanza. Successivamente, continuò a coltivare le lettere italiane e si interessò anche alle opere di recente pubblicazione che riceveva dagli amici o dagli ospiti italiani che accoglieva a Buenos Aires.

9 Quando lancia la rivista letteraria «Sur», nel 1930, Victoria Ocampo, oltre a prendere a modello riviste quali «La Nouvelle Revue française», «Revista de Occidente», e «The Criterion», ha come punto di riferimento anche il «Commerce» di Marguerite Caetani. Stando alla testimonianza di Eugenio Guasta, Ocampo frequenta la principessa Caetani in occasione di un lungo soggiorno parigino iniziato a gennaio del 1929. Sono i mesi in

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cui Ocampo pensa alla costituzione del comitato editoriale per la sua rivista letteraria, e per le novità italiane si rivolge a Leo Ferrero, la cui collaborazione fu di breve durata a causa della sua prematura morte in Messico. In seguito, tanto Attilio Rossi quanto Attilio Dabini, traduttore e critico letterario, avranno occasione di contribuire con proposte di testi italiani. Più tardi, nel secondo dopoguerra, la redazione della rivista «Sur» si avvarrà soprattutto della collaborazione di José Bianco, Jorge Luis Borges, Waldo Frank, H. A Murena, Fryda Schultz de Mantovani, e Silvina Ocampo.

10 L’amicizia tra Victoria e Marguerite continua anche quando la Caetani si trasferisce a Roma e inizia la pubblicazione della rivista «Botteghe oscure», di cui Bassani, oltre che un collaboratore, è uno dei principali responsabili editoriali. Nel corso di un viaggio in Italia a fine anni cinquanta, Adolfo Bioy Casares, marito di Silvina Ocampo e cognato di Victoria, riesce a far pubblicare il suo racconto Las vísperas de Fausto sul no 22 della rivista (1958). Da pochi mesi l’argentino Juan Rodolfo Wilcock, poeta, narratore e traduttore, si era trasferito a Roma stringendo legami con il mondo culturale della città capitolina, e fra gli altri con e Pier Paolo Pasolini, , e Giorgio Bassani, almeno stando alla testimonianza di Attilio Bertolucci5. La forte sintonia tra Giorgio Bassani e il gruppo di scrittori che frequenta la redazione di «Sur» — a detta di José Sebreli una costellazione, e non un ristretto circolo di intellettuali — trova conferma anche nella scelta operata dallo stesso Bassani che propone di includere L’Aleph di Jorge Luis Borges nella collana «Biblioteca di letteratura» dell’editore Feltrinelli, nel 1959.

11 A «Botteghe oscure» si collega anche l’attività del salotto romano di Elena Croce. La responsabile della sezione spagnola di «Botteghe oscure» è infatti la filosofa malaghegna María Zambrano, allieva di Ortega y Gasset ed esiliata repubblicana a Roma sotto la ‘protezione’ di Elena Croce. È stato dimostrato che, come nel caso di Giorgio Bassani, fu proprio la figlia del filosofo napoletano a suggerire a Marguerite Caetani la collaborazione della Zambrano alla rivista. La filosofa spagnola collaborava a quel tempo anche con «Sur» di Victoria Ocampo, come dimostra proprio la corrispondenza tra Elena Croce e María Zambrano, in cui si accenna all’attività culturale di Victoria Ocampo. I testi di Bassani potrebbero quindi aver iniziato a circolare proprio all’interno di questo contesto di scambi e interessi letterari condivisi, in cui si muove anche il già menzionato Juan Rodolfo Wilcock.

12 Tra gli anni cinquanta e settanta, gli scambi e rapporti culturali tra il mondo argentino e quello italiano si intensificano, arrivando a coinvolgere, in alcuni casi specifici, anche la Spagna. Nel 1964 Wilcock, ormai cittadino italiano, collabora alle riprese del film Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, nel ruolo di Caifa. Il protagonista del film è Enrique Irazoqui, uno studente catalano membro del Partito Comunista Spagnolo che si trova in Italia, in veste di rappresentante del sindacato studentesco di Barcellona, per raccogliere fondi per la causa antifranchista. A Roma conosce Pasolini, che accetta di aiutarlo a patto che reciti nel film. Oltre a Pasolini Irazoqui conosce Pietro Nenni, Elsa Morante, Vasco Pratolini e Giorgio Bassani, che egli invita ad intervenire all’Università di Barcellona con un discorso sull’importanza della militanza politica. È da supporre quindi che i primi contatti di Bassani con la Spagna, che risalgono agli anni sessanta, si debbano a ragioni di solidarietà politica internazionale, all’interno di un contesto intellettuale che proponeva ancora una volta il triangolo Italia-Argentina-Spagna6.

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Gli occhiali d’oro tra omosessualità e impegno testimoniale

13 Tra gli anni cinquanta e settanta la cultura italiana vive un momento di fioritura, dovuto al diffuso entusiasmo postbellico, di cui sia la Spagna sia l’Argentina subiscono l’influenza. Renata Donghi Halperin descrive l’influenza culturale italiana in Argentina come una «corrente sotterranea che alimenta […] l’intera opera di alcuni dei nostri autori»: la Halperin ne sottolinea la peculiarità e, più che suggerire una relazione diretta tra autori o opere, parla di «reminiscenza vitale», ovvero di un «prolungamento o persistenza» di certi caratteri culturali nazionali che si travasano da una realtà all’altra. Secondo la critica, infatti, ciò che più risalta dell’influenza italiana sulla letteratura argentina è un vago «tono que conduce a»7.

14 Per quanto concerne poi la scelta di tradurre Gli occhiali d’oro, probabilmente diversi fattori contribuirono alla decisione di proporre l’opera ai lettori argentini. Va tenuto presente che il catalogo editoriale della rivista è il risultato di scelte condivise tra i membri del Comitato di redazione. Ferma restando una sostanziale coincidenza di gusti tra Ocampo e Bassani sulla prosa narrativa di Proust, le ragioni di questa scelta si potrebbero ricondurre a diversi motivi: la stessa Victoria Ocampo probabilmente coglie bene la ricchezza del testo che somma temi complessi quali l’emarginazione sociale del diverso, la stigmatizzazione sociale di un gruppo per via della sua identità e infine il tema del tradimento. Queste tematiche insite nel romanzo consentono di tracciare un parallelismo tra il personaggio di Fadigati e la direttrice di «Sur». Quando quest’ultima decide di separarsi dal marito nel 1922, rinuncia consapevolmente al ruolo convenzionale di moglie e madre; in seguito essa accresce la sua estraneità all’ambiente familiare iniziando un lungo rapporto, vissuto clandestinamente, con Julián Martínez. La sua posizione politica, condivisa con altri esponenti del patriziato locale, e in netto contrasto con il peronismo che dal 1946 al 1955 monopolizza la scena politica, le procura anche un’incarcerazione preventiva di alcuni mesi nel 1953. Infine, Ocampo, che aveva un carattere spontaneo e altruista, manifesta in alcune occasioni il suo disappunto per la mancanza di gratitudine che mostrano a volte i destinatari delle sue generosità.

15 Fadigati, insomma, può aver rappresentato per lei uno specchio letterario in cui ritrovava la propria eccentricità, la persecuzione subita e l’ingratitudine di alcuni amici o conoscenti.

16 D’altra parte, sarebbe interessante trovare testimonianze che permettessero di stabilire se José Bianco, che in quegli anni è segretario di redazione della rivista «Sur» e influisce sulle decisioni editoriali più di quanto tradizionalmente gli viene riconosciuto, possa aver esercitato qualche influenza nella scelta di pubblicare l’opera di Bassani nel 1960. All’interno del Grupo Sur, l’omosessualità non è mai stata motivo di censura, come dimostra la figura di José Bianco e di altri collaboratori. Né si è trattato di un’eccezione nel panorama culturale argentino, benché l’argomento resti circoscritto a pochi ambienti, quale ad esempio quello dell’Editorial Tirso, fondata da Renato Pellegrini e Abelardo Arias, che dal 1957 pubblica testi con tematiche omosessuali, sia pure per un breve periodo.

17 Nel contesto argentino la questione della visibilità sociale degli omosessuali è stata dibattuta apertamente solo in tempi recenti e trova scarso riscontro nella letteratura

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nazionale della prima metà del Novecento. Non si tratta solo di tabù sociali, intervengono anche alcuni principi condivisi da una popolazione che nella sua larga maggioranza è cattolica praticante e fortemente legata a una visione gloriosa della virilità che trova nella vita delle caserme l’espressione più compiuta. Leopoldo Brizuela, nel prologo alla sua antologia Historia del deseo (2000) traccia a questo proposito un sintetico panorama: Da quando nel 1914 il sindaco di Buenos Aires proibì la tragedia Los invertidos di Gonález Castillo, ogni edizione di un’opera con ‘tematiche omosessuali’ fu un atto di politica editoriale molto agguerrito […]. A partire dal 1930, le successive dittature militari rafforzarono la prassi della censura preventiva, e lo scandalo delle reclute del Colegio Militar de la Nacion nel 1942 servì come pretesto per avviare una politica peronista sempre più repressiva in termini di pratiche sessuali. Da allora uno dei focolai di resistenza più tenaci e meno studiati fu la rivista e casa editrice Sur, fondata da Victoria Ocampo, ma di fatto diretta da due omosessuali, prima José Bianco e più tardi Enrique Pezzoni8.

18 Un’ulteriore spiegazione per la scelta editoriale in questione potrebbe essere l’‘urgenza’ di testimoniare che contraddistingue la poetica di Bassani. Nel caso spagnolo è stato dimostrato per esempio che l’attenzione dell’autore al contesto storico-culturale di certi eventi privati trascende il ‘localismo’ del ciclo ferrarese, fino a risultare un paradigma ermeneutico utile a una società scombinata da quarant’anni di dittatura.

19 Allo stesso modo, nel caso argentino, l’esercizio di memoria di Bassani sembra muovere verso categorie interpretative universali e risponde alle esigenze di un pubblico sensibile alla questione ebraica e alle molteplici forme di abuso perpetuate da politiche nazionali discriminatorie.

20 In questo senso è probabile che la pubblicazione degli Occhiali d’oro si inserisca in un contesto storico-politico-culturale caratterizzato da un bisogno di comprendere e ricordare, alla luce di una politica della memoria alla quale gli intellettuali argentini sembrano particolarmente ricettivi. Alla luce dei criteri etico-estetici della redazione Sur, possiamo inoltre ipotizzare che la decisione di pubblicare Bassani, e questo libro in particolare, rispondesse all’aspirazione a pubblicare opere letterarie di qualità, in cui fossero ribadite le posizioni del gruppo, favorevole alla lotta contro i totalitarismi. Come ricorda Enzo Neppi, il segmento temporale approfondito da Bassani negli Occhiali d’oro si estende dall’inverno del 1936 al novembre del 1937, e lo scrittore vi fa riferimento ad altri importanti eventi storici di quegli anni, come l’assassinio di Dollfuss (25 luglio 1934), la Guerra d’Etiopia e la Guerra Civile spagnola9.

21 Lo storicismo di Bassani, che inizialmente non sembra trovare terreno fertile in una società, come quella argentina, che predilige scrittori che hanno «fatto i conti con Croce e D’Annunzio»10 può essere considerato, più che il proseguimento di una tradizione letteraria europea e italiana ormai ‘superata’, uno strumento stilistico grazie al quale sono ricaricati di senso eventi ineliminabili del XX secolo.

Giorgio Bassani e gli intellettuali argentini

22 Gli occhiali d’oro sono uno dei tanti romanzi e racconti di scrittori italiani che furono tradotti in Argentina negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. Si tratta di una stagione particolarmente florida per la diffusione della letteratura italiana in Argentina, e accompagna il potenziamento dell’industria editoriale locale. In Argentina si mantiene alto il tasso di alfabetizzazione, incoraggiando di pari passo l’interesse per

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la narrativa in generale; negli anni cinquanta e sessanta anche la richiesta di romanzi italiani tradotti è elevata, favorita dal successo dei film italiani accolti nelle sale cinematografiche argentine. In altre parole, circolano facilmente romanzi italiani in traduzione e in versione originale, come confermano le librerie italiane che proprio negli anni cinquanta aprono i battenti a Buenos Aires. Il fenomeno è inoltre appoggiato da concrete azioni diplomatico-culturali, iniziate da Giustino Arpesani, ambasciatore a Buenos Aires tra il 1947 e il 1955, e a cui si deve l’organizzazione di un importante mostra del libro italiano nel 1949. Anche lo scambio di visite ufficiali fra i presidenti — nel 1960 si reca in Italia Arturo Frondizi, presidente argentino di genitori italiani, e nel 1961 fa un viaggio in Argentina Giovanni Gronchi — sortiscono l’effetto di rafforzare i legami tra i due paesi.

23 Per rendersi conto della passione per gli autori italiani in Argentina negli anni a ridosso della pubblicazione di Los anteojos de oro, può essere utile ricordare il giudizio espresso da F. J. Solero nella sua recensione del romanzo di Pratolini Metello, apparsa nel 1957 sulla rivista letteraria «Ficción»11. Pratolini, Moravia, Silone, Vittorini, Carlo Levi, Piovene, Alvaro e Pavese sono citati quali autori ormai affermati tra i lettori argentini. A ciascuno di essi il critico riconosce un tratto specifico che è spia della lettura che allora prevaleva per ciascuno di loro: a Pratolini egli attribuisce la dimensione ‘popolare’, a Moravia l’erotizzazione delle situazioni, a Silone la critica socio-politica, a Vittorini il lirismo acre, ad Alvaro le immagini nitide, a Carlo Levi la sofferenza dei contadini, a Piovene la rappresentazione di vite prigioniere della loro indecisione, a Pavese un ruvido primitivismo. Tratto comune di tutti questi autori, secondo Solero, è la dimensione umana delle vicende narrate: «Todos ellos nos ofrecen una provincia del corazón humano».

24 Anche la critica letteraria Renata Donghi Halperin contribuisce a diffondere la conoscenza di Giorgio Bassani in Argentina. Nel 1947 Renata Donghi aveva creato l’Associazione di Cultura Argentino-Italiana, volta a riunire gli italiani e i figli di italiani desiderosi di impegnarsi nella diffusione della cultura italiana. Tra il 1960 e il 1964 è docente di Letteratura italiana presso l’università statale di Córdoba. Nel 1963 pubblica un ampio articolo sul giornale «La Prensa», soffermandosi sulle Cinque storie ferraresi. L’articolo è pubblicato nell’inserto culturale della domenica col titolo Aconteció en Ferrara, ed è accompagnato da un ritratto di Bassani e da alcune immagini delle città. Donghi pone al centro del suo intervento due aspetti da lei rilevati nell’opera dell’autore ferrarese, da un lato un elemento prettamente letterario, vale a dire la tecnica compositiva, equiparata a quella di un cesellatore, e dall’altro il messaggio politico. Donghi si sofferma sulla questione ebraica e sui rapporti tra la borghesia italiana e il fascismo: Bassani non lascia mai la città né, possiamo aggiungere, una determinata classe sociale, quella che possiede cultura e mezzi per procurarsela […]. Quegli anni che Pavese, tanto per fare un nome, vede preferibilmente con gli occhi del contadino o dell’operaio, Bassani ce li mostra dal punto di vista della classe media ferrarese. Una classe che non si è mai posta seri problemi politici e i cui membri, ebrei e non ebrei, anche quando ebbero il coraggio di allontanarsi dal regime, non lo fecero certo con lo stesso entusiasmo con cui vi avevano aderito. Un allontanamento discreto, prudente, pudico, che si manifestava nell’intimità e, anche in tale caso, con un certo distacco. Gente, insomma, che vuole vivere i pochi giorni che ha sulla terra nel miglior modo possibile, senza dare disturbo al prossimo e senza subirne fastidi…12

25 Queste valutazioni, rapportate alle condizioni degli italiani immigrati in Argentina, colpiscono perché sembrano alludere al difficile equilibrio stabilitosi all’indomani della

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seconda guerra mondiale. Come noto, in Argentina le simpatie per il regime, che infiammavano alcuni gruppi di italiani e anche alcuni esponenti politici argentini, si scontrarono con la marcata ostilità di altri gruppi di emigrati italiani, di antica data e di fede repubblicana, cui si aggiungevano esponenti dell’anarchismo, alcuni comunisti e, dal 1938, i rifugiati ebrei spinti fuori d’Italia dalle leggi razziali. Con l’insediamento alla Casa Rosada, nel 1946, di Juan Domingo Perón, le cui simpatie verso l’Italia del ventennio sono note, si crea una situazione insolita che l’ambasciatore Giustino Arpesani riesce a pilotare a tutto vantaggio della ricostruzione italiana. Non a caso l’articolo su «La Prensa» si conclude con un interrogativo che resta senza risposta. Renata Donghi si domanda se la narrativa di Bassani intenda essere un «atto d’accusa contro i complici dell’orrore o una testimonianza su fatti imbarazzanti».

26 Nel 1971 Horacio Armani, poeta e traduttore argentino, si trova in Italia insieme alla moglie María Esther Vázquez; entrambi partecipano agli incontri organizzati da Victoria Ocampo. Non solo hanno letto Los anteojos de oro in traduzione, hanno pure ricevuto dal loro amico Gabriel Cacho Millet, giornalista a Roma e critico letterario, una copia in italiano del Giardino dei Finzi-Contini. L’incontro con Bassani avviene a Roma, durante un ricevimento organizzato dall’Ambasciata francese, e da allora i due si frequentano saltuariamente. Armani intervista Bassani a casa sua e l’articolo appare sul supplemento letterario del giornale «La Nación» insieme alla traduzione in castigliano del racconto La vida es sueño. Si tratta di un dialogo tra due scrittori che esaminano diverse questioni, fra cui quella del rapporto tra lo scrittore e la tradizione letteraria. Bassani dichiara che «no podría escribir si en mi poética no estuviese implícita una relación de tipo religioso con cierto público. Mi literatura es fundamentalmente religiosa en este sentido, en esta búsqueda de relación con los otros y por esto no puede ser experimental»13.

27 Si può quindi avanzare l’ipotesi che la narrativa di Bassani abbia goduto, negli anni sessanta, di una discreta diffusione, che nel giro di pochi anni sarà incrementata dall’entusiasmo con cui lo spettatore argentino accoglie il film di Vittorio De Sica. De Sica, giunto per la prima volta in Argentina nel 1953, aveva suscitato un interesse che si rinnovò nel 1970, con il suo adattamento cinematografico del Giardino. La presenza delle opere bassaniane nelle librerie argentine a cavaliere degli anni settanta e ottanta, nel corso del governo Videla-Galtieri, consente la loro circolazione tra i lettori più avveduti che, per riprendere le parole di Juan Forn, giudicano l’autore una sintesi riuscita tra moduli narrativi americani e non. «Il primo aspetto che rilevai nelle sue opere fu il tono fitzgeraldiano, che in fondo coincide con quello stendhaliano: vale a dire quello di un outsider che resta affascinato da un mondo in certo senso a lui vietato»14. Con questa valutazione, Forn richiama un altro aspetto, di portata più ampia ma utile ai fini di un’adeguata comprensione delle interazioni che operano quando un testo narrativo entra nel mercato argentino. La diffusione degli autori esteri in Argentina a fine Novecento vede aumentare l’influsso esercitato dagli stimoli culturali provenienti dagli Stati Uniti d’America, sia in termini di opere narrative, sia in termini di critica letteraria. Al contempo, la narrativa novecentesca inizia a farsi largo nei programmi universitari relativi al corso di Letteratura italiana, che può integrare sia il curricolo di studi per la Laurea in Lettere sia quello per la Laurea in Lingua italiana (Magistero)15. Lo stesso Bassani incontrò gli studenti universitari in occasione del suo viaggio in Argentina.

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28 In attesa che venga compiuto uno studio approfondito attualmente in corso sull’influenza di Bassani sugli scrittori argentini, riteniamo interessante citare un autore che ha una concezione della scrittura simile a quella del ferrarese. Si tratta di Gerardo Mario Goloboff, scrittore e professore di letteratura argentina presso l’Universidad Nacional de la Plata, che collabora con importanti riviste internazionali tra cui «Le Monde Diplomatique» (edizione castigliana pubblicata a Buenos Aires) e «Cuadernos Hispanoamericanos» (Madrid).

29 Nella trilogia di Algarrobos (Criador de palomas, 1984; La luna que cae, 1989; El soñador de Smith, 1990) Goloboff mette in scena una «scrittura del silenzio», secondo la definizione di Fernando Moreno, cui egli ricorre per confrontarsi sul piano letterario con fatti storici ‘assoluti’ come la Shoà, l’esilio e la dittatura militare degli anni Sessanta. Secondo Moreno, Goloboff cerca con la sua scrittura di «percorrere le rotte della memoria, indagare negli interstizi del tempo, sviscerarne la profondità, dichiararne gli equivoci, rintracciarne gli enigmi»16. Si tratterebbe insomma di un’operazione simile a quella di Bassani quando dichiara sotto forma di imperativo etico: «scrivo perché ci se ne ricordi»17. Nell’articolo Diálogo íntimo de dos obras: mi Algarrobo natal ante la Ferrara de Giorgio Bassani, Goloboff spiega che è stato Ricardo Piglia il primo a suggerire una vicinanza di stile e di contenuto tra la sua opera e quella di Bassani, dal momento che per lo scrittore argentino «il romanzo ricreava in qualche modo l’atmosfera del Romanzo di Ferrara»18.

30 Goloboff ammette, tra i suoi racconti e quelli di Bassani, «significativi punti di contatto», rilevati poco tempo dopo anche dal critico Blas Matamoro, come la tensione costante tra realtà e finzione. Lo scrittore argentino si concentra in particolare sui principali ‘nodi spaziali’ dell’opera del ferrarese, come per esempio il cimitero ebraico e la sinagoga, spazi identitari importanti, intorno a cui ruota l’intera struttura narrativa, e che sono potenziati dal «detallismo» descrittivo di Bassani.

31 Scrive Goloboff: Bassani ha avuto il talento di utilizzare il passato reale, disgraziatamente reale, per elaborare con esso, o a partire da esso, dei racconti in cui è difficile separare la finzione dalla testimonianza, l’invenzione dalla cronaca, ma in cui il linguaggio e la struttura narrativa tendono a costruire un mondo immaginario e romanzesco, che rende gli aneddoti più convincenti e rafforza la conoscenza della storia partendo dalla letteratura19.

32 Come accennavamo sopra, l’alternanza di realtà e di finzione caratterizza anche il ciclo narrativo di Algarrobos, anche se la finzione letteraria relativa a luoghi e personaggi ha un carattere molto più accentuato e lo storicismo non è usato come strumento di indagine. Ad ogni modo, come dichiara lo scrittore, si potrebbero evidenziare importanti coincidenze tra lui e Bassani, come per esempio la «funzione analoga attribuita alla memoria, al ricordo, come terreno privilegiato a partire dal quale si costruiscono letterariamente vite ed eventi». Goloboff suggerisce anche un altro punto di contatto legato allo «sguardo rituale che […] in Bassani si concentra su luoghi di tradizionale e profonda simbologia […] su ambienti domestici, quotidiani, oppure su azioni che, senza possedere tale simbologia, sembrano acquistarla grazie all’attenzione che rivolge loro la scrittura». Goloboff continua segnalando similitudini sia nel modo di trattare fatti storici ‘indicibili’ quali le leggi razziali del ’38 in Italia e la repressione dittatoriale argentina negli anni sessanta, sia nel modo di denunciare la «condotta

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negatrice» della gente che, con il suo silenzio, autorizza in un certo senso le atrocità commesse.

33 Con un focus letterario rivolto ai luoghi dell’infanzia, entrambi applicano un filtro che trascende il microcosmo spaziale della narrazione, universalizzando una tematica che non può essere contenuta dentro le mura dell’esperienza privata di ognuno.

34 Torniamo quindi un momento alla proposta critica di Renata Donghi Halperin riguardo all’influenza italiana sulla letteratura argentina, intesa come una ‘corrente sotterranea’, una sorta di ‘reminiscencia vital’, che solca in profondità l’humus culturale del paese e favorisce un dialogo costante tra i due contesti. Questa osservazione ci permette di comprendere meglio le parole di Goloboff quando dice: Sulla strada intrecciata dall’intertestualità, dove i libri si incontrano e si riconoscono simili anche senza che ne avesse l’intenzione, la regione dei miei romanzi (un po’ reale e un po’ immaginaria) instaura un […] rispettoso dialogo con la Ferrara reale e storica (e non per questo meno romanzesca) di Giorgio Bassani20, e conclude: Con la sua strana familiarità, nonostante spazi e tempi diversi, l’ammirabile opera di Bassani mi induce a supporre che la condizione ebraica non sia estranea a tali coincidenze, e che il mio sguardo e la mia scrittura (molto più titubanti dei suoi) cerchino di proseguire in un’altra lingua un percorso in cui inconsciamente lo hanno avuto come precursore21.

35 La presenza in Argentina di Giorgio Bassani nell’aprile del 1983, per partecipare alla Fiera del Libro di Buenos Aires, fu una una nuova occasione di incontro fra lo scrittore e il suo pubblico argentino. Si trattava della nona edizione di un appuntamento importante per i lettori argentini, della durata di tre settimane (dal 9 al 25 aprile), creato e coordinato da Roberto Castiglioni. Sebbene i militari fossero ancora al potere, il clima politico creatosi un anno dopo la sconfitta nella guerra dell’Atlantico meridionale aveva avviato alcune timide aperture democratiche e nello specifico ambiente letterario si percepiva una maggiore libertà, confermata dalla presenza di autori quali Mario Sábato e Osvaldo Soriano. Anche la tavola rotonda sulla censura fu molto seguita dal pubblico e la gigantografia che raffigurava le Madres di Plaza de Mayo, esposta nello stand dell’editore El Cid, era il chiaro segnale di una svolta imminente. Lo stesso critico letterario Jorge Laforgue osserva: «La Feria se ha abierto un poquito, pero que existe la censura es evidente»22. Partecipano alla fiera gli editori locali, le librerie e trentacinque delegazioni estere, inoltre per la prima volta si organizzano incontri tra agenti letterari. Tra gli ospiti attesi ci sono il messicano Juan Rulfo, lo spagnolo Francisco Ayala, il cileno José Donoso.

36 L’intervento al Salone del libro è preceduto dall’intervista «Giorgio Bassani: la Argentina entrevista» apparsa sul giornale «La Nación» a firma di Maria Esther Vázquez23. Nel lungo dialogo trovano spazio numerosi temi, a cominciare dalle impressioni dello scrittore, che visita la città per la prima volta, per continuare con la presenza della storia italiana recente nella sua narrativa, le riflessioni sulla sua vocazione letteraria, il suo impegno civile e la conoscenza di Borges. Ormai i lettori argentini conoscono le opere di Bassani nelle traduzioni pubblicate in Spagna, dal momento che dopo la traduzione proposta dall’Editorial Sur nel 1960 nessun editore argentino ha più ottenuto i diritti per tradurre le sue opere. Quando Sur, nel 1980, a un anno di distanza dalla morte di Victoria Ocampo, tenta di rilanciare la sua collana di autori classici, non ottiene l’autorizzazione a ristampare la traduzione di Los anteojos de oro.

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37 Durante il soggiorno in Argentina, Giorgio Bassani partecipa alla tradizionale giornata dedicata all’Italia che gli organizzatori della Fiera ancora oggi propongono a ogni nuova edizione. L’appuntamento, molto atteso dal pubblico locale, si tiene mercoledì 20 aprile e Bassani pronuncia la conferenza intitolata «Il giardino tradito», in cui espone alcune considerazioni sulla trasposizione cinematografica del suo romanzo, realizzata da Vittorio De Sica. Bassani ribadisce il suo disappunto per la mancanza di fedeltà allo spirito e alle intenzioni del suo romanzo. Durante il suo soggiorno in Argentina, visita anche la città di Rosario, alla ricerca di testimonianze architettoniche liberty, molto abbondanti in quella città sulle rive del fiume Paranà, che agli inizi del Novecento era già un importante centro commerciale per la produzione cerealicola. Nel salone della Scuola Italiana tiene una conferenza su Venezia nell’architettura, organizzata dalla Società Dante Alighieri, insieme al Consolato italiano di Rosario. Ormai l’impegno civile e la lotta per la salvaguardia del patrimonio artistico prevalgono in lui, come si desume da alcune dichiarazioni formulate nel corso dell’intervista fattagli da María Esther Vázquez, cui Bassani confida il suo auspicio che possano essere restaurati alcuni edifici liberty di Rosario.

Per concludere

38 L’interesse per l’opera di Bassani in Argentina sembra dunque legato a due diverse motivazioni che forse le parole di Renata Donghi Halperin e di Horacio Armani sintetizzano nel modo più compiuto. Da una parte, la lettura di Donghi Halperin mette in luce la dimensione politica delle vicende narrate, dall’altra Armani lascia trapelare il fascino di una prosa accurata, ricca di riferimenti letterari e culturali. Entrambe le letture coesistono nei decenni che seguono, come confermano le opere del critico letterario Federico Peltzer e del critico cinematografico Agustín Neifert. Membro della Academia Argentina de Letras, nel 2004 Federico Peltzer dedica a Bassani alcune pagine del suo volume miscellaneo El hombre y sus temas. Partito dal proposito di valorizzare la testimonianza di Bassani sull’orrore della sua epoca, ben presto Peltzer resta affascinato dalla presenza di Ferrara nelle sue narrazioni e decanta la città dal passato glorioso, che lo scrittore mostra minuziosamente al lettore argentino, probabilmente poco informato sulla storia del Rinascimento italiano. La città gli sembra diventare un simbolo della condizione psicologica di personaggi prigionieri della propria impotenza. Secondo Peltzer, Bassani è riuscito a delineare la città «como si hubiera renunciado definitivamente a ser lo que fue, para conformarse con lo impuesto por el tiempo: sobrevivir lo mejor posible y olvidar tanto su gloria como los crímenes de que fue testigo, antaño y ayer»24.

39 Il critico cinematografico Agustín Neifert pubblica nel 2013 Cine, Literatura y memoria, in cui raccoglie i suoi scritti dedicati a varie personalità culturali. Harold Pinter, Raymond Chandler, Federico Garcia Lorca, Albert Camus, Vladimir Nabokov, Primo Levi, Giorgio Bassani, Jorge Semprùn e Leni Reifensthal sono accomunati dalla loro capacità di muoversi tra letteratura, cinema e memoria. «El objetivo de este libro es estudiar la relación del cine con la literatura y de ambas expresiones con la memoria histórica, a la que contribuyen a enriquecer».

40 Queste brevi osservazioni riescono forse a dar conto dell’attenzione con cui la narrativa di Giorgio Bassani è stata accolta in Argentina. Il suo influsso potrà essere valutato con maggior precisione quando si prenderanno in considerazione tutti quegli scrittori

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argentini che, come Mario Goloboff, si riconoscono più o meno direttamente nello stile e nelle tematiche proposte dallo scrittore ferrarese.

NOTE

1. Per un approfondimento di questa questione si rimanda a F. Larraz, Una historia transatlántica del libro. Relaciones editoriales entre España y America Latina (1936-1950), Gijón, Ediciones Trea, 2010. 2. Cfr. F. Devoto, Historia de los italianos en Argentina, Buenos Aires, Biblos Colección: La Argentina Plural, 2006; A. Petra, El momento peninsular. La cultura italiana de posguerra y los intelectuales comunistas argentinos, «Revista Izquierdas», a. 3, no 8, 2010. 3. P. Willson, La constelación Sur: traductores y traducciones en la literatura argentina del siglo XX, Buenos Aires, Siglo XXI, 2004. 4. L. Ayerza de Castilho e O. Felgine, Victoria Ocampo, Buenos Aires, Sudamericana, 1991, p. 167. Precisiamo che qui e in tutto il saggio sono nostre le traduzioni dallo spagnolo. 5. Cfr. G. Nisini, Nello sguardo di Pier Paolo, «Rivista online di Italianistica», no 2, 2006. 6. Cfr. V. Fantuzzi, Enrique Irazoqui: un ragazzo che non voleva essere Gesù, Centro Studi Pier Paolo Pasolini, (consultato il 18 settembre 2017). 7. R. Donghi Halperin, La influencia italiana en la Literatura Argentina, in F. Korn (a cura di), Los italianos en la Argentina, Buenos Aires, Fundación Giovanni Agnelli, 1983, (consultato il 15 aprile 2017). 8. L. Brizuela, Prólogo a Historia de un deseo: el erotismo homosexual en veintiocho relatos argentinos contemporáneos, Buenos Aires, Ed. Planeta, 2000, p. 17. 9. Cfr. E. Neppi, Una lettura degli «Occhiali d’Oro», «Chroniques italiennes», vol. 28, no 2, 2014, pp. 209-231, (consultato il 10 giugno 2017). 10. A. Petra, El momento peninsular, art. cit., p. 9. 11. «Ficción», no 10, noviembre-diciembre 1957, pp. 172-174. 12. R. Donghi Halperin, Aconteciò en Ferrara, «La Prensa», 4 agosto 1963. 13. H. Armani, Giorgio Bassani: creación y polémica, «La Nación», 11 aprile 1971. 14. Juan Forn risponde ad un quesito posto direttamente nel corso dell’indagine condotta ai fini di questo contributo. 15. In merito a questo punto, si tenga presente che proprio negli anni ottanta a Buenos Aires viene a costituirsi l’Associazione di Docenti e Ricercatori di Lingua e Letteratura Italiana ADILLI che con i suoi incontri annuali ha favorito la fruizione e lo studio dei narratori italiani novecenteschi. In particolare di Bassani, se ne è occupata Graciela Caram Catalano nel 1989 e poi nel 1990. 16. F. Moreno, La escritura, nido de ausencia, in C. Cymerman (a cura di), Le roman hispano-américain des années 1980, Atti del convegno di Rouen (26-28 aprile 1990), Cahiers di C.R.I.A.R. (Centre de recherche d’études ibériques et ibéro-américaines), no 11, 1991, pp. 71-78, 77. 17. G. Bassani, In risposta VI, in Opere, a cura di R. Cotroneo, Milano, Mondadori, 2009, pp. 1325-1326. 18. G. M. Goloboff, Diálogo íntimo de dos obras: Mi Algarrobo natal ante la Ferrara de Giorgio Bassani, «Hispamerica», vol. XX, no 60, 1991, pp. 85-92, 85.

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19. Ivi, p. 89. 20. Ivi, p. 92. 21. Ibid. 22. Autocensura y ética, «Clarín», 18 aprile 1983. 23. M. Esther Vázquez, Giorgio Bassani: l’Argentina entrevista, «La Nación», 3 luglio 1983. 24. F. Peltzer, El hombre y sus temas (en algunos narradores europeos de los siglos XIX y XX), Buenos Aires, Academia Argentina de Letras, 2004, p. 228.

RIASSUNTI

Lo studio della ricezione di Giorgio Bassani in Argentina deve tener conto di una serie di circostanze extra-letterarie che hanno determinato la fortuna dell’autore oltreoceano. L’immigrazione italiana, il Peronismo, la questione ebraica e quella omosessuale, nonché la successiva dittatura militare argentina (1976-1983), sono alcuni degli eventi intorno a cui si struttura la presente ricerca. L’opera di Bassani approda in Argentina in seguito a contatti e scambi culturali che coinvolgono intellettuali spagnoli, italiani e argentini quali María Zambrano, Marguerite Caetani, Elena Croce e Victoria Ocampo, e si inserisce in una dialettica storico- letteraria che fa della politica della memoria un nodo centrale. Il presente studio si propone di indagare in che modo la poetica di Bassani, nonostante le circostanze molto specifiche in cui è sorta, abbia attecchito, ricontestualizzandosi, all’interno di una società con un differente ‘termometro’ culturale.

La réception de Giorgio Bassani en Argentine doit être étudiée en tenant compte d’une série de circonstances extra-littéraires qui ont déterminé le succès de cet auteur outre-mer. L’immigration italienne, le Péronisme, la question juive et la question homosexuelle, ainsi que la dictature militaire (1976-1983), figurent parmi les thèmes autour desquels s’organise cette étude. La connaissance de l’œuvre de Giorgio Bassani en Argentine a été précédée par les contacts et les échanges culturels entre des intellectuels espagnols, italiens et argentins tels que María Zambrano, Marguerite Caetani, Elena Croce et Victoria Ocampo. Elle s’inscrit dans une dialectique littéraire et historique centrée sur la politique de la mémoire. Notre étude a pour but d’expliquer pourquoi une œuvre née dans un contexte très particulier a pu s’enraciner, en se contextualisant, dans une société au « thermomètre » culturel très différent.

La recepción de Giorgio Bassani en Argentina se debe analizar tomando en cuenta una serie de circunstancias extra-literarias que determinaron el éxito editorial del autor. Los inmigrantes italianos, el peronismo, el hebraísmo y la homosexualidad, junto a la sucesiva dictadura militar argentina (1976-1983) son algunos de los aspectos que abarca la presente propuesta de estudio. Giorgio Bassani se difunde en Buenos Aires cuando ya se habían establecido contactos entre intelectuales españoles, argentinos e italianos y el intercambio cultural entre María Zambrano, Marguerite Caetani, Elena Croce y Victoria Ocampo era sólido. Su obra se inscribe en la dialéctica histórica y literaria que coloca la política de la memoria en una posición central. El presente estudio se propone de indagar y explicar en qué modo la contingencia nacional de la poética de Bassani se inserta, recontextualizándose, dentro de una sociedad con diferente termómetro cultural.

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INDICE

Mots-clés : mémoire, question juive, émigration italienne, homosexualité Parole chiave : memoria, questione ebraica, emigrazione italiana, omosessualità Palabras claves : memoria, cuestión judía, inmigración italiana, homosexualidad

AUTORI

RENATA ADRIANA BRUSCHI Università Cattolica del Sacro Cuore

SILVIA DATTERONI Universidad de Granada e Sapienza Università di Roma

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«Dall’altra parte della luna». Le poesie di Giorgio Bassani tra gli Stati Uniti e il Canada “On the Other Side of the Moon”. Giorgio Bassani’s Poems Between the United States and Canada « De l’autre côté de la lune ». Les poésies de Giorgio Bassani entre États-Unis et Canada

Valerio Cappozzo

«Ad ogni modo sia ben chiaro: niente di più dissimile della Milano di Hemingway da quella di Manzoni, dove, se la morte e il dolore corrono le strade, ogni donna ha però il viso di Lucia». Giorgio BASSANI1

1 Durante il corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea tenutosi nel semestre primaverile del 2016 all’Università del Mississippi, abbiamo letto diverse poesie e passaggi narrativi di Giorgio Bassani. Il corso, dato il luogo geografico in cui si è svolto e seguendo l’interesse degli studenti, aveva lo scopo di soffermarsi su quella letteratura italiana che ha cercato, in un modo o nell’altro, rapporti e punti di contatto con la letteratura americana. Se «l’inizio della guerra 1914-1918 trovò i lettori di tutto il mondo a testa china sui romanzi russi», la seconda guerra mondiale spostò l’interesse verso quella statunitense, verso quei romanzi senza inquadramento storico, in parte da considerare «come i segni di una moda, anzi d’una infatuazione, più che come operazioni dell’intelligenza e del gusto»2. Alla luce di questo giudizio severo di Cecchi, abbiamo cercato di capire quale sia stata la necessità, durante il fascismo, di tradurre i romanzi americani o di farne, come nel caso di The Postman Always Rings Twice (1934), degli adattamenti cinematografici che potessero sfuggire alla censura. Se il naturalismo verghiano suscitava sospetti a causa delle allusioni al brigantaggio nella novella L’amante di Gramigna e il progetto di adattamento veniva così bocciato dal Ministero della Cultura Popolare, il diner descritto da James Cain era un luogo troppo

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indeterminato per destare sospetti e far pensare a storie più ‘scomode’ per il regime. Il gruppo di collaboratori alla rivista «Cinema», Alicata, De Santis e Puccini cominciarono così a lavorare alla riduzione cinematografica del romanzo poliziesco americano sotto la direzione di Luchino Visconti, che lo aveva letto in traduzione francese ai tempi in cui era stato assistente alla regia di Jean Renoir a Parigi3. Ossessione traduce, dalla California alla Bassa Padana, quell’idea del non-luogo dove è possibile ambientare una qualsiasi storia, sentendosi liberi dagli schemi sociali derivati da un eccesso di perbenismo e morale, ciò che appunto diversi scrittori e intellettuali italiani cercavano nella letteratura americana. In questa occasione, per andare alla ricerca delle locations dove girare alcune scene del film, viene chiamato un giovane scrittore esordiente, il ferrarese Giorgio Bassani, fine conoscitore dei luoghi che vanno dalla sua Ferrara a Codigoro, paesaggi cantati nelle sue poesie che proprio in quegli anni cominciavano a prendere forma. Usando un po’ di immaginazione possiamo, effettivamente, calarci in una poesia di Storie dei poveri amanti, seguendo la telecamera guidata da Visconti che penetra nelle nebbie mattutine o attraversa i campi con la stessa indolenza del treno regionale Ferrara-Bologna, preso ogni giorno da Bassani per andare all’università, itinerario, come tutti gli spostamenti, fuori dallo spazio e dal tempo per la natura stessa del viaggio, il ricordo del quale rimane vivo nei versi di poesie quali, per esempio, Verso Ferrara4.

2 La connessione tra le ambientazioni di Ossessione, la letteratura americana e la sua poesia spingerà Bassani, due anni dopo l’uscita del film, a tradurre il romanzo di James Cain5. Il fatto che uno scrittore italiano traducesse in quegli anni la narrativa americana, e che nelle riviste di cui era redattore invogliasse alla traduzione e alla circolazione della letteratura statunitense, lo ha fatto sentire più vicino sia ai miei studenti di oggi, sia a quelli che ebbero la fortuna di averlo come professore quarant’anni fa all’Indiana University6. La forza di questi punti di contatto sono la ragione per cui durante il corso abbiamo letto alcuni passaggi del romanzo di Cain in lingua originale prima di vedere il film di Visconti per poi, finalmente, affrontare la lettura delle poesie di Bassani. In altre parole, abbiamo cercato di vedere come l’America sia stata adattata nell’Italia degli anni Quaranta, l’abbiamo guardata da lontano, pur standoci nel bel mezzo. Ciò è servito per capire che cosa gli intellettuali italiani degli anni Trenta e Quaranta hanno immaginato di quel continente così lontano e così sconfinato.

3 Lo sappiamo, «l’America è lontana / dall’altra parte della luna»7 e il suo mito ha caratterizzato la cultura del Novecento anche dopo il fascismo, negli anni Cinquanta con l’arrivo della Beat Generation, e più avanti con la televisione che ce la mostra continuamente nei format televisivi e nei telefilm. L’epoca di Bassani, digiuna dell’invasione dei mass media, leggeva l’America nei libri che sbarcavano in Italia, pronti per essere tradotti: per esempio, tra i primi, quelli di Herman Melville, Nathaniel Hawthorne, Henry James, Emily Dickinson, Truman Capote e John Steinbeck. Nello stesso momento si ragionava sul significato del nuovo mondo nei resoconti di viaggio scritti da quegli intellettuali che si avventuravano, per lunghi o brevi periodi, dall’altra parte dell’oceano, pagine piene di riflessioni sull’America e sull’aspirazione comune che andava a cercare in quell’altrove la propria realizzazione.

4 , uno dei grandi amici di Bassani, ci visse dal 1929 al 1931 e nel suo taccuino di viaggio appunta, con grande lucidità e profondità, i diversi aspetti della propria esperienza. Pochi all’epoca erano gli intellettuali che affrontavano il viaggio

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americano: fra gli altri ricordiamo Luigi Barzini, corrispondente del «Corriere della Sera» dal 1921, e Giuseppe Prezzolini che insegnava a New York già dal 19238. Soldati racconta il suo viaggio in forma diaristica e ci fa capire veramente cos’era quell’America ancora sconosciuta e simbolica. Nelle sue pagine intense si nota soprattutto l’italianità in rapporto a quell’estero su cui pretendiamo una qualche paternità per il fatto di averla scoperta con Cristoforo Colombo e contaminata con l’emigrazione di massa nel XX secolo. Camminando per le strade, così moderne e distanti dall’Europa, il ragionamento di Soldati affronta un aspetto cruciale del viaggio che diventa metaforico, e cioè si trasforma nel percorso della vita di ogni uomo che si è allontanato dal proprio luogo natio. Il primo grande viaggio […] crea quasi, nella mente, una nuova categoria: la categoria della lontananza; la considerazione, ormai, di tutte le terre lontane. È forse un vizio. Chi è stato in Cina vorrebbe provare l’Argentina, il Transvaal, l’Alaska. Chi è stato in Messico si commuove anche quando sente parlare dell’India, dell’Australia, della Cina. Questi nomi, una volta al più colorate e melanconiche geografie, sono ora possibili, reali, affascinanti. Chi ha provato la lontananza difficilmente ne perde il gusto. Il primo viaggio, la prima sera che il novo peregrin è in cammino, nasce la nostalgia, per sempre. Ed è il desiderio di tornare non soltanto in patria; ma dappertutto: dove si è stati e dove non si è stati. Due grandi direzioni si alternano; verso casa, verso fuori. L’ora volge il disio. Ma è, ormai, un desio. Un avvertirsi, comunque e sempre, lontani9.

5 Chi è in grado di raccontare per iscritto i viaggi, tanto da dare l’impressione al lettore di viaggiare lui stesso, è uno scrittore abile e apprezzato. L’idea del viaggio si sposa perfettamente, sin dall’alba dei tempi omerici, con la letteratura e con la forma del racconto perché ogni passaggio, ogni avvenimento sorprendente e inatteso che solo in viaggio può accadere, corrisponde a un momento nella formazione della persona che crea la propria esperienza giorno dopo giorno, modellandosi a seconda degli eventi che la vita le offre. Rendere vicine le cose lontane e viceversa, è la magia dello scrivere, come è l’esperienza del viaggiatore che attraversa diversi continenti10.

6 A Mario Soldati, non a caso, è dedicata la poesia Campus scritta in Indiana e pubblicata in In gran segreto, poesia sul rapporto di Bassani con gli studenti americani. Infatti, la sua esperienza professorale all’Indiana University nel 1976 e il suo ritorno nel ’77, ha lasciato un segno che si è poi concretizzato nelle traduzioni di alcune sue poesie e in saggi critici scritti da chi lo ha conosciuto come professore o come collega. Addirittura quarant’anni dopo ne stiamo ancora celebrando il viaggio con l’uscita del libro Lezioni americane di Giorgio Bassani11, e con le tante presentazioni che sono state fatte e che si faranno in giro per il mondo, a dimostrazione dell’interesse per lo scrittore ferrarese e la sua biografia, oltre che, naturalmente, per l’opera narrativa e in versi. L’affetto, perché proprio di questo sentimento credo si tratti, dei lettori americani, russi, francesi, tedeschi, argentini, coreani, è un dato notevole e fa sì che i suoi scritti continuino a essere tradotti e letti in tanti paesi12.

7 Siamo ritornati al punto di partenza, a quei «confronti infra ed extra»13 che ci hanno portato in una classe di letteratura nel Mississippi, in un diner californiano e fatto viaggiare in treno attraverso i paesaggi della Bassa Padana alla ricerca di una location dove poter raccontare una storia, più personale che letteraria, per Soldati come per Bassani. Ma l’America è anche amara, continente scoperto grazie a un errore nel calcolo della navigazione, e diventato subito terra di oppressione cruenta contro i nativi e, nei secoli più recenti, sede del capitalismo sfrenato che condiziona le economie occidentali,

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pur rimanendo la meta del viaggio per eccellenza, il territorio dell’adattabilità di ognuno e di ogni cosa. È molto bello, forse la cosa superiormente bella in una traversata, starsene ore e ore a guardare lungo il fianco della nave i giuochi dell’acqua, i lineamenti del mare. Guardarli fino alla stanchezza delle palpebre e delle pupille. Finché in quella misteriosa e suntuosa uniformità, in quell’algebra smaltata e sfavillante, si palesa e si sviluppa un disegno, un ritmo, un movimento. […] Lo sgranarsi dell’onde, i festoni e le gale delle tinte, le bianche medaglie della spuma, formano una sorta di decorazione, nella quale l’energia della natura sembra esprimersi come in una musica visiva, che continuamente rinasce dalla sua decomposizione continua. Non senza diretto rapporto, è qualcosa come l’arte dei popoli delle solitudini marine e delle solitudini desertiche. Come l’ornamentazione geometrica sui vasi della prisca grecità. E come l’arte decorativa degli arabi e moreschi; non meno che degli indo- americani14.

8 Con l’idea del viaggio in mente, secondo la quale, tornando a Soldati, partire è incominciare un percorso di lontananza in cui, parafrasando Cecchi, l’onda franta dal piroscafo in navigazione atlantica comincia a essere tutte le acque del mondo, tradurre la letteratura americana corrispondeva evidentemente a un’esigenza, al viaggiare pur stando fermi e lasciare che la narrativa diventasse internazionale, superasse cioè la costrizione della lingua. Elio Vittorini e sono traduttori autodidatti che non sono mai stati in America e che hanno imparato l’inglese in Italia, commettendo errori nelle traduzioni che facevano per seguire una passione e un bisogno impellente. «Per tradurre bene, bisogna innamorarsi della materia verbale di un’opera, e sentirsela rinascere nella propria lingua con l’urgenza di una seconda creazione»15. L’esigenza di una seconda chance era scaturita dalla speranza di rimediare agli errori commessi, affinché l’«‘io’ lirico, protagonista della creazione» si ridestasse e prendesse coscienza di sé16. Cesare Pavese cominciò a tradurre i capolavori della letteratura americana spinto dalla voglia di esplorare con il pensiero una terra primordiale che si offriva a tutti, un mondo nuovo insieme fecondo e barbarico, appesantito dal passato europeo ma ancora a suo modo innocente. E infatti non si limita a tradurre i romanzi, ma nei suoi saggi discute le ragioni e la necessità dell’importare nell’Italia fascista questa narrativa d’oltreoceano, accorgendosi bene che l’America attirava per il fatto di essere un paese estero, un ideale inizio della storia, ma anche «il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti […]. La cultura americana ci permise in quegli anni di vedere svolgersi come su uno schermo gigante il nostro stesso dramma»17. La teatralità, in questo caso e, secondo Pavese, a ragion veduta, significava la versatilità con la quale il territorio statunitense proponeva un fondale alla libera iniziativa di ognuno, e questo fu il motivo per cui si scelse il romanzo di James Cain per la sceneggiatura e l’ambientazione di Ossessione. Terra riscoperta nel momento giusto e anche al posto giusto, lontana cioè dal grigiore del primo dopoguerra e dalla tragedia della seconda guerra mondiale. Con lo stesso intento traduce i poeti della Beat Generation, sapendo che all’entrata in crisi del linguaggio, delle istituzioni e della società in generale, quei versi americani insegnavano un diverso modo di vivere, attraverso un modo nuovo di esprimersi18. Anni più tardi, dopo le lezioni di Bassani all’Indiana University, Italo Calvino, che non terrà le sue lezioni in America, nei suoi appunti sottolinea la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità e la molteplicità di forme letterarie che liberano i contenuti e la capacità di esprimersi senza quel peso che tanto aveva attanagliato gli scrittori italiani ed europei testimoni delle due guerre mondiali. Questa era la ‘nuova’ America a cavallo degli anni Settanta e

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Ottanta, la stessa in cui Bassani aveva viaggiato e lasciato un’impronta con il suo insegnamento e con le sue poesie di cui In gran segreto, che ne contiene alcune scritte proprio negli Stati Uniti, rimane testimonianza19.

9 Recentemente ho avuto il piacere di parlare di questi argomenti con Nancy D’Antuono, professoressa d’Italiano, ora in pensione, al Saint Mary’s College a Notre Dame in Indiana che, all’epoca della permanenza di Bassani, si recava spesso a Bloomington. Ho avuto l’occasione di incontrare Bassani più volte, sempre grazie alla generosità del Professor Lèbano che spesso organizzava degli incontri tra gli studenti di Italianistica a cui invitava anche la gente, come me, che parlava italiano. Durante quelle occasioni mi è capitato di discorrere a lungo con Bassani sulle differenze tra l’Italia e gli Stati Uniti, e io credo che dell’America lui apprezzasse soprattutto l’apertura geografica e intellettuale pronta alle nuove idee, proprio perché è un paese giovane in cui la letteratura e la creatività dipendono dalla giovinezza della sua storia che conferisce loro una certa leggerezza che sicuramente ha aiutato Bassani a sentirsi diverso e a riscoprire la sua scrittura sotto una nuova luce20.

10 In America Bassani viene letto sin dal 1960 con la pubblicazione di The Gold-rimmed Spectacles che, insieme a The Garden of the Finzi-Continis nel 1965, esce per le edizioni anglo-americane di Atheneum Books nella traduzione di Isabel Quigly21. Dalle edizioni successive il traduttore diventa William Weaver e L’Airone, Il romanzo di Ferrara e Dietro la porta escono in America nel 1970 e nel 1972, L’odore del fieno nel 1975 e la riedizione de Il giardino dei Finzi-Contini, nella nuova traduzione, nel 197722. Il successo dello scrittore ferrarese si rinforza per la vincita del premio Oscar da parte del film di Vittorio De Sica, anche se, come noto, la sceneggiatura è stata rifiutata dall’autore. Il suo interesse per la letteratura americana, che si era concretizzato sin dagli anni Cinquanta con la pubblicazione di romanzi americani in traduzione sulle riviste «Botteghe oscure» e «Paragone», ora viene ricambiato.

11 Ma che cosa, della scrittura di Bassani, ci sembra legittimo chiedere, viene apprezzato in America? Alla poesia gli studenti americani preferiscono tendenzialmente la narrativa, genere al quale la loro stessa letteratura è più avvezza. Qui a Oxford nel Mississippi, casa di William Faulkner (1897-1962) e ancor oggi punto d’incontro di diversi scrittori del sud, la narrativa, come la musica blues, gospel e jazz, è usata come strumento per raccontare i conflitti razziali che hanno caratterizzato la storia di questo paese dal XVII secolo in poi. Ma la poesia e la narrativa di Giorgio Bassani trovano lettori attenti e interessati che nelle sue pagine leggono la denuncia del fascismo e della persecuzione degli esseri umani, relazionandola alla storia degli afro-americani. Così anche nei writers del sud si trova il bisogno costante di essere testimoni, di incarnare la memoria, di riaffermare la storia del proprio tempo attraverso l’atto stesso della scrittura. Ebraismo o negritudine, Italia o America, Nord o Sud, si tratta sempre di una ricerca di libertà dall’oppressione di un gruppo di uomini su altri gruppi. Questi sono in larga misura i temi di cui ho discusso con i miei studenti americani per avvicinare uno scrittore italiano a chi, pur avendo scelto di imparare la nostra lingua e parte della nostra cultura, ha bisogno di trovare delle assonanze. Nella terra sudista raccontata da tanti, tra cui emergono Mark Twain (1835-1910), Ross Barnet (1898-1987), Richard Wright (1908-1960), Eudora Welty (1909-2001), Tennessee Williams (1911-1983), Elmore Leonard (1925-2013) e Willie Morris (1934-1999), Giorgio Bassani ha suscitato l’interesse degli studenti proprio con la sua narrativa di denuncia. Per questo motivo abbiamo letto le sue pagine e ci siamo soffermati sulle poesie sia in italiano sia in traduzione inglese prima e a ridosso delle sue visite nel Midwest, dove ha insegnato e dove ha

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scritto i versi di Campus e di Visitando l’Indiana, oltre a rielaborare quelli composti in giro per la California, l’Illinois e il Michigan.

12 Le prime traduzioni in inglese delle sue poesie risalgono addirittura al 1950 e vengono pubblicate negli Stati Uniti nel volume curato da Marguerite Caetani, An Anthology of New Italian Writers, dove ne compaiono otto, riprese da Te lucis ante, e tradotte, come sarà per i romanzi, da William Weaver23. Queste traduzioni introducono in Nord America Bassani come poeta ancor prima che venga conosciuto come narratore. È interessante, infatti, notare che la sua nota biografica, a conclusione del volume, che include anche il racconto breve Una storia d’amore, apparso la prima volta con il titolo Storia di Debora in Una città di pianura nel 1940, lo presenta esclusivamente come poeta24. Questo è un punto che ci farà capire meglio le sue dichiarazioni sulla prosa dipendente dalla poesia, come lui stesso era solito affermare25.

13 Nel 1982 viene pubblicato a Toronto l’unico libro di poesie di Bassani in traduzione inglese, Rolls Royce and Other Poems, che ne contiene dodici26, tradotte da Francesca Valente in collaborazione con Greg Gatenby e Irving Layton, sotto la supervisione di Bassani stesso e di Portia Prebys. Nell’introduzione alla silloge, il grande critico canadese sottolinea che le poesie di Bassani assomigliano a i tentativi che facciamo quando cerchiamo di ricordare degli aspetti della nostra identità che, appena sfiorati, ci sfuggono. La stessa cosa succede per i nomi che non si ricordano ma che si è sicuri di poter ricordare e, finché ci si pensa, e anzi più ci si pensa, meno tornano alla mente, come se fossero dimenticati per sempre. Ma a volte accade l’esatto opposto, la memoria cioè riaffiora improvvisamente e, come per Proust con le memorie involontarie, il fatto sembra voler indicare, che siamo stati noi ad allontanarcene. If we try to recall our identity from conscious memories of the past, it retreats like a forgotten name, until we give up trying. But sometimes, when our minds are on something else, the movement is reversed: the memory comes out, as it did to Proust, touches the rememberer, and says, in several senses, “here you are”27.

14 Con il Canada Bassani ha avuto una frequentazione intensa grazie a Stelio Cro, professore della McMaster University nella città di Hamilton in Ontario. Lì Bassani tenne delle conferenze e insegnò nel semestre primaverile del 1978, due anni dopo essere stato Visiting Professor all’Indiana University, e tornerà in Canada per insegnare alla Queens University, a Kingston in Ontario, l’anno successivo. In Canada tenne un corso sulla propria narrativa e un secondo sull’opera narrativa di Moravia, Cassola e Pasolini. Con l’occasione della sua visita, Stelio Cro riuscì a inaugurare la rivista «Canadian Journal of Italian Studies», rimasta attiva dal 1977 al 1997. Scrive Cro: «Questo numero è dedicato a Giorgio Bassani, l’illustre scrittore ferrarese che tra breve ci visiterà. L’idea della fondazione di questa rivista è maturata da questa fortunata circostanza. Egli ha dato alla rivista alcuni poemi inediti affinché se ne fregiasse il primo numero»28. Anche il secondo numero della rivista è dedicato allo scrittore, come indica il titolo, Omaggio a Giorgio Bassani (II), e contiene tra i vari articoli otto poesie che sarebbero apparse la primavera successiva nell’edizione Mondadori intitolata, in un primo momento Dittico, e poi In gran segreto: The Canadian Journal of Italian Studies is pleased to include eight more inedited poems by Giorgio Bassani in the Winter issue. They are part of his last book of poetry entitled In gran segreto (formerly Dittico) taken from the last of these “American Poems,” as Bassani refers to them, inspired by his visit to the United States in 1976 where he was Visiting Professor of Italian at Indiana University (Bloomington)29.

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15 Un’altra traduzione delle poesie di Bassani verrà fatta negli Stati Uniti nel 1984 da Mark Musa30. Professore di letteratura italiana e collega di Edoardo Lèbano all’Indiana University, conobbe bene Bassani durante le sue due visite nell’università statunitense e durante la seconda lo ospitò a casa sua. Avevano avuto occasione di parlare spesso anche fuori dall’università, soprattutto a casa di Lèbano, dove si organizzavano cene con gli altri professori e con gli studenti di dottorato che seguivano le lezioni con lo scrittore. Durante l’ultima cena, prima di ripartire per Roma, Bassani regalò agli amici più stretti una poesia trascritta di suo pugno pubblicata in Epitaffio, Davvero cari non saprei dirvelo. Dopo esser stata tradotta ed edita nel libro canadese a cui abbiamo già fatto riferimento, Musa stesso la tradusse qualche anno dopo con varianti significative, come si constata leggendo in parallelo le due traduzioni, qui precedute dal testo italiano della poesia:

Davvero cari non saprei dirvelo

Davvero cari non saprei dirvelo attraverso quali strade così di lontano io sia riuscito dopo talmente tanto tempo a tornare

Vi dirò soltanto che mi lasciai pilotare nel buio da qualcheduno che m’aveva preso in silenzio per la mano31

I Really Couldn’t Say, Friends Believe Me, My Friends, I Can’t Begin to Tell You I really couldn’t say, friends, along which road Believe me, my friends, I can’t begin to tell you how from so far away by what means or I managed after such a long time what roads so far away to find my way back. I happened to succeed after so long a stretch Of time to make it back again I can only tell you that I let myself be led in darkness I’ll tell you only this I let myself by someone who took be led through darkness me, silently, by the by someone who had hand32 taken me in silence by the hand33

16 Anche se la traduzione a cura di Francesca Valente fu supervisionata dallo stesso Bassani, quella di Musa sembra più attenta al profondo significato delle parole che all’aspetto formale del componimento. Partendo dal titolo, è evidente che tra «I really couldn’t say, friends» e «Believe me my friends, I can’t begin to tell you how», la differenza è considerevole non solo nella lunghezza del verso, ma nell’intensità

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dell’espressione. Se nel primo caso il «davvero» è tradotto con un preciso ed esclamativo «really», nel secondo viene colto il tono con «believe me», una sorta di «credetemi perché mi è veramente difficile dirvi quanto…». Anche se la prima traduzione mantiene il condizionale «I couldn’t», come nell’originale «non potrei», non eguaglia la forza della condizione che sta, anche in italiano, non solo nel tempo verbale, ma nella confessione della difficoltà di esprimersi per essere appieno compreso. Anche la versificazione originale viene rispettata nella traduzione di Musa, ma non in quella di Valente, e sappiamo quanto siano importanti, in Epitaffio, la metrica, l’interpunzione e la disposizione delle parole al centro della pagina, come, successivamente, nelle poesie di In gran segreto. L’aver seguito le lezioni di Bassani sulla propria opera in versi e l’aver ricevuto la poesia in dono, durante l’ultima serata americana dello scrittore, ha influito sulle scelte e sulla qualità della traduzione.

17 Durante il corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea, tenutosi nel semestre primaverile del 2016 all’Università del Mississippi, abbiamo letto le traduzioni delle poesie di Bassani sottolineando le differenze, che sono state utili per tornare alle versioni originali e capirne meglio l’intenzione, l’ispirazione, il lessico. Abbiamo anche avuto un’occasione particolare, l’incontro con il poeta afro-americano Cyrus Cassells, che ci ha aiutato a cogliere questioni di cui abbiamo fatto cenno anche in queste pagine, come il capire l’opera di un italiano ebreo confrontandola con quella degli scrittori del sud degli Stati Uniti e avvertirne meglio la condizione storica e privata affidata alla scrittura poetica. Nato nel 1957, Cassells insegna scrittura creativa alla Texas State University a San Marcos in Texas. Ha vinto diversi premi letterari ed è stato candidato al Premio Pulitzer per la poesia nel 199434. Ama molto l’Italia e la letteratura italiana e, nell’autunno del 1996, cenò a Roma con Giorgio Bassani, episodio di cui ci ha reso partecipi. Una sera cenammo Da Luigi, la sua trattoria preferita a Piazza Sforza Cesarini. È un ristorante tipico romano aperto dal 1960 tra Corso Vittorio Emanuele III e Via dei Banchi Vecchi. La cena fu rilassata e informale ma subito mi cominciò a raccontare, visto che ovviamente io non ero di Roma, di quando lui ci arrivò clandestinamente nel ’44. Rimasi molto sorpreso che un uomo come lui avesse avuto quel passato anche se, certo, in quel momento storico il rischio di deportazione per un ebreo era altissimo. Fui colpito nel sentirlo parlare di quegli argomenti e non facevo altro che pensare alla sua eleganza e d’un tratto a immaginarmi le sue fughe dalla follia nazista. L’una e l’altra cosa mi sembravano così distanti… Qualche anno fa poi sono tornato a Ferrara per un vero e proprio pellegrinaggio letterario e sono stato al cimitero ebraico, ho camminato per le vie del centro, l’ho percorsa più volte in lungo e in largo e respirandone l’aria, ho scritto questa poesia35 generata, direi, da un riflesso spontaneo:

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Elegy for Giorgio Bassani Elegia per Giorgio Bassani

What I recall is a shoring, replenishing Quello che ricordo è il sostegno del saziante Roman meal: pasto romano: river-cool wine and fine vino fresco come il fiume e pregiato olive oil and cutlery, and you olio d’oliva, le posate e te casually remarking quando distrattamente ricordavi that you first came to Luigi’s rousing tables che sei venuto qui da Luigi ai suoi allettanti tavoli in 1944, nel 1944, jolting me with the razory turbandomi con il tagliente hem of the words orlo delle parole when I was in hiding— quando mi nascondevo — the cat’s cradle come nel rifugio del gatto of what it meant to be di quello che intendeva essere not the brute non l’animalesco but the yellow—starred, the cornered— ma il giallo — stellato, l’angolato — so at the news of your death, quindi alla notizia della tua morte, dapper creator, elegante creatore, master builder, mastro costruttore, I’m flooded with sono stato inondato dal how fully we are all kin to come siamo tutti vicini ai the fragile and myopic fragili e miopici Finzi-Continis, your fictional Finzi-Contini, i tuoi immaginari Ferrara Jews. Ebrei di Ferrara.

Giorgio, when the predatory, the remorseless Giorgio, quando il predatore, lo spietato comes for us viene per noi (yes, beneath green friars, (sì, al di sotto dei verdi frati, confessor olives, olive confessori, in the garden we have nel giardino noi abbiamo an appointment with Judas), un appuntamento con Giuda), how unprepared we are, come siamo impreparati, how unprepared36. quanto impreparati.

18 Il corso di Letteratura si è concluso con una testimonianza che agli studenti è servita per capire quanto il tempo e le tracce che gli uomini vi lasciano impresse siano esempi di cammini che si possono ripercorrere. Nel semestre primaverile del 2016, rileggendo le poesie di Giorgio Bassani, i suoi romanzi e la letteratura statunitense del sud, ci è sembrato di avere intrapreso un viaggio a un tempo reale e simbolico — come quello dei personaggi di Manzoni e di Hemingway citati in esergo — viaggio nel corso del quale siamo venuti a trovarci «a metà strada tra Ferrara e la luna»37.

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NOTE

1. G. Bassani, I bastioni di Milano, in Id., Opere, a cura di R. Cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, p. 1020. Il saggio fu pubblicato per la prima volta, come recensione a A Farewell to Arms (1929), sotto il titolo Ernest Hemingway milanese, su «Il Mondo», 3 agosto 1946, pp. 4-5. Bassani aveva tradotto il romanzo nel 1943, ma la sua traduzione non fu pubblicata e andò poi perduta. In Italia la pubblicazione del romanzo fu vietata dalla censura fascista fino al 1945, quando fu edito con il titolo Un addio alle armi nella traduzione di Bruno Fonzi per la Jandi Sapi di Milano, e di nuovo l’anno successivo da Mondadori nella traduzione di Fernanda Pivano e con otto illustrazioni di Renato Guttuso. 2. E. Cecchi, Introduzione, in E. Vittorini (a cura di), Americana, Milano, Bompiani, 1942, p. IX. 3. Anche Moravia partecipò alla revisione finale della sceneggiatura ma sotto falso nome a causa delle leggi razziali. Sulla censura subita da questo film, si veda: L. Miccichè, Visconti e il neorealismo: Ossessione, La terra trema, Bellissima, Venezia, Marsilio, 1998. 4. «Questa è l’ora che vanno per calde erbe infinite / nel mio paese gli ultimi treni, con fischi lenti / salutano la sera, affondano indolenti / in sonni dove tramontano rosse città turrite. // Dai finestrini aperti il vino delle marcite / monta al madido specchio delle povere panche; / dei giovanili amanti scioglie le dita stanche, / fa deserte di baci le labbra inaridite» (G. Bassani, Storie dei poveri amanti, Roma, Astrolabio, 1946, p. 26). Sulla poesia di Bassani si vedano: A. Dolfi, Le forme del sentimento: prosa e poesia in Giorgio Bassani, Padova, Liviana Editrice, 1981; Ead., Giorgio Bassani: una scrittura della malinconia, Roma, Bulzoni, 2003; Ead., Dopo la morte dell’io. Percorsi bassaniani «di là dal cure», Firenze, Firenze University Press, 2017; G. Varanini, Bassani, narratore, poeta, saggista, Modena, Mucchi, 1991; M. Gialdroni, Giorgio Bassani, poeta di se stesso. Un commento al testo di «Epitaffio» (1974), Berna, Peter Lang, 1996; A. Guiati, L’invenzione poetica. Ferrara e l’opera di Giorgio Bassani, Fossombrone, Metauro Edizioni, 2001; P. Pieri, Poesia e verità in Giorgio Bassani, in A. Perli (a cura di), Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2011, pp. 17-31; Id., Un poeta è sempre in esilio. Studi su Bassani, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2012; M. Rueff, «Alas poor Emily». Bassani poeta, in R. Antognini e R. Diaconescu Blumenfeld (a cura di), Poscritto a Giorgio Bassani. Saggi in memoria del decimo anniversario della morte, Milano, LED, 2012, pp. 387-426; A. Luzi, Esperienza vissuta e scrittura nella poesia di Bassani, «Ermeneutica letteraria», no 9, 2013, pp. 65-82; F. Santi, Bassani poeta, ovvero Bassani e basta. Sonatina in cinque movimenti, «Nuovi Argomenti», no 72, ottobre-dicembre 2015, a cura di F. Longo, pp. 77-92; V. Cappozzo, Un attimo prima di cominciare a leggere. Dall’Ermetismo alle poesie di Giorgio Bassani, in A. Perli (a cura di), Il tempo dello spirito. Saggi per il centenario della nascita di Giorgio Bassani, «Sinestesie. Rivista di studi sulle letterature e le arti europee», vol. XIV, 2016, pp. 45-60; F. Bartolini, Le prime raccolte poetiche di Bassani tra naturalismo elegiaco e impegno civile, in S. Amrani e M. P. De Paulis-Dalembert (a cura di), Bassani nel suo secolo, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2017, pp. 161-197. 5. Su questa traduzione dall’inglese, la seconda alla quale Bassani si accinse dopo quella di Addio alle armi di Hemingway, si veda: R. Antognini, Giorgio Bassani e James Cain. Storia e critica di una traduzione, in V. Cappozzo (a cura di), Lezioni americane di Giorgio Bassani, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2016, pp. 89-121. 6. Sull’esperienza all’Indiana University mi permetto di rimandare al mio: Il viaggio in America di Giorgio Bassani tra poesia e insegnamento, in Lezioni americane di Giorgio Bassani, cit., pp. 15-39. 7. L. Dalla, Anna e Marco, dall’album Lucio Dalla, RCA Italiana, 1979. 8. Di Barzini si vedano: Gli americani sono soli al mondo, Milano, Mondadori, 1952 e O America: When You and I Were Young, New York, Harper & Row, 1977 (traduzione italiana: O America! Eravamo giovani assieme, Milano, Mondadori, 1978). Di Prezzolini si veda America in pantofole: un impero senza imperialisti. Ragguagli intorno alla trasformazione degli Stati Uniti dopo le guerre mondiali, Firenze,

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Vallecchi, 1950; ripubblicato, con prefazione di Sergio Romano nel 2002 per la stessa casa editrice fiorentina. 9. M. Soldati, America primo amore, Firenze, Bemporad, 1935, pp. 14-15. Le citazioni in corsivo sono rimandi danteschi all’VIII canto del Purgatorio, citazioni più che pertinenti se si pensa che la montagna del Purgatorio è situata, secondo il poema sacro, al di là delle Colonne d’Ercole, dunque nell’oceano Atlantico in direzione dell’America. Questi i primi sei versi del canto: «Era già l’ora che volge il disio / ai navicanti e ‘ntenerisce il core / lo dì c’han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d’amore / punge, se ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more» (corsivi miei). 10. È Soldati stesso a confessarci la sua impressione: «Durante il mio primo soggiorno americano, credevo che fosse possibile evadere: cambiare di patria, di religione, di ricordi, e di rimorsi. E vissi più di un anno nella morbosa persuasione di esserci riuscito. Il primo amore e il primo viaggio son malattie che si somigliano» (ivi, p. 87). 11. In Lezioni americane di Giorgio Bassani sono raccolti quattro saggi critici, oltre alla Premessa di Paola Bassani che ricostruisce le tappe critiche che hanno portato al libro e il ricordo del professor Edoardo Lèbano, che invitò Bassani all’Indiana University come Visiting Professor of Italian nel semestre primaverile del 1976. Il sottoscritto si è occupato del viaggio americano di Bassani e dell’esperienza di insegnamento della propria opera in prosa e in rima; Alessandro Giardino delle influenze della narrativa di Melville e Hawthorne su quella di Bassani; su quelle di Henry James ha lavorato Sergio Parussa e Roberta Antognini sulla traduzione di Bassani di The Postman Always Rings Twice. Il volume è inoltre corredato di un’appendice ricca di documenti: l’intervista di Stelio Cro a Bassani nel 1977; un articolo sulle poesie di Epitaffio scritto da Linda Nemerow-Ulman, che è stata studentessa di Bassani all’Indiana University; le lettere autografe e dattiloscritte di Bassani al professor Lèbano e infine la stesura originale della poesia Campus scritta appunto in Indiana nel 1976. Questo è l’indice: Paola Bassani, Premessa (pp. 9-10); Edoardo Lèbano, Giorgio Bassani a Indiana University (pp. 11-13); Valerio Cappozzo, Il viaggio in America di Giorgio Bassani tra poesia e insegnamento (pp. 15-39); Alessandro Giardino, Ellissi eccentriche: Giorgio Bassani, Hermann Melville e Nathaniel Hawthorne (pp. 41-66); Sergio Parussa, L’odore della poesia. Giorgio Bassani e Henry James (pp. 67-87); Roberta Antognini, Giorgio Bassani e James Cain. Storia e critica di una traduzione (pp. 89-121). Appendici: Stelio Cro, Intervista a Giorgio Bassani (1977, pp. 125-134); Linda Nemerow Ulman, Visual Memory and the Nature of Epitaph: Bassani’s “Epitaffio” (1986, pp. 135-148); Lettere di Giorgio Bassani a Edoardo Lèbano (1975-1977, pp. 149-160); Giorgio Bassani, Dal Campus (marzo 1976, pp. 161-165). 12. Qui si sta facendo riferimento alle diverse presentazioni del libro Lezioni americane di Giorgio Bassani e ai diversi interventi di Paola Bassani e del sottoscritto relativi all’esperienza americana dello scrittore ferrarese in occasione del centenario della nascita durante il quale, più che in altri momenti, ci sono state occasioni di incontro con diversi, e tra loro diversissimi, pubblici. Le presentazioni del libro si sono svolte all’Istituto Italiano di Cultura di New York, Washington D.C., a Francoforte (nella sede del Consolato d’Italia, ufficio culturale), e Mosca; nell’università dell’Indiana e in quella di Ferrara. Paola Bassani è stata invece a Seul, a Buenos Aires, a Toronto, a Berlino, a Bruxelles, a Londra, a Lisbona, a Barcellona e a Parigi. 13. G. Bassani, Campus, in Id., In gran segreto, Milano, Mondadori, 1978, p. 62. 14. E. Cecchi, America amara, Firenze, Sansoni, 1943 (1940), pp. 399-400. Emilio Cecchi fece due lunghi viaggi negli Stati Uniti e in Messico, nel 1930-1931 e nel 1937-1938. 15. C. Pavese, Lettere, a cura di L. Mondo e I. Calvino, vol. I, Torino, Einaudi, 1966, p. 554, lettera alla casa editrice Bompiani del 15 gennaio 1940. La stessa citazione si trova in esergo all’articolo sulla traduzione di Roberta Antognini, Giorgio Bassani e James Cain. Storia e critica di una traduzione, cit., p. 89. Vittorini cominciò a imparare l’inglese da un amico fiorentino, «poi continuai da solo, un po’ come un sordomuto, su testi ancora di De Foe, e su autori del Settecento, su autori dell’Ottocento, su autori contemporanei anche americani fino al giorno in cui mi trovai in grado

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di poter tradurre correttamente» (E. Vittorini, Della mia vita fino a oggi raccontata ai miei lettori stranieri, in Id., Pesci rossi, marzo 1949). Per un approfondimento sulla traduzione nel Novecento si veda il ricco volume miscellaneo: A. Dolfi (a cura di), Traduzione e poesia nell’Europa del Novecento, Roma, Bulzoni Editore, 2004. 16. E. Vittorini, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1970, p. 166. Elio Vittorini vede bene gli estremi di questa terra selvaggia che se da una parte è un luogo leggendario, dall’altro è quello dove si emigra per ricrearsi: «Sembra che i Padri Pellegrini fossero venuti dall’Europa pieni di delusioni e di stanchezza: per finire, non per cominciare. […] Trovarono in America la necessaria ferocia per praticare quei pregiudizi feroci; essere in qualche modo vivi» (ivi, p. 116). 17. C. Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Milano, Il Saggiatore, 1959, pp. 195-196. Oltre alle traduzioni e agli studi di Vittorini e di Pavese, è importante tenere presenti anche altri testi in cui si leggono le traduzioni di autori americani o si affrontano le prime analisi critiche dedicate alla letteratura americana come, per esempio: G. Baldini (a cura di), Poeti americani (1662-1945), Torino, Francesco De Silva, 1949; L. Anceschi, Poetica americana e altri studi contemporanei di poetica, Pisa, Nistri-Lischi Editori, 1953. 18. Sulle ragioni della traduzione, si veda: F. Pivano, Vittorini traduttore e la cultura Americana, dibattito con la partecipazione di Claudio Gorlier, Carlo Izzo, Agostino Lombardo, Fernanda Pivano, in Omaggio a Elio Vittorini, Terzo programma 3, 1966, pp. 152-161. 19. Le poesie Campus e Visitando l’Indiana sono pubblicate in In gran segreto, cit., pp. 64, 70-71. 20. Nancy L. D’Antuono si è occupata nella sua carriera di diversi aspetti della letteratura italiana, comparata a quella spagnola, si veda per esempio: N. D’Antuono, Boccaccio’s «Novelle» in the Theater of Lope de Vega, Madrid, Porrúa Turanzas, 1983. 21. Di Isabel Quigly è la traduzione di A prospect of Ferrara, edito a Londra da Faber and Faber nel 1962. 22. Tutti i romanzi di Bassani sono usciti nella sua traduzione a New York per la casa editrice Harcourt: The Heron, 1970; Five Stories of Ferrara, 1971; Behind the Door, 1972; The Smell of Hay, 1975; The Garden of the Finzi-Continis, 1977, riedito nel 2005 sempre a New York da Everyman’s library. 23. An Anthology of New Italian Writers. Edited by Marguerite Caetani and selected from the pages of the review Botteghe Oscure, Westport, Greenwood Press, 1970 (1950), pp. 91-94. Le poesie tradotte sono nell’ordine: Valle dell’Aniene, Dal carcere, Vide cor meum, Per un quadro di Morandi, Ars poetica, L’alba ai vetri e In Memoriam (che contiene le poesie Sogno e A mio padre). Questa antologia comprende i seguenti autori: Mario Soldati (The Window), Giorgio Bassani (Poems and Love Story), (Cancroregina), (selezione da The Indian Hut), Giuseppe Dessì (Angel Island), Giorgio Caproni (The Funicular), Joyce Lussu (due racconti, The Matriarch e The Bambina), Franco Fortini (Poems), Vasco Pratolini (The Girls of Sanfredino), (Novel 1917), Antonio Rinaldi (Poems); Roberto Roversi (Poems for a Print-Collector), Guglielmo Petroni (The House is Moving). 24. «Giorgio Bassani, though born in Bologna March 4, 1916, has always lived in Ferrara till 1943, and now lives in Rome. He has published: Storie dei poveri amanti (1946), Te lucis ante (1948), Storia d’amore and a few essays. He won one of the Premi Roma for 1950 with a small volume of poetry which will soon be published by Mondadori [Un’altra libertà, 1951]. He is associate-editor of Botteghe Oscure» (ivi, p. 475). 25. Celebri le seguenti affermazioni: «Quanto a me, io non sono un romanziere, o un rimatore, o un saggista. Sono un poeta, […] sostanzialmente un poeta» (Un’intervista inedita (1991), in G. Bassani, Opere, cit., p. 1347); «Io sono abbastanza conosciuto come romanziere, ma meno come poeta lirico. E, in realtà, io sono sempre stato l’una cosa e l’altra, questo, però, non avendo mai il senso di essere diviso in due, di essere lacerato. Per me la prosa, l’esprimermi in prosa, non è in qualche modo diverso dall’esprimermi in poesia, anche se, intendiamoci bene, so perfettamente che una differenza profonda c’è» (G. Bassani, «In rima e senza». Una lezione inedita di Giorgio Bassani dal Fondo di poesia Pietro Tordi, a cura di R. Mosena, «Nuovi Argomenti», cit., p. 77); «In fondo io

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non cambio mai penna. Non ho una penna per la prosa, una penna per la poesia, una penna per i saggi critici, una penna per le lettere. Sono sempre io» (S. Cro, Intervista a Giorgio Bassani, in Lezioni americane di Giorgio Bassani, cit., p. 126); «Non avrei mai potuto scrivere niente se non avessi, prima, scritto Te lucis ante. In un certo senso, è dunque questo il mio libro più importante» (L’Europa letteraria, febbraio 1964; citato in G. Varanini, Giorgio Bassani, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 8); «Riaffermo che senza aver scritto Te lucis ante non avrei mai potuto scrivere Il romanzo di Ferrara, ad esso successivo. Dentro Te lucis ante c’è, in nuce, tutta la problematica morale, religiosa, che sta alla base del romanzo che ho steso, bada bene, con lo stesso spirito con cui i poeti di una volta stendevano i loro poemi» (C. F. Colucci, La parola perduta, Napoli, Alfredo Guida editore, 2001, p. 58). 26. G. Bassani, Rolls Royce and Other Poems, Toronto, Aya Press, 1982. Contiene le seguenti poesie tratte da Epitaffio e da In gran segreto: Rolls Royce, Al telefono, Le leggi razziali, Mi chiedi perché mai e quando, L’ho già detto, Davvero cari non saprei dirvelo, Piazza Indipendenza, Saturnia, Campus, A un critico, In gran segreto, Per lettera. 27. Ivi, p. 9. 28. S. Cro, Lettera dell’Editore, «The Canadian Journal of Italian Studies», vol. I, 1977, p. 3. Questo primo numero della rivista canadese è intitolato Omaggio a Giorgio Bassani e contiene i seguenti interventi: G. De Stefanis Oddo, Evoluzione e involuzione nella parabola narrativa di Bassani; S. Gilardino, Giorgio Bassani: una valutazione critica; le quattro poesie ancora inedite, prima di comparire tra quelle di In gran segreto l’anno successivo, sono riunite sotto uno stesso titolo, In Maremma, e comprendono Racconto, La capanna dell’ortolano, In Maremma, Parla il depresso; Intervista con Giorgio Bassani, a cura di S. Cro (ora ripubblicata in Lezioni americane di Giorgio Bassani, cit., pp. 125-134); un altro contributo di Stelio Cro, Tempo e parola nelle «Storie ferraresi», H. Haller, Da «Le storie ferraresi» al «Romanzo di Ferrara»: varianti nell’opera di Bassani. 29. Dalla nota che introduce gli inediti, «The Canadian Journal of Italian Studies», vol. I, no 2, 1978, p. 161. Queste le poesie pubblicate: Compleanno, Campus, Visitando l’Indiana, Per lettera, A un giovane giornalista indiscreto, Da Machado, Shattuck Hotel, In gran segreto. Questi gli articoli contenuti nel numero: M. Schneider, A Conversion to Death: Giorgio Bassani’s «L’Airone»; D. Radcliff-Umstead, Transformation in Bassani’s Garden; M. Shapiro, Bassani’s Ironic Mode; S. Cro, Art and Death in Bassani’s Poetry. 30. M. Musa, Poems by Giorgio Bassani, Translated by Mark Musa, «Italian Culture», vol. V, no 1, 1984, pp. 109-111. Le poesie tradotte sono: In the Golden Age, Ever Since, I Sweep By Fast As Wind, Believe Me, My Friends, I Can’t Begin to Tell You, Italian Forum 1972. 31. G. Bassani, Epitaffio, Milano, Mondadori, 1974, p. 70. 32. Pubblicata nella traduzione di Francesca Valente in G. Bassani, Rolls Royce and Other Poems, cit., p. 27. 33. M. Musa, Poems by Giorgio Bassani, Translated by Mark Musa, cit., p. 111. 34. Questi i suoi libri di poesia: The Mud Actor (Holt, Rinehart and Winston, 1982); Soul Make a Path Through Shouting (Copper Canyon Press, 1994); Beautiful Signor (Copper Canyon Press, 1997); More Than Peace and Cypresses (Copper Canyon Press, 2004); The Crossed-Out Swastika (Copper Canyon Press, 2012); è in uscita The Gospel according to Wild Indigo (Southern Illinois University Press, 2018). 35. Che qui riproduciamo accostandole un nostro tentativo di traduzione. 36. Cyrus Cassells, More Than Peace and Cypresses, Port Townsend, Copper Canyon Press, 2004, pp. 37-38. 37. L. Dalla, Il parco della luna, dall’album Dalla, RCA Italiana, 1980.

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RIASSUNTI

La poesia e la narrativa di Giorgio Bassani trovano lettori attenti e interessati anche in Canada e negli Stati Uniti soprattutto del sud, dove la denuncia del fascismo e della persecuzione sugli esseri umani viene letta in relazione alla storia degli afro-americani. Come in Bassani, così anche nei writers del sud, troviamo l’impegno costante dell’essere testimoni, di incarnare la memoria, di riaffermare la storia del proprio tempo attraverso l’atto della scrittura. Poesie di Giorgio Bassani sono state tradotte e pubblicate in Nord America negli anni Cinquanta e negli anni Ottanta. In Canada escono, prima ancora che in Italia, alcuni componimenti di In gran segreto e, nel 1982, il libro Rolls Royce and Other Poems. Dall’altra parte dell’Oceano, Bassani ha lasciato un’impronta con le sue visite e le sue esperienze di insegnamento, tracce che mantengono viva la memoria dello scrittore ferrarese.

Bassani’s poetry and fiction has found many attentive readers in Canada and in the United States, especially in its Southern states, where Bassani’s denunciation of fascism and of persecutions may be connected in some ways with the history of Afro-Americans. In the southern authors, just as in Bassani, the writer is constantly engaged as a witness, who embodies memory itself, and revisits his own time through the very act of writing. Some of Giorgio Bassani’s poems were translated and published in the United States first in the fifties and then in the eighties. While in Canada some poems belonging to In Gran Segreto appeared even before than they did in Italy, and the book, Rolls Royce and Other Poems, was published in 1982. On the other side of the Atlantic, Bassani left important marks with his teaching experiences, marks that still today keep his memory alive.

La poésie et les romans de Giorgio Bassani ont trouvé de nombreux lecteurs attentifs et intéressés au Canada et aux États-Unis, surtout dans le sud des États-Unis, où on a pu comparer les persécutions qu’il dénonce à celles subies par les Afro-Américains dans leur pays. Cette dénonciation trouve un écho dans les témoignages des écrivains du Sud qui incarnent la mémoire elle-même et qui réaffirment leur temps à travers l’acte de l’écriture. Certaines poésies de Bassani ont été traduites et publiées aux États-Unis dans les années cinquante et puis dans les années quatre-vingt, alors que certaines des compositions appartenant à In gran segreto voient le jour au Canada avant même de paraître en Italie. Enfin, en 1982, est publié, toujours au Canada, le livre Rolls Royce and Other Poems. Bassani a laissé de l’autre côté de l’océan une trace visible grâce à ses visites et à son expérience d’enseignement, une trace qui maintient sa mémoire encore vivante aujourd’hui.

INDICE

Mots-clés : Giorgio Bassani, Epitaffio, In gran segreto, poésies, récit de voyage, littérature américaine, Mario Soldati, Emilio Cecchi, traduction Keywords : Giorgio Bassani, Epitaffio, In gran segreto, poems, travel literature, American literature, Mario Soldati, Emilio Cecchi, translation Parole chiave : Giorgio Bassani, Epitaffio, In gran segreto, poesie, letteratura di viaggio, letteratura Americana, Mario Soldati, Emilio Cecchi, traduzioni

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AUTORE

VALERIO CAPPOZZO The University of Mississippi

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Affinità elettive. Sulla ricezione delle opere di Bassani nei paesi di lingua tedesca1 Wahlverwandtschaften. Zur deutschsprachigen Rezeption der Werke Giorgio Bassanis Affinités électives. Sur la réception de l’œuvre de Bassani dans les pays d’expression allemande

Olaf Müller

1 Giorgio Bassani continua a essere uno degli autori italiani della seconda metà del XX secolo di maggior successo sul mercato librario tedesco. Eppure, ancora oggi, non esiste uno studio sulla ricezione della sua opera in area germanofona. La bibliografia di Portia Prebys2, che segnala più di 400 titoli in tedesco fra il 1960 e il 2010, mostra in maniera inequivocabile come l’interesse della critica per l’opera di Bassani sia gradualmente scemato a partire dal 1975. Nonostante i suoi libri vengano ripubblicati con regolarità ancora oggi, e benché questa Bibliografia, talvolta stilata in maniera ‘generosa’, citi spesso più volte lo stesso titolo o inserisca articoli di testate sicuramente minori come il «Landeskriminalblatt»3 o il «Norddeutsche Schlachter-Zeitung»4, questa tendenza sembra evidente.

2 In una recensione del 1978 alla traduzione tedesca della Sconclusione di Giorgio Manganelli5, il noto poeta e saggista Michael Krüger (più tardi direttore dello Hanser Verlag di Monaco) offriva una testimonianza importante a questo proposito, all’interno di un breve sguardo panoramico su una serie di autori italiani contemporanei che erano stati ‘dimenticati’ dopo aver ottenuto un grande successo nella Germania del dopoguerra. Il giudizio di Krüger è particolarmente interessante, poiché proviene da un grande conoscitore della letteratura italiana che, più tardi, durante la sua attività presso Hanser Verlag, si impegnerà attivamente per dare un ruolo preminente a questa letteratura nel catalogo6 della casa editrice. Contrariamente a ciò che avveniva in Francia — scrive Krüger — alcuni classici della letteratura italiana del dopoguerra non

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avevano «nessun mercato» in Germania, e fra questi vi era, nel 1978, anche Giorgio Bassani: Manganelli conosce in Germania la sorte di molti noti autori internazionali, quella di essere letto solo da specialisti e colleghi. La letteratura italiana — da Cesare Pavese a Giorgio Bassani, da a , da Ungaretti a Montale — era fino a pochi anni fa una lettura obbligata per l’intellighenzia tedesca; ma ora, nonostante i meriti che le sono ininterrottamente riconosciuti, per esempio in Francia, non sembra avere in Germania un mercato abbastanza importante per essere sostenuta dalle istituzioni culturali7. Vedremo che il «valore di mercato» di Bassani era destinato a aumentare nuovamente alcuni anni dopo, in seguito alla trasposizione cinematografica de Gli occhiali d’oro, ma la diagnosi di Krüger è sostanzialmente esatta.

3 In questo contributo cercheremo in un primo tempo di presentare brevemente, anche sul piano quantitativo, le diverse fasi della ricezione tedesca di Bassani; in un secondo momento, ci concentreremo sui nuclei contenutistici privilegiati dalla critica tedesca; infine, analizzeremo i pochi casi di ricezione letteraria ‘creativa’ dell’opera di Bassani fra gli autori di lingua tedesca.

Una ricezione quantitativamente importante

4 Della prima edizione tedesca de Gli occhiali d’oro, che uscì nel 1960 con il titolo Ein Arzt aus Ferrara8, nella traduzione di Herbert Schlüter, si contano fino al 1962 più di 60 recensioni; della traduzione tedesca de Il giardino dei Finzi-Contini e delle Storie ferraresi, che furono pubblicati rispettivamente alla fine del 1963 e del 19649, se ne contano circa 40 fino al 1964. Nel 1965 vide la luce un elegante album fotografico, che contiene testi scritti da Bassani e dal suo amico Mario Soldati per le fotografie di Gianni Berengo Gardin10. Sempre nello stesso anno, Deutscher Bücherbund di Stoccarda e Buchklub Ex libris di Zurigo ottennero la licenza per una nuova edizione del Giardino11, a conferma del grande successo del romanzo sul mercato librario tedesco. Nonostante questo interesse, nella stampa del 1965 il nome di Bassani figura solo in 5 articoli, mentre addirittura non compare in quella del 1966. Nel 1967 e 1968 troviamo di nuovo circa 40 interventi su Bassani, più o meno lunghi, i quali sono in gran parte reazioni alla traduzione di Dietro la porta uscita presso Piper Verlag12 e curata, come le precedenti, da Herbert Schlüter. Nel 1967, inoltre, Fischer-Verlag di Francoforte pubblicò Die Gärten der Finzi-Contini in un’edizione tascabile13: di fatto era questa la quarta ristampa del romanzo in cinque anni.

5 Il 1969 fu un anno particolarmente importante poiché Bassani ricevette il premio Nelly- Sachs dalla città di Dortmund. L’onorificenza era stata istituita nel 1961 ed era già molto nota, ma divenne ancor più prestigiosa quando Nelly Sachs ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1966. La Laudatio fu tenuta da Alfred Andersch (1914-1980), uno degli autori tedeschi più noti del dopoguerra, che dal 1934 era stato varie volte in Italia, fra l’altro come soldato della Wehrmacht nel 194414, e quindi per un lungo soggiorno romano fra il 1962 e il 196315. Andersch, che a sua volta aveva ricevuto il premio Nelly-Sachs nel 1967, svolse un ruolo fondamentale nella nomina di Bassani, da lui conosciuto personalmente durante il periodo trascorso a Roma16. Il premio, assegnato nel dicembre del 1969, insieme all’edizione tedesca de L’Airone [Der Reiher] nel 1970, sempre nella traduzione di Herbert Schlüter, segnò il culmine dell’interesse per l’opera di Bassani in Germania, con circa 80 tra recensioni e articoli.

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Particolarmente interessante fu, nello stesso periodo — siamo nel 1970 — l’uscita, in un’edizione su licenza, dei Finzi-Contini presso la casa editrice Volk und Welt nella DDR, seguita nel 1973, sempre su licenza, delle Storie Ferraresi [Ferrareser Geschichten], ambedue con una postfazione di Joachim Meinert, lettore e specialista per la lingua italiana presso questa casa editrice17. Queste postfazioni, sulle quali tornereremo in seguito, avevano l’obiettivo di presentare l’opera di Bassani ai lettori della DDR non come un esempio di letteratura borghese e decadente, ma come una lettura ideologicamente edificante.

6 In seguito alla pubblicazione, nel 1974, de L’odore del fieno18, uscirono fino al 1975 circa 40 articoli, anche se non tutti incentrati sulla figura di Bassani, mentre a partire dal 1976, e per i cinque anni seguenti, regnò il silenzio sulla sua opera, come confermato appunto da Michael Krüger nel 197819. Solo con la seconda ristampa dei Finzi-Contini nella DDR20 tornò sul mercato librario un titolo di Bassani — senza che a questo facessero seguito, tuttavia, particolari riscontri nella critica.

7 Fra gli anni 1982 e 1985 registriamo un solo articolo su Bassani, ma non destinato al grande pubblico, perché ospitato in una rivista accademica di italianistica21. Anche le nuove edizioni dei Gärten der Finzi-Contini e delle Ferrareser Geschichten22 (rispettivamente 1984 e 1985) non suscitarono alcuna reazione. A riprova di questo declino della fortuna di Bassani in Germania, osserviamo che né la nuova stesura delle Storie ferraresi, uscita in Italia con il titolo Dentro le mura nel 1973, né la risistemazione in un solo volume di tutti i suoi romanzi e racconti ferraresi, pubblicati con il titolo Il romanzo di Ferrara nel 1974 e, nella loro veste definitiva nel 1980, furono mai tradotte in Germania. Ancora oggi si leggono le traduzioni delle prime versioni.

8 Nel 1986 un viaggio di Bassani a Colonia lasciò solo alcune tracce nella stampa locale, ma con la trasposizione cinematografica de Gli occhiali d’oro nel 1987 la presenza dello scrittore nella stampa tedesca si fece più significativa. Il film proponeva fra i protagonisti volti popolari nella Germania degli anni Ottanta, come Philippe Noiret e Rupert Everett; di conseguenza, per un certo tempo, anche l’autore del romanzo su cui si basava il film poté godere di un’accresciuta attenzione mediatica. Questo rinnovato interesse spinse nel 1991 Piper Verlag di Monaco a ripubblicare le opere di Bassani già uscite, unitamente a un’edizione bilingue di una scelta delle sue poesie23; nello stesso anno, il politologo e specialista di Bassani Eberhard Schmidt diede alle stampe una raccolta di saggi critici sull’autore ferrarese insieme a testi autobiografici dello stesso Bassani24. Questa timida riscoperta produsse, nel 1991, una nuova serie di recensioni (Portia Prebys ne conta 16). Negli anni successivi solo l’ottantesimo compleanno di Bassani nel 1996, che coincideva con il novantesimo del suo traduttore tedesco Herbert Schlüter, e la vertenza giuridica che contrappose negli anni 1998-1999 i figli di Bassani e Portia Prebys interessò, seppur marginalmente, la stampa tedesca.

9 Nel 2000, anno della morte, 35 articoli marcarono l’ultima grande ondata d’interesse per Bassani in Germania, e le sue opere trovarono una nuova casa editrice. Piper Verlag, che curava l’opera di Bassani dal 1960, era stato comprato nel 1995 dal gruppo editoriale svedese Bonnier e aveva ceduto i diritti delle traduzioni di Bassani alla casa editrice di Berlino Wagenbach, che dal 2000 si impegna attivamente per mantenere viva la presenza dell’autore sul mercato tedesco25. Non a caso Klaus Wagenbach, nato nel 1930 e direttore dell’omonima casa editrice fino al 2002, è un italofilo e un fine conoscitore della letteratura italiana, molto noto in Germania. La sua casa editrice, fondata nel 1964, è diventata negli anni settanta la più importante mediatrice della

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cultura e della letteratura italiana in Germania, e propone molti titoli nel proprio catalogo. Piper pubblicava, oltre a Bassani, altri autori importanti quali Ungaretti, Gadda, Quasimodo, Montale o Tomasi di Lampedusa, ma erano nomi isolati all’interno di un programma editoriale non incentrato sull’Italia26. Presso Wagenbach, invece, l’opera di Bassani divenne uno dei pilastri di un catalogo già molto orientato verso la letteratura italiana. L’importanza dello scrittore ferrarese per questo editore traspare ancor oggi dalla frequenza con cui i suoi titoli vengono riproposti: Die Gärten der Finzi- Contini è uscito per Wagenbach nel 2000, poi nel 2008 e ancora nel 201627, Die Brille mit dem Goldrand nel 2007 e nel 2016, con un’immagine tratta dal film con Philippe Noiret in copertina. Nel 2007 è stato ripubblicato anche L’Airone presso la stessa casa editrice28, cui è seguita nel 2008 l’edizione di Dietro la porta29. Nel 2009, infine, ha visto la luce, sempre presso Wagenbach, un’antologia curata da Carl Wilhelm Macke, che include anche un testo di Bassani30.

10 Nel 2016, in occasione del centenario dalla nascita, l’autore è stato ricordato sia attraverso una serie di articoli sulla stampa generalista, sia attraverso mostre e conferenze curate dagli Istituti di cultura italiana di Monaco e Berlino. Nonostante queste manifestazioni e una continua richiesta dell’opera bassaniana da parte del pubblico di lingua tedesca, che trova riscontro nella ristampa delle sue opere31, i media e, per certi versi, anche la critica letteraria, si mostrano da qualche anno poco ricettivi32.

I temi principali della ricezione in lingua tedesca

11 Quali sono i temi principali delle risposte in lingua tedesca all’opera di Bassani a partire dal 1960? La prima recensione in assoluto si riferisce alla traduzione tedesca de Gli occhiali d’oro, e apparve in una pubblicazione non specificamente letteraria ma legata a uno dei principali temi del romanzo: si tratta di una rivista destinata a un pubblico omosessuale, «Der Kreis», fondata nel 1932 a Zurigo. L’analisi del romanzo di Bassani, che apparve nel numero del dicembre 1960, si concentrava prevalentemente sulla rappresentazione dell’omosessualità. Di solito gli autori degli articoli della rivista pubblicavano sotto pseudonimo33: il recensore de Gli occhiali d’oro, invece, firmò col suo vero nome, Christian Helder, e consigliò il libro sia ai lettori della rivista sia a tutti i sostenitori del movimento, vedendo nel protagonista del romanzo, il dott. Fadigati, un modello per tutti gli omosessuali [«Schwule»] vittime di esclusione sociale: Questo racconto è una lettura che raccomandiamo ai nostri lettori. Si può dare il libro addirittura ai ‘nemici’, perché ci mette in buona luce. Questo lavoro di Bassani risulta particolarmente gradito perché, per una volta, la persona rappresentata non ha tratti decadenti, come in molti altri autori. Il ‘medico di Ferrara’ è rispettato e compreso dalla sua comunità, anche quando si sa che lui è ‘così’. Dovrebbe diventare un modello per noi, perché ci mostra come, in mezzo ai comportamenti ostili, si possa preservare la forza del carattere e agire nobilmente34.

12 Incredibilmente, la discriminazione antisemita a cui è esposto il narratore, alla vigilia della promulgazione delle leggi razziali nel 1938, in evidente parallelismo con la persecuzione omofoba di Fadigati, non sembra avere alcuna importanza per il recensore. Chi leggesse la recensione senza conoscere il romanzo, non capirebbe che il narratore è ebreo, e potrebbe esserne indotto a pensare che in Italia anche i cattolici siano stati perseguitati sotto il fascismo. Helder dice soltanto, molto vagamente, che Bassani

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[…] vorrebbe difendere la causa dei perseguitati e dei proscritti, ma non vuole che la sua persona in quanto autore sia troppo associata a loro. Cerca di spiegare molti conflitti attraverso una rappresentazione precisa del contesto politico — l’atteggiamento dei fascisti italiani nei confronti dei cattolici e degli ebrei svolge un ruolo importante nel racconto35.

13 Altrettanto fuori luogo è il giudizio di Helder quando alla fine afferma che la rappresentazione della persecuzione della comunità ebraica di Ferrara cela «il nucleo centrale del racconto»36, da lui ovviamente identificato con l’omosessualità di Fadigati: alla luce delle sue preoccupazioni specifiche, la tematica dell’antisemitismo e le leggi razziali del 1938 sembrano al recensore una fastidiosa appendice.

14 Anche l’austriaco Franz Tumler, che era stato un fedele, e molto amato, sostenitore del regime nazista, ha nella sua recensione del 1961 difficoltà a riassumere il contenuto de Gli occhiali d’oro. Il suo giudizio sul romanzo è nel complesso molto positivo, ma si concentra esclusivamente sul problema dell’isolamento [«Vereinsamung»], come indica il titolo dell’articolo. Fadigati e il narratore sono per Tumler degli individui marginalizzati dalla società, ma il recensore non riesce a designare apertamente l’omosessualità del protagonista, e parla molto vagamente delle «sue innate biasimevoli tendenze» [«die ihm angeborenen verpönten Neigungen»]37. Certo, l’isolamento del narratore è ricollegato alle sue origini ebraiche, e sono queste stesse «origini ebraiche, che attraverso la pressione delle persecuzioni allora decretate in Italia, lo isolano improvvisamente dalla società in cui era cresciuto», per cui Bassani mostra «il silenzioso progresso della fatalità [«Verhängnis»], mentre esteriormente tutto sembra immutato»38. Ma il tema dell’antisemitismo non è mai direttamente affrontato. La riflessione rimane così generica che il lettore non viene informato né del fatto che Bassani aveva condiviso anche personalmente le sofferenze degli ebrei di Ferrara, né che la legislazione antisemitica in Italia era stata adottata di concerto con la Germania, cosa che invece nel testo di Bassani è esplicitamente indicata.

15 Per i primi recensori tedeschi, Bassani è stato innazitutto lo scopritore del Gattopardo, che uscì in Germania nel 195939; anche l’edizione tedesca dei racconti di Tomasi di Lampedusa, pubblicati nel 1963, aveva una postfazione di Bassani: un elemento che rafforzò nel pubblico il legame tra questi due autori40.

16 Ci si potrebbe dunque legittimamente aspettare che il nome di Bassani fosse abbastanza diffuso in Germania, in particolare fra i letterati attivi intorno al 1960, poiché nella sua funzione di redattore della rivista «Botteghe oscure», egli fu coinvolto, fra il 1948 e il 1960, nella pubblicazione di importanti autori di lingua tedesca: Ilse Aichinger, Ingeborg Bachmann, Max Bense, Horst Bienek, Heinrich Böll, Paul Celan, Hilde Domin, Hans Magnus Enzensberger, Günter Grass, Helmut Heißenbüttel, Walter Höllerer, Uwe Johnson, Marie Luise Kaschnitz, Karl Krolow, Christoph Meckel, Heinz Piontek, Nelly Sachs fino a Martin Walser e Franz Wurm, solo per citare i più importanti41; a ben vedere, però, solo pochi tra questi autori ebbero contatti diretti con Bassani — almeno a giudicare dal materiale finora pubblicato. Ingeborg Bachmann e Paul Celan, che pubblicarono poesie su «Botteghe oscure» a partire rispettivamente dal 195442 e dal 1956, curarono addirittura, nel 1958, un numero monografico della rivista sulla lirica tedesca contemporanea. Tuttavia, il nome di Bassani non figura nella loro corrispondenza.

17 Nel 1962 un altro dibattito letterario attira l’attenzione del pubblico tedesco sul nome di Bassani, ponendolo però in una luce non del tutto positiva: circolò, infatti, la notizia

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che Bassani si fosse dato da fare perché il romanzo di Anna Banti Le mosche d’oro ottenesse il Premio Strega, mentre lui stesso era in lizza per il Premio Viareggio. L’articolo ricordava i titoli di Bassani e la scoperta del Gattopardo, ma proponeva anche un quadro poco edificante di attori influenti della scena letteraria che intrigano per assicurarsi i premi letterari del 1962 e favorire i propri conoscenti: Giorgio Bassani, autore di raffinati testi letterari [«literarisch geschliffener Bücher»] (Geschichten aus Ferrara, Der Garten der Finzi-Contini), editore di una delle più importanti collane editoriali, quella dei «Narratori moderni» presso Feltrinelli, e rispettato da molti come esperto infallibile di cose letterarie in seguito al lancio del Gattopardo, che era stato rifiutato più volte da altri editori, corre il pericolo di veder intaccata la sua reputazione. Le sue proposte sono di parte, legate a fini personali. Dieci giorni prima dell’assegnazione del premio Strega si è impegnato alacremente per promuovere Le Mosche d’oro [Die Goldfliegen] di Anna Banti, che fino a poco tempo prima si rifiutava di leggere. Il libro ha avuto solo il terzo posto. Circola voce che Anna Banti troverà il modo di vendicarsi, anche di Bassani, che con tutta l’energia della sua ambizione spera di aggiudicarsi il Premio Viareggio (dotato di quattro milioni di lire) per il suo Il Giardino dei Finzi-Contini43.

18 Questo pettegolezzo sugli intrighi letterari italiani non fu però di ostacolo alla diffusione del libro in Germania, che uscì in traduzione un anno dopo. La ricezione del romanzo fu unanime. Un breve articolo dello «Spiegel» del 25 dicembre 1963, che ricordava Bassani come lo scopritore del Gattopardo, definiva tuttavia il suo stile narrativo «kunstvoll konventionell» [«artificiosamente convenzionale»], espressione ambivalente quanto i «raffinati testi letterari» dell’articolo di Monika von Zitzewitz sui premi letterari. Il romanzo, proseguiva l’articolo, racconta la […] storia di una famiglia ebrea di Ferrara, che, all’inizio dell’era fascista, fa dei suoi famosi giardini, e più tardi anche della propria biblioteca, il luogo d’incontro di onorati cittadini, fra i quali si sviluppa a poco a poco un’atmosfera di tacita resistenza passiva. Un’infelice storia d’amore fra la figlia dei proprietari e il narratore domina il romanzo dalle tonalità autobiografiche. I giardini dei Finzi- Contini cadono nell’abbandono quando la famiglia viene deportata in Germania44.

19 Il fatto che il singolare del titolo italiano sia trasformato, nella traduzione tedesca, nel plurale Giardini [Gärten] non sembra disturbare il recensore, benché ciò faccia perdere uno degli strati semantici più importanti del giardino dei Finzi-Contini, e cioè il suo carattere paradisiaco. È interessante constatare che questo errore non è mai stato corretto. Ma almeno la recensione menziona la deportazione dei Finzi-Contini in Germania, pur tacendo la loro uccisione. Sempre su «Die Zeit», nella rubrica «La voce del libraio», alla fine del 1963, il romanzo di Bassani fu consigliato da molti librai tedeschi, senza mai fare riferimento alla persecuzione degli ebrei italiani da parte del regime fascista, a partire dal 1938, e alla successiva uccisione delle famiglia citata nel titolo. Alla domanda «quali libri consiglierà ai suoi clienti per l’autunno 1963», così rispose una libraia di Düsseldorf: «Consiglierò Giorgio Bassani: “Die Gärten der Finzi- Contini” (Piper Verlag). Perché? Per la lingua poetica e la bellissima rappresentazione del mondo, lacerato da segrete fratture, di una colta famiglia ebrea di Ferrara nel 1935-36»45.

20 L’errata collocazione cronologica degli eventi segnala già, in questa dichiarazione, che la problematica centrale del romanzo non è stata colta, come mostra anche l’assurdo eufemismo «mondo lacerato da segrete fratture» che potrebbe indicare dei contrasti familiari o altre simili banalità. Altrettanto vago si mostrò un libraio di Amburgo, al

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quale forse sembrò inopportuno fare menzione del fascismo e della persecuzione degli ebrei fra i temi del romanzo: La bellezza e la grazia di questi ricordi di una vita in una famiglia ebrea di Ferrara nascono da una particolare tristezza, con la quale l’autore ripercorre il passato e l’impossibilità del ritorno della felicità perduta. Bassani è riuscito a riunire in questo romanzo prosa e poesia46.

21 Una recensione molto accurata uscì, invece, nel 1962 su «Tribüne. Zeitschrift zum Verständnis des Judentums». La rivista era stata fondata per contrastare con la documentazione e l’analisi l’antisemitismo sempre presente e le ringagliardite tendenze neonaziste della Germania degli anni Sessanta. Il redattore Axel Silenius scrisse in un intervento dal titolo Die Erinnerung der «verlorenen Zeit» [Il ricordo «del tempo perduto»] che la memoria era «il centro del romanzo», e stava lì per compensare «la tomba, la lapide di coloro che, nella distruzione e nella rovina, non avevano neppure potuto trovare, come estremo rifugio, “una sepoltura qualsiasi”»47.

22 Una recensione non meno approfondita fu scritta da Wolfgang Grözinger nel dicembre 1963 per la rivista cattolica «Hochland». L’autore conosceva Bassani come scopritore del Gattopardo, oltre che come poeta e redattore di «Botteghe oscure» e «Paragone». Nell’articolo sono chiaramente indicati i legami fra il fascismo e l’antisemitismo italiani e tedeschi, sfondo indispensabile alla comprensione della vicenda: Il poeta e critico italiano Giorgio Bassani, redattore di due riviste letterarie e scopritore di Der Leopard di Lampedusa, ha ottenuto un grande successo in patria e all’estero con il suo primo romanzo Die Gärten der Finzi-Contini. Questo successo è meritato. Quando uno prende il libro in mano, ha l’impressione di incontrare quella forma di libertà che si chiama nobiltà interiore. È sconvolgente che questa disposizione di spirito si manifesti in tutta la sua forza sul margine dell’abisso nel quale l’antisemitismo hitleriano ha precipitato anche gli ebrei italiani48.

23 Grözinger identifica con grande precisione il terribile contesto entro cui si doveva leggere la storia raccontata da Bassani, storia solo apparentemente banale, e descrive in modo pertinente la tecnica dell’evocazione utilizzata dallo scrittore. Il confronto conclusivo con lo stile del Gattopardo può sembrare forzato, ma se si osserva il tono melancolico di entrambi i testi, non è troppo lontano dalla verità: Qui, una volta tanto, non ci viene mostrata la vittima meschina e impaurita dell’odio razziale, che dal ghetto e dal pogrom arriva direttamente nell’inferno di Auschwitz, bensì la nobiltà ebraica. […] È commovente constatare come Bassani sia riuscito a tal punto a smorzare lo strepito della politica di quegli anni attraverso il motivo della disubbedienza aristocratica che la voce sottile di un infelice amore giovanile, il tema eterno del giovane che vuole afferrare le stelle diventa qui udibile. Bassani ha scritto in questo modo — e forse senza il modello di Lampedusa questo non sarebbe stato possibile — il pendant ebraico del Leopard, un libro che, per quanto paradossale ciò possa sembrare, rallegra attraverso la rinuncia e il dolore49.

24 A fine 1964 l’edizione tedesca delle Storie ferraresi veniva annunciata in una breve recensione dello «Spiegel» come l’opera dello «scopritore di Lampedusa (Der Leopard) Bassani»50. Il pubblico riceveva però, da questa recensione, solo informazioni molto vaghe e di scarso interesse, come quella che nelle Storie Ferraresi «il passato della provincia italiana» veniva «superato» e che Gli eroi passivi di Bassani, […] ebrei o fascisti, sono comunque degli outsider. Tutti soffrono di inibizioni sessuali [erotische Befangenheit]. Le donne si muovono fra chiesa e cucina. Gli uomini hanno paura della vita. Bassani dà il meglio di sé

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quando, in uno stile un po’ laborioso, riesce a rendere poetica l’oscura e malinconica atmosfera di Ferrara51.

25 Con il ricorso all’espressione «superamento del passato» e l’allusione brevissima e poco informativa a protagonisti «ebrei o fascisti», il recensore indicava che le Storie ferraresi avevano a che vedere con il tempo del fascismo europeo, ma senza veramente raccomandarne la lettura. Poco significative appaiono anche le altre affermazioni, che nulla dicono del contenuto dei racconti di Bassani.

26 Alla pubblicazione della traduzione tedesca di Dietro la porta52 e dell’edizione con licenza dei Finzi-Contini presso Fischer Verlag di Francoforte53, reagirono nel 1967-1968 circa 40 recensioni, ma il successo tedesco più importante per Bassani in quegli anni fu senza dubbio il conferimento del premio Nelly-Sachs della città di Dortmund, che l’autore ritirò nel dicembre 1969. La Laudatio fu fatta da Alfred Andersch, che conosceva Bassani da molti anni54 e che parlò di «una certa affinità elettiva» con l’autore ferrarese. Come ha sottolineato Italo Michele Battafarano, il discorso di Andersch su Bassani «si può leggere anche come una riflessione di Andersch sul suo proprio lavoro e sulla sua concezione della letteratura»55, in quanto Bassani diventa per l’autore tedesco una sorta di «alter ego italiano»56. La Laudatio di Andersch fa tuttavia capire sin dall’inizio che Bassani, nel 1969, non era ancora un autore pienamente affermato presso il pubblico tedesco. Già nella prima frase, dopo avere precisato che non farà «un discorso ufficiale», afferma Andersch: Non ho altro fine che raccontarvi di Giorgio Bassani e Ferrara […] e vi lascerò decidere poi se il conferimento del premio, che va sotto il nome della nostra grande e indimenticabile Nelly Sachs, è giustificato o se si tratta di un’idea strampalata [«skurrilen Einfall»]57.

27 Se perfino il laudator ammette che per il pubblico del 1969 il conferimento del premio a Bassani possa essere uno «skurrile[r] Einfall», ci si può chiedere quali aspettative egli attribuisse al pubblico e per quale motivo Bassani non sarebbe stato all’altezza. Prima di Bassani avevano ricevuto il premio (che veniva dato ogni due anni) la stessa Nelly Sachs (1961), Johanna Moosdorf (1963), Max Tau (1965) e Alfred Andersch (1967). Tutti e quattro o erano stati vittime dirette della persecuzione antisemita in Germania (Sachs, Moosdorf, il cui marito, il politologo Paul Bernstein, era stato assassinato nel 1944 a Auschwitz, e Tau) oppure (nel caso di Andersch) si erano confrontati intensamente con i crimini tedeschi dopo il 1945. Da questa prospettiva non era affatto «bizzarro» che Bassani ricevesse il premio, ma a quanto pare Andersch non riteneva Bassani abbastanza noto al pubblico perché sembrasse scontato il conferimento del premio. Andersch stesso aveva contribuito due anni prima a far conoscere l’opera di Bassani in Germania: nel «Merkur», un mensile fondato nel 1947 e ancora molto importante nel 1967, egli aveva pubblicato un articolo dal titolo Auf den Spuren der Finzi-Contini58, in cui raccontava di una visita a Ferrara durante la quale aveva cercato i luoghi dei racconti di Bassani. La Laudatio del 1969 era una rielaborazione (a volte più breve, ma a volte anche più sostanziosa) di quell’articolo. Era stato Andersch a proporre Bassani per questo premio: nel 1968 aveva avuto uno scambio epistolare con Nelly Sachs a questo proposito e le aveva chiesto di fare il nome di alcuni possibili candidati. Sachs, che aveva ricevuto il premio Nobel due anni prima, scrisse ad Andersch il 7 maggio 1968 e nominò vari autori tedeschi fra cui Paul Celan, Heinrich Böll, Helmut Heißenbüttel, Elisabeth Borchers, Hubert Fichte, Jürgen Becker e Gisela Elsner. Nominò anche Samuel Beckett, che lei stimava molto e considerava come un «fratello», ma che giudicava poco adatto al riconoscimento di Dortmund in quanto non era autore di lingua tedesca59.

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Possiamo quindi supporre che non sia stata Nelly Sachs a fare il nome di Bassani, anche se lo poteva conoscere come redattore di «Botteghe oscure», giornale in cui anche lei era stata pubblicata. Forse la frase iniziale sull’«idea strampalata» di conferire il premio a Bassani si riferiva proprio al fatto, ben noto a Andersch, che a Nelly Sachs non sarebbe mai venuto in mente di ricompensare l’autore ferrarese.

28 Fra la lettera di Nelly Sachs a Andersch del maggio ’68 e la cerimonia di consegna del premio nel dicembre 1969 ci fu un incontro molto importante che Bassani stesso ricorda nella sua risposta alla Laudatio di Andersch: il nome di Nelly Sachs gli era noto almeno dal 1959, quando alcune sue poesie erano state pubblicate su «Botteghe oscure»: «Era la prima volta che nel mio paese si stampava qualcosa di suo, dieci anni prima della pubblicazione in volume di sue opere presso Einaudi»60. L’incontro fra i due era avvenuto in un ospedale svedese nell’ottobre 1969, poco prima della consegna del premio, e fu la conferma, per l’autore ferrarese, di un suo accordo fondamentale con la poetica di Nelly Sachs: […] fu una visita che non dimenticherò, credo, mai, la poetessa era (ed è ancor oggi) molto malata, era quasi diventata un nulla, un minuscolo involucro senza peso. E tuttavia non potrò dimenticare mai i suoi occhi ardenti, vivacissimi, indomiti, il suo volto gracile, pallido, emaciato, ma miracolosamente illuminato dalla luce interiore dello spirito. Non potei rimanere più di qualche istante: ero in piedi accanto al suo letto, e lei mi guardò e mi parlò dal fondo dei suoi cuscini. Appena cinque minuti dopo avere varcato la soglia della sua cameretta, già scendevo insieme al mio amico le scale della clinica. E lì compresi che la poesia è sempre il risultato di privazione [«Entbehrung»], separazione ed esilio. È stato proprio nell’esilio svedese che Nelly Sachs ha trovato la sua Germania. Dall’ospitale Svezia invocava [«beschwor sie»] i morti tedeschi di Buchenwald, Mauthausen, Dachau: le lunghe, verticali, ‘espressionistiche’ nubi di fumo dei suoi e dei nostri morti. Evocava [«evozierte»] i morti. Ma non è questo — mi dissi allora e mi dico ancor oggi — il destino o meglio, la prima funzione del poeta? Non hanno i poeti, sin da Omero, cantato i morti, nel tentativo disperato e però vincente di ridar loro la vita61?

29 Bassani ringraziò ovviamente anche il laudator Andersch e accennò al fatto che buona parte del suo intervento aveva come fonte l’articolo del 196762. Verena Kammandel, che ha cercato tracce dell’opera di Bassani negli scritti di Andersch, nota il profilarsi, fra il 1957 (anno del romanzo Sansibar oder der letzte Grund) e il 1967 (anno del romanzo Efraim e del saggio sul Merkur) di «un modo molto più sottile di trattare il tema del passato nazionalsocialista in Germania […] che deve molto a Bassani»63. Anche se non si riscontrano tracce concrete di una ricezione bassaniana nell’opera letteraria di Andersch, sembra legittimo sostenere che l’intenso confrontarsi con la questione della trasmissione della memoria, individuale e «collettiva», evidente anche nella Laudatio, risalga alla scoperta dell’opera di Bassani durante il soggiorno romano dell’autore alla fine del 1962. Così si esprime Andersch nella Laudatio: Il compito della letteratura — parlo qui della prosa — è dare una forma ai ricordi in un processo narrativo. Cos’è successo nei romanzi di Bassani? È semplicemente accaduto che un grandissimo narratore ha ricordato, che egli ha trasformato i suoi ricordi in ricordi collettivi e che la sua memoria è entrata a far parte della memoria del singolo lettore. Ricordi così ricordati che non li dimentichiamo. Troppo poco? Ma supponiamo che non ci fosse più il ricordo di Pino Barilari o di Micòl Finzi- Contini, di Raskolnikow o Enrico il verde [il protagonista di Der grüne Heinrich di Gottfried Keller], di Emma Bovary e Effi Briest, di Josef K. e Stephen Daedalus — con quale sconsideratezza e incoscienza potrebbe allora l’umanità [Menschheit] abbandonarsi a atti disumani, feroci [Unmenschlichkeiten]64?

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30 Avendo già altrove paragonato la Ferrara di Bassani alla Combray di Proust o alla Praga di Kafka, Andersch mette senz’altro l’opera di Bassani sullo stesso piano di quella di Dostoevskij, Gottfried Keller, Flaubert, Fontane, Kafka o Joyce. Ciò che le unisce, a suo giudizio, è il coninvolgimento della memoria personale, che Bassani ha eletto a principio costitutivo della maggior parte dei propri testi.

31 Andersch ripubblicò il saggio su Ferrara del 1967 in un’antologia dal titolo Norden Süden rechts und links [Nord sud destra e sinistra], che uscì nel 1972 per i tipi di Diogenes a Zurigo. Fu questa versione del testo che lesse lo scrittore Jean Améry, amico di Andersch, ex-combattente della Resistenza ed ebreo austriaco perseguitato e torturato dai nazisti, che aveva incontrato Primo Levi ad Auschwitz. Fino ad allora Améry conosceva di Bassani solo la riduzione cinematografica del Giardino dei Finzi-Contini, realizzata nel 1970 da Vittorio De Sica. La lettura del saggio di Andersch su Bassani lo entusiasmò: Ieri ho letto con sincero entusiasmo il Suo testo su Ferrara e sui Finzi-Contini. Non ho letto il libro di Bassani, confesso con vergogna che non so l’italiano. Ma il film di De Sica l’ho visto e ora il Suo articolo, che è un po’ come la ricerca di Combray, che a suo tempo avevo intrapreso, mi ha chiarito molte cose e aperto diverse nuove prospettive — in breve: ho letto con entusiasmo, purtroppo solo da non addetto ai lavori65.

32 Nonostante tutto il suo entusiasmo, Améry non aveva capito che, nel momento in cui scriveva la lettera ad Andersch, Il giardino dei Finzi-Contini era già stato tradotto in tedesco da almeno dieci anni, e neppure il film aveva, evidentemente, risvegliato in lui il desiderio di interessarsi a un libro che avrebbe potuto facilmente leggere anche senza sapere l’italiano, se davvero avesse voluto.

33 Nel frattempo, nel 1970, era uscita anche la traduzione tedesca de L’Airone. Il romanzo fu accolto come il «capolavoro» di Bassani da critici letterari autorevoli come Toni Kienlechner del giornale «Die Zeit»: Con questo romanzo Giorgio Bassani si è prefisso più di quanto non avesse fatto in tutte le opere precedenti. Per questo motivo non si è limitato alla sua abituale scrittura scarna. Nei racconti precedenti, dalla prosa tranquilla e distesa, si innalzavano momenti di alta liricità, sufficienti a rendere folgoranti i suoi personaggi. Qui, dove è posto il problema della morte, Bassani ha steso sin dall’inizio un ampio telone, per rappresentare in toto l’immenso contrasto tra vita e morte: per realizzare il suo capolavoro66.

34 Sempre nel 1970 uscì la prima edizione de Il giardino dei Finzi-Contini nella DDR presso le edizioni Volk und Welt di Berlino. Nella sua postfazione ben informata, il traduttore e specialista di letteratura italiana Joachim Meinert identificava l’introduzione delle leggi razziali nel 1938 come la svolta decisiva nella produzione letteraria di Bassani. Nel suo primo libro Una città di pianura, Bassani aveva utilizzato una «prosa d’arte che attribuiva maggior valore alla ricercatezza linguistica e alla perfezione artistica che non a temi di rilevanza sociale»67. Il suo mondo protetto venne scosso «quando nel 1938 in Italia i fascisti scatenarono un’ondata di antisemitismo». L’analisi di Meinert seguiva alcuni criteri tipici di una postfazione scritta nella DDR: egli affermava, ad esempio, che dopo la guerra Bassani si era interessato «a soggetti di maggiore importanza, a temi di rilevanza sociale e morale» e che i suoi racconti, nonostante «si limitassero a descrivere uno specifico ambiente locale e uno strato sociale molto ristretto, la borghesia ebraica», proponevano «una visione universale della situazione della borghesia in una città della provincia italiana»68. Meinert riconosceva a Bassani il merito di non essersi limitato al

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«ruolo di analista psicologico e cronista sociale», di essersi dischiuso alla poesia «‘rifugio’ indocile»69. Nel contesto della politica culturale ufficiale della DDR queste osservazioni sono di per sé degne di nota. Ancor più importante è il fatto che Meinert — il quale già nel 1970 conosceva minuziosamente tutte le opere di Bassani — richiamasse l’attenzione su un’affermazione che in anni successivi sarebbe diventata uno dei punti cardinali della ricezione di Bassani da parte di W. G. Sebald. Meinert cita infatti il passo di un’intervista in cui Bassani aveva definito la propria poetica70. Il suo obiettivo, aveva detto, era quello di «accostare il più possibile il documento all’intuizione poetica, fino a far prendere a questa la tonalità di quello»71. Quasi trent’anni dopo, nel corso delle sue letture bassaniane, Sebald doveva sottolineare a matita, in un volume di suo possesso, proprio queste parole, che trovava citate in un saggio di Eberhard Schmidt72.

35 Meinert interpretava il rapporto tra Micòl Finzi-Contini e il comunista Malnate come l’espressione della tensione tra «la tentazione di fuggire in un passato poetico» e la «volontà di operare attivamente nel presente» e sottolineava come positivo il fatto che «uno scrittore borghese e antifascista riconoscesse ai comunisti la più lucida coscienza politica»73. Dopo una dettagliata presentazione delle opere di Bassani pubblicate fino al 1969, incluso L’Airone, che non era ancora stato pubblicato in Germania e che egli considerava poco riuscito, Meinert tentava di inquadrare il significato della Resistenza per autori di estrazione borghese quali Bassani, e giungeva a questa conciliante conclusione: Anche se a Bassani non può essere riconosciuta una «coscienza storica matura», i tratti antifascisti e in parte anche antiborghesi delle sue opere dimostrano che il vasto movimento popolare della Resistenza in Italia ha influenzato in modo sostanziale persino la letteratura di origine borghese74.

36 Quanto alla traduzione tedesca de L’odore del fieno, uscita nel 1974 ad opera di Herbert Schlüter presso Piper Verlag di Monaco, anche Rito Sander, nella sua recensione, ricorse alla metafora del maestro, come già aveva fatto Toni Kienlechner a proposito de L’Airone, e paragonò Bassani a Pavese. Dello stile scarno di Bassani lodò il fatto che […] lo sforzo artistico di cancellare le tracce dello sforzo creativo nel prodotto artistico […] ha spolpato le opere di questo autore italiano fino all’osso. Nemmeno una parola superflua, nulla di opulento, di ridondante: parsimonia eloquente, testi in cui la discrezione induce a cassare tenacemente; risparmio realistico di mezzi, come vuole la tradizione contemporanea di questo paese, per esempio in Pavese75.

37 Attraverso una citazione dai Tre apologhi ne L’Odore del fieno, e sottolineando il sintagma «quasi niente», anche Sanders prendeva atto dell’autorevolezza e maestria di Bassani: Sono quasi cronache questi racconti quieti, misurati, senza nessuna pompa, attualità raccontate come eventi della vita di tutti i giorni. «Accadde parecchi anni fa, prima dell’apertura delle autostrade. Accadde? Beh, per modo di dire, giacché in realtà non accadde quasi niente». Questo «quasi niente» per noi così importante di cui Bassani è maestro76.

38 Questi giudizi del 1974 coincidono con l’apice della popolarità di Bassani in Germania. Da allora in poi uscirono solo riedizioni, più o meno rielaborate, delle opere già pubblicate, e anche le reazioni dei pubblicisti si fecero sempre più rare. La bibliografia di Prebys non registra alcuna recensione in lingua tedesca negli anni che vanno dal 1976 al 1980. Nel 1980 si registra un saggio molto circostanziato, pubblicato in una rivista letteraria svizzera, ma che si legge quasi come un elogio funebre. Georges Amman vi constatava la scomparsa di Bassani dalla scena letteraria contemporanea.

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Dopo un breve riepilogo dei successi di Bassani nei paesi di lingua tedesca fino al premio Nelly Sachs, l’autore si chiede: Qual è la ragione del lungo silenzio di Bassani negli anni ’70, silenzio che ha sicuramente contribuito alla scomparsa di questo scrittore squisitamente sensibile dalla scena letteraria contemporanea? […] Forse la ricerca di nuovo materiale, di nuove forme non si è ancora conclusa o avanza in segreto, lontano dal pubblico; forse attraverso la questione del senso e dell’ufficio della scrittura è giunto alla conclusione di avere già detto ciò che è davvero importante77.

39 Dopo uno sguardo panoramico su tutte le opere di Bassani e dettagliate informazioni sui contenuti dei racconti più lunghi, Amman torna alla questione iniziale: quale può essere stata la ragione del silenzio di Bassani dopo L’Airone?, e giunge alla conclusione che forse Bassani, come , non si ritiene capace di […] rinunciare al proprio punto di vista di letterato ed esteta che mette da parte le questioni urgenti e assillanti del tempo presente. È possibile che l’autore, così avido di ricordi, e innamorato in modo così esclusivo del proprio passato, non sia capace di mettere la propria sensibilità al servizio di una comprensione del mondo che sia più attuale e più risoluta, che si addentri fin nelle viscere delle cose78?

40 Che le ragioni del silenzio di Bassani fossero da ricercare piuttosto nella sua malattia, divenne di pubblico dominio anche nei paesi di lingua tedesca solo negli anni ’90. Un articolo di Gustav Seibt sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» provocò nel 1995 molto scalpore. Seibt era andato a far visita a un Bassani ormai affetto da demenza nella sua abitazione romana e in mezzo all’incessante chiacchiericcio degli altri invitati aveva cercato di avvicinarsi all’autore e sottrarlo per qualche momento al suo ottenebramento mentale. Dopo quello che all’ospite tedesco parve un promettente inizio, Bassani scomparve di nuovo dietro il cicaleccio degli altri invitati: La serata era iniziata in modo così commovente. Ancora prima dell’arrivo della loquacissima signora inglese, l’anziano signore, non sapendo quali fossero le conoscenze pregresse dei suoi ospiti, era andato a prendere in una stanza attigua l’edizione in un solo volume di tutta la sua opera narrativa, Il Romanzo di Ferrara, che racconta la storia della sua città natale e degli ebrei che vi abitavano sotto il fascismo, e si era affacciato alla porta con le parole: «Ecco il mio poema». Teneva in mano tutta la sua vita, un migliaio di pagine tristi e sconvolgenti, Il giardino dei Finzi- Contini e gli altri racconti, tutta la sua meravigliosa opera. Stava lì come uno degli antichi poeti nel Limbo dantesco. Dopodiché si era accasciato in una poltrona e congedato dal tempo presente. Presto diventa chiaro che gli altri invitati sono lì per celare la sua situazione infelice. Si dimentica le cose all’istante, chiede cinque volte il nome e la provenienza dei suoi ospiti, dà risposte strascicate e indistinte79.

41 Il resoconto di Seibt termina con la descrizione di un bacio che Bassani gli aveva dato in un momento in cui i due erano riusciti a sottrarsi alle chiacchiere degli altri invitati. Dopo la pubblicazione del’articolo nel 1995, la comicità involontaria di questo epilogo suscitò reazioni divertite in altri giornali tedeschi, anche se l’asserzione centrale che Bassani trascorreva la maggior parte della sua esistenza in uno stato di ottenebramento mentale era in sé tutt’altro che divertente: Siamo soli. Ora gli faccio una confessione. Amo tutti i suoi libri, però nessuno mi ha turbato quanto Dietro la porta. Vi ho riconosciuto tutta la mia vita. Bassani mi guarda tranquillo. Si sporge in avanti e dice: «Davvero? Sì, è una storia triste. Ma importante. Molto importante». Ora attira rapidamente, con mia grande sorpresa, il mio capo verso di sé e mi dà un bacio sulla guancia. Anch’io gli do un bacio, sulla guancia sinistra, e vorrei sfiorare anche la destra. Ma lui si ritrae e dice: «No, solo una guancia!» […] Mi accomiato rapidamente […]. Bassani mi segue fino all’ingresso, dove prendo il cappotto. Quando sono già sulle scale mi dice: «Se verrà un’altra

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volta, potremo parlare più a lungo». Io corro giù, non prendo l’ascensore. Non lo vedrò mai più80.

42 Negli anni successivi la stampa tedesca riferì con brevi comunicati della vicenda giudiziaria che vedeva coinvolti i figli di Bassani e la sua compagna americana intorno alla sua eredità. Per il suo ottantesimo compleanno nel 1996, e in occasione della sua scomparsa nel 2000, uscirono, come di consueto, una serie di articoli bio-bibliografici a carattere commemorativo, e quando nel 2004 fu pubblicata una nuova traduzione del Gattopardo81 — basata sulla nuova edizione italiana, realizzata a partire dal manoscritto di Lampedusa, e non dal dattiloscritto utilizzato da Bassani — si scrisse ancora una volta del ruolo che aveva avuto lo scrittore ferrarese nella prima edizione dell’opera. Neppure il centenario della nascita, nel 2016, ha cambiato molto le cose.

«Affinità elettive»

43 È possibile trovare tracce di una ricezione ‘creativa’ dell’opera di Bassani nella letteratura tedesca? Abbiamo già visto che l’impiego poetico della memoria in Bassani ha potuto influire su Alfred Andersch, anche se la cosa resta per ora da dimostrare. Tra i numerosi autori di lingua tedesca che hanno collaborato a «Botteghe oscure» è difficile reperire qualcuno che sia stato in stretto contatto con Bassani o che, addirittura, si sia occupato della sua opera. Un’eccezione di rilievo è costituita da Hilde Domin, di cui tre poesie — Landschaft bei Cádiz [Paesaggio vicino a Cadice], Jenseits des Bergs [Al di là della montagna] e Osterwind [Vento di Pasqua] — sono state pubblicate sul numero XXV di «Botteghe oscure». Nel Deutsches Literaturarchiv a Marbach è conservata una lettera in italiano di Domin a Bassani, datata 5 giugno 1966, in cui, riferendosi a Cesare Cases, loro conoscenza comune, la scrittrice chiedeva se anche Bassani si sarebbe recato a New York al congresso internazionale del Pen, e se lo avesse potuto incontrare in quell’occasione. Domin accludeva, inoltre, il testo di una conferenza, scritta probabilmente in inglese, che nella sua lettera intitolava «La funzione della poesia nella società moderna». Si trattava probabilmente del testo di una conferenza che aveva tenuto nel 1964 in diverse università americane e che aveva pubblicato anche in versione tedesca presso il comune editore Piper di Monaco nel 1968, nel suo libro Wozu Lyrik heute. Dichtung und Leser in der gesteuerten Gesellschaft [Perché la lirica oggi? Poesia e lettori in una società manovrata] con il titolo Wozu Lyrik heute? Lyrik und Gesellschaft [Perché la lirica oggi? Lirica e società].

44 Ancor più importante, però, è una poesia allegata alla lettera. Domin la definisce «un poema che è un manifesto politico». Era stata pubblicata su «Die Zeit» il 20 maggio 1966. A Bassani la presenta come un appello contro un giornale neonazista, che solo lei avrebbe potuto scrivere. Era infatti l’unica poetessa a essere tornata in Germania dopo l’esilio, e incontrava ora molte difficoltà di ogni genere. Lo informava anche del fatto che aveva trovato un traduttore italiano per le sue poesie e che i primi esiti le parevano soddisfacenti. La poesia che gli mandava era un testo che nell’edizione di tutte le sue poesie, pubblicata nel 1987, porta il titolo Graue Zeiten [Tempi grigi]82, ma che nella redazione del 1966, destinata alla pubblicazione sul quotidiano, recava il titolo Deutsche National-Zeitung und Soldatenzeitung. Auflage etwa 94.000 [Quotidiano nazionale tedesco e Quotidiano dei soldati. Tiratura di circa 94 000 copie]. Un’altra ristampa della poesia, in un volume curato dalla stessa autrice, includeva la seguente nota esplicativa: «Scritta nella primavera del 1966 sotto l’impressione dell’improvvisa comparsa in tutte le edicole dei

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caratteri cubitali della “National-Zeitung” e delle statistiche allarmanti […] sull’aumento del radicalismo di destra nella Repubblica Federale Tedesca»83. È evidente che nel 1966 la Domin vedeva Bassani e Cesare Cases come istanze morali che dovevano essere informate di una reviviscenza dell’antisemitismo e del nazionalsocialismo in Germania.

45 Nella corrispondenza di Domin con Piper-Verlag conservata a Marbach si trova una sua traduzione della poesia di Bassani Le leggi razziali, che la poetessa aveva realizzato, non prima del 1982, basandosi sull’edizione delle poesie di Bassani pubblicata in quell’anno da Mondadori con il titolo In rima e senza. Finora non siamo riusciti a verificare se questa traduzione sia mai stata pubblicata. Non figura nell’edizione curata da Domin delle sue traduzioni poetiche, e la traduzione tedesca de Le leggi razziali, pubblicata da Piper-Verlag nell’edizione bilingue delle poesie di Bassani e realizzata da Michael Marschall von Bieberstein, è completamente diversa. La traduzione della Domin comincia così: Die Magnolie die genau in der Mitte des Gartens unseres Hauses in Ferrara steht, sie ist’s die wiederkehrt in fast allen meinen Büchern84.

46 La Domin, che nel 1932 si era trasferita in Italia con il marito per motivi di studio, non rientrò più in Germania dopo il 1933, e sarà in seguito costretta a lasciare anche l’Italia, nel 1938, per via delle leggi razziali. A posteriori, l’autrice ebbe modo di riflettere sul fatto che la sua permanenza in Italia non aveva influito sulla sua scrittura. In occasione della consegna del premio Rainer Maria Rilke per la lirica nel 1976, si rammentò dell’effetto che la lettura di Rilke aveva avuto su di lei quando era ancora in esilio, mentre la letteratura italiana non aveva lasciato alcuna traccia nella sua produzione letteraria: È strano che la letteratura italiana non abbia mai interferito, durante i sette anni del nostro soggiorno italiano, con l’amore per quella tedesca, e nemmeno la letteratura inglese, quando nel 1939 lasciammo l’Italia ed emigrammo in Inghilterra. Le cose andarono diversamente con la letteratura spagnola85.

47 Ciò che può essere vero per il periodo dell’esilio italiano, non vale più per il periodo successivo al rientro in Germania all’inizio degli anni 1960. Almeno Bassani divenne per Domin un importante punto di riferimento in Italia, se non altro per quanto riguarda le reazioni letterarie all’antisemitismo tedesco o italiano. Non è pertanto possibile concordare appieno con Nadia Centorbi quando scrive che per Domin, dal punto di vista retrospettivo della metà degli anni ’80, quando poté tornare a Roma con una borsa di studio di Villa Massimo, l’Italia era stata «quella seconda patria destinata a imprimersi nella memoria della poetessa nella sua ideale trasformazione, mai scalfita dall’esperienza del fascismo e dall’applicazione delle leggi razziali»86. Se Domin ha tradotto in tedesco, dopo il 1982, la poesia di Bassani sulle leggi razziali, è lecito supporre che tanto quella legislazione quanto la conseguente persecuzione degli Ebrei in Italia, che la poetessa aveva sperimentato in prima persona, dovevano essere molto presenti alla sua mente, e che Bassani fungeva da catalizzatore dei suoi ricordi.

48 Oltre che in Andersch e nella Domin, una ricezione ‘produttiva’ di Bassani in lingua tedesca si riscontra principalmente in W. G. Sebald. Di recente Ben Hutchinson ha potuto dimostrare che Sebald si era occupato intensamente delle opere di Bassani, avendo rinvenuto chiare tracce di lettura nelle copie dei testi di Bassani di proprietà dello scrittore conservati nel Deutsches Literaturarchiv di Marbach87. Come già per

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Andersch, così anche per Sebald pare opportuno parlare di ‘affinità elettive’ più che di ricezione diretta. Hutchinson prova in modo convincente che la lettura sebaldiana delle traduzioni tedesche di Bassani, e in particolare del volume curato da Eberhard Schmidt, dovette aver luogo alla fine del 199888. Si può tuttavia supporre che Sebald avesse letto già prima Il Giardino dei Finzi-Contini, dato che il campo da tennis abbandonato in un parco inselvatichito, dove il dott. Henry Selwyn accoglie il narratore nel racconto che dà il titolo alla raccolta Die Ausgewanderten [Gli emigrati], ricorda da vicino quello dei Finzi-Contini.

49 Un seguito al romanzo di Bassani, incentrato sulla protagonista femminile, è stato proposto da Waltraud Mittich nel racconto Micòl, uscito nel 2016, l’anno del centenario della nascita di Bassani89. L’idea di fondo, secondo cui Micòl sarebbe riuscita a salvarsi dal campo di concentramento e avrebbe condotto, nel periodo postbellico, una vita palpitante di donna emancipata in giro per il mondo, è talmente imbarazzante che risparmio al lettore le citazioni. In fondo non si tratta tanto di un omaggio a Bassani quanto di una lettura di autoimmedesimazione, dato che alla «narratrice», come è ripetuto più volte, interessa sempre «e soprattutto» la narratrice stessa, e Micòl le serve sopprattutto da schermo su cui proiettare una vita di donna emancipata, descritta con un tocco di kitsch.

50 A cent’anni dalla nascita e a diciassette dalla morte di Bassani si può dire, in conclusione, che nei paesi di lingua tedesca non c’è stata una ricezione veramente ‘produttiva’ della sua opera, e anche quei pochi autori ‘noti’ che si sono confrontati con lo scrittore ferrarese, lo hanno fatto, più che altro, per una sorta di ‘affinità elettiva’, perché s’interessavano a temi analoghi come la rappresentabilità in letteratura dei processi della memoria, e più raramente per una ricezione o appropriazione diretta — con l’unica eccezione della traduzione di Le leggi razziali di Hilde Domin. Ma se prendiamo come parametro le continue riedizioni delle sue opere, se non altro le più note, come Gli occhiali d’oro e Il Giardino dei Finzi-Contini, ci sembra di poter affermare che il pubblico di lingua tedesca ha dimostrato un interesse duraturo per le opere di Bassani. In occasione del ritrovamento del manoscritto originale del Giardino, che faceva parte del lascito di Teresa Foscari Foscolo, nell’aprile del 2016, Dirk Schümer ha indicato su «Die Welt» ciò che in Bassani ha chiaramente affascinato lettori e lettrici diversi fra loro come Andersch, Domin o Sebald e che continua ad affascinare i lettori di oggi: «Il segreto della grande letteratura non sta nell’immediatamente visibile, ma nel non-detto»90.

NOTE

1. L’articolo è stato tradotto dal tedesco da Roberta Martignon con la collaborazione di Francesco Bonelli, Giulia Cacciatore ed Enzo Neppi. 2. P. Prebys, Giorgio Bassani, vol. II: La memoria critica su Giorgio Bassani, [Roma], Portia Prebys, 2010. 3. Sto, Giorgio Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, «Landeskriminalblatt Niedersachsen», 4 giugno 1967, in P. Prebys, Giorgio Bassani, cit., p. 106 [no 1284 della bibliografia].

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4. Anon., Bücher von Kennern, «Norddeutsche Schlachter-Zeitung», 20 gennaio 1968 [no 1344 della bibliografia]. 5. G. Manganelli, Unschluss, trad. ted. di I. Schnebel-Kaschnitz, Berlin, Wagenbach, 1978. 6. Durante la sua residenza a Roma, presso Villa Massimo (1982-1985), Krüger conobbe personalmente Bassani. 7. M. Krüger, Der Regenstaat. Giorgio Manganellis satirischer Traktat „Unschluß“, «Die Zeit», 15 settembre 1978 (qui e nel seguito dell’articolo, sono nostre le traduzioni dal tedesco). 8. Un medico di Ferrara, solo nella seconda edizione del 1985 il titolo divenne più correttamente Die Brille mit dem Goldrand. 9. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, trad. ted. di H. Schlüter, München, Piper, 1963; G. Bassani, Ferrareser Geschichten, trad. ted. di H. Schlüter, München, Piper, 1964. 10. G. Bassani e M. Soldati, Venedig, Stadt auf 118 Inseln [Venezia, città dalle 188 isole], fotografie di G. Berengo-Gardin, trad. ted. di M. e J. Keller, Starnberg, Keller, 1965. 11. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, trad. ted. di Herbert Schlüter, Zürich, Buchklub Ex libris, 1965, e ivi, Stuttgart, Hamburg, Deutscher Bücherbund, 1965. 12. G. Bassani, Hinter der Tür, trad. ted. di Herbert Schlüter, München, Piper, 1967. 13. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, trad ted. di Herbert Schlüter, Frankfurt am Main, Hamburg, Fischer, 1967. 14. Sulla dibattuta questione se Andersch, nel 1944, disertò in Italia dalla Wehrmacht, come racconta nel suo testo Die Kirschen der Freiheit. Ein Bericht, o se fu catturato da soldati americani, cfr. J. Döring, F. Römer e R. Seubert, Alfred Andersch desertiert. Fahnenflucht und Literatur (1944– 1952), Berlin, Verbrecher Verlag, 2015. 15. Cfr. I. M. Battafarano, Vom Sinn des Erzählens. Andersch über Bassani, in M. Korolnik e A. Korolnik-Andersch (a cura di), Sansibar ist überall. Alfred Andersch. Seine Welt — in Texten, Bildern, Dokumenten, München, edition text+kritik, 2008, pp. 128-141; D. Scuto, Das römische Paradies, in Sansibar ist überall, cit., pp. 142-149. 16. Cfr. I. M. Battafarano, Vom Sinn des Erzählens, cit., pp. 139-140, e S. Reinhardt, Alfred Andersch. Eine Biographie, Zürich, Diogenes, 1990, p. 369. 17. Nel 1975 Volk und Welt pubblicò una seconda ristampa delle Ferrareser Geschichten. 18. G. Bassani, Der Geruch von Heu, trad. ted. di H. Schlüter, München, Zürich, Piper, 1974. 19. La vendita delle opere crebbe però continuamente, anche se non in maniera esponenziale. I Finzi-Contini uscirono nel 1975 per Piper in una quarta ristampa in circa 12 000 esemplari. 20. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, trad. ted. di H. Schlüter, con una postfazione di J. Meinert, Berlin, Volk und Welt, 1981. 21. E. Kanduth, Giorgio Bassanis Il giardino dei Finzi-Contini im Spiegel der Varianten, «Italienische Studien», no 6, 1983, pp. 105-123. 22. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, nuova ed., München, Zürich, Piper, 1984; G. Bassani, Ferrareser Geschichten, nuova edizione, München, Piper, 1985. 23. G. Bassani, In einem alten italienischen Garten. Gedichte, italienisch/deutsch [In un vecchio giardino italiano. Poesie, in edizione bilingue], scelte e tradotte da M. Marschall von Bieberstein, con una prefazione di H. W. Wittschier, München, Zürich, Piper, 1991. 24. G. Bassani, Erinnerungen des Herzens [Ricordi del cuore], con testi di G. Cattaneo, P. Ravenna ed E. Schmidt, a cura di E. Schmidt, München, Zürich, Piper, 1991. 25. Piper ha continuato a pubblicare i Finzi-Contini sotto la nuova direzione (1995, 1996, 1997, 2002, 2004). Edizioni dell’opera sono uscite anche presso gli editori Wagenbach (2000) e Manesse (2005). 26. Sull’opera di Bassani all’interno del programma editoriale di Piper Verlag, vedi E. Ziegler, 100 Jahre Piper. Die Geschichte eines Verlags, München, Zürich, 2004, pp. 255-264.

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27. Nel 2005 Die Gärten der Finzi-Contini, sempre nella stessa traduzione, uscì anche a Zurigo: G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, trad. ted. di H. Schlüter, postfazione di U. Stempel, Zürich, Manesse, 2005. 28. G. Bassani, Der Reiher, trad. ted di H. Schlüter, Berlin, Wagenbach, 2007. 29. G. Bassani, Hinter der Tür, trad. ted. di H. Schlüter, Berlin, Wagenbach, 2008. 30. G. Bassani, Die Passeggiata, in C. W. Macke (a cura di), Bologna und Emilia Romagna. Eine literarische Einladung [Un invito letterario], Berlin, Wagenbach, 2009, pp. 84-88 (si tratta di un brano de La passeggiata prima di cena). 31. Wagenbach non dà informazioni sul numero di copie stampate, ma Piper, con la quattordicesima ristampa dei Finzi-Contini (1995) raggiunse le 93 000 copie, e si può quindi ipotizzare che in totale, dal 1963 ad oggi, siano state vendute più di 100 000 copie del romanzo. Se si calcolano anche le copie vendute nella DDR, le cui case editrici stampavano per un pubblico di massa, è possibile stimare realisticamente un totale di 200 000 copie. 32. Da ricordare qui una serie di tesi universitarie su Bassani: R. Mader, „È bello raccontare i guai passati“? Konstanten einer „Literatur der Gezeichneten“ im Kontext des italienischen Faschismus am Beispiel dreier jüdischer Zeitzeugen: Primo Levi, Giorgio Bassani, Natalia Ginzburg, Diss. Phil., Freiburg im Breisgau, 1999; G. Waste, Jüdische Identität im Zeichen von Bildlichkeit und Erinnerung in Giorgio Bassanis Romanzo di Ferrara, Würzburg, Königshausen und Neumann, 2003; D. Gomille, Den Holocaust erzählen. Untersuchungen zum erinnernden Schreiben in Giorgio Bassanis Romanzo di Ferrara, Diss. Phil., Freiburg im Breisgau, 2011; I. von Treskow, Judenverfolgung in Italien (1938–1945) in Romanen von Marta Ottolenghi Minerbi, Giorgio Bassani, Francesco Burdin und Elsa Morante, Wiesbaden, Harrassowitz, 2013. 33. Cfr. H. C. Kennedy, The Ideal Gay Man. The Story of “Der Kreis”, New York, Haworth Press, 1999; una versione digitalizzata della rivista è accessibile sul sito della biblioteca universitaria dell’ETH Zürich, cfr. . 34. C. Helder, Giorgio Bassani: Ein Arzt aus Ferrara, «Der Kreis. Le Cercle. The Circle», vol. 28, no 12, 1960, pp. 7-8. 35. Ivi, p. 8. 36. Ibid. 37. F. Tumler, Vereinsamung, «Zeitwende. Die neue Furche», vol. 32, 1961, pp. 558-559. 38. Ibid. 39. G. Tomasi di Lampedusa, Der Leopard, trad. ted. di C. Birnbaum, München, Piper, 1959. 40. G. Tomasi di Lampedusa, Die Sirene und andere Erzählungen [Le sirene e altri racconti], trad. ted. di C. Birnbaum, postfazione di G. Bassani, München, Piper, 1961. 41. Cfr. Botteghe oscure. Index 1949–1960, compiled by several hands, with an introduction by Archibald MacLeish, including an index to “Commerce” (1924–1932), Middletown (Connecticut), Wesleyan University Press, 1964, pp. 74-79. 42. Di Bachmann uscirono sul quaderno XIV (1954) Lieder von einer Insel e Nebelland, nel quaderno XIX (1957) Hôtel de la Paix, Nach dieser Sintflut, Liebe: Dunkler Erdteil, Exil e Mirjam; di Celan nel 1956 nel quaderno XVII Vor einer Kerze. Per il numero comune del 1958 (quaderno XXI), Nelly Sachs scrisse otto poesie e portò sei poesie di Walter Höllerer, una di Günter Grass, sei di Hans Magnus Enzensberger e una traduzione di Celan del Bateau ivre di Rimbaud. Nella corrispondenza degli autori non si tratta di Bassani quanto dell’editrice Marguerite Caetani, cfr. Herzzeit. Ingeborg Bachmann-Paul Celan. Der Briefwechsel, con la corrispondenza fra P. Celan e M. Frisch, fra I. Bachmann e G. Celan-Lestrange, a cura di B. Badiou, H. Höller, A. Stoll e B. Wiedemann, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2008, lettere del 9 novembre 1957, del 14 novembre 1957 e del 16 novembre 1957, nonché le note alle pp. 281-282. 43. M. von Zitzewitz, Ein Krampf um Rom [Un crampo per Roma], «Die Zeit», 24 agosto 1962. Il titolo dell’articolo è un rimando parodico al romanzo di Felix Dahn, Ein Kampf um Rom [Una battaglia per Roma] (1876), che racconta la caduta degli Ostrogoti nella tarda antichità, e che era ancora noto

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intorno al 1960, come mostra anche l’omonimo film con Orson Welles (regia di Robert Siodmak, 1968). 44. Anon., Giorgio Bassani: Die Gärten der Finzi-Contini, «Der Spiegel», 25 dicembre 1963, p. 105. 45. Die Stimme des Buchhandels, «Die Zeit», 11 ottobre 1963. 46. Ibid. 47. A. Silenius, Die Erinnerung der „verlorenen Zeit“, «Tribüne. Zeitschrift zum Verständnis des Judentums», vol. II, no 8, 1963, pp. 871-874. 48. W. Grözinger, Die Gefahr der großen Stoffe, «Hochland», vol. LVI, no 2, dicembre 1963, pp. 169-178, cit. da W. Grözinger, Panorama des internationalen Gegenwartsromans. Gesammelte „Hochland“-Kritiken 1952–1965, ed. a cura di E. Rotermund e H. Ehrke-Rotermund, Paderborn, Schöningh, 2004, p. 411. 49. Ivi, p. 412. 50. Anon., Giorgio Bassani: Ferrareser Geschichten, «Der Spiegel», 16 dicembre 1964. 51. Ibid. 52. G. Bassani, Hinter der Tür, aus dem Italienischen von H. Schlüter, München, Piper, 1967. 53. G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, aus dem Italienischen von H. Schlüter, Frankfurt am Main, Hamburg, Fischer, 1967. 54. I. M. Battafarano, Vom Sinn des Erzählens, cit., pp. 139-140. 55. Ivi, p. 129. 56. Ivi, p. 137. 57. Kulturpreis der Stadt Dortmund, Nelly-Sachs-Preis 1969, Giorgio Bassani oder vom Sinn des Erzählens, Laudatio Alfred Andersch, Kulturamt der Stadt Dortmund, 1969, p. 3 58. A. Andersch, Auf den Spuren der Finzi-Contini [Sulle tracce dei Finzi-Contini], «Merkur», vol. XXI, no 10, 1967, pp. 943-955, ora in Id., Essayistische Schriften 3, Gesammelte Werke in zehn Bänden, edizione commentata a cura di D. Lamping, vol. 10, Zürich, Diogenes, 2004, pp. 71-89. 59. Nelly Sachs a Alfred Andersch, Stoccolma, 7 maggio 1968, in R. Dinesen e H. Müssener (a cura di), Briefe der Nelly Sachs, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1985, p. 317. 60. G. Bassani, Dank [Ringraziamento], in Giorgio Bassani. Ansprachen und Dokumente zur Verleihung des Kulturpreises der Stadt Dortmund Nelly-Sachs-Preis am 7. Dezember 1969, Dortmund, Mitteilungen aus dem Literaturarchiv, 1971, p. 31. 61. Ibid. 62. Ivi, p. 29: «Non conoscendo abbastanza bene il tedesco, non ho capito tutto ciò che Lei ha appena detto. Mi è parso tuttavia che il suo discorso di oggi non si sia allontanato di molto da ciò che Lei ha scritto nel saggio pubblicato in Merkur nel 1967 e in Écriture quest’anno». 63. V. Kammandel, Die produktive Rezeption zeitgenössischer italienischer Erzähler in der westdeutschen Nachkriegsliteratur. Studien zum Werk von Alfred Andersch und Hans Erich Nossack, Heidelberg, Winter, 2012, pp. 152-153. 64. Kulturpreis der Stadt Dortmund, Nelly-Sachs-Preis 1969, Giorgio Bassani oder vom Sinn des Erzählens, cit., p. 11. 65. J. Améry, Lettera a A. Andersch, Bruxelles, 19 luglio 1972, in J. Améry, Werke, vol. 8: Ausgewählte Briefe 1945-1978, a cura di Gerhard Scheit, Stuttgart, Klett-Cotta, 2007, p. 401. 66. T. Kienlechner, Ausflug zum Tod. Giorgio Bassanis «Der Reiher», «Die Zeit», 1 maggio 1970. 67. J. Meinert, Nachwort, in G. Bassani, Die Gärten der Finzi-Contini, Berlin, Verlag Volk und Welt, 1970, p. 325. 68. Ivi, p. 326-327. 69. Ivi, p. 328. 70. Meinert afferma che questa intervista era stata rilasciata alla rivista Il Ponte nel 1960 ma per ora non siamo riusciti a trovarne traccia, né sul Ponte né in altra sede. 71. J. Meinert, Nachwort, cit., p. 328.

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72. Vedi E. Schmidt, Auf den Spuren der Finzi-Contini. Ein Gang durch Giorgio Bassanis Ferrara — heute, in G. Bassani, Erinnerungen des Herzens, cit., p. 134, che a sua volta cita le parole di Bassani, ma senza indicarne la fonte. I segni lasciati da Sebald nella sua copia di questo volume sono state esaminate da B. Hutchinson in Erzähltechnik II: „Der Erzähler als Schutzengel“. Sebalds Lektüre von Giorgio Bassani, in B. Hutchinson, W. G. Sebald. Die dialektische Imagination, Berlin, De Gruyter, 2009, pp. 57-76. Il passo citato si trova a p. 61. 73. J. Meinert, Nachwort, cit., p. 335. 74. Ivi, p. 342. 75. R. Sanders, Das kleine Universum Ferrara, «Die Zeit», 21 novembre 1974. 76. R. Sanders, Das kleine Universum Ferrara, cit. 77. G. Ammann, Ein Wahlverwandter Marcel Prousts, Mutmassungen über das lange Schweigen von Giorgio Bassani [Affinità elettive con Marcel Proust. Congetture sul lungo silenzio di Giorgio Bassani], «Orte. Schweizer Literaturzeitschrift», no XXXI, 1980, pp. 13-17 (il passo citato è a p. 13). 78. Ivi, p. 17. 79. G. Seibt, Der Kuß. Ein Abend bei dem Schriftsteller Giorgio Bassani, «Frankfurter Allgemeine Zeitung», 2 febbraio 1995, p. 29. 80. Ibid. 81. G. Tomasi di Lampedusa, Der Gattopardo: Roman, trad. tedesca di G. Waeckerlin Induni, München, Piper, 2004. 82. H. Domin, Gesammelte Gedichte, Frankfurt am Main, Fischer, 1987, pp. 340-344. 83. H. Domin (a cura di), Nachkrieg und Unfrieden. Gedichte als Index 1945-1970 [Periodo postbellico e discordia. Poesie come indice 1945-1970], Neuwied, Luchterhand, 1970, p. 93. 84. H. Domin, Die Rassengesetze, Deutsches Literaturarchiv Marbach, Domin, Hilde, R. Piper du Co., München, 1980-1989, HS.2007.0002. Così invece l’incipit della traduzione di Michael Marschall von Bieberstein: «Die Magnolie wächst genau in der Mitte des Gartens / unseres Hauses in Ferrara und eben sie ist es auch / die in fast allen meinen Büchern / wiederkehrt» (G. Bassani, Erinnerungen des Herzens, cit., p. 53). 85. H. Domin, Ins Exil mit Goethe, Heine, Rilke, Joyce. Dankrede bei der Entgegennahme des Rainer Maria Rilke-Preises für Lyrik 1976, in H. Domin, Aber die Hoffnung. Autobiographisches aus und über Deutschland, Frankfurt am Main, Fischer, 1993 (Piper, 1982), pp. 144-148, cit. a p. 145. Trad. italiana in N. Centorbi, «Mit der Antike, mit der Renaissance und dem Barock, aber nicht mit Mussolini und der Gegenwart». Riflessioni dall’esilio italiano di Hilde Domin, in A. Schininà e M. Bonifazio (a cura di), Un luogo per spiriti più liberi. Italia, Italiani ed esiliati tedeschi, Roma, Artemide, 2014, pp. 65-92, cit. a p. 90. 86. N. Centorbi, ivi, p. 92. 87. B. Hutchinson, Erzähltechnik II, cit. 88. Ivi, pp. 58-59. 89. W. Mittich, Micòl, Innsbruck, Laurin, 2016. 90. D. Schümer, Das letzte Geheimnis der Finzi-Contini, «Die Welt», 27 aprile 2016.

RIASSUNTI

Nei paesi di lingua tedesca, Giorgio Bassani è uno degli autori italiani più letti del XX secolo. Benché la sua opera sia stata ampiamente recepita e commentata, e sia ancora in gran parte

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disponibile sul mercato librario, sono pochi gli scrittori di lingua tedesca (Andersch, Domin, Sebald), che si confrontano con i testi di Bassani in modo ‘produttivo’. Questo saggio cerca di ricostruire sia le diverse fasi della ricezione critica di Bassani, sia le tracce di un confronto artistico e creativo con la sua opera.

Giorgio Bassani zählt im deutschsprachigen Raum zu den am meisten gelesenen italienischen Autoren des 20. Jahrhunderts. Obwohl sein Werk in der Öffentlichkeit breit rezipiert und kommentiert wurde und bis heute fast vollständig im Buchhandel verfügbar ist, finden sich nur wenige deutschsprachige Autoren (Andersch, Domin, Sebald), die sich produktiv auf Bassanis Texte beziehen. Der Essay versucht, sowohl die Phasen der Rezeption als auch die Spuren produktiven Umgangs mit Bassanis Werk nachzuzeichnen.

Dans les pays d’expression allemande, Giorgio Bassani est l’un des auteurs italiens les plus lus du XXe siècle. Son œuvre a été largement accueille et commentée dans la presse et dans les milieux culturels et elle est encore très présente sur le marché libraire. Néanmoins, peu d’écrivains d’expression allemande (Andersch, Domin, Sebald) se sont rapportés de manière productive aux textes de Bassani. Cet essai tente de reconstruire aussi bien les différentes phases de la réception critique de Bassani, que les traces d’un dialogue poétique avec son œuvre.

INDICE

Parole chiave : ricezione tedesca, memoria, traduzione, leggi razziali, nazionalsocialismo, Nelly Sachs, Hilde Domin, esilio, Alfred Andersch, W. G. Sebald, Jean Améry, Marcel Proust Schlüsselwörter : deutschsprachige Rezeption, Erinnerung, Rassengesetze, Nationalsozialismus, Nelly Sachs, Hilde Domin, Exil, Alfred Andersch, W. G. Sebald, Jean Améry, Marcel Proust Mots-clés : réception allemande, mémoire, traduction, lois raciales, Nelly Sachs, Hilde Domin, Alfred Andersch, W. G. Sebald, Jean Améry

AUTORE

OLAF MÜLLER Philipps Universität Marburg

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Scrittori e critici dialogano con Bassani

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«La città sepolta sotto la neve». Narrazione e lirica nel carteggio Bassani-Varese « La città sepolta sotto la neve ». Narration et poésie dans la correspondance Bassani-Varese “La città sepolta sotto la neve”. Narration and Lyric in the Correspondence Bassani-Varese

Lucia Bachelet

Un dialogo «più che ventennale»1

1 Quale sia stato il ruolo di Claudio Varese nella formazione di Giorgio Bassani è facile intuirlo dalla dichiarazione che l’autore ferrarese fa nel 1980 definendo il critico sassarese suo «padre spirituale, che non posso non ringraziare […] di essere esistito, e di esistere»2. Questa è la chiosa a una lunga e duratura amicizia nata nel 1936, anno in cui il sassarese arriva a Ferrara, insieme ai cagliaritani Giuseppe Dessì e Mario Pinna, lui e gli altri professori di prima nomina provenienti dalla Normale di Pisa. La prima impressione su Bassani si può leggere in una lettera di Varese inviata a Dessì il 26 settembre di quell’anno: C’è qui [a Ferrara] un giovane ricco-borghese ferrarese ebreo studente di lettere scrittore di novelle e abbastanza intelligente, che si è acceso del tuo Ritorno a San Silvano: e dopo averlo letto è piombato di nuovo a casa a richiedermelo3.

2 Nonostante l’apparente freddezza o quantomeno il distacco iniziale, fra i professori sardi e Bassani si crea ben presto un sodalizio sia letterario, nel nome di Benedetto Croce, sia politico: saranno infatti i normalisti, come è noto, a instradarlo verso posizioni antifasciste4. Nel 1938 la compagnia (che comprende anche il fratello di Giuseppe, Franco Dessì) si può dire formata e il legame fra i cinque è sancito da un racconto bassaniano pubblicato in quell’anno e significativamente intitolato Omaggio.

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Nel ritratto di se stesso e degli amici tratteggiato dall’autore, Claudio Varese è dipinto come un vecchio saggio: Quegli che tra i cinque pareva il più anziano, anzi addirittura l’«antico» […]; costui veniva effettivamente secondo, per età. Di statura superiore alla media, il più alto, esercitando sopra tutto quanto lo circondava come anche su se stesso una sottile e sorridente ironia, pareva che si sforzasse di dominare il meglio che poteva il violento imperio delle passioni in braccio alle quali i suoi quattro amici solevano abbandonarsi5.

3 La stima di Bassani per l’amico, più grande di qualche anno, è una costante nel rapporto fra i due, come dimostra l’ampio carteggio recentemente ricostituito6. La corrispondenza Bassani-Varese, o almeno quella che è arrivata fino a noi, consta di 191 pezzi e comprende l’arco cronologico che va dal gennaio del 1946, quando Bassani si è trasferito a Roma e la guerra si è ormai conclusa, al dicembre del 1973. Al centro di questo arco temporale si collocano le numerose recensioni di Varese (1954-1962), accolte nella rubrica Scrittori d’oggi della «Nuova Antologia», a buona parte delle opere bassaniane7. Prima di tentare una doppia lettura dell’abbondante materiale a disposizione, combinando le opinioni critiche presenti nella corrispondenza con quelle contenute nelle recensioni, forniremo qualche dato utile sul carteggio che, per la sua vastità, non si potrà percorrere integralmente.

4 Lo scambio avvenuto fra i due intellettuali, ricostruito dall’Archivio degli eredi Bassani e da quello dei Varese, è costituito da un corpus, come si è detto, di 191 pezzi, fra lettere, cartoline e telegrammi, suddiviso in 145 pezzi di mano di Varese e 46 di Bassani. Essi sono distribuiti nel tempo in modo asimmetrico8, riassumibile in un’ideale distinzione in tre periodi: gli anni ’40 di cui si hanno a disposizione pressoché soltanto lettere di Varese (69 vs 2), gli anni ’60-70 con quasi unicamente lettere di Bassani (3 vs 20) e una zona centrale costituita dagli anni ’50 in cui è possibile ricomporre un’effettiva corrispondenza, un effettivo dialogo (62 vs 22). Benché il notevole sfasamento temporale lasci supporre che molti pezzi siano andati perduti, la disparità numerica fra i due fondi non deve stupire. La si ritrova, infatti, anche in altri carteggi, dal cui confronto si è potuto dedurre che da un lato Bassani era più accurato dei suoi corrispondenti nella conservazione delle carte, e che, dall’altro, semplicemente, scriveva meno e meno spesso9. A più missive di Varese, infatti, Bassani risponde di solito con una lunga e ragionata lettera, in cui si scusa del suo silenzio e affronta le questioni aperte dall’amico10.

5 Nello scambio epistolare fra il poeta ferrarese e il critico sardo si intrecciano vari argomenti e toni, più fili che fanno capo a tre tematiche principali11: quella privata, il racconto delle vicende biografiche, contraddistinto da un’intonazione intima e amichevole; quella letteraria, che racchiude le vicende degli scrittori contemporanei, le loro pubblicazioni e i premi ricevuti, riguardo ai quali i due intellettuali si scambiano impressioni e opinioni; e l’ultima, più interessante da approfondire, il cui oggetto è la formazione e l’interpretazione dell’opera bassaniana. Se da un lato si può seguire la voce di Bassani che racconta il suo lavoro di scrittore, la creazione e l’evoluzione delle sue fatiche letterarie, dall’altro si può ascoltare quella di Varese che legge, da amico e critico, le opere del ferrarese, spesso allo stadio di bozze, prima ancora che vengano pubblicate, e risponde con giudizi e consigli.

6 Ma in realtà queste due voci sono indissociabili perché dialogano fra di loro in continuazione e quindi, in questo articolo, le studieremo in parallelo, in una sorta di doppia lettura, cercando di approfondire le modalità secondo cui interagiscono. Il

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periodo di interesse sarà quello degli anni ’50 (unico decennio, come abbiamo visto, in cui è documentata una reale corrispondenza fra i due), che coincide, non a caso, con uno dei segmenti più interessanti della biografia bassaniana, quello dell’esperienza di redattore e della composizione delle prime opere. Tale scelta permetterà di entrare nell’‘officina poetica’ di Bassani e venire a conoscenza di modelli, progetti e ripensamenti finora poco o per nulla noti; e consentirà, parallelamente, una lettura comparata fra il carteggio e le recensioni che proprio in quel decennio Varese inizia a pubblicare, e che ora, alla luce dello scambio epistolare, potranno dire qualcosa di nuovo sulla ricezione varesiana di Giorgio Bassani.

Nascita di uno scrittore joyciano. La genesi de «Gli ultimi anni di Clelia Trotti»

7 Sebbene quasi tutti i racconti e i romanzi bassaniani degli anni ’50 siano in vario modo citati e analizzati nel carteggio, il caso de Gli ultimi anni di Clelia Trotti dimostra efficacemente il ruolo paradigmatico della corrispondenza Bassani-Varese, la doppia interpretazione di cui si accennava nel paragrafo precedente: solamente per la quarta storia ferrarese, infatti, è possibile assistere all’intero iter compositivo, interpretativo e recensorio, facendo parlare le carte — quasi — da sole. Percorreremo, dunque, il carteggio e le recensioni lungo gli anni 1953-1955, periodo in cui si possono mettere a fuoco con chiarezza le tre fasi del racconto (composizione; interpretazione; critica), attingendo, di tanto in tanto, a episodi precedenti o successivi.

1953. Composizione

8 Conclusa Una lapide in Via Mazzini, letta e approvata da Varese, poi pubblicata su «Botteghe oscure» nell’ottobre del 1952 e prossima ad essere accolta nella silloge La passeggiata prima di cena (aprile 1953) 12, Bassani dà il via a un «racconto nuovo», annunciato in una missiva a Varese del 3 gennaio 1953: Sto lavorando — ma sono ancora all’inizio — a un racconto nuovo. Se riuscissi a impostare il primo capitolo entro l’inverno, potrei pensare di finirlo quest’estate. Ma gli inizi, come al solito, sono spaventosamente difficili13.

9 Come indica una successiva lettera del 29 luglio, Bassani non riuscirà, però, a rispettare il termine dell’estate: Sto scrivendo con grande fatica, in mezzo al lavoro cinematografico e al resto, un quarto racconto: quello dell’Alda Costa. Spero, in montagna, di portarlo avanti. Se riuscissi a finirlo prima dell’inverno, potrei dire di non aver buttato via il ’5314.

10 Questa volta Bassani mantiene i suoi propositi e non «butt[erà] via» il 1953. Nell’autunno di quell’anno, infatti, la prima parte del racconto è pronta: durante un viaggio a Ferrara, l’autore ne propone la lettura all’amico («Quando venni in ottobre a leggerti il primo capitolo e una piccola parte del secondo»)15. Il resto deve essere stato composto più tardi, fra i mesi di novembre e dicembre, se nel gennaio del 1954 Bassani scrive a Varese: In quest’ultimo mese sono stato talmente preso da I funerali di Clelia Trotti, finiti ieri, se Dio vuole, che sono vissuto — come diceva Pasquali — come dentro un tubo, senza la possibilità, letteralmente, di occuparmi di niente altro. Il racconto è venuto alquanto più lungo dei precedenti (una cinquantina di pagine) e ho l’impressione che sia buono. Ora lo copierò. Poi spero di rinnovare il rito, a casa tua, della lettura

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davanti a te, Carmen, Nino e Giovannelli, come per Geo Josz, ricordi? Se non potrò muovermi, te lo manderò16.

11 Il ferrarese non riuscirà, però, a fare ritorno nella città natale e a «rinnovare il rito»; si dovrà accontentare di spedire il dattiloscritto e di aspettare una risposta — per nostra fortuna cartacea.

Febbraio 1954. Interpretazione

12 La risposta di Varese non tarda ad arrivare: l’11 febbraio 1954 il critico invia una lunga lettera vergata fronte-retro — che riporteremo, per brani, quasi integralmente — e in cui propone una chiave di lettura della nuova storia ferrarese: Caro Giorgio, Ho letto subito la tua Clelia Trotti; ed è stata una lettura doppia: insomma una linea ferrarese-cronachistica, un gusto di rivedere sulla scena, sia pure tracciate e deformate dall’arte, le persone che nell’apparenza quotidiana della vita apparivano o appaiono tra Corso Giovecca e Fondo Banchetto non può non accompagnarci nella lettura. Ma una seconda lettura mi ha reso più interessante la pagina — oltre la cronaca —: il nucleo del racconto, il passaggio da Bottecchiari a Rovigatti, alla signora Codecà sino alla Trotti, il giungere a poco a poco alla conoscenza della Clelia mi pare tra le cose migliori di quell’arte intuizione della realtà, di cui parlavo nel mio articolo17.

13 Dunque, da un lato, il realismo della rappresentazione di Ferrara (ancora F*) e dei suoi variegati abitanti che percorrono le vie della città, fra il corso principale e via Fondo Banchetto, la via della maestra Clelia Trotti. Dall’altro, l’arte del lento avvicinamento, per fasi, al nucleo del racconto, alla protagonista della storia: solo nel terzo capitolo il lettore ne fa la conoscenza diretta, solo dopo aver assistito al funerale, aver ascoltato i vaghi accenni di Bottecchiari, i racconti del ciabattino Rovigatti e i dinieghi della signora Codecà. Varese definisce questa arte una «intuizione della realtà» di cui egli ha già parlato «nel suo articolo», ossia nella recensione alla raccolta La passeggiata prima di cena pubblicata in quello stesso febbraio del 1954. In quella occasione, la prima recensione a Bassani, il critico aveva messo a punto una linea interpretativa della narrativa bassaniana che sarebbe rimasta una cifra stilistica della critica futura, «il criterio» come scrive lui stesso «per guardare a quanto Bassani sinora ha scritto e a quanto ancora scriverà»18. Ne citiamo un estratto: In Bassani questa ricerca di indagine morale, questo interesse vivo per la realtà, questa rinuncia all’evasione e al lirismo solitario che abbiamo visto caratteristica di molti scrittori contemporanei, e in particolare di questo gruppo di scrittori, si risolve in tono poetico. Il racconto matura in lui con un’esigenza intima e la conoscenza del mondo che esso ci prospetta diventa a un certo punto necessariamente conoscenza lirica e intuitiva, con uno scioglimento e una soluzione più completa di quello che non avvenisse in Rigoni, nella Ortese e nel La Cava e nello stesso primo Pavese. Bassani ha un interesse diretto e vivo per le cose del suo tempo, ma il suo interesse, le sue preoccupazioni civili, i ricordi politici, maturano nella cultura e nel giudizio storico e, in questa maturazione, si trasformano in fantasia19.

14 Nella prospettiva varesiana, Bassani ha come obiettivo principe l’analisi, l’interpretazione della realtà. A questo fine, però, lo scrittore utilizza strumenti originali rispetto ai suoi contemporanei: egli rinuncia sia al «lirismo solitario» di molti scrittori del suo tempo (i riferimenti sono a Notte di festa di Pavese, I caratteri di La Cava, Il sergente nella neve di Rigoni Stern e Il mare non bagna Napoli di Ortese, le cui recensioni,

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sempre a cura di Varese, precedono quella alla Passeggiata), sia alla pura cronaca: «Non direi perciò […] che il suo ultimo racconto, Una lapide in Via Mazzini, sia ancora e troppo mescolato di realtà»20, scrive più avanti il critico21. La novità di Bassani consiste, dunque, nel risolvere «in tono poetico» la realtà degli anni del fascismo, nell’adoperare una «conoscenza lirica e intuitiva» che gli permette di raccontare i fatti avvenuti tramutandoli in un’opera d’arte. Varese è riuscito a cogliere, già nelle prime tre storie ferraresi, la capacità dell’autore di far intuire la realtà, quell’arte che ritrova più tardi anche in Clelia Trotti e a cui si richiama nella lettera che abbiamo iniziato a leggere.

15 Se, nel complesso, la lettura del quarto racconto ha suscitato l’approvazione del critico e il richiamo a una poetica dell’intuizione, d’altra parte rimane in lui qualche riserva sul finale della storia. La lettera dell’11 febbraio prosegue: Ma lo stesso autore mi ha letto una storia e mi ha parlato di una conclusione che qui non ho trovato. Mi pare insomma che soprattutto nella fine tu mi avessi detto di voler insistere su qualcosa di molto diverso, vitalistico, sensuale, contrapposto alla vita e alla morte di Clelia. Anche così il racconto comincia e finisce bene; ma quello che tu mi dicevi quel pomeriggio — mi pare di ottobre — potrebbe far pensare che tu potessi approfondire la fine. Bada, penso al programma del tuo racconto, e alla fine della quale mi parlavi: cioè alla separazione del giovane Lattes dal mondo di Clelia Trotti. È stato un peccato che tu non abbia avuto il tempo di leggere tutto il lavoro (a parte la nostra ammirazione per la tua arte da lettore-interprete); avremmo discusso subito questo punto. Se puoi, scrivimene22.

16 Varese, dopo aver ascoltato i primi due capitoli nel mese di ottobre, si aspettava evidentemente una conclusione diversa e, sapendo di poter influire sulle scelte dell’autore, si dispiace di non essere potuto intervenire prima. Bassani gli aveva parlato di una conclusione vitalistica, di una separazione di Bruno dal vecchio mondo socialista di Clelia Trotti e da un antifascismo con cui non era riuscito a fraternizzare. Varese immaginava, forse, una partecipazione nuova e originale di Bruno alla lotta politica, quella che Bassani aveva vissuto in quegli stessi anni impegnandosi con il Partito d’Azione.

17 Due giorni dopo, il 13 febbraio 1954, arriva la risposta di Bassani: due pagine fittamente dattiloscritte, che meritano di essere analizzate passo per passo. Carissimo Claudio, Grazie della lettera che attendevo con ansia. È vero, il programma era un po’ diverso, ma poi, scrivendo, la storia mi si è mutata nelle mani. Il fatto è che, quando venni in ottobre a leggerti il primo capitolo e una piccola parte del secondo, tutto mi era abbastanza chiaro, ma non il carattere di Bruno Lattes. Lo vedevo ancora — trascinato dal pezzo autobiografico del Ciabattino che avevo scritto per la radio — come una specie di autoritratto. Soltanto andando avanti, mi sono reso conto che per rendere più credibile l’identificazione di F* col ghetto della fine del III capitolo — la svolta decisiva del racconto — dovevo farlo più giovane, più fragile di quanto, forse, io non sia stato in quegli anni23.

18 Per capire come e perché Bassani abbia voluto modificare il carattere di Bruno, e di conseguenza il finale del racconto, è necessario fare un passo indietro al «pezzo autobiografico del Ciabattino». Il 9 settembre 1951 Bassani aveva chiesto a Varese: M’hai sentito ieri sera alla radio? Ho scritto una specie di racconto su commissione, sui ciabattini di Ferrara: e questo lavoretto mi ha ridato un po’ di fiducia. Ho abbozzato il personaggio di un ciabattino che effettivamente stava nella piazza di S. Maria in Vado: ed ora, da qualche giorno, lo sento talmente vivere in me che vorrei mettermi subito a dargli uno sfondo più ampio, raccontando gli anni 1939-43, e la mia esperienza politica24.

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19 Il giorno precedente Bassani aveva letto alla radio, per il programma della RAI Scrittori al microfono. Arti e mestieri, un racconto — in prima persona — intitolato Lavoro da ciabattino25. Che il racconto, pubblicato due mesi più tardi sul «Giornale» con il titolo Il signor Rovigatti, sarebbe stato rielaborato e utilizzato per Clelia Trotti è un fatto già noto26; non altrettanto noto, però, è il tipo di legame fra i due racconti, il fatto che il Ciabattino contenesse in nuce l’idea di un racconto più lungo sull’esperienza politica negli anni della guerra, ossia l’idea originaria di Clelia Trotti. L’iniziale taglio autobiografico della quarta storia ferrarese sembra confermato dalla scelta del nome Bruno per il protagonista: Bruno Ruffo, infatti, è la falsa identità che Giorgio Bassani ha assunto dal 1943 alla fine della guerra per sfuggire alle persecuzioni27.

20 Dopo aver scritto i primi capitoli di Clelia Trotti, però, Bassani rifiuta l’identificazione con Bruno per ragioni che spiega nelle righe successive della lettera: Se avessi fatto di Bruno un tipo più responsabile, quello che Clelia Trotti, nel suo vaneggiamento patetico, sognava che egli fosse, l’avrei dovuto fare assai più corazzato contro i rimpianti dei flirts borghesi, per es., spostando in tutt’altro senso l’impianto generale del racconto. L’inattualità patetica di Clelia Trotti sta anche in questo: nel non riconoscere in Bruno — lei, temperamento romantico, ottocentesco, flaubertiano, per intenderci — un tipico figlio del novecento, un infantilmente imbronciato piccolo decadente. D’altra parte, toccato il fondo della situazione con l’immagine della città sepolta sotto la neve, al termine del capitolo III, non ti pare che ogni sviluppo successivo, nel senso della partecipazione attiva di Bruno alla lotta clandestina, fosse già scontato, bruciato28?

21 Per ragioni narrative, di struttura e funzionalità della storia, Bassani rinuncia, infine, a quella «specie di autoritratto» da cui il racconto era nato: perché l’opposizione costitutiva della narrazione tra il romanticismo di Clelia e il decadentismo di Bruno funzioni, il secondo non può reagire agli eventi della Storia, ma deve rimanere un mediocre e anonimo sconfitto. Non si spiegherebbero altrimenti i «rimpianti dei flirts borghesi», ossia l’invidia di Bruno verso le due coppie di giovani ariani, i primi in Vespa, i secondi in bici, che aprono e chiudono il racconto nella piazza della Certosa e che entrambe le volte distraggono Bruno dalla figura di Clelia, che si tratti del suo funerale o di lei in persona. E si sarebbe dovuta modificare la fine del terzo capitolo, il momento in cui, «con l’immagine della città sepolta sotto la neve», Bruno capisce definitivamente che non c’è possibilità di evasione: Non c’era che una via: quella che portava tutti, nessuno escluso, incontro a un futuro che a nessuno era più dato di poter scegliere. E allora, se la tagliola era ormai scattata, allora tanto valeva continuare così, partecipando volenterosamente, non fosse altro che per pietà di sé e di loro, ai sogni da carcerati — ai giochi solitari, ai disperati passatempi a cui ognuno per conto suo si abbandonava nella solitudine della sua cella — dei propri compagni di viaggio29.

22 Modificato il carattere di Bruno, anche il finale non poteva più essere quello che Bassani aveva prospettato in ottobre. La lettera del 13 febbraio continua: Da ultimo, anche il progetto finale vitalistico, sensuale, mi è sembrato improvvisamente inutile, poco originale, e, soprattutto, troppo facile. Un’evasione di quel tipo, avrebbe fatto di Bruno un personaggio diverso, un intellettuale, un artista, proponendolo, alla fine, in primo piano, a suo modo vincitore della pauvre Clelia. Mentre è bene che, anche per lui, il prezzo della sopravvivenza sia, in fondo, la mediocrità, quasi l’anonimità, qualcosa di simile alla conservazione «in cera», all’efficienza da manichini, che è toccata a tutti gli altri presenti ai funerali della vecchia socialista30.

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23 La conclusione del racconto è quella che leggiamo noi oggi (con qualche modifica apportata nell’edizione del 1956)31: Bruno abbandona la lotta antifascista e parte per l’America, ma di ritorno nell’autunno del 1946 a Ferrara, nel «vecchio piccolo mondo», gli accade di assistere al funerale di Clelia Trotti dove tutti i partecipanti, e a questo punto anche Bruno stesso, sembrano fissati «in cera»32.

24 Lo scambio epistolare scaturito dall’invio delle bozze di Clelia Trotti si conclude, invece, in bellezza, con una cartolina di Varese: Caro Giorgio, Grazie della tua lettera, chiarificatrice: la fine vitalistica, non persuadeva molto neanche me, a ripensarci: le tue ragioni sono persuasive33.

25 Le domande e le critiche di Varese, soddisfatte con dovizia di particolari, hanno sollecitato, come si è visto, una vera e propria auto-interpretazione: è soltanto grazie al dialogo con lui che Bassani riesce a esplicitare le ragioni più intime, autobiografiche, della sua scrittura, in forza, presumibilmente, della stima e della fiducia reciproche che contraddistinguono l’amicizia fra i due. Il critico lo ha esortato a definire la struttura del racconto e a precisare il netto distacco fra l’esperienza personale degli anni della guerra e quella del protagonista Bruno34; ma se a questa altezza l’autore ci ha svelato che l’uomo Giorgio Bassani è stato il primo modello per il personaggio Bruno Lattes, aspetterà ancora un anno per rivelare un’altra fondamentale fonte di ispirazione per il protagonista di Clelia Trotti.

Ottobre 1955. Recensione

26 Dopo il noto giudizio della Principessa Caetani («inferiore ai precedenti, “un po’ noioso”»)35 e il conseguente rifiuto per «Botteghe oscure», dove erano state pubblicate le prime tre storie ferraresi36, Gli ultimi anni di Clelia Trotti sono accolti da Longhi e dalla Banti nella rivista «Paragone» nell’aprile del 195437. Qualche mese dopo, nel gennaio dell’anno successivo, il racconto viene pubblicato anche in volume, senza alcuna variante sostanziale, per la casa editrice Nistri-Lischi, nella collana narrativa diretta da Niccolò Gallo. Ed è a questa edizione che Varese scrive la sua recensione, accostandola a quella de I passeri dell’amico Giuseppe Dessì (pubblicati nella stessa collana di Clelia Trotti), della raccolta di saggi Di giorno in giorno di Emilio Cecchi e del romanzo Paolo il caldo di Vitaliano Brancati38.

27 Nell’articolo della «Nuova Antologia» (ottobre 1955) Varese approfondisce la funzione dell’elemento lirico nello svolgimento del racconto, un aspetto che, come abbiamo visto, si può definire caratteristico della critica varesiana. Ne citiamo, anche in questo caso, un estratto esemplificativo: In questo libro, forse in modo più scoperto che altrove, più che in Una lapide in via Mazzini, racconto direi quasi perfetto ed esemplare, lo scrittore ha portato dei frammenti poetici, quasi appoggio ad una voce che, recitando, segna nella sua scansione lirica le tesi e le arsi del racconto, e tiene, nel suo cauto sapiente e commosso oscillare il filo della trama. Forse questa stessa cadenza lirica vela talvolta il segno del distacco che esiste tra lo scrittore e il personaggio principale. Gli ultimi anni di Clelia Trotti sembrano dunque affidati nel loro svolgersi al movimento di una cadenza tra lirica e moralistica, quasi alla voce di un narratage, quella voce cioè che accompagna e commenta in un’opera cinematografica e talvolta teatrale e suggerisce il ritmo e il punto di vista dal quale guardare39.

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28 In questa fase recensoria Varese riconosce nella voce poetica che scandisce la storia quella dello scrittore che commenta liricamente il racconto (segnalando, fra l’altro, la distanza tra l’autore e il protagonista, un distacco che Bassani aveva ben sottolineato nelle lettere che abbiamo letto). Nelle righe seguenti il critico insisterà sulla capacità bassaniana di adoperare le forme liriche non solamente a chiosa del testo ma in una funzione propriamente narrativa: «I fatti, i sentimenti, i personaggi le loro azioni e i loro pensieri non soltanto si illuminano, ma anche trovano il modo di svolgersi e di girare nella trama: così a poco a poco si costruisce il racconto».

29 Nelle recensioni successive Varese tornerà su questa tipologia di ‘commento narrativo’, definendolo «una specie di contrapposizione e contrappunto lirico, una forma come già si è detto per sostenere con la lirica, col commento, il racconto o addirittura certe volte di sostituirlo» e opponendolo a un secondo tipo di commento, a quella «eco sociale di avvenimenti e atteggiamenti, quasi un rimando, una rispondenza esclamativa all’azione, o alla presenza del personaggio da parte dell’ambiente quotidiano, nel quale si inserisce, quasi un coro dissimulato e interrotto»40. È nel perfetto intreccio fra le due voci che risiede, per Varese, l’elemento di originalità della narrativa bassaniana, «simbolic[a] e insieme realissim[a]», che persisterà anche nei romanzi: Athos Fadigati «viene descritto con le parole e col giudizio dell’autore, e attraverso un leggero ammiccare, con le parole, con i giudizi e con la mentalità della gente, dell’opinione più diffusa, più autorevole e più conformista della città»41; nel Giardino dei Finzi-Contini «il linguaggio lirico, le pagine di poesia così frequenti, brillanti, tenere, giuocano dialetticamente con la prosa più discorsiva o addirittura più piatta che ripete, ricalca, anzi quasi prolunga la realtà quotidiana e la sua eco»42.

30 La critica varesiana su Clelia Trotti suscita nuovamente un’auto-interpretazione di Bassani, che ‘risponde’ anche in questo caso con una lunga lettera dattiloscritta, datata 31 ottobre 1955. La recensione e la lettera possono essere lette in parallelo: esse costituiscono un vero e proprio dialogo che quasi non necessiterebbe annotazioni a margine. Seguendo l’ordine delle impressioni bassaniane, la prima — positiva — concerne il confronto con l’amico Dessì: Il suo racconto si svolge in direzione opposta a quella di Dessì; il suo personaggio, a differenza dei personaggi di Dessì, pare voglia piuttosto togliere che non aggiungere alla realtà: il tempo nei Passeri chiariva e arricchiva le cose invece qui il tempo ogni cosa fiacca e stravolge; e la realtà è ingloriosa e gretta: la realtà era questa, inutile illudersi (p. 67), la realtà, cioè, disgregata e infiacchita, delle piccole miserie che circondano e soffocano, o almeno sembra, Clelia Trotti ancora viva, ma umiliata e stretta nella casa dei parenti, sotto la sorveglianza della polizia della dittatura, e Clelia Trotti morta, tra le miserie, le ambizioni, le distrazioni e l’indifferenza di una società comunque non eroica o non più eroica43. Ho letto la tua recensione, anzi il tuo bellissimo articolo. Mi pare che in generale tu abbia detto cose molto giuste. […] Finissima l’analisi dei Passeri, e particolarmente azzeccata la osservazione della divergenza che tu trovi tra il modo di Beppe e mio di metterci a confronto con la realtà44.

31 Meno «azzeccat[o]», invece, secondo Bassani, è il richiamo alla poesia crepuscolare: Punti di appoggio del racconto sono le pause e le soste nelle quali la voce si abbandona a un’esclamazione poetica, e — tanto per fare richiami di comodo — a un’ironica e pur commossa elegia della vita, alla Guido Gozzano o al senso e al prestigio assoluto e vitale dell’esistenza, alla Saba45. Quanto a Clelia Trotti, in particolare, perfetto il richiamo a Saba. Meno giusto, direi, quello a Gozzano. Il mondo che circonda Clelia Trotti è gozzaniano, oggettivamente, e non c’è nulla da fare: è così, né io potevo mutarlo. Ma Clelia Trotti, no, non è la

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signorina Felicita. Essa è morta, e morendo pone in iscacco Bruno Lattes, rivela a lui chi egli sia. Gozzano conserva sempre un margine di compiacimento estetistico. Bruno Lattes sa di essere, alla fine, non diverso dalla «squadra di nullità» a spese delle quali pensava, all’inizio, di poter sogghignare a suo piacimento46.

32 Il richiamo a Gozzano induce Bassani a ritornare sul carattere mediocre e anonimo di Bruno e a proporre, di nuovo, un’assimilazione del protagonista ai partecipanti al funerale della maestra socialista («qualcosa di simile alla conservazione “in cera”»47 aveva scritto nel febbraio del 1954). La «squadra di nullità» richiama le autorità politiche di Ferrara che aprono il corteo funebre nel primo capitolo: «Ebbene che cos’erano, costoro, curvi e dimessi come nel complesso marciavano, se non, tutti insieme, una piccola squadra di nullità?»48. Per ribadire il destino fallimentare di Bruno, Bassani chiude la lettera con una sorprendente dichiarazione poetica, rivelando apertamente il suo debito con I morti di Joyce: La storia del pomeriggio di Bruno Lattes in Piazza della Certosa non è che la storia della consapevolezza di un fallito. Ricordi «I morti» di Joyce? Io volevo fare di Bruno Lattes un personaggio simile a quello del marito-professore di quel racconto meraviglioso. C’è un altro punto del racconto di Joyce che avevo presente, scrivendo. Quando Bruno torna a casa, e trova il padre nello studio, e poi guarda fuori, alla città che si va ricoprendo di neve, intendevo porlo in una situazione non diversa da quella del professore-marito quando, dopo la confessione e il pianto della moglie, si accorge, guardando fuori nella notte, che «the snow was general on all Ireland»49.

33 L’autore, scrivendo, aveva dunque in mente due punti di contatto fra Bruno Lattes e Gabriel Conroy, protagonista de I morti, due punti per nulla irrilevanti. Da un lato, l’iniziale atteggiamento di superiorità del ferrarese che pensa di «poter sogghignare a suo piacimento» a spese degli altri presenti al funerale di Clelia, richiama quello dell’irlandese che durante la festa che apre il racconto — più simile a un funerale che a una festa — percepisce di possedere una cultura superiore a quella degli altri partecipanti («He was undecided about the lines from Robert Browning, for he feared they would be above the heads of his hearers»; «What did he care that his aunts were only two ignorant old women?»)50. Dall’altro, c’è una forte similarità nel modo in cui, per entrambi, prende forma l’epifania della vuotezza e dell’ipocrisia della propria vita: il rientro a casa di Bruno alla fine del terzo capitolo ricorda quello di Gabriel in albergo; lì, nella conclusione del racconto, la neve che aveva accompagnato l’intera novella e che ora copre tutta l’Irlanda segna, come per Bruno, l’annullamento dello spazio e del tempo, l’ingresso del protagonista nel regno dei morti51.

34 Grazie al perspicuo confronto con Joyce, Bassani ribadisce la centralità della conclusione del terzo capitolo, che Varese, in realtà, aveva già assimilato: egli, infatti, aveva scelto quella citazione (il momento di presa di consapevolezza «Non c’era che una via…»52) come finale della recensione, suggestionato, probabilmente, dalla lettera del 1954 in cui lo scrittore aveva definito «la fine del III capitolo — la svolta decisiva del racconto»53.

35 Ad ogni modo, lo scambio occasionato dalla recensione della «Nuova Antologia» si conclude, anche in questo caso, con una dichiarazione di stima: Scusa il tentativo di giustificazione. L’articolo, ad ogni modo, è bellissimo, non so quale altro critico italiano sappia come te cogliere i particolari e mantenere al tempo stesso le giuste prospettive. Sei in forma: me ne compiaccio e ti ringrazio di cuore54.

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Postilla

36 Aggiungo una breve postilla che esorbita, temporalmente, da Gli ultimi anni di Clelia Trotti ma che costituisce, a mio avviso, l’esito ultimo della corrispondenza fra i due intellettuali, il risultato degli sforzi interpretativi esaminati finora. Riprendiamo il filo dalla risposta di Varese all’ultima lettera citata di Bassani: Carissimo, La tua lettera era molto interessante e mi confermava e mi conferma nell’idea che tu dovresti scrivere una ragion poetica, un commentario perpetuo, alle tue opere, che sarebbe cosa utilissima e stimolante per scrittori, autori e lettori contemporanei; nonché preziosa per gli storici futuri55.

37 Lo sprone a scrivere un commento alle proprie opere non è una novità nelle missive di Varese. Il critico che, come abbiamo visto, conosce bene la capacità di Bassani di auto- interpretarsi, lo esorta a farlo con una considerevole insistenza: non si conta il numero delle volte in cui, solo nell’arco degli anni ’50, Varese vi fa riferimento. Alcuni esempi, in crescendo: Ma tu dovresti promettermi di scrivere anche contemporaneamente quella ragione poetica, che tu solo puoi scrivere e che può illuminare non solo i tuoi versi, ma anche la poesia contemporanea in genere56. E non dimenticare la mia vecchia idea, della tua ragione poetica, dell’autobiografia mentale e sociale di un lirico moderno57! Quanto al libro che desidero da te, devi farlo, e non aspettare: se avessi una casa editrice te lo farei fare, tenendoti lontano per un anno dal cinema; sarebbe un libro di ragioni critiche, non autobiografico in senso stretto; e sarebbe molto, molto utile, in questo momento58.

38 Varese, però, non si limita alla corrispondenza privata, a cui Bassani non sembra prestare molto ascolto: dal 1957 tenta la via dell’esortazione pubblica, con la speranza — vana — di un migliore effetto. L’incipit della recensione alle Cinque storie recita: Giorgio Bassani è uno degli scrittori contemporanei che meglio potrebbe, come Henry James, commentare la formazione delle sue opere, indicare il valore, che in esse ha avuto la struttura, contribuire direttamente come critico e non solo come scrittore che dà una autobiografia intellettuale, un giornale del suo lavoro59.

39 Prosegue nel 1960, nell’introduzione all’intervista su Una notte del ’43: Talvolta lo scrittore non solo è criticamente consapevole della sua opera, ma critico in proprio, come appunto Bassani. Da lui infatti aspettiamo e desideriamo quella raccolta di saggi critici che tanto potrà giovare non solo per meglio capire l’arte e la personalità di lui, ma anche motivi, problemi, difficoltà e prospettive, radici e sviluppi della letteratura moderna60.

40 Alla fine, però, nel 1961, Varese si arrende: Va bene. Mi rassegno. Ma dovrò comprare un magnetofono, ad uso bassanico, per poter mettere insieme questo libro di auto critiche dell’autore delle Storie ferraresi61?

41 Dieci anni dopo Bassani pubblica la Prefazione a me stesso, il breve testo in cui illustra i fondamenti estetici della sua narrativa, «il valore, che in esse ha avuto la struttura» e, insieme, la propria idea di letteratura62. In poche parole, quella «ragione poetica» a lungo richiesta. Non abbiamo prove concrete per attestare l’ascendente varesiano sulla prosa critico-autobiografica — Bassani non vi fa nessun esplicito riferimento — ma, ora, alla luce dello scambio fra i due, credo che lo si possa decisamente ipotizzare: la Prefazione a me stesso è l’esito, non sappiamo quanto conscio, di uno stimolo all’auto-

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interpretazione, al commento delle proprie opere che ha le sue lontane radici nel magistero di Claudio Varese.

42 Bassani, infatti, gli aveva già rivelato tutto: Quanto al libro autobiografico che mi consigli, certo che lo farò: ma dopo aver scritto i Finzi Contini, e gli altri quattro e cinque romanzi e romanzetti che mi pullulano per la testa. Quando sarò vecchio, insomma, e non avrò proprio più altro da tirar fuori dal serbatoio. A paragone dei predetti romanzi e romanzetti tutto il resto, per ora, mi sembra vanitas vanitatum…63

NOTE

1. L’espressione si trova in una lettera di Bassani a Varese del 23 gennaio 1957. 2. G. Bassani, Testimonianza, in W. Moretti, La cultura ferrarese fra le due guerre mondiali. Dalla scuola Metafisica a «Ossessione», Bologna, Cappelli, 1980, p. 216. 3. G. Dessì – C. Varese, Lettere 1931-1977, a cura di M. Stedile, Bulzoni editore, 2002, p. 143. 4. Si veda, in particolare, il capitolo di A. Roveri, L’incontro di Bassani con Rinaldi, i «sardi» e Ragghanti, in Id., Giorgio Bassani e l’antifascismo (1936-1943), prefazione di P. Bassani, Sabbioncello San Pietro, 2 G Editrice, 2002, pp. 23-36. 5. G. Bassani, Omaggio, in Id., Opere, a cura e con un saggio di R. Cotroneo, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1523-1526. 6. La mia gratitudine va agli eredi Paola ed Enrico Bassani, che mi hanno permesso di svolgere un tirocinio presso l’Archivio Bassani di Parigi per la catalogazione e digitalizzazione del Fondo epistolario Bassani, e a Ranieri Varese per avermi consentito di consultare il consistente gruppo di lettere, conservate presso l’archivio privato di Ferrara, finora sconosciute. Il carteggio è stato oggetto di un primo studio in occasione del Convegno Bassani 1916-2016 (Roma-Ferrara, 14-19 novembre 2016), i cui Atti sono in corso di pubblicazione, dal titolo Giorgio Bassani – Claudio Varese. Idee, progetti e ripensamenti; è in preparazione, invece, la pubblicazione integrale del carteggio. 7. Si tratta dei seguenti contributi di Varese sulla «Nuova Antologia»: recensione a La passeggiata prima di cena, vol. LXXXIX, febbraio 1954, pp. 272-274; recensione a Gli ultimi anni di Clelia Trotti, vol. XC, ottobre 1955, pp. 261-263; recensione alle Cinque storie ferraresi, vol. XCII, gennaio- aprile 1957, pp. 121-123; recensione a Gli occhiali d’oro, vol. XCIV, 1959, pp. 541-549; recensione a Il giardino dei Finzi-Contini, vol. XCVII, giugno 1962, pp. 262-267 (le ultime tre recensioni citate saranno accolte in C. Varese, Occasioni e valori della letteratura contemporanea, Bologna, Cappelli, 1967, con il titolo Giorgio Bassani I, II, III, alle pp. 379-397). Ai contributi sulla «Nuova Antologia» si aggiunge l’intervista Tre domande a Bassani sul film di Vancini, «Il Punto», 8 ottobre 1960 (poi in C. Varese, Sfide del Novecento. Letteratura come scelta, Firenze, Le Lettere, 1992 con il titolo Tre domande a Bassani su «Una notte del ’43», pp. 311-314). Si veda G. Arbizzoni, M. Ariani e A. Dolfi, Bibliografia degli scritti di Claudio Varese, Urbino, Università degli Studi, 1986, grazie alla quale si sono potuti facilmente identificare i testi citati. 8. La corrispondenza è evidentemente e sfortunatamente incompleta: le 145 lettere mandate da Varese si distribuiscono nel seguente modo: 69 negli anni ’40, 62 negli anni ’50, 3 negli anni ’60 e 11 senza data; le 46 inviate da Bassani appartengono, invece, 2 sole agli anni ’40, 22 agli anni ’50, 20 agli anni ’60-70, mentre 2 rimangono senza data.

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9. La stessa disparità numerica si ritrova nello scambio epistolare di Bassani con Franco Fortini e in quello con Attilio Bertolucci, come si è potuto verificare dal confronto con gli interventi di G. Litrico, Nell’officina del redattore. Il carteggio tra Bassani e Fortini (1949-1959) e di F. Erbosi, Il carteggio Bassani-Bertolucci: notizie sui testi e prove d’autore all’interno del già citato convegno Bassani 1916-2016 (Roma-Ferrara, 14-19 novembre 2016). 10. Questo genere di lettere bassaniane sono spesso dattiloscritte, ben impaginate e senza correzioni; al contrario le missive di Varese sono quasi solo manoscritte, con una grafia non sempre chiara e ordinata. Una delle rarissime volte (12 su 145) in cui Varese rinuncia alla penna, riempie la pagina di errori e aggiunge un post scriptum a mano: «Ho scritto a macchina da me: imparerò mai?» (12 febbraio 1952, Varese a Bassani). 11. Per quanto il debito di Bassani nei confronti di Varese sia soprattutto politico, tale argomento, nel carteggio, non viene toccato, se non tangenzialmente. Passato il periodo di più intensa attività e lotta antifascista, l’interesse principale negli anni ’50 sembra essere, almeno nello scambio epistolare, quello letterario. 12. Si tratta di Una lapide in Via Mazzini, «Botteghe oscure», no X, ottobre 1952, pp. 444-479; e di La passeggiata prima di cena, Firenze, Sansoni Editore, aprile 1953, pp. 129-186. Nel novembre del 1952 Varese aveva scritto una lettera dall’incipit: «Caro Giorgio, scusami se non ti ho subito ringraziato per il regalo delle tue bozze; ho riletto il tuo racconto e debbo dirti che sopra tutto l’ultima parte mi ha ancora più conquistato» (17 novembre 1952, Varese a Bassani). 13. 2 gennaio 1953, Bassani a Varese. 14. 29 luglio 1953, Bassani a Varese. Come è noto, «Clelia Trotti, la protagonista del racconto, è un personaggio immaginario. Tuttavia assomiglia molto da vicino a una vecchia maestra socialista, perseguitata per le sue idee, da me frequentata molto spesso tra il ’36 e il ’43. Si chiamava Alda Costa» (G. Bassani, Opere, cit., p. 1327). 15. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. 16. 14 gennaio 1954, Bassani a Varese. A questa altezza cronologica il titolo è ancora I funerali di Clelia Trotti. Il passaggio al titolo definitivo corrisponde, probabilmente, a una maggiore implicazione del testo con la realtà politica: il tema, nel senso di soggetto psicologico, passa dalla maestra Clelia Trotti a indicare un dato momento storico: il nuovo titolo non allude, infatti, a come Clelia Trotti ha vissuto i suoi ultimi anni di vita, bensì a come la città di Ferrara ha affrontato gli anni 1939-1946: «Possibile che la guerra, gli anni nei quali lui era stato ragazzo, ed essa bambina — gli ultimi anni di Clelia Trotti! — non avessero lasciato nessun segno sulla sua fronte, nessuna ombra di consapevolezza nei suoi occhi?» (G. Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, Nistri-Lischi Editore, Pisa, gennaio 1955, p. 30). Si veda, a tal proposito, P. Italia, Tra poesia e prosa: un percorso dal carteggio Bassani-Fortini (1949-1970), in A. Perli (a cura di), Giorgio Bassani: la poesia del romanzo il romanzo del poeta, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2011, p. 68. 17. 11 febbraio 1954, Varese a Bassani. I corsivi riportati negli estratti delle lettere non sono mai dell’autrice, ma corrispondono alle sottolineature presenti nelle originali missive dei due intellettuali. 18. C. Varese, recensione a G. Bassani, La passeggiata prima di cena, cit., p. 273. 19. Ivi, pp. 272-273. 20. Ivi, p. 273. 21. Varese, riferendosi alla recensione della Passeggiata, afferma: «Ho scritto delle cose che credo debbano essere anche più dette; per togliere l’equivoco della letteratura della tua arte» (11 febbraio 1954, Varese a Bassani). 22. 11 febbraio 1954, Varese a Bassani. 23. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. 24. 19 settembre 1951, Bassani a Varese. 25. Il dattiloscritto del racconto per radio è conservato presso il Fondo Bassani: trascritto dagli studenti del Liceo Ariosto di Ferrara, coordinati dall’Associazione Culturale Arch’è e dalla

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Fondazione Giorgio Bassani, esso è stato pubblicato su «La Nuova Ferrara» (4 marzo 2009, pp. 1, 32) con il titolo Il ciabattino di via Borgovado; successivamente in G. Bassani, Lavoro da ciabattino, in S. Onofri (a cura di), Uno casali olim casamentivo. Un laboratorio nel Quadrivio rossettiano, Ferrara, Collana Quaderni dell’Ariosto, no 62, 2011. 26. G. Bassani, Il signor Rovigatti, «Il Giornale», 2 novembre 1951. Si veda P. Pieri, Un poeta è sempre in esilio, in R. Antognini e R. Diaconescu Blumenfeld (a cura di), Poscritto a Giorgio Bassani. Saggi in memoria del decimo anniversario della morte, Milano, Led, 2012, pp. 445-456, in particolare p. 449. 27. La falsa carta d’identità, conservata presso gli eredi, è stata recentemente esposta in occasione della mostra Giorgio Bassani: Officina bolognese (1934-1943) (Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, 28 ottobre 2016 – 18 dicembre 2016), disponibile online . Il nome Bruno Lattes potrebbe avere origine da una combinazione fra il falso nome assunto da Bassani, Bruno Ruffo, e il cognome originario di Fortini: Franco Fortini è infatti lo pseudonimo di Franco Lattes; Fortini era il cognome dalla madre cattolica, che il critico assunse nel 1940 anche per proteggersi dalle discriminazioni razziali (A. Allegra, Tra storia e profezia. Bassani e Fortini a confronto, in E. Pirvu (a cura di), Giorgio Bassani a 10 anni dalla morte, Atti del Convegno internazionale di studi, Craiova, 14-15 aprile 2010, Firenze, Cesati, 2010, p. 13). 28. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. 29. G. Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., pp. 79-80. 30. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. 31. Le Cinque storie ferraresi (Torino, Einaudi, 1956) sono riportate in G. Bassani, Opere, cit., pp. 1583-1761. 32. G. Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., p. 34. 33. 15 febbraio 1954, Varese a Bassani. 34. L’identificazione fra l’autore e il protagonista costituirà un elemento di discussione, fin dal primo apparire del racconto: in particolare Fortini accuserà Bassani di non aver manifestato un giudizio espressamente negativo sul personaggio e che anzi i punti di vista, di Bruno e dell’autore, fossero quasi sovrapposti (F. Fortini, Lettera. I racconti di Bassani, «Lo Spettatore Italiano», a. VII, luglio 1955, pp. 296-297); per un’analisi approfondita della questione si veda P. Italia, Tra poesia e prosa, cit., in particolare pp. 65-73. 35. G. Bassani, Opere, cit., p. 941. 36. Si tratta di Storia d’amore, «Botteghe oscure», no I, luglio 1948, pp. 93-129; La passeggiata prima di cena, «Botteghe oscure», no VII, aprile 1951, pp. 15-52; Una lapide in Via Mazzini, cit. (e anche l’ultima storia ferrarese sarà accolta dalla Caetani: Una notte del ’43, «Botteghe oscure», no XV, marzo 1955, pp. 410-450). 37. Gli ultimi anni di Clelia Trotti, «Paragone-Letteratura», vol. V, no 52, aprile 1954, pp. 43-79. 38. G. Dessì, I passeri, Pisa, Nistri-Lischi Editore, 1955; E. Cecchi, Di giorno in giorno, Milano, Garzanti, 1954; V. Brancati, Paolo il caldo, Milano, Bompiani, 1955. 39. C. Varese, recensione a Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., p. 262. 40. C. Varese, recensione alle Cinque storie ferraresi, cit., p. 122. 41. C. Varese, recensione a Gli occhiali d’oro, cit., p. 548. 42. C. Varese, recensione a Il giardino dei Finzi-Contini, cit., p. 265. 43. C. Varese, recensione a Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., p. 262. 44. 31 ottobre 1955, Bassani a Varese. 45. C. Varese, recensione a Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., p. 262. 46. 31 ottobre 1955, Bassani a Varese. Anche nella corrispondenza con Fortini, Bassani aveva ripudiato l’assimilazione a Gozzano; si veda P. Italia, Tra poesia e prosa, cit., p. 62. 47. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. 48. G. Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, ed. cit., p. 24. 49. 31 ottobre 1955, Bassani a Varese.

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50. J. Joyce, Dubliners, Oxford-New York, Oxford University Press, 2000, pp. 141, 151. 51. «Yes, the newspapers were right: snow was general all over Ireland. It was falling upon the Bog of Allen and, further westwards, falling into the waves. It was falling too upon every part of the churchyard where Michael Furey lay buried. It lay drifted on the crosses and headstones, on the spears of the gate, on the thorns. His soul swooned as he heard the snow falling through the universe and falling, like the descent of their end, upon all the living and the dead» (J. Joyce, Dubliners, ed. cit., p. 176). Questa ascendenza joyciana era stata già acutamente rilevata da Piero Pieri in P. Pieri, Memoria e Giustizia. Le «Cinque storie ferraresi» di Giorgio Bassani, Pisa, ETS, 2008, p. 227. 52. G. Bassani, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, cit., pp. 79-80 (riportata per intero poche pagine prima). 53. 13 febbraio 1954, Bassani a Varese. La citazione sarà riportata da Varese anche nella recensione alle Cinque storie (C. Varese, recensione alle Cinque storie ferraresi, cit., p. 122). 54. 31 ottobre 1955, Bassani a Varese. L’entusiasmo di Bassani sarà ancora maggiore in seguito alla recensione alle Cinque storie: «Ho letto il tuo articolo, e la nota precedente, e non so, davvero, come ringraziarti. Tu sei sempre molto buono, con me; mi hai seguito sempre, mi hai sempre spronato a fare. E se qualcosa ho fatto e farò lo debbo anche a te, alla tua amicizia ormai più che ventennale. Il tuo articolo mi è piaciuto in modo particolare per la straordinaria chiarezza, per la semplicità ed efficacia con la quale descrivi, e insieme penetri e spieghi, lo stile e la sostanza dei racconti» (23 gennaio 1957, Bassani a Varese). 55. 26 novembre 1955, Varese a Bassani. 56. 10 settembre 1951, Varese a Bassani. 57. 12 febbraio 1952, Varese a Bassani. 58. 25 giugno 1956, Varese a Bassani. 59. C. Varese, recensione alle Cinque storie ferraresi, cit., p. 121. 60. C. Varese, Sfide del Novecento, cit., p. 312. 61. 3 novembre 1961, Varese a Bassani. 62. G. Bassani, Prefazione a me stesso: cinque storie ferraresi, «Corriere della Sera», 4 febbraio 1971; poi con varianti e il titolo Gli anni delle Storie, in L’odore del fieno (Milano, Mondadori, 1972) e nel Romanzo di Ferrara (Milano, Mondadori, 1974) con il titolo Laggiù, in fondo al corridoio, ora in Opere, cit., pp. 935-943. 63. 21 giugno 1956, Bassani a Varese.

RIASSUNTI

L’articolo prende in esame una sezione ben documentata dell’intenso scambio avvenuto fra Bassani e il critico Claudio Varese, relativa alla genesi de Gli ultimi anni di Clelia Trotti (1953-1955). Attraverso la lettura incrociata del carteggio inedito e delle recensioni, si considera la doppia interpretazione della scrittura bassaniana, declinata soggettivamente (Bassani, in dialogo con Varese, si interpreta) e oggettivamente (Varese, dal dialogo con lui, individua le linee critiche sulla sua opera). Lo studio costituisce un contributo alla conoscenza di progetti e modelli bassaniani finora poco noti — come Gabriel Conroy dei Dubliners per il personaggio di Bruno Lattes — e della consapevolezza di Bassani intorno alla propria poetica.

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L’essai étudie l’intense échange qui s’est déroulé entre Bassani et le critique littéraire Claudio Varese, pendant la rédaction de Gli ultimi anni di Clelia Trotti (1953-1955). La lecture croisée de la correspondance inédite et des comptes rendus de Varese dans la presse permet d’examiner la double interprétation de l’écriture de Bassani, dans son versant subjectif (Bassani, en dialoguant avec Varese, interprète sa propre œuvre) et dans son versant objectif (Varese s’appuie sur son dialogue avec Bassani pour identifier les principales lignes critiques de son œuvre). L’étude constitue une contribution à la connaissance de projets et de sources peu connues jusque-là (par exemple Gabriel Conroy des Dubliners de Joyce comme modèle pour le personnage de Bruno Lattes) et prouve la conscience que Bassani avait de sa propre poétique.

The paper examines a well-documented section of the intense exchange between Bassani and the critic Claudio Varese about the genesis of the novel Gli ultimi anni di Clelia Trotti (1953–1955). Through a crossed reading of the unpublished correspondence and the book reviews, it considers the double interpretation of Bassani’s writing, both subjectively (Bassani, in dialogue with Varese, interprets himself) and objectively (Varese, by the dialogue with him, defines the criticism of his work). The study represents a contribute to the knowledge of Bassani’s new literary projects and models—like Gabriel Conroy (Dubliners) for the character of Bruno Lattes— and shows the Bassani’s awareness of his own poetic.

INDICE

Mots-clés : correspondance, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, Joyce, élaboration créatrice, autointerprétation Parole chiave : carteggio, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, Joyce, iter compositivo, auto- interpretazione Keywords : correspondence, Gli ultimi anni di Clelia Trotti, Joyce, composition, self- interpretation

AUTORE

LUCIA BACHELET Università Roma Tor Vergata e Sorbonne Nouvelle Paris 3

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«Da poeta a poeta»1. Fortini lettore di Bassani tra critica e poesia. « Da poeta a poeta ». Fortini lecteur de Bassani entre critique et poésie Fortini’s Reading of Bassani: Between Criticism and Poetry

Gaia Litrico

Premessa

1 È noto in che modo e in che misura il lavoro di Franco Fortini sia attraversato dalla critica delle opere dei poeti e degli scrittori del suo tempo. Sulle pagine delle riviste e dei periodici che nel corso degli anni hanno ospitato le sue rubriche, egli ha ininterrottamente dialogato con i nomi più interessanti della letteratura italiana, non badando a mode e tendenze. Ricordiamo in particolare le «Rassegne» e le «Bibliografie» da lui curate per la rivista «Comunità», la quale nei primi anni del suo lavoro ha dato visibilità a tanta parte della sua riflessione. Ciò è documentato, oltre che dagli stessi scritti fortiniani, anche dalle testimonianze degli autori da lui recensiti, che hanno lasciato tracce del loro dialogo critico con Fortini nelle loro poesie e nella loro saggistica. Questo schema — che vede un autore riflettere sul proprio critico, producendo una sorta di ‘critica del critico’ — è piuttosto inconsueto e certifica la straordinarietà della critica letteraria di Franco Fortini. A questo proposito, tra i vari esempi che si possono riportare, le parole scritte da sembrano essere le più incisive: Egli fu e resta per me e penso per molti altri l’interlocutore ideale, cioè quello che si desidera intimamente avere perché non s’inganna sui tuoi intendimenti e ha tanta intuizione da farti luce su quanto di essi ti fosse rimasto in ombra e tanta competenza da conoscere a fondo i tuoi procedimenti e da coglierne la convenienza o l’improprietà dall’interno della situazione tua propria di cui fissa immediatamente i contorni2.

2 Ma a differenza di Mario Luzi, che nella dichiarazione del 1980 qui riportata esalta l’attività critica di Franco Fortini riconoscendogli la lucidità del lettore immune dagli inganni dell’artificio letterario, e a differenza anche di Vittorio Sereni, che nei versi di

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Un posto di vacanza riconosce al saggista fiorentino il ruolo positivo dell’«interlocutore- antagonista» che incoraggia il progredire della ricerca creativa dello scrittore3, Giorgio Bassani non ha consegnato al pubblico alcun parere sull’esercizio saggistico fortiniano. Tra le pagine dell’opera bassaniana sinora pubblicata, non è pervenuto né un giudizio sull’influenza che le parole dell’amico ebbero sulla sua produzione letteraria, né un commento più generale sul suo lavoro di critico. Il commento di Bassani alle critiche contenute nel corpus di otto articoli — recensioni e note di letture — che Fortini ha dedicato tra il 1950 e il 1962 sia alla sua prosa sia alla sua poesia, è da cercare piuttosto nel carteggio intrattenuto dai due scrittori nel corso degli anni ’50.

3 In questa sede, dal momento che i saggi di Fortini sulla prosa4 di Bassani sono già stati studiati, è parso più utile ricostruire in un primo tempo, attraverso il carteggio, il pensiero di Bassani sulla critica fortiniana del primo periodo, dedicata esclusivamente alla sua poesia. In un secondo tempo, ci si concentrerà sulle motivazioni delle critiche mosse da Fortini a Bassani. Infine, si tenterà di verificare come, al di là di quelle critiche, Fortini compia un’altra, più dissimulata, opera di ricezione sul terreno della produzione lirica. Si individueranno perciò, tra i testi poetici degli anni ’50, dei punti di contatto tra i nostri due autori, da considerare spie rivelatrici dell’accoglienza della lezione bassaniana nel lavoro poetico di Fortini.

Critiche e repliche sulla poesia di Bassani (1950-1952)

4 Fortini ha portato avanti la sua riflessione critica su Bassani dal 1950 al 1962, concentrandosi in egual misura sui due generi praticati da Bassani in questo arco di tempo, la poesia e la prosa, e operando in due modi diversi. La maggior parte delle volte Fortini scrive commenti alle opere bassaniane che anno dopo anno sono date alla stampa: le più importanti sono quelle alla raccolta Un’altra libertà (1952)5, al volume di racconti La passeggiata prima di cena (1953)6, agli Ultimi anni di Clelia Trotti (1955)7. E ovviamente, la più celebre, nonché l’ultima, scritta all’indomani dell’uscita del capolavoro bassaniano, Il giardino dei Finzi-Contini8.

5 Altre volte invece Fortini inserisce «accenni telegrafici»9 all’opera bassaniana in analisi di più ampio respiro sulla letteratura di quel momento, mettendo in rilievo le caratteristiche peculiari dell’autore ferrarese rispetto alle altre voci letterarie coeve.

6 Proprio a questa seconda categoria appartengono due testi di Fortini sulla poesia di Bassani reperiti solo di recente e risalenti al 195010, importanti perché svelano il decisivo ruolo della poesia in questo sodalizio e in questo dibattito critico.

7 Fino ad oggi, degli otto articoli di cui si accennava all’inizio, soltanto sei erano noti, di cui due soli dedicati alla poesia, il primo del 1952 (menzionato poco sopra) e il secondo del 196011. Ma il recente lavoro di riordino e catalogazione del Fondo epistolare Bassani, ha portato, attraverso lo spoglio di lettere ricevute dallo scrittore ferrarese, all’identificazione di questi due nuovi testi che, oltre a permettere di antedatare di un paio d’anni l’inizio del lavoro del critico fiorentino su Bassani, rivelano come l’esordio di questo rapporto critico sia avvenuto sotto il segno della poesia12.

8 Secondo una catalogazione cronologica, il corpus critico sullo scrittore ferrarese può essere diviso in tre fasi. Il primo tempo è costituito dagli scritti fortiniani che si occupano delle prime prove poetiche. Il secondo è quello della prosa, in cui il lavoro critico si concentra sui racconti che compongono le Storie ferraresi. Il terzo è quello in

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cui viene riesaminato in un orizzonte più ampio il lavoro portato avanti nei due diversi generi letterari da Bassani. Fortini riepiloga qui dal suo punto di vista molte questioni sollevate dall’opera dell’amico: con uno scritto sulla poesia contemporanea uscito sul «Menabò» nel 1960, e con la recensione del Giardino nel 1962.

9 Si tratta di tre tappe di una parabola saggistica che vede un progressivo aumento delle critiche fortiniane, che evolvono verso un giudizio negativo, fino a giungere alla stroncatura contenuta nel già citato testo sui Finzi Contini o a quella contenuta nel testo sul Gattopardo13, che coinvolge oltre all’autore del romanzo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, anche Bassani, che come è noto svolse il ruolo di editor e curò la prefazione14. Di questa parabola si proporrà di prendere in esame solo un segmento, quello iniziale.

10 Il primo tempo occupa il periodo 1950-1952, biennio durante il quale Fortini si sofferma esclusivamente, con tre articoli15, sulla produzione in versi dello scrittore ferrarese. Bassani si era presentato al pubblico nelle vesti di prosatore, nel 1940, con Una città di pianura16, ma non pubblicherà altri volumi di racconti17 fino al 1953, anno della Passeggiata prima di cena18. Nel periodo postbellico, tra il 1945 e il 1952, lo scrittore ferrarese si dedica soprattutto a raccogliere in volume i versi della sua produzione lirica, facendosi conoscere dal pubblico e dai critici principalmente come poeta, attraverso una triade: Storie dei poveri amanti (I edizione del 1945 e II edizione accresciuta del 1946), Te lucis ante e Un’altra libertà19.

11 Fortini si occuperà come critico dei lavori poetici contenuti nell’ultima di queste raccolte, che comprende al suo interno anche Te lucis ante20. Leggendo le lettere scambiate tra i due scrittori è palpabile sin da subito un senso di disorientamento in Bassani, che non si sente capito nelle sue ragioni poetiche dall’amico.

12 Nelle missive di questo periodo si individuano infatti toni di contrasto, di cui si ha un primo riscontro nella lettera scritta da Fortini a Bassani il 4 gennaio 1951: «Saprai la fine di Comunità. Spero tu non ne sia lieto perché ospitasse certi accenni telegrafici del Fortini. Soavi parla di rifarla».

13 L’allusione di Fortini a «certi accenni telegrafici» si riferisce a un articolo uscito pochi mesi prima, nell’ottobre del 1950, su «Comunità», dedicato al panorama poetico italiano contemporaneo, e in cui figurava anche il nome di Bassani, accanto a quelli di Bertolucci, Gatto, Penna, Parronchi e Arcangeli. Bassani in questo articolo vedeva definiti i suoi versi come «una musica artefatta e graziosa»21 e, sebbene non siano giunte fino ad oggi lettere che lo testimonino, ci sono gli estremi per ipotizzare uno stupore sconcertato da parte sua. Quell’ironico «spero tu non ne sia lieto» lanciato da Fortini, induce infatti a pensare che Bassani avesse dimostrato le sue remore nei confronti di una definizione così limitante della sua poesia.

14 Come dichiara lui stesso in una nota al termine dell’articolo22, Fortini aveva letto il V Quaderno di «Botteghe oscure», in cui erano pubblicate alcune poesie di Bassani: L’effimera creatura, Bei colori, L’alba ai vetri, Ho visto in sogno23, che costituiscono per Bassani una tappa molto importante della sua parabola di poeta. Sono proprio queste, ad eccezione di Ho visto in sogno, le poesie usate dall’autore per argomentare l’evoluzione del suo percorso di poeta attraverso le prime tre raccolte poetiche nello scritto autoesegetico Poscritto, inserito nella raccolta L’alba ai vetri come postfazione, ma composto già nel 195224. Queste poesie sono citate proprio per dimostrare un approdo a una seconda fase della propria produzione poetica: dopo aver pubblicato la prima raccolta Storie di poveri amanti, lavoro nato dalla grande sintonia con l’ambiente

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bolognese di Arcangeli, Rinaldi e Bertolucci25, Bassani, oramai giunto a Roma, desidera prendere una direzione differente, quella che guiderà la realizzazione delle successive raccolte, Te lucis ante e Un’altra libertà: […] il mio lavoro si svolse in direzione sostanzialmente opposta a quella del primo libro. C’era stata di mezzo la guerra — pensavo —, la guerra e la prigione. Se nei versi che stavo scrivendo volevo accogliere la nuova realtà che si imponeva al mio spirito, tutta la nuova realtà di me stesso e del mondo, allora dovevo lottare senza pietà, senza la minima condiscendenza nei confronti della mia natura, contro il ritagliato paradiso degli affetti primordiali da campirsi, inevitabilmente!, su uno sfondo d’idillio26.

15 Francesca Bartolini parla a questo proposito di «una decisa variatio di ispirazione in direzione di una più sofferta lettura del reale»27, che però, stando a quanto si legge nell’accenno apparso sulla rivista olivettiana, il Fortini critico non riuscirebbe a cogliere.

16 Bassani sta ripensando il suo progetto poetico, sta recidendo il vincolo con una poesia legata alla linea bolognese, e quindi non solo il peculiare rapporto di fusione con «un paesaggio dai forti accenti regionali, quello padano, caratterizzato da “brughiere/ desolate”, paludi nebbiose […]», ma anche con «una posa squisitamente letteraria di ascendenza romantica»28 e infine con le «tracce decadenti» presenti in alcuni testi della prima raccolta29. Nel Poscritto Bassani desidera mostrarsi come un poeta dal profilo assai mutato, che ha maturato una coscienza «storica»30 prima assente: più responsabile nei confronti del suo tempo, egli liquida la «dolce squilla serale»31 per accogliere i segni della storia, «fulminei messaggeri»32 che lo aggrediscono e lo inducono a parlare dell’esperienza del carcere (Dal carcere), come delle visioni originate dall’immaginario bellico ancora vivido nella sua mente di poeta (Villa Glori). Fortini rimane invece almeno in parte ancorato all’atmosfera delle prove liriche precedenti allorché definisce Bassani un poeta che resiste sì alla moda «delle effusioni morbide e preraffaellite» ma solo «con l’ironia di una consumata retorica»33.

17 Se Fortini non si accorge del cambiamento in «direzione opposta»34 avvenuto tra la pubblicazione della prima raccolta e le due successive, la comunità letteraria invece sembra accorgersene: la raccolta Te lucis ante riceverà una segnalazione positiva in occasione di un premio letterario dell’ambiente capitolino, frutto degli investimenti del dopoguerra: il Premio Roma. Ma anche in quest’occasione lo sguardo critico fortiniano sembra essersi mostrato poco amichevole nei confronti di Bassani, o almeno così lo percepisce Bassani, come attestano gli scambi epistolari con Attilio Bertolucci35.

18 In una missiva del novembre 1950, che Bassani indirizza all’amico e confidente di lunga data, si leggono infatti parole di abbattimento: «Mi dispiace di Fortini, ma non ho mica voglia di chiedergli il ritaglio. Se tu mi sapessi dire il numero del giornale, sarebbe la cosa migliore. A patto però che non ti secchi troppo»36. Bertolucci il 7 novembre gli aveva scritto: «Volevo dirti d’un accenno di Fortini sull’«Avanti» a te premiato a Roma, come d’un esempio di premiato non tenero con i comunisti: un accenno che non so se amichevole o no o così così»37.

19 Sulla terza pagina dell’«Avanti!», quotidiano dove Fortini teneva una rubrica di attualità e cultura, intitolata Schedario, era uscito il 2 novembre un articolo che rispondeva a una polemica sollevata dall’onorevole Mattei, secondo il quale i premi letterari, come anche le mostre e i concorsi, erano completamente monopolizzati dagli artisti di orientamento politico comunista che, proprio perché vincitori degli agoni artistici, godevano di una maggiore diffusione e promozione, finendo per «avvelenare la mente

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del pubblico di massa»38. Fortini, desiderando dimostrare la fallacità di questa tesi, portava come esempio il concorso del Premio Roma, tenutosi solo qualche mese prima, dove Ungaretti aveva ottenuto il primo posto con La terra promessa e Bassani, che era riuscito a partecipare con la raccolta Te lucis ante, una segnalazione per merito39. Fortini, nel rispondere sulle pagine dell’«Avanti!», aveva sottolineato come né Ungaretti né Bassani potessero essere classificati come artisti comunisti e aveva ironizzato su quanto poco di sovversivo vi fosse nelle loro opere.

20 Probabilmente Fortini, nel definire la poesia di Bassani ‘non sovversiva’, non intendeva in alcun modo colpire il poeta, che del resto non ambiva a ricevere una qualifica del genere, eppure finiva per battere su un tasto dolente: il riconoscimento dell’impegno politico presente nella sua poesia. Proprio nel momento in cui Bassani tenta la transizione verso una poesia engagée, in grado di rappresentare la condizione dell’uomo all’indomani della guerra e in cui tenta di dar voce all’esperienza delle lotte per la liberazione dall’occupazione nazista, il gesto del critico fiorentino diventa simbolicamente una delegittimazione della presenza del tema politico nella poesia di Bassani, proprio agli occhi di un pubblico che il poeta potrebbe desiderare raggiungere. E se in tale occasione Bassani non mostra la sua delusione al diretto interessato, questa riaffiora in una lettera a Fortini del marzo 1952, in cui è fatto riferimento ai «compagni socialisti», che lo scrittore teme «si facciano del libro […] un’immagine poco simpatica e poco probabile»40.

21 In questa lettera Bassani allude a un passo di una prima versione della recensione di Fortini alla sua raccolta poetica Un’altra libertà. Anche se Bassani lo aveva preparato con una lettera in cui affidava alle cure esegetiche dell’amico con una certa sollecitazione il suo libro («Hai letto il mio libro? Ti è piaciuto? Tu sei dei pochi che lo possono capire: te lo raccomando»)41, ancora una volta, come già nei precedenti brevissimi interventi, la sua nuova poetica non è capita. Fortini omette di indicare al lettore che Bassani è stato in carcere e sottolinea della raccolta solo gli elementi caratteristici di una letteratura del disimpegno, iperletteraria e dalla forte carica solipsistica: È questa una poesia sulla poesia, una poesia di ironia malinconica, la dolce malìa del prim’atto della Bohème riscattata da un sorriso amaro e cosciente; essa si sostiene per la sua discrezione, per quella sua emozione sorridente che accetta quindi le convenzioni preziose e l’equivoca moda di chi allude (come certi arredamenti o toilettes) al 1905-191242.

22 Paola Italia già si è soffermata sul senso di ingiustizia provato da Bassani nel non vedere riconosciuto il suo passato di antagonista del regime, di prigioniero politico («Se, data la sede […], ti pareva necessario dare qualche notizia biografica, potevi pur dire che sono stato in galera, a suo tempo; tanto più che la galera torna, nel libro, come ossessione e memoria fondamentale»)43, che porterà a una rielaborazione della recensione e a un conseguente cambio di destinazione editoriale (non verrà più pubblicata sulle pagine del quotidiano socialista, bensì su «Comunità»). Il confronto della bozza della prima recensione, rinvenuta nell’Archivio epistolare Bassani, con la versione definitiva, mostra infatti discreti miglioramenti, sia nel tono, che si fa più analitico e meno frivolo (ad esempio, l’incipit della bozza presentava Bassani attraverso la partecipazione al mondo del cinema in un film del 1952, elemento che allo scrittore ferrarese era sembrato fuori luogo), sia in alcune argomentazioni critiche che si dilungano con maggiore puntualità sui versi (ad esempio rintracciando attraverso le fonti la presenza della tradizione)44. Fortini cerca insomma di giustificare in modo più analitico le sue posizioni, sfumando qualche punto sgradito a Bassani e aggiungendo

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elementi obbligatori, come l’esperienza del carcere, ma non cambiando in modo sostanziale la sua opinione.

23 La fine del primo tempo della critica fortiniana è rappresentata bene in una frase scritta da Bassani per lettera all’amico, in cui si riassume il suo sentimento: «Mi sentii […] frainteso, e con poca giustizia, proprio da te, che eri dei rari ai quali speravo di poter comunicare»45.

24 Bassani è insoddisfatto dell’accoglienza critica dell’amico, ma forse proprio queste ostilità gli consentono (o lo costringono) a conquistare durante quel biennio una maggiore chiarezza sul suo progetto poetico.

25 Se in occasione dei primi interventi del 1950, Bassani, nonostante il dispiacere, mostra delusione e scontento senza dilungarsi in termini teorici sulla questione, nel marzo 1952 si assiste infatti a un cambiamento: Bassani sembra aver maturato una maggiore consapevolezza sulla sua poesia, probabilmente anche perché sollecitato dal pungolo fortiniano, e sostiene con convinzione le sue posizioni, suggerendo quelle prospettive ermeneutiche che a Fortini erano sfuggite. In primo luogo ciò è testimoniato dal carteggio che vede un aumento della quantità delle missive scambiate (se di norma il ritmo dello scambio epistolare all’interno del carteggio Bassani-Fortini è di una lettera al mese, dal 20 al 27 marzo subisce un notevole aumento, registrando tre missive in una sola settimana), caratterizzate da una dialettica fertile e produttiva.

26 In secondo luogo, il cambiamento è testimoniato dal contenuto di Poscritto, il testo a cui si accennava sopra, steso proprio nello stesso anno della polemica sulla recensione a Un’altra libertà, il 1952. In questo testo Bassani illustra le ragioni del suo poetare, dimostrando di aver rafforzato, anche per via del dibattito epistolare con l’amico, la coscienza dei propri esiti artistici.

27 Sembra lecito allora ipotizzare che proprio il confronto con Fortini abbia ispirato Poscritto e abbia convinto il poeta ferrarese a rilasciare alcune dichiarazioni programmatiche sulla sua poesia, a parlare di sé come scrittore, a rivendicare un determinato carattere per i suoi versi.

28 I punti esposti da Bassani in questo testo ci riconducono infatti ai due fronti della querelle con Fortini: da una parte le poesie citate da Bassani coincidono con quelle con cui Fortini aveva illustrato le sue considerazioni nel 1950, e ci fanno dunque pensare a una replica a lui direttamente indirizzata; dall’altra l’insistere sullo scarto tra una poesia prebellica, di tipo iperletterario e di matrice decadente, e una postbellica, segnata dalla guerra e maggiormente impegnata, indica con precisione ciò che il poeta vorrebbe far cogliere da Fortini nella sua opera.

29 Si può dunque concludere che questo testo sia stato scritto appositamente per replicare a Fortini, che esso costituisca un chiarimento che Bassani destina indirettamente all’amico, nella speranza di indurlo a modificare il suo sguardo critico sulla sua poesia.

Poetica di un autore, strategia di un critico

30 Vi è sostanzialmente una ragione dietro all’attitudine critica che Fortini adotta rispetto al lavoro in versi di Bassani, ed è attinente al percorso poetico dello stesso Fortini; è legata ad alcuni limiti che Fortini scorge nelle prime prove della propria poesia d’anteguerra, delle quali ha intenzione di liberarsi attraverso un cambio di direzione che si concretizzerà in un primo momento con la raccolta Foglio di Via e che proseguirà

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ancora in forma di perpetua ricerca espressiva fino alla pubblicazione di Poesia ed errore, raccolta dopo la quale, secondo lo studioso Francesco Diaco, si inaugura una nuova fase46.

31 Questa ricerca di una propria voce poetica, nuova rispetto alla produzione d’anteguerra, avviene durante il decennio in cui Fortini dialoga con Bassani, che va dal 1949 al 1959, e il carteggio ne racconta l’evoluzione. Si tratta perciò di un dialogo proficuo per i due poeti, che in due sensi diversi fa maturare le loro rispettive consapevolezze letterarie.

32 Giovanni Raboni aveva individuato nel poeta fiorentino un’attitudine, particolarmente calzante per questo discorso: […] la tendenza a creare singoli rapporti ‘di coppia’, a stabilire con altri singoli poeti dei rapporti di comprensione conflittuale, di alterità complice, di particolare intensità e di straordinaria, illuminante rilevanza storico-culturale. Il rapporto Fortini-Sereni, il rapporto Fortini-Pasolini sono già molto noti […]. Ma credo che molto importanti potranno rivelarsi, quando ci sarà stato modo di conoscerli e studiarli, anche altri rapporti, altre ‘coppie’, assai meno ufficiali47. Quella Bassani-Fortini sembra essere proprio una delle coppie «meno ufficiali» di cui Raboni auspicava il recupero.

33 Le osservazioni che Fortini scrive in quanto critico sulla poesia contemporanea e, attraverso una «comprensione conflittuale» e un’«alterità complice», anche su Bassani, riflettono un’idea di poesia che Fortini ha messo a punto proprio negli anni precedenti a partire anche dalla sua stessa esperienza di poeta.

34 Il rapporto tra Bassani e Fortini, infatti, che si sviluppi sul piano critico o su quello editoriale (Bassani per tutto il decennio degli anni ’50 sarà il punto di riferimento per le pubblicazioni dei suoi testi poetici), è sempre animato dal confronto su questioni poetiche che stanno dietro a vari episodi del loro dialogo.

35 Nel caso di Fortini la convivenza del poeta accanto al critico è uno schema consueto, già sperimentato negli anni fiorentini dell’esordio letterario. Lo testimonia il fatto che lo scrittore «non nasce saggista», come nota Lenzini48, ma sperimenta prima l’attività versificatoria, pubblicando su alcune riviste fiorentine le sue liriche49, e poi, poco dopo, inaugura quella del critico, il cui debutto avviene alla fine degli anni ’30 attraverso prove dedicate anche all’analisi dei grandi poeti del periodo — basti ricordare a questo proposito i testi dedicati a Ungaretti e Quasimodo50.

36 Nel 1946, a distanza di qualche anno dalla loro composizione, le poesie scritte all’inizio degli anni ’40 destano in Fortini disorientamento e un senso di rifiuto, perché avvertite come frutto della formazione giovanile, oramai inattuale e superato. Scritte prima della guerra rappresentano un’esperienza passata, scaturita da un contesto segnato da un «disimpegno iperletterario e decadente»51, la Firenze degli anni ’30. Nota acutamente Luca Daino che c’è un elemento rivelatore della frattura creata da Fortini tra il presente del dopoguerra e la sua adolescenza e formazione nel capoluogo toscano: nella Prefazione all’edizione di Foglio di via del 1967, nel ripercorrere il suo esordio letterario, Franco Fortini, proprio per allontanarsi dal poeta giovane e inesperto usa la terza persona, passando all’adozione della prima persona solo con il sopraggiungere nel racconto del periodo della guerra52.

37 Anche per lui, come per Bassani, gli anni bellici segnerebbero una svolta, uno spartiacque, in seguito al quale si deve operare un cambiamento. Non solo le esperienze concrete della partecipazione alla Resistenza e alla Repubblica della Valdossola ma

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anche gli incontri intellettuali avvenuti durante questo periodo permettono a Fortini di emanciparsi dal suo passato e rinascere all’insegna di nuovi orizzonti intellettuali. «[…] il primo nonché fondamentale tentativo compiuto da Fortini in questa direzione è rappresentato dal suo libro d’esordio Foglio di via e altri versi», all’interno dei quali però si configurano due esperienze di differente segno53, quella della formazione fiorentina e quella dell’esilio e della lotta partigiana durante la guerra. Fortini, come spiega ancora Daino, provvede a liberarsi del suo passato poetico attraverso una precisa disposizione non cronologica dei pezzi all’interno della raccolta, ovvero inserendo le liriche anteriori all’avvento della guerra nella sezione Elegie, in posizione centrale, preceduta e seguita dalle altre due sezioni che ospitano invece i testi postbellici e resistenziali.

38 In questo modo la parte da ripudiare perde importanza e viene messa in secondo piano, delegittimata e depotenziata, rispetto ai brani che la precedono e la seguono54. Ma quali sono in particolare gli elementi di questa produzione poetica giovanile che Fortini vuole rinnegare, diminuendone l’importanza all’interno di Foglio di via? Rispondere a questo quesito aiuterà a spiegare le posizioni critiche fortiniane sulla poesia del dopoguerra dell’amico Bassani. La poesia riunita in Elegie è una poesia incentrata tutta sul dramma interiore vissuto dall’io lirico e in numerose occasioni si presenta come dialogo con un tu in absentia, dalle implicazioni sentimentali55. Come dice Daino, si tratta di una concezione egotistica56 dell’attività poetica; la voce lirica si declina attraversando la dimensione degli affetti, che sembra essere quasi totalizzante, e spesso la realtà interiore è in un rapporto idilliaco con la natura.

39 Questi sono sicuramente tratti comuni a diverse voci poetiche del Novecento, e lo stesso Bassani presenta alcune analogie con una concezione poetica di questo tipo. Facendo un breve sondaggio delle relazioni presenti tra le Elegie fortiniane e Storie dei poveri amanti, ad esempio, si riscontra una ricorrenza delle medesime immagini e occorrenze lessicali. L’amante, ad esempio, è resa con immagini rimandanti a elementi ‘celesti’ della natura (Fortini: «i cieli che schiude il tuo sguardo»57; Bassani: «tu respiri coi cieli»58); il paesaggio, con cui c’è una forte compenetrazione, è proposto da entrambi con i medesimi motivi tratti dal mondo vegetale (Fortini: «erba nuova»59; Bassani «oscura erba»60, «calde erbe infinite»61); e entrambi poi traducono in versi motivi come l’infanzia, il pianto, il sonno, per non citare che i più evocativi.

40 Ma se Bassani, nel 1952, in Poscritto, dichiarava di aver voltato pagina rispetto a Storie dei poveri amanti, il suo «rifiuto» non negava però «la possibilità di un recupero futuro»62, come nota Francesca Bartolini.

41 Nella prima sezione di Un’altra libertà, corrispondente eccetto alcune variazioni alla precedente raccolta del 1947 Te lucis ante, vengono infatti inseriti alcuni testi che F. Bartolini definisce vicini alla linea originaria63, quella della prima raccolta, brani portatori perciò di immagini campestri e temi che mostrano i diversi modi della sofferenza dell’io immerso in una natura onnipresente64. A Fortini proprio questi componimenti devono essere sembrati troppo vicini a quella produzione giovanile che lui aveva con tanta cura cercato di mettere al margine. «La seconda parte del libro (Dal profondo) ci par migliore della prima (Te lucis ante)»65 precisa infatti Fortini nella bozza della recensione a Un’altra libertà che è stata rinvenuta tra le lettere di Bassani, confermando la difficoltà ad apprezzare quanto gli ricorda linee espressive dalle quali solo poco prima egli stesso si era emancipato. Al di là di questa sentenza, il resto della bozza e la stessa recensione definitiva scritta poco dopo dimostrano il desiderio di Fortini di liquidare quegli errori giovanili: «[…] l’assonnarsi nel crepuscolo, la dolente

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umiliazione, le luci attraverso il pianto, la straziante e dolce capitolazione, la discesa verso un sonno proustiano» esistono secondo Fortini solo in dipendenza di «una situazione emozionale che mai si dialettizza con un suo diverso e contrario»66; la poesia finisce così per essere costituita da mere sospensioni emotive «che rinunziano alla interrogazione interna»67. Il pathos dell’io, secondo Fortini, è il centro dell’opera che sembra rimanere intrappolata proprio in questa dimensione solipsistica e autoreferenziale. Si è accennato poco sopra come Fortini avesse sentito sulla propria pelle questa impasse e avesse deciso di uscirne attraverso l’instaurazione di un legame tra l’io e la dimensione politica e collettiva, che nelle sezioni Gli Anni e Altri versi di Foglio di Via è ravvisabile nelle tematiche resistenziali e civili che vi sono ritratte. Per quanto riguarda il modo in cui Fortini giunge a queste consapevolezze, meriterebbe di essere messo in luce il ruolo avuto dalle teorie marxiste conosciute durante l’esilio svizzero («Ho letto Lenin e Marx / non temo la rivoluzione»)68. In effetti, se è vero che sia Bassani sia Fortini scelgono di voltare pagina dopo aver conosciuto la lotta al regime fascista e gli eventi della guerra, lo fanno però in modi diversi: mentre Fortini intraprende un percorso di rinnovamento sotto la guida dei testi sopra menzionati, Bassani sceglie una rottura meno radicale, in cui, pur essendo presente un distacco da certi elementi meramente autoreferenziali in favore di «tutta la nuova realtà» — che egli mette in primo piano «contro il ritagliato paradiso del gusto e della cultura, contro il facile paradiso degli affetti primordiali da campirsi, inevitabilmente!, su uno sfondo di idillio»69 — tuttavia intende diversamente l’idea di «verifica dell’individuo nella storia collettiva»70. In altre parole, la dimensione privata nella sua produzione lirica non è messa in discussione quanto in quella di Fortini.

42 Insomma, la recensione di Fortini a Un’altra libertà e la sua strategia critica possono essere inscritte all’interno dell’operazione di rifiuto dell’esperienza letteraria prebellica, già messa in atto nella costruzione della raccolta Foglio di Via e che il poeta- critico continua a mettere a punto nel corso di tutta la prima fase della sua poesia, passando dal piano poetico a quello critico.

«Semmai distratto recensore, son tuttavia buon lettore»71: la ricezione nella poesia di Fortini

43 Si è visto come attraverso la partecipazione all’esperienza della guerra Fortini abbia messo a punto alcuni concetti chiave della sua poetica, quello del perpetuo confronto del poeta con la Storia, ad esempio, e ne abbia rifiutati altri, come il solipsismo autoreferenziale e l’iperletterarietà con cui si era confrontato nell’età giovanile. Si è visto inoltre come tali idee sulla poesia, oltre che essere perseguite nella propria scrittura in versi, abbiano animato anche le pagine che recensiscono i poeti di quel periodo, tra cui Giorgio Bassani, al quale è rimproverato un racconto eccessivamente emozionale, non inserito in un contesto storico che trascenda l’io poetico, un racconto che offre, per dirla con Guido Mazzoni, «pochi frammenti di vita […], riducendo il mondo esterno a paesaggio, separando la prima persona dai campi di forze psichiche e sociali che la attraversano»72.

44 La fine del dopoguerra e il conseguente cambiamento della realtà storica costringono però il poeta Fortini a modificare di nuovo la direzione del suo lavoro in versi. Pur mantenendo ferme le riflessioni poetiche conseguite in seguito all’esperienza bellica, chiusa la stagione della Resistenza e «venendo meno lo scenario storico del conflitto,

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con il suo portato d’immagini apocalittiche»73, il poeta, come scrive Diaco, «si ritrae come l’uomo di cultura solo e insonne che continua a scrivere […]; dal momento che l’azione gli è preclusa deve accontentarsi di descrivere e riflettere»74. Pertanto nelle poesie degli anni ’50 in primo piano è di nuovo presente l’io: «è Il ritorno — così s’intitola la prima sezione di Al poco lume — […], ad una dimensione privata ed esistenziale»75.

45 Nei versi scritti tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 si riflette perciò questa trasformazione del carattere poetico fortiniano, ovviamente non da intendersi come un ritorno all’esperienza giovanile — Fortini ha ormai superato definitivamente i versi delle Elegie — ma come un allentamento del serrato confronto con la Storia, al fine di concentrarsi e prendersi cura della sfera legata alla propria vita interiore. Per non confondere la poesia della sezione elegiaca di Foglio di via con la strategia poetica che regola gli anni successivi, a cavallo tra la fine dei ’40 e l’inizio dei ’50, è utile la definizione che offre Diaco nel suo studio, per il quale il lavoro di questi anni sarebbe una «correzione esistenzialista allo storicismo»76. I versi si riempiono infatti di interrogativi di stampo etico, di riflessioni metaletterarie, di lunghi sguardi che contemplano quanto accade fuori e vi riflettono sopra77. Il poeta è da solo, non più inserito in una collettività, come era invece in gran parte di Foglio di via, e da questa posizione di isolamento nasce un canto di impronta più individuale.

46 Avviandoci a concludere, sembra allora lecito avanzare l’ipotesi che in questa fase il poeta fiorentino abbia potuto approdare a una nuova poetica proprio grazie alla ricezione critica di Bassani. In altre parole, Bassani sarebbe stato un utile termine di confronto per l’operazione poetica di stampo esistenzialista che Fortini desidera mettere in atto.

47 Il poeta fiorentino, del resto, confessa apertamente all’amico il suo desiderio di rinnovamento in una lettera del 1949: «[…] c’è tutto da rifare, la maggior parte dei miei versi non resiste a una vera severità, e la cosa che resta da fare è scriverne di migliori […]»78.

48 Fortini, chiedendo consigli («[…] Il “Falso sonetto” ha gli ultimi due versi che mi fanno impazzire. Vedi tu, anche qui, di usare quel che credi in sostituzione di quel che ti pare meglio»)79 e giudizi («Caro Bassani, non invitato, ma su consiglio di Soavi, ti mando otto poesie. Ti prego di scrivermene qualcosa»)80 sul suo lavoro, riesce in effetti nel suo intento e anima con nuove questioni la sua poesia: una di queste è «il ricordo dell’infanzia e […] l’irruzione di un tempo ‘altro’, carico di futuro»81 che, come nota Lenzini, è presente nella poesia Per questa luce, composta nel 1950.

49 Tema che in quegli stessi mesi anche Bassani affronta proprio nella sezione della raccolta Un’altra libertà giudicata migliore da Fortini, ovvero Dal Profondo. Ad esempio la poesia L’alba ai vetri del 1950 lo sviluppa enfatizzando come l’arrivo del futuro comporti la fine di un’epoca passata e sia fonte di dolore per il poeta: […] Eri tu che passavi, vita, tu, vita mia, tu che sopravvenivi, innocente futuro. «Empio evo venturo che premi dalle porte» dicevo io, con lacrime più soavi che amare, «dimentica il mio nome […]»82. Nelle pagine di Dal Profondo più volte ricorre il desiderio di tornare all’«isola del passato»83, che l’«avvenire»84 rischia di portare via, e quello di trattenere «i primi ricordi che la febbre degli anni» rischia di mettere a tacere85.

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50 Questi versi sembrano condividere con alcune liriche di Fortini del 1950 una posizione comune sul rapporto con il futuro. In Per questa luce, appunto, si legge di uno stato di attesa del poeta che tremante aspetta, stringendo la mano di una persona a lui vicina.

51 Che il tema dell’infanzia e quello del sopraggiungere del futuro siano cari a Fortini si può notare anche dal fatto che ritornano nell’ultimo accenno critico sulla poesia bassaniana, pubblicato nel 1960 sulla rivista «Il Menabò». In questa sede il critico si sofferma proprio sul senso più profondo che alberga nella raccolta Un’altra libertà, su quel «tremore vero, un vero infantile pianto di adulto, in quegli angoli di giardino paradisiaci, in quel passare della vita tra i pifferi di un “empio evo venturo”»86. Se si osserva con attenzione la costruzione del periodo, traspare un diretto coinvolgimento del Fortini poeta.

52 Infatti, se tutte quelle menzionate in questo passo sono immagini tratte da poesie bassaniane, il primo elemento dell’elenco, il «tremore vero», fa eccezione, non risultando essere una figura del repertorio dal poeta ferrarese87. È stato invece notato da Lenzini e Diaco come tale lemma sia caratteristico di alcune poesie fortiniane dell’inizio degli anni ’50 relative proprio al senso di attesa e all’arrivo del futuro88.

53 Con l’atto simbolico di scegliere una parola proveniente dal proprio immaginario poetico per ritrarre la poesia di Bassani si conclude il capitolo della critica di Fortini sulla poesia dell’amico.

54 L’occorrenza citata sembra suggerire l’esistenza di una zona di contatto tra i due autori: il poeta Fortini all’inizio degli anni ’50 aveva forse già capito che «il solo modo serio di dire “noi” è dire “io”»89 e aveva individuato in Bassani uno dei compagni con cui concretizzare in versi quella momentanea immersione nella propria esperienza, prima di tornare a occuparsi dei «destini generali»90 del suo tempo. Del resto Fortini, consapevole di non averlo dimostrato sul fronte critico, in una lettera aveva tenuto a precisare quanto prezioso considerasse il confronto poetico con l’amico: «Ti prego di credere alla mia stima; da poeta a poeta, se non son parole troppo grosse»91.

NOTE

1. La frase è tratta da una lettera che Fortini invia a Bassani il 25 marzo 1952. Attualmente è conservata presso l’Archivio dello scrittore fiorentino, donato nel 1994 dagli eredi al Centro Studi Franco Fortini e custodito presso la Biblioteca di Lettere dell’Università di Siena. Ringrazio il prof. Lenzini, direttore dell’Archivio del Centro Studi Fortini, e la dott.ssa Nencini per la disponibilità con cui mi hanno permesso di consultare, studiare e citare il materiale epistolare conservato a Siena. Inoltre sono riconoscente a Paola Bassani e al fratello Enrico per avermi concesso di studiare e riportare in questa sede alcune parti della corrispondenza del padre. Ringrazio anche Paolo Lagazzi che mi ha gentilmente concesso di citare la corrispondenza di Attilio Bertolucci con lo scrittore ferrarese, permettendo di sciogliere alcui nodi attorno alla storia dei testi critici di Franco Fortini sull’opera di Bassani. 2. M. Luzi, De amicitia (quadam), in C. Fini (a cura di), Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia nel sessantesimo dell’autore, Padova, Liviana Editrice, 1980, p. 116.

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3. «Calvino, Pasolini, Sereni, in Fortini avvertirono non il lettore-fiancheggiatore o un pur acutissimo interprete, ma l’interlocutore-antagonista di cui avevano bisogno per far avanzare la propria ricerca creativa» (L. Lenzini, Introduzione a Fortini saggista, in Id., Un’antica promessa, Macerata, Quodlibet, 2013, p. 43). Al rapporto tra Franco Fortini e Vittorio Sereni Luca Lenzini ha dedicato anche un altro contributo, Due destini. Sul carteggio Sereni-Fortini, in R. Esposito (a cura di), Vittorio Sereni, un altro compleanno, Milano, Ledizioni, 2014, pp. 299-315. 4. Nel 2011 Paola Italia, in uno studio sui materiali dal carteggio Bassani-Fortini che erano accessibili a quell’altezza, offriva anche una panoramica sulle recensioni fortiniane a Bassani, in particolare quelle dedicate a Una lapide in via Mazzini, Gli ultimi anni di Clelia Trotti e Il giardino dei Finzi Contini. Si rinvia a P. Italia, Tra poesia e prosa: un percorso dal carteggio Bassani-Fortini (1949-1970), in A. Perli (a cura di), Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2011, pp. 57-80. Inoltre, nel 2015 Raffaele Manica ha preso in esame la recensione fortiniana al Giardino all’interno del suo lavoro dedicato alla riscrittura che Bassani ha compiuto del romanzo di Micòl (il testo è consultabile a questo link ). 5. F. Fortini, Poesia di Bassani, in Bibliografia letteraria, «Comunità», a. VI, no 74, giugno 1952, pp. 73-77. 6. F. Fortini, Bassani e D’Arzo, in Narrativa dell’annata, in Bibliografia letteraria, a cura di F. Fortini, «Comunità», a. VII, no 20, settembre 1953, p. 46. 7. F. Fortini., Lettera. I racconti di Bassani, «Lo Spettatore Italiano», a. VIII, 7 luglio 1955, pp. 296-298. 8. F. Fortini, «Dal nulla tutti i fiori: il romanzo di Bassani», «Comunità», a. XVI, marzo-aprile 1962, pp. 42-46, poi in Saggi italiani, Bari, De Donato, 1974, ora in Saggi ed epigrammi, cit., pp. 709-719. 9. L’espressione è tratta da una lettera inviata da Fortini a Bassani il 4 gennaio 1951. Attualmente è conservata presso l’Archivio Eredi Bassani, sito a Parigi. Già studiato da Paola Italia nel 2011 (Tra poesia e prosa: un percorso dal carteggio Bassani-Fortini (1949-1970), cit., pp. 67-80) e da L. Daino (Come nasce un libro di poesia? Bassani e Sereni editori e poeti, in I. Crotti, E. Del Tedesco, R. Ricorda e A. Zava (a cura di), Autori, lettori e mercato della modernità letteraria, Pisa, ETS, 2011, pp. 211-220), è di prossima pubblicazione l’edizione integrale e commentata del carteggio, a cura di chi scrive. 10. F. Fortini, Su questo momento di poesia, in Bibliografia letteraria, a cura di F. Fortini, «Comunità», a. IV, no 9, settembre-ottobre 1950, pp. 63-67; F. Fortini, Schedario, «Avanti!», 2 novembre 1950, p. 3. 11. F. Fortini, Le poesie italiane di questi anni, «Il Menabò», no 2, 1960, pp. 103-142. Il testo sarà poi ripreso in Saggi italiani, Bari, De Donato, 1974. 12. Oltre ai documenti utili per uno studio della ricezione di Bassani da parte degli intellettuali del suo tempo, come Fortini, anche il carteggio Bassani-Fortini è stato arricchito da nuova documentazione, cinquanta nuove lettere, rinvenute grazie al recente lavoro di riordino del Fondo Epistolare Bassani condotto dalla sottoscritta, da Lucia Bachelet, Silvia Datteroni, Costanzo Cafaro, Brigitta Loconte. Vorrei ringraziare Paola Bassani e il fratello Enrico, che si occupano del patrimonio documentario del padre, assicurandone una sempre maggiore divulgazione, e la Prof.ssa Paola Italia che ha diretto i lavori archivistici, permettendo di avanzare così nelle ricerche su questo autore. 13. F. Fortini, Contro il «Gattopardo», in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, pp.720-730. 14. G. Bassani, Prefazione, in G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Milano, Feltrinelli, 1958, pp. 7-13, poi in G. Bassani, Opere, a cura di R. Cotroneo e P. Italia, Milano, Mondadori, 2009, pp. 1156-1161. 15. F. Fortini, Su questo momento di poesia, cit., pp. 63-67; F. Fortini, Schedario, cit., p. 3; F. Fortini, Poesia di Bassani, cit., pp. 73-77.

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16. G. Marchi, Una città di pianura, Milano, Officina d’Arte Grafica A. Lucini & Co, 1940. All’interno del volume prevale la prosa, ma Bassani vi inserisce anche una poesia, Ancora dei poveri amanti, pp. 133-135. 17. Questo non vuol dire che la prosa scompaia dall’officina bassaniana. Sebbene non escano in volume, in realtà alcune prose narrative dello scrittore ferrarese appaiono sui periodici e sui quotidiani del dopoguerra (cfr. nota seguente). 18. G. Bassani, La passeggiata prima di cena, Firenze, Sansoni, 1953. I racconti di questa raccolta — Storia d’amore (rielaborazione della precedente Storia di Debora e stesura che precede di qualche anno Lida Mantovani), La passeggiata prima di cena e Una lapide in Via Mazzini — erano usciti sulla rivista «Botteghe oscure» tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, rispettivamente nel 1948 sul I Quaderno, nel 1951 sul VII, nel 1952 sul X; inoltre alcuni racconti più brevi appaiono anche su quotidiani e periodici della stampa postbellica (è il caso, ad esempio, dei racconti che nel 1972 confluiranno nel volume L’odore del fieno: Il muretto di cinta, «Il Mondo», 6 aprile 1946, p. 7 e Meat and vegetables, «Il Popolo», 22 agosto 1946, p. 3). Lo scrittore perciò in questa fase sceglie due diverse strategie: per quanto riguarda la prosa, pubblica in modo sparso i suoi lavori in diverse sedi, mentre per quanto riguarda la poesia riunisce in volumi le liriche scritte negli anni precedenti. 19. G. Bassani, Storie dei poveri amanti e altri versi, Roma, Astrolabio, 1945; Te lucis ante, Roma, Ubaldini, 1947; Un’altra libertà, Milano, Mondadori, 1951. 20. La raccolta Un’altra libertà è suddivisa in due sezioni; la prima è appunto la ripresa di molte poesie della precedente Te lucis ante ed è dedicata a Dinda e Niccolò Gallo. La seconda sezione si intitola Dal Profondo ed è dedicata a Marguerite Caetani. 21. F. Fortini, Su questo momento di poesia, cit., p. 64. 22. «Le note precedenti sono state redatte […] soprattutto tenendo presenti le riviste che pubblicano poesia contemporanea. Fra queste, i numeri 3, 4 e 5 di “Botteghe oscure”, semestralmente edita a Roma […]» (ibid.). 23. G. Bassani, Quattro poesie, «Botteghe oscure», no V, II semestre 1950, pp. 90-91. Con i titoli: Villa glori, Angelus, L’alba ai vetri, Sogno le poesie verranno raccolte in Id., L’alba ai vetri, Torino, Einaudi, 1963. 24. Cfr. P. Italia, Notizie sui testi, in G. Bassani, Opere, cit., p. 1780. 25. «Nella primavera del ’42, il primo impulso a scrivere versi mi venne, più che dalla vita e dalla realtà, dalla cultura. Da tempo mi avevano colpito le poesie di due vecchi compagni d’università, Francesco Arcangeli e Antonio Rinaldi […]. Seguivo oltre a ciò i miei amici storici dell’arte, lo stesso Francesco Arcangeli, Giuseppe Raimondi, Carlo Ludovico Ragghianti, Cesare Gnudi, Giancarlo Cavalli, sulle tracce dei pittori ferraresi» (G. Bassani, Poscritto, in Id., Opere, cit., pp. 1162-1163). 26. Ivi, p. 1165. 27. F. Bartolini, Le prime raccolte poetiche di Bassani, in S. Amrani e M. P. De Paulis-Dalembert (a cura di), Bassani nel suo secolo, Ravenna, Giorgio Pozzi editore, 2017, p. 169. 28. Ivi, p. 167. 29. Ivi, p. 168. 30. J. Nimis, Lirismo dell’impegno nella prima stagione poetica, in Bassani nel suo secolo, cit., p. 183. 31. G. Bassani, Un’altra libertà, cit., p. 53. La poesia apparirà poi con il titolo Angelus nella raccolta L’alba ai vetri, Torino, Einaudi, 1963, p. 71. Con lo stesso titolo si trova all’interno di In rima e senza, in Opere, cit., p. 1398. 32. G. Bassani, Poscritto, in Id., Opere, cit., p. 1165. 33. F. Fortini, Su questo momento di poesia, cit., p. 64. 34. G. Bassani, Poscritto, in Id., Opere, cit., p. 1165. 35. Cfr. F. Erbosi, Lettere tra Giorgio Bassani e Attilio Bertolucci (1937-1971), Tesi di laurea triennale svolta presso l’Università La Sapienza, sotto la guida della Prof.ssa P. Italia, a/a 2014/2015.

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È prevista per il 2018 la pubblicazione dell’edizione integrale del carteggio e il testo di una relazione sul rapporto tra Bassani e Bertolucci tenuta al convegno per il Centenario di Bassani nel novembre 2017 a Roma. Ringrazio Flavia Erbosi per avermi segnalato i due passi della corrispondenza tra Bassani e Bertolucci che saranno riportati. 36. F. Erbosi, Lettere tra Giorgio Bassani e Attilio Bertolucci (1937-1971), cit., p. 112. Le lettere di G. Bassani ad A. Bertolucci sono conservate presso l’Archivio di Stato di Parma. 37. Ivi, p. 111. 38. F. Fortini, Schedario, cit., p. 3. 39. Bassani venne giudicato da una giuria letteraria composta da Betocchi, Bo, De Robertis, Falqui, Flora, Piccioni e Vittorini che doveva scegliere, tra 345 opere concorrenti, oltre alla vincitrice, cinque da premiare con un premio in denaro. Bassani ottenne il terzo posto tra le opere segnalate e vinse 150 000 lire. Si ricordano tra i presenti le più alte cariche dello Stato: il Presidente del consiglio De Gasperi, il Ministro dell’Istruzione Gonella, il Presidente del Senato Bonomi e il Presidente della Camera Gronchi. Per la cronaca della premiazione si rinvia all’articolo Lauree in Campidoglio. Ungaretti, Betti, Rossellini vincitori dei Premi Roma 1949, «La Fiera letteraria», 19 marzo 1950, p. 1. 40. P. Italia, Tra poesia e prosa: un percorso dal carteggio Bassani-Fortini (1949-1970), cit., p. 62. 41. G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), Tesi di laurea magistrale svolta presso l’Università La Sapienza, sotto la guida della Prof.ssa P. Italia, a/a 2015/2016, p. 88. 42. Ivi, p. 168. 43. P. Italia, Tra poesia e prosa: un percorso dal carteggio Bassani-Fortini (1949-1970), cit., p. 62. 44. «[…] l’atteggiamento tipico di Bassani, luci fra lacrime, ha più ambiziose ascendenze, petrarchesche (“fanno le luci mie di piagner vaghe”) raciniane (“J’ai langui, j’ai séché dans les yeux, dans les larmes”) e leopardiane (“non brillin gli occhi tuoi se non di pianto”)» (G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), cit., p. 168). 45. Ivi, p. 93. 46. F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, Macerata, Quodlibet, 2017, p. 71. 47. G. Raboni, Intellettuale e poeta, «L’Immaginazione», no 130, giugno 1996, p. 14. Ora in F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, cit., p. 51. 48. L. Lenzini, Introduzione a Fortini saggista, cit., p. 25. 49. In particolare pubblica i testi su «La Riforma letteraria» di G. Noventa, come si può leggere nella Bibliografia delle opere fortiniane (Indici per Fortini. Con due contributi di Franco Fortini, a cura di C. Fini, L. Lenzini e P. Mondelli, Firenze, Le Monnier, 1989, p. 34). 50. F. Fortini, Solitudine di Ungaretti, Solitudine di Quasimodo, «La Riforma letteraria», no 28, aprile 1939, pp. 6-11. 51. L. Daino, Un’interpretazione partigiana del passato, ACME-Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Milano, vol. LX, no 1, gennaio-aprile 2007, p. 211. 52. Ibid. 53. Ivi, p. 212. 54. Ivi, p. 217. 55. B. De Luca (a cura di), Foglio di via e altri versi di Franco Fortini. Edizione critica e commentata, Tesi di dottorato svolta presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, a/a 2015/2016, p. 139. 56. L. Daino, Un’interpretazione partigiana del passato, cit., p. 216. 57. B. De Luca (a cura di), Foglio di via e altri versi di Franco Fortini. Edizione critica e commentata, cit., p. 143. 58. G. Bassani, Storie dei poveri amati, e altri versi, Roma, Astrolabio, 1945, p. 5. 59. B. De Luca (a cura di), Foglio di via e altri versi di Franco Fortini. Edizione critica e commentata, cit., p. 176.

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60. G. Bassani, Dopo la sagra, in Id., Storie dei poveri amanti e altri versi, cit., p. 16; la poesia apre la raccolta L’alba ai vetri, cit., p. 11, con titolo diverso, Dopo la sagra di San Giorgio. 61. Ivi, p. 17. 62. F. Bartolini, Le prime raccolte poetiche di Bassani, cit., p. 178. 63. Ivi, p. 176. 64. Ivi, p. 177. 65. G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), cit., p. 169. 66. F. Fortini, Poesia di Bassani, cit., p. 76. 67. Ibid. 68. F. Fortini, Quel giovane tedesco, in Id., Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2014, p. 76. 69. G. Bassani, Poscritto, cit., p. 1165. 70. F. Fortini, Prefazione, in Foglio di via e altri versi, Torino, Einaudi, 19672 (ed. origin. 1946), p. 8. 71. Fortini scrive questa frase nella lettera a Bassani del 4 gennaio 1951 (G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), cit., p. 78). 72. G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, Bologna, Il Mulino, 2015 (I ed. 2005), p. 204. 73. F. Fortini, Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini, cit., p. XIV. 74. F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, cit., p. 132. 75. L. Lenzini, Traducendo Brecht, in Id., Il poeta di nome Fortini, Lecce, Manni, 1999, p. 129. 76. F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, cit., p. 137. 77. L. Lenzini, Traducendo Brecht, cit., p. 130. 78. G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), cit., p. 68. 79. Ibid. 80. Ivi, p. 78. 81. L. Lenzini, Traducendo Brecht, cit., p. 131. 82. G. Bassani, L’alba ai vetri, in Id., Un’altra libertà, cit., p. 54. 83. G. Bassani, Perché dall’avvenire, ivi, p. 50. 84. Ibid. 85. G. Bassani, Come i primi ricordi, ivi, p. 62. 86. F. Fortini, Le poesie italiane di questi anni, in Saggi italiani, cit., poi in Saggi ed epigrammi, cit., pp. 548-606. 87. In Un’altra libertà Bassani solo in due circostanze (E non resti di me che un grido, p. 46 e Perché dall’avvenire, p. 50) usa parole della stessa radice (rispettivamente «tremito» e «tremante») ma mai «tremore». 88. Cfr. L. Lenzini, Traducendo Brecht, cit., p. 131 e F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, cit., p. 134. 89. F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, cit., p. 30. 90. I destini generali è il titolo di una poesia (F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 177) e di una plaquette di versi fortiniani (F. Fortini, I Destini generali. Con uno scritto di poetica, Caltanissetta, Sciascia editore, 1956). 91. G. Litrico, «Poor wounded soul!». Il carteggio tra Giorgio Bassani e Franco Fortini (1949-1970), cit., p. 154.

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RIASSUNTI

Alla luce dei nuovi documenti emersi dall’Archivio epistolare di Giorgio Bassani, il saggio propone un esame della riflessione critica di Franco Fortini intorno alle opere dello scrittore ferrarese. L’obiettivo di questo studio è mettere a fuoco i primi anni del dialogo critico tra Bassani e Fortini, e in particolare il biennio 1950-1952, durante il quale lo sguardo di Fortini si sofferma sulle raccolte poetiche Te lucis ante (1947) e Un’altra libertà (1951). Nella prima parte del saggio si è ricostruito il punto di vista di Bassani sugli scritti fortiniani relativi alla sua poesia e si è avanzata l’ipotesi che il testo di Bassani Poscritto (1952) sia stato ideato proprio in seguito alle discussioni avute con l’amico. Nella seconda parte si sono ricostruite le ragioni delle critiche mosse da Fortini a Bassani, ragioni legate alla sua esperienza poetica prebellica. Infine, si è tentato di verificare come, al di là di quelle critiche, la produzione poetica di Fortini in quegli anni porti a sua volta le tracce del dialogo con Bassani.

Cet essai, qui s’appuie sur les documents récemment repérés dans les archives Bassani à Paris (« Archivio Eredi Bassani ») propose une analyse des études critiques consacrées par Fortini aux deux premiers recueils poétiques de Bassani : Te lucis ante (1947) et Un’altra libertà (1951). La première partie de l’étude se focalise sur la réaction de Bassani aux comptes rendus de Fortini et avance l’hypothèse que le Poscritto rédigé par Bassani en 1952, ait été conçu par l’auteur comme une réponse aux objections de son ami. La deuxième partie s’efforce d’expliquer l’attitude critique de Fortini vis-à-vis de Bassani par l’évolution de sa propre poétique ainsi que par sa volonté de se démarquer des poèmes que lui-même avait écrits avant la guerre. Il semble néanmoins que le débat entre les deux poètes a aussi laissé des traces dans la production poétique de Fortini.

This essay, based on documents from Bassani’s archives in Paris (“Archivio Eredi Bassani”), proposes an analysis of Fortini’s published reviews and private commentaries on Bassani’s work. The essay focuses on the first years of the critical dialogue between the two poets, a period of a couple of years (1950–1952), during which Fortini examined the two early poetical collections of his friend: Te lucis ante (1947) and Un’altra libertà (1951). The first part of the discussion concentrates on Bassani’s response to Fortini’s writings on his poetry and suggests that Bassani’s 1952 Poscritto may have been written as a reaction to his friend’s criticism and as an attempt to justify his own poetry. The second part examines the context within which Fortini criticizes Bassani’s poetry. On the one hand, Fortini’s objections to Bassani may be regarded as a way for him to distance himself from his own pre-war poetry. On the other hand, the evolution of Fortini’s poetry in the following years suggests that Bassani may have had, after all, some positive impact on Fortini’s conception and practice of poetry.

INDICE

Mots-clés : poésie du XXe siècle, archives littéraires, Te lucis ante, Un’altra libertà, Foglio di Via, Poscritto, littérature d’après-guerre, «Comunità», «Avanti!» Parole chiave : poesia del Novecento, archivi d’autore, Te lucis ante, Un’altra libertà, Foglio di Via, Poscritto, letteratura del dopoguerra, «Comunità», «Avanti!» Keywords : 20th century poetry, literary archives, Te lucis ante, Un’altra libertà, Foglio di Via, Poscritto, postwar literature, “Comunità”, “Avanti!”

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AUTORE

GAIA LITRICO Sapienza università di Roma

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«Tentato storicismo»: Enzo Siciliano lettore indocile di Bassani “Tentato storicismo”: Enzo Siciliano Uncomfortable Reader of Bassani « Tentato storicismo » : Enzo Siciliano lecteur indocile de Bassani

Valter Leonardo Puccetti

1 Niccolò Gallo presentò Enzo Siciliano, appena laureato in filosofia e fattosi conoscere per una recensione delle Ceneri di Gramsci di Pasolini, a Giorgio Bassani 1 che lo introdusse nella rivista «Paragone» (dove Siciliano pubblicò il racconto Un’avventura mancata, poi estromesso dalla sua opera prima in volume in cui figura invece Il ricatto, uscito sulla stessa rivista), ne mediò l’amicizia coi Bertolucci, Attilio e il figlio Bernardo2, ne pubblicò la traduzione di Tarr di Wyndham Lewis per Feltrinelli, di cui Bassani era direttore editoriale de facto, ne lesse i primi racconti che apprezzò ma sottopose, prima di pubblicarli nel volume Racconti ambigui, a un crivello estenuante di correzioni, come era solito fare. Ecco il ricordo di Antonio Debenedetti: Una volta, incrociando Enzo Siciliano che usciva da un incontro con Giorgio, intento a rivedere i Racconti ambigui che avrebbe poi pubblicato in una collana da lui diretta, lo trovai con le occhiaie che gli arrivavano al mento, stanchissimo, quasi incapace di parlare. Che cosa fosse successo posso solo ricostruirlo e immaginarlo sulla base di esperienze personali. Bassani editor poteva a volte, decidendolo all’improvviso, mettersi a leggere con voce piena e forte un tuo capoverso facendo delle sottolineature con la sua dizione. Quella lettura diventava all’improvviso uno specchio nel quale vedevi riflessi, ingigantiti e finalmente lampanti certi tuoi difetti naturali […] Ti rendevi conto di quelli che difetti non erano ma anzi costituivano delle tue prerogative da non disprezzare anche se potevano inquietare per la loro originalità. Saltavano purtroppo fuori anche le goffaggini, peggio i malvezzi nati dal poco rispetto di sé o da una sottovalutazione del proprio lavoro di scrittore3.

2 La pedagogia editoriale di Bassani, ricorda ancora Debenedetti, era allusiva e per così dire gestaltica, non puntuale, non ‘illuministica’, e mirava a una rivisitazione contestuale dell’‘errore’: Bassani finiva così con l’insegnare moltissimo ma a un prezzo davvero alto. «Che cosa ho sbagliato?» ti chiedevi dopo un incontro con lui, senza saperti dare risposta […] Bassani te lo avrebbe detto ma non subito, non banalmente e in tempo perché

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tu ti potessi servire rapacemente dell’ammaestramento appena ricevuto, correndo ai ripari e correggendo il tuo sbaglio senza però avere imparato la lezione4.

3 C’è da chiedersi quanto, di quell’esperienza, sia stato drenato, tanti anni dopo, in queste osservazioni quasi aforistiche di Siciliano, contenute in una recensione a un’altra opera prima, Procida di Cordelli, di cui Siciliano fu pigmalione, osservazioni che sembrano muovere da un crocianesimo tollerante, avalutativo, evoluto, che (come vedremo più avanti) è il vero ponte fra la poetica bassaniana e quella di Siciliano: All’editing, personalmente, non credo. I dattiloscritti o vanno restituiti tali quali sono, o vanno passati in tipografia, quando li si giudichi degni di stampa. Le loro opacità sono la loro vita. I figli nati non belli non possono venire rispediti al creatore perché gli dia una mano di bianco e li accomodi al nostro gusto: nella loro natura c’è già il segno di una definita e innegabile individualità. E dall’imperfezione può nascere, in prospettiva, la salute, una vita diversa5.

4 Il magistero bassaniano era induttivo, dal puntillismo grammaticale («Bassani lesse, mi parve soddisfatto. Le sue mani si tenevano ferme al piano della scrivania, ma un indice si sollevava. Avevo usato un “sia… che”. Con una certa stizza, Bassani mi disse che in italiano si scrive “sia… sia”. Mi parve un’osservazione indolore. Avevo ventiquattro anni, da due insegnavo filosofia in un liceo: presi a stigmatizzare i miei studenti con una serie caparbia di “sia… sia”»)6 faceva risalire, nella coscienza dello scrittore consigliato e corretto, al massimo sistema: «Quei racconti che Bassani scartava, io li distruggevo — ciò avveniva non per compiacere lui, piuttosto perché mi accorgevo che quanto lui scartava era manchevole anzitutto dentro di me. Scrivere si tramutava in una ininterrotta scoperta di me stesso — un saldo che non si è mai chiuso da allora»7.

5 La conoscenza personale di Bassani, da parte di Siciliano, fu praticamente contemporanea alla scoperta di Bassani scrittore, che a distanza di anni Siciliano confessò su di lui influentissima: «Lessi quel racconto e me ne infatuai. Quella mia infatuazione, quella febbre tutta postadolescenziale che si può vivere quando si è intorno ai vent’anni e che fa callo per esuberanza col piacere della letteratura […] insomma la lettura degli Occhiali d’oro cambiò il mio registro di valutazioni e interessi»8. Nei Racconti ambigui, è difficile non riconoscere l’ombra del Fadigati degli Occhiali d’oro — primo protagonista di queer novel della letteratura italiana — nell’omosessuale Holt 9, intellettuale tedesco come lo Aschenbach della manniana Morte a Venezia ma anche ideale nipotino di Goethe e di Winckelmann sacralmente entusiasti di Roma e che muore in circostanze che anticipano in modo inquietante quelle della morte di Pasolini (tutte cose che finora non mi sembrano mai state notate dall’esigua critica addetta all’opera narrativa di Siciliano), di quel Pasolini che di Siciliano fu amico fin dagli anni di giovinezza di questi. E fu Pasolini, recensendo Autobiografia letteraria, la raccolta di saggi critici che conteneva il saggio su Bassani che sarà oggetto della più parte del nostro saggio, a legare maliziosamente Siciliano al Bassani divenuto vetrino d’analisi per la sua antica preda di talent scout, e ciò attraverso la figura di Fadigati e con un rovesciamento dialettico fra il vecchio e il giovane, tra realtà e finzione: Ha scelto, mettiamo, l’impegno (la storia), ma sapendo benissimo che il limite di tale scelta è il pragma e l’ipocrisia. Il segno sotto cui avviene l’urto drammatico delle sue contraddizioni (sia pur accettate!) è la cattiva coscienza. Nella straordinaria requisitoria su Bassani […] egli discute con se stesso: e si capisce abbastanza come Bassani sia rimasto offeso da queste pagine, che lo prendono, del resto tanto genialmente, a pretesto […] Ammettiamo che Fadigati sia rinato sotto forma di un giovane moderno, operante negli anni Sessanta, in qualche modo ‘diverso’ (la sensibilità eccessiva del poeta, ecc.), che prenda a sua volta a pretesto

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di una sua correlazione dimostrativa Bassani, come Bassani aveva tanti anni prima a tale scopo preso lui. E che questo Fadigati critico analizzi se stesso, il proprio rapporto di colpevole connivenza coi padri miti, la propria incapacità di condannare il loro masochismo (la loro volontà a esser vittime del fascismo), la propria tendenza ad avere nostalgia della loro condizione — poetica perché profondamente precaria — di integrati10.

6 Curioso, a tal proposito, che in un’acuta recensione dei Racconti ambigui, già metaforizzasse sotto segno femmineo la prosa di Siciliano, leggendovi il controcanto in falsetto, la critica interna ai temi decadentistici declassati presso la piccola borghesia (ma segretamente, implicitamente cari all’autore…) nei racconti dell’amico11 Enzo: […] la prosa di Siciliano, piena di vezzi e ricca di isterie, ora frascheggia con gli aggettivi, ora civetta coi verbi, e sempre divaga, querula e rumorosa — non sta mai zitta la prosa di Siciliano — simile alle motorette negli ingorghi, sempre su di giri […] si capisce anche l’ilarità di quella prosa, che smentisce il tema: mentre lo scrittore elargisce alla popolazione anonima dei suoi impiegati, delle sue professioniste, dei suoi squallidi poveri diavoli il pasto che era loro vietato, mentre li rende partecipi della ‘vita’, nello stesso tempo insinua un sospetto, fischietta un interrogativo, finge di non capire, divaga, e poi ammicca come chi la sa lunga, si fa beffardo: ma è chiaro, la sua ottica è decadente, ma è anche piccolo borghese, è anche ‘italiana’, quei grandi miti sono una balla, una balla da privilegiati, un’enorme turlupinatura […] perché Siciliano ama quei privilegi, ama, anzi vuole, lui proprio, l’ambigua vita dello spirito, e teme di perderle, le sue belle e tenebrose tentazioni di decadente12.

7 E’ vero che anche Giacomo Debenedetti, al dire di Siciliano, ravvisò fecondità di dissociazione interna nei Racconti ambigui: «L’originalità del libro, mi disse, consisteva nel fatto che lo scrittore vi si era posto in negativo nei confronti di se stesso, nei confronti del suo stile possibile. Crisi dell’io come crisi di un personaggio eventuale — o difficoltà nell’accettazione della psicologia»13. Ma più che mai notevole è che, quasi rendendo pariglia in termine d’elogio e quasi ricordando sotto traccia la recensione di Garboli ai suoi primi racconti, Siciliano individuasse nel rovesciamento dialettico la chiave del far critica letteraria dell’amico: «nessuno meglio di Garboli sa ragionare sui “partiti tecnici”, anche se per vederli smossi, addirittura sfottuti, da qualcosa che sta più in profondo di essi e di cui essi sono epifania talvolta inconsapevole»14, «l’indagine di Garboli è governata da criteri dialettici o, meglio, dal criterio della negazione, che per Freud era il segno distintivo dell’atto del conoscere»15, e soprattutto Quanto piace a Garboli scoprire l’istinto della persona in atto di sovvertire le maschere stilistiche, e dare espressione a qualcosa che elude la costruzione, il progetto! Affrontando in maniera spietata e diretta il problema dell’individualità, Garboli sguscia via dalle strettoie del romanticismo, proprio perché non chiede mai all’opera di dar voce al Volkgeist (un critico, finalmente!, per niente platonizzante)16.

8 Tornando alla quota femminile, o di Anima junghiana, attribuita sia da Pasolini sia da Garboli all’intelligenza creatrice e critica di Siciliano, non meno curioso è che, vent’anni dopo, nel forte delle polemiche susseguite alle rivelazioni17, da parte di Siciliano, circa le prevaricazioni e i complotti della ‘corte’ neoavanguardista di Giangiacomo Feltrinelli che portarono nel 1963 alla cacciata di Bassani dalla casa editrice18, per due volte , al pari di Pasolini omosessuale, in difetto di argomenti alludesse volgarmente a Siciliano con epiteto di genere19. Contro il Gruppo ’63, che in Arbasino aveva esponente di spicco, Siciliano nel 1965 aveva del resto avventato un libro, Prima della poesia, vigorosamente panflettistico già dal titolo

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(la neoavanguardia come eterno, irrisolto prolegomeno all’opera, un «prima» progettuale che non finalizza mai, un’impalcatura davanti al nulla: «fra progetto e opera, ho sempre scelto l’opera», opporrà Siciliano in un’intervista del 1992)20: è il momento di massima sintonia con la poetica e con le posizioni critiche di Bassani, quali manifestate in una celebre, fremente intervista21 del ferrarese di quegli anni, dopo la clamorosa affaire con Feltrinelli, finita peraltro nelle aule dei tribunali e cui abbiamo già accennato, con tanto di accuse a Bassani di elegismo consolatorio, «Liala ’60» e altre perfidie strumentali e strategicamente screditanti. Un libro, Prima della poesia, che in molti luoghi appare acutamente parafrastico delle ironiche demistificazioni bassaniane verso chi aveva, contro lo stesso Bassani, esercitato una forma di terrorismo intellettuale: il libro di un intelligente seguace, magari più munito o più aggiornato ideologicamente del suo mentore. Se infatti la polemica contro la meccanica linguistica dei neovanguardisti («Lo spirito della confezione, pure tutto esteriore, soddisfa l’esigenza di una società che va perdendo il senso della persona. Esprimersi non è più individuare un nesso di emozioni, ma semplicemente far parata di varie possibilità combinatorie (attitudini da cucina, da sartoria)»)22 ripete la refrattarietà di Bassani verso quella che a questi sembrava una mimesi passiva e consenziente, despiritualizzata e di scuola francese (l’école du regard)23, della pseudoggettività alienante del secondo capitalismo (per cui, marxianamente, la società prende la forma di un rapporto tra cose: la barbarie della ragione secondo Adorno), è notevole e personale in Siciliano l’analisi del carattere regressivo e adialettico della ‘spinta in avanti’ della neoavanguardia: A me sembra, tanta smaniosità a percepire il futuro prima ancora di averlo vissuto, un bisogno patologico: — il bisogno di chi capovolge nell’opposto la spinta regressiva da cui si sente afflitto. Spingersi velleitariamente verso il domani, rifiutando l’oggi e la sua contraddittoria incidenza di futuro e passato, equivale a dichiarare la propria impotenza a sentirsi nel profondo liberi e affrancati da qualsiasi condizionamento […] Ma tale smania di modernità è piuttosto diventata una superstizione che non consente al mutare reale delle cose di essere appunto in movimento: ma le congela, finge di questo una eternità, che seppure è progrediente, è bloccata nel suo divenire come l’universo immaginato da Parmenide […] l’uomo che si autodefinisce “moderno” e “aggiornato”, “teso verso il futuro”, non tollererà mai di sostituire le proprie idee con altre diverse: di far dichiarare fallimento alla propria “modernità”, di dirla “superata”, “non attuale”, deliziosamente antiquata. Di sentirsi cioè immerso nella storia24. Il silenzio della persona poetica, ed etica, è l’unica speranza che si apre di fronte al piccolo borghese di oggi per difendere le posizioni che riesce a conquistare. Il suo fine è l’immobilità storica, o lo schizomorfismo: nella visione dissociata è la sua forma: nel dialettizzare la vita presente si accorge che il suo volto di classe si annullerebbe25.

9 L’adorazione dell’esistente, camuffata in prospezione di modernità, conduce alla disumanizzazione dell’arte: «Se esserci espressione è esserci persona, per cui un valore e un orizzonte di fini, il piccolo borghese nega tutto ciò con ribrezzo»26, stante che «la poesia è evento individuo, irripetibile, relazione singolarissima fra soggettività e oggettività, il cui accadere non è elevabile a legge, ma è legge in sé, vitalità che non conosce ripetizione»27, come Siciliano sentenzia con tautologia crociana (incrociata con la proposizione aristotelica della poesia essere vivente al pari di qualsiasi altro) anch’essa di sapore bassaniano. Arbasino, col suo «pettegolezzo orchestrato in elefantiasi»28, secondo Siciliano pecca innanzitutto contro l’individualità sensibile e creatrice, tradisce e svia l’autobiografismo che mette in programma:

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La partenza, l’approccio all’argomento, è in Arbasino sempre autobiografico: mai però che l’autobiografismo lo infanghi, mai che i suoi peccatucci e inclinazioni traspaiano dichiaratamente, mai che vengano a galla personali indulgenze. Come, allora, saltare in groppa all’autobiografia, al proprio sguardo, che perciò stesso è personale, fingendo che non lo sia? Arbasino ha coltivato l’illusione di poter scantonare al dilemma trascrivendo gerghi, con l’effetto, sempre più soffocante, di non riuscire a scapolare al proprio gergo, alla musica del proprio cinismo livellatore29.

10 Arbasino rimarrà sempre, per Siciliano, l’emblema, e la testa di turco, di una concezione del romanzo antiumanistica, gratuita come un gioco di pazienza: «Vennero i francesi, gli strutturalisti, “chi più ne ha più ne metta”, e la narrazione diventò per lo scrittore de L’anonimo lombardo una sorta di mobyle del quale gli interessavano piuttosto le giunture che le volute, più il sistema di equilibrio che il colore che l’adorna»30. Il movimento da cui è trascinato Arbasino rinnega di fatto l’impeto delle avanguardie rivoluzionarie primonovecentesche con un conservatorismo mandarinesco, col formalismo proprio dei classicismi più reazionari: «L’avanguardia storica fu, nel suo complesso, un atto di vitalità generale ricco di un contenuto esplosivo […] La neoavanguardia volle codificare quella vitalità, farne un galateo, un insieme di regole di comportamento: volle rovesciare un guanto»31. Secondo Siciliano, il cifrario gelido, statico, astrattamente nombriliste della neoavanguardia ripete i vizi dell’ermetismo anteguerra: «Il neoermetismo si sposò alla spregiudicatezza neoindustriale. L’artigianato del romanziere venne considerato attività obsoleta, casomai femminile, o casomai da contestare con l’antiromanzo, il libro che, pensato contro il lettore, rivendicava la purezza di un’autonomia espressiva del tutto celibe, del tutto autistica»32. Si noti come Siciliano, di contro alla brutalità sterile che ascriveva all’avanguardismo ‘neoermetico’, si ritagliasse vittimisticamente la parte femminile che Pasolini e Garboli gli avevano riservato quale risorsa dialettica sia come romanziere sia come critico: tanti anni dopo, in controcanto amebeo e durante la baruffa giornalistica susseguente alla rivelazioni di Siciliano su quello che Garboli definì il «teppismo padronale»33 di Feltrinelli, Arbasino si divertirà a rinnovare il ludo, appuntando a Siciliano che è letteratura «che non ha le palle»34 quella che non regge la polemica e si lamenta dei colpi bassi nella lotta per le idee…

11 L’anno seguente l’uscita di Prima della poesia, nel 1966, Siciliano pubblica su «Nuovi Argomenti»35 L’anima contro la storia, un lungo e pregnante saggio su Bassani che rielabora idee già espresse molto sommariamente in un articolo apparso su «Mondo operaio» nel 196436 e che rifluirà in Autobiografia letteraria del 197037. È un saggio dove le armi della demistificazione ideologica sono volte adesso verso il suo grande editor di pochi anni prima, pur nel rispetto dovuto a una personalità consentanea (con l’ambiguità del Doppelgänger di cui parlava Pasolini, nella citazione da noi sopra recata). Il titolo del saggio sottolinea la dicotomia che, sulla scia delle rapsodiche ma geniali analisi dedicate da Pasolini a Bassani, secondo Siciliano informa l’opera bassaniana: l’anima contro la storia, intimismo che invano aspira a una storicizzazione dell’esperienza, anzi che adibisce uno storicismo giustificazionista per proteggere il godimento solitario e inconfessabile dell’«anima», bloccata nella beata regressione agli anni che pur erano stati della sventura della polis, gli anni del Fascismo. La situazione bassaniana è per Siciliano già sottesa alla prova poetica di esordio (Storie dei poveri amanti) e a quelle dell’immediato dopoguerra, sotto l’egida di quell’ermetismo38 che fu bersaglio inquieto della saggistica di Siciliano negli anni ’60 (di passaggio, già lo

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abbiamo riscontrato in Prima della poesia) tanto che nello stesso 1966 il poligrafo romano poteva scrivere: Il concetto di “assenza”, tanto caro ai giovani poeti e critici del tempo, non aveva alcun contenuto positivo: indicava soltanto l’incapacità a dialettizzare vita e letteratura, a scendere criticamente nella fibra dell’inquietudine, a liquidare patemi d’ascendenza cattolica, i quali impedivano la definizione materiale della situazione storica. L’ermetismo servì solo a rimuovere reali necessità di conoscenza, sempre in virtù di un ideale estetizzante e letterario di vita39.

12 Di Te lucis ante Siciliano dice: «Sono settenari di colta sostenutezza, compatti, quasi impenetrabili in un loro (basta una lettura a voce alta) sonante languore. Questa languidezza è una via per capire la natura della crisi (e la reazione ad essa), patita da Bassani»40. Il dramma dell’olocausto rinvierebbe in Bassani all’elezione individuale («Gli è rimasto il rimorso d’essere scampato al genocidio, il turbamento di chi non sa se, con questo, sia stato toccato da un carisma»)41, ancora una volta contro la storia, e la condizione di vittime del genocidio sarebbe scambiata con quella di una dignità borghese esautorata e rimpianta: Bassani «non pronuncia la parola decisiva. Vittime persuase certamente! Ma non perché ebrei: — perché borghesi, come tutti i borghesi italiani. Il giudizio non si invera: si rinchiude dentro la tradizione letteraria. La sua supposizione immanentistica non diviene parola. Il suo grido non si fa immagine: il poeta teme che possa suonare offesa alla memoria dei padri»42. Lì e qui l’influenza delle pagine pasolinane su Bassani sembra inconfutabile: «Lo storicismo diventa la chiave per capire gli avi, e contemporaneamente non offenderli. Così, la lotta col padre (archetipica nella piscologia ebraica) si svolge in Bassani non su un piano di parità, ma di accettata dipendenza. Ed è questo difetto (ancora il vizio puberale dell’indulgenza verso se stessi!) che inficia, e inficierà in lui il bisogno di risolvere dialetticamente il passato»43. Confrontiamo col lucido affondo di Pasolini: […] la ristrettezza numerica e mentale delle borghesia ebrea di Ferrara e la grandiosità che le viene conferita dalla “diaspora” e dalla tragedia della persecuzione. Non so quale dei due momenti prevalga. Forse nessuno dei due. Se ciò che su tutto prevale è in fondo il rimpianto del piccolo-borghese ebreo di non essere un piccolo-borghese qualsiasi, e il suo sforzo terribile per sembrare tale. In realtà tutta la poesia di Bassani trova la sua fonte in questo rimpianto. Non essere un borghese qualsiasi44!

13 Per Pasolini (secondo il quale è questo, di Bassani, «il sedimento, in tanto limpida e pronta intelligenza, di una mascherata immaturità e inermità, e insieme d’un po’ di diabolico atteggiamento dell’astuzia, recuperante nel razionale ciò che nell’impeto irrazionale qualche volta si arena»)45 il dispositivo storicizzante nella narrativa di Bassani non ha il fine di inverare il passato alla luce del presente ma di distanziarlo, preservandolo in quanto passato, impreziosendolo in quanto destinato a passare nello stesso momento in cui è fatto presente alla rievocazione46: […] in Bassani il “tempo” del corrente modo di narrare — il tempo apparentemente logico, che giustappone in prospettive del resto arbitrarie i fatti ad esso incorporati — è sostituito da un tempo distaccato da quei fatti, che quindi si dispongono a sé, liberi dalla sua logica lineare e finalistica. Essendo la vicenda “conclusa”, è uscita dal tempo, è divenuta un cristallo, con le sue misure interne assolute, e la sua superficie che può mostrare indifferentemente ora l’una ora l’altra delle sue facce47. Gli avvenimenti di cui parla Bassani sono tutti visti non solo come passati, ma come destinati a passare […] e l’evocazione avviene attraverso una forte presenza psicologica del narratore […] forte almeno quanto è debole il valore del presente, del momento in cui il narratore parla: che corrisponde al momento in cui il

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narratore parla: che corrisponde al momento in cui gli avvenimenti narrati erano destinati a non essere più. Insomma l’integrazione figurale di Bassani è la fine di tutto, un’accorata illusorietà della storia: le sue figure in questo trovano compimento, e quindi prevale in esse un senso meglio patetico che politico della vita. Il mondo di Bassani risulta quindi, nella sua apparente interezza e lucidità politica e storicistica, profondamente diviso e sfuggente: la consolazione è il “barlume di allegrezza” di chi sente accoratamente la dolcezza nella disperazione, l’eterno nel fuggitivo. La chiarezza storiografica o la passione azionistica ne sono attutite e come vanificate48.

14 Siciliano, analogamente, nel suo saggio del ’66 chiamava quello di Bassani un «tentato storicismo»: […] il presente è tale che assolve ontologicamente ciò che è accaduto. Questo è il tentato storicismo di Bassani. Il quale è poi cresciuto in un ambiente agrario come quello di Ferrara, con i corollari del caso. La sua ambizione è consistita nel corrodere all’interno quella visione del mondo, ma senza scansarla. La sua narrativa la propone come in un diorama di figure, legate al loro autore da un rapporto di affetti, che nell’estetica classica si designava come “pietoso”49.

15 «Pietoso», dice Siciliano. Ma la pietas (chiarisce Siciliano che «la stessa condizione trascendentale della pietas in Bassani si oblitera, perché a lui manca, dopo il decadentismo, l’appoggio di un sistema di valori obiettivi che la consenta. La sua prima persona è problematica per necessità. A queste condizioni, la pietas diventa un modo di rimozione»)50 verso i padri, i quali garantivano l’immobilità mitica del paradiso infantile, per Pasolini decideva anche del partito stilistico (Citati scrisse poi: «La sua [di Bassani] mancanza di grazia è quasi inconcepibile in un vero scrittore. Allinea la sua rete di avverbi, le sue frasi convenzionali, e sembra compiacersi che la lingua sia un sepolcro di metafore decadute, di immagini spente, di cose mancate»)51 della narrativa bassaniana: Essi [Cassola e Bassani] mescolano allo stile sublimis, fondamentale alla loro ispirazione elegiaca e civile, una lingua parlata come lingua dei padri (naturalmente borghesi) che, visti nella luce della memoria si nobilitano, diventano oggetto di recherche: e con essi si nobilita la loro lingua parlata, quell’italiano medio, che dopo averli respinti da sé — per una violenta protesta storica e ideologica, mettiamo l’antifascismo — li richiama col fascino di un luogo promesso e perduto, una normalità poetica in quanto struggentemente ontologica52. Il loro [di Cassola e di Bassani] stile […] non è che una serie continua e sia pur coperta di “citazioni” del linguaggio borghese e piccolo-borghese usato dai padri e dai nonni professionisti e dalle loro cerchie provinciali53.

16 Tra Pasolini a Siciliano circola o coincide una visione dell’opera bassaniana di intimismo all’ombra della letteratura, a voler giocare con la famosa formula di Benn su Thomas Mann, ovvero di specchiamento di un primum inevoluto protetto dalla letteratura. «Bassani si trovò respinto sempre più verso le secche di un mancato storicismo, di défaillance dialettica tra vita e letteratura, restando per lui la letteratura un primum indiscusso» 54, scrive Siciliano nel suo saggio, inferendo tara di classe nel giudizio ‘letterario’ di Bassani sul fascismo, in termini non dissimili da quelli che userà per Croce nel grande saggio del 197155 sul filosofo: «Il fascismo fu per lui una malattia dello spirito, non una conseguenza delle idealità borghesi. I giovani intellettuali, che si formarono alla sua scuola in quegli anni, si sono trovati, nella maggioranza dei casi, nella impossibilità di far coincidere i propri sentimenti di rivolta con la conoscenza razionale del mondo in cui si trovavano»56. Un freno ulteriore in Bassani, secondo Siciliano, all’analisi storicizzante e un’implicita letterarizzazione della sua situazione,

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autobiograficamente trasposta, dinanzi ai marosi del fascismo e della guerra, viene dalla condizione ebraica: [Bassani] Subì il pogrom: non ne vide i caratteri classisti (che riguardavano tutti gli uomini liberi, e non i soli ebrei), che un punto di vista materialista poteva illuminare. Bassani si fermò alla propria anima colpita. L’ottimo studente di liceo rivendicò la bontà degli studi regolari compiuti: egli fa parte della comunità nazionale in spirito, dicano quel che vogliono i fascisti. Alla continuità storica, “imperiale” e “ariana”, oppone la continuità risorgimentale d’osservanza crociana. Comunque, è quella ferita a spiegare il suo sforzo storicistico: ma è la cristallizzazione sulla propria anima colpita (indulgenza e reticenze incluse), che denuncia la spiritualizzazione del medesimo57.

17 L’interpretazione del finale di Una lapide in via Mazzini, da parte di Siciliano, insiste sulla destoricizzazione mitica ebraizzante: «Geo riprende le spoglie dei padri erranti, “a capo chino”. Anche questa è metafora emblematica: è nostalgia per i miti ancestrali»58. Dopo Siciliano, solo Ada Neiger ha voluto trovare segni e metafore regressive, ebraicamente caratterizzate, nelle storie bassaniane («Il ritorno al ghetto, come soluzione salvifica del problema giudaico, è una vena, ora sotterranea e impercettibile, ora affiorante e che percorre tutta la narrativa a sfondo ebraico di Bassani. Già nei titoli delle opere bassaniane, ricorrono espressioni che richiamano gli spazi delimitati, la separazione, l’isolamento»)59, ma molto prima Fortini aveva puntato il dito sulla natura difensiva della Sehnsucht bassaniana quale ritorno ideale al ghetto: […] non ha fatto della propria esistenza la sede di una operazione di disinganno e di conversione, come l’eroe di Proust; non c’è nessuno smascheramento né ulteriore ricupero dei suoi modesti Guermantes; c’è un desiderio di immutabilità che finisce col credere che valore e immutabilità coincidano […] la «magna domus» non è solo il materno ghetto, il talèd sotto cui rifugiarsi dalla tempesta imminente; è la difesa dalla storia e anche dalla propria storia, interiore, la difesa della “pigra brace che è tanto spesso il cuore dei giovani”60.

18 Da parte marxista, in termini che oggidì suonerebbero senz’altro politicamente scorretti, Gaetano Trombatore aveva deprecato, non senza ironia, l’acronica geremiade «dell’ebreo», incapace di riconoscere le proprietà storiche e l’impegno a esse dovuto: […] la situazione particolare dell’ebreo, il quale è anch’egli uncinato dall’ingranaggio di quei fatti, ma, anche se ne rimane vittima, ne è preso, per così dire, tangenzialmente, giacché per lui quelle angosciose vicende smarriscono la loro puntualità concreta e impegnativa, e si inseriscono invece, come un anonimo anello, in una catena di sevizie e di persecuzioni la cui storia si perde nel passato e nella memoria degli uomini; e pertanto quel nodo di fatti, oltre e forse più che appartenente alla storia italiana, si presenta come un episodio, affine a tanti altri episodi, di una parallela e maligna e segreta storia tutta intessuta di inevitabili e fatali calamità. Da questa singolare disposizione nasce un modo di essere, che nell’atto stesso di aderire ai fatti, tende a guardarli con disimpegno e con distacco, come da una biblica extratemporalità61.

19 E l’anno seguente, il 1960, Bertacchini e Cusatelli, due compagni di cordata di Siciliano in «Palatina», la rivista parmense nella quale egli era stato introdotto da Bertolucci62, insistono sul tema: Bertacchini ripeteva quasi, di Trombatore, l’osservazione che «Le Storie di Bassani possono rendere l’impressione di una serie di cronache organizzate ab aeterno, staticamente ferme, immobili sotto la luce di una biblica e incorrotta extratemporalità»63, mentre Cusatelli asseriva che «il sentimento religioso che rappresenta l’autentico nucleo storico dell’ebraismo, non più costretto al rigore

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teologico della tradizione mosaica, torna accettabile allo spirito moderno dello scrittore [= Bassani] come dolcezza di costumanze familiari»64.

20 Le storie ferarresi, dunque, come capitoli di una saga biblica, «protocolli morali»65 che legherebbero indissolubilmente vittimismo e conservatorismo ebraico e borghese: Geo sceglie il mistero, il vagabondaggio: sceglie l’anima, la segreta contemplazione di sé, la narcisistica indulgenza per la propria ferita. Ma, con quei due schiaffi, vuol dire anche la sua sul piano della storia: cioè, mostra che è in suo potere l’esercizio della giustizia. Ma perché non l’ha dimostrato richiedendo la reintegrazione della sua identità reale? Geo Josz, malgrado le scelte stilistiche di Bassani, assomiglia a Mattia Pascal. Ripete una figura obbligata della fenomenologia dello spirito borghese: il contrasto tra moralità ed eticità. E sceglie per la moralità, per l’in-sé, contro il mondo66.

21 Il linguaggio e il modo dell’argomentazione tradiscono la formazione filosofica di Siciliano, stranamente mai riconosciuta efficiente dai suoi studiosi sulle sue pagine di critica letteraria67. Ancora una volta è il personaggio di Geo Josz, di Una lapide in via Mazzini, a catalizzare il moralismo regressivo, elusivo, secondo Siciliano, della visione narrativa bassaniana: In rilievo resta la storia d’amore, l’elegia funebre che sembra voler scagionare tutti, indistintamente tutti, a cominciare dai sopravvissuti, dalla colpa del nazismo, del genocidio. Cambia di segno, in Bassani, lo storicismo di prima, quando sembrava che invece tutti, indistintamente tutti, avessero colpa. Non era Geo Josz ritornato nel nulla, scomparso, fuggito di città, dopo lo schiaffo, a ruminare la purezza delle proprie passioni di fronte all’imperscrutabile Dio che lo voleva santo ed errante? La dialettica della santità ha però un movimento regressivo: respinge il proprio soggetto all’origine, au vert paradis des amours enfantines68.

22 In tale chiave, la stessa meditatio mortis, il tema dei sepolcri foscolianamente derivato, che la critica recente69, ha definito come centrale e struttivo nell’opera bassaniana, viene da Siciliano (che prima ancora di Garboli lo affrontò da pioniere) ricondotto alla topica letteraria («Il ritorno al cimitero, come al luogo dell’illuminazione e della pacificazione, al luogo che rimette in moto gli istinti vitali fiaccati, è obbligato nella narrativa di Bassani da Clelia Trotti ai Finzi-Contini). Ma, piuttosto che di una bruciante esigenza del cuore — mai che l’animo del narratore ne sia insidiato, quando invece ne è confortato —, è un ritorno che rimanda al tropo letterario, particolarmente ne Gli occhiali d’oro»)70, sì che, raccordandosi ai «Sepolcri, con le suggestioni vichiane e le prefigurazioni storicistiche che contiene», «Bassani sfiora volentieri l’intenzionalità concettuale di tanta narrativa moderna, ma poi la ripara dietro l’allusione culturale, la riconduce a proporzioni prevedibili»71. Con ciò, secondo Siciliano, Bassani mutua dall’esterno l’«idea foscoliano-carducciana dell’impegno civile», fa propria l’«esaltazione del “tono alto e virile” del poeta-vate»72 e pertanto «è per i rapporti con l’Ottocento italiano che si definisce il limite di Bassani. La linea “civile” in lui non si ritaglia modernamente, quando pure ne avrebbe l’ambizione; e accade che egli resti un delicato elegiaco, coatto dentro la letteratura che più ama: — mentre il lettore, inviato a spaziare nell’universo della storia e degli imperativi morali, si ritrova dentro un museo»73. Un «delicato elegiaco»… Dei due corni della definizione pasoliniana, quale in precedenza abbiamo citato («elegiaco e civile»), Siciliano taglia via, come avventizio, il secondo, e il primo, solitario sebbene alto nella classifica di merito, viene a sovrapporsi, di fatto, con le rimostranze del Gruppo ’63 contro Bassani…

23 In conformità a queste risultanze esegetiche, è dell’inesorabile, inventariale puntualità dei tanti oggetti designati col nome commerciale nelle Cinque storie ferraresi e poi nei

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Finzi-Contini, degli oggetti cognominati come persone, dei famosi marchionimi74 bassaniani, che per primi Siciliano e Brian Moloney nello stesso anno, il 1966, segnalarono la funzione di «rinchiudere il ricordo nel particolare, stampigliarlo dentro la precisione: impedirgli di fuggire. Un puntiglio di pittore di natura morta, tradotto in sintassi da incisi, da quegli arricchimenti interni della frase che i linguisti chiamano “espansione”»75: così Siciliano, mentre Moloney contemporaneamente scriveva che Bassani «ha bisogno di ammassare fatti, luoghi, nomi, date, figure, per poter contrastare con questo cumulo di certezze “quel poco che il cuore ha saputo ricordare”»76. Una fortezza del ricordo, invero antiproustiana, perché ordinato magazzino che sventa l’entropia angosciosa col superstizioso amuleto della fredda nominazione mercantile degli oggetti del passato e che il registro linguistico grigiamente notarile difende, con dissimulata sacralizzazione borghese (come già voleva Pasolini), dall’aggressione delle ideologie, dai risentimenti edipici, dai ridimensionamenti affettivi, dalle rese dei conti con la storia di tutti. Questa ossessione apotropaica, secondo Siciliano (e Moloney intendeva parimenti), investe anche la forma dramatis, il minuzioso catasto dei luoghi, dei microeventi pseudofondamentali, callidi succedanei di un’articolazione diegetica che non articola, che non sviluppa, che si blocca e vuole bloccarsi su una vie antérieure di assolutezza intangibile: «La richiesta di questi fondali si precisava, nel corso della narrazione, come un soccorso strategico. Tanta puntigliosità, sembrava necessaria a calamitare gli elementi drammatici, a fonderli, quasi non riuscissero a diventare autonomi centri di forza»77.

24 Eppure, o proprio perciò, in Bassani «ogni racconto sottintende un mistero, un interrogativo che lo sviluppo della vicenda deve chiarire»78 e «lo scioglimento, o accertamento del caso, è il più delle volte la formulazione di un problema, la sua proposta in termini di chiarezza: niente altro»79, scrive Siciliano delle Storie ferraresi. La perfetta, protettiva chiusura sul passato attinge l’ingiudicabilità dello stesso, la trionfante inespugnabilità del senso di esso. Nell’Airone, nota Siciliano in un’appendice del 1968 al saggio di «Nuovi Argomenti» e che verrà pubblicata soltanto in volume, «il “passato remoto” acquista una saldezza sconosciuta, sale a tonalità dominante. Il petrarchismo parrebbe dissolversi, e al suo posto subentrare la coscienza del narrare in prosa: affidare i segni della propria vita a simboli fallibili, accettare che l’irrisolto si spieghi con se stesso, rischiando ogni offuscante contraddittorietà»80. È qui che il giudizio di valore del sinuoso e corrosivo saggio di Siciliano passa a segno euforico, è qui che la poetica della bêtise ‘ispirata’, dalla densità insopportabile e inconoscibile allo stesso creatore, è qui che la poetica dell’intransigenza avalutativa di ascolto del creatore rispetto ai suoi personaggi stringe in alleanza il critico-narratore e il narratore oggetto del suo studio. E anche in questo caso si deve rilevare che il succitato, precisamente coevo, stupendo e davvero sottovalutato saggio di Moloney giungeva a conclusioni parallele («il narratore viene così rivelato come colui che non comprende»81; «personaggio centrale che è un enigma per se stesso, che è incapace, o meglio, non vuole esaminare più da vicino il travaglio del suo cuore e della sua mente. Questo personaggio è il narratore»82; «i motivi che provocano le azioni, anche quelle del narratore, rimangono un enigma»83) e che una recensione di Piovene ai Finzi-Contini, oggi tranquillamente dimenticata, opponendo Bassani a Robbe-Grillet («offerte al nulla senza un minimo di dolore») e cioè assecondando la polemica bassaniana di quegli anni contro la neoavanguardia cugina dell’école du regard, celebrava di Bassani «personaggi misteriosi come tutti gli esseri vivi, perché fatti di molti strati, perché li complica il bisogno di interpretarli, una realtà piena di ombre, non ottica né descrittiva»84 (tanti

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anni dopo, Maria Bellonci, ricordando il Premio Strega assegnato a Bassani nel 1956 per le Cinque storie ferraresi: «un luogo del mondo chiamato Ferrara: dove è necessario che accadano storie indimenticabili di gente che Bassani ci mostra nelle palpitazione estrema del loro esistere: visioni poetiche fermate un istante prima di scomparire, e raggianti in quel momento nell’energia dei loro segreti»)85. Proprio sul nucleo ermetico all’interpretazione dei personaggi bassaniani si erano appuntate le riserve della critica marxista, ad esempio di un Ferretti, nel 1959, prima ancora della pubblicazione dei Finzi Contini, contro la bassaniana «rinuncia a capire la vita, a penetrarla, e quindi la tendenza a ritrarsene spaventati, a evaderne insomma»86, ciò che si deposita, narrativamente, nell’«individuo solo, incomprensibile, isolato in una realtà non modificabile, in un mondo ostile e inesorabilmente uguale e a se stesso»87, ed è qui che si consuma la separazione di giudizio, pur su comuni parametri storicistici, fra Siciliano e la linea, per così dire, Fortini-Trombatore-Ferretti88. Così si esprimeva Ferretti, ancora, sul tema del personaggio-istrice, portatore di irrazionalità refrattaria, tautologica, autogiustificantesi: In un mondo dove la vita scorre immobile e sempre eguale, dove gli uomini celano in fondo a se stessi un nucleo segreto e impenetrabile, dove in definitiva l’intimo significato di ogni vicenda è da cercare nell’enigma di ciascun uomo, il solo modo di capire la realtà, di cogliere il senso segreto che essa nasconde, è quello della ‘folgorazione’ poetica, dell’intuizione improvvisa e irrazionale89.

25 Ma era la discendenza crociana («teologia negativa, nei confronti della poesia»90, scrisse Siciliano nel suo notevole saggio su Croce) che riavvicinava potentemente Siciliano a Bassani sul fronte del quid ineffabile, che per essi due faceva equazione tra individualità incommensurabile dell’opera artistica, natura apofatica della sintesi intuizione- espressione, autotelismo impenetrabile del personaggio narrativo. Nel Siciliano critico l’inconoscibile imperiosità dell’invenzione, la «scandalosa necessità che è della poesia» («hélas!, scriveva Bataille, “come si può perdere tempo su libri alla cui creazione l’autore non sia stato manifestamente costretto?”»91, «il compimento di un’opera di poesia è qualcosa che scatta misteriosamente a mezzo dei processi inventivi, e soggioga chi scrive defilandolo senza rimedio dal quadro […] Quando l’opera slitta via dal suo autore, entrambi si salvano»92) si coniuga all’avvincente opacità dell’opera per lo stesso suo autore («io credo che uno scrittore sia ciò che a lui stesso è sconosciuto»93, «non lo dico per vezzo, ma conosco pochissimo questo romanzo»94, detto della Principessa e l’antiquario, che Siciliano pubblicò nel 1980) e al barthesiano piacere del testo per il lettore («Dell’eros il rapporto che abbiamo con un testo possiede le abulie, le repentine e indomabili rapinosità, la quiete intensa e profonda e — seguendo ancora Barthes — l’indicibilità»)95. Non sarà stato per caso, quindi, che la notizia che Bassani era stato colpito dall’Alzheimer trovò in Siciliano un commento ben intonato a questa persuasione centrale nel fare letterario sia di Bassani sia di Siciliano medesimo: «La necrosi del tessuto della memoria è uno degli attentati più misteriosi e devastanti che la natura può compiere al nostro spirito poiché, pur nell’apparente obliterazione, noi restiamo chi siamo, un io irriducibile che non riesce a sottrarsi alla luce accecante del proprio destino»96. Si rileggano adesso le proposizioni più famose e altre meno citate di Bassani intorno all’inesprimibilità di ciò che è espresso, alla concretezza dell’ineffabile97, al personalismo irriducibile dell’opera d’arte insomma: Si dice in genere che la mia narrativa è di derivazione ottocentesca: non lo credo affatto, proprio per il motivo che da parte mia non sono mai state tentate costruzioni o ricostruzioni di tipo psicologico […] Il fatto che io abbia sentito così a

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fondo l’idealismo comporta la certezza, per me, che l’io profondo è ineffabile. È effabile soltanto ciò che si dice, che si fa98.

26 Sorprendente dissociazione da quella narrativa del rispecchiamento del reale che, con altrettanto soprendente affinità con le posizioni di Lukács99, Bassani aveva sempre elevato a barriera rispetto alla letterarietà avulsa e seriproducente del decadentismo e alla disgregazione formalistica della neoavanguardia! Bassani rivendica per sé oltranza anche rispetto ai grandi eversori dell’io narrativo tradizionale, nel romanzo primonovecentesco: «[…] io non ho la fede dei miei immediati predecessori (Proust, Joyce) che l’io profondo sia effabile, conoscibile; io non ci credo, non ci credo più»100. È un autentico dogma antipsicologistico, quello di Bassani («C’è andato a letto, Micól, a letto con Malnate? Io mi ritraggo e dico di non saperlo perché effettivamente non lo so. Voglio mantenermi veritiero e non voglio indagare, perché sono soltanto un romanziere»)101, una confessa mistica del personaggio: Quasi nessuno scrittore ha rispetto per i propri personaggi, li considera come delle persone realmente vissute o realmente viventi, quasi nessuno scrittore pretende di mettersi in una posizione morale nei confronti della propria opera […] Questo è il punto fondamentale. Introdurre il lettore in una dimensione letteraria, in un rapporto letterario di carattere morale e religioso102.

27 La figlia di Bassani, Paola, in una recente intervista ha fornito al proposito una testimonianza personale importante e un rilievo interpretativo inedito ed euristico: […] nella sua [= di Bassani] opera le morti sono sempre “incerte”, sempre “fuori campo”, mai vero sigillo ma attraversamento in cui si può continuare a vivere: una morte dietro le quinte, senza la scena tragica e conclusiva. Il rapporto con la morte come momento di passaggio non c’è, insomma, perché il personaggio è ineffabile così come lo è il suo trapasso. Del resto mio padre pronunciava spesso la parola “ineffabile”103.

28 Ma, nel saggio di Siciliano su Bassani del 1966, dopo questa grande convergenza scatta l’affondo contro l’opera, i Finzi-Contini, che pur aveva acceso la miccia della polemica sanguinosa con quella neovanguardia l’anno prima attaccata, da posizioni per tanti versi bassaniane, in Prima della poesia: È un’opera nata da un profondo riflusso di emozioni, è il segno del venir meno della tensione morale. Così lo stile si ricompone, si paluda in movenze architettoniche complesse: si inchioda a formule evocative, infarcite di elementi ritardanti. Sfugge all’articolazione degli Occhiali d’oro104. Cosa differenzia colui che ha ricevuto la ferita che sappiamo, e il giovane che chiede amore a Micól? Niente. La ferita è lì: piuttosto che osservarla, “conoscerla”, egli rientra in grembo al passato: chiede il visto per il giardino, cerca un ricovero, una protezione, una difesa105.

29 Siciliano ripete insomma ai Finzi-Contini l’accusa di accartocciamento consolatorio, che Garboli contesterà anni dopo (in occasione della querelle fra Bassani e De Sica per l’adattamento cinematografico del romanzo) rivendicando all’opera tonicità prospettica, e non depressa coltura, del tempo perduto, «recupero doloroso della vita da quell’archeologia, da quel gusto di cose morte (le opaline di Micòl) verifica critica della propria vitalità, anche se mista alla pietà per la loro fine, quella pietà che è il rimorso dei vincitori»106. Siciliano invece fulminava giudizio di classe, rinnovando l’acido critico da Pasolini versato in precedenza: «Col Giardino sale a galla il rimpianto reale per il mondo dei Finzi-Contini. La funzione antifascista svanisce. Bassani è ferito perché la guerra ha travolto il bene del passato — che sono Micòl e il professor Ermanno. Che è, insomma, il piccolo paradiso dei borghesi, dove i profumi saranno

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mefitici, ma non per questo meno paradisiaci»107. Ebbene, in un’intervista giornalistica del 1978 allo stesso Siciliano, mai raccolta in volume e del resto mai citata dalla critica, è notevole che Bassani, parlando della perdita di speranza del presente a paragone con le generose illusioni resistenziali e dell’impossibilità di un esilio ‘formativo’ dall’Italia, si lasciasse andare a un rimpianto di accento talleyrandiano, in cui il vigore della denuncia faceva antitesi con la voluttà rimozionale, così dando ragione a Siciliano e a Garboli al contempo: «Non c’è da prendere nemmeno la via dell’esilio. Chi va in esilio si propone di tornare: qui non si può tornare. Eppure questo è un Paese dove stiamo anche molto bene. Oh, quanto sconteremo la douceur de vivre che ci siamo concessi!»108. Siciliano, imperniandosi sulla formula lapidaria che dà il titolo al suo saggio, anima contro storia, e guardando indietro dai Finzi-Contini giù fino agli esordi poetici di Bassani, finalmente nega una dinamica evolutiva alla carriera bassaniana, rimasta secondo lui interna a un bozzolo aureo e cresciuta per addizioni sur place: L’anima contro la storia. Lo storicismo in Bassani è una prospettiva che egli non riesce ad attuare. La sensibilità del borghese è prevaricatoria di ogni possibilità conoscitiva. Da qui nasce la sua esitazione espressiva, e il suo calamitarsi a moduli ottocenteschi. Insomma, i primi impulsi, affatto letterari, allo scrivere il narcisismo dei suoi versi giovanili, non sono stati superati: egli ha tentato la via più difficile per aggiunzione, attraverso un potenziamento sostanziale109.

30 Ma nell’appendice del ’68 sull’Airone si festeggia la svolta, l’omicidio-suicidio (quest’ultimo, del protagonista Edgardo Limentani) del passato che la scrittura bassaniana aveva imbalsamato per lunghi anni e attraverso tante opere, imbalsamato come l’airone dietro la vetrina illuminata dell’impagliatore che persuade Edgardo, quasi per una rivelazione, all’atto ‘rivoluzionario’, anti-wertheriano perché di comprensione-accettazione e non di protesta: Edgardo «si uccide, dopo una giornata trascorsa a caccia, fuggendo richiami domestici, i richiami di un passato che gli si scopre incapsulato dentro l’inafferrabile compattezza degli oggetti. Il suo sguardo corre sulle cose e le congela — travolto da una sorda ebbrezza»110. Secondo Siciliano, con Edgardo è Bassani stesso che si libera della sua vecchia pelle per consumazione intera, e terapeutica perché eutanatica, dell’esperienza ‘morta’, reificata che era stata propria della vita di Edgardo e della poiesi dello scrittore stesso: […] il suicidio è qui operazione di trasferimento lampante: è il modo di accettare, attraverso interposta persona, il destino di certe scelte espressive. Di accettarle, però, agendole: di lasciarsi condurre avanti dal daimon fino a sorprenderlo in servitù. L’intelligenza di uno scrittore si misura sempre in questo: nel saper rovesciare a proprio vantaggio gli svantaggi della sua natura111.

31 Anche in questo caso è da notare come Siciliano si muova criticamente in una sorta di dialogo a distanza con Garboli (l’altro influencer è, come abbiamo visto, Pasolini), stavolta in anticipo su di lui (il saggio di Garboli sull’Airone è dell’anno seguente, del ’69): per l’Airone Garboli parla di «vita finalmente immune da se stessa […] contrita di esistere […]. Per oggetti morti, scrittura morta […] la copia, l’imitazione, il calco di una lingua morta»112. Se attraverso la vicenda di una giornata di Edgardo Limentani «un fiaccato sentimento della vita si trasforma in felicità: ma è la decadente, estetica felicità da annientamento»113, è che «Bassani pensa che non si possa “mortificare” oggetti già morti. Flaubert ruota su se stesso: si ribella ai suoi argomenti morti, li contesta e cerca di riportarli in vita»114. Come anche aveva inteso Siciliano, Bassani ha, secondo Garboli, bevuto fino in fondo della conoscenza di sé l’amaro calice, ha rovesciato per saturazione le sue ossessioni fuoriuscendo a nuova vita.

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32 Se adesso tiriamo le fila dell’attenzione critica di Siciliano verso il suo ammirato ma ingombrante editor degli esordi, dovremo parlare di un esito chiaroscurale di giudizio, se anche, come ebbe a dire Pasolini (il quale, come citavo in precedenza, ci informa del malumore nella ricezione del saggio del ’66 da parte di Bassani), requisitoria non fosse. Per Siciliano «il male ha il volto dell’estetismo, il bene pretende una decisione, una rottura, una scelta» ma «quella [del milieu di Bassani] borghesia era sedotta da se stessa, dalla fine qualità dei propri comportamenti»115 e Bassani, fino all’ Airone, usa lo strumento storicizzante per ibernare e preservare il passato, non per metterlo in movimento verso il presente, per coglierne la dinamica. L’alta coscienza letteraria, l’alto artigianato letterario fanno asepsi che inibisce i germi socialmente venefici di quel passato e permette libera accoglienza delle forme più disparate e stimolanti, ma, come in un ospedale, rende tanto più presente la morte nell’isolamento: Il torto di Bassani […] fu quello di concepire la letteratura come una “città ideale” — dico proprio la tavola dipinta conservata al Palazzo Ducale di Urbino, quella piazza vuota di uomini, concepita come una scena perfettamente prospettica, le cui uniche tracce di vita sono alcuni gerani ai balconi. Una natura morta. Ma non si può neanche muovere rimprovero per questo. Quell’algida concezione della letteratura ebbe in sé una inimitabile capacità dinamica — ospitare le più diverse esperienze senza coercizioni. Lo storicismo puro ha come propria divinità tutelare la libertà, anzitutto la libertà d’espressione, una volta che essa si dispieghi per necessità, senza trucchi di sorta e per trasparente autonomia dei fini. Ma quella purezza ha in sé anche qualcosa di morboso e di funebre116.

33 In un’intervista del 1981, ricchissima di spunti di poetica, Siciliano tracciava un’idea di letteratura come avventura, come salto nel buio, che, se fatta retroagire sul gran saggio su Bassani, non avrebbe potuto che riservare una sede limbale all’opera bassaniana: La letteratura-letteratura, a lungo andare, è noiosa, nel senso che non completa l’ovvia parabola narcisistica che l’esprimersi comporta. Chi fa letteratura- letteratura, per dirla con un’espressione gergale, si ferma alla prima osteria. Ma scrivere è un’avventura, una lacerazione, un sentiero che porta progressivamente verso un orizzonte in cui, di noi stessi, sappiamo sempre di meno117.

34 È tuttavia quel limbo, fra arte pura e impegno, che Bassani accettava come suo, non per anemica insufficienza, sibbene quale risultante di tensioni opposte, quale sconfitta romanticamente eroica: L’arte deve essere pura o deve raggiungere la purezza per una specie di fallimento dell’impegno. Io non credo che si possa rimproverare alla mia letteratura di essere pura, perché la poesia è sempre pura, se è realizzata. Io adesso, pensando a tutto quello che ho fatto, posso compiacermi — nonostante il mio impegno, che vi garantisco è vero e serio — di avere fallito e di esser rimasto solo un artista, un artista puro118.

NOTE

1. Cronologia, a cura di R. Manica, in E. Siciliano, Opere scelte, a cura e con un saggio introduttivo di R. Manica con la collaborazione di S. Casini, Milano, Mondadori, 2011 (pp. XI-CXLI), p. LXXXVI. 2. Ivi, pp. LXXXIX-XC.

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3. Cfr. A. Debenedetti, Bassani amava il romanzo, in E. Siciliano, Bassani, a cura di A. Debenedetti, Roma, Elliot, 2016 (pp. 7-11), pp. 10-11. 4. Ivi, p. 9. 5. Cfr. E. Siciliano, Il tesoro nell’isola (1973), in Id., La bohème del mare. Dieci anni di letteratura 1972-1982, Milano, Mondadori, 1983 (pp. 132-134), pp. 132-133. 6. Cfr. E. Siciliano, Gli anni di «Racconti ambigui» (1993), in Id., Opere scelte, cit. (pp. 1148-1167), p. 1151. 7. Ivi, pp. 1152-1153. Un ricordo scherzoso, ma la lezione salò il sangue dell’apprendista: «So benissimo quanto ossessivamente cerco di evitare, scrivendo, ripetizioni (e spesso non mi riesce), o quanto, altrettanto ossessivamente, lotto con la punteggiatura» (cfr. E. Chierici, Enzo Siciliano, La Nuova Italia, 1981, p. 5). 8. Cfr. E. Siciliano, Giorgio Bassani editore, in M. I. Gaeta (a cura di), Giorgio Bassani. Uno scrittore da ritrovare, Roma, Fahrenheit 451, 2004 (pp. 29-44), p. 39. 9. Cfr. E. Siciliano, Friederich Holt e il suo ventitré giugno, in Id., Racconti ambigui, Milano, Garzanti, 1972 (1963), pp. 141-173. 10. Cfr. P. P. Pasolini, Il discorso critico svolto come fiaba (1970), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. II, a cura di W. Siti e S. De Laude con un saggio di C. Segre, Milano, Mondadori, 2004 (1999) (pp. 2507-2510), pp. 2508-2509. Una lettura recente incentrata sulle contraddizioni del rapporto di Bassani narratore con l’omosessualità è V. L. Puccetti, Bassani e l’omosessualità, «Cuadernos de Filología Italiana», vol. 23, 2016, pp. 27-41. 11. Cfr. E. Siciliano, Gli anni di «Racconti ambigui», cit., p. 1153. 12. Cfr. C. Garboli, Il male non c’è (1963), in Id., La stanza separata, Milano, Scheiwiller, 2008 (1969) (pp. 121-127), pp. 123-124 e 126. 13. Cfr. E. Siciliano, Gli anni di «Racconti ambigui» (1993), cit., p. 1155. 14. Cfr. E. Siciliano, Stanza separata (1969), in Id., Autobiografia letteraria, Milano, Garzanti, 1970 (pp. 385-389), p. 386. 15. Ivi, p. 385. 16. Ivi, p. 387. 17. Cfr. E. Siciliano, I miei autori, in Id., Romanzo e destini, Roma, Theoria, 1992 (pp. 9-23), pp. 9-19. 18. Sul caso clamoroso e sui suoi retroscena cfr. almeno G. C. Ferretti, Un editore di gusto, in Giorgio Bassani critico, redattore, editore, a cura di M. Tortora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012 (pp. 165-176), pp. 174-175 (in nota a p. 174, bibliografia sulle voci più recenti di ricostruzione della vicenda) e P. Italia, All’insegna di un «vero maestro». Bassani e «Paragone», ivi (pp. 143-162), pp. 155-158 (a p. 162 bibliografia utile, anche se non completa, sulla polemica divampata sui giornali dell’epoca). 19. Cfr. A. Arbasino, Una letteratura spiegata da uscieri e pizzaioli, «Tuttolibri», no 788 («Andiamo, signore mie: siamo seri, non facciamo le pazze!»), febbraio 1992, e Id., Caro Enzo è solo livore, «Repubblica», 26-27 gennaio 1992 («Però che meschinità, signora mia, ritirar fuori ancora queste vecchie sulle poetiche di trent’anni fa»). Occorre comunque dire che le rivelazioni di Siciliano provocarono reazioni scomposte e anzi incresciose nei vecchi appartenenti al Gruppo ’63, reazioni peraltro nemmeno indirettamente implementanti sul piano culturale. Ad esempio, su «Tuttolibri» del gennaio 1992, no 786, Arbasino, nell’articolo Abbiamo pulito il tinello, esibiva stentoreo le medaglie del Gruppo («ci sono parecchi docenti universitari di successo, due ex deputati al Parlamento, un direttore di Raitre»), con coerenza rivoluzionaria invero… Su «Tuttolibri» del febbraio 1992, no 788, Renato Barilli scriveva una lettera al giornale per lamentare, lui invece, l’esclusione dalle onorificenze (In quel gruppo c’ero anch’io: perché nessuno l’ha ricordato?, «Sono costernato nel constatare che l’articolista ha eliminato totalmente ogni riferimento alla mia persona»). Sulla «Repubblica» del 26-27 gennaio 1992, Caro Enzo è solo livore, era lapidario: «[…] dal punto di vista letterario e culturale Siciliano è un poveruomo».

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20. Cfr. E. Siciliano, Le avanguardie del ’63 gelarono il romanzo (intervista di Nico Orengo), «Tuttolibri», no 788, febbraio 1992. 21. G. Bassani, In risposta (III) (1963), in Id., Opere, a cura e con un saggio di R. Cotroneo, Milano, Mondadori, 2004 (1998), pp. 1215-1219. Sugli interventi militanti di Bassani contro quella che egli riteneva la deriva neoavanguardistica nella letteratura degli anni del boom economico, cfr. in particolar modo A. Roncaccia, Emergenze polemiche del discorso critico bassaniano negli anni sessanta e settanta, in D. Capodarca e T. Matarrese (a cura di), Indagini sulla narrativa di Giorgio Bassani a dieci anni dalla sua scomparsa, Atti del Convegno di Studi di Ferrara (14 ottobre 2010), Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 117-135, passim. 22. Cfr. E. Siciliano, Prima della poesia, Firenze, Vallecchi, 1965, p. 15. 23. Cfr. ad esempio G. Bassani, In risposta (I) (1959), in Id., Opere, cit. (pp. 1169-1173), p. 1171: «L’impassibilità mortuaria del Voyeur e della Jalousie evoca direttamente la dittatura del grande capitale industriale, il “moderno” qualunquismo neocapitalista e neopositivista». 24. Cfr. E. Siciliano, Prima della poesia, cit., pp. 15-16. 25. Ivi, p. 82. 26. Ivi, p. 83. 27. Ivi, p. 97. 28. Ivi, p. 111. 29. Ivi, p. 109. 30. Cfr. E. Siciliano, Le brame di Arbasino (1974), in Id., La bohème del mare. Dieci anni di letteratura 1972-1982, cit. (pp. 206-210), p. 207. 31. Cfr. E. Chierici, Enzo Siciliano, cit., p. 5. 32. Cfr. E. Siciliano, I miei autori, cit., p. 12. 33. Cfr. Bassani: resto nel mio giardino (intervista di M. Serri), «Tuttolibri», no 786, gennaio 1992. 34. Cfr. A. Arbasino, Abbiamo pulito il tinello, ivi. 35. 1 n.s., febbraio-marzo, pp. 80-108. 36. Cfr. E. Siciliano, Bassani a tu per tu, «Mondo operaio», vol. XVII, no 2-3, 1964, pp. 57-60. 37. Cfr. E. Siciliano, Autobiografia letteraria, cit., pp. 98-135. 38. «Io sono nato dunque fiorentino», ammise Bassani nella fondamentale Intervista inedita a Giorgio Bassani. Istituto Italiano di Cultura di New York in cooperazione con la radio Italiana, 1966, in R. Antognini e R. Diaconescu Blumenfeld (a cura di), Poscritto a Giorgio Bassani. Saggi in memoria nel decimo anniversario della morte, Milano, LED, 2011 (pp. 611-623), p. 614. 39. Cfr. E. Siciliano, I poeti sull’Aventino (1966), in Id., Autobiografia letteraria, cit. (pp. 325-329), p. 328. 40. Citiamo da E. Siciliano, Bassani, cit., che comprende la quasi totalità degli scritti di Siciliano su Bassani (p. 18). 41. Ivi, p. 18. 42. Ivi, p. 20. 43. Ivi, pp. 24-25. 44. Cfr. P. P. Pasolini, Giorgio Bassani, «Il romanzo di Ferrara». I: «Dentro le mura» (1974), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. II, cit. (pp. 1990-1994), p. 1994. 45. P. P. Pasolini, Bassani (1953), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. I, cit. (pp. 499-506), p. 500. 46. Indaga l’intento di decostruzione critica nei confronti di Bassani da parte di Pasolini sceneggiatore della Lunga notte del ‘43, V. L. Puccetti, Io nascosto, redistribuzione di materiali bassaniani e Pasolini antagonista nella «Lunga notte del ‘43» di Florestano Vancini, «Sinestesie», vol. 14, 2016, pp. 187-207. 47. Cfr. P. P. Pasolini, Referto per «Botteghe oscure» (1951), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. I, cit. (pp. 389-393), p. 391. 48. Cfr. P. P. Pasolini, La confusione degli stili (1957), ivi (pp. 1070-1088), p. 1084.

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49. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 26. 50. Ivi, p. 27. 51. Cfr. P. Citati, Bassani cerca il cuore nascosto dei Finzi-Contini, «Il Giorno», 21 febbraio 1962. 52. Cfr. P. P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche (1964), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. I, cit. (pp. 1245-1270), p. 1249. 53. Ivi, p. 1255. 54. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 32. 55. Cfr. E. Siciliano, La proiezione fuori della figura (Benedetto Croce) (1971), in Id., La voce di Otello, Milano, Mondadori, 1982 (pp. 171-200), p. 175: «[…] un’antica aristocrazia agraria, già degradata a spuria borghesia, pure con i suoi fondachi al sole, — spuria perché non pervenuta a costituire società, a fissare i propri istituti linguistici, e tale diventata per inerzia. È una classe che ha subìto l’eredità dei principi ideali dell’umanesimo, senza tradurli in problema, che li ha ridotti a buon senso contadino, li ha mescolati alla tradizione cattolica, a riti pagani più arcaici; che non ha accolto nel suo insieme le crisi rigenerative delle borghesie europee dell’Ottocento: — non ha tradotto alcuna propria crisi in un qualche sistema razionale: non ha subìto il fascino della scienza». 56. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 32. 57. Ibid. 58. Ivi, p. 34. 59. Cfr. A. Neiger, Bassani e il mondo ebraico, Napoli, Loffredo, 1983, p. 29. 60. Cfr. F. Fortini, Di Bassani [1963, per la parte citata], in Id., Saggi italiani, vol. I, Milano, Garzanti, 1987 (pp. 251-260), p. 257. 61. Cfr. G. Trombatore, Materia e stile, in Id., Scrittori del nostro tempo, Palermo, Manfredi, 1959 (pp. 107-111), p. 108-109. 62. Cfr. Cronologia, cit., p. LXXXIX. 63. Cfr. R. Bertacchini, Appunti sul semitismo di Bassani, in Id., Figure e problemi di narrativa contemporanea, Rocca San Casciano, Cappelli, 1960 (pp. 301-338), p. 336. 64. Cfr. G. Cusatelli, Caratteri dell’opera narrativa di Bassani, «Palatina», vol. V, no 20, 1960 (pp. 9-19), p. 11. 65. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 22. 66. Ivi, p. 33. 67. Cfr. Cronologia, cit., pp. LXXXII-LXXXV. 68. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 39. 69. Cfr. soprattutto P. Pieri, Memoria e giustizia. Le «Cinque storie ferraresi» di Giorgio Bassani, Pisa, ETS, 2008, passim ma particolarmente pp. 195-220; ma vedi anche M. Actis-Grosso, Poetica sepolcrale e topologia bassaniana nel «Giardino dei Finzi-Contini», in A. Perli (a cura di), Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta, Ravenna, Giorgio Pozzi, 2011, pp. 119-140, e F. Secchieri, La ‘meditatio mortis’ nella scrittura di Bassani, in Indagini sulla narrativa di Giorgio Bassani a dieci anni dalla sua scomparsa, cit., pp. 161-177. 70. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 35. 71. Ivi, p. 36. 72. Ivi, p. 36. 73. Ivi, p. 37. 74. Cfr. B. Moloney, Tematica e tecnica nei romanzi di Giorgio Bassani, «Convivium», vol. XXXIV, no 5, 1966, pp. 484-495. 75. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 21. Per la tecnica dell’inciso in organismo sintattico fortemente subordinante e per il registro referenziale-burocratico (di cui Pasolini, come citato in precedenza, aveva fornito interpretazione ideologica) in Bassani, gli studi linguistici di riferimento sono: H. Haller, Da «Le storie ferraresi» al «Romanzo di Ferrara»: varianti nell’opera di Bassani, «Canadian Journal of Italian Studies», vol. 1, no 1, 1977, pp. 74-96; I. Baldelli, Verso una

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lingua comune: Bassani e Cassola, in Id., Varianti di prosatori contemporanei (Palazzeschi, Cecchi, Bassani, Cassola, Testori), Firenze, Le Monnier, 1965, pp. 46-75; Id., La riscrittura ‘totale’ di un’opera: da «Le storie ferraresi» a «Dentro le mura» di Bassani, in Id., Conti, glosse e riscritture dal secolo XI al secolo XX, Napoli, Morano, 1988, pp. 241-265; T. Matarrese, Bassani e la lingua del romanzo, in A. Chiappini e G. Venturi (a cura di), Bassani e Ferrara: le intermittenze del cuore, Ferrara, Corbo, 1995, pp. 47-63; E. Testa, Sulla lingua delle «Cinque storie ferraresi», in P. Pieri e V. Mascaretti (a cura di), Cinque storie ferraresi. Omaggio a Bassani, Pisa, ETS, 2008, pp. 55-64; Id., «Dire tutto»: lessico e sintassi dell’«Airone», in Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta, cit., pp. 171-183. 76. B. Moloney, Tematica e tecnica nei romanzi di Giorgio Bassani, «Convivium», cit., p. 488. 77. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 37. 78. Ivi, p. 28. 79. Ivi, p. 29. 80. Ivi, p. 57. 81. B. Moloney, Tematica e tecnica nei romanzi di Giorgio Bassani, cit., p. 493. 82. Ivi, p. 491. 83. Ivi, p. 489. 84. Cfr. G. Piovene, Restituiscono Marx agli intellettuali, «L’Espresso», 4 marzo 1962. 85. Cfr. M. Bellonci, Io e il Premio Strega, Milano, Mondadori, 1987, p. 47. 86. Cfr. G. C. Ferretti, Bassani e Cassola tra idillio e storia (1959), in Id., Letteratura e ideologia: Bassani, Cassola, Pasolini, Roma, Editori Riuniti, 1974 (pp. 17-161: ma su Bassani fino a p. 65), p. 45. 87. Ivi, p. 46. 88. Che fu anticipata dall’articolo, pressoché dimenticato oggi ma assai intelligente su solco gramsciano intrattabilmente ortodosso, M. T. Lanza De Laurentiis, Bassani, la storia e l’enigma, «Società», vol. XII, no 5, 1956, pp. 1007-1012. 89. Cfr. G. C. Ferretti, Bassani e Cassola tra idillio e storia, cit., p. 36. 90. Cfr. E. Siciliano, La proiezione fuori della figura (Benedetto Croce), cit., p. 182. 91. Cfr. E. Siciliano, Qualche distinguo (1966), in Id., Autobiografia letteraria, cit. (pp. 351-355), p. 355. 92. Cfr. E. Siciliano, Due storie (1969), ivi (pp. 86-97), p. 89. 93. Cfr. E. Chierici, Enzo Siciliano, cit., p. 7. 94. Ivi, p. 9. 95. Cfr. E. Siciliano, Forfait del testo (1975), in Id., La bohème del mare. Dieci anni di letteratura 1972-1982, cit. (pp. 217-219), p. 218. 96. Cfr. E. Siciliano, La memoria offesa di Giorgio Bassani, «La Repubblica», 1 maggio 1996. 97. Su ciò mi permetto di rinviare a V. L. Puccetti, L’«aprosdóketon» nel racconto bassaniano, in Poscritto a Giorgio Bassani. Saggi in memoria del decimo anniversario della morte, cit. p. 143-162, e a V. L. Puccetti, Bassani e Hawthorne, in Giorgio Bassani: la poesia del romanzo, il romanzo del poeta, cit. (pp. 33-56), pp. 46-47. Cfr. anche C. Terrile, «È effabile soltanto ciò che si dice, che si fa». La scrittura dell’immanenza nell’ultimo Bassani, «LaRivista», no 3, 2015 (pp. 61-79), pp. 62-65. 98. Cfr. F. Camon, Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, Milano, Garzanti, 1973, p. 58. 99. Su ciò cfr. il fitto e impegnato intervento di A. Perli, Bassani critico e la poetica della realtà, in Giorgio Bassani critico, redattore, editore, cit. (pp. 13-33), passim ma soprattutto pp. 15, 21 e 25, e anche F. Bausi, Contributi alla critica di se stesso. Giorgio Bassani e la letteratura italiana, ivi, pp. 35-61, passim. 100. Cfr. A. Dolfi, Meritare il tempo (1981), in Id., Giorgio Bassani, Una scrittura della malinconia, Roma, Bulzoni, 2003, p. 171. 101. Cfr. F. Camon, Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, cit., p. 65. 102. Cfr. Intervista inedita a Giorgio Bassani. Istituto Italiano di Cultura di New York in cooperazione con la radio Italiana, 1966, cit., p. 616.

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103. Cfr. S. Amrani e M. P. De Paulis-Dalembert (a cura di), Le forme dell’impegno di Giorgio Bassani. Intervista a Paola Bassani, in Id., Bassani nel suo secolo, Ravenna, Giorgio Pozzi, 2017 (pp. 395-406), p. 406. 104. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 40. 105. Ivi, p. 41. 106. Cfr. C. Garboli, L’occhio del cinema dà soltanto quello che vede (1971), in Id., La gioia della partita, Milano, Adelphi, 2016 (pp. 208-211), p. 270. 107. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 39. 108. Cfr. E. Siciliano, I rimpianti di Bassani, «La Stampa», 24 ottobre 1974. 109. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 45. 110. Ivi, p. 46. 111. Ibid. 112. Cfr. C. Garboli, L’airone (1968), in Id., La stanza separata, cit. (pp. 343-349), p. 344. 113. Cfr. E. Siciliano, Bassani, cit., p. 59. 114. Cfr. C. Garboli, L’«Airone» di Giorgio Bassani (1971), in Id., La gioia della partita, cit. (pp. 119-120), p. 120. 115. Cfr. E. Siciliano, La memoria offesa di Giorgio Bassani, cit. 116. Cfr. E. Siciliano, I miei autori, cit., p. 14. 117. Cfr. E. Chierici, Enzo Siciliano, cit., p. 5. 118. Cfr. Intervista inedita a Giorgio Bassani. Istituto Italiano di Cultura di New York in cooperazione con la radio Italiana, 1966, cit., p. 621.

RIASSUNTI

L’articolo affronta nella sua prima parte il rapporto editoriale e culturale fra Giorgio Bassani e Enzo Siciliano, con particolare riguardo alla comune polemica contro la neoavanguardia. Nella seconda e più vasta parte, si analizza la lettura critica che Siciliano fece dell’opera narrativa dell’autore ferarrese in un ampio e importante saggio del 1966 (con un’appendice del 1968), in cui Siciliano, sulla scia di alcune osservazioni di Pier Paolo Pasolini, intendeva demistificare ideologicamente l’approccio storicistico di Bassani, mostrando i tratti conservativi borghesi della sua retrospezione memoriale. Il punto d’incontro, su un piano di poetica, fra Siciliano e Bassani risiede comunque nella concezione del personaggio di romanzo, enigma per lo stesso autore, al quale si impone con una forza e con un’evidenza la cui natura rimane ineffabile e irriducibile.

The paper addresses in its first part the editorial and cultural relations between Giorgio Bassani and Enzo Siciliano, with particular regard to their common polemics against the Italian New Vanguard (Neoavanguardia). In its second and longer part, it deals with the critical reading that Siciliano made of Bassani’s narrative work in a 1966 large and important essay, to which he added an appendix in 1968. In the wake of Pasolini’s perceptive remarks, Siciliano endeavored to demystify Bassani’s historical approach, by stressing the bourgeois-conservative overtones of his attitude towards past and memory. One should however stress that Siciliano and Bassani share the same conception of the character, which they describe as an enigma even to the author, and which forces itself upon the reader with relentless force.

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Dans sa première partie l’article aborde le rapport éditorial et culturel entre Giorgio Bassani et Enzo Siciliano, en particulier leur commune polémique avec la « neoavanguardia ». Dans la seconde partie, plus longue, on analyse la lecture critique qu’a menée Siciliano de l’œuvre narrative de l’auteur ferrarais dans un ample et important essai de 1966 (avec un appendice de 1968). Dans le sillage de quelques observations faites par Pier Paolo Pasolini, Siciliano dénonçait dans cette étude la mystification idéologique de l’approche historique de Bassani, montrant les aspects bourgeois conservateurs de son mémorialisme rétrospectif. Le point de rencontre, en termes de poétique, entre Siciliano et Bassani, réside néanmoins dans la conception du personnage de roman, énigme pour son auteur même, à qui il s’impose avec une force et une évidence dont la nature demeure ineffable et irréductible.

INDICE

Parole chiave : Giorgio Bassani, Cesare Garboli, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano, Benedetto Croce, ebraismo, neoavanguardia, omosessualità, retorica del personaggio letterario, storicismo Keywords : Giorgio Bassani, Cesare Garboli, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano, Benedetto Croce, historicism, judaism, neoavanguardia, homosexuality, rhetorics of the literary character Mots-clés : Giorgio Bassani, Cesare Garboli, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano, Benedetto Croce, historicisme, judaïsme, neoavanguardia, homosexualité, rhétorique du personnage littéraire

AUTORE

VALTER LEONARDO PUCCETTI Università del Salento

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