3 Maggio 1967. Michelangelo Antonioni Presenta Al Festival Di Cannes Il Film Blow Up
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3 maggio 1967. Michelangelo Antonioni presenta al Festival di Cannes il film Blow up. Ritratto pop della Swinging London di metà anni Sessanta e contemporaneamente un inquieto filosofico interrogativo sull’esistenza e la percezione del reale. Ammaliante e avvincente trama e straniante successioni di racconti, contenuti l’uno nell’altro. A osservarli si allargano e comprendono sempre più invisibili tracce, tracciabili indizi di altre storie, apparenze, simulazioni e spettacolarizzazioni del reale, sino a perdersi senza arrendersi. “Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai. O forse sino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà. Il cinema astratto avrebbe dunque una sua ragione di essere”. Michelangelo Antonioni Siamo a Londra giusto a metà del decennio più creativo della città a cui guardano tutti, coi giovani attratti dai venti di cambiamento e dalla nuova musica, dalla moda innovativa e creativa, e da nuovi comportamenti più liberi e aperti. Ed è anche la Londra che su questa attrazione muove soldi e affari, che concepisce la novità come investimento economico e sfruttamento commerciale. Thomas, interpretato da David Hemmings, è un fotografo di moda che sta dentro questa contraddizione. Annoiato dalla ripetitività del lavoro e dalla città «Non ne posso più di Londra, questa settimana», dice a un certo punto, perché «Non fa niente per me». Vorrebbe essere più ricco per non dover accettare di lavorare alle pur ricche condizioni che gli vengono proposte per campagne pubblicitarie e riviste di moda. Vorrebbe fotografare la realtà, la cosa viva e pulsante e non più manichini in posa per vendere vestiti. Per questo nella prima scena lo vediamo di primo mattino uscire da un ospizio notturno per sbandati e senza casa. Si è confuso tra loro per realizzare una parte di quel servizio fotografico che pensa basti a ridisegnare la vera, la reale Londra: vuole che diventi il soggetto di un libro su cui sta lavorando. Per questo pensa sia sufficiente travestirsi da barbone e quando porta le foto a Ron, curatore del libro gli racconta del suo senso di disgusto per la città e il suo desiderio di essere libero, come le persone ritratte all’ospizio. Ma non crede molto a quello che dice. Adesso ha un nuovo fulminante interesse. La mattina, dopo aver buttato via gli abiti del suo travestimento, fatto un servizio fotografico con Veruschka, la modella più ricercata del momento, con inquadrature eroticamente fashion, che invitano al voyerismo mentale, poi, liquidate altre con ordini imperiosi e scatti veloci, ha trovato la foto perfetta che riassume la giornata luminosa e lo spirito del tempo in una forma semplice quanto iconica. Una coppia al parco, lei che trascina lui prendendogli le mani attraverso il prato per avvicinarsi al bosco. La donna è giovane, l’uomo no. Lei accorta di essere nel mirino del fotografo aveva preteso la consegna del rullino e più tardi, attraverso chissà quali misteriose vie si era presentata a casa sua per avere gli scatti, cercando di rubare la macchina fotografica e ottenendo solo un falso vero, cioè un rullino con altre inquadrature. Perché la ragazza è così ansiosa di ottenere le foto? “La mia vita privata è già un pasticcio. Sarebbe un disastro se…”, dice la ragazza provocando il non richiesto spiccio consiglio del fotografo. “E allora? Un disastro è quello che ci vuole per vedere chiaro nelle cose”. Vedere chiaro nelle cose diventa la nuova ossessione. Un’intuizione, stampare e ingrandire la sequenza delle foto, dopo che il primo ingrandimento aveva rivelato un’espressione preoccupata nel volto della ragazza. Ingrandimento dopo ingrandimento, un’ombra dietro un cespuglio diventa una persona nascosta e armata. Il termine blow up indica la tecnica fotografica di isolamento di una porzione di immagine che si ottiene attraverso successivi ingrandimenti fino al punto in cui l’aumento della grana della pellicola rende impossibile distinguere le forme dell’oggetto fotografato. L’immagine nella foto alla fine è troppo sgranata e lo è ancora di più nella mente di Thomas mentre le osserva dopo averle appese. Tutto era sembrato chiaro, una trama oscura in un giorno di luce accecante. Ci vogliono conferme. La ragazza sembra aver condotto intenzionalmente lontano l’uomo perché non veda, qualcosa che prima stava inquadrato nel mirino dell’arma impugnata dall’uomo nel cespuglio. “Io non so come è la realtà – dice Michelangelo Antonioni – Ci sfugge, mente di continuo… Io diffido sempre di ciò che vedo, di ciò che un’immagine ci mostra, perché immagino ciò che c’è al di là, e ciò che c’è dietro un’immagine non si sa. Il fotografo di Blow-Up non è un filosofo, vuole andare a vedere più da vicino. Ma gli succede che, ingrandendolo, l’oggetto stesso si scompone e sparisce. Quindi c’è un momento in cui si afferra la realtà, ma nel momento dopo sfugge”. Perché l’intuizione di Thomas è giusta. Ritornato al parco trova il cadavere di un uomo. Il numero di telefono che lei gli ha lasciato è falso. Deve mostrare a Ron o a un altro collaboratore quello che ha scoperto. Quello che crede di aver scoperto. Ma tornato a casa non ci son più né il rullino, né le foto. Tutte sparite, tranne una, scivolata dietro un mobile. Unica traccia, ma per niente chiara. Può essere qualunque cosa in qualunque posto. Bisogna che almeno il suo socio e amico Bill veda il cadavere. Perché tutto diventi reale. Continuiamo a seguire Thomas nei percorsi mentali che si traducono in movimenti in macchina, la sua Rolls decapottabile, per raggiungere a una festa l’amico. Lo vediamo mentre attraversa una animata città notturna, dove volto tra la folla appare di nuovo la ragazza misteriosa. O solo un’ombra che lo guida in un vicolo dove una musica frenetica lo attrae verso un locale. E qui tutto inizia a sfocarsi in una nebbia mentale, che consegna un messaggio al protagonista e che, visione dopo visione, in un blow up stravolge lo spettatore più curioso. La scena dura pochi minuti. Per questo riprendiamo ad avvolgere la pellicola all’indietro a partire da questo punto in cui Thomas entra cercando la ragazza. Il locale è molto scuro, alle pareti dipinti grandi volti bianchi di cantanti. Sul palco una musica che la sceneggiatura definisce “assordante”. Il pubblico è immobile, neanche movimenti con la testa, con le gambe, nessuno che segue il ritmo e partecipa tranne due in fondo alla sala. La band che si esibisce è sicuramente tra le più popolari a Londra e in tutto il Regno Unito. Sono gli Yardbirds, la formazione di casa al Crawdaddy, succeduti ai Rolling Stones e come loro provenienti da un duraturo amore per il blues. Piena di musicisti talentuosi e carismatici, nel 1966, dopo l’allontanamento di Eric Clapton sfoggiano un tris di chitarristi eccezionale: Jeff Beck, Chris Dreja e Jimmy Page. La band suona un classico del blues, ma che non è quello che è e non è neanche quello per cui viene presentato. Il titolo è Stroll on e non è un blues. Sarebbe una cover di un brano rock ‘n’ roll classico del 1957 del Johnny Burnette r’n’r trio, grande successo di allora che però si intitolava Train Kept A- Rollin’, un brano di Tiny Bradshaw, che con la sua orchestra swing e poi Rhithm and Blues aveva avuto una serie di successi anche tra il pubblico bianco. Il brano segue il ritmo dell’oscillazione del treno e delle opzioni, inseguire la donna allontanatasi o lasciar perdere. Il tema nella versione bianca e rockabilly di Jonny Burnette aveva aggiunto un elemento nuovo nella musica: l’uso della distorsione della chitarra fuzz. E questo elemento ha sicuramente attratto gli Yardbirds nella loro riproposizione garage rock. Ingrandiamo i particolari uno dopo l’altro, ingrandimento dopo ingrandimento per capire qual è il limite dove tutto si perde. Il testo originario di Train Kept A-Rollin’, di Tiny Bradshaw ha i classici temi del blues. Lui incontra lei, un treno li porta chissà dove, sballottandoli piacevolmente, lei è una hipster, irriducibile alle costrizioni, in perenne movimento, misteriosa. Per questo se ne va e lo lascia a dannarsi e a struggersi tra un “meglio che vada” e “non potevo lasciarla andare”, mentre il treno ovviamente non si ferma e continua a viaggiare tutta la notte. Anche Johnny Burnette ne aveva tenuto il testo accelerandone il ritmo. Gli Yardbirds avevano il brano in repertorio e presente nell’album del 1965 ma ora si trasforma in altro. La nota del film dice che questo è avvenuto per un mancato accordo sui copyright. Quindi il brano rimane lo stesso, si cambia il titolo e il testo appare un po’ più banale (tipo ora soffro io, perché mi hai lasciato, ma prima o poi sarà il tuo turno). Ma c’è un particolare che illumina il brano, che ricordiamo, nell’economia del film è un frammento che si nasconde dentro il cameo dell’esibizione live degli Yardbirds. You made me cry, by tellin’ me, you didn’t see. The future bore, our love no more. Thomas attraverso quegli scatti non era riuscito a vedere la realtà nella sua essenza, ma si era innamorato di quella storia, di quell’ombra, come possibile fuga dalla noia. Per questo,stroll on, vaga perché l’innamoramento continui. Ma in quei pochi minuti della scena tutto prende un’altra strada. L’ombra, la spettacolarizzazione prende il sopravvento. La band sul palco dà segni di nervosismo, gli amplificatori anziché restituire un suono fuzz, distorto, iniziano a gracchiare.