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JAMEL DEBBOUZE RIE RASMUSSEN

UN FILM DI

LUC BESSON

www.angela-lefilm.com

distribuito da

Uscita : 17.03.2006 Durata : 1h30

SCHEDA ARTISTICA

ANDRÉ Jamel DEBBOUZE ANGELA Rie RASMUSSEN FRANCK Gilbert MELKI PEDRO Serge RIABOUKINE CAPO DEI MALAVITOSI Akim CHIR detto COLOUR MALAVITOSO 2 Loïc PORA MALAVITOSO 3 Jérôme GUESDON PIANTONE US Michel BELLOT SEGRETARIO US Olivier CLAVERIE DONNA A ST. LAZARE Solange MILHAUD L’ADESCATORE Laurent JUMEAUCOURT ULTIMO CLIENTE Franck Olivier BONNET CAMERIERE RUMENO Grigori MANOUKOV SOMMELIER Alain ZEF UOMO ALLA RECEPTION Jean-Marco MONTALTO GUARDIA DEL CORPO Franck Eric BALLIET detto PARIGO POLIZIOTTO AL COMMISSARIATO Michel CHESNEAU CLIENTE ANGELA 1 Jil MILAN CLIENTE ANGELA 2 Tonio DESCANVELLE LA MADRE Venus BOONE PADRE TODD M. THALER

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SCHEDA TECNICA

Regia e sceneggiatura

Primo assistente alla regia James CANAL Direttore della fotografia Thierry ARBOGAST Montaggio Frédéric THORAVAL Tecnico del Suono Jean MINONDO Missaggio Didier LOZAHIC

Scenografia Jacques BUFNOIR Costumi Martine RAPIN

Colonna sonora originale Anja GARBAREK Direttore di produzione Didier HOARAU

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SINOSSI

Un uomo incontra una donna a Parigi …

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L’ABBECEDARIO DI LUC BESSON

A come Attori La regia in senso stretto non mi mancava poi così tanto. Si tratta di un’autentica missione carica di responsabilità che richiede talmente tanto tempo, energie e fatica che non sempre si ha voglia di rimettersi al lavoro. E’ un po’ quello che succede ai navigatori in solitaria, che fanno il giro del mondo da soli: sicuramente avranno dei ricordi magnifici di quell’indimenticabile esperienza ma non credo che una volta messo finalmente piede sulla terra ferma abbiano voglia di ripartire subito…. Per contro, giunto sul set ho sentito immediatamente l’estremo piacere di lavorare con gli attori. Il periodo delle prove con Jamel e Rie, durato circa un mese e mezzo, è stato particolarmente entusiasmante: vedere il testo prendere vita attraverso le loro parole, essere testimoni dei primi giochi, dei primi sorrisi è stato meraviglioso. Mi ha ricordato molto il momento del risveglio dei neonati, quando cominciano a guardarti, a fare qualche gesto. Si tratta dello stesso tipo di piacere: quello che si prova assistendo alla nascita di qualche cosa….

B come Besson Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura di questo film circa dieci anni fa. All'epoca però, ero riuscito a definire solo la struttura del film senza riuscire a far parlare i personaggi, forse perché ero troppo giovane. In poche parole, si può dire che avevo già il desiderio di trattare questo argomento ma non disponevo ancora del vocabolario adeguato per farlo. Di conseguenza, ho messo da parte quelle 15 pagine che avevo scritto e sulle quali mi sono reimbattuto quasi per caso di recente. Tornato a leggerle, le ho trovate talmente attuali che ho deciso di riprendere in mano la penna per vedere, se questa volta, sarei riuscito a finire il film. E in soli 15 giorni ho terminato la sceneggiatura! E quindi mi sento di poter dire che per scrivere questo film ci sono voluti 10 anni e 15 giorni …

C come cascatori e scene d’azione Non ce ne sono affatto, o meglio ce n’é una soltanto ma visto che fino ad oggi ho realizzato film pieni di scene d’azione molto spettacolari, quella di questo film al confronto non è niente! Direi piuttosto che è un film pieno zeppo di dialoghi, ci sono fiumi di parole con i due personaggi che blaterano e ciarlano come due gallinelle!

D come Décors (scenografie) Per la prima volta nella mia carriera cinematografica e solo perché lavoro sempre con gli stessi due scenografi che di conseguenza mi conoscono forse anche troppo bene, ho “raccontato le scenografie allo scenografo senza fargli leggere la sceneggiatura” e di conseguenza non aveva la minima idea di quale fosse l’argomento del film. Ero convinto che se avesse ignorato completamente la storia, avrebbe avuto idee magnifiche ed insolite perché non influenzato da essa, ed è esattamente quello che è successo: né io né lui avremmo mai potuto immaginare le scenografie che ha creato e che hanno contribuito a mettere in luce gli sviluppi della storia. E poi, visto che questo esperimento si è rivelato un successo, ho adottato lo stesso approccio anche con tutti gli altri membri del cast i quali hanno vissuto le riprese di questo film come se si trattasse di una telenovela: e poiché

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abbiamo girato in continuità, hanno scoperto la trama del film mano a mano che andavamo avanti con le riprese, e hanno scoperto come finiva solo all’ultimo giorno di lavoro!

E come Elle (lei) Poiché Rie non era molto famosa non c’era alcun bisogno di svelare un nome che non avrebbe significato nulla per la maggior parte delle persone. Ma siamo fatti cosi: siamo più interessati a ciò che ci viene taciuto piuttosto che a quello che sappiamo. Quando hanno cominciato a circolare le voci su Internet senza che io avessi messo a punto una vera strategia, ho provato un sano e maligno piacere a far durare l’attesa il più possibile….

F come Fedele Generalmente sono fedele alla mia troupe, ma fedele sul lavoro non vuole certo dire cieco: e poiché spesso i tecnici con i quali lavoro sono anche i miei amici, non li scelgo in nome della nostra amicizia. Se continuo a lavorare con la stessa troupe è semplicemente perché tutti i miei collaboratori hanno l’intelligenza di crescere ad ogni film che fanno. Nel momento in cui hanno una responsabilità creativa all’interno del progetto, è importante per me che continuino a crescere, ad evolversi. Ho bisogno della loro emulazione: io non vado sul set per “servirmi” di loro ma per condividere il loro sapere.

G come Gilbert Melki E’ un attore che avevo adocchiato da tempo e che era perfetto per questo ruolo. E’ il primo al quale ho pensato per interpretare Franck e lui mi ha fatto il grande favore di dire di sì. Ma neanche lui ha ricevuto il copione perché il suo personaggio, che è testimone dell’evoluzione di André, diventa più interessante se anche lui, ad ogni nuova scena, si interroga sulle ragioni dei cambiamenti di André. Penso che il fatto che non conoscesse la sceneggiatura l’abbia aiutato molto a capire fino in fondo il suo ruolo: la fame giustifica i mezzi!

H come Hommage (Omaggio a) (Dopo una lunga e ponderata riflessione) Non penso che questo film contenga degli omaggi a qualcuno, o se ci sono, sono del tutto inconsapevoli e involontari. Quanto a Parigi, si tratta di una dichiarazione d’amore più che di un omaggio. Mi addolorava il fatto che Parigi non venisse esaltata o messa in evidenza come si deve nel cinema francese di oggi mentre per me è la città più bella del mondo.

I come Immagine Le immagini del film alle quali avevo pensato dieci anni fa erano in bianco e nero e riguardavano essenzialmente i ponti di Parigi, più in particolare alcuni luoghi precisi di Parigi dai quali si vede l’infilata di quei ponti.

J come Jamel La prima volta che l’ho visto è stato su Canal +, e mi ha fatto morire dal ridere facendo una specie di riassunto di Titanic. Mi è venuto immediatamente in mente Zébulon, ho visto in lui un personaggio attraente, carico di fascino, di vita e di cicatrici, tutte cose che rendono un attore ancora più interessante. Successivamente, ci siamo incrociati diverse volte e ci siamo sempre piaciuti a vicenda. E poi a forza di girarci intorno mi sono accorto che era maturo per passare all’azione vale a dire per assumersi la responsabilità di essere il protagonista del mio

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film e spingersi fino in fondo nel portare allo scoperto i propri sentimenti. Per un regista, è una sfida elettrizzante: ti senti una specie di esploratore.

K come Kubrick Non amo tornare sugli stessi argomenti ed è per questo che ho sempre ammirato Stanley Kubrick o Milos Forman, che hanno sempre cambiato universo ad ogni film che hanno fatto. Come loro, anche io tento di conservare quel rigore che mi impone di non fare del cinema « alla Besson », di non dirigere un Nikita 2 o un Léon 2, cosa che mi hanno chiesto spesso. Inoltre, la cosa che mi ha sempre colpito in Kubrick, è l’osmosi che c’era tra il suo stile visivo e ciò che raccontava: il suo linguaggio visivo e grafico corrispondevano sempre con una perfezione matematica al soggetto affrontato. Anche aveva sempre idee, inquadrature o giochi di chiaroscuri che si adattavano perfettamente alle sue intenzioni e alla storia che raccontava. E tutto questo mi ha sempre spinto a far sì che il mio modo di girare fosse conforme alla storia raccontata.

L come Luce Era un elemento fondamentale poiché abbiamo girato tra luglio ed agosto – mesi nei quali a Parigi c’è molta meno gente – e ad orari piuttosto insoliti: in genere dalle 5 alle 10 del mattino e poi la sera. Tutti gli elementi del film sono stati provati prima in bianco e nero, con uno speciale trattamento della pellicola sicché il film è inguardabile a colori! Ma siamo sfuggiti alla colorazione….

M come Montaggio Considerata la grande quantità di prove che abbiamo fatto, abbiamo avuto il piacere di trovarci, al momento del montaggio, con due, tre o addirittura cinque « buone » per ogni singola scena. E questo ci ha permesso di non essere costretti a montare in campo/contro campo per recuperare una frase che era venuta particolarmente bene in una ripresa e meno in un’altra. Nel film ci sono tante scene nelle quali Jamel e Rie sono entrambi in campo, con degli autentici « momenti » da attori teatrali. E questo è possibile solo se si è provato a lungo prima dell’inizio delle riprese e se gli attori sono in grado di concentrarsi molto durante la lavorazione sul set. Oggi, dopo qualche anno di esperienza, mi accorgo che al momento del montaggio ci sono molti meno metri di pellicola che finiscono nel secchio della spazzatura. Direi che mentre giro, faccio una specie di pre-montaggio. Con questo film in particolare, quando ero sul set avevo già un’idea abbastanza chiara di quello che avrei tenuto, di quali erano le inquadrature che volevo, e via dicendo, mentre se ripenso ai miei primi film, quando arrivavo al montaggio, mi arrabbiavo sempre perché scoprivo che mancavano delle inquadrature ed ero costretto a tornare sul set per girarle. Oggi, non soltanto cose di questo tipo non succedono più, ma il montaggio procede comunque molto più rapidamente.

N come (bianco) e Nero I giornalisti diranno che il fatto che il mio primo e il mio ultimo film (in ordine cronologico) siano entrambi in bianco è nero è dettato da una scelta ben precisa, ma le cose non stanno

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affatto così. Nel film ci sono quattro personaggi principali: Angela, André, Parigi e il bianco e nero. Sono i quattro tempi di un poema e se togliamo uno di questi elementi, togliamo tutta la poesia al film.

O come Originale (Colonna sonora) Anja Garbarek l’ho scoperta da una piccola fotografia su un giornale. Io conoscevo suo padre, Jan Garbarek, il sassofonista che suonava con Keith Jarret negli anni 70-80 ed ero curioso di ascoltare la musica di sua figlia, che immaginavo fosse cresciuta tra Stanley Clarke e Miles Davis. E cosi ho comprato i suoi primi due album e li ho trovati magnifici perché ci ho ritrovato le vere radici del jazz unite ad una voce alla Björk, ma molto più dolce e poetica. E tutto questo è successo nel momento in cui avevo ritirato fuori le famose 15 pagine scritte 15 anni fa, e la sceneggiatura è stata scritta ascoltando i due dischi di Anja Garbarek. Direi quindi che sin dall’inizio la musica di Anja è stata legata alla storia del film e mano a mano che andavo avanti mi accorgevo che si trattava di un abbinamento fantastico. Inoltre in quel periodo il musicista con il quale lavoro sempre, Eric Serra, era già occupato con la colonna sonora di Arthur et les Minimoys e visto che sarebbe stato alquanto difficile per lui comporre due colonne sonore simultaneamente, per una volta l’ho tradito con Anja. Ciò detto, Jean Reno e Eric Serra hanno fatto diversi film senza di me, quindi non vedo perché per una volta io non possa fare un film senza di loro! E così Anja Garbarek ha composto la colonna sonora originale di Angel-A, che comprende anche dei brani dei suoi album precedenti che sono stati riarrangiati per il film.

P come Parigi Ho sempre adorato Parigi ma il lavoro fatto in occasione della Candidatura per le Olimpiadi mi ha costretto a concentrarmi maggiormente sulla città e questo mi ha ispirato molto. E’ stato come ritrovare la propria città madre! Per i miei primi film avevo trascorso moltissimo tempo nelle viscere della città (, Subway), e ora che sono cresciuto, mi sento finalmente alla sua altezza: possiamo ballare un valzer insieme …

Q come Qualità Per un film come questo, i due imperativi erano rigore e veridicità. Dovevamo essere onesti riguardo a ciò che dicevamo e a come lo dicevamo.

R come Rie Rasmüssen Potremmo anche dire « R » come « Rara » perché si tratta di un’autentica perla : non ho mai conosciuto una ragazza come lei, affettuosa, curiosa di tutto, dotata di un grande talento. Dipinge, disegna, fa fotografie e si occupa anche di regia….. Ovunque passi, semina sorrisi e buon umore. Il suo entusiasmo mi ha fatto un gran bene e mi ha dato la voglia di tornare a girare…..

S come Successo E’ sorprendente constatare che il successo di un film gli toglie per sempre l’etichetta di opera « personale». Quando Le Grand Bleu ha superato la soglia di 10 milioni di biglietti venduti, non è più stato considerato un film personale ma film per il grande pubblico, commerciale mentre è difficile per me immaginare un soggetto più personale di quello: ho scritto il film quando avevo 16 anni, erano in pochi a conoscere il mondo dell’apnea o il rapporto che si può avere con i delfini, senza contare che il film racconta la storia di un tizio che non si sente a suo agio sulla terra e che avrebbe preferito nascere in acqua!

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T come Thierry Arbogast Un vecchio e caro complice … Quello che mi piace di lui sono anche i film che gira senza di me! Infatti lavora molto negli Stati Uniti, in Russia, Inghilterra o Cina e forse sarà anche per questo che ogni volta che ci rincontriamo stiamo molto bene insieme perché abbiamo sempre delle cose nuove da condividere. Al tempo stesso, però, ci conosciamo talmente bene che tra di noi non ci sono mai perdite di tempo. Ci capiamo al volo, e non ci sono mai problemi di ego. Quando sono sul set, io devo necessariamente interessarmi di tutto e di tutti, compresa la posizione di un faretto o di un riflettore. Io parto sempre dal semplice principio che tutto mi riguarda visto che si tratta del mio film e questa è una cosa che Thierry ha sempre accettato con grande serenità a differenza di altri direttori della fotografia, soprattutto quelli che lavorano in pubblicità. Thierry è una persona che ama la collaborazione e la condivisione delle cose.

U come Ubiquità Per quanto riguarda alcuni compiti ben precisi, se sono convinto che ci sia qualcuno più bravo e più adatto di me, io delego tranquillamente. Ma se invece ho la sensazione che io potrei fare meglio di un altro, allora lo faccio. E’ una cosa normale e salutare credo, che non ha nulla a che vedere con la sete di potere; si tratta piuttosto di una ricerca di efficacia. A volte, a metà di un film mi capita di accorgermi che qualcuno sia più « capace » di me e di cedergli immediatamente il posto! Io parto dal presupposto che l’importante è raggiungere l’obiettivo, vale a dire fare il film nel miglior modo possibile, dopodiché chi fa che cosa non conta nulla. Inoltre, nella maggior parte dei casi si tratta di compiti che si succedono: c’è l’autore che scrive, il regista che prepara, il direttore del casting che si occupa delle prove, il produttore che mette bocca anche se, su questo film, il produttore ha lavorato molto poco perché il regista non lo stava troppo ad ascoltare….

V come Visione del film A partire da un determinato momento si dimentica il piacere puro della visione per occuparsi dei dettagli tecnici: un raccordo tra una scena e l’altra, la scelta di un suono….. Ci si dimentica che quella che scenderà in pista è una Ferrari, si continua a tenere la testa sotto il cofano, dentro al motore, si spostano pezzi senza porsi mai il problema dell’emozione o della felicità. Poi però si chiude il cofano per guardare la nostra opera correre con piacere.

W come Week-end Non so cosa sia !

X come categoria X (vietato ai minori) Il film non contiene scene d’amore vere e proprie. Oltre al fatto che sono tanti gli argomenti che mi piace affrontare, al tempo stesso non sono mai stato interessato né alla nudità né al sesso da mostrare attraverso i film. Per me si tratta di cose che hanno a che fare con la sfera dell’intimità, sono argomenti che vanno vissuti più che visti, e parlo sia dal punto di vista di un regista che da quello di uno spettatore. Per contro, tutto ciò che precede la scena in cui si finisce « a letto » è assolutamente geniale: la dichiarazione d’amore è una figura che si può ripetere all’infinito. L’incontro tra Giulietta e Romeo si può raccontare e vedere all’infinito mentre ad essere sinceri la scena in cui fanno l’amore non è che interessi poi tanto. Oppure deve essere alla maniera di Beinex in « 37.2 le matin » quando la ragazza dice «è la prima

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volta che ci guardiamo alla luce » dopo la scena d’amore che apre il film: in quel caso ha un senso, perché è funzionale alla storia.

C’è qualcos’altro da aggiungere ? No, tutto il resto è nel film …

Z come Zen ? Dopo il primo film avevo molta paura : temevo che non mi avrebbero fatto fare il secondo. E dopo il secondo film ero terrorizzato: temevo che non mi avrebbero lasciato fare il terzo. Dopo 25 anni di carriera, mi dico che se non ne farò un altro, non sarà poi la fine del mondo! Sono diventato necessariamente un po’ più zen e sono sempre meno sensibile al concetto di successo o di denaro. Dopo aver vissuto otto uscite, so che alla fine ciò che resta è la qualità del film: « Sono contento del risultato ? », « Ritengo di aver fatto il massimo? », « Che cosa resta del film a cinque anni di distanza ? » Sono queste le cose che contano, tutto il resto si dimentica, comprese le ansie, i timori per l’uscita nelle sale…. Dieci anni dopo, non resta nulla.

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LE PRIME VOLTE DI JAMEL DEBBOUZE

Scoperto dalla televisione, Jamel Debbouze, nuova star del one-man show, ha mosso i primi passi nel cinema nel 1998, con Zonzon e Le ciel, les oiseaux et .. ta mère ! Il favoloso mondo di Amélie e sorprattutto, Astérix e Obélix : missione Cleopatra di , confermando la sua popolarità e il suo talento in ruoli essenzialmente comici. Il 2005 segna una vera svolta nella sua carriera, con l’interpretazione di Indigènes (di Rachid Bouchareb) dedicato ai soldati «dimenticati» della seconda guerra mondiale, e Angel-A, suo primo film da protagonista.

Ci parli del suo primo incontro con Luc Besson. E’ stato in Normandia: lui aveva fatto naufragio su una spiaggia, io l’ho soccorso e riportato alla vita. E lui, in segno di ringraziamento, mi ha proposto di interpretare il suo prossimo film. Da allora non ci siamo più lasciati!

La prima volta che avete parlato del film? E’ stato a Cannes : mi ha detto «mi piace molto quello che fai » ed io gli ho risposto « mi piace molto quello che fai ». E lui ha aggiunto: « cerchiamo di fare qualcosa insieme, un qualcosa che ci piaccia quanto guardare i nostri rispettivi lavori ». In seguito, ci siamo incrociati varie volte, visto che abbiamo diversi amici in comune, e poi un bel giorno, mi è venuto a trovare con la sceneggiatura di Angel-A e mi ha detto: «Non ho certo la pretesa di conoscerti ma credo di aver scritto una cosa che potrebbe piacerti ».

La sua prima reazione? Mi è sembrata una mossa estremamente generosa. Ho avuto la sensazione che lo avesse scritto per me e stranamente mi aveva inquadrato alla perfezione. So esattamente a cosa ha pensato quando ha scritto la sceneggiatura e so anche dove ha voluto portarmi prendendo in considerazione tutto quello che esitavo a fare, tutto quello che volevo fare e quello che rifiutavo totalmente.

Ci parli del primo giorno di riprese. Ho fatto due cose che in genere non faccio mai. Innanzitutto sono arrivato in orario, vale a dire alle 5 del mattino, da un lato perché volevo fare colpo e dall’altro perché non avevo scelta: dovevo conoscere il testo alla perfezione per non perdere tempo ed essere assolutamente in linea con quello che voleva Luc. Ma soprattutto, gli ho concesso tutta la mia fiducia, cosa che capita molto raramente. Mi è capitato troppo spesso di essere preso in giro; ho sentito troppe promesse non mantenute da essere ormai spesso sulla difensiva. Ma davanti ad una persona che sembrava così sicura di sé, non ho avuto alcun dubbio e mi sono fidato.

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Anche per la prima scena spericolata? E’ stato necessario, visto che ha voluto che mi gettassi nel vuoto da un ponte! In questi casi bisogna avere fiducia … e una bella polizza assicurativa! Ciò detto, Luc è stato sempre lì per rassicurarmi, tranquillizzarmi. E’ questa una delle sue caratteristiche che più apprezzo: ha molto a cuore lo stato d’animo dei suoi attori.

La prima sorpresa? La cosa strana è che in alcuni momenti, Luc ha lavorato a questo film come se stesse realizzando un cortometraggio: ci siamo ritrovati in sette o otto in un furgoncino, lui con la macchina da presa sulla spalla, girando per Parigi per trovare un angolo che gli piacesse e dove eravamo costretti a girare in fretta e furia. Credo che con questo film, sia tornato a provare le sensazioni che provava agli inizi della carriera; infatti mi ha detto che a volte ha pensato a Dernier Combat.

La prima scena girata? Nella maggior parte dei casi girava le scene due volte e anche se la prima poteva essere buona, ne girava sempre un’altra per sicurezza. Solo un giorno in cui eravamo particolarmente stanchi, abbiamo dovuto ripetere una scena parecchie volte, ma era una giornata fiacca per tutti!

Il primo incontro con Rie Rasmussen? Tutto quello che posso dirvi è che ci siamo incontrati nella stanza n° 110 di un albergo ma tralascerò i dettagli!

Primo incontro con Gilbert Melki ? Sempre la camera 110 ma non nello stesso momento….

Primo incontro con la fedele troupe di Besson? Il primo giorno mi sono sentito leggermente estraneo, «non inserito » in quella setta formata da persone come Thierry Arbogast, Jean-Pierre Mas… Si conoscono talmente bene che non hanno neanche bisogno di parlare, funzionano per automatismi. E questo è piacevole e impressionante al tempo stesso, perché lavorano molto rapidamente. Infatti, se c’è una cosa che posso dire con assoluta certezza è che su questo set non abbiamo mai perso tempo!

La prima volta che il Jamel « comico » ha ripreso il sopravvento? Solo all’ultimo giorno, alla festa per la fine delle riprese. Prima di allora ho resistito e sono rimasto molto concentrato perché non volevo sciupare questa grande e magnifica occasione. Nel mio mestiere, ci sono tanti falsi ma Luc non appartiene a quel mondo. Lui non se ne è fregato di me ed io ci tenevo molto a fare la stessa cosa.

La prima notte senza André ? Ero ancora con André: è da poco che l’ho abbandonato.

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Le prime immagini del film che ha visto? L’ultimo giorno di riprese, Luc ci aveva preparato un piccolo montaggio assolutamente rudimentale ma che dava l’idea di quello che sarebbe stato il film finito. Sono estremamente fiero di aver interpretato questo film che mi ha permesso di lavorare su alcune cose di me stesso che non conoscevo e che Luc ha saputo mettere in evidenza. Mi ha condotto verso una mia musica che non avevo mai sentito.

La prima volta che ha ascoltato la colonna sonora del film? Ho avuto la stessa sensazione che proverebbe qualcuno che non ama il rap ascoltando un brano di Dr Dre: non può non piacerti, e non puoi farci niente. Non puoi non amare Chronic de Dre, a meno che tu non sia un cretino o una persona del tutto priva di sensibilità. Ed è quello che ho provato ascoltando la colonna sonora di questo film: stavo ascoltano della musica magnifica.

Il primo incontro con il suo angelo? Si è chinato sulla mia culla per porgermi il primo biberon. E’ il mio angelo che mi ha dato la forza e la voglia di fare questo mestiere, di realizzarmi in questa maniera. Sto parlando di mia madre ….

Il primo film di Luc Besson che ha visto? Nikita, un film che ho adorato perché era un mix di tutto quello che amavo degli americani e di tutto quello che adoravo dei Francesi: una bella storia, con intenzioni serie e una regia pura, con scena d’azione intelligenti, cosicché ogni singolo proiettile sparato aveva un senso. Se c’è una cosa che Luc sa fare magistralmente e che mi colpisce molto è che riesce sempre a mettersi al livello delle persone che vuole raggiungere con il suo film. E’ un’autentica virtù: si sente che è sincero e quando guardi i suoi film, ti emozioni veramente.

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CHI SEI VERAMENTE RIE RASMUSSEN ?

Sconosciuta al grande pubblico, Rie Rasmussen non è affatto una debuttante in campo cinematografico: sceneggiatrice e regista, il suo primo cortometraggio, Thinning the Herd, è stato selezionato per il Festival di Cannes 2004. Dopo una partecipazione in Femme Fatale di Brian de Palma, ha ottenuto il suo primo ruolo da protagonista con Angel-A.

Da dove vieni? Sono nata in Danimarca ma ho trascorso tutta l’adolescenza in California del Sud. E poiché ho vissuto anche in altri Paesi, come la Francia, l’Inghilterra, mi sento piuttosto cosmopolita : ho scelto di farmi una cultura prendendo il meglio da ogni paese!

Che cosa fai quando non reciti? In realtà, la mia aspirazione principale è fare la sceneggiatrice e la regista ! Molti spettatori scelgono i film in base agli attori; per me invece, quello che conta è il regista. La cosa che amo di questo mestiere è innanzitutto raccontare delle storie. Non capisco i registi che non scrivono le sceneggiature… per non parlare degli attori che vincono premi per aver recitato una battuta che non hanno scritto!

Qual è il cinema che ami di più ? Guardo i film da quando sono stata in grado di accendere la televisione di casa da sola ! Ho un ricordo chiaro e preciso del primo film che mi ha colpita quando ero piccola: era La Dolce Vita di Fellini. In Danimarca sono cresciuta con i film della Dogma – ma parlo di quelli dei registi sconosciuti, molto prima che diventasse un concetto così conosciuto e pubblicizzato. Quando ho scoperto il cinema americano, ho sviluppato una passione per il genere noir : Il grande sonno; Il mistero del falco, L’isola di corallo … sono alcuni dei miei film preferiti. Senza dimenticare Il mucchio selvaggio, di Sam Peckinpah e il suo straordinario uso del rallentatore! E poi mio padre mi ha trasmesso il suo amore per Sergio Leone, Woody Allen e Clint Eastwood.

Come hai conosciuto Luc Besson? Attraverso il programma sui cortometraggi della sua società, la Europa Corp. Avevo scritto una sceneggiatura per un lungometraggio e l’avevo spedita alla Europa Corp. Loro mi hanno contattata e mi hanno consigliato di scrivere un cortometraggio che ho poi realizzato con il loro aiuto e che è stato scelto per il Festival di Cannes.

Conoscevi già i film di Luc Besson ? Immagine per immagine, inquadratura per inquadratura! E’ uno dei miei registi preferiti, e lo metto accanto a Orson Welles, John Huston, Howard Hawkes, Sam Peckinpah, Bob Fosse o Brian de Palma … Le Grand Bleu è stato uno dei primi film che ho comprato in cassetta: l’ho scoperto quando ero in Danimarca e tutta la mia famiglia è impazzita per quel film! E poi sono perdutamente innamorata di Nikita, nella fattispecie della luce del film.

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Sarai stata contenta di lavorare con Thierry Arbogast? E’ stato fantastico. L’avevo conosciuto sul set di Femme Fatale, di Brian de Palma, nel quale avevo una piccola parte, e non smettevo mai di girargli intorno. Poiché ho cominciato proprio dalla fotografia, e considerato che mia madre mi ha trasmesso la passione per la pittura, ero e resto molto sensibile alla luce e al suo uso. E’ un elemento assolutamente essenziale per me.

In che modo Luc Besson ti ha parlato del film e del personaggio di Angela ? Me ne ha parlato non appena ha finito la sceneggiatura ed è tutto quello che posso dirti. E ti dico anche che ho pianto leggendo il copione… e non sono certo una dalla lacrima facile.

Ti senti vicina al tuo personaggio? Non si può certo dire che mi somigli ma posso dire che mi sento sicuramente vicina a ciò che Luc ha voluto rappresentare con lei: una donna ideale, un personaggio che cerca solo di fare del bene.

Cosa ricordi in particolare del primo incontro con Jamel? Ancor prima di conoscerlo, nutrivo un profondo rispetto per le sue radici e la sua cultura: essendo nordica, sono molto sensibile al tema della libertà. Si tratta di un messaggio essenziale che dobbiamo trasmettere a tutti. Successivamente, ho affittato i suoi DVD e sono diventata una sua ammiratrice: quando l’ho finalmente conosciuto di persona, non ho potuto fare a meno di ripetergli tante delle sue battute. E quando abbiamo cominciato a provare, tra di noi è scattata una grande intesa…

Grazie a questo film, hai conosciuto una Parigi diversa? La conoscevo già piuttosto bene, anche alle 4 del mattino, poiché ci vengo regolarmente da circa dieci anni a questa parte. Per contro, ho avuto la netta sensazione di partecipare ad un qualcosa di storico, un film che può essere collocato accanto a Fino all’ultimo respiro e Bande à part : secondo me, Parigi andrebbe ripresa solo in bianco e nero.

Come regista, cosa hai imparato da Luc Besson ? Ho imparato soprattutto una cosa: bisogna conoscere il lavoro di tutti, e meglio di tutti per potere essere in grado di delegare. Sul set Luc sa fare tutto ed è fantastico vederlo lavorare.

Hai degli altri progetti con lui ? Non lo so e francamente non mi importa : anche se dovessi morire domani, morirei felice… Sono talmente fiera di aver fatto questo film che tutto quello che seguirà sarà semplicemente la ciliegina sulla torta! Angel-A non somiglia a nessun altro film. Ve ne accorgerete!

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GILBERT MELKI SU UN TERRENO SCONOSCIUTO

Scoperto dal grande pubblico con il film La Vérité si je mens di Thomas Gilou, Gilbert Melki ha dato prova del suo talento interpretando tra gli altri il ruolo del poliziotto sensibile nella trilogia realizzata da Lucas Belvaux : Un couple épatant, Cavale e Après la vie. Seduttore in Sciampiste & Co. o Regine per un giorno, di recente è tornato alla commedia con Coquillages et crustacés e Palais-Royal. Angel-A è la sua prima collaborazione con Luc Besson.

Cosa può dirci del suo film e del suo personaggio ? In realtà non molto visto che non ho letto la sceneggiatura e non conosco tutta la storia, a parte le scene che ho girato. Per farvi un esempio, non so come finisce il film! Quando mi ha proposto di interpretare il ruolo di Franck, una specie di capobanda sempre circondato da guardie del corpo, Luc mi ha dato da leggere solo le « mie » sequenze, vale a dire tre scene interpretate insieme a Jamel, nelle quali assistiamo all’evoluzione di André.

Non è stato destabilizzante girare senza aver letto tutta la sceneggiatura? No, è andata molto meglio di quanto avessi immaginato o temuto. E’ tutta una questione di fiducia. La prima volta che Luc mi ha parlato del film, mi ha posto la questione in questi termini: « fidati di me : se mi dici di si, ti faccio leggere le tue scene ». In ogni caso, prima di dare la risposta definitiva ho voluto leggere qualche pagina e poi mi sono concesso un po’ di tempo per pensarci su, ne ho parlato con qualcuno – e tutti coloro ai quali l’ho detto erano naturalmente entusiasti - e poi ho detto si!

Che cosa l’ha spinta ad accettare il ruolo di Franck? La voglia di fare un film con Luc Besson, un regista che anche quando ha a disposizione grossi mezzi, continua a restare la stessa persona e a lavorare allo stesso modo. Avevo un ricordo meraviglioso e tenero di Subway ed ero curioso di vedere come si lavorava ad un film diretto da Luc. Inoltre, avevo il desiderio di lavorare con Jamel che conosco da tanti anni e con il quale vado molto d’accordo.

Tutti sanno che Luc Besson è molto fedele alla sua troupe: dal suo punto di vista di attore, tutto questo facilita il lavoro, creando un’atmosfera di maggiore fiducia e rilassatezza, soprattutto quando si gira solo per pochi giorni? Il fatto che si conoscessero già tutti non mi ha affatto destabilizzato! Bisogna anche premettere che avevo già lavorato con Thierry Arbogast e che conoscevo altri membri della troupe. Devo confessare che non mi sono mai posto problemi di questo tipo, ma ho affrontato questo film come un’esperienza nel vero senso della parola.

Si ha la sensazione che lei si diverta molto a cambiare genere e registro? Esatto, anzi è proprio questo l’aspetto che più mi appassiona del mio mestiere anche se ritengo che Luc avesse amato particolarmente il mio ruolo in La Vérité si je mens e infatti il personaggio di Franck ha un non so ché del mascalzone!

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IL BIANCO E NERO DI THIERRY ARBOGAST

Direttore della fotografia di grande fama e talento, Thierry Arbogast ha vinto tre volte il César per la migliore fotografia con i film Bon Voyage e L’Ussaro sul tetto, entrambi diretti da Jean-Paul Rappeneau, e per Il quinto elemento di Luc Besson. Quindici anni dopo la loro prima collaborazione per Nikita, i due uomini festeggiano con Angel-A, il loro quinto film insieme.

Quale è la particolarità della sua collaborazione con Luc Besson: avete bisogno di poche parole per capirvi?

Più o meno è così; Luc prepara molto bene il film che ha in testa ma poi economizza al massimo le informazioni che trasmette agli altri…. E credo che chi parla poco, vada subito all’essenziale. Prima delle riprese, abbiamo parlato tre quarti d’ora da soli cercando di delineare gli orientamenti generali relativi alla fotografia. Abbiamo naturalmente parlato del bianco e nero e di Manhattan di Woody Allen, che secondo Luc era un ottimo riferimento. Ed era infatti un riferimento calzante visto che Gordon Willis, direttore della fotografia di quel film è uno dei miei preferiti, insieme a Vittorio Storaro (Apocalypse Now). Inoltre Luc mi aveva portato qualche fotografia che avrebbe potuto mettermi sulla strada giusta. E per finire, abbiamo parlato delle condizioni di lavoro durante le riprese: una lavorazione rapida, con una troupe ridotta al minimo e attività concentrata soprattutto nelle primissime ore del mattino per riprendere Parigi. Luc mi aveva premesso che il film sarebbe stato girato in maniera molto semplice ed infatti è stato così, anche se il risultato è invece molto sofisticato!

Che cosa ha apprezzato di più nel lavorare sul bianco e nero?

Il bianco e nero, che oggi è usato molto poco al cinema, ha lo straordinario potere di rendere il film più poetico. Semplifica le immagini e restituisce agli attori la bellezza pura della recitazione. Nulla interviene a distrarci dall’immagine e la luce passa in primo piano. Di conseguenza, direi che si tratta di un autentico regalo per un direttore della fotografia. In gioventù, ho fatto molte scoperte su questo mestiere facendo dei ritratti in bianco e nero ai miei compagni di classe. Si impara molto con le fotografie in bianco e nero, perché c’è un rapporto più diretto con i contrasti e la luce.

Quali sono le principali difficoltà del bianco e nero? Quali sono stati i suoi riferimenti?

Bisogna prestare un’attenzione particolare ai raccordi di contrasto all’interno di una stessa scena, il che non impedisce di alternare anche sequenze con forti contrasti; per esempio alternare una sequenza con un personaggio di cui si vedono praticamente solo i contorni con una sequenza molto più dolce. Per quanto riguarda i riferimenti, i film in bianco e nero che preferisco sono il già menzionato Manhattan, e Dottor Stranamore, che è un

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film totalmente diverso dal precedente. In entrambi i casi, i registi avevano la possibilità di girare a colori ma hanno preferito il bianco e nero. Per quanto riguarda il cinema francese, direi La Maman et la putain di Jean Eustache.

Il fatto di girare in bianco e nero che effetti ha sulle scenografie e i costumi che sono naturalmente colorati ?

Quando si gira in studio, l’ideale è avere scenografie e costumi in bianco e nero perché questo aiuta a concentrasi sulla resa dell’immagine mentre alcuni colori riservano delle sorprese perché possono cambiare a seconda della luce. Per contro, per quanto riguarda il negativo, ho scelto la pellicola a colori perché la pellicola in bianco e nero non ha fatto molti passi avanti negli ultimi 40 anni. La pellicola a colori ci ha permesso di avere poca grana e molti dettagli con luci alte e basse. E poiché desideravo un bianco e nero serico, ho giocato con i contrasti delle luci piuttosto che con quelli della pellicole.

Il film è stato avvolto dal segreto più totale: che cosa sapeva lei esattamente del progetto quando sono iniziate le riprese?

Luc ha pensato che lo scenografo e gli altri tecnici, tra i quali c’ero anch’io, non avessero bisogno di leggere tutta la sceneggiatura perché voleva evitare che ci facessimo delle idee troppo precise sull’aspetto del film. Quando leggi una sceneggiatura, hai immediatamente la tendenza a sognare, a immaginare il film mentre lui voleva che al momento di iniziare le riprese avessimo uno sguardo per così dire “vergine”, aperto all’interpretazione estetica. Tuttavia, mi aveva fatto vedere le scenografie affinché potessi disporre di tutte le indicazioni tecniche necessarie ma devo confessare che questo approccio mi è piaciuto molto. Non sono un grande fan della lettura della sceneggiatura, lo trovo un esercizio un po’ ingrato.

Ricorda una scena particolarmente difficile da girare?

Se devo essere sincero, no. Luc aveva ragione quando diceva che si sarebbe trattato di un lavoro molto semplice. La sua maniera di integrare luci e scenografie ha reso le riprese molto semplici, e per lui si tratta di una specie di dogma. Per contro, sono stato piuttosto sorpreso nel vederlo affrontare per la prima volta il piano sequenza. In genere, fa più stacchi.

Come ha lavorato per illuminare i monumenti di Parigi ?

Non ho dovuto illuminarli affatto, perché sono già illuminati dalla luce del cosmo, dal cielo, dal sole, dalle nuvole…. Ci siamo accontentati di alzarci molto presto la mattina per catturare quelle bellissime immagini di Parigi.

Quale è il ricordo più bello delle riprese di questo film ?

Ritrovarci tutti una domenica mattina, alle 4, per riprendere Parigi alle prime luci dell’alba. Sono ricordi molto forti: vedere Parigi senz’auto, immersa in un’atmosfera quasi irreale. Ed è lo stesso tipo di atmosfera che caratterizza il film…

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