La Biblioteca-Museo Patrizia E Il
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Dorit Raines La biblioteca-museo patrizia e il suo 'capitale sociale' - modelli illuministici veneziani e l’imitazione dei nuovi aggregati in Arte, storia, cultura e musica in Friuli nell’età del Tiepolo. Atti del convegno internazionale di studi, Udine 19-20 dicembre 1996, a cura di Caterina Furlan, Forum, Udine 1997, pp. 63 – 84 1. Modelli di librerie patrizie nella Venezia cinque-secentesca Agli inizi degli anni Quaranta il soprintendente veneziano alle stampe, Giovanni Francesco Pivati, stese una relazione ai Riformatori dello Studio di Padova, spiegando le principali differenze tra il libro veneziano del Cinquecento e quello del Settecento. Secondo lui, le grandi edizioni in più volumi non furono popolari nel Cinquecento perché fra l’altro quel secolo non era «portato molto a fregiare gli appartamenti intieri delle case e palazzi colle librerie signorili, come dopo se n’è introdotto l’uso»1. Il libro quindi, anzi l’edizione, diventa protagonista assoluto della vita sociale veneziana settecentesca. Esso penetra nel corso del Seicento nello spazio già riservato nella dimora patrizia ai luoghi di ricevimento e riesce ad inserirsi come elemento indispensabile all’immagine della casata. Il mero accenno all’esistenza di una raccolta di libri in un palazzo patrizio serve ad etichettare socialmente la casata. L’erudizione, una volta vantata attraverso lo studio del testo, rimane ancora un elemento distintivo, ma ormai è rappresentata attraverso l’oggetto stesso del suo interesse - il requisito del sapere è sostituito quindi dal suo veicolo e trasmettitore. Il libro insomma diventa l’emblema dell’erudizione attraverso la sua esposizione museale. Il suo ‘capitale sociale’ sta nel fatto che con un investimento finanziario si può ottenere lo stesso risultato, anzi migliore, che col lungo e faticoso ricorso allo studio e al sapere: l’erudizione di una persona può portarle fama a titolo personale, ma deve essere confermata costantamente; una raccolta invece colpisce l’immagine di molte persone in una volta e rimane impressa nella memoria. Il ‘capitale sociale’ di un comportamento culturale, quel valore aggiunto che colloca il suo possessore in un contesto socialmente ambito, è, nel caso delle biblioteche patrizie veneziane, un elemento basilare nell’autoaffermazione sociale e dell’autoglorificazione politica della «Venezia trionfante» del Cinquecento. Nella Venetia città nobilissima, et singolare di Francesco Sansovino, portavoce di un’intera generazione che celebra il mito della Serenissima attraverso la bellezza della città lagunare, sono i palazzi ad occupare ampio spazio nella descrizione della città. Le librerie, insieme ad altri collezioni, hanno 1 M. INFELISE, L’editoria veneziana nel ‘700, Milano, Franco Angeli 1989, p. 51, nota 107. ancora una parte minore nell’immagine delle famiglie patrizie. Nella versione sansoviniana del 1581 l’autore elenca, accanto a numerose biblioteche dei patrizi eruditi, qualche importante biblioteca come quella di Giacomo Contarini di San Samuele, «il quale con spesa indicibile, ha posto insieme quasi tutte le historie stampate & le scritte a penna, non pure universali, ma particolari della città, con diversi altri libri & in gran copia nelle scienze»2, oppure quella di Luigi Balbi, «nella quale, [...] oltre i libri teologici, historici, & di leggi, [sono] ridotti a facilità con sommari & repertorij in ogni materia»3. Il parametro usato dal Sansovino per valutare l’importanza di queste raccolte è infatti la loro utilità. Ragionando da erudito, egli assume che una biblioteca debba essere munita di un carattere coerente, perché l’interesse rivolto alla raccolta sarebbe in funzione della sua capacità di fornire il massimo numero di titoli in una materia specifica, accanto agli strumenti adatti alla consultazione: sommari e repertori. Il concetto enciclopedistico non esiste ancora; ogni letterato sceglie la sua sfera d’interesse e costituisce quindi una raccolta apposita. Ottanta anni dopo, con l’«additione» di Martinioni al testo sansoviniano, la situazione sarebbe completamente cambiata. Gli esempi di Giovanni Battista Corner Piscopia, la cui raccolta era ragguardevole «per la quantità, per le materie, e specialmente Historica, e Politica, delle quali questo signore è studiosissimo, vedendosi così gran numero di Libri, tutti disposti per materie, con bellissimo ordine, in Cassette di rimesso maestrevolmente lavorate; havendo in oltre moltissimi manuscritti, tutti scelti & eletti, specialmente delle cose di Venetia», e del procuratore Luigi Duodo, insigne «per quantità, e qualità, essendosi molti Libri, e manuscritti Greci di stima. In essa si trova un forziere pieno di Libri in ogni materia, legati in oro, tutti di stampe Oltramontane, che s’apre in forma di Scancie, il quale era portato nelle Ambascerie da Pietro Duodo Cavaliere fu suo Zio»4, offrono tutta una serie di altri parametri di valutazione. Il Seicento richiede la presenza di una quantità di libri, e la loro distribuzione in varie materie, insieme ad un luogo adatto all’esposizione di essi - un «Cassetto di rimesso maestrevolmente lavorato», oppure «un forziere [...] che s’apre in forma di Scancie», e delle belle legature «alla Francese», che si trovano presso il 2 F. SANSOVINO, Venetia città nobilissima, et singolare, descritta già in XIII libri con aggiunta di tutte le cose notabili... dell’anno 1580 fino al presente 1663 da D. Giustiniano, In Venetia, appresso Steffano Curti 1663, p. 370. 3 Ivi, p. 371. 4 Ibid.. Il Boschini conferma nella sua descrizione della biblioteca del procuratore Corner-Piscopia i nuovi criteri tardo-secenteschi per la valutazione dell’importanza di una collezione libraria: M. BOSCHINI, La carta del navegar pitoresco. Dialogo tra un Senator venetian deletante, e un professor de Pitura, soto nome d’Ecelenza, e de Compare. In Venetia, Per li Baba 1670 pp. 555-556: «Se de Pitura ghe xé galaria,/ E (come ho dito) Miniadura rara,/ Mazor pegno, ghe xé, mazor capara/ De sciencia: el dise la so’ Libraria./ Che anche in questo el valor d’Eroe, si grave/ Inclina molto a praticar Minerva./ Dove de Libri che xé una conserva/ Universal, che d’ogni sciencia e chiava». 2 Procuratore Nicolò Corner, o altre pregiate coperte. Siamo così già a un passo dalla maturazione del concetto biblioteca-museo, in quanto è assente ancora il parametro dell’’universalità’. Con la diffusione delle idee enciclopedistiche, sarà colmata anche questa mancanza. L’estensione del termine ‘biblioteca’ nel Settecento veneziano, secolo prevalentamente collezionistico5, da raccolta mirata secondo le scelte dei possessori a luogo di esposizione del materiale6, segna una nuova era, in cui l’evoluzione organica della collezione con il progressivo accesso di materiale proveniente da varie fonti comporta un notevole accrescimento dell’eccletticità della raccolta libraria, e quindi la perdita di qualsiasi parametro di definizione del suo carattere e della sua specificità. La biblioteca-museo, tempio del sapere umano, diventa uno dei tanti prodotti culturali, destinati ad essere ammirati per motivi quantitativi o per la loro bellezza, e non più per considerazioni qualitative e testuali. Per costruire la biblioteca, e cioè per arrivare al prodotto finale, espositivo, si istituiva a partire dalla seconda metà del Seicento una pratica articolata in una pianificazione razionale delle tappe essenziali di questa impresa: la scelta del locale, la cura dell’ambiente museale, l’assunzione di uno specialista-addetto alla pubblicità, e, solo al termine di questa procedura, l’acquisto ordinato dei libri. 2. L’ubicazione della biblioteca-museo nel palazzo patrizio La scelta del locale per la biblioteca-museo è forse la tappa più significativa nell’iter librario-museale. Il palazzo patrizio, tradizionalmente distribuito fino alla metà del Seicento fra il locale mercantile o fondaco nel pianoterra, il pòrtego del primo piano come principale nodo distributivo dell’alloggio, e le stanze, ancora non specificamente divise fra luogo di rappresentanza e luogo di riposo7, attraversa negli anni settanta-ottanta del Seicento una ristrutturazione radicale. Ai locali vengono attribuite specifiche funzioni, e la distribuzione fra il luogo di ricevimento e lo spazio privato è talmente sentita che nel corso 5 Collezioni di antichità a Venezia nei secoli della repubblica, a cura di M. ZORZI, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato 1988, p. 101. 6 Sui criteri del collezionismo, e specialmente sull’esposizione della collezione K. POMIAN, Collectionneurs, amateurs et curieux. Paris, Venise: XVIe-XVIIIe siècles, Paris, Gallimard 1978, p. 295. Significativa è l’esistenza di quasi ‘pubbliche librerie’ come quelle dei Pisani di San Vidal o Grimani di San Polo, aperte al pubblico, fatto che dimostra quanto sottile fosse la differenza fra raccolta privata e ‘museo’ pubblico. Su queste biblioteche e ugualmente sulla biblioteca dei Morosini in Canonica, M. ZORZI, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano, Mondadori 1987, pp. 339, 342-343. 7 Nel 1615 l’architetto Scamozzi, descrivendo l’interno del palazzo veneziano, dimostra quanto assente fu a quell’epoca una netta distinzione fra i luoghi di rappresentanza e lo spazio riservato agli appartamenti privati. (V. SCAMOZZI, L’idea dell’architettura universale, In Venetia, per Giorgio Valentino 1615, p. 243). 3 delle ristrutturazioni di varie dimore patrizie si procede all’istituzione di ingressi differenziati8. Il cambiamento avvenuto nei valori nobiliari europei di fronte all’assolutismo dei principi