$LOGOIMAGE NOSTRI APPUNTI E SCHEMI DI DIRITTO ROMANO

MEMENTO

753 ac Fondazione di roma Leges regiae Dal 616 Monarchia latina e monarchia Bruno - Collantino: Magistratura- Senato - Ass. Popolo etrusca Publicola Al 504 509 Cacciata tarquini inizio res publica 494 1^secessione monte sacro dei CONCILIA PLEBIS plebei 451 Decemvirato legislativo Sospensione magistratura ordinaria e LEGIBUS SCRIBUNDIS tribunato plebe: PROVOCATIO AD POPULUM 462 XII tavole: codificazione parziale dei MORES MAIORUM - LEX DUODECIM TABULARUM 449 Legge Valeria Orazia (tribuni): riconobbe e validità vincolante deliberazioni comizi centuriati 443 Creazione censura 445 Legge canulaeia (connubio: perturbò tutte le tradizioni; rinnovò le basi demografiche stato, fondendo due classi in lotta) 396 Presa di Veio (ager) Evento che consentì il pareggiamento delle classi 386 Incendio gallico 367 Praetor urbanus Inizia repubblica Tribuni plebe: STOLONE+LATERANO patrizio-pèlebea o LEGGI COMIZIALI: 1) DE AERE egemonia nobilitas ALIENO 2) DE MODO AGRORUM 3) CONSOLATO ACCESSIBILE A PLEBEI definitivo riconoscimento tribunati e edili + concilia: Senato rifiutò PRAETOIR

Lex Liciniae Sexitiae (vedi anche Gracco nel 133): ager publicus, nobiitas, consolato accessibile a plebei 339 Lex Publilia Philonis (censura) 312 Censura Appio Claudio Cieco Plebiscito Ovidio lectio senato: censori non più consoli;

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300 Gneo Flavio scriba di Appio Lex Ogulnia (plebei al pontificato) Claudio Cieco pubblica le actiones Leges actiones

Lex Valeria de provocatione : obbligo per il magistrato di non procedere all'esecuzione capitale del cittadino se non dopo il ricorso al popolo 286 Ultima secessione plebea Lex Hortensia de plebiscitis (equipara) 286 Lex Aquilia de damno 254 Responsi pubblici di Tiberio Coruncanio 242 Pretura peregrina 218-201 Guerra punica 2^ Legge Claudia: divieto di armate navi annibale in italia trasporto per senatori 204 Commissione di inchiesta senatori (Locri) 201 Politica degli Scipioni diversa da quella di Catone 171 Processo DE PECUNIS REPETUNDIS alleati ispani contro M.Titanio 180 Lex Villia :cursus honorum 167 Abolizione tributum: per effetto conquiste che alimentano l'erario. 149 Derogatio legis Lex (plebiscito) Calpurnia repetundarum (vedi Lex Acilia del 122 reati concussione magistrati e governatori ai danni provinciali vedi 171 aC e legati spagnoli): organizzò sistema procedurale determinato proponendo alle quaestiones il pretore peregrino stabilendo creazione di un elenco di giudici dai quali, ogni volta, prescelta giuria con .. magistrato commesso illecito e condannato a rendere il mal tolto e valore equivalente. Vedi anche LEX IUNIA 149-123 : 450 ..cavalieri non senatori, albo: 100 accusato sceglie 50.... 146 Distruzione Vilicum/coloni equites cartagine 140 Lex Aebutia sulle procedure per formulas 133 Tribunato di tiberio gracco Publio Mucio Scevola console veteres Rivolta di Euno Leggi graccane: vedi Liciniae Sextiae

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del 367 131 Lex papiria tabellaria: voto segreto 104 Rivolte schiavi 123 Tribunato di Caio Gracco Lex Sempronia iudiciaria: abolisce il potere giusdizionale del senato 120 TRESVIRI: Tiberio/Caio/Appio Lex Aebutia: consentì ai cives di Claudio agire in giudizio anche per formulas. Riforma ebunizia in seguito a qs il (vedi Livio Druso - vedi IURES pretore si trovava ad essere il MORES E AUSPICIA e signore del processo che non solo cittadinanza italici: controllava i programmi caso per populares/optimates) caso, ma in principio dell'anno ne redigeva e pubblicava i moduli astratti 115 Lex Aemilia sumptuaria (lex senatoriale), lex olearia 111-105 Caio Mario 101 Imperator Guerra giugurtina Lex Servilia Glauciae sostituì al sistema ampliatio la comperendinatio. 103 Lex Apuleia maiestate 95 Causa curiana(Q.Mucio Scevola - genere e specie: qui interpretazione letterale e L.Licino Crasso interpretazione volontà : che vince) 90 Guerra sociale corfinium concessione cittadinanza ai federati italici 89 Lex Plautia Papiria: concessione cittadinanza italici 88 Silla console (console Cinna scontro col tribuno Sulpiano Rufo rogazione illegale dare truppe a Mrio) 86 Morte di Mario 82 Silla entra a roma dittatura Lex datae

Lex valeria 81 Riforme sillane Lex Cornelia: quaestiones perpetuae 73 Rivolta di Spartaco 70 Pompeo e Crasso consoli Lex Aurelia Cottae lista giudici: senatori, cavalieri, tribuni aerarii: 67 Lex Cornelias de edictis : obbligo magistrati attenersi al proprio editto. 63 cesare console 60

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1°triumvirato pompeo-crasso-cesare (accordo di Lucca nel 56) 59 Cesare console 58 Consolato Servio Sulpicio Rufo: equità Trebazio 52 Pompeo consul sine colega :imperium proconsulare. Implica extraordinaria summa inosservanza imp.domi e militiate 49 Rubicone

Farsalo: sconfitta di Pompeo 44 Cesare dittatore perpetuo Lex Iulia (muore 15/03) 43 2° triumvirato Ottaviano- Lex datae Antonio-Lepido magistratura quinquennale straordinaria LEX TITIA con pieni poteri 31 Pax Augusta Battaglia di Azio sconfitto Antonio da Ottaviano 27 Augusto Superamento Capitone-Labeone istituzioni repubblicane 17 Lex Iulia iudiciorum privatorum: extra ordinem 4 AC Lex Aelia Sentia: schiavi sotto i 30 anni e manomissioni in frode ragioni creditorie sotto i 20 anni. Vedi anche Lex Fufia Canina del II sec. AC. Augusto freno alle manomissioni testamentarie (..) numero complessivo non superiore a 100, lex perfectae: per prime nel testamento fino concorrenza n° legale, ma testatore nomi in circolo: giurisprudenza frode=nullità! 14 Tiberio 37 Caligola 54 Nerone Acclamazione truppe pretoriane 68-69 Anno dei 4 imperatori

Galba/Ottone/Vitellio e poi Vespasiano (...Lex de imperio..) 81 Domiziano censore perpetuo (fine censura) Domus et deus 96 Nerva Fine legislazione comiziale

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98 Traiano Nerazio Prisco console 117 DC Adriano Nerazio-Celso-Giuliano consiglieri CONSILIUM PRINCIPES 130 Stesura definitiva editto pretorio 138 Antonino Pio Pomponio Enchiridion- Gaio istitutiones 193 Settimio Severo Papiniano-Paolo-Ulpiano 212 Cosiddetta CRISI III Editto di Caracalla o Costituto SEC. passaggio al Antoniniana basso impero 222 Ulpiano prefetto e Modestino prefetto vigilum dal 224-244 235 Alessandro Severo muore Periodo guerre civili sino al 284. Legalizzazione vincolo gleba. 235-260 Valeriano ultimo imperatore che governò in accordo con aristocrazia senatoria figlio Gallieno ...editto.... 260 Editto Gallieno: 1° riconoscimento liceità cristiana ..fede 270 Aureliano eletto dagli dei 282-283 Caro sola acclamazione militare 284 Diocleziano (Galerio) e Riforma fiscale e generale tendenza Massimiano (Clero Costanzo) ereditarietà delle funzioni. Investimenti in campo militare /iuga Tetrarchia calmiere/Diocesi.

1) decentramento, Codice ermogeniano potere amministrativo e militare; Codice gregoriano

2) senato emarginato da procedura successione 306/337 Costatino: da qui il Senato (324) pese come organo ogni controllo sulla cosa pubblica

313 Impero romano cristiano Editto di Milano: restituì i beni /pagano il precedente ecclesiastici confiscati 337 Morte di costantino costanzo II 380 Teodosio il Grande Editto di Tessalonica: vietò il culto pagano. 395 Onorio occidente Divisione pars orientis e pars occidentis

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Arcadio oriente 410 Sacco di roma - visigoti e alarico 426 Valentiniano III 425 Legge delle citazioni 438 Teodosio 2° imperatore di Codice teodosiano 429 - 435 Oriente 476 Romolo Augustolo Odoacre deposizione 490 Teodorico Costituzione fittavoli=coloni edito di Teodorico 491 Anastasio Vedi sopra 500 Lex romana burgundiorum 506 Lex anastasiana

Lex romana visighotorum

Breviaria Alariciarum 527 Giustiniano Tribuniano - Teofilo - dirotto 529 CODICE GIUSTINIANEO e Costituzione Summa Republicae 533 DIGESTA ISTITUZIONI 534 II CODICE 555 NOVELLE 717-741 Leone III isaurico Ecloga compendio 18 libri 886-911 Leone il sapiente Basilici libri del re 1453 29/05

CAPITOLO 2

PERIODI DEL DIRITTO ROMANO E MONARCHIA LATINA

I. Periodizzazione del Diritto Romano

La storia del diritto Romano vero e proprio va dall'8° secolo A.C. al 6° sec. D.P. ovvero dalla fondazione di Roma 753-54 AC alla codificazione Giustinianea.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 6/164 $LOGOIMAGE Nel corso del periodo di cui prima Roma cambia in modo radicale essa nasce come una comunità di pastori per trasformarsi in una Città-Stato di tipo schiavistico con un mercato agricolo e manifatturiero finanziario molto evoluto, infine si trasforma in una società chiusa che prelude al Medioevo.

Alle mutazioni della struttura sociale si accompagnano cambiamenti dell'ordinamento giuridico/diritto.

La prima fase della Storia Romana parte con l'aggregazione di villaggi e clan gentilizi sotto il coordinamento di un capo federale detto REX, con la dominazione etrusca si creano le strutture della città-Stato dove il Re detiene il potere politico militare (IMPERIUM).Alla classe dominante dei patrizi, membri degli antichi clan si contrappone la massa dei plebei.

Dal 509 scomparsa la monarchia si costituisce un ordinamento caratterizzato da magistrature elettive ed assemblee popolari: RESPUBBLICA (a una prima dominata dal patriziato succede, dopo aspre lotte per il pareggiamento delle classi, una Repubblica patrizio-plebea. Le LEGGI LICINIAE SEXTIAE del 367 costituiscono la base di un duraturo patto politico: consentirà la sostanziale fusione di patrizi ed èlites plebee in una nuova e più ampia classe aristocratica: la NOBILITAS) con l'avvento di Augusto e il suo potere si ha il superamento delle istituzioni Repubblicane (la seconda fase della costituzione repubblicana dura fino al 27 AC).

All'interno del periodo imperiale distinguiamo tradizionalmente due fasi: il Principato e il Dominato la cui linea di demarcazione è convenzionalmente posta in coincidenza con l'avvento al trono di Diocleziano (284).

L'autore preferisce invece collocare il passaggio al Basso Impero nel periodo dei Severi, all'inizio della cosiddetta "crisi del III secolo" e propone come data simbolica il 212, anno della costituzione di Caracalla che estese la cittadinanza ai sudditi provinciali, consolidando il carattere territoriale e universale dell'Impero.

La storia di Roma crolla sotto la spinta delle invasioni barbariche nel 476 data ufficiale con la deposizione di Romolo Augusto.Ad Occidente regni barbarici. Mentre l'impero di Bisanzio scompare definitivamente con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi il 29/05/1453.

Riferendoci alla Costituzione Romana si prenderà come punto di riferimento una scansione storica in 3 grandi periodi:

1° periodo: REGIO O MONARCHIA ARCAICA. Si divide a sua volta in:

- Monarchia latina: (dalla metà dell'8° secolo alla metà del 7° secolo AC) il Re è un capo confederale - Roma è una federazione, nascono le ;

- Monarchia etrusca (dal 7° sec. al 504 AC): si segue il modello politico degli etruschi, il Re ha un potere assoluto, è capo militare, crea la città Stato .

2° periodo: LA REPUBBLICA va dal 509 AC fino alla nascita dell'Impero (fondata da Ottaviano Augusto). Al posto del Re ci sono 2 magistrati eletti in carica per un anno. Ci sono 2 consoli con eguali poteri. Il soggetto politico più importante è il popolo: RES PUBLICA.

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La Repubblica conosce 2 fasi:

- Repubblica patrizia: aristocrazia ereditiera. Il patriziato occupava il rango privilegiato anche nella monarchia. Scoppiano lotte tra patrizi e plebei. Nascono poi leggi di parificazione e quindi nasce una nuova classe dirigente patrizio plebea ovvero la NOBILITAS: essa è una elites non più ereditiera ma formate da famiglie che riescono a far eleggere individui;

- Repubblica patrizio-plebea o egemonia della nobiltas fino al 27 AC.

3° periodo IMPERO. E' una monarchia che muove i suoi passi dal tentativo di passare bruscamente dalla monarchia alla Repubblica. Apparentemente la Repubblica non è modificata con l'avvento di Augusto ma al di sopra di tutti vi è il Principe. Non dichiara di essere un re ma in realtà lo è.

L'Impero si divide in due fasi:

- Principato (Alto Impero) c'è il princeps a cui tutti obbediscono. E' ancora basata sull'idea di Roma che domina il mondo.

- Dominato. Tutti sono egualmente sudditi dell'imperatore il Dominato inizia con l'editto di Caracalla con cui viene concessa la cittadinanza a tutti i sudditi dell'Impero equiparando Romani e Provinciali.

Riferendoci alla COSTITUZIONE ROMANA abbiamo 3 periodi:

1) REGNO: MONARCHIA LATINA;

MONARCHIA ETRUSCA;

2) REPUBBLICA: FASE PATRIZIA;

EGEMONIA NOBILTAS;

3) IMPERO: PRINCIPATO;

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DOMINATO.

Lo sviluppo della GIURISPRUDENZA è diviso in 4 periodi:

1) Giurisprudenza ARCAICA o PONTIFICALE (dall'8° al 3° sec. AC);

2) Giurisprudenza PRECLASSICA o LAICA (fino all'età Augustea);

3) Giurisprudenza CLASSICA (età del Principato);

4) Giurisprudenza POSTCLASSICA (fino a Giustiniano);

GIURISPRUDENZA ARCAICA: è solo in epoca successiva alla fondazione della città che ha inizio una vera e propria attività giurisprudenziale, nella quale gli interpreti del diritto fanno la loro comparsa come COLLEGIO SACERDOTALE PUBBLICO, specializzato nel fornire responsi giuridici. Ma dalla metà del 5° secolo, in conseguenza della codificazione parziale dei MORES MAIORUM (le XII tavole), vengono poste le lontane premesse per la laicizzazione della giuridisprudenza;

GIURISPRUDENZA PRECLASSICA: Occupa parte della storia repubblicana arrivando fino alla creazione del Principato. A partire dalla metà del 3° secolo, i pontefici sono affiancati e superati dall'intervento di esperti privati. Essi vengono richiesti, dalle pubbliche autorità e dai cittadini, di dare pareri su come vadano interpretati i costumi degli antenati e le altre fonti normative....tecniche affinate vedi nuovi metodi di indagine dei Greci.

GIURISPRUDENZA CLASSICA: E' il periodo più importante da cui trarrà poi alimento la tradizione romanistica. Corrisponde al periodo del Principato. L'attività giurisprudenziale resta la fonte più autorevole e creativa del diritto che deve confrontarsi con il peso sempre maggiore della legislazione imperiale. I maggiori giuristi vengono insigniti da Augusto del privilegio di dare pareri in suo nome. Dall'epoca di Adriano figureranno sempre più spesso nel consiglio del Principe. Sotto la dinastica dei Severi, i maggiori giuristi occuperanno le più alte cariche della carriera burocratica.

GIURISPRUDENZA POSTCLASSICA: Arriva fino all'età di Giustiniano. Nell'età del Dominato si avrà un periodo di decadenza della cultura e delle tecniche dei giuristi, e di ulteriore burocratizzazione della loro funzione. In quest'epoca i giuristi applicheranno la loro scienza soprattutto nel lavoro all'interno della cancelleria imperiale e nelle scuole di diritto. La giurisprudenza perderà il ruolo creativo finendo emarginata a vantaggio della legislazione imperiale.

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La giurisprudenza era per i romani sia scienza che fonte del diritto.

Sviluppo storico del diritto privato. Stessa periodizzazione, ma precisazioni: l'ordinamento fu sempre costituito da una combinazione di diversi complessi di norme., prodotti da fonti differenti: i costumi degli antenati, le leggi votate dal popolo, l'attività giurisdizionale di particolari magistrati, eccetera. I romani considerarono in vigore ciascuno di questi sistemi, in linea di principio nessun nuovo complesso normativo aboliva gli altri: sicchè le loro inevitabili contraddizioni dovevano essere coordinate dall'attività interpretativa dei giuristi. L'evoluzione del diritto privato non accompagnava meccanicamente le modificazioni che insorgevano negli ordinamenti statuali. I giuristi rivendicavano anzi orgogliosamente l'autonomia della loro scienza e della loro tradizione, rinunciando persino ad analizzare scientificamente il governo della RES PUBLICA e la repressione criminale. Erano settori, infatti, nei quali la civiltà giuridica romana concedeva una discrezionalità assai ampia alle autorità politiche. Essi preferirono isolarsi dalla sfera del pubblico (SCHULZ) e rimanere, invece, in buona sostanza, dei consulenti in materia di rapporti giuridici tra privati. E' soprattutto nell'ambito del diritto privato del quale erano interpreti e custodi, che la loro scienza funzionava da fonte dell'ordinamento.

II. L'Italia preromana

Dal 1200 AC si sviluppò in Italia la cultura PROTO-VILLANOVIANA. Si trattava di una propaggine locale di

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 10/164 $LOGOIMAGE una civiltà Indoeuropea che adottava particolari comportamenti tipo l'incenerimento dei defunti i cui resti, posti in vasi, venivano sotterrati. Questi popoli Indoeuropei diffusi in Europa centrale si sviluppano anche in Italia peninsulare e vengono detti ITALICI anche se non si costituiscono come una popolazione omogenea. Fra il 9° e 7° secolo AC comparvero in Italia altre popolazioni: FENICI in Sicilia e Sardegna e GRECI in Sicilia.

ETRUSCHI: considerati tirreni per i greci , la loro origine è problematica. Ci si chiedeva se erano immigrati della Lidia o se discendevano dai Pelasgi antichi abitanti della Grecia o erano autoctoni. Probabilmente gli Etruschi sono il risultatno di una lenta infiltrazione di immigrati dell'area Greca e anatomica in una zona occupata dai villanoviani (Valle del Tevere - Colli Albani - Umbria Sabina). Erano grandi maestri del metallo, avevano un'agricoltura tecnicamente avanzata ed erano abili commercianti. Tra l'8° e il 7° secolo la popolazione era organizzata in centri fortificati indipendenti, governati da monarchi. Verso il 6° sec. si forma una lega per eleggere un monarca. Tra il 6° e 5° secolo AC le monarchie cedettero il posto a repubbliche aristocratiche rette da magistrati elettivi. Il territorio etrusco mai unificato politicamente, si estese verso il Lazio, la Campania (scontrandosi con i greci), l'Emilia. Al centro fra Magna Grecia e Etruria si trovava il LAZIO (terra aperta). I Romani attribuivano a quest'epoca i caratteri dell'abbondanza e dell'eguaglianza. Una leggenda permetteva di ricollegare l'origine di Roma al ciclo troiano. Il re latino (discendente di Saturno) avrebbe dato in sposa sua figlia ad Enea, ereditato il trono l'eroe troiano avrebbe fondato Lavinio dando ai propri sudditi il nome di Latini. In seguito il figlio di Enea, Julo avrebbe edificato Alba Longa. Da una discendente di questa stirpe regale e dal Dio Marte sarebbe nato Romolo.

III - L'origine della città e l'ipotesi gentilizia.

La nascita di Roma è da collocarsi intorno al 753-754 AC.

Nell'8° secolo Palatino, Esquilino e il Quirinale erano già abitati dai primitivi insediamenti ebbe origine un SINECISMO ovvero una aggregazione in un solo centro urbano di villaggi preesistenti. Tale processo assunse all'inizio la forma di una lega con finalità religiose e di scambio commerciale. I Romani si resero subito conto della posizione strategica del sito dove sarebbe nata Roma (vicino al fiume). Il fiume era ampiamente navigabile costituiva una ottima via commerciale, di fuga e consentiva lo sviluppo agricolo oltre all'ingente introito economico per via delle saline (alla foce del fiume).

SECONDO LA TRADIZIONE e dai dati forniti dagli annalisti LIVIO e DIONIGI DI ALICARNASSO, Roma sarebbe stata fondata da Romolo (a capo di un gruppo di sbandati di varia provenienza). La data certa della fondazione non c'è, esclusa quella del 509 AC inizio della Repubblica. Si dovettero (come da convenzione usata spesso dagli storici greci) attribuire 35 anni per ogni regno e risalire così al 753-754.

Romolo divise la cittadinanza in 3 TRIBU':

1- RAMNES

2- LUCERES

3- TITIES ciascuna con a capo un tribuno;

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 11/164 $LOGOIMAGE in 30 CURIE con a capo un CURIONE; in 300 DECURIE sotto la responsabilità di un DECURIONE;

Creò un SENATO di 100 membri e divise la cittadinanza in due classi: PATRIZI E PLEBEI ( primi occupati di affari pubblici secondi dediti al lavoro agricolo).

Per la leggenda si tratterebbe di una società costruita secondo un piano razionale, in maniera del tutto volontaristica. Le CURIAE dovettero essere dei distretti a carattere militare e religioso. L'assemblea generale di tutte le curie avrebbe avuto il compito di votare le leggi. Esclusi dalla cittadinanza, i clienti - persone immigrate o declassate, prive di mezzi di sussistenza - si sarebbero poi affidati alla protezione delle famiglie più importanti.

A Romolo successe una serie di Re Latini, Sabini ed Etruschi.

Con la cacciata di Tarquinio il Superbo comincia la Repubblica con l'elezione della prima coppia di consoli.

Secondo la TEORIA PATRIARCALE formulata nel 700 da G.VICO (Bonfante, ecc.) l'area di Roma era abitata da nuclei familiari sparsi e indipendenti. Il territorio era incentrato su un gruppo di piccole capanne. Il concetto romano di FAMILIA in senso stretto (PROPRIO IURE) non coincide con la famiglia "nucleare" moderna, cioè con un gruppo parentale limitato alle sue componenti fondamentali: padre, madre, figli.

CLAN: le famiglie che hanno un comune antenato o che si organizzano intorno ad un idolo (per lo più animale). I clan sono legati da un rapporto di solidarietà. Il concerto Romano di famiglia parte dal PATERFAMILIAS. C'è un rapporto fortemente autoritario dove il PATER gode di un potere indifferenziato e senza limiti su: moglie, figli, nipoti, schiavi, animali e terra. Egli può fare ciò che vuole in quanto unico titolare del patrimonio. Alla sua morte i discendenti liberi (ADGNATI) rimangono legati insieme con le loro famiglie in un gruppo parentale allargato, che però non ha un capo né un territorio. Dall'unione di famiglie (o di grandi famiglie) nasce l'organismo politico detta GENS, diretta da PATER GENTIS e la città si sarebbe formata dall'unione di più gens.

ALTRE TEORIE: per alcuni autori Roma sarebbe sorta da una sola stirpe di etruschi e secondo MEYER la disgregazione di uno Stato-Stirpe Latino avrebbe consentito la nascita di Roma, frazionata in gruppi minori (famiglie e genti). Roma è il risultato della disgregazione di uno Stato più grande. Roma sarebbe sorta da una sola stirpe (gli Etruschi che avrebbero sottomesso i Latini:ARANGIO-RUIZ).

Infine ALTRI (DE MARTINO e FRANCIOSI) sostengono che l'organismo politico-sociale primario nella storia di Roma e, in generale, dei popoli dell'area italica fosse la GENS, che risultò dal frazionamento di gruppi più vasti, risalenti all'epoca delle migrazioni. La GENS prima che la città si costituisse, era essenzialmente un aggregato esogamico di grandi famiglie agnatizie, un esteso gruppo parentale caratterizzato dal divieto di sposare una donna del proprio stesso NOMEN. I membri del gruppo prendevano infatti, oltre al PRAENOMEN personale, il NOMEN gentilizio.Molti autori DE MARTINO e FRANCIOSI sostengono la IPOTESI GENTILIZIA: l'organismo politico sociale e primario è la GENS che risulta dal frazionamento di gruppi più vasti, risalenti all'epoca delle migrazioni. La tribù endogamica si scinde in clan esogamici. Vige il PRINCIPIO DELL'ESOGAMIA in base al quale gli uomini di tali gruppi possono sposare solo donne estranee, consentendo così di intrattenere scambi.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 12/164 $LOGOIMAGE Il CLAN è un insieme di più famiglie che hanno in comune un idolo di solito un animale o un vegetale: VALERII (guaritori) FABII (della fava) FLAVII (perché biondi).Sia a Roma che fra gli Etruschi vi è una fase in cui gli uomini possiedono ancora un solo nome ed una fase successiva in cui adottano anche un nome gentilizio. Solo in una terza fase diventa necessario segnalare l'appartenenza alla famiglia allargata che risulta dal COGNOMEN.Esempio: Gens Cornelia divisa in Cornelii Centoli e Corneli Scipionis e sola la classe dirigente avrà i TRIA NOMINA.

Al Clan è legato anche un gruppo di estranei detti CLIENTES, a cui viene concesso lo sfruttamento precario di un territorio in cambio di sostegno bellico in guerra.

Le Gentes sono entità sovrane che stipulano tra loro veri e propri trattati di alleanza e dalla federazione di questi clan gentilizi terzi nasce la città. Il rex è un capo federale con limitate competenze: capo militare e sacerdote diritti comuni. La famiglia allargata conosce fino a 6 gradi di parentela, quella più ristretta è la FAMILIA PROPRIO IURE che nasce dalla crisi del clan e dal frazionamento della proprietà comune.

I sostenitori della tesi gentilizia (che è la più verosimile) hanno 2 importanti riscontri che provano l'autonomia originaria della gens:

1) l'adesione alla città della gente claudia di origine sabina nel 504;

2) la guerra condotta dai Fabii contro i Veii.

Le tappe del processo aggregativi sono:

- i Latini primitivi si dedicavano alla pastorizia e alla agricoltura. Il villaggio aveva terra comune per tutti adibiti a pascolo. Ciascuna famiglia aveva un orto di 2 iugeri;

- tra l'8° e il 7° secolo inizia all'interno dei PAGI un processo che porta alla formazione di fondi privati disgregando le forme arcaiche di proprietà gentilizia. La fase Latino-Sabina della storia di Roma è caratterizzata dalla aggregazione dei villaggi nei quali i capi dei clan hanno il sopravvento sui contadini;

- uno dei nuclei costitutivi di Roma dev'essere stato l'insediamento del Palatino, poi il Quirinale, eccetera.

IV. - La regalità latina

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 13/164 $LOGOIMAGE Il Politico di Platone seguendo una tradizione risalente almeno al VI-V secolo AC identifica tre modelli fondamentali di stato, ai quali corrispondono tre forme illegali, che ne rappresentano la versione degenerata: a) Monarchia (Tirranide); b) Aristocrazia (Oligarchia); c) Democrazia (regime plebeo).

Nei linguaggi indoeuropei , la radice REG esprime il concetto di linea retta: il REX è colui che traccia la via da seguire, che delimita il giusto confine, che dà la regola a cui attenersi. La comunità aveva bisogno di un capo che fosse anche in grado di consultare gli Dei e interpretarne il volere. In questo modo ogni atto politico e ogni impresa militare sarebbero stati conformi al FAS. Il re - carica sempre monocratica, tranne la breve coreggenza di Romolo e di Tito Tazio - era un capo politico e militare dotato di POTESTAS vitalizia. Ma soprattutto era un sacerdote e un arbitro nelle controversie che potevano mettere a repentaglio l'esistenza della comunità. L'ordinamento gentilizio era troppo forte per poter consentire al rex di essere più del capo di una confederazione di borghi e di gruppi gentilizi. Il suo potere non era né originario né ereditario, ma veniva conferito dai PATRES (gli ordinamenti precittadini). Per tutta la storia di Roma, l'antica idea di una regalità elettiva fece sì che l'istituto monarchico non fosse mai regolato da leggi successorie precise. Il re poteva essere creato dal suo predecessore o dai PATRES, o anche pervenire al potere con la forza. Ma doveva poi venire riconosciuto dagli Dei e dagli uomini come legittimo capo della comunità.

Dopo la designazione del re si procedeva alla cerimonia dell'inaugurazione ed un sacerdote indovino interrogava e studiava i segni della volontà degli Dei, il volo degli uccelli era un segno positivo di augurio. I re erano condottieri, militari, guide politiche, capi religiosi per mantenere la pace.

I primi due erano certamente leggendari.

Il re era assistito dal Consiglio dei patres, notabili dei clan gentilizi , organismo che poi avrebbe dato vita al Senato della civitas. Erano appunto i capi delle GENTES i veri titolari del potere; ed all'organo che li rappresentava esso tornava automaticamente se il re veniva a mancare senza un successore designato. Si apriva allora una procedura complessa, per creare un nuovo re (CREATIO).

Se il re veniva a mancare i membri di una commissione di patres esercitavano a turno il potere per cinque giorni (INTERREGNUM) finchè non si raggiungeva un accordo per la nuova elezione.

L'ultimo proclamava il nuovo capo (CREATIO) quindi venivano consultati gli dei (INAUGURATIO).

I re erano non solo condottieri di eserciti e mediatori politici tra le gentes, ma anche capi religiosi, incaricati di mantenere buoni rapporti fra uomini e Dei (PAX DEORUM): ogni anno il re si allontanava per cinque giorni (REGIFUGIUM) e riprendeva il suo posto dopo essere stato riammesso da un interrè (riconferma).

Infine dalle milizie dei gruppi gentilizi (CURIAE) il re riceveva un solenne impegno di obbedienza ().

La monarchia e lo Stato vero e proprio sorgeranno intorno al 600 AC quando gli etruschi si espanderanno verso la Campania si scontreranno con i Quiriti. Da questo scontro nascono le istituzioni dell'URBS che prende il nome di Roma.

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CAPITOLO 3° DALLA MONARCHIA ETRUSCA ALLA REPUBBLICA

I - La monarchia dei Tarquini

La monarchia etrusca è sinonimo per Roma di grande sviluppo economico, civile e demografico.

Importante all'epoca fu il POMERIUM (il confine sacro) che la tradizione fa risalire alla Roma quadrata del Palatino. Esso fu importante sotto l'aspetto religioso e anche quello politico e giuridico. Il confine sacro corrisponde al solco scavato con l'aratro da Romolo e profanato da Remo.

Il POMERIO è una striscia di terreno,incolta e inedificata che gli AUGURI delimitavano per indicare il luogo dove cessava la possibilità di prendere gli auspici. Era un confine religioso, oltrepassando il quale il capo perdeva il potere di capo cittadino e cominciava il suo potere di comandante militare.

L'URBS è al centro di una corrente di traffici tra Magna Grecia e Toscana.

Anche nelle campagne, l'introduzione di nuove colture e di tecniche più avanzate,mise in crisi la struttura comunitaria della GENS e favorì l'affermarsi della proprietà privata. Tutte queste trasformazioni, che tendevano a superare l'assetto gentilizio della società, furono favorite dalla presenza di un potere politico-militare più forte di ognuna delle GENTES considerata individualmente: il REX di tipo ETRUSCO.

La MONARCHIA nel concetto etrusco è caratterizzata dal potere dell'IMPERIUM (in epoca regio probabilmente definito anche MANUS): è una potestà tendenzialmente illimitata che consente al suo titolare di emanare direttive e imporre sanzioni in caso di disobbedienza.

Sul piano militare consente di ordinare la leva e di condurre l'esercito; sul piano civile consente di convocare le assemblee popolari, il Senato, di impartire ordini ai cittadini e di punirli.

Simbolicamente L'IMPERIUM è rappresentato dal fascio littorio: un mazzo di verghe di olmo e betulla legate da una cinghia di cuoio in cui è inserita una scure. Vedi anche manto di porpora, scettro con l'aquila e la sella curulis.

Il REX è il capo militare è il rappresentante della comunità nei suoi rapporti con gli dei e ogni atto politico e militare è preceduto da una consultazione dei segni. Il potere del rex Etrusco non è originario ne è destinato a rimanere all'interno della sua famiglia, egli non crea una dinastia, è il re dei Romani. Il monarca Romano deve dimostrare ogni volta di avere titolo al comando. La regalità feudale del medioevo è diretta perché passa alla primogenitura del sovrano. Alla morte del re qualora nonvi fosse un successore da lui designato la capacità di prendere gli auspici ritorna ai PATRES che procederanno alla creatio del nuovo re. Il re designato si presenta all'assemblea per ricevere un solenne impegno di obbedienza da parte dei cittadini in armi.

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Secondo la tradizione il re ANCO MARZIO avrebbe eletto come suo successore un immigrato etrusco di origine greca LUCUMONE che assunse il trono con il nome di LUCIO TARQUINIO ed assicurò a Roma un periodo di grande sviluppo. Assassinato il suo posto fu preso da un prigioniero latino SERVIO TULLIO con l'appoggio della vedova del re. Altra versione: MASTARNA prese il potere a Roma dopo la morte di Tarquinio il Romano, ma la tesi secondo la quale Servio Tullio fosse un avventuriere viene confermata anche dall'imperatore CLAUDIO studioso di antichità etrusche.A TULLIO MASTARNA si dovrebbe la riforma dell'esercito su base territoriale e censitaria. Governò con l'appoggio degli strati bassi della popolazione e morì assassinato dal genero TARQUINIO IL SUPERBO.

TARQUINIO IL SUPERBO (inventò moneta: barre di bronzo sigillato) non è un re latino, ma è un monarca assoluto che prende il potere con un colpo di mano e governa appoggiato dal popolo contro l'aristocrazia e le leggi tradizionali della comunità. L'origine latina di questo intruso fra due re etruschi spiega come Roma fosse in balia di forze esterne. Il regno del 2° e ultimo Tarquinio deve seguire la direzione politica antipatrizia. A distanza di tempo contro il potere tirannico scoppiò una rivolta che avrebbe instaurato un regime pluralistico e moderato. LA LIBERTAS REPUBLICANA

II - Gli organi della città etrusca

Il re è il capo dell'esercito ma può delegare questa sua funzione a un suo collaboratore al MAGISTER POPULI che a sua volta è coadiuvato da un comandante dei cavalieri MAGISTER EQUITUM, da due generali (PRAETORES, da PRAE IRE= marciare alla testa) e da un corpo di ufficiali che sono in qualche modo espressione delle tribù (i TRIBUNI MILITUM=tribuni dei soldati).

Il rex ha anche il compito di salvaguardare l'ordine pubblico, punisce gravi crimini che mettono a repentaglio l'esistenza della comunità e anche in questo campo si avvale di collaboratori: coppia di DUOVIRI PERDUELLIONIS per la repressione dell'alto tradimento; i QUAESTORES PARICIDII per la punizione dell'omicidio di un uomo libero; degli IUDICES da taluni identificati come i precursori dei consoli. Nel caso il re si allontani nomina in sua vece il PRAEFECTUS URBI.

Il re come capo religioso è assistito da una nutrita serie di sacerdoti veri e propri tecnici del culto di Stato, distinto da quello dei clan e delle famiglie. Alcuni dei quali i FLAMINI. Per la maggior parte sono organizzati in collegi che si rinnovano per cooptazione. Un ruolo importante, destinato a crescere in epoca repubblicana, è esercitato dai 5 PONTIFICES che sono presieduti dal , che svolgono la funzione di redattori del calendario e di consulenti in materia di riti pubblici.

Il re doveva intervenire anche nelle liti fra privati per dichiarare quale regola di giustizia si dovesse applicare (DICERE IUS), ma normalmente dovette essere assistito da un collegio sacerdotale specializzato nell'interpretare il diritto: appunto i PONTEFICI (vedi Pontem facere: ponte Sublicio: si ipotizza che questi questi artefici diventassero un collegio di sacerdoti, interpreti del FAS e dell'IUS, e quindi paradossalmente i primi giuristi della città.

Prima i pontefici erano 3 (1 per tribù) poi 5. Si occupano dei sacrifici, avevano carica vitalizia erano esentati dal servizio militare e tributi. 6 Vestali che sono le uniche donne immuni dalla potestà paterna, sono un collegio di vergini posto sotto la sorveglianza del pontefice massimo. Esse devono mantenere viva la fiamma del focolare di Stato nel tempio di Vesta.

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Gli AUGURI sono indovini che hanno l'incarico di interpretare la volontà che gli dei manifestano agli uomini tramite dei segni (auguria ablativa). Essi osservavano il volo degli uccelli o il prodursi di fenomeni naturali e a tale scopo dividono idealmente il cielo in 4 parti corrispondenti sulla terra ad uno spazio sacro quadripartito IL TEMPLUM al cui centro si pone l'osservatore. Ogni segno acquisterà un segno diverso a seconda di dove si trovi. Flamini provvedono all'esercizio dei culti per le singole divinità.

Venti Feziali sono incaricati della stipulazione dei trattati internazionali (FOEDERA) mediante la recita di una maledizione a carico degli eventuali inadempienti (dichiarazione di guerra con la lancia). Dall'attività del collegio derivano i principi giuridico-religiosi dell'IUS FETIALE di valore universale, in quanto Giove è custode della FIDES (=lealtà) tra i popoli.

Il Senato, forse in epoca etrusca definito CONSILIUM REGIS, è una assemblea di notabili di sperimentata capacità politica nominati a vita. Esso è costituito da figure sociali diverse e dotato di funzioni e poteri che variano da un'epoca all'altra. Durerà dall'epoca quiritaria fino all'estrema decadenza dell'Impero. Esso è la riunione dei patres dell'ordinamento gentilizio ma è dominata dal re. E' un organo consultivo, ma rientra nel pieno esercizio della sovranità nel caso di interregno. Secondo la tradizione Tarquinio Prisco avrebbe portato il Senato a 300 membri rispetto ai 100 previsti da Romolo.

Altro potere è l'AUTORICTAS , può ratificare le delibere popolari.

Popolo - Il termine populus è di probabile origine etrusca e indica un insieme di guerrieri (QUIRITI) come erano definiti nella fase latino-sabina. Questi sono divisi in: DISTRETTI DI LEVA, le TRIBU' e le CURIE che danno all'esercito un certo numero di contingenti (CENTURIE).

Le tre tribù sono una ripartizione artificiale del territorio cittadino, le trenta curie corrispondono ad un raggruppamento di uomini di un pagus o di una gens.

I COMITIA CURIATA (riunioni di uomini ripartiti in curie presieduta da un sacerdote CURIO MAXIMUS) sono in origine l'adunanza che raccoglie l'intera popolazione ei Quiriti, cioè di quegli uomini liberi atti alle armi. Il popolo vi partecipa diviso in 30 distretti di leva, 10 per ciascuna delle tribù arcaiche. L'assemblea delle curie ha la funzione di dare vita ad alcuni riti religiosi e civili, essa procede alla LEX CURIATA DE IMPERIO e alla LEX DE BELLO INDICENDO (proclamazione dello stato di guerra). In entrambi i casi i cittadini-soldati prendono atto di quanto è stato deciso manifestando informalmente il loro plauso (SUFFRAGIUM). Ma è anacronistico attribuire a questa assemblea tumultuaria quelle potestà elettorali, giudiziarie e legislative tipiche del comizio centuriato nell'epoca repubblicana. LEX in quest'epoca significa ancora solo proclama, impegno solenne di un privato o di una pubblica autorità. Dunque le cosiddette leggi regie altro non erano che ordinanze del re, soprattutto di contenuto religioso, annunciate alle curie.

La funzione ordinaria dei comizi curiati è quella di assistere al compiersi da parte del di atti privati ma ritenuti importanti da coinvolgere i rapporti con le altre famiglie e la sfera religiosa. Per questo il comizio è presieduto dal re. Inoltre: 1) votano la LEGIS REGIE; 2) approvano il nuovo rex.

Testamentum calatis comitiis/paterfamilias: adrogatio/filius/detestatio sacrorum.

III - L'ordinamento serviano e la plebe

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NIEBUHR: ha pensato che Roma in origine fosse costituita da soli patrizi (membri delle tribù stirpi che si erano fuse nella città); la plebe sarebbe stata composta dagli immigrati e comunque da coloro che erano rimasti fuori da questa primitiva aggregazione.

Altri (MOMMSEN) hanno fatto derivare la plebe dalla dissoluzione dei legami di clientela e del confluire di immigrati più recenti in questa massa di ex sudditi del patriziato.

Ma la tradizione è concorde nel far partecipare la plebe alle assemblee popolari fin da età remota.

Altri ancora DE MARTINO: hanno sostenuto un'origine molteplice della plebe, dal ceto degli immigrati che numerosi erano accorsi in città nel periodo etrusco, dai clienti in una fase di dissoluzione del sistema gentilizio, dal declassamento di genti minori o di rami decaduti delle gentes.

In ogni caso, una stratificazione sociale così rigida ... potè mantenersi solo a patto di non indebolire la capacità di difesa. Roma non poteva difendersi contando solo sulle milizie aristocratiche. La creazione di un esercito patrizio-plebeo permise ai re etruschi di ridurre il potere della aristocrazia indigena e di avviare un processo di integrazione alla plebe, che si compì nel 4° secolo.

La tradizione attribuisce a Servio Tullio una riforma militare su base censitaria (logica anche politica rivoluzionaria). Il popolo senza distinzioni tra patrizi e plebei venne distribuito in 5 classi, secondo la valutazione del patrimonio della famiglia PROPRIO IURE (100mila assi, 75mila,50mila,25mila,12.500) Ciascuna classe doveva fornire un numero di fanti armati a proprie spese. Una èlite al di sopra della prima classe forniva 18 centurie di cavalieri. L'adunata del popolo in armi, inquadrato per centurie e classi avrebbe già da allora funzionato da assemblea politica. Creare un esercito in tal genere significava che la civitas, il popolo comprendeva anche chi non era membro della gentes (compresi gli uomini nullatenenti-plebei che partecipavano con una sola centuria).Il nuovo esercito dei Quiriti costituì davvero una svolta in senso anti-patrizio, per il semplice fatto di comprendere non solo i membri delle gentes ed i loro clienti, ma anche i ceti medi plebei.

Gli etruschi avevano portato nuove tecniche militari e introdotto gli OPLITI cioè i soldati armati di corazza che combattevano inquadrati in uno schieramento ordinato. La guerra era una impresa cittadina. L'esercito era diviso in 3 settori:

CAVALLERIA PATRIZIA (18)

FANTERIA PESANTE PATRIZIO-PLEBEA

PLEBEI PIU' POVERI

Ogni classe fu suddivisa in un certo numero di centurie (gruppi di 100 uomini).

Plebei più poveri come ausiliari.

In età Repubblicana c'erano 193 centurie della fanteria divisa in IUNIORES (17-45 anni) SENIORES (fino a 60 anni).

Erano previste 4 centurie di artigiani e musicanti. I poveri ovvero i proletari fornivano solo 1 centuria di ausiliari.

A Servio Tullio si attribuisce la ripartizione dell'URBS in 4 regioni:

1) SUBURANA;

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2) PALATINA;

3) ESQUILINA;

4) COLLINA.

A cui si aggiunsero 16 tribù rustiche nelle quali fu diviso il territorio agricolo del Lazio. I plebei sempre più determinati nella difesa del regno non furono più considerati stranieri.

V - Origine della magistratura

La Repubblica nacque con la cacciata del 2° Tarquinio 510 o 509. Dopo una rivolta (causa l'offesa alla moglie di Tarquinio da parte di un figlio del re). I capi della rivolta sarebbero divenuti i PRIMI CONSOLI eletti dall'ASSEMBLEA CENTURIATA: LUCIO GIUNIO BRUTO (nipote del re) e lo stesso COLLANTINO. Quest'ultimo fu poi sostituito da VALERIO PUBLICOLA.

Alcuni anni dopo la cacciata Roma si appoggiò agli Etruschi e subì l'ostilità dei Latini, ma le forze etrusche furono battute ad Ariccia nel 507 dalla Federazione del NOMEN LATINUM E DAI GRECI DI CUMA.

.....Ruolo di mediatore economico fra etruschi e magna grecia....

La creazione di una magistratura elettiva il cui IMPERIUM era limitato dalla breve durata e dal fatto di essere diviso tra 2 titolari con reciproco potere di veto, instaurò un regime costituzionale (FORMA CIVITATIS) del tutto opposto a quello monarchico.Il MAGISTRATUS era un pubblico ufficiale che per un tempo determinato esercitava un potere di governo sulla Respublica. Questo limite temporale e il fatto che che fosse scelto dal popolo bastava a differenziarlo decisamente dal re. Grazie a magistratura, Senato e assemblee popolari, lo Stato da divenne cosa del popolo RES PUBLICA e non cosa del re.

Roma acquista la LIBERTAS che concretamente si identifica con il regime del consolato.

La magistratura suprema, benché dotata dell'imperium e dei segni del potere tipici del monarca etrusco, è una coppia di rappresentanti del popolo, votati dall'assemblea. La corrispondenza con analoghe magistrature delle città etrusche della stessa epoca è evidente. Il principio dell'elettività popolare tende ad estendersi anche ad altre cariche dello Stato. Varie furono le forme di magistratura dopo la caduta della monarchia: normalmente quella collegiale dei consoli erano eletti ogni anno (entrambi patrizi). In casi particolari era eletto un dittatore in carica per sei mesi.

Il patto politico-istituzionale del 367 con le LEGGI LICINIAE SEXTIAE che consentirono la nomina di un console plebeo, stabilizzò definitivamente il regime consolare.

FASTI CONSOLARI: elenco dei magistrati eponimi affisso alla Reggia, che riporta effettivamente una coppia di magistrati a partire dal 509.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 19/164 $LOGOIMAGE Uno degli ostacoli ad accettare la ricostruzione tradizionale è dato dalla presenza in età Repubblicana di un sacerdote inaugurato, il (re dei riti) che viveva nella Regia insieme con la Regina. Benché fosse subordinato al pontefice massimo, nelle cerimonie aveva la precedenza su di lui. Inoltre l'istituto dell'interregno continuò ad esistere per tutta l'età Repubblicana applicata non alla elezione del re, ma alla suprema magistratura. Altro ostacolo è quello delle lunghe interruzioni nel sistema consolare, stupisce l'incertezza sul futuro tipo di magistratura. Altro problema sorge dal fatto che nei FASTI (elenco di magistrati) risultano come consoli membri delle famiglie plebee in un'epoca lontana dal pareggiamento delle classi.Alcuni studiosi pensano che alla cacciata dei Tarquini la monarchia non fosse cessata, ma avesse subito delle modificazioni come era successo ad Atene dove il re era stato esautorato dai suoi subalterni e ridotto ad una figura sacerdotale. In ogni caso si contesta che il potere regale sia stato immediatamente sostituito da quello dei consoli. Molti hanno pensato ad una magistratura monocratica o ad una coppia di poteri impari.

Per alcuni il successore del re etrusco fu il MAGISTER POPULI detto più tardi PRAETOR MAXIMUS O DICTATOR. Finita la lotta di classe ci fu il raddoppiamento della magistratura suprema, assegnando uno dei pretori ai patrizi, l'altro ai plebei. I pretori dotati di pari poteri furono definiti consules e ad essi se ne aggiunse un terzo collega minore dei precedenti a cui rimase affidata la funzione giudiziaria. L'ipotesi di un processo graduale contraddice la testimonianza. Chi ereditò l'imperium regale nella fase più risalente della Repubblica? E' ancora oggetto di discussione.

La figura del DITTATORE può essere l'anello fra il rex e la magistratura consolare: è un re a termine, non eletto dal popolo, ma scelto dal console. E' ragionevole però supporre che dopo la cacciata del re il potere sia stato assunto dai capi militari preesistenti, ma non si può negare l'esistenza dei PREATORES o di una magistratura monocratica. Dopo la cacciata dell'ultimo Tarquinio, Roma pagò il declino del mondo etrusco in quanto vi fu una lunga fase di crisi economica. La crisi del commercio, dell'artigianato, e il ritorno al lavoro dei campi rafforzò il potere dell'aristocrazia.

CAPITOLO 4° REPUBBLICA PATRIZIA E CONQUISTE DELLA PLEBE

I - Lotte sociali e organizzazione della plebe

Nel mondo romano il concetto di CIVITAS (equivalente greco POLIS) fondamentalmente politico (più che urbanistico): una comunità indipendente che si autoamministra con proprie leggi e magistrati elettivi . Non tutti gli abitanti dell'URBS ne facevano parte essendone esclusi schiavi e stranieri. La Roma repubblicana non era più cosa del re bensì: RES PUBLICA cosa del popolo.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 20/164 $LOGOIMAGE Fino al grande compromesso istituzionale e sociale dal 367 AC la città restò dominata dai PATRICII (=membri delle famiglie dei PATRES). Si passò da una monarchia patrizia ad una Repubblica aristocratica fondata ancora sulla subordinazione della plebe. Non tutti i plebei erano poveri in quanto c'era uno strato economicamente forte che voleva legarsi a famiglie patrizie. I plebei erano esclusi dal sistema (gentilizio) delle genti e non partecipavano al culto cittadino in quanto erano persone poco gradite agli dei, secondo i patrizi. I loro matrimoni avvenivano con riti diversi da quelli dei patrizi e non erano dotati di CONUBIUM (capacità matrimoniale) nei confronti del patriziato pertanto da matrimoni misti i figli nati sarebbero stati considerati illegittimi. Per i plebei era inconcepibile aspirare alla magistratura.

Per tutto il 5° secolo fino a metà del 4° secolo AC è segnato dalla lotte tra Patrizie e Plebei si contrappongono interessi politici ad economici, due diverse concezioni dello Stato e persino due forme di religiosità (visto anche come scontro religioso). Agli dei patrizi (GIOVE, GIUNONE, MINERVA) si contrappongono le divinità care ai contadini (CERERE, LIBERO e LIBERA) e ai mercanti MERCURIO cui i plebei dedicarono i templi sull'Aventino.

La plebe presentò un programma di richieste ben definito:

- remissione dai debiti;

- abolizione dalla schiavitù per insolvenza;

- partecipazione alla divisione delle terre tolte ai nemici (AGER PUBLICUS);

- equiparazione politica;

- conubium;

- mettere per scritto le norme consuetudinarie in modo da sfuggire all'arbitrio interpretativo di magistrati e di pontefici;

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Per far valere queste richieste la plebe ricorse più volte alla secessione sull'Aventino o sul monte Sacro, rifiutandosi di presentarsi alla leva e minacciando di dar vita ad un'alta città. A partire dalla prima secessione sul Monte Sacro (494) i plebei cominciarono a organizzarsi come una sorta di anti-stato, con assemblee i CONCILIA PLEBIS, prima tumultuarie poi dal 471 inquadrate per tribù e si scelsero come dirigenti dei capipopolo rivoluzionari i TRIBUNI PLEBIS coadiuvati da una coppia di subalterni, gli AEDILES. Si pensa che i tribuni fossero ufficiali dell'esercito plebeo che misero a disposizione tutto il loro sapere tecnico per organizzarsi militarmente contro il patriziato. Inizialmente erano 2 fino ad aumentare a 10 unità. Dovevano difendere la plebe contro gli arbitri dei magistrati (AUXILII LATIO=prestazione di aiuto) interponendo la propria persona inviolabile, da questa pratica si sviluppò un potere più ampio e minaccioso: il VETO (INTERCESSIO) contro i provvedimenti dei magistrati e le decisioni del Senato ritenute lesive degli interessi plebei. Infine si arrogarono la facoltà di imporre sanzioni afflittive, pecuniarie, corporali fino alla pena di morte.

Gli EDILI sono così definiti perché costruivano l'edificio sacro che per i plebei corrispondeva al tempio di Cerere,Libero e Libera. Mentre i tribuni organizzavano politicamente e militarmente la plebe, gli edili ne erano i capi amministrativi.

Con i concili venivano prese le decisioni più importanti per i soli plebei (PLEBISCITA) che venivano rafforzate con un giuramento (quelle più importanti) LEGES SACRATAE.

Una LEX SACRATA proteggeva i tribuni, gli edili e IUDICES DECEMVIRI (un collegio giudicante) e con tale giuramento veniva sancita l'inviolabilità della persona del tribuno. Fargli violenza esponeva alla SACERTAS ovvero colui che recava offesa era consacrato a divinità plebee e ciascuno poteva e doveva ucciderlo. Il giuramento era un atto religioso che impegnava extragiuridico. La forza della plebe era diventuta tale che gli organi della città dovettero piegarsi a riconoscere l'obbligatorietà generale delle sue decisioni. Una LEGGE VALERIA ORAZIA del 449 AC riconobbe il carattere sacrosanto dei tribuni. Ma solo dopo il compromesso del 367 si ebbe il definitivo riconoscimento di tributi e edili come magistrati della città, e dei CONCILIA come organo costituzionale dello stato.

II - Il decemvirato legislativo - Le 12 tavole

La legge delle 12 tavole costituisce uno dei fondamenti del sistema giuridico Romano la fonte di tutto il diritto pubblico e privato.

Tale codificazione ufficiale è la prima e l'ultima per tutta l'età della Repubblica e del Principato fino al Codice Teodosiano del 438 DC. La legge è il prodotto di un'aspra lotta sociale, di un'emergenza che i gruppi dirigenti della Repubblica avranno cura di non lasciare riprodurre.

La cultura giuridica Romana respinge l'idea della codificazione e diffida della legge scritta e questa resistenza è uno dei caratteri dell'età Repubblicana. Le leggi scritte erano volute dalla Plebe, vedi proposta del Tribuno della plebe TERENTILIO ARSA :LEX DE AVENTINO PUBLICANDO attribuì ai plebei il suolo del colle aventino. Nel 454 il patriziato fu costretto a d accettare la proposta, ma riformulandola in maniera da contenerne gli effetti: non specifiche riforme, ma solo codificazione leggi esistenti: inoltre magistratura straordinaria investita di questo compito composta da soli patrizi.

Nel 451 la magistratura ordinaria e il tribunato della plebe furono sospesi e fu abolito il ricorso contro le pene

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 22/164 $LOGOIMAGE irrogate dai magistrati PROVOCATIO AD POPOLUM e furono insediati il collegio di DECEMVIRI LEGIBUS SCRIBUNDIS (=decemviri incaricati di mettere per iscritto le leggi). Ad ognuno di questi spettava una tavola. Essi si comportarono in modo da far sospettare di voler instaurare un regime tirannico. Ci fu così una insurrezione e secessione di esercito della plebe.

Il governo dei decemviri sarebbe stato decisamente antiplebeo e le 2 tavole mancanti che riaffermavano il divieto del conubium furono definite tavole inique.

La LEX DUODECIM TABULARUM (=legge delle XII tavole) venne affissa nel foro e vi rimase fino all'incendio di Roma del 386 AC. Esse erano studiate a memoria dagli scolari (Cicerone ricorda):

- dalla 1^alla 3^tavola si parla del processo privato;

- dalla 4^alla 7^la famiglia e la successione;

- l'8^tavola riguarda la repressione degli illeciti privati;

- la 9^e la 10^argomenti di diritto costituzionale e sacrale;

- l'11^e 12^argomenti di vario genere e sono riprese norme sfavorevoli alla plebe come il divieto di conubium o la schiavitù per debiti.

Il testo si sviluppa in massime secche e sintetiche, in prosa ritmica, e reca disposizioni in un linguaggio arcaico. Le XII tavole non contengono una codificazione esaustiva dei MORES, ma solo la fissazione di quelli più importanti o controversi.

E' logico supporre che il divieto di conubium fosse una delle condizioni poste dal patriziato o che il colpo di stato contro i decemviri sia stato appunto diretto ad evitare riforme di questo genere.

Il limite che veniva imposto al potere magistratuale era tale da far sostenere a Livio che si trattava di un mutamento della FORMA CIVITATIS (=costituzione), analogo per importanza al passaggio tra monarchia e repubblica.

La LEX CANULEIA del 445 AC abolì il divieto di connubio ma l'evento che costituì la premessa per il pareggiamento fra le classi fu la presa di Veio 396: patrimonio agrario pubblico sufficiente a consentire l'integrazione della plebe. Raggiunta l'equiparazione giuridica patrizio-plebea, e riformate le istituzioni repubblicane si crearono le condizioni per una pace sociale che durò oltre due secoli.

III - I tribuni militum - Il pareggiamento delle classi

La tradizione attribuisce ai consoli VALERIO POTITO e ORAZIO BARBATO 3 LEGES VALERIAE HORATIAE (2 probabilmente sono inventate).

1^: ripristinava la provocatio ad popolum;

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2^:equipara i plebisciti alla legge;

3^:(è da ritenersi autentica) riconosce l'inviolabilità dei tribuni, fino a quel momento protetti solo dal giuramento plebeo di fare vendetta contro l'offensore.

Nel 445 il Senato concesse alla plebe il CONUBIUM: la LEX CANULEIA 445 non stabiliva ancora l'equiparazione politica ma era una premessa: riconosciuto il connubio, la legittimità dei figli di genitore plebeo e ciò consentiva di prendere gli auspici pubblici. Gradualmente iniziava il processo di avvicinamento della plebe alla magistratura, cioè sostanziale concessione agli strati più ricchi e influenti della plebe, da cui probabilmente venivano espressi i tribuni. Un anno dopo fu eletto un collegio magistratuale composto da 3 ufficiali dell'esercito e dal 444 al 367 al vertice dello Stato si alternano magistrature collegiali di varia composizione fino ad un massimo di 9 membri.

CONSULES le magistrature a 2 (in realtà dovevano chiamarsi all'epoca ancora PRAETORES); negli altri casi si parla di TRIBUNI MILITUM CONSULARI POTESTATE (ufficiali con potestà consolare) non dotati della capacità di prendere degli auspici. Dal 400 in poi anche i plebei entrarono a fare parte di questo 2° modello di magistratura.

La nuova magistratura fu dovuta alla necessità di affrontare i problemi posti dal fatto, che lo Stato diviso al suo interno era impegnato contemporaneamente in diverse guerre. Era dunque necessario un numero di magistrati maggiore dei due praetores e con un consenso più forte nell'esercito. Si trattò di un compromesso, che da un lato ritardava l'accesso dei plebei alla suprema carica elettiva ordinaria, ma intanto li ammetteva in linea di principio a questa magistratura straordinaria.

I plebei entrano a far parte di tale organo e ogni anno a discrezione del Senato si sceglieva quanti magistrati supremi era necessario eleggere: una coppia di pretori o un numero maggiore. Esisteva comunque una coppia di patrizi in una posizione di preminenza. In città, in caso di campagne militari rimaneva uno di loro PRAEFECTUS URBI.

Ogni 5 anni c'era il censimento ed il collegio era porato ad 8 membri si aggiungevano 2 patrizi. In tal modo si ponevano le basi per la futura costituzione dell'autonoma magistratura dei CENSORES.

Rimossi gli ostacoli religiosi all'equiparazione politica i plebei cominciarono ad essere ammessi alle magistrature: prima alla questura, poi il tribunato militare, tramite questo diventava già possibile aspirare a far parte del Senato. Dal 300 in poi cominciarono a dischiudersi anche le porte del sacerdozio.

IV - Le Leges Licianae Sextiae 367

Le leggi approvate su proposta dei tribuni della plebe LICINIO STOLONE e SESTIO LATERANO furono la ratifica di un compromesso sociale ed istituzionale. Con essa tramontò l'esclusivismo patrizio e nacque una nuova Repubblica patrizio-plebea. Le proposte erano già state presentate nel 377 AC, si scontrarono con il Senato che dopo un po' di tempo giunse alla resa. I patrizi seppur si fossero arresi posero delle condizioni tradottesi con delle LEGGI COMIZIALI dove formalmente venivano approvati i testi presentati dal magistrato, ma in sostanza riprendevano le proposte dei 2 tribuni:

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1^: LEGGE DE AERE ALIENO (=sul prestito di denaro), stabiliva una sanatoria: la somma fino ad allora corrisposta dai debitori a titolo di interesse dovevano essere computate come rimborso del capitale e il residuo poteva essere versato in 3 rate annuali;

2^LEGGE LEX DE MODO AGRORUM (=sul limite dei suoli agricoli) affrontava il problema della ripartizione dell'AGER PUBLICUS e della creazione di fortune immobiliari patrizie occupando suolo pubblico. Nessuno poteva avere più di 500 iugeri, né condurre al pascolo più di 100 capi di bestiame grosso o 500 di minuto. Così era possibile l'accesso dei plebei alle terre pubbliche (di cui in linea di principio Legge De Aventino Pubblicando);

3^ LEGGE CONSENTE L'ELEZIONE DI UN CONSOLE DI ORIGINE PLEBEA . Questo creò crisi. Il Senato che in virtù della sua auctoritas doveva ratificare la decisione del popolo si rifiutò. La nuova crisi venne risolta conun ulteriore compromesso: venne creata un'altra magistratura riservata ai patrizi: c'era un PRAETOR del tutto distinto dalla coppia di magistrati maggiori. Benché fosse dotato di imperium come i consoli il pretore ebbe un potere più ridotto e delle funzioni praticamente limitate all'esercizio della giurisdizione. La nuova magistratura venne ad affiancarsi ai magistrati supremi (CONSOLI) come una sorta di CONLEGA MINOR.

Nello steso anno, a parziale compensazione delle concessioni patrizie, vennero creati gli EDILI CURULI: coppia magistratuale modellata sull'edilità plebea, ma riservata al patriziato, come era segnalato simbolicamente dal privilegio di utilizzare la sella curule.

Le prime delle due leggi anticipano le lotte sociali dell'età dei Gracchi. Il Senato resistette finchè potè contro il principio della parità politica.

I documenti menzionavano consoli di origine plebea dal 320 AC e con il tempo i plebei furono ammessi alla censura, alla dittatura, alla pretura. Al patriziato rimanevano ancora i sacerdozi, come estrema linea di difesa tradizionalista.

Ma nel 300 AC aumentò ad 8 il numero dei pontefici e gli auguri da 4 a 9 stabilendo che i nuovi posti fossero dei plebei: amara sconfitta per i patrizi che perdevano sia il monopolio dell'attività giurisprudenziale, che il controllo assoluto degli indovini di Stato, i quali erano in grado di invalidare una votazione, l'elezione di un magistrato, o la convocazione di un'assemblea, semplicemente adducendo un cattivo auspicio.

Ultimo passo verso il pressoché completo pareggiamento politico: equiparazione tra le leggi comiziali (approvate dal popolo) e i plebisciti che sono l'espressione della sola volontà della plebe: tre leggi diverse:

VALERIAE HORATIE 449;

PUBLILIA PHILONIS 339 ;

HORTENSIA 286 .

V - Nascita della nobilitas

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 25/164 $LOGOIMAGE Con le leggi Licianae Sextiae l'aristocrazia di sangue si avviava a scomparire come classe dirigente. Ai patrizi restavano le prerogative dell'interregno, il potere di ratificare le leggi dal popolo e alcuni sacerdozi. Da una parte vi era il patriziato e da una parte ricche famiglie di origine plebea. Non c'era più una nobiltà di sangue, ma d'ufficio: erano famiglie senatorie (patrizie e plebee). Fino al IV secolo per entrare nel Senato necessità dell'appartenenza all'aristocrazia patrizia. Viceversa nello stato patrizio-plebeo, i discendenti di chi entrava a far parte del Senato venivano nobilitati.

Si diventava sentori solo dopo aver rivestito, almeno una volta, una magistratura curule. Apparentemente la classe dirigente viene selezionata con una procedura democratica: ciascuna famiglia, può teoricamente aspirare a far parte della nobilitas. Ma il sistema costituzionale romano non è democratico né di fatto né di diritto: le assemblee sono congegnate in modo da assicurare il dominio di una minoranza; le cariche politiche non sono retribuite e le elezioni si basano su costose "clientele" e alleanze ereditarie. Sono sempre le stesse famiglie che esprimono le massime cariche dello Stato, e sono i loro membri che entrano a far parte del Senato: quindi si tratta almeno di un notabilato, se non proprio di una nobiltà ereditaria. E' raro che una famiglia pur dotata di censo equestre ma estranea alla nobilitas riesca a fare eleggere un proprio membro al consolato. Cicerone è il caso più conosciuto di HOMO NOVUS: diventa console e senatore senza essere di famiglia nobile. Il dominio della nobiltà è giustificato sulla base di una credenza diffusa nell'intera società: che le virtù dei padri siano ereditate dai figli.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 26/164 $LOGOIMAGE VI - Senato e Popolo

Senato: la sua auctoritas che in origine era il potere di investire il re dell'imperium, venne intesa come una posizione di supremazia giuridica e morale, che ne faceva il vero centro di gravità della costituzione. Lo stato Romano a partire dall'età Repubblicana potè essere definito come la somma del senato e del popolo (SENATUS POPULUSQUE ROMANORUM: SPQR). Il Senato dopo l'ammissione dI MINORES GENTES risultava composto da PATRES ET CONSCRIPTI (=capi e aggiunti) espressione che nell'età repubblicana diventa PATRES CONSCRIPTI (=padri coscritti, sinonimo di senatori).

Popolo: a partire dall'equiparazione tra patriziato e plebe è la comunità politica nel suo insieme, o quanto meno, i cittadini che partecipano alle assemblee. Dalle tribù come struttura fiscale ebbe origine una delle assemblee politiche più importanti della costituzione Repubblicana: i COMIZI TRIBUTI. Alla antica divisione in Ramnes, Tities e Luceres fece seguito una ripartizione in distretti più piccoli. Dalle 4 tribù originarie (Paltina, Esquilina, Collina, Suburana) si passò ad un massimo di 35 tribù di cui 31 "rustiche" nel 3° secolo.

L'appartenenza alle tribù fu determinata da criteri più flessibili della sola residenza. Quelle urbane poche e popolose raccoglievano il proletariato. Le rustiche erano composte da ADSIDUI persone che avevano lì un fondo, una casa tramandata da generazioni o fossero stati assegnati dai magistrati preposti al censimento.

CAPITOLO 5°

IUS CIVILE E GIURISPRUDENZA PONTIFICALE

I - Ius civile arcaico

IUS CIVILE: è il diritto proprio di ciascuna comunità. Esso nasce con un sistema di norma consuetudinarie improntate ai costumi degli antenati (MORES MAIORUM) e valide per i soli cittadini Romani. E' plausibile che siano state assunte come costume giuridico cittadino le consuetudini comuni a tutte le GENTES. A questo nucleo originario, non prima della fase etrusca, si aggiunsero le norme derivanti dalle leges (prima del re, poi del popolo) e infine le modifiche apportate dalla giurisprudenza.

Gli antenati avevano creato le regole su cui era fondata la società. Naturale conseguenza di questa fondazione religiosa dell'ordinamento giuridico fu che i primi interpreti del diritto siano stati i PONTEFICI.

Il diritto Romano della fase arcaica è consuetudinario fino alle 12 tavole. Il successivo passaggio al diritto a base giurisprudenziale si sviluppò mediante un processo insensibile. La consuetudine è per sua natura in continua evoluzione ma il fenomeno diventa evidente con la scoperta della scrittura, quando si comincia a prendere nota delle consuetudini. Allora la funzione innovativa dell'interpretazione diventa palese e consapevole.

Il sistema normativo civilistico ruota attorno alla figura del PATERFAMILIS unici titolari del patrimonio e della

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 27/164 $LOGOIMAGE potestà sul gruppo, anzi sostanzialmente regola i rapporti tra i capi delle famiglie.

L'IUS evita che i padri di famiglia si uccidano tra loro per questioni di interesse, determinando quali beni socialmente apprezzati ricadano nella sfera di ciascuno, e secondo quali procedure siano difendibili. Il patriarca può fare quello che vuole di discendenti, schiavi, moglie e delle sue proprietà (vedi:liberi in municipio/mulier in manu in seguito a coemptio/mancipatio/usus/confarreatio).I sottoposti non hanno patrimonio ma un PECULIO cioè un insieme di beni sempre revocabili che l'avente potestà consente loro di utilizzare.

Dalle XII Tavole ricaviamo però l'immagine di una potestà del PATER in fase di ridefinizione e limitazione . L'originaria e indistinta MANUS O MANCIPUM si è scissa in diversi poteri sulle persone e sulle cose: la proprietà quiritaria (DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM), la potestà sugli schiavi, quella sulla moglie, la patria potestà che comprende varie facoltà: riconoscere il neonato oppure no, uccidere il sottoposto, vedere il figlio non sposato.

La proprietà quiritaria ha un'intensità sconosciuta in altri ordinamenti: è un potere di disposizione sulla cosa talmente forte, da escludere persino la possibilità di imporre dei tributi fondiari. Sono soltanto ammesse poche limitazioni a vantaggio della collettività e dei vicini. E' però possibile costituire volontariamente una serie di limiti sul proprio fondo,a favore di un vicino (servitù rustiche di passaggio e di acquedotto).

Il patrimonio è costituito da due tipi di cespiti: RES MANCIPI (insieme di immobili, schiavi, animali da gioco o da trasporto) e RES NEC MANCIPI (tutte le altre cose) il pater familias esercitava un potere o un possesso del tutto extragiuridico.Originariamente solo le prime creano oggetto di mancipum poi anche sulle altre si estese il regime di proprietà quiritaria ma per alienarla restò sufficiente trasferire la materiale detenzione. Il trasferimento della proprietà sulle res mancipi era possibile con due tipi di negozi formali:

1) MANCIPATIO;

2) IN IURE CESSIO;

Nella fase quiritaria la civitas interviene nei rapporti della famiglia solo in alcuni momenti es in caso di successione. Alla morte del padre i discendenti maschi diventano patres. Il patrimonio del capostipite passa agli eredi che possono mantenerlo indiviso mediante il consorzio a eredità indivisa oppure ripartirla con un'azione di divisione del patrimonio familiare. Con il TESTAMENTUM si attribuisce il patrimonio ad un successore quando manchino gli eredi (sui figli maschi). Il testamento ha la funzione di procurare un nuovo paterfamilias, cui affidare anche doveri religiosi (il culto degli antenati).Ovviamente questa investitura davanti alle curie riunite ha una grande rilevanza sociale (...). Una funzione del comizio curiato è l'ANDROGATIO cioè la volontaria sottoposizione di un paterfamilias a un altro (testamento comiziale in fondo). Nel caso il paterfamilias privo di eredi non abbia neanche fatto questo il patrimonio passa ai collaterali maschi (ADGNATI)o, in mancanza agli altri membri della GENS. Dopo le XII Tavole al testamento comiziale si preferisce quello librale (vedi anche testamentum in procinctu).

I negozi giuridici utilizzati dallo Ius civile sono pochi e caratterizzati da un rigido formalismo; sono dei riti da eseguire con estrema precisione.

Il principale è la MANCIPATIO adatta alle varie finalità: testamento, matrimonio, costituzione della servitù. In linea di principio si tratta di una sorta di compravendita, il compratore si dichiara padrone della cosa offrendo in cambio un prezzo pagato in bronzo non coniato verificato da un pubblico pesatore: il libriens. La emancipazione è una vendita immaginaria, tipica del diritto Romano civile e si svolge alla presenza di 5 testimoni più una sesta persona che brandisce una bilancia di bronzo. Nel diritto arcaico la volontà negoziale

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 28/164 $LOGOIMAGE non ha rilevanza: contano la forma, i gesti, le parole. Si può applicare la mancipatio alle più varie cause negoziali trasferendo il DOMINIUM ad un prezzo simbolico.

IN IURE CESSIO: E' un altro negozio di alienazione, consistente nella finta rivendicazione di un bene davanti ad un magistrato. La forma esteriore è quella di un processo: l'acquirente enuncia la sua pretesa, fingendo che la cosa gli appartenga,l'alienante tace ed il magistrato procede all'assegnazione.

MANCIPATIO: serve anche a costituire delle obbligazioni. In origine l'OBLIGATIO era basata su:

1) un rapporto di FIDES o;

2) su una promessa SPONSIO, la cui violazione era NEFAS.

Con la manicipatio i doveri morali diventavano giuridici mediante fiducia e nexum.

Nel primo caso il debitore cede una cosa al creditore con l'atto di riottenerla quando avrà adempiuto la sua obbligazione;

Nel secondo caso consegna se stesso finchè riuscirà a saldare i debitore egli diventa un ostaggio. Il suo vincolo è immateriale finchè il creditore ha convenienza a lasciarlo libero di procurarsi la possibilità di adempiere ma nel caso non riesca egli diviene effettivamente incatenato.

SPONSIO: è un negozio a forma verbale che consiste nello scambio di una richiesta di impegno da parte del creditore e di una risposta del debitore. Fu l'ACTIO SACRAMENTI IN PERSONAM un mezzo di tutela dei rapporti relativi, che rese il fenomeno del credito più diffuso e garantito.

Il diritto arcaico è largamente improntato alla compenetrazione tra sacro e giuridico ed è fortemente dipendente dalla superstizione.

II - Le legis actiones

Processo civile: è l'insieme delle attività che sono rivolte ad ottenere una pronuncia giudiziaria in merito ad un rapporto controverso e che si basa sulla procedura ovvero un insieme di norme che stabiliscono la natura e la forma degli atti processuali. Originariamente i MORES MAIORUM dovettero stabilire solo che chi violava le regole si esponeva ad una vendetta legittima. Era dunque necessario e possibile farsi giustizia da sé. In seguito ci fu il passaggio dall'autotutela (legge del taglione) alla tutela giurisdizionale, civile e penale. Tale passaggio si può rinvenire nelle 12 tavole e nella struttura del processo civile. Una situazione tipica può essere quella di 2 patres familiarum che si contendono la proprietà di uno schiavo. In regime di autotutela questo si esprime simbolicamente toccando l'oggetto della contesa con una lancia. Si enuncia così una pretesa su una cosa e contemporaneamente emerge la minaccia: LA VINDICATIO. Entrambi le parti compiono lo stesso gesto. Nel caso la contesa verta, non su una RES ma su una obbligazione, lo "attore -creditore" cattura il presunto debitore è la MANUS INIECTIO (ovvero mettere le mani addosso). Il re capo politico religioso può indirizzare tale scontro verso una soluzione pacifica, attribuendo torto o ragione. Questo compito spetta solo al Re e solo successivamente passa tale funzione ai magistrati supremi e al pretore. Fasi del processo:

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 29/164 $LOGOIMAGE le parti non in causa non devono sbagliare alcuna parola o gesto sotto pena di perdere la lite o contesa immediatamente.

L'attore o creditore conduce il convenuto davanti al magistrato che decide della lite. Solo in casi di assoluta evidenza altrimenti le parti sono rinviate ad un giudice privato. Spetta a questo IUDEX di emanare una sentenza inappellabile.

Il processo civile si divide in due fasi:

1) davanti al magistrato (IN IURE);

2) davanti al giudice privato (APUD IUDICEM).

Per tutta l'era Repubblicana il processo resterà strutturato in questo modo come affare privato che procede per impulso delle parti e si conclude mediante il ricorso ad un altro privato cittadino nella sua casa. Il giudice assolverle parti, i testimoni, esaminerà le prove e deciderà.

Nel sistema processuale delle 12 tavole sono previste pochissime procedure LEGIS ACTIONES.

Alcune hanno un carattere DICHIARATIVO : con le quali si reclama la pronuncia giuridiziaria su un diritto vantato; altre a carattere ESECUTIVO: con le quali si chiede che l'obbligato sia costretto al risultato che avrebbe dovuto produrre spontaneamente.

La principale a carattere dichiarativo è la LEGIS ACTIO PER SACRAMENTUM, mediante giuramento. Con essa l'attore rivendica il proprio diritto facendo uso di una festuca. Di fronte alla opposizione del convenuto e all'invito del giudice di deporre entrambi la cosa contesa, l'attore sfida la controparte ad impegnarsi in una scommessa. Quello a cui il giudice darà torto dovrà sacrificare agli dei alcuni animali. Due varianti: IN REM (per la tutela di un diritto assoluto) e IN PERSONAM (riguardante un diritto relativo).

LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVI POSTULATIONEM: (procedura mediante richiesta di un giudice o di un arbitro) veniva vantato un credito in denaro derivante da sponsio.La si applicava anche per la divisione ereditaria.

LEGIS ACTIO PER MANUS INECTIONEM: alla quale si ricorre per ottenere l'esecuzione forzata ai danni dell'inadempiente. Con essa l'attore porta in giudizio il convenuto per chiedere che gli venga assegnato come ADDICTUS (schiavo). Se nessuno lo libera egli può essere ucciso o venduto.

III - Crimini e delitti privati

La transizione dall'autotutela alla tutela statale è visibile anche nel campo del diritto criminale.Il diritto criminale è un insieme di norme a tutela dell'interesse supremo della collettività volte alla repressione di gravi illeciti mediante pene afflittive. La legge del taglione è il sistema più rudimentale di reazione ad un illecito. Se diventa la regola generale di tutta la comunità rischia di rendere impossibile la sopravvivenza. La vendetta di sangue deve cedere il passo alla tutela statale. Lo stato deve sostituirsi al privato nell'irrogare delle pene. In origine vi

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 30/164 $LOGOIMAGE era il potere, ma ancor di più, il dovere di vendicare le offese specialmente l'omicidio perché la vendetta dava pace al defunto e purificava la comunità. Si ebbe poi un momento in cui con la Città-Stato si mescolavano interventi punitivi dei pubblici poteri con il farsi giustizia da se, alla vendetta privata. Il colpevole e i suoi beni venivano consacrati alle divinità offese e chiunque poteva ucciderlo o era abbandonato alla legittima vendetta degli offesi. A volte si consentiva al reo di espiare la colpa con un sacrificio alla divinità PIACULUM o un risarcimento agli offesi. In alcuni casi rimane un obbligo giuridico e religioso il farsi giustizia da sé es. il marito tradito uccide la moglie. Fra gli atti criminali il più grave è l'OMICIDIO detto dai Romani in epoca arcaica PARICIDIUM l'uccisione volontaria di un uomo libero. L'uccisione di uno schiavo non aveva conseguenze penali ma solo civili. La commissione di un omicidio autorizzava i parenti ad una vendetta legalizzata alla presenza delle curie. Nella fase monarchica l'autorità che autorizzava la vendetta era costituita dai 2 collaboratori del rex, i QUESTORI PARICIDII, essi in un certo senso erano dei detective che dovevano individuare se ci fossero i presupposti per la vendetta. Le 12 tavole distinguevano l'omicidio volontario da quello praeter intenzionale per il quale si offriva al reo la possibilità di espiare la colpa col sacrifico di un ariete.

PUERDUELLIO: è il crimine che comprendeva varie fattispecie di insubordinazione alla pubblica autorità, fra cui il tentativo di impadronirsi con la forza del potere politico. In questo caso intervenivano altri collaboratori del re erano 2 boia nominati di volta in volta per seguire la pena davanti ai comizi curiati. Il reo poteva sfuggire alla pena combattendo con loro (PROVOCATIO). Se sconfitto veniva appeso ad un albero e percosso a morte. In caso di reato quale intesa con il nemico e rifiuto di obbedienza (PRODITIO) il reo era fustigato e decapitato senza ricorso alla provocatio.

DELICTA: per i Romani corrispondono ai reati privati, tipo la lesione personale, il furto. Per i Romani il delitto è un illecito civile e non penale e può essere sanzionato solo con un processo privato volto ad attendere un risarcimento economico. Le 12 tavole stabiliscono che la "rottura di un arto" autorizza l'offeso a farsi vendetta da sé, ma solo in caso di un rifiuto ad offrire il risarcimento. La frattura di un osso comportava il risarcimento di 300 assi.

FURTO: è un illecito privato solo il derubato può ricorrere in giudizio con azione penale privata per ottenere che il ladro paghi una somma di denaro al derubato. Vi sono due tipi di furto: FLAGRANTE e NEL MANIFESTUS.

FURTO FLAGRANTE: se avveniva di notte o c'era resistenza armata il ladro poteva essere ucciso dal derubato. Egli poteva operare la MANUS INECTIO o vendere così il FUR che gli era stato assegnato al di là del Tevere. Il ladro non colto in flagrante veniva condannato a pagare il doppio o il triplo della somma che aveva rubato con una LEGIS ACTIO SACRAMENTI IN PERSONAM FUR NEC MANIFESTUS. L'interpretazione della norma da parte dei pontefici prima e dei laici dopo consente di passare velocemente dall'autotutela alla tutela statale, dalla vendetta privata alla pena pubblica.

IV - Processo criminale e provocatio ad popolum

Una caratteristica fondamentale della repressione criminale nella società Romana è la previsione di pochissime fattispecie di reato. E' il magistrato che decide se vi è un pericolo per la collettività e quale pena erogare all'offensore: una multa, l'oppignorazione della cosa del colpevole, il carcere, la morte.

Il suo potere di coercitivo che rientra nella potestà di imperium è rappresentato ai cittadini dal piccolo corteo di littori che lo segue con i fasci. A rigore di termini, per i romani la repressione criminale per lo più non è materia

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 31/164 $LOGOIMAGE di diritto. Solo in pochi casi l'IUS QUIRITIUM stabilisce quali sono specificatamente i crimini da perseguire e in qual modo,legando le mani al magistrato.

Il cittadino può contrastare il potere del magistrato con il ricorso al popolo PROVOCATIO AD POPULUM: serve per ottenere un vero processo in materia capitale è una garanzia essenziale per mantenere la libertas. Le 12 tavole vietavano di mettere a morte il cittadino senza ricorso al popolo. In realtà la prima forma di provocatio deve essere stata la sfida ai DUOVIRI PERDUELLONIS ma solo la LEX VALERIAE del 300 determinò un vero e proprio obbligo per il magistrato di non procedere all'esecuzione capitale del cittadino se non dopo il ricorso al popolo. Intorno al 2° secolo le LEGGI PORCIAE stabilirono che anche la fustigazione era coperta da garanzia . Il ricorso al popolo divenuto un diritto del cittadino fu una prassi usuale sicchè l'attività coercitiva del magistrato divenne una semplice fase istruttoria a cura del tribunale della plebe e dei questori.

La provocatio ad popolum si svolge in 3 diverse udienze pubbliche:

1^udienza veniva pronunciata l'accusa;

2^udienza avveniva l'escussione delle prove a carico e discarico;

3^udienza si aveva l'arringa difensiva e il decreto del magistrato. Se il decreto era un rinvio a giudizio veniva convocato il comizio. L'assemblea sentita la richiesta del magistrato votava se approvarla o no. Al reo era concesso di allontanarsi in esilio durante le operazioni di voto.

V - La giurisprudenza pontificale

Prima delle 12 tavole non si poteva nemmeno immaginare che un laico interpretasse i MORES MAIORUM. Ogni anno uno dei membri del collegio pontificale aveva l'incarico di dare RESPONSA ai privati che ponevano questioni di interpretazione dei mores, e poi anche delle XII tavole e delle leggi popolari. Erano consultati nel momento di intraprendere un'azione o di stipulare un negozio comunque per questioni di diritto. Il responso era dato riservatamente perciò non si poteva esercitare alcun contratto da parte dell'opinione pubblica. Il collegio pontificale custodiva il calendario giudiziario che stabiliva in quali giorni fosse meglio intraprendere un processo e si tramandavano dei formulari con regole e procedure e responsi più significativi, esistevano anche norme nuove di ispirazione giurisprudenziale che sono un allontanamento dei MORES MAIORUM modificando le norme già stabilite non contraddicendole ma sviluppando un senso implicito utile per i contemporanei. Il pater familias poteva vendere il figlio anche se ciò crea dubbi all'opinione pubblica ma se il figlio è venduto dal padre per 3 volte diviene libero dalla potestà paterna. Essa è una sorta di sanzione per un comportamento troppo crudele . Il padre può rinunciare volontariamente alla patria potestà emancipando il figlio vendendolo simbolicamente ad un estraneo di fiducia per 3 volte di seguito facendoselo rendere con la manumissio. Alla terza volta il figlio diventa pater familias.

Altro esempio di innovazione giurisprudenziale all'interno delle dodici tavole si individua nel regime matrimoniale. Dopo un anno di convivenza la donna entra nella potestà del pater familias divenendo figlia. Così la moglie perde ogni rapporto successorio con la famiglia di origine. Per evitare questo effetto indesiderato basta interrompere la convivenza per tre notti l'anno. Si crea dunque un nuovo tipo di matrimonio che non comporta la costituzione della manus.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 32/164 $LOGOIMAGE Gli esperti partono da una norma chiara e rigida in via di interpretazione creano una nuova regola. Non il popolo, ma i sapienti stabiliscono le norme, senza render conto ad altri. I Romani hanno in questo una visione decisamente aristocratica, diversa da quella greca. Non sono i retori, con i loro discorsi persuasivi nell'assemblea a determinare la modifica dell'ordinamento giuridico, ma i tecnici del diritto, che appartengono alla classe dirigente, e ne interpretano gli interessi e la visione del mondo. L'IUS è talmente condizionato dalla loro funzione, che si può addirittura sostenere che si identifichi con la giurisprudenza, fino a ritenere inconcepibile un diritto non giurisprudenziale. Tuttavia proprio la codificazione decemvirale mette in luce che il principio che il popolo ha la potestà di autoorganizzarsi con norme a carattere legislativo basato sul principio che "l'ultima decisone del popolo vale come diritto".

Le dodici tavole costituiscono un momento di passaggio verso un nuovo tipo di giurisprudenza, non più riservata e religiosa ma pubblica e laica.

CAPITOLO 6°

LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA

I - La libertas Repubblicana.

Di IUS PUBLICUM si parlava soprattutto per intendere le norme derivanti da leggi comiziali, qualunque fosse il loro contenuto.Solo a partire dalla tarda epoca classica, i giuristi si posero il problema di comprendere l'ordinamento statale all'interno dello IUS. Inoltre le regole di organizzazione delle istituzioni giuridico-politiche erano soprattutto di carattere consuetudinario e pragmatico. La costituzione (STATUS CIVITATIS in altre fonti FORMA CIVITATIS o CONSTITUTIO) non era né scritta né rigida.

La stoia delle istituzioni romane non può prescindere dalla teoria delle costituzioni politiche, affermatasi nell'area ellenica tra il IV e il III secolo AC. I Romani infatti impararono dai greci non solo a ricostruire la loro storia, ma anche a descrivere razionalmente le proprie istituzioni politiche. Il primo ad offrire loro degli strumenti teorici relativamente adeguati fu POLIBIO DA MEGALOPOLI che visse a lungo nella Roma del II secolo, a contatto del circolo degli Scipioni.

Polibio rese popolare l'idea che la costituzione romana fosse appunto un'ingegnosa combinazione di principi diversi, e che questo carattere eclettico costituisse la sua forza. Roma aveva elaborato una formula costituzionale che integrava in un equilibrato regime misto, al riparo da degenerazioni, le tre forme di governo legale. Durevole solidità del regime attribuita da Polibio. In esso regime l'IMPERIUM dei consoli rappresentava l'elemento regio, il Senato quello aristocratico e le assemblee politiche quello democratico. L'unità che ne derivava per tutti i ceti della CIVITAS, costituiva il vero segreto dell'inarrestabile potenza di Roma.

Certamente la Repubblica esisteva in funzione degli interessi del popolo, titolare di una teorica "sovranità", definita MAIESTAS.

La libertà non è la possibilità di vivere come si vuole, qui si parla di una forma di libertà giuridica garantita e limitata dalle leggi. In particolare la libertà garantita dalla Repubblica è basata su leggi eguali per tutti (AEQUA LIBERTAS).CICERONE: la libertà implica la par condicio dei cittadini poiché la città è una sorta di società, di cui tutti fanno parte. La libertà repubblicana va coordinata non solo con l'eguaglianza, ma con un terzo valore non facile da comporre con i primi due: il riconoscimento della differente dignità dei vari ceti sociali e dei singoli

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 33/164 $LOGOIMAGE cittadini. La scissione fondamentale della società romana tra liberi e schiavi, costituisce la base di partenza per definire la libertà in termini politico-giuridici. Essenzialmente è libero chi non è sottoposto alla potestà di un padrone: sul piano costituzionale una comunità politica si definisce libera quando è in grado di autoamministrarsi. La libertà è legata ad una costituzione pluralistica: uno stato libero è una RES PUBLICA. La costituzione Romana fu sempre elastica e consuetudinaria: si riconosceva l'esistenza di regole fondamentali di organizzazione delle istituzioni giuridico-politiche. In merito alla regalità esiste una significativa differenza teorica tra la definizione romana e quella greca (pag.88).

Ma poiché esista la RES PUBLICA e si mantenga la LIBERTAS sono comunque necessarie determinate condizioni e garanzie costituzionali, sia a tutela del singolo cittadino, che a vantaggio della collettività nel suo complesso. La garanzia fondamentale del cittadino consiste nella PROVOCATIO AD POPULUM, un modo efficace per arginare l'IMPERIUM magistratuale. Essa renderà particolarmente ambita la cittadinanza romana: CIVIS ROMANUS SUM.

Inoltre il fatto stesso che esistano varie magistrature, per lo più collegiali, e in particolare una come il tribunato (in grado di intervenire a tutela del singolo, e addirittura di paralizzare tutte le altre col suo veto), permette un equilibrio dei poteri, che argina i rischi di ritorno alla monarchia.

Ma la libertà nel senso antico del termine è certo cosa notevolmente diversa da quella dei moderni.

BENJAMIN CONSTANT teorico del pensiero politico liberale distinse due concetti di libertà:

1) libertà MODERNA è connessa ad una partecipazione politica del cittadino limitata ad alcuni momenti quando delega ai propri rappresentanti l'esercizio della sovranità per la parte che gli compete. Vi è una forma di individualismo;

2) libertà DEGLI ANTICHI è basata sulla partecipazione diretta del cittadino . La RESPUBLICA esercitava un intenso controllo sia sulla vita politica che su quella privata ingerendosi nelle questioni più intime dell'individuo, sorvegliandone le amicizie, i rapporti familiari, il comportamento religioso. Il concetto di libertà si lega a quello di eguaglianza di diritto.

Le 3 forme costituzionali fondamentali sono:

1) monarchia;

2) aristocrazia;

3) democrazia;

Ciascuna forma può dar vita a regimi legittimi o degenerati.

I regimi legittimi sono costituiti per la realizzazione di un bene politico obiettivo: l'interesse pubblico o un ideale di giustizia a carattere religioso.

I regimi degenerati si realizzano solo gli interessi dei governanti poggiandosi solo sulla forza.

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Monarchia tirannide

Aristocrazia oligarchia

Democrazia governo della plebe

La democrazia nel mondo antico è fondata sull'uguaglianza davanti alla legge detta ISONOMIA e sull'uguale possibilità di partecipare alle assemblee popolari.

E' caratterizzata dall'esercizio del potere diretto da parte del popolo.

Con l'ascesa dei nuovi ceti possidenti estranei alle antiche nobiltà fondiarie e legati alla ricchezza mobiliare, tendono ad affermarsi in tutta la Grecia del 5° e 4° secolo A.C. delle PLUTOCRAZIE nelle quali i cittadini sono discriminati per classi di censo.

ARISTOTELE teorizzò un incontro a metà strada fra il principio aristocratico e quello della sovranità popolare: la POLITIA: ossia una forma di governo popolare controllata dai ceti possidenti. E' una Repubblica con una forte tendenza aristocratica. Esiste una significativa differenza teorica,in merito al REX tra la definizione Romana e quella greca. In senso giuridico il REX è il capo di Stato che esercita una potestas illimitata e personale. L'analogia tra Patria potesta e Regia potestas è un luogo comune nella cultura politica Romana come in quella greca. Essendo però a Roma il pater familias titolare della potestà e del patrimonio, il rex è l'unico soggetto autonomo, titolare di ogni potestas su persone e cose. La cessazione del potere regio determina la libertas della comunità politica trasformando i sudditi in liberi cittadini, un po' come i figli hanno l'autonomia familiare per morte dell'avente potestà. A partire dal 2° secolo i ceti plebei più forti daranno vita ad una sorta di seconda aristocrazia caratterizzata dal censo: gli EQUITES dai quali la nobilitas trarrà i nuovi apporti. Non sarà un'aristocrazia di sangue: i loro privilegi avranno come condizione il successo economico.

IL PRINCIPIO TIMOCRATICO

La forma costituzionale di Roma è la Repubblica aristocratica (timocratica). La nobilitas non è una casta rigidamente chiusa e necessita di conferme elettorali ma è evidente, socialmente accettata, la pretesa senatizia di godere di una supremazia ereditaria all'interno del popolo. E' difficile dirsi se i Romani (cittadini), come i singoli avessero diritti nei confronti dello Stato.

II - Aequitas e dignitas.

La AEQUA LIBERTAS non implica la rimozione di ogni divisione giuridica all'interesse del popolo.

I cittadini Romani sono inquadrati in classi di censo: le donne sono prive di diritti ed esiste inoltre una suddivisione tra liberi per nascita (detti ingenui) e gli ex schiavi (libertini) che non possono accedere alle magistrature.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 35/164 $LOGOIMAGE Si realizza nella società Romana un ideale eguaglianza secondo cui "A ciascuno il suo" ma un "suo differenziato" sulla base della diversa dignità.

Questo è il quadro di una costituzione Repubblicana aristocratica o meglio TIMOCRATICA dal greco TIME' che significa onore.

E' la qualità intrinseca di una persona cui si deve rispetto. La costituzione timocratica parte dal presupposto che i cittadini non sono tutti uguali, ma vanno ripartiti in classi socialmente e giuridicamente differenti. I vari gruppi sociali che ne risultano hanno diversa dignità. Sono privilegiati gli EQUITES (aristocrazia del denaro). Attraverso il censo si individua quello che per i Romani è il posto giusto che ciascun cittadino deve occupare attraverso una operazione di stima sia materiale che morale. Un cittadino che sarebbe degno di far parte di una classe privilegiata per motivi economici può essere declassato se il suo comportamento pubblico o privato non corrisponde ai canoni stabiliti dalla società. Il controllo su costui si esercita anche sul lusso: un eccessivo esibizionismo è considerato immorale.

(Vedi pag.90 ss.).

III - I magistrati.

I MAGISTRATI - Il Magistrato per i Romani è qualsiasi pubblico ufficiale eletto dal popolo. Solo il dittatore e il magister equitum erano designati da un console. I magistrati esercitavano il loro mandato gratuitamente e rispondevano dei danni causati agli interessi pubblici o a quelli privati. Il sistema Repubblicano era fondato su una gerarchia di magistrature con competenze diverse. I loro titolari finito il mandato potevano aspirare di diventare senatori a vita.

IL POPOLO GLI EX MAGISTRATI SENATO

Elegge i magistrati (selezionati) integrano i ranghi senatori controlla l'azione di governo degli altri organi e dà direttive politiche generali

Il potere della magistratura è la

1) POTESTAS. Questo è un potere qualificato cioè la possibilità di rappresentare il popolo Romano e di dare ordini in suo nome. Tutti i magistrati sono dotati di potestas;

2) IMPERIUM. Solo alcuni hanno l'imperium un tipo di potestà di derivazione militare analogo a quello del re della fase etrusca. Era consentito chiamare alla leva, condurre l'esercito in battaglia, di dare ordini ai cittadini applicando anche una coercizione diretta nei loro confronti.

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La POTESTA' si articolava in due distinti aspetti:

1) CIVILE

2) MILITARE da esercitare solo all'esterno del pomerio;

L'IMPERIUM conferiva ai magistrati che ne erano sprovvisti un potere se non intervenivano gli elementi di freno previsti dalla costituzione che erano per esempio la collegialità delle magistrature, il veto tribunizio, la gerarchia delle potestà, che vedeva al vertice i consoli.

In base alla potestà nei confronti dei cittadini i magistrati erano ordinati seguendo una scala di importanza:

- Consoli;

- Pretori;

- Censori;

- Tribuni della plebe;

- questori.

I magistrati dotati di imperium prevalevano sugli altri.

I magistrati dotati di semplice potestas sono magistrati SINE IMPERIO:

- questori;

- edili;

- tribuni;

- censori;

Magistrature CUM IMPERIO erano:

- consoli;

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- il dittatore;

- magister equitum;

- pretori;

Esistono distinzioni fra i magistrati:

1) MAGISTRATI CUM IMPERIO (consoli, dittatori, pretori);

2) MAGISTRATI SINE IMPERIO (questori, edili, tribuni censori);

3) MAGISTRATI ORDINARI a seconda che siano rinnovate ogni volta alla

4) MAGISTRATI STRAORDINARI scadenza o elette in casi particolari

Sono MAGISTRATURE ORDINARIE PERMANENTI:

- CONSOLATO;

- PRETURA;

- EDILITA';

- QUESTURA;

- TRIBUNATO DELLA PLEBE.

Sono MAGISTRATURE STRAORDINARIE:

- DITTATORE;

- MAGISTERE EQUITUM;

- DECEMVIRI;

- TRIBUNI MILITUM CONSULARI POTESTATE;

Le magistrature di più alto prestigio erano quelle originariamente riservate al patriziato.

Le magistrature maggiori sono: censori, consoli, dittatori e pretori.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 38/164 $LOGOIMAGE I magistrati erano eletti da diversi tipi di assemblee politiche: a) i maggiori dai comizi centuriati, b) i minori dai comizi tributi; c) e i plebei dai concili della plebe.

Le procedure elettorali erano fortemente condizionate dal magistrato che presiedeva l'assemblea: egli non si limitava a proclamare gli eletti, ma presentava le candidature, e arrestava a suo arbitrio le operazioni di voto, se rilevava auspici nefasti.

I cittadini di condizione libertina e coloro che si dedicavano a mestieri indegni o umili erano esclusi dal diritto di presentare la candidatura (IUS HONORUM). Nel II secolo si stabilì la regola che avessero l'elettorato passivo solo i cittadini di rango almeno equestre.

Una LEX VILLIA del 180 AC fissò delle regole generali per percorrere i vari gradi della carriera politica (CURSUS HONORUM):era vietato cumulare più magistrature, doveva intercorrere una pausa di almeno due anni tra l'una e l'altra, tranne la censura.

I magistrati dovevano poi ricevere conferma dalla LEX CURIATA DE IMPERIO . fissò delle regole generali per percorrere i vari gradi della carriera politica, era vietato cumulare più magistrature (doveva esserci un periodo di pausa biennale) tranne la censura. Dopo la questura si poteva accedere ad altre cariche: pretura e consolato e per diventare censore lo dittatore occorreva essere stato precedentemente console.

IV - Magistrature maggiori.

CONSOLI sono al vertice dello Stato. Eletti ogni anno dai comizi centuriati hanno pari potestà e sono dotati di imperium supremo.

E' una magistratura maggiore, curula, ordinaria, permanente, cum imperio.

Sono anche eponimi: l'anno viene identificato dai nomi della coppia magistratuale. Vengono eletti ogni anno dai comizi centuriati. Hanno la facoltà di convocare e presiedere (IUS AGENDI) le assemblee popolari e il senato e di presentare proposte di legge e candidature. Esercitano tutta una serie di poteri politico-militari connessi con l'imperium. Dipendono finanziariamente dal Senato. Sono designati mesi prima di entrare in carica. E nel caso uno dei due venga a mancare si operano elezioni suppletive.

DICTATOR (già MAGISTER POPULI). Eletto in caso di pericolo da uno dei consoli su autorizzazione del Senato. Dura in carica 6 mesi. Si può trovare anche un tipo di dittatore dotato di poteri circoscritti (imminuto

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 39/164 $LOGOIMAGE iure) al compimento di un singolo atto per il quale non si trovano i magistrati competenti in città. Il dittatore assume i poteri della coppia consolare quando essa non decadendo dalla carica rimane sospesa. E' scortato da 24 littori e nomina un suo subordinato liberamente revocabile il MAGISTER EQUITUM. E' l'unico magistrato che goda dell'imperium militare anche all'interno del pomerio. I tribuni non possono contrastarlo col veto.

CENSURA. Nasce dalla necessità di procedere, ogni 5 anni, al censimento dei cittadini. Era una operazione di grande importanza politica. E' una magistratura ordinaria non permanente. Non è dotata di imperium. Il censore esercita il controllo sui costumi che si esprime nella facoltà di emanare una nota censoria che può determinare conseguenze come l'infamia del colpevole, il declassamento, l'espulsione dal Senato. Essi hanno la facoltà di scegliere i membri del Senato ed hanno responsabilità finanziarie.

PRETORE. E' una magistratura monocratica. Il pretor è dotato di imperium, il potere di condurre l'esercito e gode della facoltà di esercitare il potere giurisdizionale in campo civile. Il pretore assicura che le liti giudiziarie procedano secondo le regole stabilite dal diritto consegnando poi le parti ad un cittadino privato che fa da giudice.

Il pretore ha lo IUS EDICENDI cioè il potere di emanare un editto, con il quale informa la cittadinanza dei criteri cui si atterrà nel rendere giustizia. E' una magistratura maggiore eletta da comizi centuriati e gode della facoltà di presentare delle proposte di legge IUS AGENDI CUM POPULO E CUM SENATU.

Nel 242 AC ci fu aggiunto un 2° pretore per dirimere le controversie tra i cittadini Romani o tra stranieri, perlopiù commercianti che litigavano tra loro nella città di Roma. Era il PRAETOR PEREGRINUS mentre l'altro pretore era detto PRAETOR URBANUS. I pretori governavano le provincie e presiedevano le giurie criminali permanenti. Per via di queste esigenze vi fu un aumento del loro numero a 8.

V - Magistrature minori e plebee

EDILITA' CURULE. Risale alle LEGGI LACINIE SEXTIAE la funzione degli Edili curuli sono simili a quelle degli edili plebei: sorveglianza dei mercati, approvvigionamento alimentare, giochi pubblici, controllo della viabilità e dell'edilizia pubblica e dei templi. Gli edili curuli hanno anche un potere di carattere giurisdizionale infatti presiedono alle liti tra privati, ma solo per argomenti riguardanti il mercato e in tale ambito possono emanare editti (schiavitù).

QUESTORI. (nascono come QUAESTORES PARRICIDII di nomina regale e poi consolare). Da subordinati dei consoli diventano magistrati quando viene a loro affidata la custodia dell'erario del popolo Romano. Ai questori urbani se ne aggiungeranno altri 2, poi altri nelle provincie fino a diventare 40 con Cesare.

VIGINTISEXVIRI (26). Una serie di magistrati inferiori. I più importanti sono i DECEMVIRI LITIBUS IUDICANDIS che si occupano di processi di libertà. Ci sono poi i TRESVIRI CAPITALES cui è affidata l'esecuzione delle sentenze di morte.

Nel 367 si verifica l'integrazione delle magistrature dello Stato quiritario con i capipopolo della plebe. I tribuni vengono riconosciuti come magistrati dello Stato benché siano eletti solo dai plebei.TRIBUNI. Hanno lo IUS AGENDI CUM PLEBE cioè la facoltà di presiedere e convocare il Senato. La loro specifica funzione si sviluppa sostanzialmente in due modi:

1) da un lato hanno l'AUXILIUM nei confronti del singolo;

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2) dall'altro la possibilità di bloccare qualunque decisione magistratuale, esclusa quella dei censori, che contrasti con gli interessi della plebe (INTERCESSIO).

Possono impedire la presentazione delle proposte dei magistrati, bloccare i processi, ma non possono nulla contro le decisioni delle leggi comiziali in quanto rappresentano la volontà dell'intero popolo. Nulla possono anche contro le decisioni dei giudici privati.

EDILI PLEBEI. Assumono funzioni amministrative. Accanto agli edili della plebe, i patrizi pretendono una nuova coppia di magistrati. Ci saranno una coppia di edili plebei votati dalla sola plebe, ma di edili curuli eletti da tutto il popolo.

VI - Il Senato

E' composto da 300 notabili patrizi e plebei portati a 600 membri da SILLA. Esercita una autoritas nei confronti del popolo (un potere morale e giuridico). Non sono tollerate le modificazioni che mettono in discussione il potere di tale organo. Le direttive politiche che il Senato indirizza ai magistrati, in particolare ai consoli (SENATUSCONSULTA) vengono praticamente sempre rispettate. Un conflitto fra Senato e magistrati può portare ad una rottura della legalità costituzionale. In casi del genere il Senato proclama il SENATUS CONSULTUM ULTIMUM un provvedimento mediante il quale vengono sospese le garanzie costituzionali. Il magistrato disubbidiente viene considerato nemico pubblico. Nei conflitti fra le varie istituzioni vince sempre il Senato.

I senatori originariamente erano selezionati dai consoli, poi sulla base del PLEBISCITO OVINIO del 312 la LECTIO SENATUS viene affidata ai censori che ogni 5 anni compilano la lista del Senato.I rimpiazzi vengono scelti fra gli ex magistrati nell'ordine inverso rispetto al CURSUS HONORUM: prima gli ex consoli, poi gli ex pretori e gli ex edili curuli. Gli altri magistrati (tribuni della plebe, edili plebei, questori) sono ammessi tra l'età dei Gracchi e la fine della Repubblica.

Conta quindi il rango magistratuale raggiunto e la qualifica di patrizi.

Il senatore più anziano tra i patrizi ex censori assume la carica di princeps senatus. Egli non è il presidente in quanto il senato è presieduto dal magistrato che lo convoca, ma può parlare per primo. I senatori non hanno il potere di autoconvocarsi, né di presentare un ordine del giorno, ma in realtà, pur dovendosi attenere agli argomenti del giorno, nessuno poteva interrompere gli interventi. La votazione avviene PER DISCESSIONEM (dirigendosi in due punti diversi della sala). I senatori di rango inferiore non prendono mai la parola ma votano e perciò sono definiti PEDARII.

I POTERI DEL SENATO

POTERI RISERVATI AI MEMBRI PATRIZI:

1) INTERREGNUM nel caso vengano meno i consoli;

2) AUCTORITAS potere di ratificare le decisioni delle assemblee popolari, leggi e nomine di magistrati, dopo averne controllato la forma, il merito e la legittimità costituzionale. La LEX PUBLILIA PHILONI del 339 e la LEX MOENIA rendono il parere del senato preventivo e non vincolante. La LEX HORTENSIA equipara i plebisciti alle leggi del popolo;

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 41/164 $LOGOIMAGE 3) ERARIO. L'intero senato decide dell'amministrazione dell'erario (esistevano fondi ai magistrati);

4) CAMPAGNE BELLICHE. Il senato decide in merito alle campagne belliche, alla leva militare sena però dichiarare guerra né pace;

5) AGER PUBBLICUS. Organizza le provincie attribuendone il governo ai magistrati e amministra l'ager pubblicus;

6) RELIGIONE DI STATO: controlla la religione ammettendo il culto di nuove divinità;

7) POTERE GIURISDIZIONALE: in materia di crimini politici e religiosi il senato interveniva istituendo delle giurie straordinarie sottratte alla provocatio ad populum. E' un potere che fu abolito con la LEX SEMPRONIA IUDICIARIA del 123.

VII - La partecipazione alle assemblee. Rinvio.

CENSIMENTO. Ogni 5 anni. Le operazioni di censimento stabiliscono il posto che ciascun cittadino ha per cinque anni all'interno della struttura giuridico-politica. Lo svolgimento delle operazioni di censimento richiede la presenza del cittadino a Roma o che si faccia comunque rappresentare. Più esigente è la partecipazione alle assemblee perché non ammette deleghe. Il censimento è uno dei doveri fondamentali del cittadino, la cui violazione espone alla condanna alla schiavitù. Nel secondo secolo solo una ristretta minoranza (nobilitas e plebe urbana) parteciperanno attivamente alla vita dello Stato. Gli uomini politicamente rappresentativi della nobilitas Romana i PRINCIPES, possono attivare dei propri meccanismi clientelari, chiedendo ai cittadini lontani da Roma di andare a votare. Nella tarda Repubblica saranno i veterani ad affluire in città . Solo nell'età del Principato si comincerà a votare in un'urna nella propria città di residenza e poi spedirla sigillata a Roma.

CAPITOLO 7°

LE ASSEMBLEE POLITICHE

I - I comizi curiati.

COMITIA CURIATA. Delle tre assemblee del popolo era la più antica. Dopo il 367 rappresentava solo un relitto storico, reso praticamente superfluo dagli altri comizi e dai concili plebei. Restava in vita solo per l'innato conservatorismo romano: il comizio del popolo riunito per curie veniva convocato nel Foro due volte l'anno, da un console o dal dittatore. Ma in realtà (almeno nella tarda Repubblica), presenziavano a questo tipo di assemblea solamente i 30 littori di servizio presso le curie. Quindi di fatto non riunioni del popolo, limitandosi a rappresentarlo simbolicamente. La funzione fondamentale consisteva nel continuare la tradizione della LEX

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CURIATA DE IMPERO. Era ormai una pura formalità, ancora però ritenuta essenziale per conferire il potere ai magistrati maggiori, enunciare le competenze che venivano loro attribuite ed attribuire il potere di prendere gli auspici.

I magistrati dotati del potere di presiedere le assemblee politiche potevano convocare 3 tipi di adunanze articolate per:

1) curie;

2) centurie;

3) o tribù.

Ai comizi si aggiungeva una quarta assemblea

4) Il CONCILIUM che raccoglieva solo i plebei. Le assemblee erano dominate dal magistrato che le presiedeva.

Anche le tradizionali attività connesse col diritto familiare continuavano a svolgersi davanti ai comizi curiati ed anche l'inauguratio del REX SACRORUM e dei Flàmini. In tali casi l'assemblea prendeva il nome di COMITIA CALATA (=comizi convocati) ed era presieduta dal Pontefice massimo.

II - I comizi centuriati.

COMITIA CENTURIATA erano l'assemblea più importante (COMITIATUS MAXIMUS) dell'ordinamento Repubblicano, dotate di competenze legislative elettorali e giudiziarie. Ha derivazione militare. Il popolo era avvertito dalla assemblea con i segnali tipici di una chiamata alle armi: al suono della tromba o con la bandiera rossa esposta al Granicolo. Alle 170 centurie della fanteria si aggiungevano quelle dei cavalieri, all'inizio erano 6 e solo patrizie. Tali centurie si autofinanziavano le spese per armi, scudiero, cavallo. Ad esse se ne aggiunsero (in età Repubblicana) altre plebee fino a raggiungere il numero di 18. Metà delle centurie erano attribuite a giovani e l'altra ai veterani.

Erano dotati di IUS AGENDI CUM POPULO, cioè della facoltà di presiedere i comizi, i magistrati CUM IMPERIO, oppure - ma ai soli fini del censimento - i censori. Funzione elettorale se l'assemblea era convocata per eleggere dei magistrati si applicava il principio che a presiederla fosse il titolare di una potestà, ameno pari, sicchè per eleggere i magistrati maggiori occorreva un console o un dittatore altrimenti in loro mancanza si ricorreva al sistema dell'interregno. Il presidente dell'assemblea decideva il giorno della convocazione che coincideva con il 3° mercato successivo (24 giorni dopo). Il comizio si svolgeva in un luogo inaugurato dall'alba al tramonto e il giorno prescelto doveva essere idoneo sulla base del calendario elaborato dai Pontefici: infatti non doveva essere festivo, ma giorno di mercato, non doveva essere compreso fra i "dies nefasti" o in quelli utilizzati per l'attività giudiziaria.

L'assemblea era divisa in 5 classi: la 1^ aveva 80 centurie;

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 43/164 $LOGOIMAGE la 2^, 3^,4^ 20 centurie ciascuna; la 5^ aveva 30 centurie.

Al di sopra della 1^classe c'era la nobilitas (18 centurie dei cavalieri)

Con le 80 centurie della 1^classe + le 18 equites si raggiungeva la maggioranza dei voti assembleari (98 su 188). Poiché le operazioni di voto si arrestavano una volta raggiunta la maggioranza le ultime 3 classi raramente erano consultate.

Fra il 3° e il 2° secolo AC si tentò una riforma furono rimosse 10 centurie alla prima classe ridistribuendole tra le altre consentendo il voto anche alle altre classi. Comunque: sia all'esercito che al comizio centuriato partecipavano solo i cittadini che avessero un minimo di proprietà.

Agli anziani era attribuita maggiore dignità quindi le centurie dei seniores erano costituite da meno uomini rispetto a quella degli juniores. Era convinzione diffusa che il primo voto espresso sia in Senato che nelle assemblee, avesse la forza magica di influenzare tutti gli altri. Questo rafforzava ancor più il potere degli EQUITES all'interno dei comizi centuriati, in quanto erano chiamati per primi al voto, partendo da 6 centurie privilegiate i cosiddetti SEX SUFFRAGIA; dopo di loro si esprimevano le altre classi, per ordine di censo.

Ciascuna centuria aveva a disposizione un voto assembleare.

Nella riforma fu prevista l'estrazione fra le centurie degli Juniores della prima classe, questa fu chiamata CENTURIA PRAEROGATIVA che votava per prima. Dopo di essa votavano i cavalieri e le altre centurie in ordine di censo. In tali operazioni di dispiegava il clientelismo (caratteristica essenziale della società Romana). I gruppi aristocratici si ergevano a patroni delle famiglie plebee, bisognose di favori o di alimenti. In cambio queste ottenevano un sostegno politico che si tramandavano di generazione. Per allentare le pressioni dai legami clientelari fu introdotto il voto segreto su tavolette cerate con una serie di LEGES TABELLARIAE metà II secolo , poi deposte nell'urna. In tal modo i plebei potevano promettere un voto ma non darlo. Sia nei comizi centuriati che in quelli tributi i votanti venivano fatti sfilare attraverso corsie parallele delimitate da muretti, poi, essi passavano su un ponte di legno collegato al banco del magistrato, ciascuno dei votanti era visibile ma non avvicinabile e deponeva la tavoletta nella cesta. Sulla tavoletta venivano incise delle sigle come proponi UR per il SI; A (per antiquo) per il NO; NL (non liquet) non chiaro per l'ASTENSIONE.

Lo scrutatore procedeva poi allo spoglio dei voti ed il magistrato proclamava i risultati (RENUNTIATIO) . Per quanto riguarda la funzione legislativa i comizi centuriati avevano la competenza ad emanare la LEX DE BELLO INDICENDO (dichiarazione dello stato di guerra) e la LEX DE POTESTATE CENSORIA.

Fino al 339 AC le proposte di legge dovevano essere ratificate dal Senato. Dopo LEX PUBLILIA PHILONIS fu invece la ROGATIO del magistrato a dover ricevere una preventiva autorizzazione. Il magistrato godeva di un potere molto forte in quanto lui solo poteva presentare i candidati alle elezioni, poteva di fatto arrivare anche a forme di arbitrio quale il rifiuto di promulgare una legge già votata o approvata o procedere all'annullamento del risultato, eccetera.

I comizi centuriati non si potevano autoconvocare, le decisioni o proposte del magistrato non si potevano discutere ai cittadini non restava che votare. Il dibattito sulla proposta di legge avveniva prima della convocazione dei comizi in 3 riunioni informali: le CONTIONES. Durante queste assemblee il presidente illustrava il suo progetto. Il testo di legge veniva poi reso noto con la PROMULGATIO, cioè mediante la lettura durante le contiones e la pubblicazione su tavolette cerate. Il magistrato poi procedeva alla ROGATIO cioè chiedeva al popolo il parere sulla proposta che poteva riguardare un solo provvedimento: erano vietate le rogazioni multiple. Un'altra competenza del comizio era l'elezione dei magistrati maggiori.

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La richiesta di elezione doveva essere autorizzata dal magistrato. Benché fosse tollerato l'uso di consentire a chiunque di fare una campagna elettorale, i comizi convocati per eleggere magistrati non venivano preceduti da contiones. Chi aspirava all'elezione comunicava la sua intenzione, compiva una campagna elettorale, circondato dai propri clienti e, vestito con una tunica imbiancata (da cui il termine candidatus). Una volta eletto il magistrato doveva giurare di rispettare le leggi. Tale prassi divenne obbligatoria nel 2° secolo AC a pena di immediata decadenza dalla carica.

III - I comizi tributi.

I COMITIA TRIBUTA erano assemblee del popolo riunite nel Foro o in Campidoglio sotto la presidenza di un console o di un pretore. Il corpo elettorale veniva aggregato non sulla base di classi e centurie, bensì per tribù territoriali allo stesso modo di quelle della plebe.

Lo Stato Romano era diviso in 35 distretti:

31 tribù rustiche;

4 tribù urbane (queste ultime composte perlopiù da artigiani e proletari).

Nel 312 APPIO CLAUDIO aveva redistribuito i cittadini non ADSIDUI e quelli di condizione libertina in tutte le tribù sia rustiche che urbane. La riforma rischiò di metere in discussione il dominio dell'aristocrazia e durò pochi anni. I provinciali che avessero acquisito la cittadinanza Romana venivano iscritti nelle tribù già esistenti. Anche questa assemblea apparentemente più egualitaria (perché non ripartita in classi, né divisa tra juniores e seniores) in realtà era fortemente discriminante: la rimozione di un cittadino da una tribù rustica e la sua iscrizione d'ufficio in una urbana costituiva una sanzione.Le tribù rustiche avevano meno iscritti che erano contadini controllati dai grandi proprietari e avevano la maggioranza dei voti assembleari. Non era previsto un quorum: sarebbe bastata la presenza di uno solo per esprimere la volontà collettiva della tribù. Si preferiva, perciò, ricorrere a questo tipo di assemblea senza contare che le operazioni di voto erano più semplici e rapide di quelle dei comizi centuriati poiché tutte le tribù votavano simultaneamente.

Politicamente c'era differenza in quanto permetteva a tutti i cittadini di votare, mentre nei comizi centuriati ci si interrompeva una volta raggiunta la maggioranza

Le competenze dei comizi tributi erano affini a quelle dei comizi centuriati, con la differenza che, invece di votare per i magistrati maggiori, vi si eleggevano quelli minori, in particolare gli edili curuli ed i questori. Anche nei comizi tributi si votavano leggi (LEGES TRIBUTAE).

I comizi tributi eleggono i magistrati minori; dal 250 in poi hanno il compito di eleggere il pontefice massimo e dal 104 gli auguri e altri sacerdoti minori.

IV - I concilia plebis.

I CONCILIA PLEBIS TRIBUTA erano un'assemblea cittadina ben distinta dai comizi, in quanto raccoglieva solo la parte maggioritaria del popolo. I provvedimenti emanati erano qualificati non come leggi in senso

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 45/164 $LOGOIMAGE stretto, ma come PLEBISCITA. Originariamente il concilio non era un'assemblea ufficiale e non eleggeva magistrati del popolo Romano. Dopo il pareggiamento delle classi divenne un'assemblea legittima presieduta dai tribuni, con la funzione di emanare plebisciti ed eleggere magistrati plebei.

Il fatto che dal 471 i concili fossero convocati per tribù determinava le stesse conseguenze già viste per i comizi tributi: una prevalenza dei distretti rurali, a scapito della plebe nullatenente cittadina. In effetti la divisione sociale più importante, quella tra nobilitas plebea e plebe attraversava lo stesso concilio. Conseguentemente l'assemblea, le magistrature plebee che essa eleggeva, avevano completamente perso la loro funzione contestativa. I cittadini non patrizi, alla fine della Repubblica in realtà erano ridotti a poche decine di famiglie. In sostanza l'assemblea coincideva quasi con i comizi tributi, sicchè dopo l'equiparazione dei plebisciti alle leggi (nel 286), si preferì convocarli per l'attività legislativa corrente. I consoli erano spesso fuori della città, alla testa degli eserciti, mentre era facile disporre dei tributi. Oltretutto l'assenza degli auspici rendeva quest'assemblea meno esposta a manipolazioni.

V - Leges e plebiscita.

LEX E IUS.

LEX: in età Repubblicana è intesa come dichiarazione di impegno, statuizione sia da parte dei privati che dell'intero popolo.

Anche le LEGES PUBLICAE POPULI ROMANI che ereditarono la funzione delle LEGES REGIAE dovettero in origine essere delle solenni comunicazioni di decisioni prese dal magistrato e dal popolo. Dal popolo ci si aspettava nient'altro che un'adesione per acclamazione, come ai tempi dei re (almeno questo risulta dall'antichissima LEX CURIATA DE IMPERIO, si pensi anche all'evoluzione subita dalla LEX DE BELLO INDICENDO con la quale si dichiarava lo stato di guerra davanti ai comizi centuriati).

Diventata una vera e propria fonte del diritto la LEX venne intesa come "quello che il popolo ordina e stabilisce" un COMMUNE PRAECEPTUM ovvero una COMMUNIS REI PUBLICAE SPONSIO (=comune impegno della Repubblica) secondo la classica definizione di PAPINIANO (vedi anche Aristotele e Senofonte nota n.14 pag.111). Proprio come una sponsio tra i privati cittadini, la legge risultava da un intreccio tra una domanda di impegno (la ROGATIO del magistrato) e una congruente risposta dell'assemblea (il voto).

Le leges divennero dunque provvedimenti a carattere normativo, dal contenuto per lo più pubblicistico, proposte (ROGATAE ovvero LATAE) dal magistrato.

Una lex si diceva invece DATA quando derivava da una delega sollecitata all'assemblea dal magistrato. A tale delega si faceva ricorso per conferire al magistrato il potere di organizzare una nuova provincia.

Il ricorso alla legge per modificare lo IUS CIVILE era ampiamente scoraggiato sia dal timore reverenziale per i MORES MAIORUM, sia dall'intervento della giurisprudenza e degli editti magistratuali. Alla legge si faceva ricorso in diritto privato solo per introdurre riforme sostanziali alle quali la giurisprudenza non riuscisse a pervenire.

In base all'assemblea che le aveva approvate le leggi potevano essere distinte in centuriate o tribute. Dopo la LEX PUBLILIA PHILONIS del 339 non più ratifica ma, la rogatio della legge doveva ricevere un parere preventivo non vincolante dal Senato.

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Le leggi comiziali prendevano il nome del magistrato proponente o dei consoli in carica nel caso uno dei due l'avesse erogata. Il testo approvato entrava immediatamente in vigore.

Il testo legislativo era composto da:

PRAESCRIPTIO

ROGATIO

SANCTIO

PRAESCRITIO: venivano date delle indicazioni atte ad identificare il provvedimento: data, magistrato, tipo di assemblea....

ROGATIO: conteneva la proposta di legge approvata;

SANCTIO: riportava un insieme di clausole che chiarivano il rapporto della legge con l'ordinamento. Il suo contenuto originario consisteva nella dichiarazione che il provvedimento dovesse rimanere inapplicato nei punti che contrastassero i MORES MAIORUM o le leggi sacrate. Vedi anche CAPUT TRALATICIUM DE IMPUNITATE pagg.112-113.

Si riconosceva l'esistenza di norme inderogabili in materia di diritti della plebe, di istituzioni religiose, eccetera. Per esempio nessuna lex faceva perdere la libertà o la cittadinanza.

In linea di principio rimasero dei dubbi sul fatto che una legge potesse abrogare una norma precedente di origine consuetudinaria che legislativa.

Le leggi in materia di IUS CIVILE erano distinte in:

1) LEGGI PERFETTE: stabilivano la nullità dell'atto;

2) LEGGI QUASI PERFETTE: si limitavano a punire il contravventore senza rendere nullo il negozio;

3) LEGGI IMPERFETTE: esprimevano una generica riprovazione senza conseguenze.

Le leggi perfette sono le più recenti introdotte nella tarda Repubblica e ciò dimostra una forte resistenza ad accettare l'idea che lo IUS CIVILE possa essere mutevole e transitorio. Le norme pubblicistiche o privatistiche introdotte nell'ordinamento dalle assemblee legislative erano definite IUS PUBLICUM e questa espressione intendeva dire originariamente, cioè indicava, il diritto creato dal popolo, cosa diversa dal significato che più tardi assumerà di diritto pubblico contrapposto a quello privato.

I PLEBISCITA erano le decisioni prese dai CONCILI che vincolavano dal punto di vista religioso ed esclusivo la plebe. Il testo dei plebisciti era conservato nel tempio di Cerere. Inizialmente essi potevano trasformarsi in leggi dovevano essere votati in comizio.

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Ben preso furono equiparati alle leggi (LEX HORTENSIA del 286)e il loro contenuto era vario come quello delle leggi comiziali.

Nella fase finale della repubblica, a partire dal movimento dei Gracchi, i concili e i magistrati plebei vennero restituiti alla loro funzione antica, di contestazione dell'aristocrazia (stavolta ovviamente della nobilitas). Sicchè anche i plebisciti acquisirono di nuovo il carattere di provvedimenti almeno potenzialmente ostili al Senato. Sconfitto il movimento graccano, nel corso dell'effimera restaurazione di Silla, la proposta di plebiscito dovette essere sottoposta al parere vincolate del Senato. Tale vincolo venne poi rimosso nel 70 AC.

Per plebiscito venivano approvati innovazioni costituzionali anche importanti, perlopiù la plebe era chiamata a legiferare in materia di diritto privato: il più antico di questi provvedimenti è la LEX AQUILIA DE DAMNO inizi del III secolo. Tale plebiscito introdusse nel diritto civile un nuovo delitto il danneggiamento di cose altrui che comportava l'obbligo di risarcire il danneggiato.

CAP. 8

L'APOGEO DELLA REPUBBLICA

I - L'imperialismo Romano.

Nel mondo antico la guerra non era considerata la condizione normale nella quale veniva a trovarsi una comunità. Non a caso lo straniero era definito in età arcaica HOSTIS con un termine che in radice esprimeva l'idea dell'ospitalità HOSPITUM piuttosto che dell'ostilità.

Per dichiarare guerra Roma doveva contestare un torto ben preciso per cui un membro del collegio dei Feziali poteva attraversare il confine chiedendo la restituzione di beni o di prigionieri. Dopo 33 giorni al suo rientro questi denunciava al Senato il comportamento ingiusto degli stranieri in seguito egli veniva rinviato presso il confine per la dichiarazione di guerra attraverso un atto simbolico: il lancio di una lancia nel territorio nemico. La comunità straniera poteva anche essere all'oscuro di quando andava compiendo il sacerdote. Le guerre dei Romani dovevano essere tutte giuste. La guerra è giusta e pia quando costituisce risposta ad una violazione altrui perché altrimenti la guerra di per sé è male ingiusto. I feziali perciò hanno il compito di giustificare a Giove e agli altri dei la dichiarazione di guerra. Né si rinunciava, anche contro ogni evidenza a dichiarare che la buona fede nei rapporti internazionali (FIDES) era un valore etico-politico del popolo Romano (diversi i greci "doppi").

Di IMPERIALISMO cioè della tendenza a dominare altre comunità a fini di sfruttamento economico si può parlare solo in età precedente all'Impero. Consolidata la propria egemonia sul Lazio, Roma si avviava a diventare una potenza commerciale. L'Italia centrale cadde nelle mani dei Romani dopo una serie di conflitti: la 3^guerra sannitica portò alla vasta conquista territoriale dalla Padania alla Lucania. La guerra contro Pirro portò alla conquista delle città greche dell'Italia meridionale. Dando per scontato un facile consenso alla politica imperialistica il problema della nobilitas riguardava quelle scelte militari che erano da intraprendere, in funzione di quali interessi.

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Due furono le posizioni:

1) CATONIANA;

2) SCIPIONICA.

1.CATONIANA: era sostenuta dall'ala più conservatrice e nazionalista alleata ai cittadini; prospettava una espansione verso i confini naturali d'Italia per cercare nuovi territori agricoli. Capofila erano i Fabii e CATONE. Egli era convinto che l'imperialismo mercantile scipionico avrebbe modificato la struttura sociale e costituzionale della Repubblica consolidando i ceti dei mercanti alleati alla nobilitas.

2.SCIPIONICA: filo ellenica sul piano culturale, era attratta verso le coste mediterranee; era più vicina agli interessi dei grandi mercanti. Si voleva creare uno Stato economicamente e culturalmente progredito, capace di integrare le aristocrazie greche. L'esponente più rappresentativo di tale linea PUBLIO SCIPIONE AFRICANO. La politica degli scipioni ebbe definitivamente il sopravvento nel 200 AC.Il rafforzamento di tale linea determinò una reazione violentissima da parte dei conservatori. Lo scontro si risolse con un processo contro il fratello di Scipione. L'uomo fu accusato di aver distrutto parte del bottino di guerra per dare un premio alle proprie milizie e fu condannato ad una enorme multa. Questo fu il pretesto per colpire un gruppo politico diventato troppo forte, ma nonostante questo isolato episodio la politica degli scipioni restò dominante. Un'inversione di tendenza si ebbe con la terza guerra punica. L'effetto più rilevante delle guerre puniche fu l'affermazione di un sistema economico schiavistico (grazie alla manodopera a basso costo e alla disponibilità a grandi estensioni di terre). Si diffuse fra i plebei in tal modo una concezione tipica dell'aristocrazia il lavoro è un marchio di inferiorità sociale, che proietta l'ombra della servitù sull'uomo libero. Nuovo tipo di azienda agricola coltivata pressocchè interamente da schiavi e diretta alla produzione per il mercato. Le conquiste aprirono anche un processo di concentrazione fondiaria a vantaggio della nobilitas e del ceto equestre: enormi patrimoni terrieri si accumularono in Italia e nelle Provincie (fondi in proprietà privata e ager publicus occupati dai ricchi e potenti). L'espansione nel mediterraneo si risolse anche in un enorme rafforzamento dei finanzieri, dei mercanti ecc. sia Romani che Italici. Le conquiste alimentarono l'Erario così nel 167 fu abolito il TRIBUTUM l'imposta diretta sulle persone.

Distrutta Cartagine si riaprì il dibattito sulle linee della politica espansionistica, se puntare allo sviluppo di un grande imperio territoriale o ad un sistema egemonico che consentisse di governare i popoli soggetti senza doversi assumere l'onere dell'occupazione. Tutta la classe senatoria sosteneva il progetto scipionico di acquistare l'egemonia sul mediterraneo attraverso una rete di Stati clienti. La politica del "risparmiare il sottomesso" POLITICA DEL PARCERE SUBIECTIS non era più vista col favore di un tempo dagli uomini d'affari dei ceti equestri, sempre più interessati a uno sfruttamento intensivo dei territori conquistati e orami abbastanza forti da contendere ai senatori un effettivo controllo delle provincie.

II - Rapporti internazionali.

Il più antico dei rapporti int. è l'HOSPITUM, nato come accordo privato che legava perpetuamente due famiglie di differente nazionalità ed offriva protezione, atta ad incoraggiare gli scambi commerciali. I doveri di ospitalità stabiliti avevano carattere sacro e prevalevano su quelli nei confronti della propria comunità. Anche lo Stato poteva offrire un HOSPITUM PUBLICUM al singolo straniero ovvero istituire questo tipo di rapporto con un'altra comunità.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 49/164 $LOGOIMAGE AMICITIA: era un rapporto internazionale volto a preservare la pace tra Roma ed un altro stato o una singola persona. Comportava l'inserimento di una comunità o persona in una lista ufficiale di "amici del popolo Romano". L'amicizia determinava l'impegno reciproco a non intraprendere iniziative ostili; si riconosceva reciprocamente la libertà ed il diritto di proprietà dello straniero in territori dell'altra comunità. Era un rapporto paritario. L'amicitia fu usata specialmente dal II° secolo nei confronti dei monarchi bisognosi di essere aiutati (REGES SOCII ET AMICI) contro pretendenti al trono o rivolte. Rispetto ad essi Roma si arrogava il diritto di influenzare la politica estera, di deporre vassalli o intervenire nella successione al trono. Si instaurava così un rapporto di clientela.

Finalizzati alla guerra erano DEDITIO ed ALLEANZA.

DEDITIO: la conquista immetteva i vincitori nel possesso della persona e dei beni dei vinti. Ciò si evitava se i vinti si arrendevano a discrezione (DEDITIO IN FIDEM) diventando DEDITICII in attesa che i vincitori decidessero del loro destino.

La DEDITIO consisteva nella sottomissione di un popolo debellato,mediante una sponsio proposta dal comandante Romano, cui un rappresentante dei nemici rispondeva positivamente. Ma la deditio poteva aver luogo anche in mancanza di un precedente stato di guerra, allo scopo di evitare una azione bellica. La deditio impegnava i Romani a risparmiare le vite, la libertà personale e i beni dei dediticii. I sottomessi potevano rimanere degli stranieri privi di cittadinanza o essere riconosciuti come comunità autonoma o venire integrati nella cittadinanza Romana.

FOEDERA: molti accordi erano posti in essere mediante i FOEDERA. In età arcaica il FOEDUS era un trattato solenne che veniva stipulato tramite 2 membri del collegio dei feziali. Esso poteva rappresentare la fine di una guerra ed in tal caso il generale offriva condizioni di pace. Tale sponsio impegnava Roma a concludere il foedus. Ma Roma poteva sconfessare la promessa abbandonando il generale.

ALLEANZA: era il rapporto più importante costituito mediante foedus. I soci o foederati concordavano alcuni diritti e doveri reciproci,non necessariamente paritari. (uno era più forte). La federazione era un rapporto che serviva per instaurare una dominazione politica imponendo una forte limitazione alla sovranità degli alleati.

Riguardo al contenuto si potevano distinguere i trattati costitutivi di alleanze in due tipi fondamentali:

1) FOEDUS AEQUUM: si poneva in essere un rapporto paritario;

2) FOEDUS INIQUUM: si individuava Roma come potenza egemone.

In ogni caso la comunità federata manteneva la soggettività internazionale, l'autonomia amministrativa, proprie leggi e magistrati, una sua moneta.

Gli alleati erano tenuti perpetuamente ad una serie di obblighi nei confronti di Roma:

1) prestare delle truppe;

2) prestare forniture alimentari;

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3) subire limitazioni della sovranità (non allearsi con stati nemici);

Due erano gli strumenti di dominio:

1) costringere i popoli a federarsi con Roma;

2) accettare le limitazioni della sovranità.

III- I Latini e gli Italici.

Caratteristica della politica Romana fu l'impedire che i popoli sottomesi si trovassero nella stessa condizione giuridica e di fatto (per evitare che facessero causa comune contro Roma). In età Repubblicana si scelse lo strumento della federazione. Tra i popoli sottoposti a Roma con la politica delle alleanze bisogna distinguere Latini e Italici.

LATINI. Erano gli antichi abitanti del Lazio tra il 6° e il 4° secolo AC. Il tempio di Diana, ad Ariccia, divenne il cuore di una federazione che raccolse tutti i popoli del Lazio. Cacciato Tarquinio Roma dovette difendere con le armi la supremazia acquistata con l'appoggio etrusco. La battaglia del Lago Regillo e la stipulazione di un trattato il Foedus Cassianum posero fine al conflitto con la lega latina. Con un foedus aequum Roma venne accolta nella Lega, che imponeva fra gli obblighi la non aggressione, l'alleanza e la divisione dei bottini. Conquistata Veio il predominio di Roma si fece così marcato da scatenare una seconda guerra che portò alla scomparsa dell'alleanza. I Latini mantennero uno stato diverso rispetto agli altri popoli sottomessi: non erano cittadini ma non erano confusi con i veri peregrini. Essi godevano dello IUS COMMERCII del diritto di porre in essere rapporti giuridicamente validi in ambito commerciale con i Romani. Inoltre avevano lo IUS CONNUBII cioè la possibilità di contrarre matrimoni con i cittadini Romani, quindi di avere figli riconosciuti legittimi dall'ordinamento di Roma. Godevano anche dello IUS MIGRANDI (possibilità di emigrare a Roma) e IUS SUFFRAGI (possibilità di votare nelle assemblee popolari Romane). I Latini avevano una sola centuria. La fedeltà dei Latini a Roma fu sempre assicurata, tranne qualche ribellione locale. Il punto di scontro era la richiesta dello IUS PROVOCATIONIS concesso nel 112 per proteggere i soldati Latini dagli abusi dei generali Romani.

Dopo la guerra sociale che oppose i socii Italici a Roma, i Latini non avendovi partecipato, ebbero come ricompensa la cittadinanza Romana. Ciò non determinò la scomparsa della condizione di Latinitas: essa permane come condizione intermedia tra peregrinitas e cittadinanza. Lo IUS LATII fu esteso ai Galli transapadani. Da allora la Latinitas fu intesa come condizione transitoria riconosciuta a comunità straniere politicamente affidabile in via di Romanizzazione. Nell'età augustea fu conferita anche ai liberti manomessi.

ITALICI: avevano posto in essere un rapporto di societas con il popolo Romano. Nonostante la subordinazione politica le comunità italiche restavano soggetti di diritto internazionale. Non avevano diritti di connubium, non avevano diritto di suffragio.

La politica degli Italici nei confronti di Roma oscillò fra due posizioni diverse nel corso della Repubblica:

1) prima i socii tentarono di mantenere la residua autonomia. Quando fu chiaro che la potenza egemone era

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2) rivendicarono la piena integrazione nella cittadinanza perché ottenerla voleva dire acquisire il privilegio della provocatio ad populum , godere dell'esenzione fiscale sulle proprie terre, essere immuni da pene di morte o pene corporali . La questione italica divenne uno dei gravi problemi politici più delicati mai risolto per responsabilità comune della nobilitas e della plebe, fino a determinare la ribellione dei soci.

IV - Il sistema municipale.

Altra soluzione per ampliare il dominio della Repubblica era l'ANNESSIONE. I nemici debellati o erano ridotto a peregrini dediticii oppure ridotti in schiavitù. Altrimenti in virtù di un foedus erano riconosciuti cittadini Romani. In tal caso ricevevano la cittadinanza piena o uno status analogo a quello dei cittadini, ma privo dei diritti politici. Tutte queste comunità di cittadini, che dovevano contribuzioni e prestazioni militari a Roma, mantenendo una certa autonomia amministrativa presero il nome di MUNICIPIA (acquisire un obbligo) e i loro abitanti municipes.

MUNICIPIA: il loro ordinamento amministrativo si uniformava a quello Romano in forma semplificata: 1 Senato, una sola assemblea popolare che serviva come organo giudiziario e per eleggere i magistrati; della magistratura. Il sistema municipale si imperniò sui quottorviri cioè 2 coppie di magistrati di cui una aveva funzioni tipiche dei pretori nella Repubblica Romana, l'altra coppia aveva le mansioni equivalenti a quelle degli edili. L'attività giuridisizionale era esercitata teoricamente dal pretore di Roma, ma in realtà era delegata a dei collaboratori che presiedevano le prefetture e rendevano giustizia in circoscrizioni comprendenti più municipi. Dopo l'89 AC finite le rivolte, tutte le comunità di soci Italici e Latini vennero trasformate in municipi Romani.

V - Le coloniae

Un altro sistema per ampliare il dominio della Repubblica fu la creazione di COLONIE. Esse erano abitate da cittadini iscritti alle tribù Romane. Inizialmente ebbero la funzione di presidio militare (erano lungo le coste) ma poi si trasformarono in uno strumento di controllo dei territori conquistati e di sfogo alla sovrappopolazione. Erano stanziamenti militari, di veterani, trasformati in ager publicus. Con Senatoconsulta seguito da plebiscito o lex data veniva istituita la colonia ed insediata un TRIUMVIRI COLONIAE DEDUCENDAE. Il territorio veniva lottizzato e assegnato ai coloni. Vigeva il sistema detto centuriazione che fu uno dei fenomeni economici e sociali più importanti di tutta la storia dell'Occidente: divisione in lotti del terreno. Il territorio sottratto alla comunità sottomessa era diviso in quadranti con l'inserzione di due linee ortogonali: il cardo maximus (da nord a sud) il decumanus maximus (da est a ovest). I quadranti (centurie) erano costituite da 200 iugeri suddivisi in lotti contraddistinti con una lettera ed un numero ed assegnati ai coloni per sorteggio. I confini tra i poderi erano delimitati da bassi muretti. Emerge una organizzazione del territorio agricolo a scacchiera. La colonia era amministrata da una copia di duoviri. Esistevano delle colonie cosiddette "latine" la cui popolazione godeva dello ius commerci, ma non del connubium e dovevano fornire contingenti di truppe. Le colonie latine erano città autonome, federate a Roma.

CONCILIABULA. Sono altre comunità più piccole. Piccoli distretti rurali all'interno della prefettura, che riunivano periodicamente i cittadini Romani per l'amministrazione della giustizia, riti religiosi e fiere.

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VICI: sono piccole comunità prive di autonomia amministrate da collegi di 3-4 magistrati elettivi e da una assemblea. Più villaggi costituivano i PAGI (circoscrizioni e rientrano nel territorio di un municipio).

VI - Le provincie in età Repubblicana

Il territorio dell'Italia Romana era costituito dalla penisola fino al rubiconde. Fu ampliato da Cesare fino alla Gallia Cisalpina e all'inizio del Principato si raggiunsero le alpi. All'esterno del territorio italico si estendevano le provincie.

PROVINCIE. In origine la "provincia" indicava l'ambito di competenza del magistrato. Per estensione si riferiva anche al territorio conquistato e affidato all'amministrazione di un governatore. Una lex data affidava al magistrato il compito di stabilire l'ordine interno, facendo una ripartizione del territorio in circoscrizioni, stabilendo imposte e dazi; conferendo autonomia o immunità fiscale a comunità privilegiate. Le provincie erano abitate perlopiù da peregrini. Era diffuso il principio orientale secondo il quale il sovrano era proprietario di tutto il suolo agricolo e lasciava ai sudditi il solo possesso, teoricamente sempre revocabile. Ai sudditi-contadini era concesso in locazione pubblicistica il suolo. Il popolo Romano si sostituì al re in tale situazione di proprietà pubblicistica, concedendo le terre ai vecchi possessori in cambio di un tributo fisso (stipendium) o di una percentuale di prodotto (DECUMA) o di una imposta personale come segno di subordinazione servile.

Mentre in Italia si era applicato il principio che le terre conquistate potevano essere assegnate ai cittadini in DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM, tal rapporto venne del tutto escluso nelle provincie, si aper i Romani che per i sudditi l'unico proprietario era il popolo Romano e nessun privato era riconosciuto come dominus, ma solo come possessore. Tuttavia il principio di proprietà pubblicistica non fu spinto alle estreme conseguenze. In pratica si restituirono ai provinciali la libertà e molti beni, esigendo come segno tangibile della proprietà del popolo romano, lo stipendium. Tale termine indicava il soldo militare e,per estensione anche l'imposta, intesa come contributo al mantenimento delle truppe di occupazione. Essa gravava sulle comunità non direttamente sul possessore, quindi le città soggette anticipavano l'imposta allo stato romano e ne ripartivano poi il carico tra i propri membri.

Molte città provinciali erano CIVITATES LIBERAE cioè godevano di una autonomia amministrativa e giurisdizionale. Alcune comunità extraitaliche erano federate a Roma e i loro cittadini erano detti SOCII EXTERARUM NATIONUM. Tali comunità mantenevano un proprio ordine giuridico, si autogovernavano e non erano sottoposte a tributo, ma solo a contribuzioni militari. Erano teoricamente, stati sovrani alleati, estranei alle provincie. La provincia all'inizio era governata dal magistrato CUM IMPERIO che l'aveva conquistata (console o pretore). Occorreva creare 2 PRAETOR che amministrassero le provincie di Sicilia, Sardegna, Corsica. Finchè il magistrato eletto (PRO CONSOLE) non entrava in carica l'imperium del precedente magistrato era prorogato. Era il senato ad assegnare le provincie ai magistrati. Il governatore esercitava un potere amministrativo, militare, giudiziario. Recandosi in provincia portava con sé un questore, che aveva l'amministrazione finanziaria, e dei fiduciari del senato, giovani uomini politici desiderosi di fare esperienza che costituivano il consilium. Il governatore poteva indire leve militari, esigere contributi straordinari, ordinare oper pubbliche, ecc.. Il governatore amministrava la giustizia nell'ambito di sessioni periodiche convocate. Ai magistrati locali spettavano i processi privati. La funzione di governatore non era retribuita ma egli si arricchiva ai danni dei provinciali.

VII - L'organizzazione finanziaria

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La struttura amministrativa di Roma rimase legata al modello della città-Stato dove il bilancio pubblico era modesto rispetto agli stati moderni. Le magistrature erano rivestite gratuitamente; non esisteva un esercito professionale; non c'era un corpo di polizia; non c'era istruzione pubblica; assistenza sanitaria, previdenze. Le campagne elettorali erano sostenute da offerte (per i giochi, feste,costruzioni di templi). Ciò riduceva le spese pubbliche. Il personale remunerato era ridottissimo. Grande fonte di spesa pubblica fu la distribuzione gratuita di vino, di olio, di grano ai poveri a prezzo politico. Il patrimonio dello stato era composto dall'ager pubblicus delle miniere e degli schiavi pubblici. Mancavano allo stato Romano due delle entrate fiscali tipiche del mondo attuale. La proprietà quiritaria era esente da imposte, non esisteva una imposta personale diretta. In caso di guerra per mantenere l'esercito, il senato fu costretto a creare il soldo militare (stipendium) e a chiedere un'imposta eccezionale che lo stato avrebbe rimborsato. L'imposta gravava i proporzione alla ricchezza su tutti i cittadini maschi adulti non mobilitati e in parte minore sulle vedove, non venne percepita tutti gli anni. Le entrate ordinarie erano percepite perlopiù con il sistema dell'appalto a società di imprenditori privati posti sotto il controllo dello stato. Altri introiti sono derivanti dall'ager pubblicus, dalla miniera, dalla dogana di terra e portuali, da tasse e pedaggi per uso del suolo pubblico.

CAP. 9

LA TARDA REPUBBLICA

I - Conflitti sociali e lotte politiche nel II secolo

Distrutta Cartagine, Roma si era imposta come potenza egemone; successo ottenuto con il patto sociale tra nobilitas e la plebe. Le guerre per la conquista dell'Italia avevano rafforzato i ceti medi agricoli, con l'assegnazione di ager publicus (nerbo dell'esercito e dell'economia), ma con la guerra contro Annibale e la concorrenza delle provincie erano stati messi a dura prova i contadini soldati. Essi dovevano abbandonare le loro terre, Roma divenne una metropoli sovrappopolata. Nelle campagne i contadini liberi si trasformavano in operai agricoli. A causa della concentrazione della proprietà fondiaria e dell'afflusso di schiavi a basso prezzo si era diffuso un tipo di fondo rustico più grande. Il padrone residente città lo lasciava gestire ad uno schiavo fattore detto vilicus e lo dava in locazione ai coloni.

Rivolte schiaviste (vedi Sicilia, schiavi siriani diversità col sistema greco):

135 schiavi contro latifondisti siciliani;

1^: 133 Euno (Antioco);

2^: 104

3^: 73 Spartaco.

Al di sotto di tali ceti servili che potevano diventare liberi, c'era la grande massa di schiavi. La sostituzione del lavoro servile a quello libero avanzò almeno fino al 2° secolo DC in tutti i settori della vita produttiva e dei commerci. Problema nuovo: come controllare le vaste masse di schiavi soprattutto quando erano concentrate

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 54/164 $LOGOIMAGE in grandi aziende? Al di sopra della plebe si collocavano 2 classi dirigenti composte da poche centinaia di famiglie potentissime.

Al vertice dello Stato c'era la nobilitas, ma cominciava a formarsi una seconda aristocrazia quella dei cavalieri: EQUITES.

Il termine equites acquisì sia una valenza militare che politica. Nel secondo secolo il termine cambiò senso: si trattava di un ceto nuovo, che traeva alimento dai traffici mercantili e delle provincie. I cavalieri erano un'elite scelta di uomini molto ricchi. Teoricamente si trattava di un corpo militare.Della classe dei cavalieri facevano originariamente parte anche i senatori e solo dopo i giovani della nobilitas (in seguito finanzieri, appaltatori, eccetera). Dalla fine del 3° secolo il ceto equestre strumento di mobilità sociale per i plebei più ricchi.

LEGGE CLAUDIA 218: vietò ai senatori di armare le navi da trasporto, però si aggirò il divieto......

NOBILITAS: potere politico e grande proprietà terriera;

CAVALIERI: affari mobiliari e da Gracco giustizia penale.

II - Il movimento graccano.

TIBERIO SEMPRONIO GRACCO, in seguito ala graduale dissoluzione del cetto cittadino cercò di porvi rimedio e propose la LEX SEMPRONIA AGRARIA una riforma con la quale si voleva rigenerare il ceto medio rurale ridistribuendo l'ager pubblicus del quale si erano impossessate le famiglie delle classi al potere. Tiberio propose un plebiscito (deliberazione fatta da una assemblea plebea equiparata alla legge) che conteneva una richiesta di applicare la legge già esistente la LICINIAE SEXTIAE che proibiva al cittadino di possedere più di 500 iugeri di ager publicus. Tiberio proponeva anche un correttivo consentendo il possesso di 250 iugeri per il primo figlio e altri 250 per il secondo figlio fino ad un massimo di 1000 iugeri. Tutto l'eccedente doveva essere ridistribuito alla plebe in possesso inalienabile. Per assicurare l'applicazione di tale riforma agraria Tiberio fece insediare un triumvirato con il compito di dare esecuzione alla legge e decidere su eventuali controversie. Furono nominati triumviri (TRESVIRI):lui, il fratello CAIO e APPIO CLAUDIO.

Il movimento graccano si scontrò contro la resistenza della nobilitas il quale vedeva l'applicazione della legge come una sorta di espropriazione senza indennizzo: la reazione venne organizzata facendo leva sul fatto che ciascuno dei tribuni della plebe avevano potere di veto anche nei confronti dei propri colleghi, quindi era sufficiente un solo tribuno ligio alle indicazioni dei gruppi dominanti nel Senato per paralizzare le iniziative troppo pericolose. Morte di Attalo III Re di Pergamo, tentativo iterazione della carica, per la prima volta SENATUS CONSULTUM ULTIMUM il Senato dichiarò uno stato di guerra interno, sospendendo le garanzie costituzionali ed ordinando ai consoli di prendere le armi contro il nemico pubblico Tiberio.

Il movimento graccano era però troppo forte perché si potessero annullare i risultati della riforma agraria. L'elezione del tribunato di Caio Gracco determinò un salto di qualità del movimento contadino. Il fratello di Gracco puntava ad un'alleanza fra varie forze sociali contro la nobiltas: plebe rustica, urbana, cavalieri, Italici, eccetera. Egli riprese il programma del fratello affiancandovi un provvedimento volto ad ottenere il sostegno della plebe urbana la LEX FRUMENTARIA con la quale si garantiva ai cittadini Romani non abbienti la distribuzione gratuita di grano e olio.

Per conquistare il favore degli equites Caio Gracco intese riequilibrare a loro vantaggio il rapporto di forze col Senato: LEX ACILIA che toglieva al Senato il controllo della corte penale davanti alla quale venivano giudicati

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 55/164 $LOGOIMAGE i crimini di concussione ai danni dei provinciali (QUAESTIO REPETUNDARUM)......

Inoltre ci fu una LEX ANTISENATORIA quella sugli appalti delle imposte nella provincia d'Asia che sottraeva la materia alla competenza del Senato, consegnandola ai concili plebei e quindi rafforzando la posizione di plebei e cavalieri.

Un'arma pericolosissima, nelle mani dei senatori era la costituzione di tribunali speciali a carattere penale, senza possibilità di appello al popolo, come quello che aveva inflitto al movimento graccano una sanguinosa repressione. Caio si premunì con una LEX DE CAPITE CIVIS che proibiva tale prassi.

Il movimento graccano sembrava destinato al successo quando improvvisamente si divise su un'importante questione politica "il problema degli Italici" colpiti anch'essi dalla revoca dell'ager publicus. I Romani sfruttavano il loro contributo militare e si appropriavano di gran parte dei vantaggi delle conquiste,ma li escludevano dalla cittadinanza. I socii non rivendicarono più la piena sovranità, ma chiesero la cittadinanza Romana e perciò anche l'accesso all'ager publicus. Caio nel 125 aveva fatto una proposta gradualistica: i Latini dovevano diventare cittadini Romani e gli Italici a loro volta Latini. Ma i sostenitori del Senato crearono discordia facendo intendere alla plebe che avrebbe dovuto dividere i propri privilegi con gli Italici. Si preparò un secondo colpo di stato facendo leva sul tribuno della plebe LIVIO DRUSO (demagogia delle proposte....). Il movimento graccano si sfaldò e la proposta di Caio fu bocciata.

A partire da allora si delineò un fenomeno destinato a segnare la società e la struttura costituzionale, determinando il crollo dell'assetto Repubblicano: la stabilizzazione di due schieramenti politici irrimediabilmente ostili ( non partiti ma: fazioni, aggregazioni di clientele e alleanze familiari) : POPULARES e OPTIMATES. Lo scontro della società romana passava anche attraverso la contrapposizione tra: imperium consolare/potestà tribunizia; comizi centuriata/concili plebei o loro paralisi interna

POPULARES: i sostenitori degli interessi del popolo; gran parte del ceto equestre è una frazione minoritaria della nobilitas. Essi contestavano la pretesa di occupare il potere non per merito, ma per nascita, la loro base di massa era composta da plebei e poi anche militari.

OPTIMATES: erano i sostenitori della tradizionale egemonia della nobilitas ma avevano anche un largo seguito clientelare plebeo. Il pericolo di una paralisi istituzionale era aggravato dalla natura collegiale di entrambe le magistrature.

III - Mario. I populares e la questione latina.

Dopo la sconfitta dei gracchi tutta la società fu investita da un fenomeno di disaffezione nei confronti dello Stato (Guerra contro GIUGURTA Re di Numidia 111-105). Gli avvenimenti determinarono la ripresa del partito dei popolari animato dagli equites. Essi fecero candidate al consolato CAIO MARIO homo novus, legatus di CECILIO METELLO. Per la nuova campagna contro GIUGURTA, Mario prevedette l'arruolamento volontario dei proletari (CAPITE CENSI) a cui si prometteva lo STIPENDIUM, la partecipazione al bottino ed una liquidazione che consisteva in un lotto di terra. La creazione di un esercito professionale in un periodo di guerra civile strisciante mise nelle mani dei capi politici uno strumento pericoloso: fedeltà al generale vittorioso

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 56/164 $LOGOIMAGE non più senso del dovere civico. La guerra contro Giugurta fu risolta anche grazie all'abilità del questore LUCIO CORNELIO SILLA, che attirò il re in una trappola. Successivamente con l'appoggio del proletariato militare ed il sostegno dei capi della plebe urbana Mario divenne il padrone dello Stato: era stato proclamato IMPERATOR.

Dopo il tentativo di abbassare il prezzo politico del grano risoltosi nello scioglimento di forza dei concili plebei da parte degli optimates, nel 103 venne votata la LEX APULEIA MAIESTATE con la quale diveniva possibile incriminare i magistrati che avevano compiuto atti ostili contro il popolo. Nel 101 Mario aveva il titolo onorifico di imperator (comandante vittorioso) ma fu costretto a dover disperdere i suoi sostenitori e allora si schierò contro i democratici che furono massacrati. La nuova sconfitta dei populares non bastò a far tramontare il loro programma. Nel 90 gli Italici si ribellarono collegandosi in una grande federazione con capitale Corfinium in Abruzzo che prese il nome di Italica. Roma reagì utilizzando il solito sistema di dividere gli alleati concedendo ai Latini la cittadinanza o a chi si fosse arreso. Chiusa la lotta con gli Italici tutta la penisola venne unificata nella città-Stato di Roma, ma si aprì il problema di come non far pesare da un punto di vista politico i nuovi cittadini. Esse furono iscritti in pochissime tribù, facendo modo che a livello elettorale contassero poco. Nell'88 SILLA fu eletto console ma per via di uno scontro con il tribuno SULPICIO RUFO gli venne revocato il comando delle truppe assegnate per la guerra contro MITRIDATE Re del Ponto. La rogazione illegale del tribuno ingiungeva a Silla di cedere le legioni a Mario.

Ci fu lo scontro fra i 2:

Silla appoggiato dagli ottimati e Mario dai populares.

Silla marciò su Roma e pare un periodo di restaurazione violenta del potere della nobilitas e fece votare un senatusconsultum ultimum contro Mario.

IV - Silla: la reazione della nobilitas

Rifiutatosi di deporre il comando delle legioni, Silla occupò Roma costringendo Mario a rifugiarsi in Africa. Nell'87 Silla si allontanò da Roma (per Mitridate) e ne approfittarono i Mariani appoggiati dal console CINNA che fecero rientrare Mario a Roma fu rieletto console ma un anno dopo morì. Cinna rimase al potere per alcuni mesi. Silla sconfitto MITRIDATE sovrano di Ponto rientrò a Roma nel 82 facendo strage di avversari: confiscando proprietà privata, passaggio di fortune a velocità vertiginosa. In mancanza di consoli si aprì la procedura dell'INTERREGNUM ma contrariamente alle Regole (nominare consoli o indire elezioni) l'interrè VALERIO FLAVIO propose, ai comizi centuriati, Silla come dittatore incaricato di scrivere nuove leggi e dare un ordinamento alla Repubblica senza limite di tempo. Silla acquisì poteri di vita e di morte, di confisca e di redistribuzione dei fondi, di direzione della politica estera, emanazione di leggi, nomina dei magistrati: appellativo di FELIX. Si accreditava l'idea che i successi politici e militari di Silla fossero determinati dal favore degli dei come premio alla virtù del generale. I provvedimenti presi da Silla colpirono in primo luogo il tribunato e i concili plebei.

Riforma di Silla

1) abolì le FRUMENTATIONES;

2) impose il divieto di presentare la candidatura a tribuno se non si era già senatori;

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3) abolì il veto tribunizio (possibilità di AUXILIUM al singolo cittadino, il tribunato è IMAGO SINE RE);

4) CURSUM HONORUM: vietò l'iterazione del consolato prima che fossero passati 10 anni;

5) LECTIO SENATUS tutti gli ex magistrati diventavano automaticamente senatori;

6) L'imperium venne scisso: a) IMPERIUM DONI ai consoli (che non assumeranno più il comando delle armate); b) IMPERIUM MILITIAE ai pro-magistrati;

7) Giurisdizione penale: furono previsti dei nuovi crimini e la creazione di nuove quaestiones controllate dalla nobilitas;

8) Ricostruzione dell'egemonia del Senato.

Silla voleva ricostruire l'egemonia del Senato, perciò il suo potere era provvisorio e funzionale, infatti nell'80 sconcertando tutti si ritirò a vita privata. In pochi anni ciò che aveva costruito fu smantellato dai populares anche se non ci fu una situazione di ritorno a quella precedente (riforme di cui ai numeri 2,5 e 7 di cui sopra).

La Repubblica morì quasi per comune consenso, rinunciando all'ideale della libertas Repubblicana: non interessava più ai popolari perché era fondata sul principio della supremazia politico-sociale dei senatori. Ma era una libertas non più sostenibile neanche dagli optimates, i quali temevano piuttosto nuove leggi agrarie che la fine della Repubblica.

V - Pompeo: il princeps ciceroniano.

GENO POMPEO MAGNO era un brillantissimo ufficiale di rango equestre dal seguito di SILLA acclamato imperator a 23 anni: LEX MANILIA del 63: IMPERIUM MAIUS tutte le provincie dell'Oriente. Condusse varie guerre ottenendo dagli IMPERIA straordinari ed un potere talmente forte da mettere le istituzioni sotto il suo controllo. Ciò preparò ad accettare una trasformazione in senso monarchico dello Stato: nel 52 CONSUL SINE COLLEGA e IMPERIUM PRO CONSULARE, ormai il principio della collegialità era in crisi. L'imperator che al momento aveva maggior seguito riusciva a farsi affidare dei poteri straordinari. Era iniziata una nuova epoca della storia costituzionale Romana: affermazione del potere personale di un PRINCEPS REIPUBLICAE. Nel linguaggio della tarda Repubblica i Principes (primi) erano capi dei gruppi politici, gli uomini più in vista dello Stato.

Per CICERONE teoria della CONCORDIA ORDINUUM (CONCORDIA DEGLI ORIDNI SOCIALI) cioè la proposta di unità delle due aristocrazie contro l'ala plebea dei POPULARES. Era necessario che emergesse un solo PRINCEPS, capace di mantenere la pace sociale. Già SCIPIONE L'AFRICANO aveva tentato di proporsi in un ruolo di questo genere, e gli intellettuali ellenizzanti della sua cerchia avevano persino riabilitato agli occhi dell'aristocrazia la figura del re 'giusto', distinguendolo dal tiranno. Cicerone sosteneva la necessità

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VI - Cesare e la crisi dell'egemonia aristocratica.

CAIO GIULIO CESARE, nipote di MARIO e genero di CINNA faceva parte di una stirpe patrizia che pretendeva di discendere da IULO (figlio di Enea e di Venere). Egli aveva stretti legami con lo schieramento antisenatorio, ma i suoi punti di forza erano i legami con gli equites e l'appoggio del proletariato militare creato da Mario. Si tentò di portare Cesare al potere, ma i nemici del Senato si erano stretti intorno a CATILINA che presentava la sua candidatura al consolato con un programma che puntava sulla remissione dei debiti e sull'espropriazione delle terre (programma standard dei populares). Sconfitto per la terza volta alle elezioni Catilina nel 63 organizzò una insurrezione di plebei e schiavi in Etruria soccombendo. La fine di Catilina però, non fermò l'ascesa di Cesare, che nel 59 fu eletto console.

Cesare si rese promotore di tre provvedimenti LEGES IULIAE a favore della plebe e dei cavalieri.

1) RIFORMA AGRARIA: senza limitare i benefici ai soli veterani;

2) CONFERMA DELLE MISURE PRESE DA POMPEO IN ORIENTE;

3) APPALTO AI PUBLICANI DELLE IMPOSTE DELLA PROVINCIA D'ASIA;

I progetti vennero approvati nonostante l'opposizione della forte frazione ottimati. Al tribuno PUBLIO CLODIO PULCRO (amico di Cesare) si deve una LEX CLODIA DE CAPITE CIVIS che puniva con l'esilio i magistrati che avessero dato seguito a un senatusconsultum ultimun mettendo a morte un cittadino senza processo. L'intento di colpire Cicerone repressore del movimento di Catilina era evidente.

Dopo l'incontro di LUCCA per il 1° triumvirato Pompeo e Crasso si fecero eleggere consoli mentre a Cesare fu prorogato l'imperium per la Gallia. A Pompeo spettò il governo della Spagna. Crasso la conduzione di una campagna in Siria. Senza la mediazione di Crasso Pompeo (appoggiandosi alla nobilitas) e Ceare (appoggiandosi agli equites) arrivarono alla scontro.

In vista dello scontro con Cesare due furono le sue mosse:

1) passò una legge che ribadiva il divieto di postulare una magistratura senza essere presenti a Roma;

2) il Senato impose a Cesare di deporre il comando.

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Nel 49 Rubicone: colpito dal Senatus consultum ultimun, vendicare offese alla propria dignitas. Pompeo: nobilitas/Cesare:equites e democratici.

Vi fu lo scontro finale a Farsalo che determinò la fine di Pompeo. Cesare caratterizzò il suo regime con una combinazione di regime terroristico contro gli avversari più pericolosi ed un atteggiamento di tolleranza (CLEMENTIA) verso gli ex partigiani di Pompeo disposti alla collaborazione (es. Cicerone).

Nominato dittatore e poi console ottenne una dittatura rinnovabile per 10 anni (nel 44 dittatura a vita: rex di fatto, titoli di PATER PATRIAE e IMPERATOR) facendosi solo in parte condizionare dal passato presentò delle riforme:

1) ridusse il numero dei beneficiari delle frumentationes;

2) impose ai proprietari di utilizzare nei campi almeno 1/3 di manodopera di condizione libera;

3) ridusse i debiti e le affittanze;

4) manifestò palese ostilità al Senato sotto minaccia di scioglimento.

5) Sottrasse al sistema degli appalti buona parte dell'imposizione tributaria nelle provincie.

La sua opera legislativa testimonia della volontà di costruire un Impero universale centralizzato allontanandosi dalla realtà della città-Stato.

Dal punto di vista legislativo:

1) amplia il Senato fino a 900 membri (integrato con membri del ceto equestre e dell'aristocrazia italiche e galliche);

2) massiccia colonizzazione extra italica;

3) privò i governatori dell'imperium militiate affidato ai Pro-pretori.

Tra le riforme politiche emana la LEX IULIA MUNICIPALIS che riconduce la struttura cittadina italica ad un modello unico. Raddoppiò il numero dei questori da 20 a 40 dei pretori da 8 a 16 degli edili da 4 a 6.

Cesare in realtà privò di effettività la costituzione Repubblicana (scheletro). Le magistrature esistevano ancora ma l'impalcatura era decorativa. Infatti il o i magistrati eletti erano imponenti di fronte al dittatore e le assemblee popolari continuavano a riunirsi sotto il controllo militare del dittatore (esercito comando assoluto). Un ultimo elemento che mancava alla trasformazione in senso monarchico delle istituzioni Repubblicane era

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 60/164 $LOGOIMAGE l'attribuzione di uno speciale rapporto con le divinità. Un capo politico vitalizio dotato di poterei illimitati comandante dell'esercito, pontefice massimo, il cui potere si giustificava su una base teocratica era un monarca asoluto (es. il faraone). La figura contraddittoria di Giulio Cesare monarca ellenistico ma anche capo democratico e nemico dell'aristocrazia esercitò una suggestione come prototipo di monarca carismatico con aspirazioni imperialistiche. Gli imperatori Romani amavano definirsi Ceari, Kaiser, Czar. Questi termini indicano una regalità con pretesa universale in culture diverse.

VII - Antonio e Ottaviano: la fine della Repubblica.

Assassinato Cesare (15 marzo del 44 AC) la Repubblica aristocratica sarebbe stata automaticamente restaurata, ma il senato non osò sostenere apertamente i Cesaricidi capeggiati da Cassio e Bruto e preferì aprire trattative con Marco Antonio collega di Cesare. Cesare nel suo testamento aveva nominato suo erede il giovanissimo nipote (vedi questione adozione...) GAIO GIULIO CESARE OTTAVIANo: il futuro AUGUSTO.

Nacque quindi un contrasto tra l'erede legale Ottaviano e quello politico Antonio. Quest'ultimo avrebbe dovuto assumere il governo della Macedonia, ma fece passare una legge per scambiare la provincia con la Gallia Cisalpina e quella Transalpina. Su istigazione di Cicerone il provvedimento fu invalidato e Antonio fu sconfitto a Modena dove si trovava Bruto ed altri consoli giunti ad aiutarlo. Ottaviano dopo la sconfitta di Antonio fu nominato console a 19 anni. Le divisioni nel campo cesariano rischiavano di favorire gli avversari comuni sicchè Ottaviano, Antonio e Lepido (già magistratum equitum di Cesare) vennero ad un accordo in base al quale il primo Ottaviano mantenne il controllo dell'Italia e dell'Africa e il 2° Antonio mantenne il controllo della Gallia.

Questo è il secondo Triumvirato OTTAVIANO-ANTONIO-LEPIDO (TRESVIRI REIPUBLICAE COSTITUENDAE) diversamente dal primo triumvirato questo secondo non era un semplice accordo politico ma una vera e propria magistratura straordinaria quinquennale con pieni poteri. Lepido fu deposto e divenne solo pontefice massimo. Una prima conseguenza del patto fu la pubblicazione di una lista di proscrizione ai danni di nemici dei 3 triumviri e tra questi c'era anche Cicerone. Antonio partì per l'Oriente alla conquista della Siria mentre Ottaviano tornato in Italia ebbe difficoltà a ricompensare le proprie truppe sia per carenza di denaro sia per poche proprietà demaniali. Così egli fece ricorso alle massiccie espropriazioni ai danni dei proprietari terrieri di tutta la penisola. Egli rimane padrone dell'Italia e governa e controlla l'Occidente mentre Antonio governa e controlla l'Oriente (36 AC). Ora lo Stato Romano era diviso in due tronconi principali e lo scontro tra i due assunse i caratteri di una alternativa tra due modelli politici contrapposti.

In Occidente con Ottaviano si sviluppa il MODELLO POMPEIANO:

1) schieramento basato sull'ideale del princeps ciceroniano;

2) modello di Repubblica senza effettività;

3) potere autocratico;

4) per eliminare tale modello dovevano scomparire i potentati e Augusto effettuò l'epurazione;

5) mantenne la tradizionale egemonia dell'Italia sulle provincie.

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Ottaviano corrispondeva a quell'ideale di Princeps Ciceroniano. Cicerone difendeva il ruolo delle magistrature, assemblee, senato ma sovrapponeva a queste un protettore che non fosse riconosciuto formalmente ma che avesse potere ed autorevolezza da sedare i conflitti fra gli ordini. Questo è ciò che porta il modello politico pompeiano che si diffonde in Occidente con Ottaviano Augusto ovvero una Repubblica svuotata della propria forza vitale tenuta in piedi per dare una parvenza di legalità ad un potere autocratico. Attirava la parte più conservatrice della classe senatoria, ma anche equites e Italici: trasformazione meno radicale delle istituzioni ed egemonia dell'Italia sulle provincie (vedi lotta di liberazione nazionale contro Cleopatra).

In Oriente con Antonio predomina il MODELLO POLITICO CESARIANO:

1) fondamento teocratico del potere;

2) spostamento del centro politico da Roma all'Oriente creando una monarchia assoluta teocratica;

3) potere autocratico militare ispirato alle monarchi ellenistiche;

Nel 33 i poteri di Ottaviano erano scaduti (scadenza triumvirato) egli si ritrovava privo di legittimazione giuridica per il proprio potere mentre Antonio governava in regime di prorogatio imperii. Per molto tempo Ottaviano agì fuori dalla legalità, bisognava stabilire quali dei due poteri autocratici dovesse prevalere, lo scontro finale fra Ottaviano e Antonio ad Azio nel 31 AC fu presentato come una battaglia dell'Italia contro l'Egitto e in termini religiosi come una guerra tra divinità tradizionali Romane ed egizie (vedi RES GESTAE DIVI AUGUSTI in appendice libro). Dopo la battaglia di Azio Ottaviano rimase padrone dello stato Romano, ma divenne indispensabile edificare una nuova legalità costituzionale capace di garantire stabilità e durata al nuovo regime.

CAP. 10

LO IUS HONORARIUM

I - Ius civile e ius gentium.

IUS CIVILE ARCAICO era il diritto di una società contadina con scarsi traffici mercantili. I MORES MAIORUM si erano cristallizzati in un sistema di norme che ormai escludeva la formazione di nuove consuetudini. L'impulso per una trasformazione venne dal contatto con i peregrini, con i mercanti, ecc. Lo straniero non godeva di tutela giuridica essendo lo ius civile riservato ai cittadini. Le regole religiose vietavano di far del male al peregrino a Roma, soprattutto se questi si affidava all'hospitium di una famiglia in vista. Una tutela più solida era quella prevista da un foedus come nel caso dei Latini. In forza di un trattato si riconosceva ad un'altra comunità un reciproco IUS COMMERCII e quindi la possibilità di porre in essere negozi di diritto

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 62/164 $LOGOIMAGE Romano.Ma non piena parità di tutela: i non cittadini non potevano ricorrere alle LEGIS ACTIONES. Le relazioni economico-giuridiche e anche i processi con gli stranieri, erano rudimentalmente regolati nelle 12 tavole. In caso di liti implicanti uno straniero il pretore agiva in maniera del tutto discrezionale (!), doveva enunciare delle regole o poteva rifiutarsi di dirimere la controversia. Egli interveniva a dettare delle regole di giudizio ispirandosi secondo il caso al diritto civile Romano a quello straniero, a quello straniero, agli usi commerciali internazionali. Da qui si svilupparono alcuni negozi basati sul diritto della genti.

IUS GENTIUM. Era quel complesso di istituti e di principi giuridici considerati comuni ai Romani e ai popoli con i quali erano in contatto. Si trattava di quei pochi istituti civilistici che potevano essere utilizzati anche dagli stranieri ad es. la stipulatio, la promessa verbale produttiva di obbligazioni, es. prometti di dare 100? Prometto- era un negozio di ius gentium.

Differentemente lo SPONSIO era riservato ai cittadini e così pure la TRADITIO con la quale si trasmetteva la detenzione di una cosa a un terzo che iniziava a possederla come propria era utilizzabile da cittadini e stranieri.La MANCIPATIO che trasferiva il DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM, solo dai Romani. Questi istituti, creati ad hoc per gli stranieri potevano essere usati anche dai Romani e tutelati davanti al pretore urbano. Si trattava di negozi non solenni e comunque più adatti agli scambi commerciali.

II - La giurisdizione del Praetor Peregrinus.

FIDES era una promessa fondata su un patto religioso che si esprimeva nella stretta della mano destra. Questo impegno costituiva la forma tipica per creare un legame reciproco di lealtà fra chi operava il beneficio e chi lo riceveva sottoponendosi all'autorità del primo. La FIDES fu quindi intesa genericamente come fedeltà agli impegni, o più prosaicamente come buona fede commerciale. Con lo stesso termine era indicato il rito ed il rapporto di potere che ne scaturiva e la virtù morale che ne era il presupposto morale e religioso. Si parlava perciò di fides anche per la relazione tra tutore e pupillo, tra debitore e creditore.

Si iniziò ad estendere alcuni negozi agli stranieri, poi si ammise la tutela di negozi estranei al diritto Romano, ma considerati vincolati agli usi commerciali, come i contratti consensuali: l'EMPTIO VENDITIO (ovvero la compravendita con efficacia obbligatoria), la locazione,la società, il mandato. Infine si combinarono più liberamente i principi dell'IUS CIVILE con quelli, fondamentalmente ellenistici, più noti sui mercati mediterranei. La tutela dell'affidamento fu il valore etico e giuridico che guidò il magistrato romano nel rendere giustizia, in ordine a rapporti litigiosi nei quali almeno una delle parti fosse uno straniero.

Nelle liti in cui una delle parti era straniera veniva insediato un collegio arbitrale di RECIPERATORES composto da persone di entrambe la comunità e presieduto da un cittadino di uno stato terzo. Il loro compito era di recuperare quanto dovuto a vantaggio degli aventi diritto.

Nel 3° secolo Roma potenza mondiale, indispensabilità di assicurare tutela agli stranieri, soprattutto per evitare rappresaglie ai commercianti romani all'estero, ma anche perché Roma ambiva a diventare una piazza commerciale di importanza mondiale: necessità di creare una mediazione permanente fra l'ordinamento arcaico romano e le tradizioni giuridiche straniere, e un magistrato che si occupasse non episodicamente del problema, per questo nel 242 venne istituito un secondo pretore che prese il nome di PRAETOR PEREGRINUS, mentre l'altro, per contrasto, venne definito PRAETOR URBANUS.

Il compito del nuovo magistrato era di dichiarare le regole di diritto per dirimere le controversie tra cittadini e stranieri ( IUS DICERE INTER CIVES ET PEREGRINOS) o tra stranieri in lite tra loro e Roma (INTER PEREGRINOS). Dalla giurisdizione del pretore peregrinus trasse origine un nuovo tipo di processo basato

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 63/164 $LOGOIMAGE sull'uso di FORMULAE proposte dal magistrato ed erano più adatte delle tradizionali legis actiones ad applicarsi agli stranieri. Il sistema formulare e l'editto vennero imitati anche dal praetor urbanus e dagli altri magistrati che esercitavano la funzione giurisdizionale, dalla prima metà del 2° secolo.

La LEX AEBUTIA riconobbe ai cittadini la possibilità di usufruire del nuovo processo anche per i rapporti regolati dallo ius civile.

Sicchè fino al 17 AC (anno in cui venne emanata la LEX IULIA IUDICIORUM PRIVATORUM che superava la procedura delle LEGIS ACTIONES) i due sistemi operarono parallelamente.

III - L'editto pretorio e la procedura formulare.

Il pretore determinava una regola di giudizio originale il IUDICIUM. Alla sua formulazione si perveniva con una discussione libera tra le parti ed il magistrato. Successivamente il IUDICIUM si basò su un formulario che il pretore pubblicava quando entrava in carica l'EDICTUM. Esso era un avviso con il quale un magistrato informava di fatti e decisioni riguardanti il suo ufficio. Anche le singole disposizioni contenute nel testo pubblicato erano definite EDICTUM. Il pretore, facendo uso di questa possibilità IUS EDICENDI enunciava una sorta di programma di amministrazione della giustizia, indicando quali rapporti previsti dall'ius civile sarebbero stati tutelati, secondo quali criteri e attraverso quali rimedi giurisdizionali.

L'editto aveva vigore tutto l'anno per questo si chiamava EDICTUM PERPETUM. Teoricamente l magistrato non era obbligato ad adeguarvisi ma di fatto lo faceva. La LEX CORNELIA DE EDICTIS stabilì l'obbligo per il magistrato di attenersi al proprio editto (67 AC). Egli poteva comunque rifiutare l'azione (DENEGARE) o introdurre nuovi sistemi di tutela con un EDICTUM REPENTINUM.

Concedere un ACTIO per la tutela di certi interessi voleva dire riconoscere dei diritti soggettivi e prescrivere degli obblighi. Le azioni, i mezzi processuali elaborati dal pretore peregrinus e lo stesso uso dell'editto furono usati anche da altre autorità giurisdizionali tipo il pretore urbano, edili curuli, i governatori provinciali.

Si crearono indirettamente a partire dalla promessa dei mezzi di tutela un ampio complesso di norme nuove, che avevano la propria fonte di produzione nell'attività giusdicente dei magistrati:l' IUS HONORARIUM.

Anche le ACTIONES si distinsero secondo che si fondassero su regole dell'uno o dell'altro ordinamento in: a) civiles; b) honoratiae

Ma anche quando le azioni erano fondate sull'ius civile e sulle modifiche in esso inserite dalle leges publicae, il pretore talora non esitava a superare le norme più antiche, inserendo nella formula un invito rivolto al giudice ad accogliere una finzione legale (FICTIO).

Le azioni si distinguevano, in base all'estensione della discrezionalità del giudice, inoltre in:

- ACTIONES STRICTI IURIS : condanna esattamente determinata ;

- ACTIONES BONAE FIDEI : rimettevano al giudice la valutazione del qualunque cosa si debba dare o

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- ACTIONES ARBITRARIAE : autorizzavano invece il giudice a concedere al convenuto di sfuggire alla condanna se avesse offerto la restitutio della situazione giuridica precedente.

IUS HONORARIUM. L'attività giurisdizionale dei magistrato perlopiù del pretore urbano, incise profondamente sul diritto privato: sulle successioni, i contratti, gli illeciti, i rapporti di proprietà, ecc. Viceversa, le sentenze dei giudici non bastavano a creare diritto, anche se di fatto l'EXEMPLUM di casi famosi doveva avere un forte valore persuasivo. Le norme che costituirono lo IUS HONORARIUM sono transitorie, destinate a scadere alla fine dell'anno di carica del magistrato, ma di fatto l'editto veniva riconfermato anno dopo anno con qualche modifica finchè si stabilizzò un EDICTUM TRALATICIUM (fisso ed inalterato). Le azioni onorarie che tutelavano preesistenti rapporti di ius civile erano dette actiones in ius; le altre giustificate di volta in volta al richiamo ad una situazione di fatto, degna di tutela erano dette actiones in factum.

Il processo tipico del diritto pretorio o più in generale onorario si svolgeva per formulas ovvero mediante formule previste dall'editto.

La fase APUD IUDICEM rimase inalterata, quella IN IURE fu modificata non erano piùnecessarie espressioni rituali, sfide al giuramento ecc.

Si litigava per CONCEPTA VERBA (con l'elaborazione di formule verbali). Le parti si esprimevano liberamente anche nella loro lingua ed il magistrato teneva tutto per iscritto. Scelta la formula si adottava al caso concreto (si sostituivano per esempio i nomi dell'attore e del convenuto a quelli convenzionali di Aulo Agerio e Numerio Negidio e si indicava l'oggetto reale della lite al posto dell'ipotesi edittale: si ricavavano così delle sintetiche istruzioni IUDICIUM cui il giudice privato avrebbe dovuto attenersi nell'emanare la sentenza). Vedi anche nota 11 pag.165.

Si potevano inserire varie clausole fra le quali la più importante era l'ECCEZIONE PROCESSUALE proposta dal convenuto.

La formula secondo GAIO era composta da più parti:

- INTENTIO: esprimeva la pretesa processuale dell'attore;

- eventualmente DEMONSTRATIO: si precisavano le circostanze di fatto;

- CONDEMNATIO: invito a condannare o assolvere sostituita poi dall'ADIUDICATIO;

Il magistrato rivolgendosi all'IUDEX PRIVATUS da lui nominato fissava il merito del processo ( THEMA DECIDENDUM), formulando due ipotesi alternative. Esponeva cioè i termini della controversia prima dal p.d.v. dell'attore poi da quelo del convenuto. Fissato il testo del IUDICIUM di comune accordo tra le parti ed il magistrato, l'attore lo leggeva al convenuto, il quale dichiarava il suo consenso (LITIS CONTESTATIO). Veniva poi fissata una udienza davanti al giudice privato che sentiva i testimoni, interrogava le parti, esaminava le prove. Il giudice doveva decidere esclusivamente in base agli allegati e alle prove offerti dalle parti (iuxta alligata et provata) e non acquisire altri elementi di conoscenza con proprie indagini. La sentenza del giudice era irrevocabile senza appello e la condanna non era IN IPSAM REM (nella cosa stessa) ma poteva comportare esclusivamente il pagamento di una somma di denaro, salvo che nei giudizi divisori.

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Il processo formulare non prevedeva il ricorso ad azioni esecutive. In caso di mancata esecuzione spontanea della sentenza l'attore poteva esperire una nuova azione per ottenere dal convenuto il doppio della somma precedente. In caso di ulteriore inadempimento si poteva ottenere l'ADDICTIO del convenuto saldare il debito con prestazioni lavorative.

I magistrati introdussero una serie di mezzi complementari al sistema formulare ovvero dei provvedimenti imposti alle parti per impedire un danno, per costringere all'adempimento o per altre finalità.

Questi mezzi coercitivi erano:

1) INTERDICTUM: ordinanza d'urgenza (poteva essere RESTITUTORIUM/EXHIBITORIUM/PROHIBITORIUM);

2) STIPULATIO PRAETORIA: garanzia a vantaggio di una parte;

3) RESTITUTIO IN INTEGRUM: invalidazione degli atti con ripristino della situazione precedente;

4) MISSIO IN POSSESSIONEM: autorizzazione ad immettersi nel possesso della cosa altrui;

5) BONORUM VENDITIO: un procedimento di esecuzione sul patrimonio del debitore irrimediabilmente insolvibile.

Le materie dell'editto erano distribuite con uno schema tipico con la distribuzione degli argomenti in 5 parti:

1) introduzione alle regole generali della IURISDICTIO;

2) azioni;

3) eredità pretoria;

4) esecuzione delle sentenze;

5) mezzi della procedura formulare.

I principi dell'ius civile più antico non potevano essere eliminati, ma gli editti ne limitavano di fatto l'applicazione con forme di tutela che non operavano ipso iure, bensì ope magistratus. Per quanto dessero vita a norme provvisorie, possono essere considerati tra le fonti principali del privato. Essi dettero vita a un nuovo ordinamento che si sovrappose a quello civile, senza tuttavia abolirlo, creando nuovi istituti e ampliando la tutela giurisdizionale anche agli stranieri e sotto certi aspetti persino agli schiavi.

IV - Gli altri editti.

Gli editti sono fra le fonti più importanti del diritto privato. Essi crearono un nuovo ordinamento, che si sovrappose a quello civile senza abolirlo. Gli editti limitavano i principi dello ius civile con forme di tutela che

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 66/164 $LOGOIMAGE operavano per intervento del magistrato. Pubblicavano editti il pretore urbano, il pretore peregrino, gli edili curuli e i governatori della provincia.

Gli edili curuli emanavano un proprio editto che scaturiva per lo più dalla prassi commerciale dei mercati (cura annonae).

1) EDICTUM DE MANCIPIIS VENDUNDIS era un editto emanato dagli edili curuli (riguardante la vendita degli schiavi). Il venditore non era obbligato a garantire il compratore contro i vizi occulti della merce. Poteva solo essere citato in caso di dolo. Tale editto invece prescrisse al venditore di indicare su un cartello le qualità positive e negative dello schiavo. Non era previsto il risarcimento per il compratore. Venne allora introdotta la RESTITUZIONE O REDHIBITIO. Il venditore era costretto a riprendersi lo schiavo difettoso e a restituire il denaro. Da qui derivò una ACTIO REDHIBITORIA esercitatile entro 2 mesi dalla scoperta del vizio alternativa ACTIO QUANTI MINORIS (6 mesi, ripetizione di parte del prezzo sulla base AESTIMATIO);

2) EDITTO PROVINCIALE: era emanato dal magistrato cui spettava il governo della provincia, in ordine alle liti tra cittadini o stranieri. Esso era ispirato al modello generale dell'editto del pretore urbano ponendo attenzione alle tradizioni giuridiche locali (es. bibbia, pasqua, ponzio pilato).

Aequitas e dignitas. Atene riconosce ed esalta la diversa dignità dei cittadini, tuttavia davanti alla legge tutti gli uomini sono eguali per quanto riguarda le liti private. Anche per Cicerone Roma riconosce il principio dell'eguaglianza giuridica ovvero eguali diritti per tutti senza mettere in discussione il principio della differente dignità dei cittadini. L'eguaglianza e la certezza del diritto erano due rivendicazioni fondamentali della plebe in lotta contro il patriziato. In base alla concezione timocratica dell'eguaglianza la città risultava divisa in gruppi sociali di diversa dignità. L'AEQUITAS si traduce in un generico principio di giustizia: la necessità di trattare in modo simile i casi simili, il rifiuto di ingiustificati privilegia, positivi o negativi, per singoli individui.

CAP. 11

IL PROCESSO CRIMININALE DELLE QUAESTIONES

I - Le quaestiones extraordinariae.

La repressione criminale fu per secoli legata alla coercitio esercitata dai magistrati dotati di imperium. Una delle conseguenze di tale discrezionalità della coercitivo magistratuale fu la riluttanza ad individuare una precisa gamma di crimini con pene prefissate. Un altro limite al processo criminale era dato dal suo carattere assembleare: diventava difficile sottrarre i giudizi penali alla influenza delle passioni politiche. Il Senato contribuì alla politicizzazione della giustizia penale, si arrogò in campo penale delle competenze, costituendo in corti di giustizia proprie commissioni (quaestiones ecxtraordinariae) presiedute da consoli o pretori , per crimini politici pericolosi per lo stato.

Dalla metà del 2° secolo AC nel processo criminale si affermò una nuova procedura fondata su tribunali permanenti: era una via di mezzo tra le repressione magistratuale e il processo comiziale. Non si agiva davanti ai comizi, ma il processo era ritenuto, lo stesso, un IUDICIUM PUBLICUM poiché l'accusatore si faceva portatore di interessi generali e la giuria era scelta dal magistrato e ratificata dal popolo. Il sistema nacque per

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 67/164 $LOGOIMAGE la necessità di reprimere le estorsioni e i furti e le violenze dei governatori delle provincie ai danni dei loro amministratori. Vennero create delle corti permanenti che avevano competenza sui crimini commessi in città. Esse erano le QUAESTIONES PERPETUAE. Ciascuna di essere era istituita da una legge che definiva la fattispecie da reprimere e predeterminava la pena da applicare. Davanti a tali corti si svolgeva un processo accusatorio che cioè iniziava ad avanzare per impulso delle parti. Ad ogni crimine corrispondeva un tribunale speciale fondato sul principio dell'accusa pubblica: qualunque cittadino poteva esperire una denuncia, prestando giuramento di non agire in malafede. La principale pena prevista era la morte commutata nel 1° secolo AC con l'esilio (interdicito aqua et igni).

II - La quaestio repetundarum.

CRIMEN REPETUNDARUM era l'illecito arricchimento del magistrato provinciale derivante da estorsioni e appropriazioni indebite ai danni dei sudditi. La LEX CALPURNIA DE REPETUNDIS (149) e la LEX ACILIA (122) sono le normative fondamentali per questa materia.

Il primo caso di istituzione di una commissione di inchiesta senatoria QUAESTIO è del 204. PLEMINIO (legato di Scipione l'Africano) aveva tollerato che la città di Locri fosse saccheggiata dai suoi uomini. Due ufficiali che si erano opposti con il sostegno di alcuni soldati erano stati frustati per ordine di Scipione. Una ambasceria di lo cresi aveva fatto appello al Senato che aveva incaricato dieci senatori, due tribuni e un edile plebeo di indagare sulla responsabilità di Scipione. La commissione perseguì Pleminio per , davanti ai comizi. Ai locresi era stato riconosciuto il diritto di chiedere la restituzione di quanto era stato loro sottratto, davanti ad un tribunale speciale (CONSILIUM) presieduto da un pretore.

Il primo vero processo DE PECUNIS REPETUNDIS si ebbe nel 171 su richiesta degli alleati ispani contro M. TITINIO protettore della Hispaania Citerior, ed altri governatori. Un pretore ebbe l'incarico di insediare un collegio di reciperatores e di nominare due patroni che avanzassero la richiesta per conto delle vittime e perorassero la loro causa (giudici e patroni dovevano essere tutti senatori). In caso di condanna gli accusati potevano essere incriminati davanti al tribunale comiziale rischiando la pena di morte. In ogni caso l'ordine senatorio non poteva e non voleva colpire i responsabili che venivano sempre prosciolti. Non esisteva in realtà una normativa volta alla repressione di quel complesso di illeciti (estorsioni, furto, riduzione arbitraria in schiavitù) compresi nel crimen repetundarum. Il governo delle provincie era considerato un'affare!

La LEX CALPURNIA in realtà un plebiscito, consentì ai peregrini vittime di concussione di ricorrere alla LEGIS ACTIO SACRAMENTI ovviamente davanti al praetor peregrinus. Perché solo i cittadini Romani potevano usare le legis actiones, i provinciali facevano ricorso alle interposte persone di patroni Romani, designati dal magistrato. Nella fase APUD IUDICEM interveniva un collegio di 3 (poi 5) reciperatores scelti in albo giudici di condizione senatoria. Dopo l'eventuale condanna essi procedevano alla stima del pregiudizio subito dai provinciali. Si trattava di un processo civile volto al risarcimento pecuniario.

La LEX ACILIA costituì una svolta istituendo un vero e proprio tribunale permanente (QUAESTIO PERPETUA) volta ad ottenere la condanna penale del magistrato concussionario. Essa intervenne dopo la LEX SEMPRONIA IUDICIARIA che riordinò il sistema giudiziario consegnandolo nelle mani degli equites. I reciperatores vennero sostituiti da un ampio collegio,tratto da una lista di 450 cavalieri dai 30 ai 60 anni domiciliati a Roma, incensurati. Ne rimanevano esclusi i senatori, i loro figli, i parenti. Dalla lista l'accusatore sceglieva 100 nomi dei quali l'accusato ne escludeva la metà. I 50 scelti (con i quali non esistevano rapporti di incompatibilità) prestavano giuramento di imparzialità e con procedimento analogo sceglievano i patrocinatori della causa dei provinciali. I provinciali erano legittimati a presentare denuncia al presidente della giuria in nome proprio, anzi erano incoraggiati a sporgere denuncia poiché coloro che avessero ottenuto la condanna

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 68/164 $LOGOIMAGE dal magistrato, avrebbero ottenuto la cittadinanza, l'immunità fiscale e l'esenzione militare. Il processo era diretto da un PRAETOR DE REPETUNDIS; egli ricevuta la denuncia poteva dichiararla procedibile o rigettarla. Poi si procedeva alla formale accusatio e iscriveva l'accusato in un apposito ruolo. Il dibattimento prevedeva l'intervento di patrocinatori degli accusatori e consentiva il ricorso a degli advocati da parte dell'accusato. Venivano prodotti documenti, prove, ecc. Finita la discussione il pretore proponeva ai giurati il quesito se l'accusato doveva essere punito oppure no, a cui rispondevano con voto segreto (A: absolvo; C: condemno). Nel caso di almeno 1/3 della giuria si dichiarasse incerta (NON LIQUET) , si procedeva ad una nuova udienza (AMPLIATIO). Per impedire manovre dilatorie la LEX SERVILIA GLAUCIAE del 111 sostituì al sistema dell'ampliatio, la COMPERENDINATIO: il dibattimento venne diviso in due udienze: ACTIO PRIMA e ACTIO SECUNDA con un giorno di intervallo. Il pretore non partecipava alla votazione. La condanna era nel duplum del pregiudizio arrecato, quindi si apriva un procedimento accessorio per determinare la somma che il magistrato doveva rimborsare ai provinciali (casi particolari di gravità rimessi al giudizio popolare: anche pena di morte o infamia). Nel 70 LEX AURELIA COTTAE stabilì che la lista dei giudici dovesse essere composta da senatori, cavalieri e tribuni aerarii (plebei più agiati della seconda classe cui veniva affidata l'esazione del tributo) in parti uguali. La LEX IULIA del 44 estromise infine i tribuni aerarii.

III - Le altre quaestiones perpetuae.

Le fonti riportano l'esistenza di una QUAESTIO DE AMBITU essa si occupava della repressione della corruzione e brogli durante le campagne elettorali. Probabilmente non si trattava di un tribunale permanente.

QUAESTIO PER LA REPRESSIONE DEL CRIMEN MAIESTATIS dove maiestas è da intendersi come un abuso di poteri da parte dei magistrati di tale gravità da configurare un pericolo per lo Stato. Fu voluta dai democratici ma si risolse a vantaggio del Senato.

Nell'età del Principato il CRIMEN MAIESTATIS venne esteso nelle ipotesi di ingiuria all'imperatore o ai membri della sua famiglia.

QUAESTIO PER LA REPRESSIONE DEL CRIMEN PECULATUS il quale crimen era la sottrazione di denaro pubblico o destinato a finalità religiose, da parte di un magistrato o di un privato. Rientravano nel PECULATUS anche l'alterazione delle monete e la falsificazione di atti governativi affissi in un luogo pubblico.

QUAESTIO PER OMICIDIO. L'omicidio venne spesso represso da quaestiones straordinarie ma mancò probabilmente un tribunale permanente fino alla istituzione di una corte dei sicari ed avvelenatori. Essa era incaricata della repressione, dell'omicidio volontario a mano armata o con uso di veleno, del tentato omicidio, dell'incendio doloso di cose, del porto d'armi finalizzato all'omicidio o al furto. La pena prevista era la morte. Rientrò nella competenza della corte anche il PARRICIDUM (l'uccisione di congiunti prossimi).

QUAESTIO PER LA REPRESSIONE DEL PLAGIO. Fu istituita nel 1° secolo AC per reprimere il PLAGIUM, cioè la riduzione in schiavitù di fatto, del cittadino libero. La pena prevista era una multa.

LEX CORNELIA DE FALSIS punì con la pena capitale varie ipotesi di falso materiale: la falsificazione o la distruzione dolosa di testamenti, il falso monetale, la falsificazione di sigilli ed altre ipotesi consimili.

QUAESTIO PER REPRIMERE LE SEDIZIONI puniva con la pena capitale le sedizioni. Fu introdotta dalla LEX PLAUTIA. Anche la violenza privata era punita come crimine anche se vengono adottate pene più leggere.

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I tribunali permanenti furono oggetto di un'accesa disputa tra Senato ed equites, passando nelle mani dell'uno e dell'altro ordine. Silla, nell'ambito della restaurazione filo-senatoria li restituì alla nobilitas. Le corti erano presiedute da un pretore o da un IUDEX che precedentemente aveva rivestito la carica di edile.

CAP. 12

LA GIURISPRUDENZA LAICA DELL'ETA' REPUBBLICANA (NB)

I - Il processo di laicizzazione.

Sviluppo storico del diritto in particolare giurisprudenziale: all'inizio il popolo sarebbe stato governato dal re senza norme certe.

Un primo tentativo di dare certezze al diritto sarebbe stato fatto mediante le LEGES REGIAE presentate dal re ai comizi curiati e raccolte da SESTO PAPIRIO ( IUS PARIRIANUM).

Dopo la fondazione della Repubblica, abrogate le leggi regie, il popolo si era retto solo sul diritto consuetudinario.

Un momento di svolta fu individuato da POMPONIO nelle leggi delle 12 tavole: la loro pubblicazione rappresenta la premessa del processo di laicizzazione. Delle 12 tavole cominciò a svilupparsi lo ius civile e da esso sorse il sistema delle azioni. Primi giuristi furono i pontefici, che crearono con le loro discussioni un diritto non scritto. Fra di loro veniva designato un incaricato di consigliare i privati. Ciò andò avanti per circa un secolo (giurisprudenza pontificale).

Alla fine del 4° secolo mosse i suoi primi passi una scienza giuridica laica accanto alla giurisprudenza pontificale. La laicizzazione andò di pari passo con la divulgazione dei risultati della sapienza giuridica mediante due strumenti fondamentali: i responsi pubblici e la letteratura. Il primo trattato di diritto veniva probabilmente a torto attribuito ad APPIO CLAUDIO CIECO (CENSORE vedi monografia su tutela dei diritti reali DE USURPATIONIBUS). Prima rottura del carattere sacerdotale della giurisprudenza pontificale e quindi patrizia fu per opera di un pontefice di bassa estrazione sociale (plebea) TIBERIO CORUNCANIO: per primo 254 dette responsi alla presenza del pubblico, questi di solito erano dati riservatamente annotati nei commentari dei pontefici perché servissero per un uso interno al collegio ma non erano pubblicati. Si usava una sorta di stenografia (NOTAE IURIS) per rendere, ancora più distante dai laici il sapere giuridico. La presenza del pubblico rese possibile commentare e annotare i casi, studiarne la logica, apprendere l'arte del diritto. Si potè costruire un ristretto gruppo di laici esperti di diritto (iurisprudentes).

La prima importante figura di giurista laico è SESTO ELIO PETO CATO censore autore di un commentario delle 12 tavole (TRIPERTITA) ed era la prima opera che fosse andata al di là della semplice pubblicazione di formulari. Fu il primo giurista ad affrontare il problema del rapporto col pensiero filosofico di derivazione greca, in termini peraltro negativi, dal momento che sosteneva che la giurisprudenza dovesse essere un sapere esclusivamente pratico.

Alla metà del secondo secolo AC la giurisprudenza sembra fortemente caratterizzata dalla influenza di tre personalità di consoli: MANILIO, BRUTO e SCEVOLA.

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I tre compaiono nel De finibus di Cicerone impegnati in un dibattito sul partus ancillare.

MANILIO era uno dei pochi giurista di famiglia estranea alla nobilitas. E'noto per aver pubblicato una raccolta di formulari negoziali e processuali detta ACTIONES.

BRUTO compose 3 libri di responsa articolati sottoforma di dialogo didattico con il figlio (genere letterario non più usato).

SCEVOLA è capostipite di una dinastia di giuristi e alleato di Tiberio Cracco.

II - Le attività dei giuristi laici.

La giurisprudenza era un'ARS (insieme di scienza e tecnica) per questo il giurista era considerato come studioso e pratico del diritto.

I compiti (MUNERA) del giurista e della giurisprudenza si riassumono in 3 verbi:

RESPONDERE (ovvero dare responsi);

CAVERE (curare gli interessi);

AGERE (agire in giudizio).

Il giurista dava pareri sull'interpretazione delle norme e su come applicarle ai casi concreti (es. contratto o testamento). Il giurista era inoltre chiamato a far parte del consilium privato dei magistrati giusdicenti che non sempre erano esperti di diritto (sistema editale profondamente influenzato dall'opinione dei giuristi).

La GIURISPRUDENZA CAUTELARE consisteva nella predisposizione di schemi negoziali atti a realizzare gli interessi del cliente. Il giurista era chiamato a far parte del consilium privato dei magistrati giusdicenti. Gli editti erano influenzati dell'opinione dei giuristi. Il sistema edittale era influenzato dalla opinione dei giuristi ed essi si ponevano come consiglieri e critici qualificati. Il responso veniva reso in casa del giurista. Era orale, ma, ma spesso era trascritto su tavolette di cera perché il cliente potesse esibirle in giudizio e non aveva bisogno di essere motivato infatti anche i pontefici non spiegavano i motivi delle loro interpretazioni. Ideale del perfetto cittadino: il giurista era aristocratico, un uomo politico e soldato. Egli non concepiva la sua attività come un lavoro a scopo di lucro, bensì come un beneficio, gratuitamente, reso ai cittadini. La sua ricompensa era la popolarità. Non esisteva una scuola di diritto in quanto la professionalità veniva acquisita affiancandosi ad un altro giurista. Non esisteva nemmeno un sistema di selezione dei giuristi che non fosse lo spontaneo riconoscimento dell'opinione pubblica. Una caratteristica essenziale della giurisprudenza laica era una accentuata creatività. La nobilitas non era meno diffidente dell'antico patriziato nei confronti della legislazione comiziale e plebea. Era consapevole di aver inventato una nuova scienza, sconosciuta persino ai Greci, e intendeva servirsene per perpetuare la propria egemonia sociale. La giurisprudenza era quindi, sia dal punto di vista sociologico che ideologico, una professione aristocratica. Altra importante caratteristica consiste nella netta propensione casistica:i giuristi si applicano a risolvere i singoli casi e controversie, evitando la formulazione di teorie generali o di soluzioni definitive.

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III - La giurisprudenza della tarda Repubblica.

Questa giurisprudenza comincia a porsi il problema del metodo.

SCEVOLA (console) fu il primo ad aver applicato allo Studio del diritto il METODO DIALETTICO. La sua opera fondamentale furono i 18 libri IURIS CIVILIS un modello per tutta la giurisprudenza tardo Repubblicana e classica.

Nel 1° secolo AC si manifestarono 2 segnali di crisi della giurisprudenza come professione aristocratica:

1) si ha la comparsa di giuristi di estrazione equestre o di rango inferiore che venivano pagati;

2) un progressivo distacco dei prudentes dall'impegno nella magistratura.

AQUILINO GALLO: actio de dolo e stipulatio Aquiliana.

Il più importante giurista della 1^ metà del secolo è SERVIO SULPICIO RUFO (vedi Silla: pretore peregrino e poi console) che scrisse un commentario ai libri iuris civilis improntato ad una parta polemica nei confronti di Scevola (notata MUCII). Cicerone invece lodò l'uso consapevole del metodo dialettico taluno ha visto nella giurisprudenza tardo-Repubblicana il formarsi di due correnti: la scuola degli allievi di Mucio Scevola e gli auditores Servii.

IV - I generi letterari.

I giuristi non fecero nulla per raccogliere e commentare le leggi in vigore. Essendo il successo dei giuristi legato alla pubblicazione dei risultati del proprio lavoro, essi furono indotti a scrivere opere di vario tipo, tra i generi letterari più diffusi nella giurisprudenza laica vi furono: RESPONSA, COMMENTI E DIGESTA. Tutte queste opere vennero scritte con lo scopo di consolidare le proprie innovazioni, formare i discepoli, dialogare con i colleghi.

RESPONSA/QUAESTIONES sono raccolte di responsa unite a casi ipotetici proposti senza un ordine sistematico per motivi di studio. Erano opere generalmente pubblicate a cura degli auditores o dai familiari di un giurista scomparso. Si trattava di sintesi della richiesta del cliente, della sua descrizione dei fatti e del responso del giurista. Venivano eliminati i riferimenti troppo concreti al caso (come il nome es.). Le raccolte (responsa) seguivano un ordine cronologico.

COMMENTI: Sono commenti alle 12 tavole le raccolte di formulari negoziali o giudiziari; i manuali di diritto civile condotti sulla falsariga dei commentari di QUINTO MUCIO seguendo uno schema fisso di argomenti: successioni, rapporti familiari, rapporti reali, obbligazioni.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 72/164 $LOGOIMAGE DIGESTA (digerere:comporre un ordine) genere letterario introdotto dalla scuola di Servio. Sono un'antologia di brani accorpati per argomenti secondo un ordine approssimativamente corrispondente a quello edittale. I digesta, i commentatori dell'editto e le opere di commento in genere rendevano conto estesamente delle motivazioni dei responsi e dei pareri degli altri giuristi. Quindi le regole proposte venivano argomentate e difese mostrando il procedimento logico che aveva portato alla soluzione. Con il tempo il successo incontrastato di certe soluzioni tipiche dava vita a vere e proprie norme, spesso enunciabili in modo sintetico e astratto sottoforma di regular ovvero di linee di riferimento alla maniera dei pontefici.

V - I metodi dei giuristi.

Dal II sec. AC al I sec. DC la cultura ellenistica fu interessata da una serie di 'rivoluzioni scientifiche': si passò da un sistema pre-scientifico ad un sistema razionale di conoscenze. Lavoro sul logos per raggiungere la verità (SOCRATE) di ogni cosa va cioè chiarita l'essenza che la caratterizza, indipendentemente dalle forme accidentali in ci si presenta. Si privilegia la ricerca di definizioni e la fissazione di principi generali da cui dedurre la realtà in tutti i suoi aspetti (METODO ASSIOMATICO-DEDUTTIVO).

Nel 2° sec. AC la giurisprudenza cominciò ad aspirare ad uno statuto di scienza che spinse ad introdurre nuovi metodi di studio e di esposizione della materia giuridica.

Di norma i giuristi Romani adottavano un metodo di ragionamento casistico ovvero pensavano per problemi concreti prospettati dai clienti.Essi avevano un'idea strettamente pragmatica della loro funzione.

Il giurista moderno dei paesi del civil law tende al ragionamento dogmatico per teorie generali e definizioni astratte perché una fonte esterna a lui, la legge ha predisposto un sistema razionale di regole, che egli deve accettare.

I giuristi romani in realtà innovano con una notevole libertà creando anche nuovi istituti o utilizzando quelli antichi per fini diversi. Il più importante criterio di interpretazione su cui era fondata la giurisprudenza come fonte del diritto era quindi l'ANALOGIA che consentiva di risolvere nuovi casi applicando la ratio dei precedenti.

QUINTO MUCIO sembra avere formalizzato l'uso di un procedimento di astrazione giuridica:Cliente...>CASUS....giurista.....>QUAESTIO.....costruzione logica....esprimeva il RESPONSUM partendo da un criterio di valutazione non necessariamente esplicito RATIO DECIDENDI... se il caso non fosse rientrato in alcuna fattispecie nota, il giurista si sarebbe provato a risolverlo facendo ricorso a situazioni-tipo analoghe, o rovesciando la soluzione di un caso di opposta ratio.

Vedi REGULAE IURIS.

Nei giuristi dell'inizio della Repubblica mancava il concetto di sistema nel senso di un ordine sviluppato sulla base di principi razionali, per cui il giurista era diviso tra l'attaccamento alla tradizione e la necessità di offrire interpretazioni evolutive adatte ai tempi. Il suo compito era di prospettare una opinione verosimile ed utile senza pretendere di enunciare verità assolute. METODO DIALETTICO sino alla fine del 2° secolo i responsa erano stati raccolti senza un criterio razionale finchè Scevola trattò il diritto civile applicando per primo la classificazione per genera et species cioè il metodo dialettico. La dialettica per Socrate era la ricerca della verità che nasceva dal confronto tra due interlocutori per Platone era una forma di pensiero che definiva un concetto dividendolo poi nelle sue articolazioni o al contrario sintetizzandolo in categorie più ampie. Uno strumento tipico della logica dialettica è la tecnica divisoria raffinata e divulgata dai filosofi: DIAIRETICA. La

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 73/164 $LOGOIMAGE definizione per divisione era stata poi utilizzata in campi diversi es. la zoologia, la grammatica, la geometria. Nel DE ORATORE Cicerone afferma che la dialettica consente l'esposizione scientifica di una materia a partire dalla individuazione di pochissime classi generiche di concetti da dividere poi in parti.

Anche i giuristi Romani del 1° secolo cominciarono ad esporre la loro materia non più secondo un ordine tradizionale ma mediante un percorso dialettico che consentiva di portare alla luce problemi non immediatamente evidenti. Partendo dal concetto generico uomo gli uomini si dividono in liberi e schiavi successivamente può essere fatta una ulteriore distinzione: i liberi si dividono in ingenui e liberti, ecc.

Vedi: DIFFERENTIAE/DEFINIENDUM/PARTITIO/PROPRIUM/DESCRIPTIO

METODO ANALOGICO.

In età Repubblicana il più importante criterio di interpretazione, la base su cui si fondava la giurisprudenza come fonte del diritto era l'ANALOGIA che consentiva di risolvere nuovi casi applicando la ratio dei precedenti. Si ritiene che la scentia del diritto potesse fondarsi su un sistema (ars) in grado di portarla al di là del semplice uso dell'analogia. Il diritto era una semplice tecnica empirica, una ARS i contenuti ed i metodi della ricerca filosofica. Individuati i concetti fondamentali del diritto civile occorreva sottoporli ad una divisione in species, stabilire analogie e differenze ed infine ricavarne le definizioni. Partendo dai principi su cui erano fondati i genera si sarebbe riuscito a comprendere i casi individuali. A dispetto degli oratori in orientamento prevalentemente induttivo, si dimostrava utile nella logica del sistema giurisprudenziale. Ogni giurista conoscenza il diritto e lo creava. Il ragionamento doveva essere induttivo, risalendo dal caso particolare a una regola generale, proposta da precedenti giuristi elaborate ex novo. L'ordinamento non veniva concepito come un complesso di norme da scindere in classi fino ad ottenere il singolo precetto. Prima delle istituzioni di Gaio non ci sono prove di applicazione così estesa e riuscita del metodo dialettico,nemmeno nella letteratura elementare. Le definizioni e le massime erano strumenti necessari ma da usare come ipotesi di lavoro da verificare caso per caso. Il giurista tardo Repubblicano e classico non si limitò a suffragare i responsi con la propria auctoritas che era una autorevolezza tutta laica. La scelta di Quinto Mucio di esporre il diritto civile con una articolazione di generi e specie e di fare ricorso alle definizioni portò alla razionalizzazione del pensiero giuridico.

Egli formalizzò l'uso di un procedimento di astrazione, diceva che il cliente esponeva minuziosamente i fatti, poi il giurista li sintetizzava escludendo gli elementi superflui, egli cercava di ricondurre gli avvenimenti reali ad una situazione tipica, che si sarebbe potuta verificare più volte per un gran numero di soggetti. Dunque egli esprimeva il RESPONSUM partendo da un criterio di valutazione non necessariamente esplicito. Se il caso non rientrava in alcuna fattispecie nota i giuristi avrebbero provato a risolvere il caso facendo ricorso a situazioni analoghe e rovesciando la soluzione di un caso di opposta ratio.

METODO EQUITATIVO Servio Sulpicio Rufo usò evidenziare tutte le possibili varianti della fattispecie. Il ragionamento tipico del giurista procedeva distinguendo ipotesi specifiche ciascuna con una propria soluzione. Un ulteriore atteggiamento metodologico fu la valutazione equitativa cioè la ricerca di una giustizia del caso concreto capace di correggere lo ius civile.

Per AEQUITAS si intese il principio di uguaglianza il quale esigeva che ciascuno ottenesse il suo sulla base delle medesime regole. Il diritto civile è l'equità posta in essere per coloro che appartengono alla stessa comunità politica affinché ciascuno ottenga il suo. Per realizzare l'aequitas rifuggire da una applicazione troppo rigida del diritto civile che lo avrebbe messo in contrasto con interessi e valori morali diffusi. Il diritto doveva essere una tecnica socialmente utile improntata alla ragionevolezza e al sentimento di giustizia del VIR BONUS delle classi colte.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 74/164 $LOGOIMAGE VI - Avvocati e giuristi. (rivedere)

Come la professione di giurista anche quella di avvocato (ORATOR) era in linea di principio un'attività gratuita, motivata dal desiderio di giovare alla città, alla famiglia e alla cerchia di amici.

L'AVVOCATO O ORATOR (domanda) svolgeva gratuitamente la sua attività. Una LEX CIUCIA del 203 stabiliva che tale attività dovesse essere resa senza chiedere in cambio denaro o doni. Di fatto questi professionisti lavoravano per denaro fino a farne una professione assai ben retribuita. L'avvocato era un esperto della tecnica oratorio e non necessariamente un esperto di diritto. Il rapporto dei giuristi con gli avvocati rimase quello dei maestri nei confronti degli allievi, viceversa gli oratori avevano una preparazione retorica-filosofica indubbiamente superiore. Nella tarda Repubblica il conflitto separazione fra oratoria giudiziaria e la giurisprudenza si opponeva da molti la richiesta di integrare i due saperi. Vige una distinzione una distinzione di ruoli e di compiti che accentuarono la divaricazione.

CAP. 13

GENESI DEL PRINCIPATO

I - La leadership carismatica e i poteri del 27.

Nel 31 AC scomparve il progetto di dar vita ad una monarchia di stampo ellenistico. Si aprì con sostegno di cavalieri e di senatori una nuova forma di comunità politica incentrata sull'auctoritas di Ottaviano. Ottaviano, dopo la battaglia di Azio fece chiudere il tempio di Giano segnando simbolicamente l'inizio di un'era di ordine dentro e fuori i confini, più tardi definita PAX AUGUSTA. Ricevette la nomina di console. Roma aveva già conosciuto vari regimi personali Cesare e Antonio i quali avevano instaurato vere e proprie monarchie militari, Ottaviano si proclamò iniziatore di un nuovo ordinamento che, in parte continuava ma superava la respublica e i suoi organi. Egli si guardò bene dal distruggere il Senato perché necessitava di una legittimazione. Il nuovo regime venne creato con cautela con una complessa fase di transizione.

Molte sono le date proponibili per l'inizio dell'Impero 31,27, 23 l'ascesa del potere di Tiberio o di Vespasiano.

La data più significativa è il 27 per il riconoscimento ufficiale della preminente auctoritas di Ottaviano.

AUCTORITAS: il potere attribuito ad un soggetto di approvare ed integrare la volontà di un altro considerato libero ma bisognoso di assistenza. Ottaviano si servì del potere civile che il senato gli poteva conferire in maniera legittima. All'inizio l'AUCTORITAS PRINCIPES fu intesa come la privata autorevolezza del cittadino più potente per prestigio militare, ricchezza legami clientelari.

Fino al 27 fu considerata una qualità personale tradotta come carisma del Capo. Ad Augusto fu conferito dal Senato un complesso di poteri tali da consegnare lo Stato nelle sue mani ed inaugurò la leadership

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 75/164 $LOGOIMAGE carismatica. Senato e popolo, titolari della sovranità manifestarono la volontà di sottoporsi all'auctoritas del capo e di legittimare il dominio. La sopravvivenza del popolo come soggetto di diritto, la dignità dei ceti aristocratici e la tutela della proprietà privata dovevano essere alla base di ogni possibile patto costituente. La parola regnum era sinonimo di tirannide e a Roma era ripugnata l'idea di una monarchia orientale dove lo stato si identificava con il sovrano divinizzato pertanto quando si faceva riferimento al potere supremo a carattere monarchico il riferimento era proiettato ai poteri conferiti dagli organi Repubblicani. Si fece ricorso ad un termine di auctoritas più rassicurante: il consenso delle forze decisive della società diveniva la base di una legittima pretesa al comando. Sembrò una costruzione teorica adatta per introdurre una monarchia non ereditaria.

Per arrivare all'auctoritas vi furono 2 passi fondamentali:

1) Ottaviano rinunciò ai poteri eccezionali;

2) Proclamò la restaurazione della Repubblica.

Si trattò di uno scambio politico , esercitando di fatto un potere costituente il Principe ridette legittimazione all'assemblea dei PATRES per esserne a suo volta legittimato. Gli venne poi attribuito il titolo di . Da quel momento il potere di Ottaviano fu fondato su una duplice giustificazione ideologica pseudoRepubblicana e personale. Si creò una immagine di legittimità Repubblicana facendo leva sull'imperium.

Con Ottaviano tornava il rispetto della legge presupposto della libertà. Ottaviano prometteva una libertà intesa come fine della violenza, tutela della proprietà privata, salvaguardia dei privilegi dell'aristocrazia fondiaria, ecc. Era un nuovo principio di legalità fondato sulla promessa che l'unico modo per controllare l'esercito e salvare l'Impero era di consegnare il potere ad un uomo solo garante degli interessi dominanti. Ciò che distingueva Ottaviano era la potestà di agire al di fuori dell'ordinamento. La facoltà di decidere sullo Stato no svincolava il Principe dal dovere di obbedire alle leggi ma rendeva la sua volontà fonte esclusiva dell'ordinamento. Il Principe di prassi avrebbe esercitato il potere in forma legali ma in casi di emergenza quando le basi della sua autorità erano messe in discussione il Principe prendeva decisioni eccedenti i limiti dell'ordinamento. Questo spiega perché perché la facoltà di decidere non svincola il Principe dall'obbedienza alle leggi e che nemmeno la sua volontà e fonte esclusiva dell'ordinamento. Non ci fu elezione del Principe ma il riconoscimento della preminenza etico-politica di Ottaviano sulla collettività e sul senato. Auctoritas del Principe è uguale controllo politico dello Stato potere autocratico. Potestà assoluta.

II - La titolatura e il culto imperiale.

Ottaviano per consolidare il suo potere fece leva su varie forme propaganda rivolte ai vari ceti sociali. Egli fu definito PRINCEPS titolo non ufficiale che alludeva alla posizione di primo cittadino e detentore della suprema auctoritas.

IMPERATOR che significa comandante vittorioso (trionfo dopo le guerre civili) venne trasformato in PRENOME IMPERATOR CESARE OTTAVIANO. E' il primo riconoscimento da parte del Senato del potere supremo sui cittadini provinciali fondato sul comando dell'esercito.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 76/164 $LOGOIMAGE AUGUSTUS appellativo conferitogli sempre dal senato esprimeva il riconoscimento ufficiale dell'auctoritas.

PATER PATRIAE titolo onorifico che ribadiva la sua posizione di garante dell'ordine morale e materiale e di capo dello Stato.

PONTEFIX MAXIMUS uno strumento propagandistico molto efficace fu l'esibizione di PIETAS RELIGIOSA verso Marte, Venere, Apollo cui egli attribuì al favore di quest'ultimo la vittoria di Azio. Egli stesso fu poi riconosciuto dal Senato figlio di un divus = divinità e discendente di Venere. Augusto e i suoi successori erano discendenti di divinità e ciascuno ereditava dai predecessori una autorità che uomo o istituzione potevano sperare di competere. Ottaviano come successore di Cesare inaugurò il tempio di Cesare nel foro ed autorizzò esercito e provinciali a dedicargli dei templi associando il suo culto a quello della dea Roma. Il culto divenne mezzo di propaganda che si diffuse nella città. Di frequente un imperatore predeva a modello un Dio e Apollo si prestò a fare propaganda per Augusto. Altra divinità più conforme al modello di una regalità universale e teocratica fu il SOLE.

III - I poteri del 23.

Il Principe in questa data (23) rinunciò al consolato. Il ruolo dell'imperium consolare venne assicurato da una combinazione di 2 nuovi poteri a carattere permanente il più importante fu l'IMPERIUM PROCONSULARE MAIUS ET INFINITUM (potere proconsolare preminente e illimitato) conferito dai comizi centuriati che richiamava quello che i proconsoli avevano sulle provincie e si ispirava al potere straordinario conferito a Pompeo. Era vitalizio esteso a tutte le provincie e a Roma era un potere superiore a quello di qualunque magistrato. Consegnava nelle mani di ottaviano il comando dell'esercito ed il governo di tutto il territorio dell'Impero. Gli conferiva anche altri poteri quali emanare ordinanze, controllare la politica estera, concedere la cittadinanza, distribuire l'ager publicus. Il secondo potere è la TRIBUNICIA POTESTAS (domanda) che è conferita dal concilio della plebe. Si trattava di una potestà a carattere negativo che comportava l'inviolabilità ed il diritto di veto nei confronti delle decisioni dei magistrati. Conferiva la facoltà di convocare le assemblee popolari ed il senato.

L'imperatore neo eletto aveva poteri e privilegi:

1) esenzione dall'osservanza di alcune leggi e plebisciti;

2) diritto di concludere trattati internazionali;

3) diritto di raccomandare candidati alle magistrature;

4) diritto di convocare e presiedere il senato;

5) potere discrezionale su questioni religiose-umane pubbliche e private, nell'interesse dello Stato.

III - La successione. Le "dinastie".

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Il consenso del Senato e del popolo aveva creato qualcosa di più di una "dittatura di emergenza". Ciò che poteva ancora apparire nel 27 come una delega personale e provvisoria, alla prova dei fatti - la successione di Tiberio nel 14 AC - risultò la definitiva cessione del potere supremo. Rimaneva al Senato la possibilità di designare il candidato Principe, cui subito dopo il popolo conferiva una sorte di investitura.

Poche furono le DINASTIE caratterizzate dal passaggio ordinato da un imperatore al suo successore, designato nell'ambito della stessa famiglia:

GIULIO-CLAUDI ..... 69

FLAVI 69-96

ANTONINI

SEVERI 193 -235

La SUCCESSIONE al trono non poteva essere puramente ereditaria. L'imperium del Principe ritornava al Senato alla sua morte. Poche furono le dinastie caratterizzate dal passaggio ordinato da un imperatore al successore designato nell'ambito della stessa famiglia (ciò avrebbe innescato guerre civili) inoltre una successione imperiale ereditaria si sarebbe potuta fondare in un solo caso con la legittimazione divina. Il Senato vagliati i pretendenti era costretto a proclamare l'imperatore più forte e di rado riuscì ad imporre i propri candidati. L'intervento del popolo era simbolico. O il pretendente seguiva la prassi in un primo tempo restio e recalcitrante ad accettare la candidatura per mostrare di non essere autore di colpo di stato e di essere umile e di mostrare autorità. L'imperatore (neo) rivolgeva al Senato un discorso ed in seguito l'assemblea dei senatori gli riconosceva l'imperium. Il giorno della votazione era considerato l'inizio ufficiale del regno. Poi il popolo convertiva il senatoconsulto in una lex de imperio. Minore importanza avevano il conferimento della tribunizia potestas e del pontificato massimo. Le formalità erano precedute o seguite dall'acclamazione (SALUTATIO) delle truppe.

Ogni anno la potestà tribunizia veniva riconfermata sicchè si usò numerare su questa base gli anni di carica del Principe. Poteva essere titolare dell'auctoritas solo colui che già controllava il potere di fatto.

In molti casi la successione avvenne in maniera tumultuosa ed extra legale. Era impossibile revocare l'imperatore del potere senza far uso della forza. In alcuni casi la ribellione era legittimata dal senato. Per caso o per scelta raramente ad un imperatore successe il discendente diretto. Vedi anche matrimoni (Ottaviano con Livia aveva consolidato l'alleanza tra due grandi potentati: gens Iulia e la Claudia). L'adozione e l'associazione al potere (coreggenza) furono i mezzi fondamentali per pilotare la successione all'interno della gens Iulia vera casa regnante. Precostituire la scelta dal successore fu un aspetto importante di una specifica virtù imperiale: La PROVVIDENTIA: la sollecitudine e l'effettiva capacità di provvedere all'interesse pubblico per questo si presentava il successore alla opinione pubblica con dispendio di mezzi propagandistici. Spesso la designazione non portava ala elezione per cui era necessario far assumere al futuro successore ampi poteri. Un elemento di fatto determinante era il patrimonio privato della famiglia imperiale ereditato dal successore. Il meccanismo si inceppò la prima volta con la morte di Caligola che sembrò riportasse la restaurazione Repubblicana, ma le truppe pretoriane con le armi imposero Claudio come neo imperatore. Emerse un punto ambiguo della costruzione agustea allora i militari erano determinanti nella combinazione di forze sociali dal cui consenso derivava l'auctoritas anche se formalmente l'elezione dell'imperatore spettava al popolo e al Senato. La tentazione di una monarchia militare dove il Principe fosse designato dall'esercito si scontrò più volte con la resistenza dei settori tradizionali del Senato. Con l'elezione di Nerone si consolidò il carattere giuridico dell'acclamazione da parte delle truppe pretoriane. Con la sua morte nel 68 DC ci fu una crisi (vedi

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Destituito Nerone le forze sociali decisive: militari, Senato e plebe romana elessero Galba ma proprio nel 69 drammatico "anno dei 4 imperatori" (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano) fu evidente che veniva eletto Principe restando sul trono e in vita chi aveva l'appoggio dell'esercito.

La data ufficiale d'inizio del potere del Principe DIES IMPERII da allora oscillò tra quella dell'acclamazione militare e quella del senatoconsulto sull'imperium.

Per i FLAVI la nuova dinastia di origine militare e plebea che fu al potere dal 69 al 96 fu necessario proporre una nuova base ideologica del potere imperiale, svincolata dall'eredità politica e religiosa di Cesare. Vespasiano Principe nuovo fece ricorso ad una formalità pseudo Repubblicana la LEX DE IMPERIO con la quale il Senato e il popolo (teorico contitolare della sovranità) si obbligavano all'obbedienza, riconoscendo una serie dettagliata di poteri, e una generale potestà di decidere sullo stato di eccezione. La Lex de Imperio comunque di per sé ribadiva che il Principato era una forma di stato fondata sulla legge, non sull'arbitrio. Però Domiziano tentò di instaurare un dispotismo teocratico proclamandosi DOMINUS ET DEUS.

Nell'età degli ANTONINI venne seguita per la successione la prassi di adottare un estraneo. Essa venne presentata come "scelta del migliore" la manifestazione di un esercizio razionale e disinteressato del potere. Questa scelta fu una necessità dovuta alla assenza di eredi maschi. A partire dal regno di Adriano si inaugurò una fase di rafforzamento della burocrazia nei confronti del Senato e di accentramento della funzione normativa nelle mani del Principe. Fin dall'inizio della dinastia si ebbe una notevole evoluzione dell'ideologia imperiale. Si diffuse la persuasione che l'Impero concretizzasse l'ideale cosmopolitico della tradizione cinica e stoica. Marco Aurelio egli non era un despota ma un vero re anzi un REX CICILIS. La composizione tra aequa libertas e principatus sembrò realizzarsi in uno stato di diritto nel quale un Principe, eletto anche console, giurasse di obbedire alla legge.

Al regno illuminato e prospero degli Antonini successe la monarchia militare e burocratica dei SEVERI 193 -235. Ancor più dello stoicismo la filosofia neo platonica, affermatasi soprattutto nel III secolo, considerò l'unificazione politica del mondo un bene in sé. Le due idee così suggestive, l'umanesimo cosmopolita e la regalità carismatica, confluirono in un solo concetto: che l'imperatore era il capo provvidenziale della comunità universale, al di sopra dell'ordinamento. Si diffuse la persuasione che il Principe non ascendesse al potere per caso, ma affinché potesse realizzare una missione etico-politica. PROVIDENTIA DEORUM divenne il motto della dinastia.

Fu un'epoca di profonde trasformazioni sociali e giuridiche e di crisi economica (193 - 235 DC). A conclusione di un lungo processo di decadenza venne a cessare l'autonomia della comunità soggette a Roma, intesa come "patria comune".

Scomparvero cioè 2 dei presupposti su cui si era costruito l'Impero:

1) la città Stato;

2) l'egemonia Romano-italica.

Roma divenne una civitas come le altre, distinte solo dal fatto di essere la capitale di uno stato territoriale. Le leggi Romane divennero IURE COMMUNIA dell'Impero.

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V - Natura giuridica del Principato.

E' un problema arduo. Il Principato è davvero unicum senza esempi antichi o moderni. Gli storici propongono numerose formule per inquadrare i contraddittori elementi politico-istituzionali del nuovo regime, con qualche forzatura possiamo ricondurle a 4 posizioni fondamentali:

1) monarchia;

2) diarchia;

3) protettorato;

4) Repubblica.

MONARCHIA: tesi alla quale aderisce il GILIBERTI, considera il Principato un regnum appena mascherato dal formale rispetto di istituzioni pseudo Repubblicane. Teorie del genere convergono di solito nella considerazione che il CONSENSUM UNIVERSORUM si formalizzò nella CURA ET TUTELA REIPUBLICAE (De Francisci). Intermedia fra questa posizione e quella della diarchia è la tesi di un "governo misto", prevalentemente monarchico (De Martino) . Si discute poi tra coloro che ritengono il Principato una monarchia assoluta oppure limitata.

DIARCHIA: (Mommsen) qui il governo dello stato era diviso fra il Principe e il senato. Il Principe era un magistrato di un organo della sovranità popolare. La tesi della diarchia sottovaluta però il fatto che la volontà di 1 dei 2 soci prevaleva sull'altra. La burocrazia del Principe riduceva le competenze della struttura amministrativa tradizionale alle provincie senatorie si contrapponevano quelle imperiali (l'imperium proconsolare dell'imperatore si estendeva su tutte). Il parallelismo tra organi Repubblicani e nuove istituzioni imperiali è sconcertante, ma denuncia che il Principe controllava i primi non essendo controllato.

PROTETTORATO: (Arangio-Ruiz) il Principato per alcuni consisterebbe in una sorta di protettorato sulla Repubblica, esercitato da un ordinamento monarchico. Questa suggestiva teoria è stata spinta talora fino a intendere il Principe come semplice capo di un'alleanza militare fra Repubblica e popoli federati (Fabbrini).

REPUBBLICA: Per altri la tesi della restaurazione Repubblicana è da prendere in seria considerazione. Si sarebbe trattato certo di una "seconda Repubblica", una "democrazia autoritaria" (Guarino) e non di un regno. Il Principe sarebbe stato un funzionario, non un re.

La propaganda ufficiale non rinunciò mai a presentare il Principe come un restauratore della Repubblica ma a nessuno sfuggiva il carattere monarchico del nuovo assetto costituzionale evidente soprattutto sulle provincie. TACITO sembra affermare a volte che il Principato era sì governo di uno solo, ma di tipo nuovo, diverso dalle forme tradizionali del regno o della magistratura straordinaria nell'età Repubblicana. Altrove però sembra sostenere che la differenza del Principe da un rex fosse puramente nominale: la libertas era finita e quindi il

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Il Principato non fu una Repubblica, né una monarchia costituzionale ma una monarchia assoluta a carattere elettivo. Capo dello Stato era il Principe che esercitava legittimamente la potestà politica in ultima istanza. Pur non essendo il titolare originario del potere, l'imperatore ne concentrava in sè a vita l'esercizio e mai fu possibile stabilire i limiti giuridici certi ed effettivi del potere dell'imperatore. Gli organi Repubblicani in caso di crisi istituzionale non avevano mezzi per controllare il suo potere, tranne il ricorso alla rivolta e all'assassinio. La categoria di "dispotismo" si presta fino a un certo punto a definire il Principato: l'imperatore non esercitava una forma di signorie patrimoniali su tutti i beni dello stato ed i cittadini godevano di alcuni diritti (civili) quali la proprietà, l'esenzione da imposte fondiarie, l'immunità dalla pena di morte. Pur essendo ampiamente discrezionale, non si può dire a rigore che il potere del Principe fosse arbitrario se non altro perchè veniva conferito in funzione dell'interesse generale: l'imperium era in realtà limitato giuridicamente di fatto e dalla esistenza di forze sociali e organi costituzionali dei quali non poteva prescindere senza conseguenze.

Il Senato mantenne sempre vivo l'orgoglio di casta ed il senso della tradizione aristocratica Romana. Ogni Principe ebbe un diverso atteggiamento nei confronti del senato ma non potè ignorarlo.

Nel basso Impero il principio dinastico e la coreggenza resero l'elezione una formalità. Tuttavia il Senato giocava un ruolo di tutto rispetto.

Le formalità di elezione confermavano che al soglio imperiale si accedeva con l'appoggio dell'esercito ed il consenso (o la rassegnazione) del Senato.

Riassumendo: al di là dell'esibito rispetto per le forme Repubblicane, si era creata una DOMINATIO con pochi e incerti limiti politico-giuridici. In linea di principio l'imperatore era sciolto dall'osservanza delle leggi solo in circostanze eccezionali: tuttavia lui stesso poteva stabilire quando si verificasse lo stato di eccezione. Non si può seriamente definire "monarchia" la forma di Stato dell'8-6 secolo AC e non invece il Principato.

La REPUBBLICA PATRIZIO-PLEBEA era fondata su una ripartizione delle funzini di governo tra Senatus, populus e magistrature col prevalere dell'auctoritas senatoria.

Nell'ETA' DEL PRINCIPATO l'auctoritas senatoria venne sovrastata da un'auctoritas ancora più forte definita imperium, ma in senso più ampio del solo imperium proconsulare. Quanto al popolo la cui sovranità già prima della caduta della Repubblica era solo teorica, si trovò posto sotto la duplice tutela del senato e del Principe. Il fatto che si parlasse ancora di RES PUBLICA POPULI ROMANI o di S.P.Q.R. stava semplicemente ad evidenziare il principio politico che il governo doveva essere esercitato nell'interesse del popolo, ricercandone evidentemente non la partecipazione, ma il consenso passivo.

CAP. 14

ORGANI REPUBBLICANI ED AMMINISTRAZIONE IMPERIALE

1.Organi costituzionali di origine Repubblicana.

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Augusto non volle abolire gli organi della costituzione Repubblicana ma voleva assoggettarli al suo potere.

Gli stessi CONSOLI pur continuando a convocare e a presiedere le assemblee popolari ed il Senato persero la direzione politica dello Stato ed il comando degli eserciti (rimase la carica onorifica). I primi consoli dell'anno restavano EPONIMI mentre gli altri detti SUFFECTI (sostituti) venivano eletti solo patrizi o coloro che fossero diventati tali per privilegio imperiale.

I CENSORI costituivano una delle magistrature più importanti e per tale motivo furono svuotati delle loro competenze a partire dalla LECTIO SENATUS, avocate dal Principe. Domiziano si fece nominare censore perpetuo ed egli determinò l'abolizione di fatto della magistratura.

I PRETORI continuarono ad essere magistrati giusdicenti ma la loro giurisdizione fu messa in ombra da quella dei funzionari giuridici.

Gli EDILI furono ridimensionati dal prefetto dell'annona e da quello dei vigili fino a scomparire nel III secolo.

QUESTORI furono ridotti a 20 persero buona parte delle loro funzioni, ritornarono ad essere aiutanti dei consoli e del governatore. Fu tolta loro la funzione di custodi dell'Erario.

TRIBUNI avevano come i magistrati solo il potere di convocare il Senato ed una residua giurisdizione criminale per cause minori si ridussero a 20.

ASSEMBLEE-COMIZI E CONCILI PLEBEI: persero la loro specificità e furono considerato un solo organo costituzionale convocato di volta in volta con formalità diverse. L'assemblea popolare partecipava all'elezione del Principe e al conferimento dei suoi poteri (LEX DE IMPERIO, LEX DE POTESTATE TRIBUNICIA). La funzione giurisdizionale delle assemblee scomparve del tutto, riassorbita dalla cognitio imperiale. Anche dal punto di vista legislativo le assemblee soggiacquero ad un rigido controllo e le stesse ROGATIONES tesero naturalmente a coincidere con la volontà del Principe. Almeno in linea di principio, la legge rimase sempre il provvedimento normativo per antonomasia. Augusto fece passare in questo modo riforme molto importanti mediante delle LEGES IULIAE.

Per l'elezione dei magistrati, il Principe interveniva selezionando le candidature e ordinando al popolo di votare certi candidati DESTINATIO oppure ordinando al popolo di votare certi candidati COMMEDATIO o ancora diffondendo una raccomandazione di voto non vincolante ma sostenuta da una minacciosa campagna elettorale SUFFRAGATIO. A questo punto la deliberazione dell'assemblea popolare si riduceva a una presa d'atto.

La selezione dei candidati alle magistrature maggiori era affidata ad alcune centurie miste di cavalieri e senatori. La loro effettiva elezione restò ai comizi ma era una mera formalità. L'elezione alle magistrature minori venne devoluta al Senato.

SENATO: non rappresentava più la tradizionale aristocrazia cittadina, vi erano uomini di provenienza equestre o provinciale, Augusto riportò a 600 i membri dell'Assemblea senatoria ed innalzò il censo minimo richiesto per farne parte a 1.000.000 di sesterzi. L'assemblea era convocata alle calende o alle idi del mese, nella IULIA. Molti dei suoi poteri furono sottratti e devoluti al Principe, le restò il contratto delle provincie senatorie (e l'amministrazione dell'erario). Al Senato vennero affidati nuovi poteri, il riconoscimento del valore normativo dei senatoconsulta l'elezione dei magistrati minori, la selezione per le candidature maggiori.

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II - I funzionari imperiali . Il consilium principis.

Il potere imperiale si andò costituendo intorno alla cooperazione fra 3 forze sociali: i militari, le borghesie Romano-italiche e la nobilitas senatoria. Dalla trasformazione degli equites in un ceto di altri funzionari si svilupperà una 4^forza la burocrazia imperiale.

Con i GIULIO CLAUDII si formò una struttura amministrativa di carattere professionale e non elettivo. I funzionari e gli impiegati del Principe restavano in carica a tempo indefinito, ricevendo un salario ed erano inquadrati in una struttura gerarchica. Erano collaboratori privati del Principe che esercitavano, su sua delega, funzioni amministrative, giudiziarie: erano dei pubblici ufficiali.

La cancelleria cioè il complesso degli uffici amministrativi centrali del Principe fu divisa in dipartimenti SCRINIA diretti da liberti.

L'ufficio AB EPISTULIS cioè della corrispondenza trasmetterà le istruzioni ai governatori, redigeva le nomine era diviso in un settore di lingua latina e greca. L'ufficio ALIBELLIS (delle petizioni) rispondeva in nome dell'imperatore alle suppliche o alle richieste di interpretazione del diritto.

L'ufficio ACOGNITIONIBUS istruiva i processi sottoposti alla cognitio imperiale. L'Ufficio ARATIONIBUS era una sorta di ministero delle finanze e del tesoro. L'Uffico AMEMORIA preparava i discorsi ufficiali dell'imperatore.

I funzionari più importanti furono i prefetti quasi tutti del rango equestre.

PREFETTI DEL PRETORIO sono di numero variabile da 1 a 3 furono a capo della guardia del corpo dell'imperatore (pretoriani) e poi comandanti delle truppe di stanza in Italia. Potevano emanare delle ordinanze a carattere normativo. Furono giudici di appello in materia criminale e civile per le provincie. In quell'ambito i prefetti agivano VICE SACRA in sostituzione dell'imperatore: perciò le loro sentenze erano inappellabili.

PREFECTUS URBI: fu una innovazione Augustea. Doveva esercitare il potere di polizia a Roma per fronteggiare i disordini fra schiavi e poveri.

PREFETTO D'EGITTO era il governatore della provincia più importante dell'Impero e una sorta di Vice Re.

PREFETTO DEI VIGILI era il comandante del corpo di pubblica sicurezza notturna con attribuzioni giurisdizionali penali e civili. Aveva anche la vigilanza contro gli incendi.

PREFETTO ALL'ANNONA coordinava il rifornimento annuario delle frumentazioni controllava i granai pubblici ed il commercio dei cereali.

PROCURATORI erano ausiliari privati del Principe in genere liberti che amministravano i suoi affari;

CURATORES di rango senatorio erano funzionari con incombenze magistratuali (es. edilizia, strade,acque);

GOVERNATORI erano di estrazione senatoria ed esercitavano il potere sulle provincie imperiali. Solo l'Egitto e provincie di recente formazione erano amministrate dai cavalieri.

Da Adriano l'imperatore fu coadiuvato da un CONSILIUM PRINCIPIS permamente che acquisì una certa stabilità (erano consiglieri senatori ed equestri). I maggiori giuristi vennero chiamati a farne parte contribuendo alla burocratizzazione della giurisprudenza.

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III - Aerarium e fiscus imperiale.

La creazione del Principato pose il problema del rapporto tra il patrimonio del popolo e quello dell'imperatore. Fino all'epoca di Nerone l'AERARIUM SATURNI era l'unica cassa ufficiale dello Stato nella quale confluiva il gettito delle imposte e dei dazi doganali delle provincie senatorie. Due pretori avevano l'incarico di amministrarle con una imposta del 5% sulle successioni. Augusto finanziò l'istituzione dell'Erario militare era una cassa speciale per fornire le liquidazioni in denaro dei soldati congedati. La sua gestione venne affidata a 3 prefetti di ragno senatorio. Le finanze dello Stato vennero affidate all'amministrazione fiduciaria del Principe che finanziava il grosso delle spese statali. Le entrate derivavano da: patrimonio del Principe, imposte e tasse sulle provincie, lasciti testamentari, beni vacanti.

Augusto inaugurò l'uso di tenere un bilancio generale dello Stato. L'epoca dei FLAVII è caratterizzata dall'esistenza di un FISCUS CAESARIS unificato, concepito come amministrazione finanziaria del tesoro dell'Impero. Oltre al fisco ebbe un rilievo pubblicistico e vi era un patrimonio della Corona a disposizione dell'imperatore in carica che passava al suo successore.

La RES PRIVATA era l'insieme dei beni personali dell'imperatore. Augusto procedette ad azioni di censimento ponendo le basi di un sistema catastale. Su tale base iniziò la ristrutturazione del sistema fiscale.

Il grosso delle entrate pubbliche fu rappresentato dalle imposte: quella fondiaria, denominata STIPENDIUM nelle provincie senatorie e TRIBUTUM nelle provincie imperiali. L'imposta personale è definita TRIBUTUM CAPITIS.

IV - L'Italia e l'Impero.

IMPERO L'idea di Impero è sempre stata collegata a quella del mito politico e del monarca universale. L'imperatore era destinato ad unificare il mondo con le armi e con le leggi. Il carattere autocratico dell'Impero non impedisce la presenza simultanea di regni, repubbliche, eccetera. Di solito però il governo dell'Impero è funzionale agli interessi di un solo popolo. I Romani esercitavano l'egemonia e la loro libertas era illimitata ed indiscussa.

Il potere di Roma si estendeva su 3 ambiti territoriali: ITALIA, PROVINCIE, COMUNITA' PEREGRINE.

Nella penisola i municipi e le colonie godevano di rilevante autonomia amministrativa. Da Adriano la penisola fu divisa in distretti giudiziari.

L'autonomia municipale venne limitata notevolmente a partire dal 2° secolo per il frequente intervento di curatori, inviati per controllare l'amministrazione finanziaria. Gli IURA delle comunità municipali, che derogavano alle leggi Romane desuete. Perciò fu considerato più vantaggioso lo status di colonia. Ufficialmente il popolus era il soggetto titolare dell'imperium sui beni e le persone dei sudditi provinciali. Le provincie erano divise in senatorie ed imperiali.

PROVINCIE SENATORIE. Erano quelle meno numerose e amministrate da proconsoli cioè dai magistrati prorogati. Il governatore rimaneva in carica un anno e suoi ausiliari erano il questore e i legati. L'Egitto fu mantenuto sotto stretto controllo da Augusto più di qualunque altra provincia. Era governato da un Prefectus

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 84/164 $LOGOIMAGE delegato dall'imperatore, coadiuvato da un amministratore. L'Egitto era una provincia particolare solo teoricamente controllata dai senatori i quali per raggiungere il territorio necessitavano del permesso dell'imperatore.

PROVINCIE IMPERIALI (es. Giudea) erano le più esposte ad attacchi esterni lo rivolte erano governate da legati di Augusto che aiutavano il governatore insieme ad un procuratore. Il governatore aveva il comando delle truppe di guarnigione e un'ampia giurisdizione civile e criminale. L'Impero estese a buona parte del mondo conosciuto il sistema di dominio politico della città sulla campagna. Anche in Africa ed in Gallia vennero creati centri dotati di organi di autogoverno. L'Egitto era estraneo a questo fenomeno e nel 201 Severo introdusse l'ordinamento municipale in Egitto. Secondo la trazione Romana nessuno poteva far parte di 2 città.

Le colonie, i municipi e le città peregrine erano amministrati da 2 coppie di magistrati i DUOVIRI IURE DICUNDO che avevano una limitata giurisdizione civile e penale e controllavano le finanze cittadine.

DUOVIRI AEDILES che provvedevano all'ordine pubblico. Il Senato, selzionato dai DUOVIRI IURE ogni lustro, esautorò l'assemblea attribuendosi competenze giurisdizionali d'appello e l'elezione dei magistrati. I componenti del Senato locale furono gravati dell'obbligo di provvedere ad alcuni servizi pubblici a loro spese HONESTIORES (persone per bene-notabili) e godevano di una serie di privilegi in campo giudiziario. All'interno della provincia c'erano anche territori di CIVITATES PEREGRINE (civitas è una comunità che si autogoverna con magistrature, assemblee e leggi proprie) che godevano di autonomia e di un proprio ordinamento. Le città federate come Atene, formalmente non facevano parte della provincia ma godevano di una sovranità limitata come entità internazionali. Molti erano i re clienti nei loro confronti la societas e l'amicitia avevano perso il loro carattere di rapporti internazionali alcuni di essi tipo Erode erano cittadini Romani. La loro autonomia era precaria e limitata e alla morte del re cliente il Principe poteva intervenire nella successione. Meno controllabili furono le comunità etniche sparse in Gallia, Africa erano considerati ordinamenti autonomi, come i Regna con propri capi e leggi.

CAP. 15

IL DIRITTO NELL'ETA' DEL PRINCIPATO (domanda)

I - Il sistema delle fonti. Le constitutiones.

Le istituzioni di Gaio dell'età degli Antonini, offrono tale partizione del sistema delle fonti. L'ordinamento giuridico del popolo Romano deriva da LEGGI: la legge è ciò che il popolo ordina e stabilisce, il PLEBISCITO che è ciò che prescrive e stabilisce la plebe il SENATOCONSULTO ciò che prescrive e stabilisce il Senato ha valore di legge. COSTITUZIONE DEL PRINCIPE ciò che l'imperatore stabilisce con decreto o editto ed ha valore di legge. EDITTI sono i precetti di quelli che hanno il potere di emanare ordinanze: i magistrati o meglio i 2 pretori urbano e peregrino. Infine abbiamo i RESPONSI DEI GIURISTI sono i pareri e le opinioni di coloro cui è consentito porre in essere delle norme. Se i pareri sono concordi ciò che è pensato ha valore di legge, se i pareri sono discordi il giudice può formarsi una sua opinione personale. GAIO espone un quadro anacronistico delle fonti normative. Da tempo l'attività legislativa delle assemblee politiche era decaduta e sostituita dalla normazione senatoria e da quella imperiale. In età Augustea il Principe fece ampio ricorso alle leggi.

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FONTI DEL DIRITTO:

- EDITTI;

- CONSUETUDINE;

- SENATOCONSULTO;

-CONSTITUTIONES; - GIURISPRUDENZA.

GLI EDITTI: dei magistrati giudicanti costituivano ancora fonte del diritto ma la loro evoluzione era controllata dal Principe. All'epoca di Adriano intorno al 130 si arrivò ad una stesura definitiva dell'editto pretorio inteso come un complesso di norme autoritative e permanenti. Il testo diviso in 4 parti aveva una struttura che seguiva l'iter processuale. L'Editto codificato restò una fonte vigente e non sottoposta a modifiche (come le 12 tavole).

LA CONSUETUDINE: mantenne un ruolo marginale. Ebbe tuttavia grande importanza negli ordinamenti provinciali spesso contraddicendo i principi del diritto Romano. Essa non viene considerata da Gaio.

SENATOCONSULTO: originariamente una direttiva politica rivolta ai magistrati nell'età Giulio-Claudia acquisì un contenuto normativo. Le proposte di provvedimento venivano presentate dal Principe o da magistrati delegati ispirati da lui. Questa fu una forma indiretta di normazione imperiale poiché il provvedimento del Senato tese sempre più ad uniformarsi con l'orazione tenuta in Senato dal Principe o dai suoi delegati, contenente la richiesta di approvazione.

COSTITUTIONES: una nuova fonte giuridica era costituita dalla costitutiones o ORDINANZE IMPERIALI di varia forma e contenuto. All'inizio la loro efficacia normativa lasciava perplessi i giuristi, dubbi in seguito abbandonati. Gaio e Pomponio sostengono che le costituzioni sono leggi ma che hanno efficacia paragonabile alla legislazione popolare. Ulpiano (giurista) sostiene che ciò che il Principe decide ha vigore di legge dato che con la LEX REGIA riguardante il suo imperium, il popolo trasferisce a lui tutto il suo imperium e la sua potestas. Ciò che l'imperatore stabilisce per iscritto o a voce è chiaramente legge.

LA LEX REGIA la si ritiene una lex popolare di età Augustea che sanciva il trasferimento della sovranità dal popolo all'imperatore in quanto istituzione. In realtà il potere di emanare costituzioni veniva giustificato dalla lex de imperio. L'equiparazione fra costituzioni e leges poneva il problema di stabilire quando un'ordinanza imperiale avesse valore normativo, e quando regolasse solo un caso specifico.

Tipi fondamentali di costituzioni erano gli EDICTA, i RECRIPTA, i DECRETA, Le ESPISTOLAE.

EDICTA: erano ordinanze generali concernenti tutto l'IMPERO, una provincia, una città o categorie di cittadini e di sudditi. Il contenuto riguardava il diritto pubblico in particolar modo il processo e l'amministrazione delle provincie. Gli editti mantenevano la loro validità anche dopo la scomparsa dell'imperatore che li ha emanati.

RESCRITTO: divenne l'ordinanza più frequente, il Principe agiva da supremo giurista con un responso scritto coni l quale chiariva questioni di diritto. Essa esprime una sorta di interpretazione autentica del diritto mediante una nota aggiunta al libello con la quale il Principe veniva interpellato. Il frequente ricorso a tale strumento contribuì a togliere spazio al giurista indipendente.

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EPISTOLE: sono costituzioni analoghe per contenuto ai rescritti dove il responso era reso con una lettera questo quando era un magistrato o un alto funzionario a rivolgersi all'imperatore.

DECRETA: il Principe interveniva sull'attività giurisdizionale come sommo giudice mediante i decreta. Si tratta di vere e proprie sentenze che risolvevano extra-ordinem un processo in prima istanza. Pur costituendo degli esempi per i giudici, non avevano valore normativo limitandosi ad applicare il diritto vigente al caso concreto.

MANDATA: erano istruzioni rivolte dal Principe ai propri subordinati e che dovevano essere rinnovati dal nuovo imperatore che saliva al trono.

II - La giurisprudenza - rinvio - (fonte del diritto)

Relativamente autonoma dalla volontà imperiale era una delle grandi fonti del diritto: la giurisprudenza. I giuristi cercano di riaffermare il proprio prestigio ma anche essi furono sottoposti a vincoli e controlli.

La scienza giuridica del Principato è definita classica. Fino a quando la vita Romana rimase fondata nella competizione dei clan aristocratici, il lavoro del giurista potè svolgersi con notevole libertà. Cesare ambiva a dar vita ad una codificazione sistematica del diritto civile ma tale progetto fu abbandonato. L'ordinamento sembrò mantenere la sua impronta giurisprudenziale, anzi Augusto voleva favorire un nuovo sviluppo degli studi. Egli non voleva lasciare ai privati cittadini la funzione dell'interpretazione giurisprudenziale. I giuristi del Principato differirono molto da quelli dell'età Repubblicana per il diverso rapporto con la pubblica amministrazione.

Nell'ambito della giurisprudenza classica distingueremo tre fasi:

1) fino all'avvento di Adriano nel 117

2) da Adriano a Settimio Severo che sale al trono nel 193;

3) tardoclassica fino al termine della dinastia dei Severi nel 235.

III - Caratteri del nuovo diritto.

Accanto alle fonti più antiche, se ne crearono di nuove, prime fra tutte le ordinanze del Principe. Gli interventi impiegali sul diritto civile e su quello onorario furono di una certa rilevanza. Questo ha indotto alcuni studiosi (Riccobono, Chiazzese) a parlare di un organico IUS NOVUM imperiale, animato dall'AEQUITAS, ben distinto dagli strati normativi precedenti, ridotti nel loro insieme a IUS VETUS. In realtà non si creò un ordinamento nuovo e contrapposto a quello precedente, e comunque, la funzione dei giuristi consistette nell'armonizzare i complessi normativi più antichi con le nuove norme.

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Entro i confini dell'Impero coesistevano diversi ordinamenti: il diritto Romano, le leggi delle comunità autonome, quelle dei sudditi provinciali. Vigeva il principio della personalità del diritto per cui cittadini e sudditi erano giudicati da tribunali diversi, sulla base di norme diverse. Dalla doppia cittadinanza derivava la possibilità di optare tra il diritto Romano e quello locale. Il tramite fra i diversi ordinamenti fu lo IUS GENTIUM che nel Principato venne inteso come il complesso di norme che tutte le comunità applicavano in forza di una ragione naturale. Ma lo IUS GENTIUM funzionò al contrario: le tradizioni giuridiche locali furono piegate ai principi del diritto Romano.

IV - Procedure civili extra ordinem.

Il parallelismo fra le istituzioni imperiali e Repubblicane si estese anche al campo giudiziario.

La LEX IULIA IUDICIORUM PRIVATORUM del 17 AC aveva suprato in quasi tutti i campi il ricorso al sistema delle LEGIS ACTIONES che rimase circoscritto alla petizione di eredità e al danno temuto. Ma anche il sistema formulare aveva iniziato un lungo processo di decadenza. Ai sistemai processuali civili dell'età repubblicana ORDO IUDICIORUM PRIVATORUM e a quelle criminali ORDO IUDICIORUM PUBLICORUM si affiancarono a nuove procedure EXTRA ORDINEM fondate sul potere giurisdizionale dell'imperatore e dei suoi delegati.

Esse procedure rispetto ai sistemi processuali Repubblicani erano definite EXTRA ORDINEM e si ispirarono a quelle utilizzate dai governatori provinciali. Caratteristiche delle nuove procedure furono la delega imperiale e l'unità del procedimento: nella COGNITIO EXTRA ORDINEM non intervenivano più un magistrato rappresentante del popolo ed un giudice privato, ma solo il funzionario giudice.

Un altro principio della giurisdizione imperiale fu l'impugnabilità delle sentenze in quanto era possibile riprendere il processo davanti ad organi gerarchicamente superiori prima di arrivare alla sentenza definitiva e irrevocabile. Solo le sentenze imperiali e quelle del prefetto del pretorio erano inappellabili. Il processo non ebbe più carattere accusatorio ma inquisitorio: una volta iniziato prevedeva estesi poteri d'intervento e di indagine da parte del giudice. La presenza del convenuto non era indispensabile infatti poteva essere anche per lettera la citazione o AVOCATIO. Più che un conflitto privato la lite venne intesa come una questione di pubblico interesse. A differenza della procedura formulare l'attore poteva ottenere la condanna e non necessariamente il controvalore monetario. Le sentenze subito eseguibili furono svolte dagli ausiliari del giudice.

V - Diritto e Procedura penale.

Il sistema delle questiones perpetuae venne esteso anche alle provincie ma il governatore mantenne il potere di avocare il processo. Per tutte le età del Principato si susseguirono nuove leggi e nuovi crimini. Per quanto riguarda l'AMBITUS una LEX IULIA ridusse la pena ad una semplice multa e all'interdizione dei pubblici uffici per un lustro CRIMEN VIS. Una LEX IULIA regolò che nella vis pubblica ricaddero molte ipotesi di intralcio alla giustizia: violazione del diritto alla difesa o alla PROVOCATIO da parte dei giudici o governatori, turbativa delle procedure elettorali.

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OMICIDIO comprese nuove fattispecie quali l'uccisione dello schiavo, la castrazione o il procurato aborto.

CRIMEN DI FALSO venne compresa la falsificazione di pesi e di misure la simulazione di parto e le pene variavano dalla deportazione alla crocifissione.

CALUNNIA: comprese nuove fattispecie come l'abbandono ingiustificato dell'accusa;

CRIMEN REPETUNDARUM: la malversazione da parte di pubblici ufficiali. La pena prevista era la restituzione del quadruplo più la deportazione. L'estorsione da parte dei pubblici ufficiali si definisce crimen concussionis.

CRIMEN MAIESTATIS comprese oltre all'attentato alla sicurezza dello Stato, anche la lesa maestà punibile con la morte e l'offesa al Principe o ai suoi familiari.

Furono individuate nuove figure di reato: STELLIONATUS : truffa, raggiro; la ricettazione, la violazione di sepolcri, il furto con scasso, oltraggio al pudore, vilipendio di magistrati.

Augusto istituì anche due nuovi corti speciali:

1) QUAESTIIO DE ANNONA: che represse l'accaparramento dei generi alimentari più l'aggiotaggio;

2) QUAESTIONE DE ADULTERIS: perseguiva i rapporti sessuali avuti con donne sposate o nubili di buona fama o il favoreggiamento di questi comportamenti.

L'accusa contro gli adulteri doveva essere portata dal marito tradito o dal padre della nubile. Se il marito tradito non divorziava prima e accusava la donna dopo poteva a sua volta essere accusato di favoreggiamento. I colpevoli erano confinati su isole e i beni venivano confiscati. Le azioni penali private vennero trasformate in azioni pubbliche restringendo la possibilità di farsi giustizia da sé. Viene sempre meno la distinzione tra crimini e delitti per cui si può parlare di diritto penale in senso moderno. Nelle provincie la giurisdizione penale era esercitata dai governatori che esercitavano lo IUS GLADI cioè il potere di vita o di morte nei confronti dei nemici dello Stato e dei criminali. Alla fine del secondo secolo ottennero anche il potere di condannare a morte e ai lavori forzati anche i cittadini.

Il PROCESSO che non richiedeva necessariamente una denuncia da parte del privato cittadino, aveva caratteristiche inquisitorie. Nasceva per impulso del giudice, che aveva piena libertà di agire. Caratteristica delle procedure extraordinem fu la facoltà dell'avocazione: in ogni momento ciascuno degli organi gerarchicamente superiori al giudice poteva richiamare il processo alla propria cognizione.

Un'altra peculiarità del processo criminale imperiale fu la variabilità e la discrezionalità delle pene all'interno di criteri generali fissati dall'imperatore.

Le pene andavano graduate diversamente fra schiavi, liberi, notabili. Nell'età tardo Repubblicana la pena capitale divenne una punizione teorica perché l'accusato poteva in alternativa essere esiliato; nel Principato vi fu una ripresa delle esecuzioni più terribili la crocefissione, essere sbranati nel circo, la cremazione, la fustigazione, ecc.

Forme queste riservate agli HUMILIORES e altre punizioni furono la deportazione, il domicilio coatto. Ogni condannato subiva la confisca dei beni e la capacità giuridica. In età adrianea la legislazione imperiale in materia criminale fu caratterizzata da più raffinati criteri di valutazione delle circostanze, dei moventi, e della qualificazione giuridica dell'atto. Si ebbe un tentativo di razionalizzare e insieme moralizzare il sistema delle pene afflittive, che avrebbero dovuto costituire una retribuzione del male, più che un esempio terribile. Applicando i dettami della morale stoica, il giudice doveva valutare le motivazioni dell'azione criminosa, più

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Mentre nell'età tardo-repubblicana la pena capitale era diventata una punizione pressoché teorica, poiché si concedeva all'accusato come alternativa l'esilio, il Principato vide una ripresa in grande stile delle esecuzioni, anche nelle forme più terribili (SUMMA SUPPLICIA).

L'appello sostituì la provocatio ad populum del sistema processuale criminale Repubblicano.

VI - Iura personarum - Ordini e classi sociali.

Il Principato non determinò dei sostanziali cambiamenti nelle strutture economico sociali di Roma:

- la schiavitù rimase fino al 3° secolo;

- la nobiltà mantenne le sue caratteristiche di ceto di proprietari;

- i cavalieri (almeno in età giulio-claudia) restarono un notabilato composto di uomini d'affari;

- la plebe Romana consumava le risorse dell'Impero.

Ciò che cambiò molto, rispetto al periodo Repubblicano fu la composizione del SENATO.

Questo per tuta l'età Repubblicana era stato una nobiltà politica ma con Augusto assunse i tratti di una aristocrazia ereditaria prestigiosa ma emarginata dall'esercizio del potere.

I CAVALIERI rimasero una nobiltà non ereditaria dalla quale furono attinti capi dell'esercito funzionari civili ed essa si trasformò da aristocrazia del denaro in ceto dirigente a carattere burocratico. Si può parlare di una specifica carriera equestre, che partiva da funzionari militari e si sviluppava nell'ambito dell'amministrazione imperiale. Gli equites rispetto ai senatori furono più utili e meno pericolosi per il potere imperiale. Il ceto medio della provincia acquistò nell'epoca del Principato notevole importanza. Legato ai commerci costituì l'elemento portante della politica di urbanizzazione. Dal 3° secolo ci fu una crisi dell'economia agricola, i plebei furono esposti alle conseguenze della concentrazione fondiaria. I principi tentarono una politica di sostegno ai ceti medi agricoli con concessione di prestiti agevolati per l'acquisto di terre, ma molti furono espulsi dalle campagne ingrossando le fila del proletariato cittadino fino a divenire braccianti. La schiavitù non costituiva una classe ma una casta ereditaria. Benché la condizione giuridica dei servi fosse omogenea al loro interno si potevano notare delle differenze. Lo schiavo di città che era vicino al padrone era trattato meglio ed era in grado di comprarsi la libertà. Potevano contrarre validamente obbligazione per sé o per i padroni, erano responsabili dei loro atti da un punto di vista penale.

All'inizio del 1° secolo una LEX PETRONIA vietò ai padroni di gettare schiavi alle belve senza controllo del magistrato. Un editto di Claudio sottrasse alla proprietà del padrone lo schiavo malato abbandonato a morire sull'isola Tiberina. Nerone consentì allo schiavo di rifugiarsi presso una statua dell'imperatore e invocare l'intervento del prefetto di città, in caso di maltrattamenti gravi, scarsità di vitto o obbligo della prostituzione. Antonio Pio vietò l'uccisione ingiustificata di schiavi. Ma alla tendenza umanitaria faceva da contrappeso una

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 90/164 $LOGOIMAGE politica terroristica il Senatoconsulto in epoca augustea condannava a morte tutti gli schiavi che erano in casa del padrone qualora questi fosse stato assassinato.

I LIBERTI costituirono un vero e proprio ceto medio discriminato socialmente,ma potente dal punto di vista economico. Era formato da ex schiavi che avevano acquistato la propria libertà e a cui era stato concesso di dedicarsi alle attività commerciali. Essi erano esclusi da diritti politici. I liberti erano una classe aperta, i figli dei liberti erano liberi per nascita. Gli schiavi affrancati senza la formalità della MANUMISSIO VENDICTA CENSU o TESTAMENTO acquisivano una libertà di fatto perennemente revocabile pertanto non divenivano cittadini.

Ma l'importanza sociale dei liberti era tale, che una LEX IULIA NORBANA stabilì che gli schiavi liberati in modo non formalistico non potessero essere ricondotti alla condizione precedente. Tuttavia non divenivano cittadini bensì LATINI IUNIANI. La LEX AELIA SENTIA del 4 DC stabilì che gli schiavi di età inferiore ai trent'anni potessero essere affrancati solo in via eccezionale e sotto il controllo di apposite commissioni, mediante MANUMISSIO VINDICTA. In caso contrario, la manomissione avrebbe comportato solo la LATINITAS AELIANA, equivalente a quella IUNIANA.

Nell'età degli Antonini cominciò ad avere un riconoscimento giuridico la divisione degli uomini liberi in:

- HONESTIORES uomini per bene: senatori, ufficiali, cavalieri che erano esenti dalle pene più gravi e infamanti come la crocefissione, lavori forzati e pene corporali;

- UMILIORES popolari: tutti coloro che erano esclusi dai gruppi privilegiati con un patrimonio inferiore ai 25.000 denari: proletari, contadini, artigiani, piccoli commercianti.

CAP. 16

LA GIURISPRUDENZA CLASSICA (domanda)

I - Attività e produzione letteraria dei giuristi.

Il proposito di Augusto di esercitare una discreta ingerenza nell'attività dei giuristi venne attuata in due modi:

1) la concorrenza esercitata dalle nuove parti del diritto (in particolare i RESCRITTI nei quali l'imperatore si presentava in veste di giurisperito);

2) la selezione di un'elite di giuristi a cui venne conferito lo IUS RESPONDENDI EX AUCTORITATE PRINCIPIS. L'autorizzazione a dare responsi scritti e sigillati coperti dall'autorità dell'imperatore. In età Repubblicana questo non era possibile: era l'opinione pubblica a riconoscere un auctoritas tecnica e sociale. Introdurre l'IUS RESPONDENDI significava dirigere lo sviluppo di questo dibattito perenne, sovrapporre l'autorità publica del principe a quella privata dei tecnici. I responsi dei giuristi prevalevano sugli altri pareri privati, rimanendo quelli più significativi al fine di IURA CONDERE (dar vita alle norme). Anche i giuristi del 1° secolo furono di estrazione senatoria e di origine Romano italica. Dal 2° secolo si nota una presenza di provinciali e di cavalieri. I giuristi classici si davano del rispondere abbandonando il CAVERE e l'agere AD

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AVVOCATI E NOTAI. Sotto di essi esistevano giusperiti di rango inferiore che erano consulenti privati e insegnanti di diritto.

Tra le forme della letteratura giurisprudenziale troviamo:

1) ANTOLOGIE CASISTICHE (genere letterari della G.C.) antologie di responsa di quaestiones, di epistulae. Rispetto alla letteratura Repubblicana si dà il maggior spazio alla spiegazione della ratio e alla discussione dei pareri. Notevole importanza ebbero i DIGESTA opere di esposizione sistematica del diritto Romano (onorario e civile);

2) COMMENTI alle opere dei maggiori giurisperiti, sotto forma di commentari sistematici, recensioni polemiche (NOTAE);

3) COMMENTI agli editti;

4) MONOGRAFIE svolte su specifiche problematiche, istituti, leges;

5) LIBRI DE OFFICIO: manuali sui compiti di magistrati e funzionari.

6) LETTERATURA ISAGOGICA: cioè le opere volte a introdurre allo studio;

7) RACCOLTE DI MASSIME E DEFINIZIONI (altre forme di letteratura diffusa al tempo dei Severi).

La tendenza alla burocratizzazione e all'impegno didattico portarono all'affermazione della letteratura ISAGOGICA. Logica sistematica: frutto tipico di un insegnamento formalizzato. L'ordine normalmente utilizzato nella letteratura di età classica fu all'incirca lo stesso dell'editto, le cui materie si susseguivano senza un rigoroso criterio razionale.

E' con GAIO che si ha lo schema dialettico della DIVISIO.

II - Il problema del metodo nell'età del Principato.

Il giurista dell'età classica restò ancorato alla tecnica base dell'astrazione, dell'uso dell'analogia, all'orientamento casistica, che affondava le radici nello statuto aristocratico della sua arte. Niente era più estraneo alla sua mentalità che voler ricavare le regole deducendole da principi generali presi come assiomi. Nell'elaborare il responso, la trama del suo ragionamento rimase sostanzialmente nascosta dall'auctoritas.....

Quali tecniche usava il giurista per l'interpretazione dei casi? Il giurista in età classica restò ancorato all'orientamento casistica METODO TOPICO ovvero per analogie con le tendenze oratorie, alcuni studiosi definiscono il metodo dei giuristi Romani TOPICO poiché non deducevano i loro concetti da principi generali, ma argomentavano per problemi concreti. Certamente i giuristi classici usarono varie metodologie ricavate dallo studio di altre arti (es medicina qualcuno ricollega la scepsi di Celso al procedimento metodico-empirico

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 92/164 $LOGOIMAGE della scuola di Galeno: sequenze AUTOPSIA, ISTORIA, TRANSITIO AD SIMILEM) compresa la tecnica divisoria, le definizioni, i luoghi comuni e la dottrina degli Status.

Nel II e III secolo si nota un più mapio rinvio a principi razionali, regole, definizioni astratte, come quella celebre proposta da Celso per chiarire quali oggetti fossero inclusi o esclusi dal testatore in un legato di suppellettile (pag.249).

Il procedimento è fondato sull'uso del TOPOI ovvero di schemi di ragionamento che evidenziano problemi generali o specifici. Dall'applicazione della topica all'oratoria forense ha origine la dottrina degli STATUS CAUSAE (posizioni della causa): si tratta di un repertorio di problemi che possono scaturire dallo scontro fra le parti. Essi aiutano l'avvocato ad individuare le parti fondamentali del discorso.

Gli STATUS si dividono in:

- RAZIONALI: che riguardano le dispute sulla ricostruzione dei fatti, riguardano 4 tipi di questioni:

1) La DEFINITIO come si può definire giuridicamente un fatto?

2) La QUALITAS: l'interpretazione dell'atto, la sua liceità o illiceità, la possibilità di considerarlo alla luce dell'equitas, cause conseguenze, circostanze attenuanti, eccetera;

3) La CONIECTURA è la ricostruzione indiziaria di avvenimenti o dell'identità del colpevole;

4) La TRANSLATIO è la contestazione di circostanze di fatto o della competenza del giudice.

- LEGALI sono di 4 tipi:

1) pone il problema del contrasto tra ciò che è scritto e la reale validità dell'autore o tra la lettera e lo spirito della legge;

2) evoca un possibile conflitto tra norme;

3) si richiama all'ambiguità della legge;

4) sollecita l'applicazione analogica di norme previste per fattispecie simili (sillogismo).

I giuristi si tennero soprattutto aderenti alla tecnica di base dell'astrazione. Anche la dialettica venne usata nella tecnica dei responsi ma non in modo privilegiato.

Nonostante il grande uso delle DEFINITIONES nei responsi GIAVOLENO ammonisce che ogni definizione nel campo del diritto civile è pericolosa perché la si può facilmente contestare.... Tecnica di interpretazione uno degli status rationales da cui si ricavano argomenti in sè discutibili. I maggiori giuristi (Celso,ecc.) ritennero opportuno reagire anche contro una tendenza ricorrente a concepire le REGULAE come norme fissate una volta per tutte. Per Paolo giurista Severiano "il diritto non dev'essere ricavato dal regola, ma la regola dal diritto". In ogni fase della giurisprudenza classica, più ancora che nell'età repubblicana, si respinse la pretesa di fare della giurisprudenza una scienza dogmatica. I giuristi preferirono considerarla, invece, arte del verosimile, dell'utile, dell'aequitas.

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III - La giurisprudenza pre-adrianea. Sabiniani e Proculiani.

Il periodo della giurisprudenza classica che parte dall'epoca di Augusto ed arriva fino ad Adriano fu caratterizzata da due scuole rivali risalenti all'insegnamento di CAPITONE e LABEONE.

Esse presero il nome dai successori dei due capiscuola i primi definiti SABINIANI ( o CASSIANI) i secondi PROCULIANI.

Il contrasto si compose sotto Adriano quando il Sabiniano Salvo Giuliano accolse diverse tesi dei Proculiani. Per scuole si intendono dei gruppi informali in competizione fra loro.

SABINIANI: erano più propensi al sistema e all'applicazione della dialettica, Capitone politicamente aderì al nuovo regime, in campo giuridico era tradizionalista, si occupò di diritto pubblico e pontificio e forse il vero fondatore della scuola fu MASURIO.

PROCULIANI: seguirono i metodi tradizionali orientati alla casistica. Labeone era favorevole al vecchio regime, era in campo giuridico colto e innovativo, orientamento conservatore.

Grandi personalità della scuola SABINIANA:

CAPITONE;

MASSURIO SABINO;

CASSIO;

CELIO SABINO;

GIAVOLENO PRISCO;

ABURNIO VALENTE;

TUSCIANO;

SALVIO GIULIANO.

Grandi personalità scuola PROCULIANA (come ricordati da Pomponio): LABEONE;

NERVA P.;

PROCULO;

NERVA F.;

LONGINO;

PEGASO;

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CELSO P.;

CELSO F.;

NERAZIO.

IV - Da Adriano ai Severi.

In tale fase il CONSILIUM PRINCIPIS funzionò come organo di collegamento fra i giuristi e il potere imperiale. I giuristi dell'epoca antonianiana (CELSO e POMPONIO) si ritennero depositari di un sapere autonomo dotato di tradizione, tecnica e linguaggio a parte nonostante la collaborazione con il potere imperiale. La giurisprudenza e la legislazione imperiale del 2° e 3° secolo furono permeate dai valori dell'humanitas diffuse fra le classi colte dei filosofi stoici e neoplatonici. Vivere in modo raffinato, intelligente e virtuoso fu l'ideale del secolo.

L'aequitas (ovvero bonum et aequum) fu il motivo conduttore di tutta la giurisprudenza dell'epoca. Per i giuristi non si trattò solo di una generica interpretazione "flessibile" delle leggi (BENIGNITAS), ma di un criterio ermeneutica fondato sulla necessità di adeguare il diritto romano a valori umanitari e razionali, il rispetto per la persona, la sua dignità e la sua volontà. Si perseguì insomma un'interpretazione giuridica che apparisse ragionevole a tutte le classi colte della cosmopoli, in accordo con la volontà di Adriano di favorirne la fusione.

L'adattamento delle regole alle esigenze sociali doveva essere ricollegato alla RATIO cioè ad una "ragione civile" avvertita come tale dai Romani; o a una più comprensiva "ragione naturale" valida per tutto l'Impero. In altri termini questa naturalis ratio poteva essere variamente giustificata:

1) sistema dei valori di fatto prevalenti nelle classi colte della cosmopoli: accezione pragmatica di Gaio;

2) legge universale che prescrive i comportamenti obbiettivamente giusti: accezione che trionferà nei giuristi severiani e soprattutto in Ulpiano.

In epoca adrianea si affermò il concetto che il diritto dovesse radicarsi nella ragione e non nella tradizione, e che l'interpretazione dovesse ispirarsi a una certa larghezza. Nessuna legge doveva essere incompatibile con la natura umana e con l'utilitas generale o alla lunga sarebbe diventata inapplicabile. Nella ricerca della giusta soluzione del caso, si doveva sottoporre a indagine razionale persino le fonti normative imperiali, ricercando la "vera" voluntas del legislatore.

NERAZIO PRISCO console di scuola Proculiana era il fautore di una conciliazione fra Principato e libertas. Ritenne che la giurisprudenza avesse raggiunto un livello di stabilità e di perfezione da potersi porre il problema della certezza del diritto. Lo IUS doveva consistere in concetti definiti, sintetizzabili in regole dogmatiche coerenti con i principi generali che la tradizione Romana aveva fissato.

GIURENZIO CELSO giurista, console e caposcuola Proculiana si accanì contro le regole consolidate per affermare una versione innovatrice e antidogmatica del diritto. Voleva l'applicazione dell'aequitas in chiave evolutiva e la rivendicazione della funzione creatrice della giurisprudenza. E' celebre la sua definizione per cui il diritto è arte del buono ed equo, dell'equità.

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Si era affermata la sfiducia nell'impossibilità di imporre un metodo unificante per tutte le scienze. Per ARS si intendeva una disciplina intellettuale con un oggetto ed un fine determinato che richiedeva l'apprendimento di metodi peculiari. Il giurista era un operatore di una disciplina teorico pratica che si occupava di equità. Vedi diversità con Nerazio pag.255;

SALVIO GIULIANO console, giurista di scuola Sabiniana,fu incaricato della redazione di un testo ufficiale dell'editto perpetuo. Le sue opere esercitarono profonda influenza.In epoca giustinianea fu considerato il più importante giurista del passato. La sua opera più importante i Digesta (90 volumi).

SESTO POMPONIO giurista autore di ampi commentari a Sabino e all'Editto. Sua opera importante è ENCHIRIDION un manuale.

GAIO. Giureconsulto Romano di cui non si conosce la vera identità. Si pena che Gaio sia un prenome. Si ritiene che sia un provinciale ed aveva grande consapevolezza del diritto provinciale e insistette molto sul tema del IUS GENTIUM. Autore del manuale Istituzioni questo divenne celebre in età postclassica perché elementare, semplice, esauriente, rigidamente inquadrato in schemi dialettici fu usato come testo scolastico in epoche successive per gli studiosi del diritto. Esso constituirà il modello per le Iustitutiones della compilazione di Giustiniano. Le istituzioni Gasane sono formate da 4 libri e articolate secondo una successione di argomenti che avrà molto successo: persone, res, actiones. Questo manuale è l'unica fonte che descriveva come funzionavano le legis actiones e consente di capire come era strutturato il processo per formulas.

IV - Giurisprudenza tardo-classica.

Nel cuore della crisi del 3° secolo ha vita la fase della giurisprudenza tardo classica che si sviluppa e termina con la dinastica dei Severi (235).

Tale fase è detta anche BUROCRATICA perché i suoi maggiori rappresentanti furono ai vertici dell'apparato amministrativo e collaborarono con gli imperatori. Nell'età dei Severi 190/235 il giurista fu un collaboratore stretto del potere imperiale un burocrate e insegnante. I giuristi di corte interpretarono la loro arte come un tentativo di comprendere, al di là del diritto positivo, anche quello naturale il più importante giurista di tale fase fu PAPINIANO giureconsulto Romano, prefetto del pretorio con Settimo Severo e console fu fatto uccidere da Caracolla. Scrisse opere di carattere pratico (casistiche) che fornirono ampio materiale al Digesto o Questioners , reponsa, definitiones e a partire dal basso Impero fu considerato un modello cui ogni giurista doveva ispirarsi.GIULIO PAOLO fu assessore di Papiniano e prefetto del pretorio insieme ad Ulpiano e sotto Alessandro Severo. Le sue opere:note ai digesta di Giuliano alle questiones e responsa di Papiniano furono molto studiate dai post-classici. Egli vuole risistemare i risultati della tradizione casistica per renderla utilizzabile ad un pubblico meno colto che in passato. Particolarmente nota è la sua classificazione del diritto sulla base della diairesi IUS COMMUNE/IUS SINGULARE (vedi pag. 258).

ULPIANO giureconsulto Romano, allievo di Papiniano e prefetto del pretorio sotto Alessandro Severo e fu ucciso dai pretoriani nel 228. Fu scrittore prolifico e perseguì l'ideale della certezza del diritto in una monarchia assoluta e centralizzata. Fu permeato da una visione politica assolutistica e da un concezione filosofica giuridica di carattere moralistico. Compose commentari all'Editto (81 liberi). Solo nella tarda epoca post classica i giuristi si erano posti il problema di comprendere l'ordinamento statale all'interno dello IUS. L'ordinamento statale Romano è giuridicizzato pubblico e privato sono distinti sulla base di diversi interessi protetti. C'è una divisione fra IUS GENTIUM (insieme di norme comuni a tutti i popoli) e IUS CIVILE a cui si aggiunge il diritto naturale distinto da quello delle genti, preesistente ad esso e comune a popoli e tutte le

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Si pone il problema tra norme positive e naturali in caso di conflitto quali debbono prevalere?

Il sistema giuridico è stratificato in 3 ordinamenti sovrapposti:

1) IUS GENTIUM;

2) IUS CIVILE;

3) IUS NATURALE.

Il contrasto fra diritto e natura aveva alimentato un incessante dibattito nella cultura greca. Ulpiano sembra sostenere l'effettivo carattere giuridico del diritto naturale. IUS EST ARS BONI ET AEQUI: la formula di Celso venne adattata da Ulpiano a una concezione giusnaturalistica e moralistica che alla cultura cristiana dei compilatori giustinianei sarà sembrata accettabile. Il diritto non è solo una tecnica per risolvere i conflitti per Ulpiano il giurista si propone come oggetto di studio nella realizzazione del bonum e l'aequm.

Ultimo giurista classico è MODESTINO, giureconsulto e autore di operre destinate a pratici e studenti (responsa). Le ideologie e la produzione letteraria dei giuristi burocrati severiani eserciteranno una profonda influenza nella composizione del CORPUS IURIS. Il riconoscimento della volontà del Principe di un pieno valore normativo fu una delle premesse ideologiche dalla codificazione giustinianea. Un'altra fu l'ispirazione religiosa giusnaturalistica: sullo sfondo dello IUS NATURALE viene posta la volontà divina. I giuristi classici avevano porato il diritto ad approssimarsi a regole universali ed eterne, di origine divina.

CAP. 17

IL BASSO IMPERO.

I - La Constitutio Antoniniana.

La differenza essenziale del Dominato rispetto al Principato è individuata nela estensione del potere imperiale. Nell'Alto Impero il Principe è primo cittadino nel Basso Impero è considerato DOMINUS NOSTER (padrone nostro), al di fuori dell'ordinamento. Nel basso Impero cambiò l'ideologia del potere. Dopo la dinastia dei Severi l'imperatore fu sempre più inteso come un capo militare ed il ruolo dell'esercito nella sua elezione divenne determinante. L'esercito sostituì il popolo. Dopo la consultazione dei generali le truppe erano chiamate per acclamare l'imperatore designato a cui si conferiva diadema e manto di porpora simbolo di LEGITTIMA NOMINA. Il consenso del senato avveniva in un secondo momento e talvolta non ci si curò di chiederlo es. l'imperatore CARO 282-283 salì al potere con la sola acclamazione militare senza legittimazione del Senato. L'ultimo imperatore che governò in accordo con l'aristocrazia senatoria fu probabilmente VALERIANo (235-260). Il figlio GALLIENO, pur provenendo dai ranghi dell'aristocrazia, con l'emanazione di un editto che scludeva i senatori dal comando degli eserciti, completò e rese definitiva l'egemonia dei militari. Da COSTANTINO in avanti mentre i senatori come singoli mantennero un enorme prestigio, il Senato come organo perse ogni controllo sulla cosa pubblica.

Il Senato tentò con imperatori senatorii del 3° secolo di recuperare il potere ma con scarso esito. Le milizie

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 97/164 $LOGOIMAGE erano più forti dell'aristocrazia. Il culto dell'imperatore era divenuto una sorta di religione di Stato parallela a quella tradizionale ma Aureliano si proclamò eletto dagli Dei. Si aprì così la strada all'affermazione della monarchia teocratica di Diocleziano e di Costantino, su base cristiana. Con il riconoscimento del Cristianesimo come religione di stato, la chiesa assicurò agli imperatori una nuova ed efficace fonte di legittimazione. Si doveva obbedire al potere non solo per costrizione ma in coscienza (vedi apostolo Paolo: OMNIS POTESTAS A DEO). Il potere non derivava più dal basso, ma dall'alto, da una scelta divina. Con l'avvento del cristianesimo l'Impero si trasformò in una teocrazia (alleanza fra militari ed ecclesiastici). Oramai si dette per scontato che lo stato fosse monarchico e assemblee e magistrature fossero relitti istituzionali dell'assetto Repubblicano svuotati di potere. Da Costantino in poi il Senato perse ogni controllo sulla cosa pubblica. Già all'epoca dei Severi si dava per scontato il fatto che il Principe fosse esentato dall'obbedienza alle leggi, questa massima di Ulpiano trova completamento in un'altra sempre dello stesso autore, cioè ciò che decide l'imperatore ha valore supremo non segue le leggi ma le fa.

La distinzione in 2 fasi sulla base del presunto carattere semirepubblicano del Principato e dell'assolutismo monarchico del Dominato, appare frutto di una semplificazione. PRINCIPATO e DOMINATO sono difficilmente rappresentabili come epoche successive. Esse si prospettano come 2 alternative politiche sempre presenti nell'opera di un medesimo imperatore. Il buon Principe che prometteva di ripristinare l'autorevolezza del senato consolidato il suo potere spesso si rivelava un autocrate. La ripartizione fra fase del Principato e quella del Dominato è puramente convenzionale. Invece la cristianizzazione dell'Impero costituì una svolta istituzionale e quindi ha più senso distinguere fra Impero pagano e Impero romano-cristiano ponendo come discrimine temporale il 313. Altrettanto potrebbe dirsi della divisione dell'Impero fra PARS ORIENTIS e PARS OCCIDENTIS (395): scansioni troppo scoordinate dal tempo storico della giurisprudenza. Un altro discrimine temporale più significativo dell'avvento di Diocleziano è dato dalla CONSTITUTIO ANTONIANA DEL 212 con la quale Caracalla concesse ai peregrini domiciliati nell'Impero la cittadinanza lasciando invariata l'organizzazione della comunità e invariati gli obblighi fiscali e completando così quel processo di integrazione dei popoli soggetti iniziata da Augusto. Furono esclusi i DEDITICIII cioè probabilmente alcune categorie di liberti, e i barbari di recente sottomissione. Il diritto Romano venne così esteso a tutti. Il vero motivo era di natura fiscale perché l'imperatore intendeva far gravare anche sui sudditi l'imposta sulle successioni e sulla manomissioni.

Viceversa la costituzione recise il presupposto che giustificava i privilegi fiscali connessi con la cittadinanza Romana. Roma divenne uno Stato territoriale e venne meno il principio su cui si era costituito l'Impero: l'egemonia dell'elemento romanico-italico. Dopo il 212 ognuno fu cittadino romano, ma in un senso diverso rispetto quello antico, l'asse politico dell'impero progressivamente si spostò verso l'Oriente (più ricco e più colto). L'Italia e Roma si trasformeranno in PRAEFECTURA ITALIAE e cadrà ogni distinzione fra DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM (esente dal tributo fondiario) e "proprietà provinciale".

La tendenza universalistica insita nella costituzione Augustea ebbe nel Dominato la sua affermazione: meno legato all'Italia e all'etnia Romana l'imperatore si affermò come signore del mondo (DOMINUS MUNDI).

L'Impero divenne una monarchia territoriale impegnata a resistere alle tendenze, alla disgregazione, agli assalti delle genti esterne.

II - La crisi del 3° secolo.

Il basso Impero e giurisprudenza post-classica: connotazioni dispregiative in quanto età della decadenza e della caduta di Roma. Lo storico GIBBON (in una prospettiva illumistica) attribuiva le responsabilità di tale crisi alla diffusione del Cristianesimo: il basso Impero fu il trionfo delle barbarie e della religione. I cristiani presi

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 98/164 $LOGOIMAGE dalla fine del mondo si distaccavano dai problemi terreni della città, per concentrarsi su quelli della CIVITAS DEI (tesi ripresa da TONYNBEE). Alcuni proposero ipotesi darwinistiche o razziste: come l'eliminazione dei migliori (SEECK) cioè la decadenza biologica delle classi dirigenti antiche o la mescolanza con altre razze (FRANK). Da ROSTOVZEV (influenzato dagli sviluppi della rivoluzione russa) fu sostenuta la tesi di una rivoluzione contadino-militare contro le borghesie municipali ed il ceto senatorio, culminata nel regime terroristico di MASSIMINO IL TRACE. Altri parlavano della mancanza di braccia e del sistema schiavistico in declino (WEBER).

In realtà si può parlare di decadenza e di catastrofe solo per l'Occidente ed è difficile ricondurla ad una causa unica. Dal regno di Caracalla in poi interagirono più emergenze (politico-militare, demografica, finanziaria, socio-economica, culturale e religiosa) che vanno sotto il nome di crisi del 3° secolo.

Da essa la società Romana ne uscì trasformata. Crollò la civiltà contadina e si affermò la grande proprietà fondiaria coltivata dai servi della gleba. Il ceto senatorio concentrò nelle proprie mani immensi complessi terrieri, tendenzialmente autosufficienti, dal punto di vista economico e persino militare, sottoforma di latifondi continui e organizzati in MASSAE. Ciascuna MASSA era composta da una villa coltivata da schiavi e da molti piccoli fondi.

A questo si accompagnò una grande decadenza dei commerci e quindi delle città. Si crearono le premesse per l'affermazione di una economia chiusa, soprattutto quella fondamentale: il legame giuridico del contadino al fondo, che si svilupperà dall'epoca diocleziana. Il 3° secolo fu epoca di crisi del sistema schiavistico: sembra probabile (GILIBERTI) che il passaggio a una diversa forma di rapporti produttivi fosse dovuta alla scarsa produttività del lavoro servile e alla mancanza di lavoratori liberi

Nell'Alto Impero alla carenza di coloni e salariati liberi i proprietari rispondvano con fittavoli e operai di condizione servili, schiavi per debiti (NEXI) e LATINI IUNIANI. In realtà il lavoro degli schiavi conveniva solo nel'ambito della villa...parcelle.....

Nel 3° secolo epoca di vistosa contrazione demografica e di abbandono delle terre, per le guerre civili e le invasioni (che favorivano diffusione peste) la tendenza fu di passare alla piccola affittanza.

L'incremento delle spese per il mantenimento dell'esercito e l'organizzazione ecclesiastica rese necessario aumentare la pressione fiscale. La CURIA divenne un esattore collettivo, responsabile delle imposte. I curiali tendevano a sottrarsi con la fuga a questo obbligo e l'Impero reagì rendendo ereditaria la loro funzione e obbligatorio il legame al fondo.

Il passaggio decisivo verso la legalizzazione del vincolo della gleba per i fittavoli poveri deve essere stato il periodo delle guerre civili (235-284) invasioni, epidemie, insurrezioni di schiavi e di contadini. Questi fenomeni ridussero la popolazione agricola e le terre coltivate. Si diffuse anche il fenomeno della "protezione" dei potenti nei confronti dei contadini singoli.

Sotto i Severi si era sviluppato un fenomeno di deprezzamento della moneta. Le entrate diminuirono a causa delle crisi commerciali, della scarsa natalità e della desertificazione del suolo agricolo. Non riuscendo a fronteggiare le spese gli imperatori ridussero più volte il tenore d'oro e d'argento nelle monete innescando una forte inflazione che Diocleziano tentò di arrestare introducendo nuove monete più accette al pubblico e Costantino bloccò l'inflazione ancorando il sistema monetario ad una moneta aurea il SOLIDUS.

Un'altra componente della crisi del 3° secolo fu politica e militare. L'Impero si dimostrò incapace di darsi una guida durevole nel corso della 3^anarchia militare, fino alla ascesa di Diocleziano. Ci fu un periodo in cui l'imperatore sembrò rompersi in 3 tronconi. Le guerre civili e le invasioni favorirono la diffusione della peste. Altra causa di crisi fu di carattere religioso e culturale. Tutta la storia dell'Impero fu caratterizzata dalla tendenza ad abbandonare il politeismo, in direzione di religioni orientali. Nell'età del Principato si erano diffusi

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 99/164 $LOGOIMAGE l'ebraismo il Cristianesimo, eccetera.

III - Diocleziano e la tetrarchia.

Nel basso Impero la regalità assunse almeno 3 forme:

1) un tipo di monarchia assoluta;

2) la tetrarchia di Diocleziano;

3) la monarchia teocratica.

Con l'avvento al potere di Diocleziano nel 284 DC si ebbe un tentativo di rispondere a 2 gravi questioni:

1) contrastare le tendenze alla scissione dell'Impero, decentrando il potere amministrativo e militare;

2) risolvere razionalmente il problema della successione;

La prima mossa (286) consistette nell'associare al potere il generale MASSIMIANO (titolo di Cesare e poi di Augusto) governò l'Occidente, poi (293) Diocleziano scelse 2 Cesari perché fossero adottati dagli augusti e destinati a succedere loro: COSTANZO CLERO per Massimiano e GALERIO per DIOCLEZIANO. Si passò così dalla diarchia alla tetrarchia.

Questo sistema portava ad un decentramento del potere amministrativo e militare. Il generale Augusto Massimiano a cui sarebbe succeduto come suo Cesare Costanzo Clero risiedette ad Aquileia o a Milano e si occupò dell'Africa, della Spagna e dell'Italia. Diocleziano da Nicomedia governò l'Oriente e come suo Cesare a succedergli ci sarebbe stato Galerio. Il Senato con questo sistema sarebbe stato emarginato dalla procedura della successione. Alla scomparsa dell'Augusto il suo Cesare avrebbe scelto un suo successore. Gli augusti avevano pari poteri solo nominalmente di fatto Diocleziano deteneva una autorità suprema. Con due Augusti e 2 Cesari al potere l'Impero si frammentava in 4 blocchi disomogenei (ai 2 Cesari spettava la Gallia Britannica e zona Danubiana) economicamente e culturalmente si divise il territorio in zone di influenza controllate ciascuno da un tetrarca. Roma rimase il simbolo dell'unità dell'Impero anche si di fatto Nicomedia scelta da Diocleziano fu la capitale (Asia Minore). Al vertice dello Stato ci furono i prefetti del pretorio cui venne tolto il potere militare. Essi erano alle dipendenze degli augusti. Le provincie arrivarono a 100. Altra importante riforma per la quale si ricorda Diocleziano è l'investimento in campo militare formando 2 milizie le prime quelle di frontiera (limitanei) destinato ad assorbire l'urto contro i nemici e una armata interna campale (comitantenses). Il potere militare fu ceduto ai Magisti-militum.

Diocleziano riformò il sistema fiscale dividendo tutto l'Impero in unità imponibili: gli IUGA o giochi di varia estensione, secondo le provincie, sulla base dei quali si calcolava il tributo fondiario. Di fronte al fenomeno di inflazione sempre più difficile da controllare sembrò una buona idea varare un calmiere (EDICTUM DE PRETIIS RERUM VENALIUM) che stabiliva minuziosamente i prezzi delle merci di maggiore importanza comprese le tariffe dei professionisti . Tale provvedimento fu una delle manifestazioni più impressionanti del dirigismo statale che caratterizzò il basso Impero. Il sistema tetrarchico si dimostrò una costruzione troppo artificiosa per poter durare. Nel 305 Diocleziano si ritirò al potere imponendo altrettanto al suo collega. I due

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Cesari divennero Augusti ma la tetrarchia non cessa. Si aprì una fase di anarchia con una grande schiera di pretendenti al soglio imperiale. La forza delle armi risultò l'unica fonte di potere e si innestò un confronto di carattere religioso. Constantino riuscì nel 324 DC ad avere la meglio su tutti grazie alla scelta politica di sostenere il Cristianesimo.

IV - Il Cristianesimo e l'Impero.

Le comunità cristiane non erano ufficialmente riconosciute. In genere lasciò la libertà di culto e di predicazione cercando di contenere l'avversione che l'opinione pubblica pagana e ebraica manifestava nei suo i confronti.

Fra il 62-63 Nerone iniziò una politica di controllo ideologico che ebbe come vittima i cristiani, la persecuzione interrotta alla sua morte fu ripresa da Domiziano sulla base dell'accusa di empietà e di abbandono delle tradizioni Romane per quelle ebraiche. Gli Antonini rifiutarono di adeguarsi all'ostilità contro i cristiani pur ritenendo fondata l'accusa di empietà. Traiano proibì la persecuzione cristiana sula base di denuncie anonime, Adriano vietò le persecuzioni indiscriminate e ordinò la condanna dei cristiani solo dopo lo svolgimento di un regolare processo. Alla fine del 2° secolo il cristianesimo era diffuso in ogni parte dell'Impero, e persino a corte.

Il primo riconoscimento della liceità del cristianesimo si ebbe con editto di Gallieno 260 che consentiva a chiunque di professare liberamente la propria fede.

La repressione fu ripresa da Diocleziano intorno al 300 ma il Cesare Costanzo Cloro in Britannia Gallia fu più tollerante e la stessa linea politica fu adottata da Costantino che restituì i beni ecclesiastici confiscati con l'EDITTO DI MILANO 313 che fu probabilmente un semplice accordo politico.

La cristianizzazione delle istituzioni ebbe il suo punto di svolta con Teodosio che con l'EDITTO DI TESSALONICA del 380 vietò il culto pagano.

V - Costantino. L'Impero Romano-cristiano.

Venne abbandonato il sistema tetrarchico e Costantino stabilì la propria capitale a Bisanzio divenne la seconda Roma e richiamata Costantinopoli. Il principio teocratico e l'intervento dell'imperatore nelle vicende interne della chiesa sembrò aver eliminato ogni limite al potere imperiale. Il dualismo tra potere temporale e quello spirituale caratterizzò tutto il periodo medioevale. Il detentore del potere temporale dovette misurarsi con gli interessi spirituali e materiali della Chiesa con la sua potenza politica ed economica. Nel 4° secolo la chiesa si diede una forte organizzazione territoriale e gerarchica basata sulla diocesi sottoposte al potere spirituale ed amministrativo dei vescovi. Il papa nonostante l'opposizione del clero egizio fu nominato capo della chiesa. Gli ecclesiastici ottennero l'esenzione dai munera pubblici e poi dall'imposizione fondiaria e personale. La proprietà della chiesa acquisirono l'esenzione fiscale e vennero considerate patrimonio vincolato alla destinazione religiosa ed umanitaria. La concezione teocratica costantiniana esigeva che il sovrano venisse legittimato dall'altro applicando il principio Paolino che ogni potere viene da Dio. L'imperatore si definì vescovo di coloro che sono al di fuori della gerarchia ecclesiastica. Gli si presentava come tutore della Chiesa per tutte le questioni non attinenti alla fede. Si inaugurò una politica di intervento del potere imperiale in campo religioso detta CESAROPAPISMO (Costantino intervenne nei concilii).

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Il rapporto tra potere politico ed ecclesiastico venne reimpostato successivamente sulla base delle riflessioni teologiche di Ambrogio e Agostino. L'imperatore era un cristiano come gli altri che non poteva interferire nelle vicende interne della Chiesa, non poteva disporre dei beni ecclesiastici senza concessione vescovile.I due poteri erano indipendenti. Ma quello ecclesiastico era egemone perché i sacerdoti rendono conto ai tribunali di Dio oltre a quelli terreni.

VI - Dalla tarda romanità all'Impero Bizantino.

L'Impero tornò a dividersi nel 337 alla morte di Costantino che aveva nominato Cesari i tre figli.

Le lotte fra i successori terminarono in modo che l'Impero fosse unificato sotto Costanzo II°.

La scissione definitiva del territorio in una pars Orientis e una pars Occidentis si ebbe solo con la morte di Teodosio il Grande che nel 395 lasciò l'impero ai due giovanissimi figli Arcadio e Onorio.

Nel 5 secolo la civiltà Romana si concentrò sulle rive del Mediterraneo e le popolazioni germaniche tentarono di usare le strutture Romane a proprio vantaggio (es. i Goti). Essi volevano sostituirsi alle classi dirigenti e ai ceti medi che avevano un tenore di vita superiore al loro. I re barbarici si poponevano di essere accettati con le buone o con le cattive, come alleati.

La fine dell'Impero d'Occidente fu preparata dallo stazionamento dei Visigoti entro i confini nel 376 (nel 377 Alarico dilagò in tutto l'Impero). Nel 410 arrivarono a saccheggiare Roma. I territori occidentali Romani furono conquistati da popolazioni di cultura diversa che per numero e cultura erano inferiori agli indigeni pertanto non furono in grado di stravolgere le antiche istituzioni, giuridiche ed amministrative. Il primo stabile regno germanico entro il territorio dell'Impero venne creato subito dopo dai vandali che dominarono Sicilia e Sardegna, Africa. In Francia e Spagna si stabilirono i Visigoti ed i Burgundi la Bogogna.

Nel 476 Odoacre depose Romolo Augusto decretando la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. L'Oriente era solo a rappresentare l'idea di Impero universale. Era uno stato di religione cristiana ma legato alla tradizione amministrativa e giuridica di Roma. I moderni preferiscono parlare di Impero bizantino, attribuendo alla caduta di Roma il significato di una radicale rottura nella storia del mondo antico.Ma paradossalmente, i sudditi dell'imperatore continuarono a definirsi (in greco) "Romàioi". E "Romani" furono poi chiamati dagli Arabi, dai Persiani, dai Turchi, in contrapposizione ai "Franchi", cioè agli abitanti dell'Europa occidentale.

CAP. 18

L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA NEL BASSO IMPERO

I - Le capitali. Il Senato e i magistrati.

Costantinopoli venne amministrata allo stesso modo di Roma. Le capitali non erano sottoposte al Prefetto del

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 102/164 $LOGOIMAGE pretorio ma ciascuna era sottoposta al potere amministrativo di un proprio PRAEFECTUS URBI. Il prefetto aveva anche giurisdizione civile e penale ed era dotato di IUS GLADII. Gli erano sottoposti altri prefetti. Ebbero ciascuno i propri pretori e questori (scelti dai rispettivi senatus).

Il Senato: entrambi i senatori erano ridotti alla funzione di consigli cittadini con poche delle antiche attribuzioni. Erano ancora degli importanti di consulenza legislativa (insieme con il CONSISTORIUM) e talora funzionavano come Corti di Giustizia, su delega dell'imperatore. La dignità senatoria era di fatto ereditaria ma si era ammessi nell'AMPLISSIMUS ORDO solo dopo aver rivestito la carica di pretore (spese per allestimento giochi). Nel IV secolo i membri dell'ordine senatorio furono divisi in gruppi di differente dignità, in rapporto alle cariche amministrative rivestite (ILLUSTRES, SPECTABILES, CLARISSIMI). Nel V la prima categoria fu immune da ogni prestazione pubblica, ed ebbe il privilegio di essere giudicata personalmente dall'imperatore. Ma essere annoverati nell'ORDO SENATORIUS non significava necessariamente partecipare ai lavori del Senato e alla carriera politico-amministrativa: si diventava "SENATORI ATTIVI" con l'elezione alla questura.

LE MAGISTRATURE erano ridotte a poco più che incarichi onorifici. La coppia di consoli fu nominata dall'imperatore e composta da un magistrato per ciascuna delle parti dell'Impero. Alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente il sovrano dell'Impero d'Oriente assunse il titolo di console perpetuo. Sotto Constantino il processo di separazione fra potere militare e civile avviato da Diocleziano, fu concluso. L'esercito era sotto il comando dei Duces, che controllavano le truppe di diverse provincie. I ministri della guerra magisteri militium erano 2 per la fanteria e la cavalleria.

II - Gli organi centrali di governo.

Un documento del 5° secolo NOTITIA DIGNITATUM descrive le alte cariche dello Stato civili e militari . L'amministrazione civile fu chiamata MILITIA PALATINA (milizia di palazzo) e aveva una organizzazione, una divisa e dei simboli ispirati alla vita militare. Al vertice di questa organizzazione ci sono i 4 maggiori dignitari civili. Il più importante era il MAGISTER OFFICIORUM che era il capo della cancelleria imperiale. Egli aveva alle sue dipendenze vari dipartimenti della cancelleria: epistolarum - dispositonum (che si occupava dei viaggi dell'imperatore e della corte) era anche capo della guardia imperiale, di agenti segreti, di un corpo di ispettori della pubblica amministrazione infine era maestro delle cerimonie e riceveva le delegazioni diplomatiche. Subito dopo veniva il MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, figura introdotta da Costantino che elaborava e controfirma il testo dei provvedimenti imperiali e questo seguiva il MINISTRO DELLE FINANZE che era l'amministatore del fiscus ed elargiva lo stipendio a impiegati e soldati. Per ultimo si aveva il MINISTRO DELLA REAL CASA che amministrava le RES PRIVATAE imperiali. Esistevano altri ministri di rango inferiore incaricati di varie incompetenze. Le massime cariche dello Stato, compresi i prefetti del pretorio e imagistri miloitum erano raccolti nel Consiglio della Corona, definito CONSISTORIUM. I membri che ne facevano parte rimanevano in piedi alla presenza dell'imperatore (etichetta di corte) e i notarii verbalizzavano le sedute. I gran ciambellano provvedeva alla organizzazione e alle spese della corte. Veniva spesso scelto un eunuco per scoraggiare complotti ed usurpazioni in quanto non sarebbe ma stato tollerato come imperatore.

III - L'amministrazione periferica.

Da Costantino venne affidato a ciascuno dei prefetti l'amministrazione di uno specifico territorio, sicchè l'Impero venne articolato in prefetture il cui numero oscillò tra 2 e 4. Infatti dopo la morte di Teodosio rimasero

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 103/164 $LOGOIMAGE Oriente e Illiria nella pars Orientis e Gallia, Italia, Africa nella pars Occidentis. I prefetti del pretorio promulgavano le costituzioni imperiali mediante propri editti, essi erano autorizzati ad emanare ordinanze generali (FORMAE). Essi riscuotevano l'annona, pagavano impiegati e militari (lo stipendio) erano giudici di appello in sostituzione dell'imperatore. Diocleziano divise l'Impero in zone relativamente omogenee dal punto di vista etnico con le DIOCESI (da 12 a 14). Queste erano sottoposte a un vicarius del prefetto che in realtà sembra dipendere direttamente dall'imperatore e che sorvegliava l'operato dei governatori e giudicava in appello avverso le loro sentenze. Ogni diocesi era divisa in più provincie. La prefettura d'italia comprese da 2 poi 3 diocesi (Africa e Italiciana - Italia sud -) Da Costantino in poi fu amministrata da 2 vicari con due distinte diocesi ANNONARIA (Liguria-Venezia Istria) sotto il VICARUS ITALIE e la SUBURBICARIA (Umbria, Campania, Calabria, Corsica, Sardegna) sotto il vicarius in urbe.

Le città erano amministrate dalle curie cioè dai consigli composti da notabili (curiali o decurioni) obbligati a farne parte responsabili dell'esazione fiscale e dei munera pubblici. L'entità dei munera stimolò fughe e manovre per sottrarsi alla condizione di curiale in quanto si rispondeva personalmente. Pertanto fu necessario rendere questa figura a ruolo ereditario. Ben presto rispondendo personalmente, i ciurlai costretti al compito (ereditarietà) furono indotti a trasformarsi in persecutori dei contribuenti. La curia eleggeva annualmente Edili curuli, duoviri e questori.

IV - La riforma fiscale.

L'antico Erario Saturni era diventata una semplice cassa cittadina tanto che ormai si intendeva per Erario il fiscus imperiale. Alla amministrazione del COMES SACRAMENTORUM LARGITORUM (ministero delle finanze) facevano capo gli introiti delle imposte indirette, il controllo delle manifatture di stato e le contribuzioni pecuniarie.

Al COMES RERUM PRIVATORUM (ministro della real casa) spettava la gestione dei latifondi imperiali, l'amministrazione dei beni vacanti e quelli confiscati. Ai Prefetti del pretorio competeva la gestione dell'annona militare e civile e il rifornimento di grano per Roma. I contribuenti potevano essere obbligati a vendere alla pubblica amministrazione prodotti a prezzo inferiore a quello di mercato.

Da Diocleziano l'imposizione fiscale venne profondamente riformata. L'imposta fondiaria da cui si traeva l'annona venne riformata e l'imposta fu calcolata combinando 2 sistemi diversi: si misurava l'estensione della terra coltivabile e la forza lavoro che la coltivava. Il prelievo veniva diviso tra le provincie e l'imposta veniva a gravare su delle unità fondiarie (iuga) fissare in misura diversa nelle varie provincie considerando i tipi di colture e la produttività dei terreni. Si faceva inoltre riferimento al numero degli animali che si trovavano nel fondo e il numero di coltivatori in età lavorativa. A ciascuna proprietà corrispondeva l'annotazione catastale dei CAPITA per i quali bisognava pagare. Generalmente si calcolava l'estensione tenendo conto anche delle colture e delle caratteristiche agronomiche (IUGATIO da IUGAM: giogo). Si faceva inoltre riferimento al numero degli animali e dei coltivatori in età lavorativa stabiliti sul fondo, computandoli in vario modo. L'imposta fondiaria denominata indifferentemente CAPITATIO TERRENA o IUGATIO, combinava quindi due parametri diversi, permettendo di calcolare con una certa approssimazione la capacità contributiva del fondo. Ogni 5 anni veniva calcolato quanto si doveva versare per ogni unità fondiaria (INDICTIO). Le terre incolte venivano distribuite coattivamente ai proprietari di fondi fertili che ne restavano responsabili nei confronti del fisco. Le prestazioni che, in linea di principio erano in natura, potevano essere aderate (cioè commutate in denaro), risparmiando alle pubbliche autorità i problemi del trasporto e dello stoccaggio di derrate. I contribuenti potevano inoltre essere obbligati alla vendita forzosa dei prodotti (COEMPTIO), a prezzo inferiore a quello di mercato, esponendo i contribuenti alle vessazioni dei funzionari.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 104/164 $LOGOIMAGE In molte provincie sopravviveva il tributo personale (CAPITATIO UMANA) invariabile dall'età del Principato abbandonato con Diocleziano. Ma i plebei rimasero sottoposti a un obbligo ben più gravoso: vennero obbligati a non allontanarsi più dall'unità amministrativa dov'era fissata la loro residenza fiscale (ORIGO). Gli affittuari privi di terra propria furono registrati nel fondo del proprietario cui venne affidato il compito di riscuotere le imposte per conto dello stato (nel IV secolo venne poi attribuito ai grandi proprietari il privilegio di pagare le imposte direttamente al governatore della provincia - AUTOPRAGIA - eliminando la mediazione dei curiali). I proprietari vennero divisi in gruppi (CAPITULA) collettivmanete responsabili sia dell'imposta che della fornitura di reclute per l'esercito. Alle esigenze della pubblica amministrazione era connesso anche il sistema dei MUNERA o liturgie, prestazioni obbligatorie di lavoro manuale o di concetto di vario genere. Le curie cittadine avrebbero poi avuto la responsabilità generale dell'esazione nel territorio, sotto il controllo del prefetto del pretorio.

Il sistema Dioclezianeo che nelle intenzioni avrebbe dovuto risolvere definitivamente i problemi dell'annona, richiedeva per tutti i contribuenti l'individuazione di una residenza fiscale obbligatoria e definitiva. Da questo coerentemente con la mentalità militaresca e burocratica di Diocleziano, derivò la spinta decisiva all'affermazione della servitù della gleba. Un fenomeno caratteristico del Basso Impero fu infatti la tendenza a rendere ereditarie le attività ritenute essenziali per l'Impero.

CAP. 19

LEGISLAZIONE IMPERIALE E GIURISPRUDENZA POSTCLASSICA.

I - Il sistema delle fonti.

Nell'età del Dominato si affermò la concezione secondo la quale tutto lo IUS derivava dalla volontà dell'imperatore ("legge vivente" "lex animata"), che ne era l'unico interprete. Lo IUS RESPONDENDI cadde quindi in desuetudine e l'ordinamento fu ricondotto a norme legislative poste in essere con procedimenti formali.

La tipologia delle costituzioni cambiarono molto rispetto all'età del Principato. Gli EDITTI si caratterizzarono come provvedimenti normativi detti LEGES GENERALES. Esse erano indirizzati a un Prefetto, al Senato o al popolo, e poi pubblicati mediante affissione. Tutti gli altri provvedimenti rispetto a questo tipo di costituzioni erano LEGES SPECIALES.

RESCRITTI ED EPISTOLE: dopo Diocleziano furono poco usati e Costantino negò la validità qualora non fossero stati conformi alle norme vigenti.

DECRETI e MANDATI non esplicarono i loro effetti al di là del caso concreto.

Fu introdotta una nuova forma di costituzione di efficacia minore rispetto alla legge generale detta PRAGMATICA SANCTIO (PRAMMATICA SANZIONE): provvedimento emanato in risposta a richieste di riforme amministrative provenienti da autorità pubbliche.

Accanto alle costituzioni si affermò un'altra fonte non scritta che non aveva attirato l'attenzione dei giuristi la

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CONSUETUDINE (consuetudo, ius ex non scripto). Fu proprio il trionfo della legge scritta a darle spazio come mezzo per adattare alle necessità sociali un diritto troppo rigidamente stabilito. Le consuetudini provinciali riuscirono ad imporsi nella prassi dei tribunali.

Il diritto scritto nel linguaggio giuridico del Basso Impero veniva distinto in LEGES NOVAE: costituzioni imperiali e IUS VETUS o IURA, termine col quale si intese il diritto antico, e in modo particolare - in alcuni testi - quello derivante dall'attività dei giuristi classici. Quanto alla giurisprudenza postclassica, essa perse completamente la funzione di fonte del diritto.

II - La giurisprudenza postclassica.

Conclusa la dinastia dei Severi il livello tecnico e culturale dei giuristi decadde di colpo. Quella postclassica fu una giurisprudenza semplice ed anonima di carattere pratico o scolastico.I giuristi sapevano che non erano più creatori ma che dovevano limitarsi a studiare ed insegnare. La decadenza della cultura giuridica condeterminò la scomparsa delle scuole di diritto in questo periodo 4° secolo si affermarono grandi istituti pubblici di formazione giuridica a Roma, Bisanzio, Beirut. All'interno delle scuole si studiavano le costituzioni imperiali, la giurisprudenza dell'epoca classica, ecc. La produzione letteraria tardoromana fu caratterizzata dall'attività di semplificazione dei testi dell'età del Principato. Si interveniva sui testi con aggiunta o sottrazione di parole o frasi. La corruzione degli originali poteva operarsi anche involontariamente a causa di errori del copista. Poteva capitare che una nota (glossa) segnata a margine o tra le righe venisse attratta nel testo per errore. Generi letterari molto diffusi nell'età del Dominato furono L'EPITOME cioè il sunto di una intera opera o la PARAFRASI il sunto semplificato di brani. Per INTERPRETATIO si intende un commento estremamente schematico. Il materiale scrittorio ed il lavoro di copisteria erano molto costosi perciò si utilizzavano più volte papiri e pergamene grattando via il testo che non serviva più. Attività tipica dei giuristi post classici fu la compilazione di raccolte sistematiche di leges e di iura e non sempre si avevano copie affidabili dei testi legislativi specie dei più antichi. Il pratico cercava la regola giuridica espressa nella maniera più semplice e destinate ai pratici erano le cosiddette "compilazioni a catena" composte di frammenti di vari giuristi classici organizzati per argomenti erano delle antologie nelle quali si mescolavano responsi, istituzioni e costituzioni imperiali. Nell'ambito di un ordinamento non più la base giurisprudenziale nel basso Impero si pose il problema di codificare gli IURA e di stabilire i criteri per il loro utilizzo nei processi. Il 1° a intervenire fu Costantino che proibì l'uso di alcune opere di Paolo e di Ulpiano senza ottenere successo.

L'intervento imperiale di gran lunga più importante fu la cosiddetta "legge delle citazioni" introdotta da Valentiniano 3° nel 426 ed estesa all'Oriente nel 438 da Teodosio II. Essa restringeva le opere utilizzabili come fonti giurisprudenziali ai testi di Papiniano,Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino. Nessun'altro giurista poteva essere prodotto come fonte in un processo (a meno che il suo parere non venisse citato da qualcuno dei cinque, e non si fosse in grado di esibire il testo originale). Era ovviamente possibile che le parti adducessero opinioni di giuristi in contrasto fra loro: in quel caso, il giudice avrebbe deciso sulla base di una specie di "votazione", mettendo a fronte i vari pareri e additando quello della maggioranza. In caso di parità si doveva scegliere l'opinione di Papiniano. Era un modo sbrigativo, adatto ad una cultura giuridica decaduta, per riutilizzare la giurisprudenza dell'epoca classica.

Fra le opere orientali si ricorda i Dikaiomata opera didattica del 6° secolo detto libro Siro-Romano.

Importanti tentativi di codificazione delle leges imperiali furono 2 raccolte private:

1) il CODEX GREGORIANUS: fu compilato in Oriente da un certo Gregorio, nell'ultimo decennio del III secolo. 15 libri che seguivano l'ordine edittale, divisi in capitoli (TITULI), che raccoglievano in ordine

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2) il CODEX HERMOGENIANUS: anch'esso di origine orientale, venne composto dal giurista minore Ermogeniano, o da un altrimenti sconosciuto Ermogene. Costituiva aggiornamento del Gregoriano, contenendo in un solo libro rescritti di Diocleziano emanati subito dopo la pubblicazione del codice precedente.

Essi contenevano leges speciales ovvero rescritti che andavano dall'epoca di Settimio Severo a quella di Diocleziano : per Codex si intendeva un libro composto di fogli spianati di pergamena, in contrapposizione al più costoso rotolo (VOLUMEN) papiraceo.

IV - Il Codice Teodosiano.

Con esso si ebbe la prima codificazione ufficiale delle costituzioni imperiali emanato da Teodosio secondo imperatore d'Oriente nel 438.

Nel 429 DC una costituzione di Teodosio aveva costituito una commissione di 7 funzionari e da un docente di diritto perché fosse curata la pubblicazione di 2 codici. Il primo codice doveva avere carattere scientifico e raccogliere la leges generales da Costantino in avanti indipendentemente che alcune fossero ancora in vigore o meno.

Le costituzioni dovevano essere disposte in libri e titoli seguendo i codici Gregoriano ed Ermogeniano.

La seconda raccolta doveva essere accompagnata da un commento tratto da opere giurisprudenziali. Tale lavoro richiedeva una notevole preparazione culturale e il progetto si rivelò inattuabile.

Nel 435 si ripiegò su un obiettivo più limitato in quanto una commissione di 16 persone avrebbe prodotto un unico testo. I compilatori potevano compiere interventi sui testi per semplificarli, correggerli, eliminando ripetizioni. Il codice 3 anni dopo fu pubblicato esso è diviso in 16 libri articolati in titoli.

Il Codice Teodosiano tratta anche di diritto privato ma rappresenta la più importante fonte di conoscenza di diritto pubblico (amministrativo, finanziario, ecclesiastico, penale) del Basso Impero.

Entrò in vigore in Oriente nel 439 e fu adottato anche da Roma dopo il consenso del Senato. L'opera ci è pervenuta in diversi manoscritti di origine occidentale, tutti incompleti e i suoi materiali furono utilizzati per la compilazione delle leggi Romano-barbariche e per il codice giustinianeo. Infatti un'ampia parte del Codice Teodosiano è giunta tramite una codificazione barbarica la LEX ROMANA VISIGOTHORUM che ne riutilizzò il testo. Si usa citare le costituzioni del Teodosiano con una sigla cui si segna una sequenza numerica che si riferisce al libro, al titolo, alla costituzione, al paragrafo.

IV - Le "leggi Romano barbariche".

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L'invasione dei territori dell'Europa occidentale e dell'Africa aveva posto il problema dei rapporti giuridici fra Romani e barbari (gli ultimi fino a questo momento non avevano la cittadinanza) . La civiltà dei Dominatori tese a modellarsi su quella dei dominati ma i fondamenti della cultura giuridica rimasero diversi.

Non potendosi fondere i due ordinamenti per decreto i re barbarici dovevano scegliere fra due soluzioni:

1) adottare il principio della territorialità (un solo ordinamento valido per Romani ed invasori);

2) quello della personalità del diritto (applicare norme diverse alle 2 etnie).

Per leggi Romano barbariche si intendono le compilazioni emanate dai monarchi dei territori un tempo appartenenti all'Impero d'Occidente indirizzate ai sudditi Romani. Tali codificazioni ubbidirono al principio della personalità del diritto furono scritte da giuristi Romani e rivolte ai sudditi autoctoni.

L'EDICTUM THEODERICI fu indirizzato all'intera popolazione e pubblicato intorno al 500 DC. Theodorico re degli Ostrogoti evitò la politica di segregazione etnica poiché si proponeva come rappresentante dell'imperatore d'Oriente e non un re indipendente. L'editto di Teodorico era una codificazione primitiva 154 articoli tratti in massima parte dai codici precedenti Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano.

La più importante codificazione Romano barbarica fu la LEX ROMANA WISIGOTHORUM composta per volere di Alarico 2° Re dei Visigoti (è chiamata anche BREVIARUM ALARICIANUM). I visigoti occupavano un territorio che comprende la penisola iberica e l'attuale Francia (l'Occidente Romanizzato). Essa è un'opera vasta e complessa dell'editto di Teodorico raccoglie leges e iura ovvero larga parte del codice Teodoriano e inoltre costituzioni emanate dopo la sua pubblicazione. Nonostante la sua povertà tecnica ebbe una grande e duratura influenza ance dopo la fine del regno visigoto. Essa fu recepito dal Regno dei Franchi che lo adottò fino al 13° secolo. Probabilmente da essa fu tratta l'ispirazione pe la struttura del corpus iuris. Si ricorda la LEX ROMANA BURGUNDIONUM emanata da Gundobardo (Borgogna) che risale al 6° secolo DC che utilizza gli stessi materiali della codificazione Visigota ma rielaborati con molta libertà.

Dopo questi primi esperimenti di codificazione comprensiva di materiali giurisprudenziali e LEGES, sotto Giustiniano si creano le condizioni politiche e tecniche per elaborare una nuova sintesi della cultura giuridica romana, l'ultima sua grande manifestazione. Il diritto propriamente romano finirà, così, con una grandiosa opera di codificazione, di gran lunga più avanzata di quelle precedenti. Dopo si svilupperanno, sul medesimo tronco della cultura romana, due tradizioni giuridiche divergenti: di matrice romano-germanica in Occidente, e greco-bizantina in Oriente.

Le dinastie imperiali.

I GIULIOCLAUDI governano dal 27 AC al 59 DC. Di questa dinastia sono importanti alcuni principi: AUGUSTO in quanto promotore del Principato; CALIGOLA che sembrava volesse la restaurazione Repubblicana decretando alla sua morte un blocco della fase di successione dei principi. Dopo aspri scontri le milizie infatti imposero CLAUDIO fu un uomo colto e gettò le premesse del mecenatismo. Per ultimo si ricorda NERONE che esercitò un profondo controllo ideologico manifesto con la persecuzione delle comunità cristiane. Con Nerone si consolidò il carattere giuridico dell'acclamazione dell'imperatore da parte delle milizie.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 108/164 $LOGOIMAGE I FLAVII alla dinastia dei GiulioClaudii segue quella dei Flavii di cui si ricorda DOMIZIANO che perseguitò i cristiani con l'accusa di empietà e abbandono della tradizione religiosa Romana. Egli si fece nominare censore perpetuo decretando l'abolizione di fatto della censura.

Gli ANTONINI. Questa dinastia che governa dal 96 al 192 DC presenta un atteggiamento più tollerante nei confronti dei cristiani pur sostenendo le stesse accuse di empietà di Domiziano. Si ricorda ADRIANO (il cristiano er essere clondannagto doveva subire il processo). Nel periodo ADRIANEO tuttavia la giurisprudenza e la legislazione imperiale risulta permeata dai valori dell'humanitas diffusi nelle classi colte. Gli Antonini manifestano apertamente un sistema di pilotaggio della successione utilizzando il sistema dell'adozione mostrando una gestione disinteressata al potere e adottando estranei vista la carenza di eredi maschi.

Questa dinastia segna un periodo prospero che si conclude nel 193 quando viene sostituita dai Severi. La dinastia dei SEVERI si caratterizzò con una vera e propria monarchia militare e da una profonda burocratizzazione. Dal 193 al 235 DC ci furono profonde trasformazioni sociali, economiche (si crearono le premesse per un'economia chiusa, tipica medievale) e giuridiche.

Si ricorda GALLIANO perché con un editto riconobbe la liceità del Cristianesimo consentendo a ciascun Romano di professare la propria fede.

AURELIANO con arroganza arrivò a sostenersi un eletto degli dei ed intensificò il culto imperiale ma aprì la strada alla monarchia teocratica su base cristiana di Costantino.

DIOCLEZIANO si ricorda per le innumerevoli riforme la tetrarchia il rinnovato sistema fiscale , la riforma militare.

COSTANTINO che porta sostegno al Cristianesimo, riconcede con l'editto di milnao i beni agli ecclesiastici e dà l'avvio al dualismo di potere che caratterizzerà tutto il medioevo. Il Cesaropapismo verrà arginato.

ROMOLO AUGUSTOLO verrà deposto da Odoacre, nel 476 DC.

CARACALLA si ricorda per l'editto del 212.

La storia della fase post-classica della giurisprudenza non si ferma al 476 DC.

CAP. 20

IL DIRITTO CIVILE E CRIMINALE NEL BASSO IMPERO

I - Il diritto civile nel basso Impero.

Con la Constitutio Antoniniana le leggi romane divennero diritto comune dell'Impero abrogando in linea di principio gli ordinamenti particolari. Oltre a quelle Romane nelle provincie si continuarono ad usare le norme locali. Si è giustificata questa persistenza con la generale diffusione di un "diritto volgare" (MITTEIS) in tutto l'Impero il diritto del popolo sarebbe stato capace di travolgere il diritto imperiale, rifiutato dalle masse. Tesi

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 109/164 $LOGOIMAGE troppo romantica: il Basso Impero fu epoca di "volgarismo giuridico" per lo meno nel senso di una spiccata decadenza culturale che permeò la cancelleria imperiale e la più evoluta giurisprudenza orientale.

Si diffusero una prassi negoziale e giudiziaria, una trattatistica scolastica ed una legislazione imperiale in contrasto con la tradizione scientifica classica. S'instaurò la tendenza a semplificare gli istituti. Su questo fenomeno si innestò l'influenza delle culture giuridiche locali, anche prima dell'editto di Caracolla. Vari imperatori dovettero richiamare al rispetto delle norme romane, soverchiate da usi ed istituti di origine peregrina. Il sistema contrattuale Romano fondato sulla forma verbale fu adeguato al dominio della forma scritta. La stipulatio (negozio verbale) in Egitto fu trasformato nella clausola di un documento dove si prendeva atto della avvenuta promessa. Si romanizzavano dei negozi conformi alle tradizioni locali. Ma l'unificazione giuridica avviene gradualmente. Si formò un domininum unificato che consentiva in Italia l'imposizione fondiaria, l'espropriazione per pubblica utilità e una serie di limiti legati all'esercizio della proprietà immobiliare (unificazione tra proprietà quiritaria e provinciale). Il potere politico non poteva trasformare, da un giorno all'altro, la cultura giuridica di popoli estremamente diversi da quello romano.

Forse i governatori della provincie consentirono ai neocittadini di mantenere in parte le consuetudini locali contando poi su una progressiva e integrale romanizzazione. Lo spostamento verso Oriente del centro di gravità dell'Impero determinò fenomeni di ellenizzazione del diritto Romano (di diritto romano ellenico parlano l'ARANGIO-RUIZ e il DE FRANCISCI) es. la patria potestà fu più limitata e cessava alla maggiore età. Ma è eccessivo qualificare come "romano-ellenico" il diritto di quest'epoca, se non altro perché la cultura giuridica greca esercitava già da molti secoli la sua influenza, nell'IUS HONORARIUM, e più di recente nella legislazione imperiale.

Da Costantino in avanti il diritto sostanziale e quello processuale furono influenzati dal Cristianesimo (il Biondi parla in proposito di "diritto romano-cristiano"). La sua affermazione come religione di Stato vietò il culto pagano fu trasformato radicalmente il regime del matrimonio. Nel diritto classico non esistevano atti formali esso iniziava quando c'era la volontà di entrambe a formare una famiglia. La forma cristiana di matrimonio si basa sul consenso iniziale, la religione privilegiata, l'astinenza sessuale come stato di perfezione esso contraddicendo i presupposti della legislazione matrimoniale augustea (sotto augusto furono agevolate le seconde nozze di vedovi e divorziati). Un'importante innovazione costantiniana fu il ricondurre l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni al crimen vis, giungendo in pratica al divieto generale dell'autotutela "per evitare un più grave turbamento dell'ordine pubblico".

Ma rispetto all'età del Principato la più importante novità fu rappresentata dalla radicale modifica intervenuta negli STATUS PERSONARUM verso la fine del 3° secolo DC.

II - Gli status personarum. Il colonato

A partire da Diocleziano si affermò una generale tendenza all'ereditarietà delle funzioni economiche, amministrative e militari. Fin dall'età del Principato, alle tradizionali distinzioni (patrizi - plebei, cavalieri ingenui, libertini, ecc.) si aggiunsero gli HUMILIOIRES e HONESTIOIRES quest'ultima comprendeva tutte le classi dirigenti medie Romane e municipali compresi i veterani dell'esercito. Si parlò anche (con sfumatura peggiorativa) di POTENTES O POTENTIORES in riferimento a coloro che esercitavano di fatto un potere (anche illegalmente) sulla plebe). Il senato non esercitava più alcuna fondamentale funzione politica a parte l'elezione imperiale ma cercò ugualmente di rafforzare il proprio prestigio. Esclusi i senatori dal potere politico si concentrarono su quello economico-sociale ampliando i propri latifondi e sottraendosi al controllo della autorità pubbliche. Nel 4° secolo senatori furono divisi in gruppi di differente dignità in rapporto alle cariche amministrative rivestite. Essere nominati senatori non significa necessariamente partecipare ai lavori del

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 110/164 $LOGOIMAGE senato o alla carriera politica amministrativa. Si diventava senatori attivi con l'elezione alla questura. Da Costantino gli uffici rivestiti dai cavalieri furono affidati al Senato, l'ordine equestre scomparve. L'esercito formato da peregrini guadagnò potere e prestigio e le milizie erano retribuite perlopiù in natura o con generi alimentari. I soldati sottoposti a patria potestà avevano il privilegio di disporre del PECULIUM acquisito sotto le armi che divenne un patrimonio personale. I figli dei veterani erano obbligati a prendere il mestiere delle armi seguendo le orme paterne. I funzionari imperiali vestivano una uniforme e restavano nella pubblica amministrazione 20 anni anche la loro funzione divenne ereditaria. I Decurioni vennero gravati dalla responsabilità di riscuotere le imposte sicchè diventò difficile il loro reclutamento e con Costantino la loro condizione divenne ereditaria. Imprenditori ed operai di settori di rilevante interesse pubblico furono inquadrati in corporazioni di Stato e alcuni mestieri divennero ereditari (battellieri, panettiere, ecc.).

La condizione dei contadini liberi fu quella che soffrì il più grave deterioramento. Divenne prassi diffusa trattenere con forza i fittavoli anche dopo la scadenza del contratto.Tale tendenza fu contrastata fino alla fine del 3° secolo ma lo sviluppo del latifondo e la sua autosufficienza economica e politica maturarono i presupposti per il riconoscimento legale della servitù della gleba: COLONATO. Nel IV secolo il termine COLONUS indicò sostanzialmente un fittavolo vincolato all'obbligo ereditario di coltivare con la propria famiglia un podere. I coloni non potevano né allontanarsi volontariamente, né essere mandati via dal padrone del fondo: Costantino stabilì che, anche in caso di vendita o donazione della terra, dovessero passare necessariamente al nuovo proprietario. Il padrone del fondo (DOMINUS FUNDI o DOMINUS) rimaneva responsabile nei confronti del fisco anche in caso di fuga del colono. Il colono pagava al proprietario un canone immutabile, in natura o in denaro, fissato al momento della costituzione del rapporto; era inoltre obbligato a presazioni accessorie di lavoro. Il legame col fondo era basato su elementi puramente fiscali, perché i fittavoli nullatenenti pagavano l'imposta tramite il proprietario che ne anticipava l'ammontare, rivalendosi su di loro al momento di riscuotere il canone. Essi venivano quindi registrati nella dichiarazione fiscale del padrone e considerati come accessori animati della terra, costretti a rimanere per sempre sulla GLEBA (porzione di terra). La loro condizione di coloni registrati (ADSCRIPTICII; più precisamente ORIGINALES se nati sul fondo) li faceva considerare per molti aspetti SERVI, ma non del proprietario, bensì della GLEBA. I loro beni diventavano un semplice PECULIUM del quale non potevano liberamente disporre senza il consenso del padrone. L'adscripticius essendo un uomo libero poteva legittimamente sposarsi, ma la sua unione venIva definita CONTURBENIUM, come quella degli schiavi. Se sposava una donna libera, il so matrimonio era sì valido, ma il padrone poteva castigarlo e separare la coppia.

Invece i fittavoli che erano anche proprietari di una sia pur minima zolla di terra, erano registrati in nome proprio e pagavano personalmente l'imposta fondiaria, rimanendo "coloni liberi", titolari di un proprio patrimonio e non sottoposti alla potestà del proprietario. Ma a partire da una costituzione di Anastasio (imperatore del 491) vennero parificati a tutti gli altri (di condizione analoga agli adscripticii furono gli INQUILINI coltivatori di vario tipo - barbari DEDITICII o FOEDERATI, semiliberi di stirpe germanica - e i CASARII - braccianti o pastori registrati come pertinenze di un'abitazione rustica -).

Si diventava coloni per vari motivi:

- per nascita;

- per convenzione con il padrone;

- per prescrizione (30 anni 20 per le donne);

- ope legis: nel caso dei barbari accolti all'interno dei confini, e in quello dei mendicanti e vagabondi atti al lavoro.

Le fonti testimoniano l'esistenza accanto ai coloni di condizione libera di schiavi rurali, registrati come attrezzatura del fondo nei libri censuali. Anch'essi vennero legati alla gleba, a differenza dei domestici e degli

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 111/164 $LOGOIMAGE schiavi urbani. La loro manomissione era da tempo vietata, quando nel 371 venne anche proibito venderli separatamente dal podere. Vennero quindi legati alla gleba, come gli adscripticii.

Queste nuove figure di contadini, intermedie tra uomo libero e schiavo, sovvertirono il principio che la liberà personale non potesse essere irreversibilmente limitata. Eppure, per mero tradizionalismo, le fonti giuridiche continuarono ad attribuire al colono lo STATUS LIBERTATIS, e ad attenersi alla dottrina tradizionale, secondo la quale "riguardo allo status delle persone, la divisione fondamentale è che tutti gli uomini sono o liberi o schiavi".

Le riforme di Diocleziano e dei suoi successori e la generalizzazione del fenomeno del colonato non conseguirono gli obbiettivi previsti. La fuga dei coloni - vessati sia dai padroni che dai curiali - divenne uno dei problemi fondamentali dell'Impero. Gli unici ad avvantaggiarsi del nuovo sistema furono i POTENTES (senatori, curiali, ufficiali dell'esercito, o anche vescovi) in grado di chiedere esenzioni, corrompere giudici, intimidire gli esattori. Non si trattava dell'antico rapporto clientelare (PATRONATUS) che i cittadini più autorevoli esercitavano sulle comunità, ma di una forma illecita di "protezione" offerta o imposta a coloni e piccoli proprietari che volessero sfuggire ai propri doveri fiscali. Sostenuti da milizie private i potenti si offrivano come PATRONI, spingendo i piccoli proprietari a consegnare loro le terre e a trasformarsi in coloni (con la forma del costituto possessorio) e inducendo i coloni a fuggire dai padroni e a lavorare per loro. Tale protezione (PATROCINIUM) speso imposta con la forza agli stessi "protetti" contribuì ad approfondire la crisi economica e indebolì l'autorità pubblica nelle campagne, preparando la dissoluzione della società tardo-imperiale. Il colonato basso-imperiale fu reso possibile dall'esistenza di un forte potere politico-amministrativo, in grado di imporsi sia al fittavolo che al locatore. Quindi nell'Occidente medioevale, l'istituto scomparve, lasciando progressivamente il posto al servaggio.

III - Il processo civile.

Nella cognitio extra ordinem si accentuarono l'ufficialità ed il carattere inquisitorio della procedura. Il giudice era il dominus del processo. Dall'età del Principato l'attore non si rivolgeva più al convenuto (attraverso un atto di parte privato) egli scriveva al giudice perché lo autorizzasse a notificare una convocazione alla controparte. Nel 5° secolo questo sistema di citazione fu sostituito dallo scambio di comparse (evocatio per libellos: citazione in giudizio) tramite ufficiale giudiziario. La comparizione alla data fissata era obbligatoria per entrambe le parti, il processo avveniva a porte chiuse e gli atti erano verbalizzati integralmente. In varie parti del procedimento le parti dovevano versare delle contribuzioni ai giudici ed al personale del tribunale il che rendeva il processo lento, oneroso e di dubbia equità. L'usanza fu sanzionata con la pena di morte da Costantino ma fu poi autorizzata all'epoca di Teodosio a patto che essa non avesse l'aspetto di una provvigione obbligatoria. Si precisò una gerarchia di mezzi di prova: la constatazione del giudice, i documenti, la confessione, il giuramento, la presunzione legale, le testimonianze che dovevano essere rigorosamente più di una. Le testimonianze degli HUMILIORES soccombevano nei confronti di testimonianze di notabili. La confessione venne accolta come un normale mezzo di prova. Oltre alla supplica dell'imperatore si poteva proporre appello in diversi gradi. La giurisdizione civile e penale nella città di Roma e Costantinopoli era rimessa al Prefetto Urbi. Giudice supremo è l'imperatore che giudica con l'assistenza del consistorium. Sotto di lui vi era il prefetto del pretorio, i vicari delle diocesi, i PRESIDES delle provincie e infine i giudici locali. Alla metà del 5° secolo fu introdotto il DEFENSOR CIVITATIS figura che aveva il compito di sottrarre i cittadini e i contadini dalla protezione dei POTENTES. Questo effettivamente svolse la funzione di giudice civile e penale per le cause di minore entità. In età basso imperiale l'imperatore fece uso di una procedura sommaria detta SUMMARIA COGNITIO per motivi di urgenza. Un'altra forma di procedura abbreviata era la richiesta di un rescritto imperiale nel corso di un processo. Se l'imperatore dava torto al convenuto questi doveva dimostrare che l'esposizione dei fatti non era stata veritiera.

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IV - Processo e diritto criminale.

Nel basso Impero si approfondì la tendenza ad attrarre nell'ambito della cognitio imperiale la repressione di tutti gli illeciti di rilevante allarme sociale. Scomparvero LE QUAESTIONES, la giurisdizione criminale del Senato e la repressione privatistica dei DELICTA. Caratteristica notevole del processo penale fu il superamento dell'accusatio pubblica. Il processo penale era introdotto dalla denuncia di un cittadino che si rivolgeva al giudice informandolo di un reato. In epoca tarda si generalizzò la possibilità di procedere d'ufficio avvalendosi di informatori. Il giudice ebbe assoluta libertà di ricerca delle prove attraverso inchieste e diminuì la sua discrezionalità nell'erogazione della pena: la legislazione imperiale la vincolò a dare pene prescritte dalla legge. Costantino stabilì che la condanna a morte del reo fosse pronunciata solo in caso di più testimonianze concordi o di confessione.

Si diffuse la tortura.La cristianizzazione del diritto investì il campo della repressione criminale, si crearono nuove fattispecie di reato a sfondo religioso es.eresia: si diffuse l'eresia di ARIO.

Ai pagani fu impedito atti di culto, gli ebrei furono considerati da Costantino una setta malefica e gli eretici furono perseguitati con esilio- confische morte. Si assiste ad un adeguamento della legislazione penale alla nuova concezione della moralità sessuale e familiare caratteristica del cristianesimo. L'adultera veniva punita con il rogo. Lo stupro con la morte, ecc. L'omosessualità fu considerata un crimine grave punibile con il rogo. Da un lato si manifestava una politica repressiva e dall'altro si esaltò la libertà e la dignità della persona. Con Costantino la morte di un neonato veniva considerata omicidio e l'abbandono di questo prima pratica lecita ora diventa reato perseguibile.Nel V secolo fu vietato maltrattare prigionieri o uccidere schiavi.

CAPITOLO 21

LA COMPILAZIONE GIUSTINIANEA

I - Giustiniano. Il primo Codice.

Nel sesto secolo, nell'Impero Romano di Oriente di cultura tipicamente ellenica il diritto si era allontanato dalla tradizione Romana. Si assiste da questo periodo ad un poderoso tentativo di restaurazione della Romanità sia dal punto di vista militare che giuridico.

Nel 527 diventa imperatore GIUSTINIANO che perseguì con impegno questo progetto di ripristinare il potere politico-militare-giuridico su tutti i territori un tempo appartenenti all'Impero.

Bisanzio avrebbe adempiuto alla missione a prezzo di sanguinose guerre sottraendo l'Africa ai Vandali, la Spagna ai Visigoti, l'Italia agli Ostrogoti. Parallelamente alla conquista militare si tentava di concretizzare la restaurazione del diritto Romano.

Con la costituzione HAEC QUAE NECESSARIO del 528 DC l'imperatore dette ordine di comporre un nuovo

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 113/164 $LOGOIMAGE codice di costituzioni ad uso dei pratici.

Alla realizzazione di questo progetto fu istituita una commissione composta da 10 membri presieduta da ex quaestor sacri palatii Giovanni e da Teofilo professore di diritto alla scuola di Costantinopoli e dal funzionario imperiale Triboniano. I materiali da utilizzare per la raccolta erano i materiali del Teodosiano, del Gregoriano, dell'Ermogeniano. Il nuovo codice doveva rendere più certo il diritto riducendo il numero e la durata dei processi, infatti allora esistevano tante costituzioni contraddittorie che favorivano l'intensificarsi della litigiosità.

Questo codice voleva essere il modo per semplificare la legislazione era quindi necessario:

1) rendere più brevi e chiari i testi legislativi;

2) evitare ripetizioni e contraddizioni;

3) eliminare i riferimenti a norme non più in vigore;

Il movente dell'imperatore non era quindi antiquario bensì pratico: non interessava l'autenticità del testo ma la sua utilità.

Nel 529 fu pubblicato il CODEX IUSTINIANUS con la costituzione SUMMA REPUBLICAE che vietò di utilizzare i vecchi codici usati per questa compilazione. IURA ed ARMA avevano reso potente il popolo Romano quindi per ricostruire il dominio di Roma bisognava consolidare oltre all'esercito anche il diritto. Ciò serviva per quella missione dell'Impero che era di unificare il mondo per difendere la vera fede. Questa missione aveva uno scopo politico amministrativo: ripristinare il potere Romano e unificare l'Impero.

Scopo giuridico: restaurare il diritto Romano.

II - Il Digesto.

Elaborato il codice prese consistenza un progetto più ambizioso: una collana completa di codificazioni che comprendesse oltre alle leges e agli iura, una raccolta di materiali giurisprudenziali che consentisse di superare la "legge delle citazioni", un manuale istituzionale che sostituisce quello di Gaio, e una raccolta di novelle. I DIGESTA ovvero PANDECTAE (deriva dal lat. DIGERERE ovvero comporre un ordine) sono una antologia sistematica di oltre 9000 brani giurisprudenziali che vanno da Q.MUCIO SCEVOLA A ERMOGENIANO, ma fondamentalmente sono del 1°-3° secolo. La sua compilazione venne affidata al funzionario imperiale Triboniano, il quale dopo la prima edizione del codice divenne il principale consulente giuridico dell'imperatore. L'opera di compilazione era posta sotto il patrocinio della Provvidenza: il DIGESTO doveva essere uno dei più significativi momenti di una missione politico-religiosa. L'imperatore autorizzò Triboniano (quaestor sacri palatii) a scegliersi dei collaboratori (professori della scuola di Costantinopoli e di Beirut) oltre ad 11 avvocati e il COMES SACRARUM LARGITIONUM Costantino.

Nella costituzione DEO AUCTORE, si partiva dalla premessa che già il Codice aveva sortito l'effetto di consolidare l'autorità delle leggi. Quindi era possibile un secondo passo: ordinare una raccolta di autori classici muniti di ius respondendi, che superasse la "legge delle citazioni". Nessuno era più autorizzato a citare le

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 114/164 $LOGOIMAGE opere giurisprudenziali tranne i frammenti riportati. Successivamente si sarebbe provveduto ad un manuale ufficiale che avrebbe sostituito le Istituzioni Gaiane. In realtà il Digesto raccolse anche opere di giuristi privi di tale brevetto (fra questi anche Gaio). Nel digesto furono raccolti brani di 39 autori e vi erano opere scritte da giuristi privi di tale brevetto es. Gaio. La costituzione prescriveva che di ogni frammento si conservasse il nome dell'autore e l'opera da cui era tratto. Oltre un terzo dell'opera fu tratta dalle opere di Ulpiano. Giustiniano non voleva dar vita ad una compilazione di carattere storico, bensì voleva offrire un quadro omogeneo della situazione per questo i conflitti di opinione vennero eliminati e spesso i vari brani vennero corretti.

DIGESTO è composto da 50 libri divisi in titoli, ciascuno composto da brani di giuristi. I temi trattati riguardanti il diritto privato e solo alcuni libri si occupavano di DELICTA e CRIMINA. Ogni frammento è individuato da un'inscriptio con nome dell'autore e titolo dell'opera da cui è tratto. In età medioevale i frammenti più lunghi furono suddivisi in un principium seguito da paragrafi numerati. Il lavoro fu ultimato e pubblicato nel 533 DC. La stesura del lavoro procedete in tempi rapidi ma mediante l'opera di compilatori si era costruita una immagine del diritto Romano che non corrispondeva alla realtà storica, ma alle esigenze della società del 6° secolo. Il contenuto dei digesta veniva confermato dall'imperatore e i frammenti giurisprudenziali erano definite LEGGI.

Il Digesto aveva la funzione di portare alla luce i contenuti migliori del diritto Romano fissandoli per l'eternità, a questo scopo i testi originali usati dai compilatori andavano abbandonati. Triboniano sapeva che il diritto Romano era sempre stato potenzialmente perfetto ma si era sviluppato in modo confuso e conflittuale: era necessario rimuovere il superfluo usando sistematicamente il resto. Giustiniano proibì qualunque commento del Digesto perché bisognava evitare che fosse corrotto dai giuristi. Evitare l'incertezza del diritto era impossibile ed utopico. Opere di commento furono scritte dagli stessi compilatori del Digesto. Ai tempi gli insegnanti di diritto dovevano spiegare agli allievi il diritto universale ed eterno mentre i pratici dovevano applicarlo. Nel 19° secolo emerse il problema relativo ai tempi molto rapidi di composizione dell'opera. Il giurista Friedrich Von Bluhme nel 1820 ritenne che la commissione di Triboniano si fosse divisa in 3 sottocommissioni (1: massa sabiniana; 2: massa edittale; 3: massa papinianea) ma nemmeno questa spiegazione fu del tutto esauriente.

Autori più recenti ipotizzarono che i compilatori avessero potuto servirsi dei pre-digesta (vedi CENDERELLI).

Nelle scuole di diritto erano in uso delle raccolte giurisprudenziali usate durante gli anni di corso (2° e 3°) e che erano definite pre-digesta. Giustiniano dispose che lo stesso digesto fosse diviso in 7 parti per ripartirne lo studio nei vari anni di corso.

III - Le institutiones.

Nel 533 fu pubblicato il manuale ufficiale per le scuole di diritto, che avrebbe sostituito le Istituzioni di Gaio. Il testo rivolto agli studenti del diritto costituiva una introduzione al diritto civile ma offriva anche un minimo di profilo storico del diritto Romano. Essa era il manuale per il primo anno di corso infatti la costituzione OMNEM di Giustiniano esponeva la riforma degli studi giuridici e la stessa esigeva che gli studenti acquisissero gli elementi della LEGITIMA SCIENTIA e solo dopo potevano studiare gli iura. Le Istitutiones erano una compilazione di iura con forza di legge. Ad imitazione di quelle gasane seguivano lo schema: personae, res, actiones. Il materiale rifuso nel nuovo testo era tratto dalle istituzioni gasane e da diverse opere di autori classici (paolo-Ulpiano). I brani erano disposti in maniera da offrire un discorso continuo in materia di diritto rivolta a studenti e sudditi.

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IV - Il codex repetiate praelectionis.

Il successo dei Digesta e delle Istituzioni spinsero a ritornare sul CODEX. Venne così ordinato a Triboniano l'antecessor Doroteo e a 3 avvocati di Costantinopoli di mettere mano ad una nuova edizione del codice CODEX REPETITAE PRAELECTIONIS. I compilatori potevano scomporre o unificare i testi delle costituzioni secondo le necessità manipolandone il contenuto. Fu pubblicato nel 534. Esso si compone di 12 libri (in ricordo delle 12 tavole) ognuno diviso in titoli ognuna rubrica, poi ciascun titolo riporta una serie di costituzioni imperiali disposte in ordine cronologico, da Adriano a Giustiniano. Ognuna di esse reca una INSCRIPTIO col nome dell'imperatore e quello del destinatario più l'anno e il luogo di pubblicazione.

"D'entro le leggi trassi il troppo e il vano" avrebbe detto Giustiniano nel Paradiso dantesco (III.6.12).

V - Le Novelle. Fonti post-giustinianee.

Le NOVELLE (ulteriori provvedimenti imperiali). La 4^ed ultima parte della compilazione fu una raccolta di NOVELLE CONSTITUTIONES come aggiornamento dopo l'emanazione del 2° Codice. Le novelle ci sono pervenute in 3 edizioni. La prima edizione EPITOME IULIANI è della metà del 6° secolo elaborata da un docente di Costantinopoli ed è rivolta ad un pubblico di pratici occidentali e consiste in una sintesi, in latino, di 124 costituzioni. La seconda edizione fu contemporanea alla prima e fu orientale e da questa intorno al 1000 fu tratta in Italia l'AUTHENTICUM usata a Bologna.

Esso conteneva il testo integrale 134 costituzioni latine e greche. La terza edizione contiene 168 novelle greche in massima parte di Giustiniano.

L'ordine tassativo di non commentare il Digesto venne trasgredito subito nonostante si incorresse nel reato di falso.

In Oriente la codificazione giustinianea risultò di difficile applicazione per quello che riguardava il Digesto. Nel 740 fu sostituita da un compendio di 18 libri l'ECLOGA. Leone il sapiente (imperatore) portò a compimento una riformulazione generale della compilazione giustinianea: I Basilici (libri del re) essa è un'opera di commento e di aggiornamento dell'intero CORPUS IIURIS.

In Occidente dopo la morte di Giustiniano, la crisi del suo progetto di riconquista - a partire dall'invasione dell'Italia da parte dei Longobardi 568 - ridimensionò la diffusione del CORPUS iuris, in pirmo luogo del Digesto. Gli sforzi di Giustiniano e di Triboniano non riuscirono dunque a fermare la lunga eclisse della cultura giuridica. Essa era destinata anzi ad aggravarsi, protraendosi fino all'epoca di IRNERIO, quando il maestro bolognese ricomponendo le parti disperse del Corpus Iuris, fornì gli strumenti necessari per l'incipiente rinascita della giurisprudenza europea.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 116/164 $LOGOIMAGE AZIONE (Diritto romano), Nss Digesto Italiano, Giovanni PUGLIESE

La tradizione denomina LEGIS ACTIONES gli atti e i formulari su cui si imperniava il primo sistema processuale adottato dai Romani e disciplinato già dalle XII tavole, mentre una delle più antiche opere giuridiche di cui ci sia giunto ricordo, i TRIPERTITA di SESTO ELIO PETO CATO, console nel 198 AC, dedicava l'ultima delle sue tre parti alle actiones.

Veniva designato actio l'atto o l'insieme di atti con cui taluno, alla presenza del magistrato, affermava un proprio diritto nei confronti di altri e vi dava attuazione o ne esigeva il rispetto: quegli atti consistevano invero originariamente nella recitazione di parole solenni accompagnate da gesti rituali. Nel senso ora contemplato, quello processuale, actio alludeva alla ritualità e in specie al formalismo oraale, attraverso cui in origine si facevano valere le proprie ragioni.

Semplificando, era actio sia l'insieme di atti, concatenati l'uno all'altro, con cui alcuno tendeva a ottenere soddisfazione di un suo asserito diritto, sia il modello di questi atti (ossia inizialmente i formulari elaborati dalla giurisprudenza pontificale e riconosciuti o imposti dalle XII tavole), sia quindi il mezzo di tutela, che veniva messo a disposizione dei privati, sia infine, in qualche caso, il procedimento complessivamente considerato. Ciascun atto concreto,trovava e doveva trovare rispondenza in un modello predisposto, il quale valeva come mezzo di tutela offerto dall'ordinamento giuridico; è questa la cosiddetta tipicità delle azioni, la quale, più accentuata in epoca antica, sopravvisse in sostanza fino all'età giustinianea.

A partire dall'ultima età repubblicana actio era intesa ormai anche come possibilità, come IUS diranno poi il retore QUINTILIANO e il giurista CELSO. Data la tipicità degli atti e degli schemi, non si pensava a una generica possibilità di adire la via giudiziaria, ma a tante specifiche possibilità, a tanti specifici IURA, quanti erano gli schemi previsti; ma l'esistenza di un nucleo comune e costante non poteva non favorire il formarsi, nella mente dei giuristi classici, di un concetto sufficientemente comprensivo.

Al momento del suo massimo sviluppo il sistema processuale delle LEGIS ACRIONES comprendeva cinque legis actiones, introdotte in diverse epoche, anche a distanza di secoli, l'ultima (la LEGIS ACTIO PER CONDICTIONEM) tra il III e il principio del II secolo AC.

Le più antiche erano senza dubbio la MANUS INIECTIO e la LEGIS ACTIO SACRAMENTO IN REM, con ogni probabilità anteriori alle XII tavole e da queste convalidate.

La MANUS INIECTIO tendeva a porre un individuo sotto il potere fisico di un altro, per permettere a questi di ucciderlo o di venderlo allo straniero;

La LEGIS ACITO SACRAMENTO IN REM tendeva invece ad attuare una signoria su una cosa ( o anche su una persona soggetta a un potere familiare) , sottraendola ad altri.

Entrambe erano forme di autotutela legalizzata e controllata dalla civitas, e infatti il loro rituale comprendeva non solo la pronuncia di formule solenni ma l'esecuzione pure di gesti, richiamanti quelli con cui originariamente l'attore si faceva giustizia da sé. Sussisteva però tra esse la differenza che, in caso di MANUS INIECTIO, il controllo sull'autotutela era soltanto formale (salvo che intervenisse un VINDEX a difendere il convenuto), mentre in caso di LEGIS ACTIO SACARAMENTO, di fronte alla resistenza dell'avversario che si affermasse, a sua volta, titolare della signoria, il controllo diveniva sostanziale, poiché ciascuna parte sfidava l'altra ad asseverare la propria affermazione (VINDICATIO) col SACRAMENTUM e, in conseguenza, veniva

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 117/164 $LOGOIMAGE poi nominato un giudice per stabilire quale SACRAMENTUM fosse IUSTUM, ossia chi fosse effettivo titolare della signoria. Il medesimo espediente fu poi adottato a favore di chi si asserisse creditore, senza essere autorizzato a compiere direttamente la MANUS INIECTIO, ed esigesse quindi anzitutto l'accertamento del suo credito; in questo caso il rituale non comprendeva, a quanto pare, gesti di autotutela, ma soltanto la solenne affermazione dell'attore che il convenuto era suo debitore e la negazione di questi, al che seguiva la sfida al SACRAMENTUM e successivamente la nomina del giudice: è questa la LEGIS ACTIO SACRAMENTO IN PERSONAM.

Altre due legis actiones comprendevano parimente solo una solenne affermazione dell'attore e una negazione del convenuto, mirando a un accertamento del diritto controverso, ma non richiedevano a questo fine l'espediente del SACRAMENTUM: la IUDICIS POSTULATIO, introdotta dalle XII tavole per i crediti da SPONSIO, prevedeva che l'attore, dopo la negazione del convenuto rivolgesse formale richiesta (POSTULATIO) al magistrato per la nomina del giudice; la CONDICTIO, istituita dalla LEX SILIA per i crediti di CERTA PECUNIA ed estesa dalla LEX CALPURNIA ai crediti di CERTA RES, era caratterizzata da un'intimazione che l'attore, dopo lo scambio di affermazione e di negazione, indirizzava al convenuto perché ritornasse dopo trenta giorni dinanzia al magistrato AD IUDICEM CAPIENDUM.

Infine la LEGIS ACRIO PER PIGNORIS CAPIONEM consisteva nella presa di un pegno da parte del titolare di certi crediti di natura sacrale o pubblicistica, accompagnata da pronunce di parole solenni. Taluni giuristi ritenevano che, malgrado questa solennità, non si trattasse di una vera LEGIS ACTIO,poiché essa non si svolgeva di fronte al pretore e spesso non richiedeva nemmeno la presenza dell'avversario.

Le cin que LEGIS ACTIONES erano in sostanza cinque tipi di procedimenti, tre che noi diremmo di cognizione, due esecutivi.

La loro tipicità era duplice, una per così dire esterna, nel senso che solo scegliendo uno di quei procedimenti, era possibile all'attore conseguire un risultato utile, l'altra invece interna,nel senso che l'attore doveva per lo più riferirsi, redigendo opportunamente le parti variabili del formulario, a un diritto o a una situazione sostanziali riconosciuti da una legge o dai MORES; unicamente la CONDICTIO prescindeva dall'enunciazione della causa da cui derivava il generico credito di CERTA PECUNICA o CERTA RES.

Entro ciascuna delle rimanenti LEGIS ACTIONES esistevano pertanto in qualche modo altre ACTIONES, anch'esse rigidamente tipiche in ragione del loro fondamento sostanziale, che si traduceva in requisito formale. Es. illuminante e celeberrimo quello ricordato da GAI : avendo taluno , vittima del taglio di viti, parlato nel formulario di VITAE SUCCISAE, anziché di ARBORES SUCCISAE come suonavano le XII tavole, gli fu risposto che aveva perduto la lite.

Il secondo sistema processuale fu quello PER FORMULAS adottato dapprima per le liti fra peregrini o fra Romani e peregrini (che non potevano essere né attori, né convenuti nel sistema delle legis actiones) e avente efficacia solo di fronte al pretore peregrino, poi recepito nel diritto della civitas e aperto anche alle litei fra cittadini in seguito a una LEX AEBUTIA del II sec. AC e alla LEX IULIA IUDICIORUM PRIVATORUM del tempo di Augusto. Questo sistema riguardò essenzialmente il processo di cognizione; i mutamenti che si ebbero anche nel processo esecutivo (scomparsa della PIGNORIS CAPIO nei raporti fra pirvati, mitigazione della MANUS INECITIO, introduzione di un'esecuzione patrimoniale) avvennero in modi e tempi diversi.

L'actio aveva perduto l'antica rigidità: non più parole sacramentali da pronunciare a pena di nullità, né tantomeno, gesti stilizzati da eseguire. L'attore era libero di compiere nel modo secondo lui più opportuno gli

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 118/164 $LOGOIMAGE atti con cui iniziava e portava innanzi il procedimento. Tuttavia non era scomparsa la tipicità delle actiones, e a questa andava unito un certo formalismo.

Al giudizio, devoluto a un privato (IUDEX) o a un collegio di privati (RECUPERATORES) si perveniva attraverso un accordo delle parti (LITIS CONTESTATIO) avente per oggetto la formula che era l'enunciazione (di solito scritta) del compito da affidare all'organo giudicante . Ora l'editto del Pretore conteneva una serie di schemi di formule, le une relative a diritti o situazioni sostanziali di IUS CIVILE , le altre promesse dal pretore sull'esempio, spesso, di analoghe promesse dei suoi predecessori. A ciascuna ACTIO corrispondeva una formula; in tanto un'ACTIO poteva dirsi esistente, in quanto uno schema di formula ad essa adeguato si trovasse nell'editto pretorio. Il procedimento era unico (laddove il vecchio sistema ne prevedeva cinque diversi); ma all'interno di esso vi erano tante ACTIONES, ciascuna col suo specifico nome, quanti schemi di formule conteneva l'Editto. Dunque una tipicità semplice, anziché duplice come quella delle LEGIS ACTIONES,e fondata su ragioni di diritto sostanziale.

Si trattava, d'altronde, di una tipicità attenuata, per due ragioni: a) perché la formula, sebbene congegnata secondo una certa tecnica e col rispetto di talune esigenze formali,era plasmabile ad opera delle parti e del pretore, che potevano, le une proporre, l'altro approvare l'aggiunta di clausole (PRAESCRIPTIO, EXCEPTIO, ecc.); b) perché il pretore, a cui competeva il vaglio preventivo della formula concreta proposta dall'attore come oggetto della futura LITIS CONTESTATIO, poteva anche approvare, se gli pareva giusto, formule che non avessero riscontro in modelli edittali , creando così una nuova azione per il caso da decidere (ACTIO EX DECRETO).

Il processo formulare determinò dunque il moltiplicarsi delle azioni e il loro più puntuale adeguarsi alle esigenze sostanziali. Di qui anche il formarsi di varie categorie di azioni a seconda del modo in cui veniva congegnata la formula e del compito che veniva assegnato all'organo giudicante.

Il terzo sistema processuale la COGNITIO EXTRA ORDINEM, non si trattò di un sistema unitario, ma di vari sistemi succedutisi nel tempo o coesistiti, talvolta l'uno accanto all'altro. L'espressione ha un valore essenzialmente negativo, in quanto allude all'inosservanza di talune regole fondamentali del processo ordinario, come la devoluzione del giudizio a un privato o a un collegio di privati e la necessità di un accordo delle parti sui compiti dell'organo giudicante; per il resto non si possono delineare caratteri comuni.

Ora nei processi EXTRA ORDINEM istituiti durante l'epoca classica in Roma per situazioni prima non tutelate (fedecommessi, alimenti, onerari di medici o retori) o la cui tutela appariva inadeguata (libertà) non si aveva propriamente un'ACTIO, ma per lo più l'iniziativa dell'attore veniva designata genericamente come un PETERE, un DESIDERARE. Invece nella COGNITIO, che durante la stessa epoca classica, veniva praticata in alcune provincie, il linguaggio delle actiones era normale, giacchè tali processi si riferivano alle stesse materie, per le quali in Roma era prevista un'actio formulare, e questa si intendeva esperibile con gli stessi caratteri attraverso la nuova procedura. Il fenomeno si tradusse su più vasta scalea durante il III secolo DC quando la COGNITIO EXTRA ORDINEM subentrò al processo formulare anche in Roma e le azioni trapassarono nel nuovo sistema col loro nome orami tradizionale e persino con la loro formula, sebbene questa avesse perduto la sua specifica funzione.

Più tardi l'uso delle formule, che probabilmente non venivano più comprese e apparivano comunque inutili, fu vietato dagli imperatori Costanzo e Costante. Ciò avrebbe potuto segnare una decisiva svolta nella storia delle

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 119/164 $LOGOIMAGE azioni romane, nel senso che, venuto meno l'ultimo fattore di tipicità, si sarebbe potuto riscontrare che orami non esistevano più le azioni, ma l'azione, come schema unitario a cui si conformava e in cui rientrava l'attività processuale svolta dall'attore per far valere qualsiasi suo diritto.

Eppure nemmeno il diritto giustinianeo ha interamente superato la tipicità delle azioni, poichè, se non atro come conseguenza dell'utilizzazione delle opere dei giuristi classici, ereditò in gran parte le azioni che si erano venute individuando sotto la procedura formulare.

Del resto l'esistenza di un catalogo di azioni (elenco di 38) che serviva da guida ai pratici nell'attività forense, dimostra che la molteplicità delle azioni, al di sotto di uno schema formale unitario, dipendeva da ragioni più profonde che non la semplice esigenza dottrinale di utilizzare l'insegnamento dei grandi giuristi del passato. E una conferma se ne può trarre anche dal fatto che i compilatori giustinianei, nell'introdurre nuovi rimedi, li qualificarono talvolta come ACTIONES UTILES o ACTIONES IN FACTUM.

Per i Romani veniva ritenuto soggetto titolare di un'ACTIO solamente chi prospettasse, nelle forme dovute, una situazione di diritto sostanziale realmente esistente (solo chi aveva ragione). In buona sostanza i Romani concepirono l'ACTIO come IUS come la possibilità di agire nel processo. L'ACTIO, dunque, non era l'EQUIVALENTE di ciò che diciamo pretesa o diritto soggettivo, ma piuttosto stava al posto del diritto soggettivo, nel senso che i Romani, anziché parlare il linguaggio dei diritti, usavano preferibilmente quello delle ACTIONES.

Molte e non sempre chiare cause concorsero a determinare questo singolare fenomeno e fra esse possono ricordarsi:

1) la tipicità delle actiones;

2) l'importanza del momento giudiziario in un sistema giuridico fondato in larga parte sulla consuetudine e sull'elaborazione dei giuristi;

3) il ruolo, d'altra parte, che svolse il pretore per il rinnovamento del diritto;

4) l'assenza tra gli strumenti concettuali romani di una nozione che potesse esprimere il diritto al comportamento altrui e che pertanto si attagliasse ai rapporti di credito (rispetto a cui soprattutto si verificò la sostituzione del profilo processuale a quello sostanziale).

Quel che comunque importa è che il fenomeno non dimostra l'equivalenza dell'ACTIO a quel che intendiamo come diritto soggettivo o come diritto di credito.

Il punto di vista romano si può riassumere nella proposizione che chi agisce a torto (ossia afferma diritti o situazioni di fatto che non vengono riconosciuti sussistenti) agisce NON RECTE, illegittimamente, ossia non ha l'ACTIO. E' significativo al riguardo che nel processo PER FORMULAS il magistrato, a cui spettava di approvare o no il programma di giudizio (la formula) proposto dall'attore, poteva non approvarlo, denegando quindi l'azione, anche se gli risultava, in base agli elementi già emersi nel dibattimento preliminare dinanzi a lui, che l'attore nel merito non aveva ragione. Certo, un simile controllo preventivo era possibile solo di rado e il processo per lo più aveva luogo pure quando l'attore aveva torto; ma il suo agire risultava allora illegittimo, e quindi inefficace, anzi, talvolta, addirittura illecito, in quanto erano previste in alcuni casi pene a carico del soccombente.

Però rispetto al magistrato e al giudice poteva essere indifferente che l'azione fosse o no fondata, poiché anche gli atti illegittimi di chi aveva torto facevano nascere a loro carico l'obbligo di pronunciare secondo

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 120/164 $LOGOIMAGE l'ufficio che era loro demandato nei diversi sistemi processuali. Così nel processo per formulas, il magistrato salvo che mancassero presupposti esenziali come la sua competenza e la capacità della parte, era sempre tenuto a IUS DICERE; e parimente il giudice, una volta che si fosse conclusa una regolare LITIS CONTESTATIO su una formula approvata dal magistrato, non poteva esimersi dal giudicare con l'addurre che l'attore agiva NON RECTE, poiché in tal caso gli spettava invece di assolvere il convenuto. Obblighi analoghi si possono agevolmente individuare negli altri sistemi processuali.

Allora viene da chiedersi se l'actio non debba considerarsi come il diritto alla pronuncia del magistrato o del giudice o come il potere di provocare l'obbligo in questi di pronunciare, conformemente alle definizioni che processualisti moderni danno dell'azione astratta. Ma la risposta è negativa perché: a) all'obbligo del magistrato o del giudice non corrispondeva, secondo le concezioni romane, un diritto della parte; b) soggetto passivo dell'actio risultava sempre l'avversario, non il magistrato o il giudice; c) in ogni modo, le fonti, nel riconoscere a taluno la spettanza di un'actio ne presuppongono sempre la fondatezza.

Il rapporto fra attore e magistrato o fra attore e giudice aveva indubbiamente un significato anche nel diritto processuale romano, ma st5ava su un piano diverso da quello dell'actio.

In sostanza l'actio rappresentava il potere di far valere il diritto attraverso il processo, vale a dire il potere di promuovere, assumendo e mantenendo l'iniziativa processuale con gli atti volta a volta richiesti, una pronuncia atta a soddisfare il proprio interesse verso l'avversario (per lo più la sua condanna) e, se ne era il caso, le opportune misure materiali (eseguite dallo stesso attore, su autorizzazione del magistrato, e solo nell'ultima epoca da appositi organi pubblici). A questo potere faceva riscontro la soggezione dell'avversario, e i Romani la esprimevano con le parole ACTIONE TENERI.

Al concetto ora delineato è assai vicina la celebre formulazione di Celso secondo cui l'actio è appunto il diritto di perseguire attraverso il processo ciò che ci è dovuto.

Classificazione della actiones (verso la fine dell'era repubblicana dai giuristi romani): a) actiones privatae; b) actiones in rem, in personam e mixtae; c) actiones poenales, reipesecutoriae e mixtae; d) actiones civilies e honorarie (o praetoriae) ; e) actiones in ius e in factum ; f) actiones certae e incertae ; g) actiones perpetuae e temporales ; h) actiones bonae fidei;

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 121/164 $LOGOIMAGE i) actiones arbitrariae; j) actiones in bonum et aequum conceptae.

Formula

Litis contestatio

Recuperatores

Iudex

Processo civile (diritto romano)

Corpus Iuris civilis

Digesto

Bologna

Codex

Institutiones

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Novelle di Giustiniano

Lex

Edicta

Constitutionem

Senatusconsultum

Iurisprudentia

Collatio legum..

Consultatio vetersi

Vaticana

Gaio/Paolo/Ulpiano

Diritto Romano, voce Novissimo Digesto Italiano, di Riccardo ORESTANO,

Il problema della periodizzazione.

Fra le meno rece ti partizioni ricordiamo quella che risale almeno al GIBBON e che fatta propria dall'UGO dominò gran parte della storiografia romanistica del secolo scorso. Secondo essa si dovevano distinguere quattro periodi:

1) dalla fondazione di Roma alle XII tavole;

2) dalle XII tavole a Cicerone;

3) da Cicerone ad Alessandro Severo;

4) da Alessandro Severo a Giustiniano.

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HUGO chiamò questi periodi rispettivamente, l'età della:

1) infanzia;

2) giovinezza;

3) virilità;

4) vecchiezza del diritto romano.

In molte altre divisioni le date vengono fissate in base a criteri più omogenei,ma i periodi press'a poco corrispondono, coincidendo grosso modo con il passaggio dalla tradizionale monarchia primitiva alla forma detta comunemente repubblicana, da questa al principato e infine al cosiddetto dominato del tardo Impero.

Diverso orientamento si ha, agli inizi del nostro secolo, con il BONFANTE, il quale propose una tripartizione, in cui si elevava a criterio discriminatore il concetto di "crisi", applicato a due momenti storici che segnarono "la più profonda rivoluzione della società romana":

1) la crisi di espansione successa alla guerra annibalica (218-200 AC) "quando i rozzi agricoltori del Lazio divennero nello spazio di sessanta anni signori del mondo antico ed eredi delle più fiorenti civiltà";

2) la crisi di involuzione successa alla morte di Alessandro Severo (253 DC) "quando la forza crescente dei barbari e quella rinata dei Persiani ruppe i confini del Reno, del Danubio, dell'Eufrate e, restaurato pure l'impero, svanì peraltro la primazia di Roma e d'Italia".

Secondo il BONFANTE queste due grandi crisi "separarono tre diversi sistemi di diritto, o anche, se si vuole tre epoche storiche" che egli denomina del diritto quiritario o schiettamente romano (IUS QUIRITIUM), del diritto romano-universale (IUS GENTIUM), del diritto ELLENO-ROMANO O ROMEO.

Una semplificazione della partizione bonfantiana può ritenersi quella proposta dal PEROZZI, che distingueva due soli periodi divisi da una data approssimativa dopo Alessandro Severo (253 DC):

1) romano: dominio della civitas sull'orbe;

2) romano-ellenico: assorbimento nell'orbe.

Una bipartizione, ma di tutt'altro significato, fu altresì propugnata dal RICCOBONO, il quale, per accentuare la linearità degli sviluppi, parlava di:

1) un primo periodo sino alla metà del II secolo AC in cui ebbe vigore il diritto dei Quiritit "diritto rozzo, formalistico, rigoroso, corrispondente alle condizioni primitive della comunità romana";

2) e di un secondo sino a Giustiniano "in cui si viene formando il nuovo diritto, tutto informato ai principi dell'equità, con la più decisa tendenza alla libertà di forme, complesso nei suoi elementi tecnici e strutturali, ricco di ordinamenti e di mezzi e con caratteri ed elementi di universalità".

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Successivamente però lo stesso RICCOBONO seguito dal CHIAZZESE tornò ad una tripartizione:

1) dalla fondazione di Roma alla distruzione di Cartagine e di Corinto (146 AC), periodo del diritto nazionale romano;

2) dal 146 AC al 305 DC cioè all'avvento di Costantino "periodo del diritto universale, nel senso che il IUS CIVILE E GENTIUM e tutti gli altri ordini romani si vengono via via avvicinando, per fondersi poi in un ordine giuridico universale in tutto l'impero";

3) da Costantino a Giustiniano "che può indicarsi come il periodo del diritto romano cristiano", perché "nella fusione di tutti gli ordini giuridici che si compì rapidamente in quest'epoca

Ad una quadripartizione invece tornano ad ispirarsi vari autori più recenti, come ad esempio il DULCKEIT, il GUARINO, il FREZZA, il SANCHEZ DEL RIO, i quali, con lievi differenze di datazione e di qualifiche, distinguono:

1) prima età dalle origini al IV secolo;

2) seconda sino al principato augusteo;

3) terzo sino alla riforma costituzionale di Diocleziano e Costantino;

4) quarto sino a Giustiniano.

Infine si va delineando una tendenza a distinguere ulteriormente fra l'età del tardo Impero e l'età giustinianea, sicchè i periodi divengono in recenti trattazioni cinque: così ad es., in quelle del BIONDI e di altri, secondo un criterio che anche a noi sembra opportuno.

POTESTAS, Novissimo Digesto Italiano, di Luigi Caporossi Bolognesi

Esso è il termine più generale per indicare il comando, la supremazia di un soggetto su altri sia nel campo del

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 125/164 $LOGOIMAGE diritto privato che in quello del diritto pubblico dove, si deve rilevare, non è mai del tutto scomparso l'originario collegamento fra la posizione dei magistrati romani (designata appunto potestas) e la più generale idea del potere, della potenza.

Spesso si è cercato di precisarne il significato in contrapposizione a IMPERIUM.

Secondo il MOMMSEN l'autorità magistratuale verrebbe indicata dai Romani con entrambi i termini: POTESTAS rappresenterebbe in confronto ad IMPERIUM un concetto più ampio, riferibile a tutte le magistrature mentre, com'è noto, quest'ultimo viene impiegato esclusivamente in relazione alle magistrature superiori. Conseguentemente, per quanto riguarda le magistrature superiori, POTESTAS ed IMPERIUM si identificherebbero, mentre per qualificare la posizione di tutte le altre magistrature sarebbe stato usato esclusivamente il termine potestas. E in effetti nella maggior parte di casi esso designerebbe il potere di interdizione dei tribuni della plebe ed il potere di impartire ordini e disposizioni proprio dei magistrati inferiori e dei delegati dei magistrati superiori (si ritiene anche anche i censori fossero privi di imperim e titolari quindi solo della potestas contro tale opinioni il CANCELLI e DE FRANCISCI). E si troverebbe impiegato quindi in conrtrapposizione con il termine IMPERIUM. Tale contrapposizione troverebbe conferma dalla distinzione effettuata dai Romani tra le magistrature superiori e quelle inferiori, le prime CUM IMPERIO le altre CUM POTESTATE.

Secondo il KARLOWA la distinzione sarebbe stata sconosciuta in epoca antica e si sarebbe affermata solo in seguito all'introduzione dell'ordinamento centuriato: la POTESTAS sarebbe da ricollegare all'organizzazione originaria della CIVITAS e avrebbe legittimato la convocazione dei comizi curiati e del Senato, mentre l'IMPERIUM - collegato al supremo comando militare - avrebbe autorizzato la convocazione dell'EXERCITUS URBANUS, dei comizi centuriati.

La distinzione tra i due termini si sarebbe già verificata, secondo il CASPARY nell'ambito dell'ordinamento monarchico: POTESTAS avrebbe infatti designato l'autorità del REX essenzialmente limitata dallo IUS civile (inteso in senso più ampio che non nella sua più comune accezione come contrapposto al diritto pubblico), IMPERIUM avrebbe invece sin da allora qualificato il potere di comando militare, sostanziamente illimitato del REX.

Il DE FRANCISCI si mostra invece più scettico nella possibilità di attribuire al termine POTESTAS uno specifico contenuto giuridico, esso avrebbe avuto in origine il significato generico di potere e non si sarebbe pertanto differenziato nettamente dal termine IMPERIUM. Soltanto in seguito, allorché fu usato ad indicare la posizione di magistrati privi di imperium , si sarebbe verificata la già rimarcata ambivalenza dell'uso di esso, talvolta impiegato in una accezione identica a quella di imperium, talvolta invece, usato in contrapposizione a quest'ultimo.

Tesi originale del COLI il quale ha sostenuto che nell'epoca monarchica l'autorità del REX sui membri della civitas, a lui completamente sottoposti , si sarebbe basata sulla nozione di Potestas. I concetti sarebbero riferiti a due diversi rapporti: potestas a quelli interni della civitas, mentre imperium a quelli extracittadini (impiegato per designare il comando dell'esercito della Lega Latina).

Per l'ARANGIO-RUIZ nella sfera del diritto pubblico la POTESTAS designerebbe "la facoltà di esprimere con la propria volontà quella dello Stato, creandogli diritti ed obblighi" e sarebbe stata propria di tutti i magistrati repubblicani, nell'ambito delle rispettive competenze; l'IMPERIUM rappresenterebbe invece l'autorità eminente dello Stato impersonata nei supremi magistrati e limitata solo dai diritti essenziali dei cittadini o da una LEX PUBLICA.

Secondo il GROSSO infine l'IMPERIUM designerebbe il potere sovrano (precisatosi nella fase della monarchia etrusca), originario del REX ed esercitato in epoca successiva dai magistrati supremi. POTESTAS sarebbe invece un termine più generico ed elastico: talvolta si sovrapporrebbe allo stesso IMPERIUM, più spesso,

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 126/164 $LOGOIMAGE però, si troverebbe usato in contrapposizione a questo per designare "un potere inerente alla esplicazione di funzioni dello Stato, potere che risultava nella sua nuda e semplice espressione appunto per quelle magistrature che non importavano la investitura della sovranità nel senso in cui questa era espressa nell'imperium".

Ad ogni modo sembra da escludere che, in epoca repubblicana, la potestas abbia avuto un significato univoco che valga a distinguerlo nettamente dal termine imperium. Al contrario si è già rilevato come il significato di esso, mentre per un verso sembrasse atto a designare la posizione di tutti i magistrati repubblicani, si prestasse d'altra parte a qualificare le sole magistrature SINE IMPERIO.

Questa ambiguità e la continua sovrapposizione e confusione tra IMPERIUM e POTESTAS proverebbero che quest'ultimo termine, impiegato a designare qualsiasi posizione di predominio di un cittadino in relazione ad una funzione pubblica da lui svolta, non abbia probabilmente mai assunto, nello stesso pensiero degli antichi, un significato troppo determinato. Si potrebbe sostenere che il concetto di IMPERIUM si sia in qualche modo sovrapposto a quello preesistente di POTESTAS senza che, d'altra parte, si determinasse una riduzione della sfera di applicazione di questo ed una modificazione del suo significato originario.

Questa ipotesi trova indiretta conferma nella precisa ed estremamente semplice etimologia del termine POTESTAS in contrapposizione alla origine più oscura di IMPERIUM e nella antichità del suo uso testimoniata nella sfera del diritto familiare: questi elementi infatti potrebbero deporre per una applicazione altrettanto risalente di esso nell'ambito del diritto pubblico romano.

Altre accezioni del termine nel campo pubblicistico.

Nel diritto pubblico per stabilire una graduazione delle diverse magistrature sulla base del principio ripetutamente ricordato nelle fonti "PAR MAIORVE POTESTAS PLUS VALETO": attraverso l'applicazione di esso fu possibile risolvere le eventuali divergenze fra diversi magistrati (in relazione p.es. agli AUSPICIA, alla convocazione dei COMITIA e del Senato) e soprattutto regolare l'esercizio dell'INTERCESSIO, del diritto di veto, cioè, nei riguardi degli atti di un magistrato titolare di una PAR MAIORVE POTESTAS.

Con la crisi delle istituzioni repubblicane la POTESTAS inerente ad alcune magistrature (in particolare al tribunato della plebe) staccata dalla titolarità della magistratura stessa, venne ad essere attribuita ad Augusto (forse già in precedenza a Cesare) e ai successivi imperatori diventando così uno degli elementi attraverso cui si realizzò la posizione di preminenza del PRINCEPS.

Voci

"PLEBS" , Nvssmo Digesto Italiano, di Marco BALZARINI

"PATRICII", Nvssmo Digesto Italiano, di Marco BALZARINI

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"NOBILES", Nvssmo Digesto Italiano, di Ugo BRASIELLO

"OPTIMATES", Nvssmo Digesto Italiano di Marco BALZARINI

Radice PLE, vocabolo PLEBS, aggettivo PLENUS e verbo COMPLERE e derivati, in lingua greca equivalente MULTITUDO (massa non ordinata e non divisa in entità più ristrette ed individuate sulla base di un principio superiore, o non differenziata sulla base di qualità o situazioni particolari).

Diversi riferimenti concreti, in contrapposto a:

- PATRES è la massa del popolo al di fuori dei senatori e delle loro famiglie;

- PATRICII, coloro che GENTES NON HABENT, mentre i primi PATREM CIERE POSSUNT, la promiscuità dunque, affronte ad una casta rigidamente ordinata;

- OPTIMATES ( et. "coloro che si distinguono per virtù") coloro che non riescono ad elevarsi al di sopra della massa popolare;

- HONESTIORES, gli HUMILIORES;

In queste due ultime accezioni senso dispregiativo del termine, confermato da espressioni come PLEBS FLAGITIOSA, PLEBS SORDIDA, eccetera.

PLEBS definizione di Stato nello Stato romano. La plebe possiede invero una propria organizzazione politica, proprie sedi, propri culti che non sono quelli dello Stato romano; in alcune antiche formule essa è altresì contrapposta al POPULUS.

Origine della plebe, teorie moderne, a grandi linee tre indirizzi: a) teorie etniche o razziali; b) teorie economico-sociali (in questa teoria potrebbe rientrare anche quella che vuole che la plebe sia derivata dall'antica clientela);

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 128/164 $LOGOIMAGE c) teorie miste; d) teoria di FUSTEL DE COULANGES:l'origine della distinzione è da ricercarsi esclusivamente nelle differenze di culto, nell'inesistenza, anzi, di veri e propri culti familiari plebei; e) teoria di DELL'ORO: la plebe sarebbe stata, originariamente, una colonia della lega latina stanziata nei pressi di Roma.

Antichi storici romani e greci: l'origine è da ricercarsi nella originaria partizione della popolazione compiuta da Romolo mediante la scelta tra la MULTITUDO adunata nel foro, di un consiglio di cento individui tra i più insigni e meritevoli (sulla base di considerazioni varie: virtù personale, nascita, censo), ai quali avrebbe attribuito il titolo di PATRES, riservando quello di PATRICII alla loro discendenza. Egli avrebbe loro attribuito funzioni sacerdotali, magistratuali e giudiziarie, affidando al resto della MULTITUDO l'esercizio dell'agricoltura e del commercio.

Differente strutturazione interna delle due classi: riti e culti particolari per i patrizi, rito della CONFARREATIO per il matrimonio, culto degli antenati, esplicito divieto di connubio (legge XII tavole: non nelle prime dieci tavole perché i primi decemviri erano tutti patrizi e...... ).

Il primitivo nucleo composto dallo strato della popolazione più basso per nascita, per censo, per dignità personale si venne man mano incrementando per l'ingresso nei suoi ranghi di stranieri immigrati in Roma per esercitarvi il piccolo commercio, di clienti che rompevano i vincoli con le gentes, di schiavi liberati, di nteri popoli stranieri vinti cui era stata concessa la cittadinanza romana.

In conclusione la distinzione tra i due ordini di cittadini fu in epoca monarchica, quella tra la classe dirigente senatoria e la massa del popolo.

Passaggio costituzionale dal Regno alla repubblica (509 AC) segna una decisiva e vittoriosa reazione della aristocrazia latina anche contro la plebe: la divisione della cittadinanza in due caste distinte viene ad assumere, per volontà del patriziato, caratteri di inaudita rigidezza ("serrata" del patriziato) tanto che, per quasi cinque secoli, salva la COOPTATIO effettuata in favore del sabino Atta Clausus e della sua gente, nessun plebeo fu elevato al patriziato.Il patriziato è una casta ereditaria chiusa alla cacciata del re e riserva accesso magistratura.

Da questo momento inizia la storia vera e propria della plebe, che è storia del suo organizzarsi in funzione di lotta politica e di questa sua lotta per il raggiungimento della parificazione politica, economica e sociale per il patriziato.

Secessione ritiro sul Monte Sacro , suggellò decisioni mediante una LEX SACRATA (con giuramento collettivo della plebe..) il contenuto di questa legge era il seguente: la plebe stabiliva di esser retta da un collegio di AEDILES, dai IUDICES DECMVIRI, dai TRIBUNI PLEBIS; minacciando di sacertà alle divinità plebee chiunque avesse osato arrecar loro danno o cercato di impedire l'esplicazione delle loro funzioni, stabilirono che queste magistrature avessero il compito di difendere i plebei contro lo strapotere dei consoli e ne interdiceva l'accesso ai patrizi. Si costituiva in assemblea detta CONCILIUM PLEBEIS.

Collegio degli AEDILES: custodire il tesoro e gli atti della plebe nel tempio di Dioana sull'Aventino e di vegliare sull'ordinato svolgersi della vita sociale in seno alla comunità plebea.

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TRIBUNATO: eletti come gli altri magistrati plebei, nei CONCILIA PLEBIS e sono i veri capi rivoluzionari della plebe; la loro funzione consiste nella AUXILII LATIO a favore dei plebei contro il potere degli organi costituzionali e dello Stato e si esplica tramite l'INTERCESSIO o diritto di veto, nei confronti di quasi tutti gli atti dei pubblici poteri.....

CONCILIUM PLEBIS: questa assemblea si sarebbe dapprima riunita per Curie, dal 471 su proposta del tribuno PUBLILIO VOLERONE i concilia si riunivano sulla base delle tribù. CONCILIA TRIBUTA PLEBIS: le deliberazioni prese in questa assemblea sono chiamate PLEBISCITA.

Da questo momento la plebe è da considerare un vero e proprio Stato nello Stato.

Rivendicazioni:

In CAMPO SOCIALE : il diritto di CONNUBIUM base essenziale per poter aspirare ad una completa parità sociale tra i due ordini; in CAMPO ECONOMICO: rivendicava la distribuzione dell'AGER PUBLICUS e l'alleviamento delle condizioni dei debitori; in CAMPO POLITICO rivendicava il diritto di accedere a tutte le magistrature dello Stato, ai sacerdozi, al senato.

Tappe vittoriose di questa lotta:

LEX ICILIA DE AVENTINO PUBLICANDO in campo economico attribuì alla plebe il suolo dell'Aventino;

LEGGE DELLE XII TAVOLE: la scrittura del diritto, reso così accessibile a tutti, costituiva già una prima incrinatura nell'assoluto monopolio patrizio.

Subito dopo la cacciata dei secondi decemviri e la seconda secessione della plebe sull'aventino 449 AC, la tradizione pone l'emanazione di tre leggi dovute ai consoli VALERIO e ORAZIO:

DE PLEISCITIS:

DE PROVOCATIONE:

DE TRIBUNICIA POTESTATE : riconoscimento ufficiale dei magistrati plebei e della loro SACROSANCTITAS.

LEX CANULEIA 445 AC abolizione del divieto di connubio (tenace opposizione patrizi con ragioni basatesi essenzialmente sulla differenza di culto e sul conseguente turbamento degli auspici che sarebbe derivato da matrimoni misti).

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Da qui scalata alle magistrature dello Stato, il periodo che va dal 445 al 367 AC è denso di lotte serrate tra i due ordini, in questo periodo lo Stato romano è governato da un numero variabile di TRIBUNI MILITUM CONSULARI POTESTATE, anziché da due consoli patrizi.

LEGGI LICINIAE SEXTIAE del 367 AC completa parificazione dei due ordini:

1) DE AERE ALINEO: disposizioni favorevoli per i debitori;

2) DE MODO AGRORUM: regolava il possesso dell'AGER PUBLICUS;

3) DE CONSULE PLEBEIO, ammetteva i plebei al consolato.

Dal 320 in poi si afferma la regola che uno dei consoli debba essere necessariamente plebeo. Nel 342 tramite un plebiscito (tribuno GENUCIO) entrambi i consoli potevano essere plebei (si verificò nel 172).

Una delle LEGGI PUBLILIAE PHILONIS avrebbe poi riservato un posto di censore alla plebe, lasciando che l'altro fosse indifferentemente coperto da un patrizio o da un plebeo.

Sacerdozi. Nel 254 TIBERIO CORUNCARIO è il primo pontefice massimo plebeo.

Contemporaneamente, ed in conseguenza della loro ammissione alle alte magistrature dello Stato, i plebei furono ammessi in Senato: CONSCRIPTI. Nel Senato PATRES/CONSCRIPTI dopo categoria unificata. Però princeps senatus al senatore censorio patrizio più anziano, riservata ai soli patrizi la funzione dell'interregnum. L'AUCTORITAS PATRUM spetta ai soli senatori patrizi intesa prima come ratifica poi (dopo LEX PUBLILIA PHILONI E LEX MOENIA) come consenso preventivo alle deliberazioni comiziali.

Ulteriore vittoria: equiparazione dei plebisciti alle leggi valevoli per tutto il popolo. Tre leggi successive (medesimo principio UT QUOD PLEBS IUSSISSET OMENS QUIRITES TENERENT):

- LEX VALERIA HORATIA DE PLEBISCITIS del 449

- LEX PUBLILIA PHILONIS del 339

- LEX HORTENSIA DE PLEBISCITIS del 286

Dopo la parificazione vige pur sempre la distinzione dei cittadini romani nelle due classi, carattere perlopiù formale. I privilegi dei patrizi: Senato, alcuni riti, alcuni sacerdozi. I privilegi dei plebei: esclusivo accesso alle magistrature plebee (tribunato ed edilità plebea), esclusivo diritto di partecipazione ai CONCILIA TRIBUTA PLEBIS (LEX), la possibilità di rivestire entrambi i posti del consolato e della censura, possibilità che è invece esclusa per i patrizi, riserva di un numero fisso di posti in alcuni collegi sacerdotali. I più potenti gruppi familiari

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 131/164 $LOGOIMAGE plebei si sono dati inoltre un'organizzazione gentilizia, modellata su quella del patriziato, che prende il nome di STIRPS, ed accampa, in diritto privato, gli stessi diritti delle GENTES patrizie.

Non vi è possibilità fatto salva quella puramente teorica di ADROGATIO O ADOPTIO da parte di un patrizio per un plebeo di entrare a far parte del patriziato; l'acquisto del patriziato è invece possibile alla donna plebea che si unisca in matrimonio con relativa CONVENTIO IN MANUM con un appartenente alla casta patrizia.

Nuova classe dirigente composta dai più potenti gruppi familiari plebei e patrizi, classe che ben presto pretese per sé l'intero monopolio delle magistrature e del potere economico e che si chiamò NOBILITAS venendosi ad identificare con l'ordine senatorio e ad opporsi politicamente a quella classe che verrà chiamata POPULUS o, con nuovo ed antico significato, PLEBS.

In pratica dal III° secolo AC due nuovi classi privilegiate NOBILITAS (da nosco: uomini noti... vedi ius imaginum) ed EQUITES.

Augusto ORDO SENATORIUS /ORDO EQUESTER

Caratteristica: latifondo.

Edilità curule: inizio cursus honorum

Accusati del CRIMEN DE AMBITU acquisto cariche tramite denaro

OPTIMATES: NOBILES

POPULARES: EQUITES

Per Cicerone gli OPTIMATES perseguivano i propri interessi contrastando quelli della MULTITUDO. Partito aristocratico (dai Gracchi a Cesare). Partigiani della nobilitas:

- coloro che si opponevano alla politica dei Gracchi;

- coloro che si opponevano a Mario;

- coloro che si opponevano al conferimento di poteri straordinari a Pompeo;

- coloro le cui sorti furono decise sulla battaglia di Farsalo;

- coloro che fecero fronte contro Antonio dopo la morte di Cesare.

CESARE: potere di creare nuovi patrizi con LEX CASSIA 45 AC

AUGUSTO: LEX SAENIA del 30 AC

Princeps come gli antichi reges devono acquisire la qualità di patriziok: senatoconsulto es. VESPASIANO

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Da COSTANTINO titolo onorifico a vita non ereditario con codicillo imperiale.

FONTI DEL DIRITTO IN DIRITTO ROMANO

Voce del Digesto delle Discipline Privatistiche - Sezione Civile

di Aldo CENDERELLI

DIGESTO di GIUSTINIANO riferimento alle fonti del diritto i primi quattro titoli del primo libro.

Definizione data da PAPINIANO del IUS CIVILE e del IUS PRAETORIUM con riferimento alle rispettive fonti di produzione. Definizione di LEX, SENATOCONSULTI, MAGISTRATO GIUSDICENTE, DIRITTO NON SCRITTO DEI MORES E DELLA CONSUETUDO.

Divagazioni di PAOLO in merito ai vari significati da attribuire alla parola IUS.

Passo di ULPIANO sul valore normativo COSTITUZIONI IMPERIALI.

Secondo titolo del primo libro Digesto, frammento dell'ENCHIRIDION (manuale) del giurista POMPONIO, sintesi della storia costituzionale di Roma e varie fonti di produzioni del diritto nel tempo: LEGES REGIAE E MORES; XII TAVOLE; LEGESE E PLEBISCITA; SENATUS CONSULTA; EDICTA DEI MAGISTRATI E CONSITUTIONES PRINCIPIS.

Alla base dell'ordinamento romano . MORES E CONSUETUDO (da non confondersi con CONSUETUDINE, termine di diverso significato tecnico: per POMPONIO il diritto consuetudinario è IUS INCERTUM, tale da esigere ulteriori interventi normativi).

Il patrimonio culturale e giuridico dei MORES non fu mai rinnegato: tessuto giuridico di base pur se filtrato e arricchito da interpretazione giurisprudenziale.

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Dopo Editto Caracalla del 212 DC le vecchie regole non vennero messe da parte e continuarono a trovare applicazione anche da parte dei tribunali romani in sede locale: legittimazione della prassi nell'inquadramento di tali regole come CONSUETUDO, e cioè come fonte del diritto non autoritativa, consacrata nella sua validità allo stesso modo degli antichi mores di Roma.

Accanto ai MORES le LEGES REGIAE, disposizioni autoritative emanate dal REX (primi secoli) o comunque approvate dalle più antiche assemblee (comitiva curiata) su iniziativa del rex, onde far fronte all'esigenza di assicurare un minimo di certezza del diritto (il giurista POMPONIO tende anzi a collocare le LEGES REGIAE in epoca precedente all'affermarsi dei mores come fonte di diirtto e ad identificarle come quel IUS PAPIRIANUM che sarebbe stato oggetto di raccolta e riordinamento da parte di una personalità dell'epoca SESTO PAPIRIO). Studiosi moderni negato competenza legislativa ai COMITIA CURIATA e il magistrato (l'antico REX era un magistrato unico e vitalizio a capo della civitas romana) doveva solo curare l'applicazione delle norme vigenti e in caso di controversia DICERE IUS non nel senso di creare nuove norme ma di enunciare la specifica norma riferibile al caso in questione, onde imporne l'osservanza. Perciò si è giunti a considerare l'idea di LEGES REGIAE come un falso storico: erano specifiche costumanze (mores) affermatesi all'epoca di singoli re di Roma che, per averne fatto applicazione furono erroneamente ritenuti creatori delle corrispondenti regole di diritto. Anche l'antica assemblea curiata potrebbe avere funzionato da cassa di risonanza (luogo naturale in cui il popolo riunito riceveva i comandi del rex).

LEX XII TABULARUM si procedette publica auctoritate alla designazione di decem viri, il riferimento ad un previa indagine svolta in Grecia non è credibile (sistema politico chiuso e privo di rapporti, diverse polis, sistemi giuridici differenti e non significativi elementi di somiglianza..). Alla base della nomina vi fu l'iniziativa dei tribuni della plebe......

Il principio secondo il quale lo Stato tramite i propri organi può liberamente imporre ai cittadini norme di comportamento che sovrapponendosi alle regole consuetudinarie prevalgano su di esse non fu facilmente accettato: il sistema dei mores (IUS CIVILE) continuò ad essere sentito dalla comunità come separato da quello delle norme imposte per via autoritativa (IUS LEGITIMUM). Solo con il progressivo affermarsi di altri sistemi nomativi (prima lo IUS GENTIUM poi - soprattutto - lo IUS HONORARIUM) l'ambito del ius civile venne a dilatarsi fino a comprendere l'insieme di tutte quelle norme, di origine consuetudinaria o autoritativa, che non trovavano la loro specifica origine nella iurisdictio del magistrato; ancora nella giurisprudenza classica il termine LEX si riferisce per antonomasia (così come il termine LEGITIMUS) alle XII tavole.

FUNZIONE LEGISLATIVA DELLE ASSEMBLEE POPOLARI: le relative delibere LEGES ROGATAE contrapposte alle LEGES DATAE che erano essenzialmente ordinanze di contenuto amministrativo emesse dai magistrati per delega del sensato vennero ad affiancarsi, in un primo tempo, alle XII tavole, a costituire il SISTEMA DEL IIUS LEGITIMUM per essere in seguito riconosciute quali fonti di IUS CIVILE.

COMITIA CURIATA si basava sull'appartenenza della popolazione alle gentes patrizie: no plebei;

Sul finire dell'epoca regia si svilupparono i :COMITIA CENTURIATA (basati sulla suddivisione dei cives in classi, connessa al loro patrimonio individuale) e i COMITIA TRIBUTI (basati su di un criterio di ordine territoriale, connesso alla ripartizione dei cives in tribù, a seconda della loro residenza).

Vedi iter legis: magistrature superiori dotate di imperium (censori pur essendo magistratus maiores non risulta avessero l'imperium ma il ius agendi cum populo), magistrato rogante elaborava proposta sottoposta prima al senato (discussione e parere: senatusconsultum: parere obbligatorio ma non vincolante, di norma se sfavorevole dissuadeva il proponente dall'insistere a presentare la propria rogatio) Dopo parere il proponente pubblicava il testo per conoscenza e discussione popolo poi convocava l'assemblea ed il popolo esprimeva il

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 134/164 $LOGOIMAGE proprio voto (non possibile emendamenti e solo su una parte inoltre divieto di presentare proposte di LEGES SATURAE). Poi proclamazione risultati. Se la rogatio era stata approvata dalla maggioranza dei votanti, essa ritornava al senato, perché in tale sede si effettuasse un controllo sulla regolarità complessiva del procedimento, in esito al quale il senato concedeva la propria auctoritas alla deliberazione assembleare. Con ciò l'ieter legis si concludeva e la nuova legge entrava immediatamente in vigore. Nel II secolo AC si legittimò una prassi per cui l'auctoritas del senato veniva data in via preventiva, fondendosi in pratica, con il parere di merito (senatusconsultum) che il senato era chiamato a dare sulla rogatio magistratuale, il che portò a trasformare l'auctoritas da un controllo sulla correttezza del procedimento di approvazione in una sorta di valutazione aprioristica della possibilità che la nuova legge se approvata dall'assemblea potesse inserirsi nel contesto generale delle norme previgenti senza effetti traumatici sull'ordinamento complessivo (si è sostenuto che la trasformazione dell'auctoritas del senato da successiva a preventiva sia indice di un indebolimento del potere senatorio di controllo sulle decisioni assembleari. Ciò è opinabile).

CONCILIA (assemblee solo plebee) (il termine comitia fu riservato alle sole assemblee popolari) organizzate su base territoriale. Le decisioni PLEBISCITA con l'aumento del peso politico dei plebei e ruolo sempre più incisivo del tribunato ottennero la parificazione alle leggi, ma nel contempo si estesero le interferenze del senato (senatusconsultum e auctoritas) da cui, in origine, essi andavano totalmente esenti. L'iniziativa legislativa è riservata ai tribuni della plebe (tribunicia potestas)

La IURISDICTIO come fonte indiretta di produzione normativa. A partire dal II secolo AC attività giurisdizionale dei magistrati, intesa come attività applicativa del sistema giuridico vigente al singolo caso controverso (il magistrato non poteva creare leggi al di là del potere di iniziativa legislativa di cui si è detto). Nel tempo rete di norme sovrapposte e a volte contrapposte alle norme (di origine consuetudinaria o autoritativa) del IUS CIVILE che vennero globalmente inquadrate come IUS HONORARIUM ( o anche considerata la stragrande prevalenza riconosciuta, fra le fonti di esso, all'editto perpetuo del pretore come IUS PRAETORIUM: Papiniano definisce il diritto pretorio, avendo riguardo al contenuto sostanziale di esso, come il complesso delle norme che i magistrati introdussero al fine di sostenere ADIUVARE integrare SUPPLERE e correggere CORRIGERE il ius civile nell'interesse della collettività). Ciò fu possibile poiché funzione giurisdizionale era di regola ( (eccezione edili curuli la cui iurisdictio non corrispose mai ad un potere più ampio -imperium - ciò però avvenne in esito ad una evoluzione tradottasi in una specializzazione funzionale) riservata alle magistrature maggiori e inerenti all'ìmperium degli stessi (il quale era visto come una sorta di sintesi nelle loro persone - durata carica - e dell'autorità dello Stato che li poneva al di fuori e al di sopra dell'ordinamento giuridico).

Non c'era netta contrapposizione ma complementarietà del diritto romano classico (non a caso MARCIANO sottolinea che il diritto onorario è la "viva vox iuris civilis") imperniato in CHIAVE STATICA sulle norme del IUS CIVILE (comunque derivate dagli antichi mores, XII tavole, da leggi comiziali o plebisciti, dalla recezione consuetudinaria di principi comportamentali nati sul terreno dei rapporti fra persone di comunità diverse e noti come IUS GENTIUM) ed in CHIAVE DINAMICA (cioè nel momento di concreta applicazione e di soluzione giurisdizionale delle controversie) sugli edicta dei magistrati.

EDICTUM PERPETUUM pubblicazione programma annuale prima dei pretori poi edili curuli mentre per governatori provincie la pubblicazione ricalcava in genere il testo del programma elaborato per Roma dal pretore. EDICTUM: sottolineava l'espressione della volontà del magistrato emanata in forza del suo imperium e quindi in modo vincolante, l'aggettivo PERPETUUM evidenziava il carattere permanente dell'editto (dal II secolo DC cristallizzato in via definitiva immutabile), distinguendolo dall'EDITTO REPENTINA (episodio specifico che li aveva occasionati). Nel tempo nucleo costante TRALATICIUM tramandato di anno in anno, di magistrato in magistrato

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Nel momento storico in cui il testo degli editti magistratuali finì col cristallizzarsi definitivamente (intorno all'anno 130 DC l'imperatore Adriano avrebbe incaricato il giurista SALVIO GIULINAO di una revisione definitiva dell'editto del pretore, che da allora, non subì ulteriori modifiche) e la pubblicazione annuale mera formalità e con l'avvento del principato il ruolo dei magistrati giusdicenti sempre più ridotto: imperatore.

Giurisprudenza Pontificale: FAS e IUS - RESPONSA - stimolo emanazione XII tavole elemento di rottura con tradizione preesistente: problemi di coordinamento e di assimilazione con comunità. Ad un certo punto TIBERIO CORUNCANIO diede avvio alla prassi di PUBLICE RESPONDERE , fenomeno di laicizzazione ..

Giurisprudenza repubblicana: si suole classificare l'attività tipica in tre forme:

AGERE (assistere le parti contendenti in un processo in veste di tecnici non di avvocati difensori - tale ruolo era di regola riservato ad oratores -);

CAVERE assistenza nel compimento di atti negoziali volontà e validità;

RESPONDERE risolvere specifiche questioni di ordine interpretativo proposte dai singoli interessati.

Giurisprudenza classica : con l'avvento del principato di Augusto. Contrapposizione fra scuole PROCULIANI e SABINIANI che con il giurista SALVIO GIULIANO prima metà del II sc. DC viene superata.

Vedi IUS RESPONDENDI EX AUCTORITATE PRINCIPIS: sorta di ideale delega della funzione interpretativa del diritto che il principe affermava come propria e nel contempo affidava ai prudentes che godevano della usa fiducia (indirettamente riaffermando il proprio primato nella civitas).

Produzione scientifica dei giuristi INSTITUTIONES, REGULAE, MANUALIA, LIBERI AD QUINTUM MUCIUM ,AD SABINUM, LIBRI AD EDICTUM, DIGESTA, LIBRI SINGULARES, RACCOLTE DI RESPONSA, QUAESTIONES, DISPUTATIONES.

La salita al potere di Augusto provocò ravvivarsi attività legislativa assembleare leggi comiziali e plebisciti approvati su proposta del princeps che aveva avocato a sé la tribunizia potestas e con essa il ius agendi cum plebe che vi ineriva. Si riconobbe l'efficacia normativa diretta dei senatuconsulta (vedi ORATIO).

Elemento nuovo CONSTITUTIONES PRINCIPIS: interventi normativi diretti posti in essere dal principe in prima persona.

EDICTA: provvedimenti di carattere generale emessi ex imperio e di regola vincolanti per tutto il popolo;

MANDATA: direttive indirizzate a funzionari imperiali in virtù del potere di diretta superiorità gerarchica del principe, effetto normativo indiretto anche per popolazione;

DECRETA: decisioni assunte dal princeps a conclusione di processi in cui egli aveva assunto in prima persona il ruolo di giudice, vere e proprie sentenze rese dall'imperatore a definizione della causa, non effetti

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 136/164 $LOGOIMAGE normativi generali;

EPISTULAE e RESCRIPTA: risposte date dal principe a specifici quesiti di orinde giuridico a lui indirizzati (mediante PRECES o SUPPLICATIONES) in via gerarchica da funzionari dell'amministrazione ricevendo un riscontro ufficiale e formale EPISTULA o direttamente ed informalmente da privati RESCRIPTUM, nella sostanza esse corrispondevano ai responsi dei giureconsulti dai quali si differenziavano solo per la diversa e più autorevole origine. Ove i rescritti fossero stati esposti all'imperatore in modo esatto e completo SI PRECES VERITATE NITUNTUR dovevano considerarsi vincolanti.

CODEX GREGORIANUS 292 DC

CODEX HERMOGENIANUS 295 DC

CODEX THEODOSIANUS 429 DC

Finchè la giurisprudenza classica fu operativa la legiaslzioneimperiale si coordinò all'interpretatio dei prudentes in un tutto armonico vedi anche CONSILIUM.

Poi scadimento eccetera.

Le fonti del diritto nel periodo dell'impero: LEGES e IURA. La legge delle citazioni.

Fine III secolo dominato. Da Costantino in avanti il termine IMPERATOR (in precedenza utilizzato solo occasionalmente come qualifica del princeps in quanto titolare dle potere supremo di comando militare imperium già proprio dei magistrati repubblicani superiori) preci9sa valenza tecnica : imperatore. Sola categoria sostanziale LEGES, tra le varie categorie differenziazioni formali. Le opere dei giureconsulti non vennero considerate più elaborazioni scientifiche e interpretativi di testi di legge, ma esse stesse come veri e propri testi di legge come fonti del diritto autonome, globalmente classificate con la denominazione di IURA (pur corrispondendo al plurale di IUS ha una precisa connotazione tecnica di diverso significato). Così per oltre due secoli l'indagine delle norme applicabili ad ogni fattispecie dovette estendersi a lege e iura e ove non si rinvenisse una costituzione imperiale disciplinatrice ex novo dell amateria (mai) la regola giuridica andava trovata negli IURA opere dei giuristi classici: problemi di certezza del diritto. Iniziative imperiali:

VALENTINIANO III e TEODOSIO II 426 dc: LEGGE DELLE CITAZIONI primo tentativo di introdurre una disciplina organica e completa dell'uso delle opere dei giureconsulti come fonti del diritto ...... regola generale che il valore di iura potesse essere attribuito solo alle opere dei giuristi che, in vita, erano stati insigniti del ius respondendi ex auctoritate principis e ciò evidentemente anche al fine di riaffermare il primato della autorità imperiale facendovi in qualche modo confluire, pur se in via mediata, tutte le fonti del diritto. Gaio.... Supplì equiparandolo a posteriori ai giureconsulti ufficialmente dotati di tale facoltà: utilizzati PAPINIANO PAOLO GAIO ULPIANO E MODESTINO senza bisogno di documentarne l'autenticità altri tenuto a esibire al tribunale CODICIUM COLLATIONE. Di fronte a contrasti fra opinioni quella prevalente COMMUNIS OPINIO vincolante per il giudice come vera e propria regola di diritto. In caso di parità PAPINIANO ove non espresso o non possibile il criterio maggioritario il giudice veniva lasciato scegliere tra le varie opinioni.

Il programma di Teodosio II e la limitata attuazione di esso . Il Codex Theodosianus.

Costituzione del 429 nomina commissione per compilare raccolta di tutte le leggi generali imperiali a partire dall'epoca di Costantino,sfrondate degli elementi di contorno ma rigorosamente complete nella parte

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 137/164 $LOGOIMAGE normativa: fine fornire quadro integrale legislazione imperiale (anche costituizioni abrogate o desuete). Le dimensioni grandiose dell'iniziativa ne impedirono in concreto l'attuazione.

Seconda costituzione 435 nomina nuova commissione con compito limitato alla raccolta costituzioni imperiali emesse da Costantino in avanti: questo compito fu portato a termine: CODEX THEODOSIANUS in vigore dal 438.

In realtà la prima commissione è giunta a svolgere e forse anche a completare una paziente opera di lettura delle opere dei giuristi classici e ha portato avanti la schedatura sistematica di esse frammentandole in singoli passi riferiti ai singoli istituti: archivio con massa di materiali un secolo più tardi riscoperti da TRIOBONIANO poterono essere di base alla compilazione del Digesto di Giustiniano, cosiddetto PREDIGESTO.

La caduta dell'impero d'Occidente e le leggi romano-barbariche. L'Oriente e la compilazione giustinianea.

LEX ROMANA WISIGOTHORUM 500 ampia compilazione di buona fattura , composta di iura e leges ed integrata da una interpretatio.

LEX ROMANA BURGUNDIONUM

EDICTUM THEDORICI REGIS che si qualificò dichiaratamente come legge territoriale applicabile sia ai barbari sia ai romani, conviventi nel medesimo ambito.

In Oriente, le fonti del diritto continuarono ad essere caratterizzate dalla dicotomia tra LEGE e IURA e la produzione di nuove norme giuridiche rimase monopolio dell'imperatore, la svolta si ebbe allorquando Giustiniano in un disegno politico generale di rafforzamento dell'impero che implicò anche il riordino del sistema delle fonti, fece luogo alla grande opera di compilazione che porta il suo nome e che, nel tempo, è passata alla storia come CORPUS IURIS CIVILIS: punto di arrivo della storia delle fonti del diritto romano.

Interpretazione della legge (diritto romano)

Voce Enciclopedia del Diritto

di Feliciano SERRAO

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Concezione dello SCHULZ sul periodo arcaico caratteristiche: a) i più antichi giuristi cono sacerdoti di Stato: pontefici, auguri, decemviri sacris faciundis, fetiales. Essi sono tipici HONARATIORES cioè persone di altro rango sociale; b) culla della scienza del diritto nel Collegio dei Pontefici (monopolio fino alla definitiva parificazione tra plebei e patrizi): interpretatio; c) corso III secolo giurisprudenza laica: APPIO CLAUDIO CIECO primo rappresentante; d) i giuristi provenivano dalla stessa classe socialmente ed economicamente omogenea: diritto sacro, privato e pubblico uniformità; e) elaborazione diritto sacro la INTEPRETATIO oltre che in opinioni ed istruzioni sfociava anche nella redazione di FORMULAE e nella formulazione di regole nello stile lapidario delle XII tavole. In diritto privato : RESPONSUM; f) cosiddetto formalismo delle azioni tre stadi: 1) libera creazione; 2) rigidità delle forme:; 3) perdita di importanza delle forme antiche.

Critica alla concezione di SCHULZ: a) non si può prescindere in tema di INTERPRETATIO IURIS o LEGIS dalle grandi lotte (ec.soc.pol) per circa due secoli (dal 500 al 300 circa AC) tra plebei e patrizi; b) prassi costituzionale nella formazione della costituzione, CATONE indica con RERUM USUS AC VETUSTAS, svoltasi evolutivamente non per spontanea volontà dell'ordine patrizio, ma attraverso lo scontro di interpretazioni, fra loro spesso contrastanti, dei principi costituzionali vigenti; c) problema dell'interpretazione produttiva di prassi costituzionale e pertanto di consuetudine e si deve pensare ad un'interpretazione tendenzialmente evolutiva da parte dell'opposizione plebea a un'interpretazione sovente stretta e formalistica da parte patrizia (mani magistrature): interpretazione diritto e legge condizionata dalle esigenze della lotta politica; d) lotte per la certezza del diritto, per la laicizzazione giurisprudenza, per la pubblicazione delle actiones; e) soprattutto per il diritto pubblico non si può parlare di criteri di interpretazioni uguali per tutte le parti politiche e poer tutti gli interpreti: diverse per le diverse parti politiche e diversi momenti: quindi solo tendenze.

Linee ricostruttive.

Il diritto privato e con esso i mezzi per agire in giudizio è saldamente custodito dai pontefici.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 139/164 $LOGOIMAGE Il diritto sacro è parimenti monopolio dei collegi sacerdotali: formalistiche interpretazioni e funzione strumentale di conservazione nei confronti del diritto pubblico e privato, classista e arcano.

Il diritto pubblico: collegi sacerdotali, magistrati e senatori dell'antica repubblica stesso ambiente sociale e interessi economici e ideologie classe patrizia.

Agitazioni plebee: sorgono magistrature plebee e assemblea plebe potere di autoregolarsi. Va sorgendo giurisprudenza laica accanto a quella pontificale (che decade nel carattere arcano e misterioso). Indici sicuri di questo processo storico sono:

1) il tentativo di composizione della lotta di classe mediante la creazione di un governo collegiale di 10 membri a diverse tendenze politiche e la redazione delle leggi delle XII tavole;

2) i dissensi che, nell'interpretazione di alcune importanti norme di diritto pubblico, delle XII tavole nel quadro dell'ordinamento costituzionale si incominciano presto a verificare ;

3) il sorgere di una giurisprudenza laica APPIO CLAUDIO CIECO ;

4) l'essere stato infranto il carattere arcano e segreto dell'interpretaizone pontificale vedi anche TIBERIO CONCURANIO;

L'interpretazione delle XII tavole.

Pomponio cosiddette LEGES REGIAE. Anteriormente alle XII tavole lo IUS è INCERTUM in quanto posto in un primo tempo nell'arbitrio dei re, questo diritto di natura "fattuale" non permette secondo Pomponio interpretazione proprio perché manca la certezza dell'oggetto, dell'interpretazione: cioè la norma.. Le XII tavole rendendo certo il diritto rendono possibile L'INTERPRETATIO e quindi lo sviluppo il FLUERE dello IUS CIVILE che in parte è perciò da considerare COMPOSITUM dai PRUDENTES. Sulle stesse leggi delle XII tavole vengono COMPOSITAE le ACTIONES che perciò prendono il nome di LEGIS ACTIONES.

Fatto nuovo: legislazione decemvirale. Perciò quello delle XII tavole è nello stesso tempo INTERPRETATIO IURIS, in quanto le leggi altro non contengono che IUS ed INTERPRETATIO LEGIS, in quanto tale IUS è riprodotto o meglio fissato dalla LEX.

Queste caratteristiche dimostrano anche , sotto altro angolo visuale, il carattere tutto particolare dell'interpretazione Legge XIII tavole di fronte all'interpretazione altre LEGES ROGATAE per le quali il rapporto fra LEX e IIUS si pone in modo completamente diverso. Secondo lo STEIN le XII tavole sarebbero un esempio del più antico concetto di LEX come dichiarazione autoritativa della formulazione dello IUS (già esistente) diretta al pubblico, mentre nell'epoca successiva la LEX è considerata espressione della volontà popolare.

Nell'ambitente politico giuridico dei TRIPERTITA, l'INTERPRETATIO DEI PRUDENTES sviluppa ed amplia lo IUS stesso: FUNZIONE CREATIVA cioè facendo leva sulla formulazione legislativa dello IUS aiuta lo IUS stesso a svolgersi come FLUERE. Con che lo IUS si fissa nella legge XII tavole e si rivela e si svolge pienamente attraverso l'INTERPRETATIO e le ACTIONES la cui creazione nella prima sembrerebbe rientrare.

Con i giuristi successivi l'INTERPRETATIO si rende autonoma rispetto al dato normativo della legge, lo attrae dentro di sé e si costituisce secondo una sua intrinseca razionalità: aumenta il carattere creativo.

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Interpretatio iuris e retorica.

Influenza. Filologo STROUX il quale muove dal motto SUMMUS IUS SUMMA INIURA da CICERONE nel DE OFFICIIS, addotto come "reazione del leso sentimento di giustizia contro una NIMIS CALLIDA IURIS INTERPRETATIO" per intendere la vera portata è necessario studiare i suoi nessi sostanziali nel campo della retorica antica.

I principi retorici sulla interpretazione riguardavano fondamentalmente:

- impostazione del caso giuridico (o di eloquenza);

- la trattazione degli status, cioè delle ipotesi in cui la legge e la sua esegesi dava luogo alla contesa delle parti.

- Ogni caso presuppone l'ACCUSATIO-DEFENSIO= FECISTI-NON FECI;

- STATUS CONIECTURALIS riguardante le prove (che si fondano su congetture) ovvero lo STATUS QUALITATIS, ove il fatto come tale si ammetta, ma se ne contesti la qualità (esempio: FECI, SED IURE FECI);

- Una volta impostato il caso (trovato lo STATUS CAUSAE) sorge il problema dell'applicazione della legge alla fattispecie concreta: quattro casi in cui la legge e la sua esegesi davano luogo alla contesa tra le parti: 1) una parte difende la rigida interpretazione letterale della legge, l'altra l'interpretazione conforme alo spirito o alla volontà del legislatore (SCRIPTUM VOLUNTAS O SENTENTIA); 2) le parti si richiamano a leggi o disposizioni fra loro contrarie (LEGIS CONTRARIAE, ANTINOMIA); 3) le parti si richiamano alla stessa legge, che però interpretano diversamente (AMPHIBOLIA, AMIBIGUITAS); 4) una parte nega e l'altra invece sostiene che nella legge vi sia una lacuna da colmare mediante sillogismo (RATIOCINATIO).

Nella trattazione dei 4 STATUS fondamentali era tutta la teoria retorica dell'interpretazione della legge la quale , col fornire una topica astratta dell'esegesi dava "un appoggio sistematico anche ad un'esegesi non retorica della legge".

Nella contrapposizione SCRIPTUM-VOLUNTAS l'INTERPRETATIO EX VOLUNTATE O EX SENTENTIA si identificava con l'AEQUITAS. Vedi Cicerone e pratica giudiziaria famosa CAUSA CURIANA e orazione PRO CAECINA. Proprio in quest'ultima il SUMMO IURE CONTENDERE viene identificato con l'esegesi legata alla parola e alla lettera della legge.

Già ai tempi di Terenzio esisteva il motto SUMMUS IUS SAEPE SUMMA EST MALITIA. Diffusasi la concezione dell'interpretazione secondo equità come corrispondente ad interpretazione secondo lo spirito della legge e la volontà del legislatore, la rigida interpretazione fu bollata come CONTENDERE SUMMO IURE e un ignoto oratore dovette coniare il motto SUMMUS IUS SUMMA INIURA.

Tutto questo movimento di idee che trova la sua temperie culturale negli ultimi due secoli della Repubblica, in cui la filosofia greca e gli studi di retorica ebbero parte importante, influì in modo considerevole su quella giurisprudenza evolutiva e creatrice...... Così da PUBLIO a QUINTO MUCIO ad AQUILIO GALLO a SERVIO SULPICIO RUFO, l'INTERPRETATIO EX AEQUITATE (ed EX SENTENTIA)

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 141/164 $LOGOIMAGE andò sempre più rafforzandosi e radicandosi nella coscienza giuridica fino a trionfare definitivamente nell'INTERPETATIO EX LITTERIS.

Il secolo dal 150 al 50 AC decise il posto della AEQUITAS nel diritto e nella giurisprudenza romana.

Secondo VICO gli oratores difendono la mens legis e con essa l'aequum e sì facendo promuovono lo sviluppo del diritto pretorio. Indi la giurisprudenza creatrice dei VERBA LEGUM e dello IUS STRICTUM O SUMMM col riportarsi all'editto perpetuo, diviene come elegantemente la definì il Celso "ARS AEQUI BONI". L'influsso dell'oratoria sulla giurisprudenza sarebbe avvenuto specialmente per via indiretta attraverso la creazione del diritto ad opera del pretore.

Considerazioni complessive sull'età repubblicana: i giuristiprovengono dalle famiglie più stimate ed influenti sono HONORATIORES ma a differenza dei giuristi del periodo arcaico non appartengono ad una aristocrazia di sangue bensì alle nuove classi dirigenti : NOBILITAS o ordine EQUESTRE. Il formalismo si attenua fortemente, la interpetazione si ispira alla MENS e alla VOLUNTAS LEGIS e pereguie l'AEQUUM ET BONUM. I giuristi agiscono sull'ordinamento mediante l'INTERPRETATIO degli atti normativi e del IUS tramandato consuetudinariamente ma ancor più proficuamente operano in modo indiretto nel CONSILIUM del magistrato giusdicente o del IUDEX.

L'attività interpretativa è spinta ad una maggiore libertà di movimento dalle nuove condizioni economiche che si determinano in seguito all'espansione imperialistica e al conseguente esplodere delle grandi attività commerciali. Il tribunale del pretore peregrino diventa la corte del commercio internazionale nasce e si sviluppo il poderoso sistema degli istituti IURI GENTIUM. I due pretori della giurisprudenza civile, assieme ai loro consiglieri, mediante una continua opera di interpretazione evolutiva del sistema vigente, adattano istituti preesistenti ad esigenze nuove o creano addirittura nuovi istituti rispondenti ai nuovi bisogni della società. I giuristi attraverso l'interpretazione analogica suggeriscono le ACTIONES AD EXEMPLUM di azioni già esistenti.

L'interpretazione della costituzione non è nei responsa dei giuristi ed è solo in piccola parte nelle rare opere di diritto pubblico; essa è principalmente nell'azione quotidiana dei politici (senatori, magistrati, tribuni) e si colgono dai loro discorsi, scritti, opere storiografiche o trattati filosofia politica eccetera.

L'interpretazione progressiva e innovativa che TIBERIO GRACCO fa dei poteri e della funzione del tribunato organo di difesa delle nuove classi inferiori (contadini, piccoli commercianti, proletariato metà II sec.AC).

L'interpretazione opposta degli OTTIMATI i quali sostenevano l'incostituzionalità del comportamento di Tiberio essendo orami il tribunato divenuto una magistratura come le altre.

D'altro lato si potrebbe citare l'interpretazione restauratrice (o conservatrice) di SILLA alla costituzione repubblicana con l'intendere restrittivamente i poteri e le funzioni dei tribuni e delle assemblee popolari e con l'interpretare estensivamente i poteri e le funzioni del senato.

Le LEGES ROGATAE e specialmente i plebisciti sono lo strumento fondamentale di cui si servono gli uomini politici dei movimenti democratici per condurre la lotto antioligarchica e per conseguire le riforme cui aspirano gli strati popolari.

La legge veniva ad essere una delle fondamentali armi della lotta politica e sociale e faceva sì che i proponenti specie se populares tendessero da un lato ad evitare dubbi e incertezze o interpretazioni equivoche mediante l'inserimento di clausole cautelative e l'adozione di uno stile circostanziato, meticoloso e quasi pedante; dall'altro ad inserire clausole varie dirette a garantire l'osservanza e l'esecuzione della legge da parte delle categorie chiamate ad applicarla. Ciò avveniva specialmente

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 142/164 $LOGOIMAGE nelle leggi di iniziativa democratica in quanto si trattava sovente di leggi di riforma....

I caratteri dell'interpretatio nei primi secoli dell'impero.

Già a partire di Augusto cambiamenti di rilievo nelle fonti. Maggior potere del senato di emettere senatoconsulti normativi. Di gran lunga importante è il potere normativo del principe... concessione ad alcuni grandi giuristi del IUS PUBLICE RESPONDENDI EX AUCTORITATE PRINCIPIS.

Legge delle citazioni fu chiamato un tribunale di morti.

L'attività creativa dei pretori va progressivamente riducendosi mentre aumenta la parte tralaticia dell'editto che definitivamente si stabilizzerà nella redazione giulianea sotto Adriano.

Nel periodo repubblicano i soli testi normativi diritto privato erano le XII tavole, le poche LEGES ROGATAE successive in materia privatistica e l'editto dei pretori, che continuamente si aggiornava e si rinnovava. Nel periodo di cui ci occupiamo ai testi repubblicani si aggiungono i senatoconsulti normativi, le costituzioni, l'editto definitivamente stabilizzato.

L'INTERPRETATIO IURIS (inteso lo IUS come IUS NON SCRIPTUM) va progressivamente cedendo il campo all'INTERPRETATIO LEGIS. Si determina necessariamente una più stretta connessione ed aderenza fra l'attività interpretativa dei giuristi e i testi normativi (questa è l'epoca dei grandi commentari AD EDICTUM. Ma anche lo IUS CIVILE si considera quasi fissato nei classici sistemi di QUINTO MUCIO e di SABINO che divengono oggetto di ampi commenti).

Sorge e si va affermando l'interpretazione autentica da parte dell'imperatore.

Per il diritto costituzionale cessa la dialettica cessa la dialettica della lotta politica fra le classi e i partiti, l'interpretazione della costituzione fa parte degli ARCANA IMPERIII e come tale è riservata al principe e ai suoi consiglieri segreti.

I giuristi hanno la possibilità di svolgere la loro attività interpretativa solo nel campo del diritto amministrativo che rimane fuori degli ARCANA IMPERII.

Il diritto criminale parallelamente alla decadenza delle QUAESTIONES già libere palestre di oratoria e di lotta politica, richiama l'attenzione dei giuristi che interpretano e valgono a nuove significazioni in accordo alle nuove strutture giudiziarie e ai nuovi principi generali le LEGES ROGATAE repubblicane in materei di diritto e processo criminale sempre che non siano completamente superate dai tempi.

Proprio in questo campo, più che in altri emerge talvolta un criterio storico nell'interpretazione delle norme in vigore.

I principi dell'interpretazione nel diritto classico. a) l'interpretatio secondo la voluntas legis già affermatasi in epoca repubblicana e divenuta il cardine dell'interpretazione secondo l'AEQUUM ET BONUM in contrapposto allo IUS STRICTUM (CELSO). La

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VOLUNTAS è da ricavare attraverso l'esame di tutta la legge, superare i VERBA e intendere la VOLUNTAS significa conquistare la VIS e la POTESTAS LEGIS. Nella stesso ordine di idee si muovono ULPIANO, MODESTINO e PAOLO; b) l'interpetazione analogica e integrative delle lacune del sistema è sostenuta da SALVIO GIULIANO, PEDIO e ULPIANO; c) PAOLO professa come canone comunemente accettato che le "PIORES LEGES AD POSTERIORES TRAHANTUR": si tratta di interpretazione attualizzante; d) Secondo lo stesso PAOLO in caso di dubbio sull'interpretazione di una legge, è da ricercare prima di tutto ......

Da Diocleziano a Giustiniano. Caratteristiche fondamentali del periodo: a) potere assoluto dell'imperatore, il quale è DOMINUS e pertanto solo a lui deve risalire per via diretta o indiretta qualsiasi innovazione nel campo del diritto; b) dal sistema burocratico che porta ad una profonda trasformazione della scienza giuridica. I migliori giuristi sono esponenti burocrazia imperiale o talvolta amministrazione chiesa cristiana; c) dall'essere la professione del giurista che non entra nell'amministrazione imperiale unita a quella dell'avvocato. Nei tre periodi precedenti i giuristi si erano sempre differenziati dagli oratores.

Conseguentemente l'interpretazione si esprime in gran parte attraverso l'attività normativa dell'imperatore o attraverso le decisioni giudiziarie centrali e periferiche. ARCHI: nelle fonti della tarda romanità la differenza tecnica tra produzione delle norme e loro interpretazione non ha un risalto netto.

La decadenza del formalismo e l'affermazione a dar valore esclusivamente alla VOLUNTAS LEGIS, il problema si ricollega all'altro sull'affermazione dell'interpretazione EX VOLUNTATE nell'età classica.

Il collegamento dell'origine della teoria volontaristica ai giuristi postclassici e bizantini svanisce nel nulla. Restano gli eccessi della dottrina volontaristica e questi ben possono esser attribuiti ai bizantini.

Legge (diritto romano)

Voce Enciclopedia del Diritto

di Feliciano SERRAO

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CICERONE essenza legge nel termine greco è posto in risalto il valore della "equità" e nel termine latino il valore della "scelta", caratteri tipici della legge.

Collegamento con LIGARE .

LEX: statuizione o regolamentazione su una data materia da parte delle fonti di produzione del diritto: uso generico di LEX (o LEGES) come ordinamento giuridico o, ancora come diritto positivo, si trova l'uso più specifico e tecnico nel senso di regolamentazione posta dagli organi legislativi e più precisamente di legge approvata dalle assemblee popolari repubblicane (ricordare tre definizioni di LEX date, rispettivamente, d CAPITONE, GAIO e PAPINIANO. Nello stesso senso tecnico LEX è usata sempre che si trovi accompagnata da alcuni specificativi: CONSULARES, TRIBUNICIAE, DECE,VIRATES, SUMPTUARIAE, FRUMENTARIAE, SACRATAE, nome magistrato rogante aggettivato: CILIA, CORNELIA, FALCIDIA, VILLIA.

Con altri termini statuizioni pubbliche dei magistrati. EDICTUM, DECRETUM con allusione alla forma loro emanazione non contenuto.

Costituzioni imperiali non legge, ma EDICTA e DECRETA o i termini nuovi di MANDATA e RESCRIPTA mentre tutti, ad un certo momento, vengono ricompresi nel nome più generale di COSTITUTIONES PRINCIPUM.

Il termine LEGES non viene mai usato tecnicamente nel principato ma compare solo nel tardo impero per indicare costituzioni imperiali in contrapposto alle opere giurisprudenziali IURA e indi le raccolte di LEGES contrapposte alle raccolte di IURA.

LEX in tutte le accezioni sempre presente il concetto di "statuizione che lega" e quindi "norma" "obbligo" ma NON necessariamente quello di obbligo derivante da convenzione, da accordo fra persone o gruppi (vedi TIBILETTI dimostra come alla stessa legge comiziale non si possa attribuire il carattere di un accordo bilaterale).

Il sistema romano delle fonti del diritto ricco e complesso: ciascuna fonte è determinata dal rapporto in cui, nelle varie fasi del lungo svolgimento storico, essa viene a trovarsi con le altre.

MORES sono fonti del IUS (il quale riguarda la sfera profana e i rapporti fra i componenti della comunità) e del FAS (il quale attiene alla sfera dei rapporti fra gli uomini e gli dei o dei rapporti posti sotto la protezione degli dei).

Durnate l'età in cui comunità romana fu costituita da una federazione di gruppi minori, preesistenti all'unità

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 145/164 $LOGOIMAGE cittadina, FAMILIAE e GENTES, i MORES e quindi il IUS nascevano nel seno e ad opera stessi gruppi, avevano cioè origine gentilizia, idem per fase monarchia latina (rex espressione gruppi gentilizi e consiglio dei patres).

Immigrazione, liberazione antica clientela, formazione base sociale nuova, ideologia, contrapposizione tra: a) coloro che sono entrati nella comunità senza appartenere a genti o stirpi potenti e ricche e senza vantare discendenze d'altro lignaggio: tendono formazione civitas unitaria: PLEBS; b) gruppi gentilizi. Tendono a conservare propria egemonia e contrastare unità cittadina: PATRES;

POPULUS comunità di individui liberi e uguali caratteri nuovi del REX n espresso dalla CIVITAS la cui base sociale è costituita dal POPULUS. Creazione fattuale del diritto (ORESTANO) sia nella direzione politica della città, sia nel regolare i rapporti fra i singoli componenti la comunità, il re crea la norma nel momento stesso in cui l'applica. Egli DAT IUS.

Al IUS nascente dagli antichi MORES gentilizi ormai fatti propri dalla CIVITAS si va aggiungendo la successiva normazione regia: il problema delle LEGES REGIAE, vedi IUS PARIRIANUM. Si trattò di norme consuetudinariamente affermatesi attraverso l'amministrazione diretta della giustizia da parte del re o si tratto di norme "date" cioè autoritativamente stabilite ad opera del re o si trattò - probabile - dell'uno e dell'altro fenomeno (ai MORES vennero ad aggiungersi LEGES DATAE)...

L'intervento normativo del re affermazione della civitas come comunità unitaria di fronte ai mores gentilizi più antichi.

LEX CURIATA DE IMPERIO : atto di investitura del magistrato compiuto dai littori in rappresentanza delle 30 curie. Quando la base sociale del nuovo stato non furono più le GENTES bensì tutti i CIVES (gentili e non) cioè il POPULUS che diviene accanto ai PATRES organo della costituzione è il primo esempio di legge in senso tecnico: atto di volontà popolare implicitamente escludendosi che il capo ripeta l'ìnvestitura esclusivamente dai patres.

La caduta della monarchia dal p.d..v. costituzionale segna il passaggio del potere della città interamente nelle mani dei gruppi gentilizi vecchi e nuovi ossia dei PATRES. Stato classista patrizio: La classe dirigente patrizia, prassi di governo, consuetudini , racolta e interpretazione antichi mores conserva e crea il nuovo ius (di monopolio patrizio). Interpretatio nelle mani del collegio dei pontefici che costituiva la cittadella dell'ordine patrizio, nonché attraverso l'esercizio della IURISDICTIO.

Caratteristiche del sistema: a) lo ius non è scritto; b) lo ius ha natura classista come lo stato di cui è espressione; c) l'ordinamento giuridico è spesso contraddistinto da incertezza delle sue norme; d) la dichiarazione e l'applicazione delle norme è nelle mani dei soli patrizi.

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Le rivendicazioni fondamentali della plebe:

- in campo economico: assegnazione terre;

- in campo sociale eguaglianza dei diritti e abolizioni distinzioni giuridiche di classe;

- in campo politico: partecipazione al potere;

- in campo giuridico: la conquista della certezza del diritto.

Contestazione plebea fino a stato patrizio-plebeo.

...... LEGES SACRATAE .....sacertà... il plebiscito giurato ossia la cd. LEX SACRATA

XII tavole: al IUS custodito e interpretato dai patres si tende a contrapporre le LEGES create dalla rivoluzione plebea o comunque espresse in vari modi, dalla volontà popolare.

Lo stesso temine LEGIS ACTIONES che forse dalle XII tavole sostituì il termine ACTIONES per designare i modi di agire in giudizio preesistenti, sembrerebbe espressivo del rilevato fenomeno per cui il crisma legale si sovrappone al IUS quasi ricreandolo.

Lo IUS CIVILE costituito fondamentalmente dai mores, fino al decemvirato raccolti custoditi e interpretati quasi esclusivamente dai collegi sacerdotali era stato fissato nelle sue grandi linee nelle XII tavole acquistando così il crisma popolare e diventando LEX.

In un primo tempo (Tripartita) i giuristi aderenti al testo legislativo poi interpretano esigenze nuove, creano strumenti nuovi. Opera cautelare che prestano alle parti interessate (concetto del CAVERE) o mediante suggerimenti e consigli ai iudices o ai magistrati che esercitano la iurisdictio, ossia ai due pretori urbano 366 e peregrino 242 AC: titolari imperium e danno protezione a rapporti e situazioni nuovi e creano nuovi mezzi giudiziari.

Quindi due grandi fonti:

1) giurisprudenza;

2) attività giurisdizionale dei pretori;

lex fonte qualitativamente superiore ma quantitativamente di gran lunga minore delle altre due. Dopo XII tavole leggi di diritto privato e pur rilevanti e importantissime (es. LEX AQUILIA) ma complessivamente la produzione legislativa in campo privatistico rimane sempre un piccolo ruscello di fronte ai due grossi fiumi della giurisprudenza e della iurisdictio. Interpretazione a lungo nelle mani dei pontefici.

Diritto pubblico diverso: fonti legge e consuetudine. Dopo principi XII tavole altre riforme e leggi LEX VALERIA HORATIA, LEX LICINIA SEXTIA, LEX CANULEIA, LEX LICINIA SEXTIA AGRARIA eccetera compromessi raggiunti fra plebe e patriziato come plebisciti ratificati dal Senato patrizio (CONSENSO DEL Senato cosiddetta AUCTORITAS PATRUM): si ravvisava in essi il carattere di trattati o contratti fra le due classi...

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LEX VALERIA HORATIA 449

LEX PUBLILIA PHILONIS 339 validità plebisciti ma auctoritas preventiva senato

LEX HORTENSIA 286 abolisce la suddetta necessità plebisciti valore di legge. Dal 449 al 286 almeno la metà oltre 54 su 108 delle rogazioni di cui abbiamo notizia sono plebisciti...

Legalizzazione di una situazione di fatto: nel ritener che una volta intervenuta la ratifica del senato i plebisciti valore di legge pur senza essere stati fatti propri dal comizio centuriato: in definitiva nel ritenere i plebisciti vincolanti per il populus riunito nei comizi centuriati o tributi quale organo costituzionale ma non per il senato(necessaria approvazione e ratifica).

Imperialismo, NOBILITAS, EQUITES

La LEX non smentisce le sue origini e la sua natura: essa affermatasi come deliberazione rivoluzionaria della plebe rimarrà in tutti i cinque secoli di vita della repubblica sinonimo di normazione espressa dalla volontà popolare, attraverso le sue assemblee e nelle materie che più direttamente interessano le classi inferiori: strumento non più rivoluzionario di lotta della plebe ma costituzionale e legittimo delle lotte riformatrici delle classi popolari del II, II e I secolo Ac.

Nel campo del diritto privato dopo XII tavole intervento legislativo minimo (trentina di leggi). L'INTERPRETATIO dei giuristi sul canovaccio poche linee XII tavole e LEGES ROGATAE successive eccetera. Buona parte del diritto onorario è di origine giurisprudenziale.

Dal p.d.v. formale gli istituti creati dai pretori si fondano sul suo IMPERIUM sono espressione e creazione della sua IURISDICTIO ossia del suo potere normativo: non INTERPRETATIO PRUDENTIOM bensì IUS HONORARIUM. Editto del pretore chiamato da Cicerone LEX ANNUA. Editto è considerato quasi il codice di dirtto privato per eccellenza nella roma degli anni 50 AC. Ad opera di Adriano si riordineranno gli editti.

Ingresso nel sistema civilistico degli importantissimi istituti IURIS GENTIUM basati sulla FIDES che come i 4 contratti consensuali avevano avuto il primo riconoscimento proprio dinanzi al pretore peregrino.

Senatoconsulti (sono fonti normative non legislative con valore, carattere e contenuto normativo non legislativo, in epoca repubblicana sono come gli editti dei magistrati fonti di diritto, ma non equiparabili alle leges espressione della volontà popolare: di conseguenza il s. non può abrogare o modificare la lex mentre è vero il contrario. Rapporto modificato nei vari periodi). Distinguere fra: a) intervento Senato nel procedimento di formazione della legge comiziale: ratifica leggi e dei plebisciti ovvero approvazione preventiva delle rogationes o ancora nel suggerire ai magistrati superiori o ai tribuni della plebe la presentazione di un determinato progetto di legge alle assemblee popolari; b) le deliberazioni aventi in qualche modo effetti direttamente normativi. Materia di culto, finanze, politica economica e monetaria, ordinamento militare, condotta della guerra, rapporti internazionali, espansione territoriale,. Ordinamento provincie e italia.

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Confusione fra:

1) legislazione (LEGES delle assemblee popolari) e normazione (dovuti ad altri organi costituzionali). Gli atti legislativi o con valore legislativo dagli esordi alla fine repubblica soltanto di origine popolare: LEGES, PLEBISCITA gli IUSSA POPULI o PLEBIS.;

2) abitudine di porre il problema negli stessi termini per l'epoca repubblicana e per il Principato. Il carattere di fonte del diritto ossia il carattere normativo del senatoconsulto è sicuro( discusso è il carattere vicariante del s. rispetto alla legge ossia la forza di legge del s.). Forse l'ideologia del Principato, che per molti versi ravvisava nel principe (rivestito , non si dimentichi, di tribunicia potestas) l'esecutore della volontà popolare, doveva offrire resistenze di vario genere all'equiparazione del senatoconsulto alla lex;

3) radicata tendenza dei romanisti a porre e discutere il problema in termini privatistici. Per il principato a causa della pratica scomparsa assemblee popolari e a causa perduta forza politica del seanto e magistrature e infine a causa della posizione politica e costituzionale del principe, alla cui egemonia i senatoconsulti possono servire da copertura.

LEX CURIATA DE IMPERIO continua in età repubblicana soltanto simbolicamente in quanto l'entrata in funzione del magistrato viene accompagnata dalla riunione delle curie simboleggiate dai 30 littori.

LEX dall'apogeo alla crisi della repubblica si identifica con la deliberazione presa dal popolo in una delle tre assemblee in piena funzione in quel periodo:

1) il comizio centuriato: tutto il popolo;

2) il comizio tributo: tutto il popolo;

3) il concilio della plebe: solo la plebe.

Ma ove si consideri la esigua e trascurabile minoranza dei patrizi quasi sostanziale identità delle tre assemblee. Più importante è distinzione fra le tre assemblee in ordine al modo di votazione e ai magistrati cui spetta l'iniziativa legislativa:

1) comizi centuriati ordinati timocraticamente per classi censitarie votano per centuria;

2) comizi e concili tributi più democraticamente strutturati votano per tribù;

Dinanzi alle centurie e ai comizi tributi l'iniziativa legislativa spetta al console o al dittatore o al pretore, dinanzi al concilio plebe ai tribuni della plebe.

Dal pdv giuridico valore uguale delle deliberazioni.

Sul rapporto fra LEGES votate da uno dei due comizi su proposta di un console o di un pretore o di un dittatore e PLEBISCITI votati dal concilio plebeo su proposta di un tribuno dopo la LEX HORTESIA l'equiparazione è comleta: anche nel linguaggio LEX PLEBISCITUM. Solo differenze politiche.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 149/164 $LOGOIMAGE Lo svolgimento dell'attività legislativa nella dialettica fra le classi e i partiti.

La LEX si affermò come arma di lotta della plebe con le prime LEGES SACRATAE, divenne strumento di abbattimento del monopolio di classe patrizio con le XII TAVOLE e con la successiva normazione rivoluzionaria plebea del V e IV secolo AC: equiparazione definitiva dei plebisciti alle leggi nel 286 AC.

Legislazione sillana, unica vasta opera legislativa di un uomo dell'aristocrazia che in tanto intervenne in quanto v'era stata la grande attività legislativa democratica del precedente cinquantennio.

La maggior parte delle leggi di cui ci è pervenuta notizia sono state proposte da uomini del movimento democratico e , il loro contenuto si mantiene su grandi linee programmatiche costanti dal II secolo alla fine della repubblica. Materie: grandi temi organizzazione costituzionale, dei rapporti politici, delle libertà dei magistrati, dell'estensione della cittadinanza, delle riforme delle strutture economiche e sociali, dell'ordinamento giudiziario, eccetera. Le leggi proposte da esponenti dei gruppi di stretta osservanza aristocratica sono quasi sempre leggi di reazione a precedenti iniziative e svolgimenti legislativi democratici. Tali leggi, compresa la massima parte di quelle sillane, si inquadrano a perfezione nella tradizionale ideologia aristocratica e tendono a conservare (anche talvolta nei suoi eccessi) la costituzione oligarchica quale assestatasi attraverso la prassi politica della nobilitas patrizio-plebea.

Le cause della prevalenza numerica dei plebisciti di fronte alle leggi:

ROTONDI per il periodo fra il 339 (lex publilia philonis) e il 27 AC risulta che su 564 rogazioni ben 286 sono plebisciti, 164 votate dal comizio centuriato o tributo, mentre le rimanenti 114 non si sa se siano leggi o plebisciti, ma in buona parte sembrerebbero plebisciti. Se poi inseriamo nella statistica rogazioni precedenti al 339 AC il rapporto in favore dei plebisciti aumenta ancora. Ragioni essenzialmente pratiche poiché i consoli erano spesso assenti o impegnati negli affari militari o amministrativi e i pretori gravati dalle cure della iurisdictio si faceva ricorso ai tributi i quali risiedendo sempre in città e non avendo altre funzioni fisse ed assorbenti, trovavano maggiore agevolezza di esplicare quella attività. Parte della verità: parte ragioni pratiche, ma altra parte in generale vi fu una prevalenza dell'attività legislativa democratica sui quella aristocratica e il tribunato fu, tra gli organismi costituzionali, quello in cui specie in alcune età, i movimenti popolari meglio riuscirono ad imporre la propria influenza. Questo fenomeno ha le radici sia in fattori ideologici sia in fattori tecnici i quali tutti facevano sì che il tribunato avesse una base sociale molto più larga che non le magistrature curuli maggiori. Il tribunato era un collegio di ben 10 componenti (eletto per giunta nelle più democratiche assemblee per tribù e non nel timocratico comizio centuriato) e quindi agli esponenti democratici più accessibile delle magistrature curuli.

Basi sociali del tribunato (BROUGHTON) nel periodo dal 366 al 31 AC su 366 tributi 101 non ricoprono magistrature curuli maggiori. Il PAIS ha posto in evidenza come su 210 stirpi tribunizie attestate fino al 23 AC dalla tradizione superstite, solo 99 raggiunsero il consolato. Infine, elemento questo più probante, i circa 500 tribuni (dal 493 al 23 AC) appartengono a 210 stirpi, mentre i 100 e più magistrati superiori (consules, decemviri legibus scribundis, tribuni militum consolari protestate, dictatores, magister equitum) che si susseguono nello stesso periodo appartengono a 169 genti consolari. Mentre dei consoli ed altri magistrati supremi conosciamo quasi tutti i nomi, per i tribuni della plebei circa 500 nomi a noi noti rappresentano solo 1/8 del numero complessivo dei tribuni succedutisi dal 493 al 23 e quindi, ove per ipotesi valesse lo stesso rapporto rilevato per i nomi pervenuti fino a noi, si giungerebbe alla conclusione che, di fronte alle 169 genti dalle quali provenivano i magistrati supremi, i tribuni sarebbero stati forniti da circa 1700 stirpi.

L'abolizione di cui alla LEX HORTENSIA orami con la definitiva coagulazione dello stato patrizio-plebeo, la

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 150/164 $LOGOIMAGE nobilitas era ben consapevole dei suoi poteri e specificatamente della possibilità di controllare di fatto se non di diritto una parte dei tributi.

Promulgatio.. deve intercorrere un trinundinum tre giorni di mercato, ragoatio per saruam e leges saturae, contiones comizio centuriato data la sua origine militare convocato fuori del pomerium ordinariamente nel campo Marzio le assemblee tribute (concilio o comizio) venivano convocate in città principalmente in foro. Ultima discussione contio.

Votazione. Essa si svolgeva nei comizi centuriati per centurie e nei comizi tributi nonché nel concilio delle plebe per tribù. Il voto della centuria o della tribù era costituito dalla maggioranza dei voti dei suoi componenti. Le centurie votavano secondo l'ordine delle classi fino a Caio Gracco, dopo forse per estrazione a sorte; le tribù votavano contemporaneamente.

La votazione pubblica fino metà II secolo AC quando nel 131 AC la LEX PAPIRIA TABELLARIA istitituì il voto segreto.

Il procedimento di discussione e di votazione poteva essere interrotto per INTERCESSIO fino all'inizio della votazione e a discrezione del magistrato, fino alla comunicazione dell'esito dello scrutinio ove intervenissero ostacoli di carattere religioso, la facoltà dei notificare al presidente l'assemble al'esistenza di segni celesti sfavorevoli regolata dalle leggi AELIA ET FUFICA 158 AC dalle forse oligarchiche onde limitare ed ostacolare l'attività legislativa in generale e quella dei tribuni in particolare: validissimi strumenti di conservazione e di reazione contro le rogationes riformatrici.

PRAESCRIPTIO- ROGATIO (che deve corrispondere perfettamente al testo promulgato non essendo ammessi emendamenti)- SANCTIO complesso apparato protettore costituito da disposizioni e clausole di vario tipo che in genere tendono tutte ad assicurare l'efficacia della legge ed a garantirne l'applicazione o infine, talvolta e più raramente a limitarne il suo raggio di azione: mirano a stabilire i rapporti della legge nuova con leggi precedenti o successive o con l'ordinamento giuridico nel suo complesso. La più antica SANCITO a noi nota è quella delle cosiddette LEGES SACRATAE: deliberazioni prese mediante giuramento da considerare SACROSANCTAE e quindi difese mediante la SACRATIO CAPITIS ossia la pena di morte. La SANCITO è al di fuori dell'ordine costituito ha carattere rivoluzionario tende a garantire l'applicazione del plebiscito e l'osservanza da parte della società patrizia.

Clausole.

La prima: garantisce impunità a colui il quale per osservare la legge nuova è costretto a violare il IUS o le leggi preesistenti CAPUT DE IMPUNITATE (sembrerebbe inutile visto principio costituzionale XII tavole) rappresenta solo una estrema cautela fattasi strada durante la crisi della repubblica, forse una reazione alle clausole che stabilivano l'inabrogabilità di alcune leggi e comminavano pene contro chi ne avesse proposto l'abrogazione.

Altra clausola: magistrati o altri (senatori ecc.) giurare di osservare ed applicare la legge e di non operare in frode ad essa: es. Lex Iulia AGRARIA DEL 59 ac. Difesa preventiva contro il potere di controllo e cassazione delle leggi che il Senato, nel burrascoso ultimo secolo della repubblica, tentava di arrogarsi. Il giuramento dei magistrati è IN LEGES e non su tutto l'ordinamento della CIVITAS (lex si pone in una posizione di diffidenza nei confronti degli organi di governo)..

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Altra clausola: si proibiva di abrogare la legge o di derogarvi o addirittura in qualche caso di trattarne in Senato: eccessi cautelari con funzione politica.

Altra clausola: si comminava una multa contro i magistrati o senatori o giudici i quali scientes dolo malo non avessero curato l'applicazione della legge o avessero addirittura operato contro la stessa o in frode alla stessa. Es. Si vieta di sabotare, impedire o prolungare il giudizio istituto dal legge.

Altre: preservare dall'abrogazione alcuni principi fondamentali stabiliti da altre leges o dal ius che quasi venivano considerati i pilastri dell'ordinamento costituzionale (pag.832-833).

Nell'epoca repubblicana hanno una loro funzione se non giuridica almeno politica.

Tricotomia leggi: perfette, imperfette e meno che perfette. Tre fasi storiche ?

Per MOMMSEN:

LEGES ROGATAE proposte dal magistrato o tribuno ai comizi o al concilio e da questi approvate;

LEGES DATAE emanate direttamente e unilateralmente dal magistrato per lo più in base al potere conferitogli da una deliberazione comiziale (legislazione delegata) ma anche talvolta su autorizzazione del Senato. Statuti concessi dal magistrato romano a un municipio, colonia o provincia. Concessioni cittadinanza a singole persone.... O leggi emanate da magistrature straordinarie: dittatura SILLA e del triumvirato del 45 i cui poteri furono conferiti rispettivamente dalla LEX VALERIA e dalla LEX TITIA

Il problema della costituzionalità della legge.

Pretesa del Senato specie durante crisi repubblica di annullare le leggi il cui procedimento di formazione si fosse rivelato non conforme alle regole stabilite dal diritto o le cui disposizioni contrastassero con i principi fondamentali costituzione ( vedi anche cosiddetto potere di cassazione del senato). Quattro genera:

1) abrogazione della legge: Il senato suggerisce ai consoli o tribuni di proporre l'abrogazione ma soltanto una delle tre assemblee popolari potrà procedere quale organo legislativo all'abrogazione: mero intervento sostanziale di natura politica del Senato;

2) derogatio legis : esclusiva competenza assemblee legislative, il senato suggerisce ai consoli di proporre una legge la quale in parte cambiasse la legge precedente (LEX CALPURNIA). Specie di interpretazione estensiva di alcune sue norme onde inserire nuove fattispecie tra quelle già previste e punite dalla legge. Non c'è obbligo in qs caso di intervento legislativo. Poteri del Senato che nel rispetto della superiorità della legge poteva entro i limiti delle sue ampie competenze politiche emanare disposizioni normative;

3) dichiarazione fatta dal Senato che il popolo non si deve considerare tenuto da una determinata legge: es. leggi proposte da Livo Druso che furono annullate dal Senato perché il tributo le aveva proposte e fatte approvare senza tener conto di quanto stabilito dal IUS e precisamente dei MORES in ordine agli AUSPICIA. Decreto Senato ha carattere consultivo, però in sostanza ha la funzione di LEGIS NON IURE ROGATAS TOLLERE (Cicerone).Il controllo e la cassazione aveva la sua base più nella forza politica del Senato e della nobilitas anziché in una indiscussa norma costituzionale. Non si trattò quindi di una competenza del senato in funzione di corte costituzionale ma di una attività squisitamente politica del supremo organo dello stato aristocratico, il quale per questa via ricorreva agli estremi rimedi contro la legislazione riformatrice. Il Senato affermò il suo potere di controllo trincerandosi dietro la difesa del IUS e del MOS e in nome di essi conduce la

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 152/164 $LOGOIMAGE lotta contro la LEX quale deliberazione popolare.

Tre definizioni della LEX della giurisprudenza primi due secoli impero:

1) C. ATEIO CAPITONE iussum populi;

2) GAIO

3) PAPINIANO communis reipublicae sponsio. Identica alla corrispondente espressione di DEMOSTENE (derivazione greca palese). E' in contrasto con definizioni precedenti dove LEX è considerata non una convenzione bensì un IUSSUM POPULI AUT PLEBIS: 1) carattere unilaterale della lex e 2) supremo ed esclusivo potere del populus della libera repubblica di porre le norme a se stesso;

A tale espressione è del tutto estranea ogni idea di accordo, patto e convenzione: ponendosi in evidenza esclusivamente il potere autonomo ed esclusivo del populus e della plebs a statuire norme giuridiche. La LEX in quanto IUSSUM del popolo non può essere convenzione fra il popolo e il magistrato.

La LEX sorta inizialmente come affermazione rivoluzionaria della capacità di autonormazione della plebe (trascurando l'antica lex curiata de imperio sia le leges votate dal popolo in occasione del passaggio dalla monarchia alla repubblica) ebbe le prime consacrazioni ufficiali mediante accordi fra le due classi: in tal senso per gli antichissimi plebisciti V e VI secolo si potrebbe paralare di LEGGI-CONTRATTO O DI LEGGI-TRATTATO. Ma per le leggi consolari di tute le epoche, e i plebisciti successivi al VI secolo non si può parlare di carattere convenzionale.

LEX non come risultato e espressione della capacità normativa del popolo bensì come patto fra magistrato e popolo: mera finzione giuridica! Convenzione fra cittadini (concezione grecanica). Tutte qs. Costruzioni contrattualistiche hanno un presupposto fondamentale nel dualismo fra il magistrato (espressione del patriziato in un primo tempo e poi della nobilitas senatoria) e il popolo (plebe età più antica e classi inferiori poi).

Dal p.d.v. giuridico formale il magistrato è sempre espressione di tutto il popolo: gran parte delle leges sono plebisciti e qui dov'è l'accordo fra magistrato e popolo, inoltre ai concili plebis non partecipa i patrizi e quindi non v'è tutto il popolo. Ma a ROGARE il PLEBISCITUM non è un magistrato curule titolare dell'imperium bensì un tribuno il quale anche dopo la parificazione tra i due ordini, non può essere considerato dal p.d.v. giuridico il rappresentante del governo cittadino.

Non c'è poi incontro di volontà e di accordo o contratto: i consoli o tribuni suggeriscono, guidano assistono e la loro volontà è parallela a quella del comizio o del concilio. COLI: il magistrato non è rispetto al popolo un contraente, ma un organo il cui concorso è necessario perché il popolo possa manifestare la sua volontà.

La lex e le altre fonti del diritto in età repubblicana (pagg.842 ss.). Legge XII tavole: pur certificando il IUS esistente la LEX si poneva come momento dialetticamente antitetico al IUS preesistente e, nello stesso tempo, come fonte di nuovo IUS.

Alla posizione della Lex si affianca il PLEBISCITO equiparazione di fatto LEX SACRATA o nella forma più evoluta della deliberazione plebea accettata e approvata dal patriziato LEX VALERIA HORATIA.

Nel campo diritto privato dalle XII tavole prende avvio la successiva elaborazione giurisprudenziale: nuovo

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IUS mediante INTERPRETATIO.

Diritto privato strumenti che si trovano in mano della classe dirigente patrizio-plebea ossia nobilitas: pretori. La legge interverrà nel diritto privato solo in casi eccezionali (strappo al naturale sviluppo degli istituti: ROTONDI).

Principali utenti diritto privato proprietari terrieri poi dopo II secolo ceti commerciali finanziari industriali tutti proprietari di schiavi. Diritto privato classista in due sensi:

1) in quanto diritto per la classe di proprietari di schiavi;

2) in quanto nell'ambito società dei liberi diritto per ottimati.

Entro questi limiti cioè in una comunità aristocratica fondata su un tipo di produzione in gran parte servile il diritto privato si sviluppa come diritto fra eguali e specie ad opera di un'èlite intellettuale costituta da giuristi.

Diritto Pubblico: LEX si contrappone alla prassi consuetudinaria della classe dirigente ossia al IUS nel campo costituzionale. IIUS: indica anche consuetudine e prassi fomatasi nel campo diritto pubblico. Contrapposizione dialettica la costituzione si sviluppa attraverso un complesso processo in cui gli elementi fondamentali in termini istituzionali sono LEX, PRASSI DI GOVERNO, CONSUETUDINE COSTITUZIONALE, i SENATUSCONSULTA.

P.d.v. politico/p.d.v giuridico: salvo autolimitazioni la LEX può modificare sia quanto stabilito dalla prassi di governo IUS sia l'ordinamento fissato dall'IMPERIUM magistratuale sia i SENATUSCONSULTA. La LEX è sempre al vertice nel sistema complessivo delle fonti del diritto. Ma mentre nel campo privato la preminenza della lex non si fa, di fatto, sentire e il diritto si svolge quasi interamente ad opera della giurisprudenza e del pretore, nell'ambito delle classi economicamente dominanti; nel diritto pubblico largamente inteso la preminenza della lex ha modo di attualizzarsi molto di frequente e di rendersi operante.

Le classi popolari sono largamente utenti del diritto pubblico.

Il diritto privato e nella sua parte preponderante, riservato alle classi economicamente dominanti (ottimati ed equites) le classi popolari ne usano in modo piuttosto limitato: ecco perché l'intervento legislativo è raro sporadico eccezionale. Il sistema privatistico si svolge, quasi indisturbato, nel seno della società aristocratica e proprietaria di schiavi.

La LEX largamente attiva e riformatrice nel diritto pubblico è di fatto inerte nel campo del diritto privato: quasi come il cittadino sottoposto a patria potestà: che può diventare console, ma non ha la piena capacità giuridica patrimoniale!

IL PRINCIPATO

I giuristi del II sec DV riportano il valore normativo delle costituzioni al potere dell'imperatore ricevuto dal popolo mediante legge LEX DE IMPERIO non solo trasferimento dell'IMPERIJM al principe ma trasferimento a lui dei poteri del popolo.

TRIBUNICIA POTESTAS continuerà ad essere conferita la principe per quasi tutto il I sec.DC. Augusto usa la T.P. per proporre ai concili plebei una serie di leggi di diritto pubblico e privato: plebisciti non più presentati dai tributi quali diretti rappresentanti dei movimenti democratici, ma divenuti sostanzialmente strumento legislativo del principe.

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EDITTI e MANDATA sull'antico ceppo degli editti magistrati però via via valore generale e natura di atti legislativi...

RESCRIPTA e DECRETA nacquero come pareri o decisioni ma importanti e autorevoli precedenti per i giuristi con valore vieppiù generale.

Legge comiziale declina con la decadenza assemblee popolari due motivi:

1) troppo legata alla dialettica di movimenti politici che il principato riduceva sostanzialmente al silenzio;

2) in quanto parte sostanziale dell'ideologia popolare in ordine alla funzione antioligarchica e antisenatoria della LEX come normazione autoritativa di origine popolare veniva sussulta nella concezione del principe quale titolare dei TRIBUNICIA POTESTAS ed organo investito del potere normativo sulla base della concessione dell'IMPERIUM da parte del popolo;

Senato. Perde gran parte suoi poteri politici e amministrativi cessa emissione senatoconsulti normativi nel'ambito perdute sfere di competenza. Si afferma invece su impulso del principe una vera e propria attività legislativa dl senato nei campi che il principe preferisce attribuirgli: CALVISIANO sulle repetundae in difesa popolazioni provinciali e SILANIANO nei mezzi di difesa classe econ. Dominante contro l'inquietudine e i sussulti del mondo degli schiavi.

Anche nel diritto privato carattere e valore vicariante rispetto alle leggi: nuova posizione senatoconsulti nel sistema delle fonti: la decadenza delle assemblee popolari e del tribunato; l'indebolimento dell'attività creativa dei pretori, quale conseguenza naturale della preminenza dei poteri del princeps, la particolare attitudine di una assemblea ristretta ad elaborare provvedimenti e riforme richiedenti accorgimenti tecnici come riforme in materia privatistica, il perduto potere politico..

I Senatoconsulti si riducono a mere ORATIONES PRINCIPIS elaborate e redatte dalla burocrazia imperiale e presentate al Senato solo per formale ratifica.

IURISDICTIO :

1) affermarsi interventi normativi del principe;

2) diffondersi dei senatoconsulti normativi di diritto privato;

3) il progressivo espandersi della COGNITIO EXTRA ORDINEM

Crearono una situazione in cui l'attività creativa dei pretori andò diminuendo e gli editti urbani assunsero tendenza a stabilizzarsi e uniformarsi: riordinamento e redazione definitiva editto da Salvio GIULIANO su ordine di Adriano.

Adeguamenti alle nuove esigenze soltanto ad opera dell'INTERPRETATIO da parte dei giuristi... anche qui certo controllo del princeps.

La scomparsa delle leggi comiziali con NERVA la definitiva trasformazione dei senatoconsulti in orationes principis entro la fine del II secolo non solo sostanzialmente ma anche formalmente l'unica fonte normativa è l'imperatore.

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Degli antichi quattro tipi di costituzioni:

RESCRITTI: tanto usati da Diocleziano, Giustiniano ne afferma la piena validità;

DECRETA:

MANDATA: desuetudine;

EDICTA: espressione dell'accentramento di ogni attività legislativa dell'imperatore si chiamano ora anche COSTITUTIONES GENERALES o addirittura LEGES GENERALES.

Dopo che il termine LEGES si incominciò ad usare per designare le costituzioni imperiali, si andò, correlativamente, prendendo l'abitudine di indicare come IURA tutto l'antico diritto, rappresentato per eccellenza dalle opere dei giuristi classici. Nacque così l'antitesi LEGES-IURA. Si rinnovava con significazione profondamente diversa ma pur nel solco della tradizione l'antica contrapposizione e distinzione fra LEX e IUS.

IUS, Nvssmo D.I., di Biondo BIONDI

IUS CIVILE, Nvssmo D.I., di Vincenzo COLACINO

IUS HONORARIUM, Nvssmo D.I., di Lucio BOVE

IUS GENTIUM, Nvssmo D.I., di Gabrio LOMBARDI

IUS NATURALE, Nvssmo D.I., di Alberto BURDESE

IUS NOVUM, Nvssmo D.I., di Biondo BIONDI

IUS PAPIRIANUM, Nvssmo D.I., di Mario BRETONE

IUS QUIRITIUM, Nvssmo D.I., di Gloria GALENO

LEGES DATAE, Nvssmo D.I., di Gianfranco TIBILETTI

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LEX, Nvssmo D.I., di Giannetto LONGO

IUS FLAVIANUM, Nvssmo D.I., di Franco CASAVOLA

IUS denota la sfera del diritto positivo

Per indicare il diritto in senso ideale o, comunque, non positivo il linguaggio tecnico adopera altri termini AEQUITAS, AEQUUM ET BONUM oppure aggiunge qualche qualifica a IUS (IUS NATURALE).

Epoca repubblicana:

IUS E LEX entità distinte sia per la fonte che per il contenuto. Si presentano come i termini di un'antitesi e la loro sintesi costituisce il diritto vigente.

LEX accordo organi Stato: magistrato, comitiva, senato e riguarda materie che interessano la CIVITAS: è fonte di diritto pubblico

IUS riguarda i rapporti tra CIVES, ed è formazione giuridica autonoma e indipendente dallo Stato: è un complesso di precetti ed istituti tradizionali la cui origine si perde nella notte dei tempi (interpretatio)

LEX fonte di IUS quando disciplina i rapporti privati e alla tradizionale distinzione tra IUS E LEX subentra quella tra IUS PUBLICUM e IUS PRIVATUM. Il diritto che regolava i rapporti privati si perfezionava mendiante l'INTERPRETATIO PRUDENTIUM. Solo verso il III sec. A.C. qualche lex e qualche plebiscito intervennero come correttivo di preesistenti norme del IUS CIVILE.

Il IUS per tradizione è sinonimo di IUS CIVILE cioè diritto del CIVIS.

Verso la fine della Repubblica :

IUS GENTIUM rapporti soprattutto patrimoniali tra CIVES e PEREGRINI, cioè non CIVES ma soggetti allo Stato romano, applicabile a tutti i sudditi liberi dello Stato. Correlativamente il IUS CIVILE fu inteso come tutto il diritto vigente nell'ambito della civitas (non come il complesso degli istituti e delle norme svolti dall'interpretatio prudentium). Il concetto è rimasto sostanzialmente uno e invariato attraverso i secoli di Roma.

IUS CIVES si applica solo ai CIVES.

IUS HONARIUM pretore crea l'ordinamento giuridico di cui all'EDICTUM PERPETUUM nonché dagli altri magistrati a cui era riconosciuto il IUS EDICENDI.

Com'è noto il magistrato giusdicente (venuto meno il monopolio pontificale nella interpretazione del diritto) ebbe il potere di controllare l'evoluzione della vita sociale nel momento in cui applicava il diritto vigente. In specie dopo la riforma della LEX AEBUTIA del 120 AC la quale consentì ai cives di agire in giudizio non soltanto nelle forme tradizionali e rigide procedura LEGIS ACTIONES ma PER FORMULAS. Vedi anche LEX

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 157/164 $LOGOIMAGE IULIA IUDICIORUM PRIVATORUM di Augusto. Grande importanza dell'EDITTO ANNUALE: pretore urbanus e peregrinus, gli aediles, governatore delle provincie: IUS HONORARIUM .

Collegio dei PONTIFICES conservò il monopolio della INTERPRETATIO, ma laicizzazione del diritto con:

1) GNEO FLAVIO 304 AC scriba di APPIO CLAUDIO CIECO pubblicò le ACTIONES, cioè i formulari processuali, che egli probabilmente aveva raccolto con l'appoggio e l'incoraggiamento del suo grande patrono (SCHULZ ha trasfigurato GNEO FLAVIO con il suggestivo particolare del furto "in una sorta di democratico Proteo". Se si considera oggetto del segreto non le actiones ma il calendario, quali dati di mera notizia, ma la capacità tecnica di usarne, allora si può ben dire concedere che una ordinata compilazione delle prime e un'integrale pubblicazione del secondo possano essere state usate come la premessa per un'acquisizione, un'interpretazione, applicazione delle regole del processo, liberate dall'antico necessario ricorso alla sapienza pontificale.

2) TIBERIO CORUNCANIO 254 AC primo pontefice massimo plebeo cominciò a PUBLICE PROFITERI ammettendo il pubblico ad assistere alle consultazioni che in precedenza invece erano state assolutamente segrete;

Monarchia assoluta e princeps unica fonte del diritto si ha secolare imponente stratificazione di sistemi giuridici la nozione di IUS CIVILE si viene gradualmente ad allargare: comprende il IUS GENTIUM, nonché il diritto che scaturisce dai PLEBISCITA dalle LEGES, dai SENATUSCONSULTA, dalle CONSTITUTIONES.

IUS CIVILE distinto dal IUS HONORARIUM per tutta l'epoca classica (prevale quest'ultimo perché promana dal pretore che è l'organo in cui si concentra la IURISDICTIO).Ma il IUS CIVILE è comprensivo anche del IUS GENTIUM.

Epoca postclassica si accelera il processo di avvicinamento dei due ordinamenti , finchè con Giustiniano sono unificati inquantochè orami il diritto promana solo dalla volontà imperiale: IUS e LEX stanno ora nello stesso rapporto in cui sta diritto alla fonte che lo produce: LEX è la costituzione imperiale, IUS è il diritto che da essa scaturisce.

TRICOTOMIA: IUS CIVILE (ius proprio della civitas), IUS HONORARIUM, IUS NATURALE MA PURE IUS PRAETORIUM.

IUS NATURALE: i giuristi classici a volte è fatto coincidere con lo IUS GENTIUM.. in altre ipotesi è ordine normativo a sé stante cioè su di una altro piano etico o addirittura trascendente rispetto al diritto positivo (eccezione testi che riguardano la schiavitù qui il IUS NATURALE appare concepito come un ordine antitetico ai sistemi di diritto positivo in contrapposto al IUS CIVILE e al IUS GENTIUM). Per BURDESE la giurisprudenza romana classica opera in concreto con il concetto di IUS NATURALE quale diritto positivo ricollegato alla natura intesa come realtà di fatto, non ordine trascendente (compilatori giustinianei sulla scia pensiero cristiano come espresso nella patristica: teorizzazione ius naturale quale diritto ideale, di origine divina, superiore al diritto positivo e quindi contrapposto ai vari diritti positivi pur tra di loro concordati).

Diversità che intercorre tra le norme derivanti dall'attività nomotetica degli organi della CIVITAS (LEGES, PLEBISCITA, SENATUSCONSULTA) o da fonti ad essa assimilate (RESPONSA PRUDENTIUM) e le norme derivanti dall'attività giurisdizionale del pretore e di altri magistrati minori, come gli AEDILES, consacrati negli EDITTI.

Nell'ulteriore distintizone delle fonti il termine IUS CIVILE sta ad indicare il complesso delle norme che NON

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 158/164 $LOGOIMAGE trova il suo fondamento negli editti dei magistrati giusdicenti..

IUS NOVUM (nel senso di IUS EXTRA ORDINEM): è il diritto che deriva dalle disposizioni imperiali (direttamente o tramite senatusconsulta) nell'ambito rapporti privati patrimoniali con riconoscimento di istituti non ricolleganti al sistema del IUS CIVILE né del IUS HONORARIUM nuovo orientamento del diritto: onorari per l'esercizio di talune professioni liberali, fedecommessi, riconoscimento del peculio castrense, ammissibilità dell'appello.

IUS VETUS è il IUS ORDINARIUM cioè il diritto tradizionale che si fa valere mediante il sistema dell'ORDO INDICTORUM PRIVATORUM.

In epoca cristiana IUS NOVUM e NOVAE LEGES sono le leggi imperatori cristiani in contrapposizione a IUS VETUS E VETERES LEGES che sono le leggi pagane.

IUS PAPIRIANUM : raccolta di leges regiae compiuta da un pontefice massimo Gaio Papirio (?) nell'ultima età monarchica o nei primi anni della Repubblica: dopo la cacciata dei re, questi richiamò nuovamente in uso i commentari sui SACRA composti da NUMA e pubblicati da ANCO MARCIO in tavole di legno che frattanto erano andate distrutte (DIONIGI DI ALICARNASSO).

IUS QUIRITIUM: rappresenta la più vecchia formula tecnica per indicare il diritto di cittadinanza romana opposizione condizione di Latino nel corso del principato in favore dei Latini : vigili, navi mercantili, costruzione immobile a roma, mestiere di fornaio, eccetera. Il diritto si estinse quando i plebei conquistarono la parità di diritti politici con i patrizi ed il conseguente accesso alle cariche magistratuali mediante la trasformazione dell'exercitus centuriatus in comitiva centuriata ed il mutamento nella struttura della civitas si proiettò anche sul suo ius che da ius Quiritium divenne ius civile Romanorum.

LEGES DATAE: costruzione recente, non degli antichi, la norma emana dalla magistratura., dai poteri costituenti: leggi censorie, editti, decreti del senato (da che acquistano valore normativo)leggi regie, eccetera. Rappresenterebbero la categoria parallela e contrapposta alle LEGES. Erano norme di diritto pubblico di altro carattere e potevano essere leggi o decreti, leggi perfectae o imperfectae, saturae o no, eccetera.

LEGGE ROGATA: la norma emana da un accordo tra magistrato e popolo (plebe). Cioè legge proposta dal magistrato il quale presenta il suo schema all'assemblea popolare e la interpella per averne l'approvazione. Gli antichi distinsero in PRIVILEGIA e GENERALIA IUSSA.

LEX IMPERFECTA non prevede alcuna statuizione contro l'eventuale trasgressore, in sostanza manca di SANCTIO

LEX MINUS QUAM PERFECTA lascia permanere la validità dell'atto compiuto ma commina una pena a carico del trasgressore

LEX PERFECTA la cui SANCTIO esprime la nullità dell'atto compiuto contro il divieto determinato dalla norma. A questa categoria che induce un più ampio potere del legislatore si deve essere pervenuti quando, da ultimo, il IUS LEGITIMUM si incorporò nel IUS CIVILE consentendo la statuizione di nullità

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 159/164 $LOGOIMAGE di un atto che, di fronte al IUS CIVILE, rivestiva pienamente, i caratteri formali della validità.

Il IUS LEGITIMUM ha fonte distinta dal IUS CIVILE non nei MORES ma nella LEX e perciò originariamente,e per lungo tempo, la trasgressione fu irrilevante per il IUS CIVILE che ha distinta origine e distinta portata.

In origine IUS CIVILE il diritto che viene dall'INTERPRETATIO contrapposto a IUS LEGITIMUN cioè al diritto che deriva dalla LEX.

In epoca postclassica il sistema delle fonti è dominato dalla contrapposizione fra LEGES e IURA, intendendosi per LEGES le costituzioni imperiali e per IURA le opere giurisprudenziali, considerando queste ultime anche esse, come fonte di produzione del diritto.

IURISPRUDENTIA, Nvssmo D.I., di Salvatore RICCOBONO

COLLEGIO PONTIFICALE qui si elaborano i principi della giurisprudenza spirituale e temporale, viene compilata la lista dei DIES FASTI, NEFASTI e COMITIALES la quale è detta COMPOSITIO ANNI.

La LEGGE XII TAVOLE rappresenta il sistema IUS escluso il FAS ma l'attività del Collegio continua (conoscenza formule solenni per azioni). Attività in primo luogo pratica. AGERE, CAVERE, RESPONDERE.

Interpretazione leggi, funzione creativa del diritto es. parola TIGNUM nella legge XII tavole cui si diede un senso più lato, in modo da comprendere tutti i materiali da costruzione, così il ferro, il marmo, la calce.

IUS CIVILE il diritto che viene dall'INTERPRETATIO contrapposto a IUS LEGITIMUN cioè al diritto che deriva dalla LEX.

Secolarizzazione GNEO FLAVIO poi TIBERIO CORUNCANIO.

Giurisprudenza CAUTELARE (vedi SESTO ELIO PETO opera TRIPERTITA fine V secolo: conteneva la legge XII tavole, la interpretatio che costituiva a dire di Pomponio il ius civile e le legis actiones).

Influsso cultura greca. Influsso maggiore secolo VII dopo distruzione di Cartagine e di Corinto quando il centro della civiltà si venne spostando dalle coste del Mediterraneo a Roma.

Motto di Cicerone "SUMMUM IUS SUMMA INIURIA" esprime un contrasto che si era manifestato appunto dopo le guerre puniche tra il rigore del IUS CIVILE non più adatto per il suo formalismo rigido e i suoi precetti semplici ed inflessibili di fronte alla vita nuova del vasto Impero.... IUS GENTIUM grande sviluppo in questo periodo e LEX AEBUTIA che agevola le forme del processo civile: manifestazioni più evidenti di cotali bisogni. Il Summus Ius dunque rappresenterebbe il rigore del diritto civile che discendeva dalla antica tradizione

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 160/164 $LOGOIMAGE romana: MORES MAIORUM e disciplina dei pontefici. Esso appare inadatto ormai ed intollerabile: in quanto i suoi principi angusti, formatisi nella vita patriarcale se applicati in concreto ai nuovi rapporti arrecavano decisioni sommamente inique: SUMMA INIURIA. E l'iniquità più patente deriva dal fatto che i principi del IUS QUIRITIUM non tenevan conto in concreto delle particolarità del fattori che dava luogo alla lite e in particolare della volontà delle parti che avevan posto in essere un affare per raggiungere un determinato scopo. Il principio di diritto quiritario era assoluto e inderogabile. La parola era tutto.

ARISTOTELE nella Retorica insegnava che le leggi dovevano essere interpretate non secondo il tenore delle parole, bensì tenendo conto della volontà del legislatore.

CICERONE riferisce della CAUSA CURIANA la qual concerneva una sostituzione pupillare: testatore erede nascituro (credenza moglie incinta) sostituisce all'erede ove questi muoia impubere M.CURIO il testatore muore e il figlio aspettato non viene alla luce. CURIO il sostituto pretende l'eredità. A lui si oppone il prossimo parente COPONIO come avente diritto alla successione AB INTESTATO.

La difesa di quest'ultimo fu assunta da Q.MUCIO SCEVOLA il pontefice, la causa di CURIO è nelle mani del più grande oratore L.LICINIO CRASSO. Tribunale dei Centumviri.

CRASSO patrocinava la causa dell'equità. MUCIO il difensore dell'interpretazione letterale, esigeva la più scrupolosa adesione al testo.

Il tribunale centumvirale decise a voti unanimi a favore di Curio e creò così un precedente di grande importanza per il trionfo della VOLUNTAS e dell'EQUITAS contro l'interpretazione letterale. Dalla scuola di Rettorica e dal foro il dibattito passò tra i giuristi. Vedi altra controversia TUBERONE discepolo di PANEZIO (circolo del giovane Scipione per il quale la più gran parte dei giuristi VETERS sarebbero stati stoici) interpretazione testamento, ecc. La MENS, ANIMUS, VOLUNTAS è considerata come l'anima della dichiarazione medesima.

Le formule DE DOLO Cicerone le esalta come EVERICULUM OMNIUM MALITIARUM cioè come una rete che raccoglie tutte le malizie della vita. La EXEPTIO DOLI ha esercitato una doppia funzione nello sviluppo del diritto romano: a) ha paralizzato l'applicazione di norme del IUS CIVILE che non rispondevano più ai nuovi tempi; b) ha promosso lo sviluppo del IUS CIVILE rendendo efficaci convenzioni, le quali, o non erano considerate dal IUS CIVILE o, per di più, erano contrarie ai principi ed alle norme del IUS CIVILE. In modo particolare la EXCEPTIO servì ad attuare nei casi concreta la volontà delle parti o del testatore: allargamento del IUS con la tutela di nuovi rapporti, correlativamente attenuazione e paralisi delle forme solenni del IUS CIVILE.

Dottrine (esempio perspicuo) controversia tra i PRINCEPS CIVITATIS (come dice Cicerone) cioè BRUTO, MANILIO e SCEVOLA riguardo natura giuridica del parto della schiava (Bruto seguendo teoria stoica negava che si potesse considerare come frutto l'uomo) e MANILIO E SCEVOLA difendevano la dottrina tradizionale.

GIURISTI PERIODO REPUBBLICA sono 22 non tenendo conto di personaggi dubbiosi o leggendari es. PAPIRIO, APPIO CLAUDIO il decemviro.

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APPIO CLAUDIO CECO (De usurpationibus)

SESTO ELIO PETO chiuse il periodo giurisprudenza antica.

PUBLIO MUCIO SCEVOLA pontefice massimo console nel 621

BRUTO pretore

MANILIO console nel 605

QUINTO MUCIO SCEVOLA cugino di PUBLIO MUCIO soprannominato augure

TUBERONE

TREBAZIO TESTA

SERVIO SULPICIO RUFO sostenne contro Q.MUCIO la possibilità che nella SOCIETAS uno dei soci avesse parte agli utili e non alle perdite o che pure fosse la partecipazione agli utili diversa dai contributi sociali; e ciò nei casi in cui uno dei soci apprestasse all'azienda sociale la sua opera, la sua tecnica, considerata come più preziosa e più importante dei contributi di beni. La dottrina di Servio prevalse fu giudicata da JOSEPH KOHLER come la più alta conquista di giurisprudenza dei tempi.

I giuristi della repubblica vengono citati da quelli dell'impero con la denominazione di VETERES nella categoria dovrebbero essere compresi solo i pratici, anteriori a Q.MUCIO SCEVOLA.

Principato.

Per il diritto privato il Principato non fu una epoca di grandi sviluppi ma soltanto di lievi e cauti ritocchi,. Apportati dai senatoconsulti e dalle costituzioni, nonché dall'interpretazione blandamente evolutiva di un giurisprudenza severamente controllata. ARANGIO-RUIZ

AUGUSTO

IUS RESPONDENDI : dualismo dal IUS CIVILE e IUS HONORARIUM sempre più artificioso il contrasto tra antico e nuovo, uno ridotto ogni giorno di più a funzione teorica l'altro ordine vivo e dominante nell'amministrazione della giustizia. Funzione generale di TUTOR REIPUBLICAE. La COGNITIA IMPERIALE di primo grado o in appello.

Formalismo giuridico del IUS CIVILE.

E' interessante notare che per tutto il periodo della giurisprudenza classica quando nell'impero si concedette nella COGNITIO EXTRA ORDINEM la facoltà di chiedere un onorario per prestazioni di opere liberali, questa persecuzione fu esclusa per i professori di diritto e per i filosofi.

CONSILIUM l'imperatore Adriano rese permanente questa situazione ed esclusiva per le materie giuridiche AUDITORIUM PRINCIPIS corifei della giurisprudenza e migliori giureconsulti del tempo.

QUOD PRINCIPI PLACUIT LEGIS HABET VIGOREM (ULPIANO) idea che tutte le costituzioni del principe eccetto i MANDATA avessero forza di legge.

Copyright © Alberto Pierobon - Tutti i diritti riservati 162/164 $LOGOIMAGE L'attività imperiale nella cognizione giurisdizionale esercitata direttamente o per mezzo dei funzionari, e ancora nella sua attività quasi legislativa, ogni giorno più con nuove decisioni e norme veniva scardinato il IUS CIVILE dalle sue basi granitiche. Nessun principio essenziale resta più fermo. E' significativo che i giuristi che siedono nel CONSILIUM assumono spesso la difesa della tradizione. Contro il IUS CIVILE si ammette la rappresentanza diretta eccetera.

L'utilitas e l'aequitas meta che sta sempre dinanzi al loro occhio vigile. Analogia degli elementi di due casi diversi... metodo nuovo, in un pirmo tempo suggeriscono al pretore formule in FACTUM o FICTICIAE o altri mezzi richiamando l'esempio di norme esistenti o di decisioni già ferme nella prassi: scuola sabiniarna detta degli analogisti in contrapposto ai proculiani-anomalisti.

Favola dei giuristi Aramei: tutto il valore della giurisprudenza romana si deve al contributo dei giuristi provinciali del III secolo SPENGLER.

LABEONE (sei mesi a roma e sei in campagna: faro luminoso nella giurisprudenza), NERVA poi PROCULO (CELSO, GIOVENZIO, NERAZIO). I proculiani si sono classificati ora stoici, ora idealisti, da altri animalisti e da altri ancora sostenitori del IUS STRICTUM.

CAPITONE, SABINO poi CASSIO (GIAVOLENO PRISCO, ALBURNO VALENTE, SALVIO GIULIANO). I sabiniani sarebbero stati epicurei o accademici, per altri naturalisti per altri ancora analogisti o infine assertori dell'AEQUITAS.

Tutte le divergenze fra le due scuole sono di indole positiva non discendenti da tendenze varie teoriche o filosofiche.

MASURIO SABINO primo fra gli equites ebbe da Tiberio il IUS RESPONDENDI

Tutta la giurisprudenza del I secolo è dominata da due grandinami da La beone e Sabino.

CASSIO LONGINO

GIAVOLENO PRISCO "omnia definitio in iure civili pericolosa est"

NERAZIO PRISCO

GIOVENZIO CELSO

SALVIO GIULIANO

S.CECILIO AFRICANO

SESTO POMPONIO... Mommsen lo qualifica ignorante...

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GAIO

ULPIO MARCELLO

SCEVOLA

PAPINIANO presso la posterità fu qualificato come il principe dei giuristi romani PRIMUS OMNIUM

ULPIANO

PAOLO

Liber/codes/codicilli/volumen pag. 364-365

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