L'acna Di Cengio Insediamento E Rapida Espansione
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L’Acna di Cengio di Pier Paolo Poggio Insediamento e rapida espansione L’atto di nascita della fabbrica si può far risalire alla autorizzazione per l’insediamento di un dinamitificio in Comune di Cengio (SV), località Ponzano, il 26 marzo 1882. Lo stabilimento di Cengio, con il nome Dinamitificio Barbieri, assieme a quello della “Dinamite Nobel” in funzione ad Avigliana (TO) dal 1873, è tra le prime fabbriche private italiane a sfruttare i brevetti dello scienziato svedese.. La fabbrica di Cengio assume dal 1891 il nome di Sipe (Società italiana prodotti esplodenti), e conosce un forte sviluppo, specie coi primi anni del nuovo secolo. A capo dell’azienda c’è l’ing. Ferdinando Quartieri, personaggio cruciale della chimica italiana dell’epoca, mentre direttore dello stabilimento è Luigi Magrini, coadiuvati da uno stuolo di chimici e ingegneri. Accanto al piccolo villaggio di Cengio sorge una città-fabbrica1. Nel 1908 vengono installati impianti per la produzione di 14.000 kg al giorno di acido nitrico, 13.000 di oleum (acido solforico fumante) e 2.500 di trinitrotoluene (tritolo); l’azienda di Cengio occupa già un’area di mezzo milione di mq. Nel 1912 a Cengio si producono 750 tonnellate di dinamite. L’espansione è legata alla crescita della domanda, a sua volta sollecitata dalla politica coloniale, in particolare dalla campagna di Libia. Ma è il primo conflitto mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia che determinano un’ enorme espansione degli stabilimenti della Sipe in Alta Valle Bormida: nel 1918 vi lavorano 6.000 operai e un centinaio di chimici e ingegneri in dieci impianti di acido solforico concentrato, tre impianti di acido nitrico, una fabbrica di fenolo, una di binitronaftalina, una di tritolo, una di acido picrico, una di balistite, una di nitrocotone. La produzione raggiunge le 100 tonnellate di esplosivi al giorno. In questi anni la Sipe è il punto di riferimento per altre industrie chimiche italiane, come la Sbic di Seriate (Bg), fondata nel 1905 per produrre lacche e coloranti, convertitasi alla produzione bellica fornisce alla fabbrica di Cengio nitrobenzolo, anilina e difenilammina. La crescita occupazionale avviene attraverso un ampio reclutamento di forza- lavoro di origine contadina, sia in territorio ligure che nelle Langhe e in Valle Bormida. Lo sforzo produttivo del periodo di guerra si concretizza in un forte aumento dell’impatto sul fiume Bormida, che già in quest’epoca diventa giallo. Nel 1916 dal solo impianto di acido picrico (trinitrofenolo) si scaricano giornalmente nel fiume dai 10 ai 50 metri cubi di acque di lavorazione, con un inquinamento che si estende di almeno 70 chilometri a valle della fabbrica. Nel primo dopoguerra gli impianti della Sipe vengono convertiti alla produzione di coloranti e intermedi. In realtà, lo stabilimento di Cengio continuerà a produrre anche 1 Cfr. E. Molinari e F. Quartieri, Notices sur les Explosifs en Italie, SIPE-Hoepli, Milan, MCMXIII, pp. 269- 71. 1 esplosivi: nel 1929 brevetterà un nuovo esplosivo del gruppo della pentrite, il tetranitrato di pentaeritrite. Il settore dei colori artificiali sino alla guerra era stato dominato dall’industria tedesca. Il fabbisogno di coloranti, in primo luogo per l’industria tessile, era soddisfatto da importazioni dalla Germania, la quale occupava un posto di preminenza anche a livello mondiale. La Sipe e le poche altre fabbriche italiane del settore «producevano principalmente prodotti intermedi a base di catrame, utilizzabili per la preparazione tanto di esplosivi quanto di colori sintetici. Non sussistendo [...] particolari problemi di riconversione, già nel 1918 il settore poté avviare le prime produzioni nazionali di materiali coloranti. A difesa di questo tessuto produttivo venne poi eretta la tariffa del 1921. Da allora una protezione di circa il 35-45% del prezzo dei colori di sintesi avrebbe dovuto impedire il rinnovarsi del predominio dei prodotti tedeschi sul mercato italiano»2. Succede quindi che in Italia un ramo fondamentale dell’industria chimica viene tenuto a battesimo dalla chimica di guerra e vive sulle commesse militari. In questo passaggio gli stabilimenti di Cengio giocarono un ruolo cruciale: «in Italia l’industria dei colori organici derivò da quella degli esplosivi a seguito del processo post-bellico di riconversione degli impianti Sipe»3. Negli anni Venti lo stabilimento di Cengio produceva ogni giorno 70 t. di acido nitrico concentrato; 16 t. di fenolo; 200 t. di acido solforico; 100 t. di balistite, acido picrico, trinitro-toluolo (tritolo), nitro naftalina, schneiderite, polvere senza fumo alla nitroglicerina, oltre a intermedi organici industriali. Intermedi e coloranti erano ottenuti per sintesi con le stesse materie prime (benzolo, toluolo, fenolo, naftalina, etc.) e con le stesse operazioni usate per gli esplosivi: nitrazione, solfonazione, riduzione dei nitroderivati ad ammine, clorurazione delle molecole organiche, fusione alcalina, etc. L’espansione produttiva fu particolarmente rapida, sfruttando la facilità della riconversione e la momentanea difficoltà dell’industria tedesca; sorta dal nulla, l’industria italiana di coloranti e intermedi si attestava nel 1926 al sesto posto a livello mondiale e copriva quasi tutto il mercato interno. La Sipe andò però incontro ad una crisi di sovrapproduzione, venne messe in liquidazione per poi passare all’Italgas di Rinaldo Pazarasa nel 1925. A Cengio doveva essere concentrata la lavorazione dei sottoprodotti del gas e del coke metallurgico, allo scopo di produrre colori artificiali e, per necessità belliche, i gas, spostando invece la produzione di esplodenti in altre fabbriche del gruppo. Per completare il ciclo produttivo della chimica organica vennero acquistati lo stabilimento di colori Italica a Rho e, successivamente, nel 1927, gli impianti di Cesano Maderno della Società Bonelli. L’Italgas per la sua politica espansiva fu costretta a ricorrere ripetutamente al credito bancario, sia sul mercato interno che internazionale, indebitandosi in maniera pericolosa. Panzarasa dichiarerà ai giudici, dopo il fallimento del suo gruppo, che «un autorevolissimo aiuto al nostro programma chimico ci venne da S.E. il capo del governo», preoccupato di tutelare la “nazionalità italiana” di un’impresa di interesse strategico. 2 A. von Oswald, L’industria tedesca in Italia dall’età giolittiana alla seconda guerra mondiale, in “Archivi e imprese”, 1994, n. 10, pp. 40-41. 3 Ivi. 2 Ed è sempre per seguire le direttive del governo e di Mussolini che l’Italgas, nel 1928, costituisce l’Acna (Aziende chimiche nazionali associate), riunendo gli stabilimenti di Cengio, Rho, Cesano Maderno, nonché l’impianto chimico di Bussi, in Abruzzo. Al vertice dell’ Acna, oltre a Panzarasa, vi sono Ernesto Belloni e Edoardo Colli, due esperti nei settori dei coloranti e intermedi. Nello stabilimento di Cengio si sviluppa ulteriormente la produzione degli intermedi, in particolare anidride ftalica e antrachinone. Nonostante la grave situazione finanziaria, Panzarasa è costretto ad acquistare anche la “Marengo” di Spinetta (AL) su esplicita richiesta di Augusto Turati, segretario del partito fascista. L’Italgas è sull’orlo del fallimento: i collegamenti con l’Acna avevano da soli causato perdite per oltre 133 milioni. L’Acna viene ceduta a condizioni economiche gravosissime per l’Italgas; il gruppo acquirente è formato da Montecatini e IG Farben che, nel 1931, danno il via ad una nuova Acna (Società Anonima Colori Nazionali e Affini). Ancora una volta non si trattò di una pura operazione economica e di politica industriale: l’intervento dell’azienda di Guido Donegani «è in modo esplicito richiesto dal capo del governo Quanto alla IG Farben, la sua presenza nell’Acna e l’interesse per gli impianti di Cengio vanno inquadrati in uno scenario di ampio respiro. Il colosso tedesco detiene il 49% della quota azionaria; per evidenti motivi il fascismo, che ha gestito politicamente il passaggio alla nuova Acna, non può permettere che un’azienda di interesse bellico strategico cada apertamente in mano ad una società straniera. La forza della chimica tedesca, e in particolare dei produttori di coloranti, discendeva dalla superiorità tecnico-scientifica e dalla concentrazione del potere economico. Le principali industrie tedesche, tra cui la Basf, la Bayer e la Hoechst, nel 1925 avevano dato vita alla IG Farbenindustrie che deteneva il monopolio di vari prodotti ed era il principale produttore di molti altri. L’accordo che la Farben stipula con la Montecatini poco prima dell’acquisizione dell’Acna è finalizzato ad evitare che si verifichi un processo di concentrazione nella chimica italiana e a bloccare l’avanzata dell’americana Du Pont. Si è già detto delle produzioni principali dell’Acna, di seguito si forniscono alcuni dettaglio sui prodotti della fabbrica di Cengio: - acidi inorganici e derivati: acido solfotico concentrato e oleum, acido nitrico, acido cloridrico, solfuro di sodio; -idrato sodico e cloro: ipoclorito di sodio; -derivati del benzolo: nitrobenzolo, penta cloro-nitro- benzolo, 4-nitro-1,2-diclorobenzolo, orto-dicolo-benzolo, para-dicloro-benzolo; - toluolo; -fenolo e derivati: meta-amminofenolo (MAF); -anilina e derivati: 4-nitro-2- cloro-anilina, cloridrato di para-cloro-nitroanilina; -derivati della naftalina: acido salicilico (2-idrossibenzoico), nitro-naftalina, beta-naftolo, acido beta-ossinaftoico (BON), beta-naftilammina coi derivati: acido 2-ammino-5-naftol-6-solfonico (acido isogamma), acido 2-ammino-8-naftol-6-solforico (acido gamma); acido 2-naftol-6- solfonico