Sull'autorialità Di Un Melodramma Di Tardo
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DI CHI È LA PENELOPE? SULL’AUTORIALITÀ DI UN MELODRAMMA DI TARDO SETTECENTO Eleonora Di Cintio [email protected] Pescara Who Composed the Penelope? On the Authoriality of a Late-18th-Century Melodrama Abstract The textual tradition of Penelope, tralto Giuseppina Grassini (1779- an opera seria written in 1795 1850) who sang the title role by Giuseppe Maria Diodati and several times between 1795 and Domenico Cimarosa, refl ects not 1803. Reconstructing some of the only the creative project of the changes effected by her, I seek to original authors, but also those explain why this singer should of others who modifi ed the score herself be considered one of the over time. Particulary notable in main authors of Penelope. this sense is the case of the con- 1. Premessa In tempi relativamente recenti, la letteratura musicologica dedicata al melodramma del Settecento ha insistito a più riprese sul fatto che tale oggetto artistico sia piuttosto distante, in termini ontologici, dal concetto di opera ideale di ascendenza ottocentesca. Si è cioè concordi nel ritenere priva di fondamento l’idea secondo cui l’opera musicale, a quell’altezza cronologica, corrisponda unicamente alla versione licenziata dal primo librettista e dal primo compositore, essendo essa invece coincidente con le proprie performances e dunque oggetto artistico non defi nito una volta per tutte.1 Dando seguito alle posizioni testé avanzate, chi scrive ha a sua volta dedicato alcune rifl essioni a tale specie di melodramma, proponendone 1 Sulle metamorfosi del concetto di opera, in particolare tra Sette e Ottocento cfr. soprat- tutto Goehr 1992. Keywords: Eighteenth Century Opera / Musical Philology / Domenico Cimarosa / Giuseppina Grassini / Penelope Eleonora Di Cintio una concettualizzazione nei termini di ‘oggetto empirico’ e rifl ettendo circa il trattamento di cui esso possa benefi ciare in sede musicologica, con particolare riguardo all’ambito della fi lologia musicale.2 In questa sede, più che indugiare sul concetto opera empirica e sulla possibilità di rendere in edizione le varie sue manifestazioni ricostruibili in tutto o in parte, vorrei tentare di affrontare quella che ritengo essere la sua criticità maggiore, ossia la moltiplicazione dei suoi artefi ci. Che il primo librettista e il primo compositore siano stati solo due dei tanti padri di un melodramma è dato tanto noto quanto poco verifi cato da un punto di vista strettamente ecdotico. Anche per l’opera nata al crepuscolo del XVIII secolo valgono infatti le parole spese da Tavilla in relazione a melodrammi di primo Ottocento: la ricerca degli autori di un titolo è stata spesso confi nata «all’interno della cornice della rico- struzione storica degli eventi e dei meccanismi produttivi, relegando la critica testuale a un ruolo marginale».3 Aggiungerei inoltre che nel caso di opere italiane nate agli albori del lungo Ottocento la penuria di relative edizioni critiche rende ogni approccio propriamente testuale impossibile ab origine. A tal proposito, trovo allora utile proporre qualche osserva- zione circa alcuni aspetti della tradizione testuale dell’opera Penelope, un dramma per musica di Giuseppe Maria Diodati e Domenico Cimarosa (Napoli, Teatro del Fondo di Separazione, Carnevale 1795), al fi ne di os- servare come si manifestino e quale peso abbiano in essa istanze autoriali diverse rispetto a quelle del primo librettista e del primo compositore. 2. Un fi nto autografo Penelope è tramandata da venti partiture manoscritte, cui si aggiungono un centinaio di estratti, pure manoscritti e una manciata di stampe, sempre di estratti, italiane e non, risalenti ai primi decenni dell’Ottocento. In re- lazione al problema della sua autorità, il caso di questo melodramma si pone fi n dall’inizio piuttosto curioso: nel remoto 1908 Augustus Hughes- Hughes, all’epoca “Assistant in the Department of Manuscripts” nel British Museum, ipotizzava che uno dei testimoni di Penelope, il codice Add. Ms. 15997 (d’ora in poi X), potesse essere una copia autorizzata dell’opera di Cimarosa, in virtù del fatto che «the alterations on f. 109 are apparently 2 Di Cintio 2017b. 3 Tavilla 2017, p. 9. [ 172 ] Di chi è la Penelope? Sull’autorialità di un melodramma di tardo Settecento autograph».4 Poiché il melodramma così come si presenta in X risulta es- sere molto diverso rispetto a quello tràdito dal testimone autografo di Pe- nelope (I-Nc, 14.8.20-21, olim Rari 1.4.20-21, d’ora in poi A),5 l’ipotesi di Hughes-Hughes, se verifi cata, avrebbe portato a riconoscere l’esistenza di due versioni – entrambe riconducibili a Cimarosa – del medesimo titolo.6 Fig. 1. © British Library Board, Add. Ms. 15997 (X), c. 109r Per quanto affascinante, tale ipotesi cade a un’osservazione attenta di X e, nello specifi co, del punto della partitura in cui ricorrerebbero le annotazioni pseudo-cimarosiane: sebbene la grafi a di Cimarosa e quella visibile alla c. 109r di X (fi g. 1) siano simili, un confronto accurato tra le due nega la possibilità che esse possano combaciare.7 E aldilà del mero dato grafologico, scoraggiano l’attribuzione di X a Cimarosa alcune con- siderazioni specifi camente musicali. 4 Hughes-Hughes 1908, II, 314. 5 Cfr. Appendice. 6 Johnson richiama a sua volta il fatto che in GB-Lbl esistano 2 versions di Penelope, non specifi cando se entrambe d’autore. Cfr. Johnson 2001, p. 853. 7 Annotazioni della mano ipotizzata essere di Cimarosa sono presenti anche a c. 108v, nonché in vari altri punti di X. Cfr. Di Cintio 2017a, I, pp. 93-95 e II, pp. lii-liv. [ 173 ] Eleonora Di Cintio Le modifi che della c. 109r si riferiscono alla riscrittura delle bb. 51-55 del recitativo accompagnato di Telemaco, che precede l’aria dello stesso «Se perdo il mio bene» (X, I, 9, cc. 109v-126r, diversa da «Ah serena o madre il ciglio» presente in A in I, 7, cc. 116r-136v) e che risulta molto di- verso da quello tràdito da A (bb. 29-55). Nella parte modifi cata in X, l’or- chestra non riprende infatti il motivo caratteristico del brano, limitandosi a punteggiare gli interventi delle voci con incisi di natura accordale, o, al più scalare. Questo dato è anomalo se rapportato, in particolare, alle ultime produzioni operistiche di Cimarosa, dunque anche a Penelope: in molte di esse l’orchestra è vero e proprio attante, e il suo peso si rende percettibile soprattutto nei recitativi accompagnati, il più delle volte caratterizzati da una o due cellule motiviche, cangianti a seconda della situazione dramma- tica. È lecito pensare che se fosse stato realmente Cimarosa ad intervenire sul recitativo, egli avrebbe ripreso la sua musica, cioè modifi cato il motivo che caratterizza il pezzo fi n dalle prime battute. Inoltre, trascendendo il caso specifi co di questo recitativo, è soprattutto la morfologia della Penelope di X a scoraggiare l’attribuzione a Cimarosa. Questi, insieme a Diodati, aveva organizzato il proprio melodramma in «scene complexes», ossia, «scenes cointaining more than one musical number without an attending exit […] [that] may freely combine recita- tives, cavatinas, short ensembles […] into units that extend over more one scene, meaning that it involves an increase or decrease in personel».8 Nella Penelope di A, all’interno di tali macro-aree scenico-musicali, si riscontra una netta incidenza di brani concertati a discapito di quelli solistici, che, co- munque, sono accordati ai soli protagonisti. Il fatto che i comprimari non dispongano di alcuna aria comporta una netta focalizzazione del dramma sul nucleo familiare Ulisse-Penelope-Telemaco. Nella Penelope di X tali connotati vengono stravolti: molti brani concertati risultano sostituiti con arie solistiche, cantate tanto dai protagonisti quanto dai comprimari, o con pezzi pure concertati ma di minor complessità strutturale (ad esempio il duettino in un tempo solo tra Penelope e Telemaco «Ah tergi quel ciglio» che in I, 3 di X sostituisce il più complesso duetto in due tempi «Non ho più costanza» di A). La conseguenza di tali modifi che è il ripristino di quella seconda trama di metastasiana memoria (che nel caso specifi co coinvolge la coppia Arsinoe-Telemaco), la quale, venuta meno la fl uidità della drammaturgia cimarosiana, si dipana entro l’antico meccanismo delle uscite e delle entrate, con le arie solistiche poste alla fi ne della scena, prima che il personaggio che le canta rientri dietro le quinte. 8 McClymonds 1989, pp. 223-224. [ 174 ] Di chi è la Penelope? Sull’autorialità di un melodramma di tardo Settecento Alla luce di simili caratteristiche, ritengo altamente improbabile che Cimarosa, peraltro alla metà degli anni Novanta al culmine della propria carriera, abbia potuto compromettere in maniera così pesante l’equilibrio di una propria opera, magari per adattarla alle esigenze di un teatro o di una compagnia di cantanti. Pertanto, anche senza conoscere l’origine dei brani aggiunti o interpolati in X, credo ci siano elementi suffi cienti per ritenere il compositore totalmente estraneo al confezionamento della Penelope tràdita da quel testimone. 3. X e la traditio γ di Penelope Pur non essendo una copia autorizzata, X denuncia una certa importanza in seno alla tradizione di Penelope: il codice fu una partitura d’uso, al- meno in parte copiata da un antigrafo, oggi irreperibile, probabilmente una copia napoletana di Penelope.9 A giudicare dalle fi ligrane visibili al suo interno – in particolare un giglio sovrastato dalle lettere «M A» e un altro giglio associato alle lettere «S B» – la copiatura avvenne in am- bito toscano, dove l’antigrafo giunse per poi essere modifi cato in vista dell’allestimento. Sebbene nessuno dei libretti conosciuti di Penelope cor- risponda in toto al ms. Add. 15997, la facies dell’opera tràdita da X è molto simile a quella visibile nel libretto della Penelope rappresentata a Livorno presso il Regio Teatro degli Avvalorati nell’autunno del 1795.