Caraffa Di Catanzaro Gharrafa E Katanxaros

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Caraffa Di Catanzaro Gharrafa E Katanxaros CARAFFA DI CATANZARO GHARRAFA E KATANXAROS Panorama di Caraffa Caraffa/Gharrafa (abitanti 3.000 circa, Caraffoti) è situata nel punto più stretto dell’istmo di Catanzaro, tra il golfo di Squillace e quello di S. Eufemia, posta su un altipiano da cui si possono ammirare i due Mari, lo Ionio ed il Tirreno. Il Paese, ubicato a 356 m. sul livello del mare ha un clima mite; il sito è però spesso ventilato per mancanza di montagne vicine che lo riparano. Confina con i comuni di Catanzaro, Settingiano, S. Floro e Maida. E’ collegata al Capoluogo, lontano appena 18 Km, da una strada provinciale che si congiunge alla Statale dei Due Mari, dista 35 Km dall’aeroporto e dalla stazione di Lamezia Terme. Il panorama di Caraffa è sovrastato dall’antenna dell’ex stazione meteorologica, attuale punto di riferimento per la navigazione aerea. L’economia si regge sul commercio, sull’agricoltura e sul terziario. Nel paese è in attività una delle prime cooperative calabresi, che opera nel campo della produzione e trasformazione dell’olio d’oliva Lo stemma comunale è contraddistinto dall’aquila bicipite, vessillo presente in tutti i gonfaloni dei paesi italo-albanesi e nella stessa Albania denominata, infatti, terra delle aquile. Accostato allo stemma tradizionale del comune, un emblema, segno rappresentativo della memoria storica del paese, il logo riproducente l’aquila bicipite, è caratterizzata, nella parte destra, da una stilizzata figura femminile in costume tradizionale piegata a forma di C (iniziale di Caraffa) che completa il corpo dell’aquila, la singolare fusione delle forme, contorna lo scudo gentilizio della famiglia dei Caraffa, egida caratterizzata dal rosso e bianco divenuti colori sociali del comune. 3- NOTIZIE STORICHE La storia dell’Albania si intreccia indissolubilmente con quella del Regno delle Due Sicilie prima e con il meridione d’Italia poi, per cui da oltre 6 secoli lo stretto di Otranto rappresenta uno specchio di mare facilmente percorribile dalle ondate migratorie provenienti dalla sponda orientale dello Jonio. Singole e spontanee migrazioni probabilmente dovute a disgrazie o terremoti, che hanno funestato la “Terra delle aquile”, si sono avute fin dagli inizi del 1200 quando, soprattutto in Puglia, gli archivisti registrano matrimoni di persone con cognome inconfondibilmente albanese accompagnato dall’appellativo "graecus". I primi significativi trasferimenti riguardano la Calabria del periodo Angioino, in particolare dal 1399 al 1409 quando, esplose le rivolte intraprese dai feudatari contro il governo centrale, i soldati albanesi si mettono al soldo dell’una o dell’altra fazione in lotta. Ma una consistente ondata migratoria si verificò al tempo di Alfonso V d'Aragona, (Alfonso I di Napoli) detto il Magnanimo, che dal 1416 al 1446 si avvalse di tre truppe albanesi, guidate da Demetrio Reres e dai figli Giorgio e Basilio per contrastare le rivolte dei Baroni locali. Per le ottime prestazioni rese, Demetrio fu nominato perfino governatore della Calabria Ulteriore, mentre il suo seguito fondava paesi (Arietta, Caraffa, Gizzeria, Carfizzi Amato, Andali, Vena di Maida, Zangarona, Marcedusa, Pallagorio, S. Nicola dell'Alto) nell'area intorno Catanzaro. Le truppe dei figli di Reres, Giorgio e Basilio si stanziarono in Sicilia e, seguite in un secondo tempo dalle proprie famiglie, ripopolarono e fondarono tra 1480 e il 1500 i paesi di Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, S. Cristina Gela, Palazzo Adriano, Mezzoiuso. Morto Alfonso d'Aragona, il figlio Ferdinando I, salito al trono, si trovò subito in seria difficoltà perché anch’egli minacciato dai baroni locali capeggiati dal principe Orsini di Taranto , per cui chiese aiuto all’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota "Skanderbeg", soprannome attribuito al condottiero in memoria di Alessandro Magno ("iskander beg"). Skanderbeg principe di Kroia, già vincitore sui turchi nel 1443, dimostrò la sua abilità militare sconfiggendo nel 1461 i baroni ribelli e ricevendo in premio il Gargano, Trani e S.Giovanni Rotondo. Fin qui si comprende come i servigi dei soldati albanesi fossero stati utilissimi per i regnanti aragonesi e per la storia della Calabria e del Regno delle due Sicilie; dobbiamo considerare che nel contempo la stessa Albania era minacciata dall’esercito turco, fieramente contrastato dall’eroe Skanderbeg. Le speranze di poter mantenere l’indipendenza albanese si infransero con la sua morte (1468), che costrinse un gruppo di albanesi, guidati dal figlio Giovanni Castriota, a sbarcare in Italia, più precisamente nell’area geografica del Pollino, e di insediarsi nei paesi calabresi di Acquaformosa, Lungro, Firmo, S. Basile, Frascineto, S. Sofia d'Epiro, Rota Greca, S. Benedetto Ullano, Vaccarizzo, S. Giorgio Albanese, Spezzano, Eianina, Civita,e Plàtaci e nei paesi lucani di S. Costantino e S. Paolo Albanese. Il matrimonio tra il principe Pietro Antonio Sanseverino di Bisignano e Irene Castriota (nipote di Skanderbeg) e la definitiva disfatta albanese da parte dei turchi (caduta di Kroia) favorirono la migrazione in ondate successive e nell’attuale provincia di Cosenza di altre famiglie albanesi, le quali fondarono le comunità di S. Demetrio Corone, Macchia, S. Cosmo Albanese. Nel 1534, con la caduta di Corone in Morea un’ondata di profughi sqipetari (albanesi) sbarca in Italia popolando i centri pugliesi di Maschito Melfi, Brindisi di Montagna, Greci; e quello calabrese di Castroregio. La stessa colonia fondò o ripopolò nel 1580 circa i paesi di Barile e Ginestra in Lucania, Marri e S. Benedetto Ullano in Calabria. Bisogna attendere il 1744, sotto il dominio di Carlo III di Borbone, per ritrovare l’ennesima migrazione, dovuta a profughi provenienti dall’Albania meridionale, dalla regione di Chimara e rifugiatesi a Villa Badessa in Abruzzo. Dalla storia brevemente raccontata si evince che numerosissime furono le migrazioni albanesi in Italia e diverse le motivazioni che le favorirono. E’ inoltre difficile ricostruire le cronologie dei trasferimenti e le date di fondazione dei vari paesi, sia per la rarità dei documenti ufficiali, sia perché gli stessi atti potevano essere traslati negli anni quando ormai la comunità albanese si era già da tempo costituita, sia infine perché le famiglie seguirono i soldati dopo un certo periodo. Gli studiosi hanno inoltre datato le varie migrazioni fino ai nostri giorni ricavandone da 5 a 9 migrazioni. Una periodizzazione degli insediamenti è d’altronde importante per definire differenze antropologiche, linguistiche, etniche e culturali tra i vari paesi arberesh (italo-albanesi), sia per l’epoca di fondazione, sia per il ceto sociale, sia infine per la provenienza del flusso migratorio, per cui non è inconsueto trovare in paesi contigui differenti fogge del costume tradizionale e le due varianti linguistiche dell'antica Albania, il ghego (Albania del Nord) e il tosco (Albania del Sud). E’ utile soffermarsi sulla dislocazione geografica dei paesi fondati durante la reggenza di Alfonso I d’Aragona, durante il quale vi furono i primi insediamenti albanesi che favorirono le successive ondate Egli, infatti, non poteva permettersi di sguarnire i propri territori dalle guarnigioni albanesi grazie alle quali aveva sconfitto i baroni, capeggiati dal Centelles, il quale dominava il territorio Crotonese ed insediato a più riprese la città di Catanzaro, fedele al re. Il controllo del territorio fu quindi garantito dalla donazione di alcuni territori su cui gli albanesi stessi, edificarono delle postazioni di pronto intervento dislocate lungo la dorsale collinare che dal territorio Crotonese, (Carfizzi, Pallagorio, S. Nicola dell'Alto, Arietta di Petronà, Andali, Marcedusa), attraverso il Catanzarese (Caraffa, Vena di Maida) finisce nel golfo di Lamezia (Amato, Zangarona, Gizzeria). Questi stessi presídi diventarono, nel corso del tempo, dei veri e propri centri abitati quando anche le donne e le famiglie si ricongiunsero ai soldati, trasportando con loro i preziosi costumi, gli usi, la lingua e. la religione. CARAFFA DI CATANZAZRO GARRAFA E KATANXAROS Caraffa di Catanzaro, paese abëreshë (italo-albanese), fu fondata tra il 1400/1450 da milizie Shqipetare, venuti al seguito di Demetrio Reres e dei due figli Basilio e Giorgio dall’altra sponda dello Ionio in aiuto al Re di Napoli Alfonso D’Aragona per reprimere delle rivolte di baroni avversi al potere centrista della monarchia durante il quale vi furono i primi insediamenti albanesi che favorirono le successive ondate. Questi stessi presídi, dapprima militari, diventarono successivamente dei veri e propri villaggi quando anche le donne e le famiglie si unirono ai soldati conservando la lingua, riproponendo gli usi, trasportando con loro i preziosi costumi, ma persero da subito la propria religione di rito greco-ortodosso. Caraffa fa parte di questi primi insediamenti albanesi, il nome ripete quello gentilizio della Famiglia Carafa, Duchi di Nocera, cui gli ospiti albanesi, in segno di gratitudine per la concessione dei terreni, ne consacrarono il villaggio per tempo immemore. Ancora oggi a Caraffa si parla un antico dialetto albanese, conservato solo per trasmissione orale, che mantiene molti punti di contatto con le parlate tosche dell’Albania meridionale oggi lingua ufficiale della terra delle aquile. Il dialetto del nord è, invece, il ghego, da cui, forse per estensione è nato il termine gjegj con cui sono denominati gli Italo-Albanesi i quali chiamano se stessi ARBËRESHË. Dapprima ubicata in un diverso sito e organizzata in piccoli insediamenti posti alle porte dell’attuale centro abitato,
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