Framing Death. La Morte in Diretta, Tra Cinema E Media Digitali
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
alphabet 1 Nicolò Gallio FRAMING DEATH La morte in diretta, tra cinema e media digitali Nicolò Gallio FRAMING DEATH La morte in diretta, tra cinema e media digitali Il volume è tratto dalla tesi di dottorato Framing Death. La morte in diretta, tra cinema e media digitali. Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Dottorato di ricerca in Studi teatrali e cinematografici, ciclo XXV, depositata in AMSDottorato - Institutional Theses Repository (http://amsdottorato.unibo.it/) Il testo è stato sottoposto a peer review / This text has been peer reviewed This work is licensed under a Creative Commons Attribution BY-NC-SA 4.0 This license allows you to reproduce, share and adapt the work, in whole or in part, for non-commercial purposes only, providing attribution is made to the authors (but not in any way that suggests that they endorse you or your use of the work). Attribution should include the following information: Nicolò Gallio, Framing Death. La morte in diretta, tra cinema e media digitali, Bologna: Bononia University Press, 2020 Quest’opera è pubblicata sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0 Questa licenza consente di riprodurre, condividere e adattare l’opera, in tutto o in parte, esclusivamente per scopi di tipo non commerciale, riconoscendo una menzione di paternità adeguata (non con modalità tali da suggerire che il licenziante avalli l’utilizzo dell’opera). La menzione dovrà includere le seguenti informazioni: Nicolò Gallio, Framing Death. La morte in diretta, tra cinema e media digitali, Bologna: Bononia University Press, 2020 Bononia University Press Via Ugo Foscolo 7 40124 Bologna tel. (+39) 051 232882 fax (+39) 051 221019 www.buponline.com ISSN 2724-0290 ISBN 978-88-6923-569-6 ISBN online 978-88-6923-570-2 Progetto grafico e impaginazione: Design People (Bologna) Prima edizione: maggio 2020 INDICE INTRODUZIONE 7 CAPITOLO 1 PARADIGMI DI (IR)RAPPRESENTABILITÀ 13 1.1 La morte come tabù pop: dalla rimozione al vigor mortis 13 1.2 Dall’arena al salotto: i media audiovisivi e la “necrocultura” 21 1.3 Il paradigma pornografico: successo e limiti 33 1.4 Testi e discorsi: opacità e interdizioni variabili 37 CAPITOLO 2 INQUADRARE LA MORTE 45 2.1 La morte al cinema: emersioni e riassorbimento 45 2.2 Tre prospettive su corpo, morte e macchina da presa 55 2.3 Mondo e cannibal movies: dal paracinema agli “offensive films” 60 2.4 Moral panic: lo snuff movie, dai margini a Hollywood (e ritorno) 74 2.5 Dai Video Nasties al Torture Porn 81 CAPITOLO 3 DENTRO E FUORI I TESSUTI 91 3.1 Leggende urbane, viralità ed effetto alone: lo snuff tra dinamiche di diffusione e contagio 91 3.2 Ripetizione, intertestualità e saturazione negli “shockumentaries” 107 3.3 Design e strutture modulari: inserti e code 116 3.4 Resilienza e contorni: “The Zapruder Film” 126 CAPITOLO 4 VENDERE LA MORTE: STRATEGIE DI MARKETING E DISTRIBUZIONE 135 4.1 Un fallimento di successo: la promozione di Snuff 135 4.2 «Chi sono i veri cannibali?». Costruendo Cannibal Holocaust 142 4.3 «Fact or fiction?». Il franchise Faces of Death 147 4.4 «Fiore di carne e sangue»: il caso Guinea Pig 158 4.5 «Spreading the Sickness»: lavorare sulle nicchie 164 CAPITOLO 5 LA MORTE 2.0 173 5.1 I “social media killers” 173 5.2 «Pure evil since 1996»: gli “shock sites” 180 5.3 War Porn: (ri)editare la guerra 187 5.4 Remixare la morte 195 CONCLUSIONI 209 Note 216 RINGRAZIAMENTI 247 BIBLIOGRAFIA 249 INTRODUZIONE Il pomeriggio del 19 agosto 2012, Tony Scott, regista di pellicole di successo come Top Gun (1986) e Giorni di tuono (Days of Thunder, 1990), sta percorren- do in auto il Vincent Thomas Bridge a San Pedro, nel distretto di Los Angeles. A un certo punto accosta, scavalca la balaustra del ponte e si lancia nel vuoto, trovando la morte nelle acque sottostanti. A poche ore dal decesso, mentre i media si interrogano sui motivi del gesto avanzando l’ipotesi di una malattia incurabile, inizia a circolare la notizia che esisterebbero diversi video che documentano la sequenza: sarebbero stati realiz- zati da passanti con i propri smartphone e si aggiungono a quelli delle videoca- mere di sorveglianza del ponte. Ma non è tutto: sembra infatti che qualcuno stia cercando di vendere questi filmati a certi siti web specializzati in gossip1. Mentre si specula su chi sia il venditore e chi abbia concluso la trattativa, il filmato viene immediatamente definito “snuff movie” e si avanza l’ipotesi che sia stato acquistato da «un rappresentante di un potente media statuni- tense»2. Nel frattempo i conoscenti di Scott si scagliano con rabbia contro chi sta organizzando la vendita e di lì a qualche settimana iniziano a circolare altri contenuti legati al suicidio: si tratta delle conversazioni dei testimoni che hanno chiamato il 911 subito dopo il salto del regista3. Poco dopo, però, la notizia inizia lentamente a scomparire dall’agenda dei media senza una vera e propria conclusione. Il caso del suicidio di Tony Scott è, come vedremo, solo uno dei moltis- simi esempi in cui l’etichetta “snuff” è applicata a contenuti legati alle regi- strazioni e al consumo di immagini di morte: episodi in cui si ipotizza che il commercio di questi materiali sia regolato da una legge di domanda e offerta che vede la richiesta impennarsi quanto più le vittime sono note, mescolando così i circuiti underground – più tipicamente legati ai filmati di morte, così come sono stati codificati dalle leggende urbane – con i grandi gruppi editoriali dell’informazione e dell’intrattenimento. Un sistema che unisce la cronaca e lo spettacolo (facendo anzi spettacolo della cronaca) e che, come ricorda Alessandro 7 Amaducci, è diffuso e strutturato al punto che iplayer che vi operano non hanno più necessariamente a che fare con la criminalità4. Il percorso che proponiamo parte proprio da qui, dalla congiunzione tra la mitologia dello snuff e le possibilità di manipolazione e condivisione offerte dai media digitali, per svilupparsi a ritroso sulle tracce delle prime occorrenze delle immagini di morte nel cinema, analizzandone l’evoluzione alla luce delle ibrida- zioni linguistiche consentite dai new media. Sullo sfondo, appunto, il tabù della morte e il suo innesto nei linguaggi audiovisivi, per affrontare il quale si è scelto di adottare un approccio multi- disciplinare che tenga conto sia delle specifiche analisi sviluppate nell’ambito dei Film Studies, che dell’ampia riflessione di matrice socio-antropologica e di puntuali apporti provenienti dall’area del marketing e della promozione degli audiovisivi, per meglio comprendere le strategie di comunicazione adottate da quelle produzioni che hanno fatto leva proprio sulla morte (reale o simulata) per costruire il proprio successo. Come mostrano i sempre più numerosi casi di cronaca riportati dai media, la preoccupazione per la gestione delle immagini di morte si configura come un nodo centrale che coinvolge spettatori, produttori di contenuti e broadcaster, dato che la sua emersione puntuale, nell’ambito dei notiziari o sotto forma di contenuti condivisi online, è sempre più evidente. Se la letteratura socio-an- tropologica è concorde nel ritenere che, rispetto al passato, oggi la morte sia meno presente nella vita comune delle persone, che tendono a vivere il lutto in forma privata, essa è però al tempo stesso percepita in modo pervasivo, perché disseminata nel panorama mediale in cui siamo immersi. Oggetto di specifici interdetti nella vita di comunità, la morte trova quindi il modo di riemergere in precisi ambiti e cornici di fruizione, al cui interno ci è consentito affrontare ciò che usualmente è rimosso: la cronaca nera, certe manifestazioni dell’arte, alcuni filoni cinematografici e specifici siti online sono occasioni di fruizione in cui essa è declinata secondo convenzioni che, in parte, ne riducono il portato eversivo, in parte, invece, stimolano il dibattito sulla sua corretta ricezione e gestione. Ci concentreremo in maniera specifica sulle produzioni audiovisive, e quindi sulla possibilità intrinseca al cinema – e alle sue forme derivate – di registrare un evento in diretta, e tenteremo di mappare una particolare manifestazione della morte: quella che viene comunemente indicata come “morte in diretta”. Dopo una prima ricognizione sviluppata nel capitolo 1, Paradigmi di (ir) rappresentabilità, dedicato alla tensione continua tra la spinta a considerare la morte come l’ultimo tabù e le manifestazioni che essa invece assume all’interno di quella che alcuni definiscono “necrocultura”, appare chiaro che il paradigma 8 Framing Death pornografico, a dispetto della sua vasta adozione, risulta ormai inefficace per de- lineare compiutamente le emersioni della morte nei media, soggetta a opacità e interdizioni variabili, e necessita dunque di prospettive analitiche più articolate. È quindi necessario tentare di Inquadrare la morte (capitolo 2). Se, fin dalle origini, il cinematografo ha offerto la possibilità di fissare su pellicola un evento puntuale e ontologicamente “altro” come quello in oggetto, nonché di proiet- tarlo virtualmente all’infinito, questioni etiche hanno impedito che si creasse un vero e proprio mercato di film di morte nell’ambito del cinema delle origini (seppure non siano mancati numerosi esempi di morti bianche catturate dall’o- biettivo degli operatori), optando invece per la produzione di attualità ricostrui- te e film a trucchi. In seguito, la codifica dei generi cinematografici ha ingabbia- to la morte – almeno dal punto di vista della fiction – in precise cornici formali e convenzioni narrative, che permettessero allo spettatore di gestirne la visione in tutta sicurezza per mezzo di rappresentazioni finzionali. Successivamente, al- cuni cineasti, sperimentando soprattutto nell’ambito del cinema documentario, hanno tentato di allargare alcune delle maglie linguistiche tradizionalmente uti- lizzate, ibridando le formule più classiche e catturando la realtà della malattia incurabile (Lampi sull’acqua, Wim Wenders, 1981), del suicidio (The Bridge – Il ponte dei suicidi, Eric Steel, 2006), o esplorando la dimensione del cadaverico (The Act of Seeing with One’s Own Eyes, Stan Brakhage, 1971).