Note e discussioni

Il welfare state negli Stati Uniti Dal New Deal alla “Guerra alla povertà”

Jill Quadagno

Negli anni venti nella maggior parte dei paesi ca­ Teorie della peculiarità americana: la teoria pitalistici dell’Occidente venne emanata una le­ del sistema di valori liberale gislazione assistenziale che fornì un primo livel­ lo di protezione sociale per coloro che erano sta­ Secondo una tradizione di lunga data nella teo­ ti espulsi dal mercato del lavoro. Fino agli anni ria politica, gli americani rifiutano tutte le forme trenta, e cioè con il New Deal, gli Stati Uniti non di intervento governativo come conseguenza del­ svilupparono un welfare state a livello nazionale la cultura liberale dominante, secondo la quale i e anche allora i suoi benefici furono molto più ri­ diritti individuali sono sacri, la proprietà è ri­ dotti rispetto a quelli assicurati dai paesi europei. spettata e l’autorità statale viene vista con diffi­ Nella nuova era che si aprì dopo la seconda guer­ denza. Una recente versione di questa tesi com­ ra mondiale, molti stati trasformarono i minimi pare in The Continental Divide, pubblicato nel benefici previsti per l’assistenza in situazioni 1990 da Seymour Martin Lipset, che si chiede straordinarie in programmi generali destinati a una per quali motivi il welfare state americano sia me­ molteplicità di situazioni e tali da assicurare ai la­ no avanzato rispetto a quello del suo vicino più voratori non soltanto un reddito minimo, ma uno prossimo, il Canada. La sua risposta è che ciò sia standard di vita di base1. Negli anni settanta nel­ dovuto all’ethos dominante in America, che con­ la maggior parte dei paesi erano previsti assegni siste in una miscela di antistatalismo, individua­ familiari, un’assicurazione nazionale contro le lismo, populismo ed egualitarismo. Secondo Li­ malattie, un sistema pensionistico statale, la sor­ pset, “gli elementi a favore della tesi [che il si­ veglianza durante il giorno dei figli delle famiglie stema di valori spieghi la differenza] sono ab­ in cui entrambi i genitori lavorano, l’assicurazio­ bondanti e chiari”. ne contro la disoccupazione e altri benefici desti­ Spiegare lo sviluppo del welfare state sulla ba­ nati ad aiutare le famiglie nelle diverse età della se del sistema di valori liberale diviene proble­ vita. Il welfare state degli Stati Uniti restò invece matico nel momento in cui si considera che gli arretrato, non soltanto perché l’istituzione di pro­ americani hanno tollerato eccezioni sostanziali grammi sociali a livello nazionale fu in ritardo ri­ rispetto all’ethos contrario all’estensione dei po­ spetto ad altri paesi, ma anche per la mancata pre­ teri del governo — in particolare un ampio siste­ disposizione di misure come l’assicurazione con­ ma pensionistico dopo la guerra di secessione nel- tro le malattie e i programmi destinati alle fami­ l’Ottocento, numerosi programmi assistenziali a glie di lavoratori. I politologi hanno cercato a lun­ livello statale nell’età progressista e negli anni go di spiegare le ragioni dell’eccezionaiità dello venti, e un vasto sistema di programmi volti a ga­ sviluppo politico americano. rantire specifici diritti, i principali dei quali sono

1 Jill Quadagno, The Transformation of Old Age Security, Chicago, University of Chicago Press, 1988.

‘Italia contemporanea”, dicembre 1998, n. 213 866 Jill Quadagno quelli per la sicurezza sociale e il servizio sani­ voratori, mentre all’interno delle comunità la se­ tario statale, che nel 1996 assorbirono più di un gregazione tra i diversi quartieri ha ostacolato la terzo di tutte le uscite federali2. Il problema non solidarietà di classe. è, quindi, di chiedersi se gli americani accette­ ranno ampi programmi di spesa decisi dal go­ verno, ma di capire per quali motivi i program­ Teorie della peculiarità americana: l’approc­ mi assistenziali sono stati organizzati secondo cio basato sul ruolo dello Stato modalità particolari. I politologi sostengono infine che lo sviluppo del welfare state sia stato impedito da una eccezio­ Teorie della peculiarità americana: la teoria nale successione del processo di democratizza­ della debolezza della classe operaia zione e di quello di industrializzazione. Più pre­ cisamente, sostengono che, dal momento che la La seconda spiegazione per importanza dell’ec­ democratizzazione ha preceduto lo sviluppo in­ cezionaiità dell’esperienza americana è che la de­ dustriale, la classe lavoratrice americana non ha bolezza della classe operaia o, più specificamen­ mai lottato in maniera unitaria per ottenere i di­ te, l’assenza di un partito politico a base operaia, ritti democratici fondamentali. Al contrario, le avrebbe impedito la creazione di un welfare sta­ iniziative politiche delle classi lavoratrici si svi­ te più forte. Questa tesi deriva da una ricerca com­ lupparono in relazione a partiti politici attivi nel parata che suggerisce come i welfare state più dispensare favori, impieghi e vantaggi di altro ge­ avanzati si siano sviluppati nei paesi all’interno nere attraverso il sistema clientelare. Sistema che dei quali un partito a base operaia si era battuto così sostituiva l’appello generalizzato all’eletto­ per una nuova legislazione sociale. Il movimen­ rato incentrato su programmi comprendenti que­ to dei lavoratori americano, al contrario, non sol­ stioni come lo sviluppo di un sistema assisten­ tanto fallì nel promuovere una legislazione so­ ziale nazionale. E d’altra parte gli abusi connes­ ciale di tipo assistenziale, ma in certe occasioni si al sistema clientelare finirono per allontanare si oppose attivamente al suo sviluppo. Data la de­ gli elettori dal sostegno di qualsiasi provvedi­ bolezza delle organizzazioni della classe operaia, mento pubblico che potesse alimentare la corru­ la classe dirigente economica americana è stata zione e gli arricchimenti illeciti legati alla spesa in grado di imporre precisi limiti alle politiche pubblica4. sociali che interferivano con gli interessi privati Quanto detto finora costituisce una descrizio­ operanti sul mercato3. ne precisa della storia politica dell’inizio del No­ Sebbene le peculiari politiche adottate dalle vecento, ma trascura una tessera essenziale del classi lavoratrici abbiano finito per modellare il puzzle: gli Stati Uniti si collocano tra le ultime, welfare state americano, la questione fondamen­ e non tra le prime, nazioni ad attraversare un pro­ tale è capire come le iniziative politiche delle clas­ cesso di democratizzazione. Mentre, conside­ si lavoratrici siano state indebolite dalle divisio­ rando il nostro secolo, almeno sul piano formale ni razziali, sia nei luoghi di lavoro sia nelle di­ il Nord del paese può essere considerato demo­ verse comunità. Nei luoghi di lavoro, per esem­ cratico, nel Sud agli afroamericani sono stati ne­ pio, la discriminazione attuata dai sindacati nei gati i basilari diritti civili tipici di ogni democra­ confronti degli afroamericani ha costituito un zia, il diritto di voto, il diritto di lavorare senza ostacolo all’organizzazione unitaria di tutti i la­ subire coercizioni e il diritto a un minimo di si­

2 Congressional Budget Office, The Economic and Budget Outlook: Fiscal Years 1998-2007, Washington, D.C., Government Printing Office, 1997. 3 John Myles, Old Age in the Welfare State, Lawrence, Ks, University Press of Kansas, 1989. 4 Theda Skocpol, Protecting Soldiers and Mothers, Cambridge, Harvard University Press, 1992. Il welfare state negli Stati Uniti 867 curezza economica. Prima che la legge sui dirit­ disperazione dovuta alla più feroce povertà e al- ti civili (Civil Rights Act) del 1964 proibisse le I ’ assenza di prospettive, ma piuttosto il fallimento discriminazioni nel collocamento e la legge sul dei programmi sociali liberali degli anni sessan­ diritto di voto (Voting Rights Act) del 1965 vie­ ta. Bill Clinton, il suo rivale del partito demo­ tasse i provvedimenti che privavano dei diritti ci­ cratico, domandò sprezzantemente perché Bush vili gli afroamericani, la democrazia non fu for­ dovesse ritornare agli anni sessanta per trovare malmente affermata in tutto il paese, ma anche un capro espiatorio quando i repubblicani erano allora fu spesso in pratica negata. stati i responsabili di tali programmi per 20 de­ gli ultimi 24 anni. Come potevano i programmi realizzati trent’anni prima aver innescato la mic­ Teorie della peculiarità americana: la teoria cia che attizzava oggi l’incendio nel ghetto? dei “sistemi di welfare state” George Bush aveva ragione nel senso che gli anni sessanta costituirono un punto di svolta de­ Le diverse teorie sulle origini del welfare state cisivo. Fu in quel periodo che altre nazioni dota­ implicano alcuni assunti sui suoi esiti, che sono rono il proprio welfare state di un terzo tipo di stati classificati secondo tipi ideali denominati misure di protezione sociale. Gli Stati Uniti, pur “sistemi di welfare state”. Gli Stati Uniti sono so­ avendo anch’essi iniziato il processo di amplia­ litamente descritti come un classico regime libe­ mento dei propri programmi sociali, piuttosto che rale, a causa del loro forte affidamento su pro­ aggiungere a quelli esistenti questo terzo tipo di grammi di assistenza sociale i cui beneficiari so­ protezione sociale, intrapresero una “Guerra al­ no selezionati sulla base delle condizioni econo­ la povertà” che finì per diventare uno strumento miche, allo scopo di incoraggiare l’individuali­ per estendere, allo stesso tempo, i diritti civili, smo e la competitività. Ritengo tuttavia che i pro­ politici e sociali agli afroamericani. Così il wel­ grammi del welfare state americano basati sulla fare state divenne uno strumento di attuazione verifica delle condizioni economiche avessero dell’uguaglianza delle opportunità. Il welfare sta­ meno a che fare con la conservazione delle divi­ te delle pari opportunità, a sua volta, provocò una sioni di classe che con il mantenimento della se­ reazione contro i programmi sociali promossi dal gregazione razziale 5. governo; questa forma di welfare state emerse La “Guerra alla povertà” rappresentò un si­ quindi come risultato dello scontro fra la “Guer­ stema di diverso tipo, poiché i programmi socia­ ra alla povertà” e il movimento per i diritti civi­ li varati negli anni sessanta inaugurarono il wel­ li, sebbene le sue origini affondino nell’eredità fare state delle pari opportunità. L’obiettivo prin­ politica del New Deal. cipale della politica sociale divenne il persegui­ mento dell’uguaglianza delle opportunità e i con­ flitti che ne derivavano furono dovuti al conflit­ II Social Security Act e la legge Wagner to razziale, non a quello di classe. La discriminazione razziale divenne parte inte­ grante dei principali programmi sociali america­ Il retaggio del New Deal ni durante il New Deal, quando, per l’opposizio­ ne degli stati del Sud, la maggior parte degli uo­ Sei giorni dopo la fine dei disordini di Los An­ mini e delle donne di colore vennero esclusi dai geles del 1992, il presidente George Bush dichiarò programmi centrali del welfare state (l’assicura­ che la causa scatenante dei disordini non era sta­ zione sulla vecchiaia e quella sulla disoccupa­ ta la frustrazione per un sistema ingiusto, né la zione). Al contrario, fu consentito loro l’accesso

5 Gosta Esping-Anderson, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton, Princeton University Press, 1990. 868 Jill Quadagno unicamente ai programmi di assistenza sociale zione razziale, poiché le autorità scelsero per i (l’Old Age Assistance e l’Aid to Dependent Chil- nuovi progetti quartieri ove vigeva la segrega­ dren) nei quali le autorità locali che gestivano le zione razziale e selezionarono intenzionalmente iniziative assistenziali potevano determinare il li­ gli inquilini secondo la razza. vello dei benefici e stabilire i criteri di accesso6. Il New Deal adottò iniziative concrete legate Anche altri programmi del New Deal ripro­ a questa impostazione; fornì ai lavoratori e alle dussero la discriminazione razziale. La legge na­ loro famiglie una forma di difesa del proprio red­ zionale sui rapporti di lavoro (National Labor Re- dito contro la disoccupazione, gli incidenti e la lations Act), detta anche legge Wagner (Wagner vecchiaia, ma allo stesso tempo lasciò intatta, an­ Act), del 1935, garantiva ai lavoratori il diritto di zi rafforzò, la rigida linea di discriminazione raz­ associazione e di contrattazione collettiva, ma ziale esistente negli stati del Sud, così come le permetteva anche alle organizzazioni dei lavora­ forme più fluide di discriminazione vigenti al tori di escludere gli afroamericani così come la Nord8. creazione di associazioni separate, basate sul principio della segregazione razziale. Dal 1935 al 1955, quando la American Federation of La­ II welfare state delle pari opportunità bor si fuse con il Congress of Industriai Organi- zation, le organizzazioni dei lavoratori specializ­ Nel 1940 il 77 per cento degli afroamericani vi­ zati seguirono politiche di esclusione e segrega­ veva negli stati del Sud, una percentuale ridotta­ zione razziale con la tacita approvazione del go­ si al 53 per cento nel 1970. La presenza di im­ verno federale7. migrati neri nelle città del Nord ha spostato il grande dilemma americano dalla periferia al cen­ tro della politica nazionale. Di conseguenza, a La politica della casa metà degli anni cinquanta il movimento per i di­ ritti civili si è esteso a tutta la nazione, con la ri­ Anche attraverso la politica della casa il New Deal chiesta che venissero subito garantiti a tutti i cit­ mantenne e rafforzò modelli di segregazione raz­ tadini i prerequisiti fondamentali di ogni società ziale. La Federai Housing Administration inco­ democratica9. raggiò l’individuazione di quartieri a rischio: una E oggetto di dibattito quanto la “Guerra alla linea rossa venne letteralmente tracciata attorno povertà” sia stata una risposta indiretta al movi­ alle zone delle città considerate troppo rischiose mento dei diritti civili. Esistono sicuramente ele­ per la concessione di mutui sulla base di motiva­ menti per sostenere che la politica di Lyndon zioni economiche o razziali, e non desta sorpre­ Johnson fosse una reazione a quelle rivendica­ sa il fatto che la maggior parte delle aree fosse zioni. Egli iniziò infatti a elaborare i programmi costituita da quartieri abitati da minoranze etni­ di lotta alla povertà proprio alcuni mesi dopo la che. Fino al 1949 la Federai Housing Admini­ marcia di Washington del marzo 1963, nella qua­ stration incoraggiò anche l’uso di accordi re­ le gli afroamericani proclamarono in maniera strittivi che bandivano gli afroamericani da de­ drammatica la propria domanda di libertà di vo­ terminati quartieri e rifiutò di garantire ipoteche to e il diritto al lavoro. L’8 gennaio 1964 Lyndon nei quartieri dove si sperimentavano forme di in­ Johnson promise di intraprendere una guerra in­ tegrazione razziale. Infine, la stessa politica se­ condizionata alla povertà. La legge sulle oppor­ guita per l’edilizia popolare estese la segrega­ tunità economiche (Economie Opportunity Act)

6 J. Quadagno, The Transformation of Old Age Security, cit. 7 J. Quadagno, The Transformation of Old Age Security, cit. 8 J. Quadagno, The Colour of Welfare, New York, Oxford University Press, 1994. 9 La parte che segue è basata su J. Quadagno, The Colour of Welfare, cit. Il welfare state negli Stati Uniti 869 fu varata nell’estate del 1964, mentre i disordini fondi per la lotta alla povertà divennero dispo­ dilagavano in molti centri urbani, ad Harlem, nibili, in tutto il Mississippi la classe dirigente Bedford Stuyvesant, Rochester, Jersey City, Pe­ bianca tentò invano di controllarli. L’OEO operò terson, Elizabeth, Chicago, Philadelphia. coerentemente in modo tale da scavalcare i po­ Ancora più significativo dello studio delle lo­ litici locali e appoggiare i gruppi locali per i di­ ro origini è considerare che cosa avvenne quan­ ritti civili. do iniziarono a funzionare i programmi per la for­ In questo Stato i fondi federali vennero distri­ mazione professionale, per la salute e per l’i­ buiti senza l’intervento della classe politica lo­ struzione finalizzati al miglioramento delle con­ cale, delle istituzioni scolastiche locali e delle au­ dizioni di vita nei quartieri. Dal momento che le torità locali incaricate dei programmi assisten­ risorse venivano assegnate ai singoli quartieri, es­ ziali. Una delle iniziative nelle comunità di co­ se vennero assorbite nella lotta per l’uguaglian­ lore fu l’Operazione Star, di grande interesse per za razziale. il personale dell’OEO poiché essa fu gestita dal­ Tre importanti programmi di lotta alla povertà la chiesa cattolica, che disponeva di proprie ri­ furono gli interventi nei quartieri abitati da neri, sorse che la misero così in grado di aggirare com­ la formazione professionale e la politica della ca­ pletamente la struttura di potere locale. Dispo­ sa. nendo di mezzi — uffici, personale, accesso a mass media a diffusione nazionale e una struttu­ ra burocratica già esistente — la Chiesa fu in gra­ Community action: l’intervento nei quartieri do di aggirare il sistema educativo del Missis­ neri sippi, basato sulla segregazione. A questo fine l’OEO assegnò alle diocesi 5.307.200 dollari, un Al centro del programma contro la povertà vi fu­ enorme strumento economico in uno Stato così rono le iniziative attuate nei quartieri neri, che povero. rientravano nella giurisdizione del nuovo Ufficio L’Operazione Star divenne rapidamente ope­ per le opportunità economiche (Office of Eco­ rativa. Vennero costituiti 18 centri — a partire nomie Opportunity, OEO), che a sua volta ne de­ dalle più sperdute aree rurali — per insegnare al­ legava la responsabilità ai programmi gestiti dal­ la popolazione più povera a leggere e scrivere, le agenzie locali per le opportunità economiche l’aritmetica e abilità socialmente utili. Fu inoltre (CommunityActionAgenciesPrograms,CAAS). aperto a Greenwood un centro per l’addestra­ Queste ultime svolsero un’intensa attività: crea­ mento professionale che preparava al lavoro di rono poliambulatori di quartiere, mense e servi­ segreteria, al lavoro specializzato nell’uso del zi medici di emergenza, centri per la qualifica­ macchinario di base per la lavorazione del legno zione professionale e l’alfabetizzazione, centri e del metallo, alla riparazione e manutenzione contro l’alcolismo, centri di assistenza contro la delle attrezzature agricole e dei motori delle au­ tossicodipendenza e per i lavoratori immigrati. tomobili. Ma questi interventi a livello di quartiere porta­ Per il movimento per i diritti civili il proble­ rono anche risorse alle organizzazioni locali per ma principale era costituito dalla segregazione, i diritti civili, che le usarono per rafforzare la lot­ e l’Operazione Star affrontò direttamente questa ta per l’uguaglianza politica. istituzione del Sud sviluppando i propri pro­ Gli interventi nei quartieri neri si rivelarono grammi sulla base dell’integrazione razziale. In particolarmente efficaci nel Mississippi. Dal tutto lo Stato il 13 per cento degli apprendisti era 1963 il Mississippi era l’unico stato del Sud pri­ bianco, mentre il 55 per cento del personale ad­ vo di scuole statali aperte a tutti, mentre il tasso detto al programma Star era nero. In molte co­ di iscrizione della popolazione nera alle liste elet­ munità le commissioni consultive dell’Opera­ torali era il più basso del paese. Non appena i zione Star (Star Advisory Boards) tennero le pri­ 870 Jill Quadagno me riunioni mai organizzate i cui partecipanti L’intervento nei quartieri neri fu in grado di erano stati scelti in base a un criterio di integra­ estendere, almeno a un livello elementare, i di­ zione razziale. Nel programma per l’educazione ritti politici agli afroamericani. Le agenzie in­ di base degli adulti del centro Star di Carthage, caricate delle iniziative nelle comunità di co­ per esempio, “i supervisori neri e bianchi lavo­ lore introdussero un’ampia gamma di risorse rano gomito a gomito per fornire servizi di for­ all’interno dei ghetti, comprese quelle basila­ mazione professionale e di consulenza a 78 ne­ ri come telefoni, personale d’ufficio addetto ai ri, dieci bianchi e tre indiani”. Questi avveni­ centri, materiali di cancelleria, bollettini, una menti non erano subiti passivamente da parte dei sede per le riunioni e la disponibilità di con­ bianchi del Sud. Carthage era una città del sulenza legale. Svilupparono inoltre l’organiz­ profondo Sud con una storia di violenze, il luo­ zazione fondando una rete di agenzie affiliate, go dell’assassinio nel 1964 degli attivisti del mo­ che divennero i primi centri di assistenza per vimento per i diritti civili James Chaney, Michael la ricerca di lavoro aperti agli americani di co­ Sch Werner e Andrew Goodman. I membri del lo­ lore. cale Ku Klux Klan “[furono] profondamente L’intervento nei quartieri neri fornì inoltre contrariati dal fatto che [il direttore nero del cen­ agli uomini e alle donne di colore l’opportunità tro] sovrintendeva al lavoro di tutti i dipendenti per entrare in politica. Quando Johnson dichiarò bianchi”. Una croce che bruciava, messa il 19 la “Guerra alla povertà” non vi era nessun sin­ marzo sul prato di un addetto al personale che daco nero e, considerando tutte le cariche elet­ lavorava per l’Operazione Star, fu il primo di una tive dell’amministrazione, vi erano soltanto 70 serie di incidenti, che culminò il 4 maggio, quan­ funzionari neri. Cinque anni dopo ce n’erano do l’abitazione di un operatore nei servizi sociali 1.500; nel 1981 erano 5.014 compresi 170 sin- venne completamente bruciata e i locali della daci. Molti dei nuovi leader acquisirono espe­ chiesa cattolica, dove aveva sede la scuola per rienza e notorietà grazie ai programmi di inter­ gli apprendisti dell’Operazione Star, fatta salta­ vento nei quartieri neri, dove si impegnarono re con la dinamite. Nondimeno gli studenti con­ nelle campagne per le commissioni sulla lotta tinuarono a frequentare le lezioni e la sera suc­ alla povertà, presiedettero riunioni, sostennero cessiva all’incendio della casa si registrò l’as­ interessi particolari, avviarono cause legali e ten­ senza di un solo studente su 87. nero discorsi. L’OEO non aveva legami con altre agenzie Dopo una sommossa, avvenuta nel 1967, in­ federali ed era impegnato sotto il profilo ideo­ direttamente legata alla locale agenzia per gli in­ logico ad accrescere la partecipazione politica terventi nelle comunità di colore, l’OEO inter­ della popolazione povera. Aveva a sua disposi­ ruppe il programma nella città di Newark. Ma zione due potenti strumenti: i fondi federali e l’avversione dell’opinione pubblica e il risenti­ la facoltà di decidere chi li avrebbe ricevuti. Nel mento a livello locale si estesero al di là di selezionare i programmi da sostenere finanzia­ Newark. L’OEO venne rapidamente messo da riamente, il personale dell’OEO scelse quelli parte e i suoi programmi fondamentali attribuiti che favorivano obiettivi legati all’affermazione ad altre agenzie. Poi, nel 1973, Nixon lo abolì dei diritti civili e scartò quelli legati alla strut­ senza tante cerimonie e nessuno contestò la sua tura di potere dei bianchi. Scavalcando la strut­ scelta. Sfortunatamente per il futuro dello svi­ tura segregazionista del singolo Stato, le sov­ luppo urbano, l’eliminazione dell’OEO inferse venzioni dell’OEO indebolivano la politica par­ un colpo mortale a ogni programma globale de­ titica basata sul sistema clientelare, rafforzava­ stinato ai quartieri poveri e fatiscenti dei centri no il potere delle organizzazioni di quartiere urbani. La sua scomparsa cancellò i centri urba­ razzialmente integrate e creavano nuove reti di ni dall’agenda dei legislatori per il successivo distribuzione di servizi. ventennio. Il welfare state negli Stati Uniti 871

La formazione professionale e le origini federale in rotta di collisione con i sindacati dei delibazione positiva” lavoratori specializzati, a mano a mano che i pro­ grammi di qualificazione professionale furono Sin dai tempi del New Deal il governo federale coinvolti nella lotta per i diritti civili. Tali sinda­ aveva tacitamente permesso ai sindacati dei la­ cati temevano che i programmi di formazione voratori specializzati di escludere gli afroameri­ avrebbero accresciuto la disponibilità di lavoro cani. La politica federale iniziò a mutare dopo specializzato; inoltre furono contrariati dal fatto che a Watts, un quartiere povero e abitato da ne­ che ai programmi di formazione fossero attribuite ri di Los Angeles, scoppiò nel 1965 la sommos­ alcune delle prerogative proprie dei sindacati: il sa che divenne emblematica di tutto il decennio. diritto di organizzare programmi di formazione Una delle richieste che emersero chiaramente do­ professionale e di selezionare gli apprendisti. po i tumulti fu il diritto di lavorare. In tutto il decennio il governo aveva accre­ Immediatamente dopo la sommossa furono sciuto le armi di cui poteva disporre per forzare sviluppati i programmi di formazione professio­ i sindacati dei lavoratori specializzati ad ammet­ nale esistenti e altri nuovi se ne aggiunsero. Tra tere lavoratori maschi di colore. Il titolo VII del di essi vi erano il Job Corps, il Neighborhood Civil Rights Act del 1964 bandì la discrimina­ Youth Service, il Manpower Development and zione nelle assunzioni sulla base di criteri raz­ Training Act (MDTA), i Jobs in thè Business Sec- ziali e proibì ogni discriminazione nell’iscrizio­ tor (JOBS): comune a tutti era lo scopo di accre­ ne ai sindacati. La pressione aumentò gradual­ scere le possibilità di impiego dei poveri. mente via via che il governo cercava di ottenere Nel 1968 gli afroamericani costituivano il 47 che i sindacati si attenessero alla legge mentre i per cento del Neighborhood Youth Service, l’81 sindacati continuavano nella politica di discri­ per cento dei Concentrated Employment Pro- minazione. grams e il 59 per cento del Job Corps. Gli ap­ Nel 1968 il Dipartimento del Lavoro stabilì prendisti erano reclutati nei ghetti delle città e il che i destinatari di appalti pubblici non avrebbe­ programma di formazione professionale inclu­ ro ricevuto alcuna commessa federale se non deva non soltanto Tacquisizione di una abilità uti­ avessero intrapreso una “azione positiva” {affir­ le nel lavoro, ma anche l’acquisizione di abilità mative action), ovvero se non avessero dimostrato di base come saper leggere, conoscere l’aritme­ la presenza di minoranze etniche in tutti i settori tica ed essere puntuali al lavoro. Via via che i la­ e in tutte le fasi del lavoro. voratori neri poveri terminavano i programmi fe­ Sulla base dei nuovi regolamenti, l’Equal Em­ derali di formazione professionale e cercavano di ployment Opportunity Commission poteva allo­ inserirsi nel mercato del lavoro, la loro incapa­ ra richiedere a tutti i sindacati di riferire se si sta­ cità di ottenere un impiego rese evidenti gli osta­ vano attenendo alle disposizioni sull’“azione po­ coli creati dai sindacati alla realizzazione di pa­ sitiva” e quindi decidere se qualche sindacato sta­ ri opportunità di impiego. I funzionari federali va agendo in senso discriminatorio. Se così era, non poterono continuare a ignorare pratiche che l’EEOC poteva quindi sottoporre il caso al pro­ minacciavano di far fallire l’impegno contro la curatore generale per avviare una causa civile nei povertà. Tuttavia, nel mettere al bando la discri­ confronti di coloro che avevano violato le norme. minazione dovuta all’azione sindacale nei pro­ Ogni procedimento legale comportava un note­ getti che facevano ricorso a fondi federali, il go­ vole impegno in termini di tempo, ma in quel pe­ verno federale individuò un nuovo obiettivo, chia­ riodo il Dipartimento della Giustizia era pieno di ramente identificabile, per gli aderenti al movi­ giovani legali riformisti liberal, desiderosi di per­ mento per i diritti civili. seguire tali reati e di premere per introdurre un L’obiettivo antisegregazionista dei program­ sistema di “quote” nell’attribuzione dei nuovi po­ mi di formazione professionale mise il governo sti di lavoro. Essi furono in grado di modellare le 872 Jill Quadagno caratteristiche delibazione positiva” creando un rigine della separazione tra le razze e di tensioni quadro di riferimento che sarebbe divenuta la ba­ tanto esplosive che la crisi delle nostre città ra­ se per misurare il conseguimento dell’ugua­ senta oggi la catastrofe”. glianza tra i gruppi etnici e, successivamente, tra Fin dal 1965 Martin Luther King lanciò a Chi­ i sessi. Nei processi che ebbero origine da que­ cago una campagna per i diritti civili, che si con­ ste iniziative i legali del Dipartimento della Giu­ cluse con violente controdimostrazioni di mani­ stizia ottennero il riconoscimento dei principi festanti bianchi e con l’abbandono della città da delibazione positiva”. parte di King. Altrove altri gruppi per i diritti ci­ Nel lungo periodo, il conflitto sulle discrimi­ vili raccolsero quella bandiera. Ad Akron una coa­ nazioni da parte dei sindacati scatenò una vio­ lizione guidata dalla National Association for thè lenta reazione contro il partito democratico, un Advancement of Colored People (NAACP) e dal risentimento che venne trasformato in appoggio Congress on Racial Equality (CORE) organizzò politico a George Wallace nel corso delle elezio­ una campagna porta a porta contro la mancata ni presidenziali del 1968: ciò finì per minare una approvazione da parte delle autorità cittadine di delle fondamentali basi di potere del partito. Ne­ una legislazione sulla casa ispirata a criteri di gli anni ottanta il fenomeno degli elettori demo­ giustizia. A New York la Urban League iniziò cratici divenuti reaganiani fornì un ’ importante ri­ una campagna per una città aperta (Open City), serva elettorale aH’amministrazione repubblica­ per incoraggiare gli afroamericani a cercar casa na. Tale risentimento ebbe anche il risultato di ri­ nei quartieri bianchi. Nel Distretto di Columbia, durre il sostegno per i corsi di formazione pro­ il CORE querelò un’agenzia immobiliare perché fessionale finanziati da fondi federali, ma, per offriva agli acquirenti neri le abitazioni a prezzi ironia della sorte, esso determinò una politica di maggiori rispetto ai bianchi. Il CORE esercitò “azione positiva” con il preciso mandato di ga­ inoltre pressioni sulla Apartment House Owners rantire pari opportunità di impiego per le mino­ Association del Maryland perché sostenesse leg­ ranze e per le donne. gi che favorissero la disponibilità senza restri­ zioni degli immobili. Via via che il movimento a favore di una po­ La politica della casa litica della casa ispirata a criteri di giustizia fa­ ceva passi in avanti, acquistava gradatamente for­ Dal New Deal agli anni sessanta, a livello fede­ za anche la reazione nei suoi confronti. rale la politica edilizia incoraggiava la proprietà A Detroit venne approvata un’ordinanza che della propria abitazione da parte delle famiglie impediva ogni limitazione dei diritti dei proprie­ bianche ma non di quelle nere. Per più di un de­ tari di immobili, nella quale si dichiarava che la cennio il National Committee Against Discrimi- protezione di tali diritti costituiva una precisa po­ nation in Housing (NCHD), una unione di asso­ litica dell’amministrazione cittadina. Ad Akron, ciazioni dei lavoratori e per i diritti civili, aveva nell’Ohio, i cittadini approvarono una variazio­ svolto una continua agitazione per una politica ne dello statuto della città, chiedendo che fosse della casa aperta a tutti. Se inizialmente il Natio­ sottoposta all’elettorato qualsiasi ordinanza che nal Committee era una organizzazione relativa­ regolasse secondo criteri razziali 1 ’ affitto o la ven­ mente debole, il suo bilancio annuale crebbe da dita delle proprietà. La Association of Reai Esta­ 18.000 dollari nel 1956 a 120.000 nel 1964 e le te Boards dell’Ohio richiese un referendum per organizzazioni che ne facevano parte da 24 a 63. l’abolizione della legge sulle abitazioni ispirata Il National Committee focalizzò i suoi attacchi a criteri di equità, mentre i legislatori dello Sta­ contro la politica della casa elaborata a livello fe­ to del Kansas rifiutarono una proposta di legge derale: “Il governo federale è il primo responsa­ analoga. E gli elettori di Berkeley, in California, bile della creazione di un sistema di ghetti all’o­ e di Seattle e Tacoma, nello Stato di Washington, Il welfare state negli Stati Uniti 873 annullarono le ordinanze sulle abitazioni ispira­ sformazione urbanistica, contestavano l’ubica­ te a criteri di equità. zione degli alloggi destinati a chi disponeva di un Dopo un decennio di resistenza e meno di una reddito basso o medio, e minacciavano di inten­ settimana dopo l’assassinio di Martin Luther tare causa contro l’assegnazione di case popola­ King — una settimana di sommosse in tutta la ri secondo criteri che perpetuavano la segrega­ nazione — il 10 aprile 1968 il Congresso approvò zione razziale. Il Department of Housing and Ur­ il disegno di legge sulla politica della casa ispi­ ban Development divenne un’agenzia sotto as­ rata a criteri di uguaglianza (Fair Housing Bill). sedio, il punto focale nel quale si concentravano Nello stesso periodo, inoltre, il Congresso varò la rabbia e lo scontento nei confronti delle que­ un programma per le città modello (Model Cities stioni di principio rappresentate dai diritti civili, Program), per migliorare la qualità della vita nel­ il problema che tormentava le città di tutta la na­ le zone centrali degradate delle città, e istituì un zione. nuovo Department of Housing and Urban Deve- Duramente colpito dalle accuse che lo HUD lopment (HUD, il Dipartimento per le Abitazio­ stesse fomentando i disordini, il suo direttore, Ro­ ni e lo Sviluppo Urbano). Il titolo V ili del Civil bert Weaver, creò una rete — l’Urban Tensions Rights Act del 1968 proibiva ogni discrimina­ Response Network — per valutare il ruolo dello zione nella vendita, nell’affitto o nel finanzia­ HUD nei disordini. Il Network avrebbe svilup­ mento per l’acquisto della maggior parte delle pato un progetto per raccogliere i dati sulle ten­ unità abitative, sottoponendo così milioni di abi­ sioni sociali, creato un archivio nel quale far con­ tazioni unifamigliari in possesso di persone fisi­ vergere le informazioni e sviluppato un sistema che alla legislazione federale che garantiva una per raccogliere le informazioni dagli ammini­ politica della casa ispirata a criteri di equità. La stratori a livello regionale, il tutto destinato al legge incaricava il segretario del Department of “comando supremo” dello HUD, nel quale il per­ Housing and Urban Development non soltanto di sonale del Dipartimento doveva ricostruire il li­ trattare casi specifici di discriminazione nella po­ vello della tensione razziale nelle aree urbane e litica delle abitazioni, ma anche di un’ ampia gam­ individuare il ruolo svolto nei suoi confronti dal ma di attività che implicavano “azioni positive” Department of Housing and Urban Development. contro la discriminazione. La legge obbligava Non appena gli amministratori regionali fe­ inoltre lo HUD a utilizzare i propri programmi cero circolare le relazioni sulla tensione sociale per ottenere la disponibilità senza restrizioni de­ nelle varie località, sembrò che le politiche se­ gli immobili e per riorientare i programmi in pre­ guite dallo HUD fossero, in effetti, al centro di cedenza utilizzati per migliorare le possibilità di tutti i disordini avvenuti nelle città. Nell’area di accesso alle abitazioni da parte dei bianchi, for­ Pittsburgh la politica di selezione degli inquilini nendo al tempo stesso soltanto una limitata di­ esasperò gli assegnatari sia bianchi sia neri degli sponibilità di case per i neri nelle zone centrali alloggi popolari. A New York la distribuzione dei degradate delle città. Ancora una volta le dina­ fondi per il programma per le città modello mi­ miche razziali vennero messe in moto nello svi­ se in contrasto afroamericani e portoricani per il luppo del welfare state. controllo di tali risorse. A Nashville, i gruppi lo­ In quel momento il movimento per i diritti ci­ cali che lottavano per i diritti civili lamentarono vili individuò nella questione della casa una com­ il fatto che in meno del 15 per cento dell’edilizia ponente centrale della sua attività. La National popolare si fosse operata un’integrazione razzia­ Urban League (NAACP) e il National Commit- le, che l’autorità cittadina che si occupava della tee Against Discrimination in Housing focaliz­ questione della casa impiegasse troppo pochi zarono allora le loro proteste contro il Depart­ afroamericani e che non avesse saputo adottare ment of Housing and Urban Development, in un piano soddisfacente per distribuire gli alloggi quanto cercavano di bloccare i progetti di tra­ fra gli inquilini. 874 Jill Quadagno

Di positivo vi fu che un’autostrada, prevista l’AFDC con un reddito annuo garantito per tutti per l’area della città modello, venne fatta passa­ i cittadini al di sotto del livello di povertà, sia oc­ re altrove, eliminando così un motivo di scon­ cupati che disoccupati. Può stupire che la propo­ tento per il quartiere nero. Tuttavia l’azione del­ sta sia stata elaborata durante l’amministrazione lo HUD venne ostacolata da un intreccio poco di un presidente generalmente considerato con­ governabile di programmi tipici del New Deal e servatore come Richard Nixon. Il suo Family As­ di interessi radicati nelle comunità locali. Le au­ sistale Pian (FAP) avrebbe fornito un reddito di torità locali che si occupavano delle abitazioni, base a tutte le famiglie dipendenti dall’assisten­ ora sottoposte all’autorità dello HUD, resistette­ za pubblica. In secondo luogo, il piano avrebbe ro agli sforzi condotti per migliorare la situazio­ permesso agli occupati di ricevere, in tutto o in ne abitativa degli afroamericani quando ciò si­ parte, i benefici previsti, che venivano ridotti via gnificava attuare iniziative di integrazione con i via che il loro reddito da lavoro aumentava. In quartieri abitati da bianchi. questo modo la proposta incoraggiava l’attività Ogni dimostrazione organizzata da un gruppo lavorativa, poiché ogni famiglia che godeva di un che si occupava di diritti civili scatenava una con­ reddito da lavoro si sarebbe trovata in una situa­ troreazione, poiché gli occupanti delle case po­ zione economica migliore rispetto a quella di una polari e le comunità suburbane moltiplicavano gli famiglia priva di tale reddito. sforzi per ostacolare l’eliminazione della segre­ Sebbene parlare di reddito garantito evochi gazione nella distribuzione degli alloggi. Inoltre, idee di sinistra, l’ideatore del progetto fu un eco­ le politiche sociali ispirate all’attuazione delle pa­ nomista conservatore, Martin Friedman. Il fatto ri opportunità scatenarono una reazione che ri­ politico che stava alla base del Family Assistan- dusse l’impegno a livello federale a favore della ce Pian era la crescita sostanziale degli assistiti politica della casa, con l’eccezione delle facilita­ negli anni sessanta, crescita che raggiunse il 214 zioni fiscali sulle ipoteche a favore della classe per cento. L’opinione pubblica era esasperata, le media. Le zone centrali degradate delle città fu­ storie di frodi legate al sistema assistenziale ab­ rono così lasciate a se stesse. bondavano e i politici erano sottoposti a pressio­ ni perché prendessero qualche iniziativa. Tra le varie proposte di riforma del welfare, quella che L’assistenza alle madri in condizioni prevedeva un reddito garantito fu la più convin­ disagiate cente per Nixon, poiché avrebbe spinto i benefi­ ciari a impegnarsi nel lavoro. Nessun programma esemplifica meglio il carat­ Il FAP venne approvato dalla Camera dei rap­ tere razzialmente discriminatorio del welfare sta­ presentanti, e sembrava godere di un forte con­ te americano dell’Aid to Families with Depen- senso al Senato. Tuttavia il disegno di legge non dent Children (AFDC), che è stato abolito nel venne mai approvato dalla Commissione Finan­ 1996. I conservatori lo avversavano sostenendo ze del Senato e due anni dopo un disegno di leg­ che scoraggiasse la ricerca del lavoro e la for­ ge pur sostanzialmente modificato venne respin­ mazione di famiglie stabili, e che incoraggiasse to. E rivelatore considerare le forze che affossa­ le nascite illegittime; i progressisti ritenevano che rono il FAP. Da una parte vi furono i rappresen­ le regole per individuare i beneficiari finissero tanti degli stati del Sud, che temevano l’impatto per stigmatizzare le donne, costringendole ad ac­ che un sistema di redditi garantiti avrebbe avuto cettare i lavori più umili che fornivano redditi al sull’offerta di lavoro al Sud. In quegli stati, in­ di sotto del livello di povertà, e infine che i be­ fatti, dove i salari erano bassi, molti avrebbero ri­ nefici del programma non assicurassero uno stan­ cevuto un reddito più alto ricorrendo ai benefici dard di vita accettabile. All’inizio degli anni set­ minimi garantiti dal FAP ai disoccupati che non tanta gli Stati Uniti giunsero quasi a sostituire lavorando a tempo pieno. Di conseguenza il nu­ Il welfare state negli Stati Uniti 875 mero delle famiglie con i requisiti necessari per e politici erano garantiti formalmente (anche se rientrare nel FAP sarebbe stato enorme. Soltan­ non sostanzialmente) dal Civil Rights Act del to nel Mississippi, il 35 per cento della popola­ 1964 e dal Voting Rights Act del 1965. Ma quel­ zione sarebbe rientrato nel programma. li che Marshall definisce diritti sociali finirono Un’altra forza di opposizione al progetto era per impantanarsi nella palude del conflitto raz­ costituita dalle donne degli stati del Nord, che ri­ ziale, dal momento che i programmi di lotta alla cevevano benefici assistenziali più alti del livel­ povertà determinarono una reazione ostile da par­ lo minimo previsto dal progetto e che temevano te dei bianchi. Questa reazione fornì la giustifi­ una riduzione delle entrate. Per ironia della sor­ cazione politica per un arretramento del welfare te, dopo la sconfitta del FAP la maggior parte de­ state. gli stati intraprese la via dei tagli sostanziali ai Il conflitto razziale ebbe anche un ruolo im­ benefici assistenziali e ridusse drasticamente il portante nell’indebolire il movimento sindacale numero di coloro che potevano accedere ai sus­ e ridurre il suo sostegno nei confronti del welfa­ sidi. L’unico episodio in senso positivo che si ve­ re state. Il fallimento dei lavoratori nel sostenere rificò parecchi anni dopo, come conseguenza di compattamente il welfare state fu il risultato di questo sforzo fallito volto a riformare radical­ tensioni razziali che emersero con i programmi mente il welfare, fu l’introduzione del credito di formazione professionale e nell’attuazione del­ d’imposta sul reddito da lavoro (Earned Income la politica della casa. I sindacati dei lavoratori Tax Credit), che fornisce un sussidio alle fami­ specializzati si opposero ai programmi federali glie povere che godono di redditi da lavoro. di formazione professionale poiché tali pro­ grammi non soltanto offrivano un’alternativa al­ l’apprendistato gestito dai sindacati, ma diven­ La questione razziale e le teorie della specifi­ nero anche lo strumento attraverso il quale il go­ cità americana verno poteva esercitare pressioni sulle loro orga­ nizzazioni perché attuassero iniziative volte al­ I politologi che cercano di delineare il vasto pa­ l’integrazione razziale. Sul lungo periodo le con­ norama della politica americana evitano regolar­ seguenze furono dannose per la vitalità del mo­ mente di spiegare in che modo la disuguaglian­ vimento sindacale. Adottando l’insostenibile po­ za razziale abbia rimodellato le istituzioni socia­ sizione di difesa delle politiche razziste, i sinda­ li, economiche e politiche americane. Morone, cati dei lavoratori specializzati indebolirono la per esempio, sostiene che la dinamica centrale solidarietà sindacale e fornirono all’amministra­ della società americana è stata l’espansione del­ zione repubblicana un’arma per ulteriori attacchi la burocrazia statale e la conseguente spinta de­ alle prerogative sindacali. mocratica volta a limitare questa minaccia alla li­ La tensione razziale fiaccò le energie della bertà del cittadino10 11. Secondo Bumham, tale di­ classe lavoratrice anche in un’altra maniera più namica centrale è invece rappresentata dal man­ sottile. Negli Stati Uniti la politica delle classi la­ cato sviluppo dei partiti politI ici11, mentre per voratrici è stata elaborata all’interno delle co­ Phillips dalla crescita della concentrazione della munità di provenienza piuttosto che nei luoghi di ricchezza12. lavoro. Dagli anni trenta fino a oggi, alti livelli di Il problema reale che orientò le politiche so­ concentrazione razziale nei diversi quartieri han­ ciali verso la “Guerra alla povertà” fu quello di no eroso i presupposti per l’elaborazione, da par­ istituire una democrazia completa. I diritti civili te delle classi lavoratrici, di una politica basata

10 James Morone, The Democratic Wish, New York, Basic Books, 1990. 11 Walter D. Bumham, Critical Elections and the Mainsprings of American Politics, New York, W.W. Norton, 1970. 12 Kevin Phillips, The Politics of Rich and Poor, New York, Random House, 1990. 876 Jill Quadagno sull’integrazione razziale. Tuttavia quando il go­ ve relazioni tra i diversi grappi etnici finì per in­ verno federale cercò di attuare una politica della trecciarsi in maniera inestricabile con la struttura casa basata sull’integrazione razziale, la resi­ stessa della Great Society, il sostegno ai pro­ stenza a tali programmi indebolì F appoggio eser­ grammi sociali finì per implicare il sostegno al­ citato dai lavoratori nei confronti della politica l’integrazione razziale. Significò inoltre che chi si della casa condotta a livello nazionale. Il risulta­ opponeva all’intervento governativo nell’interes­ to fu la crescita della segregazione razziale nei se dei diritti civili, si opponeva allora anche ai pro­ ghetti delle città e l’ulteriore isolamento della po­ grammi sociali che contribuivano a rafforzarli. polazione nera povera. Negli anni sessanta gli Stati Uniti si posero La creazione di ghetti nelle città ha a sua vol­ sulla via per risolvere il “dilemma americano” e ta isolato i leader politici neri, impedito loro di portare a termine i compiti ancora non realizza­ ottenere fondi federali destinati alle città e di­ ti. Tuttavia le politiche attuate in quel turbolento strutto i presupposti per più ampie alleanze poli­ decennio, invece di garantire finalmente tutti di tiche tra gli abitanti delle zone centrali degrada­ diritti democratici a tutti i cittadini, lasciarono la te delle città e quelli delle periferie urbane. Co­ spiacevole eredità di un rammarico per “quello sì, quando il governo federale abbandonò gli sfor­ che avrebbe potuto essere”. zi volti all’integrazione razziale nelle periferie, 1 programmi destinati ai quartieri neri, che iniziò una nuova epoca per le politiche razziali, avrebbero potuto fornire un precedente per in­ basata sull’isolamento e sulla concentrazione del­ terventi più ampi nei centri degradati delle città la popolazione povera. e avrebbero potuto impedire quella spirale di de­ L’avversione dell’opinione pubblica nei con­ clino così spiacevolmente evidente per gli osser­ fronti della maggior parte dei programmi contro vatori di ogni collocazione politica, finirono in­ la povertà implicava soltanto in minima misura vece per essere coinvolti nello sforzo volto all’e­ un’opposizione nei confronti dell’intervento go­ stensione dei diritti politici agli afroamericani. E vernativo in quanto tale. Piuttosto, la riduzione ciò rappresentò la loro rovina. La nazione, inve­ dell’intervento del governo divenne la parola ce di rispondere alla necessità di posti di lavoro, d’ordine nel momento in cui i programmi di as­ di abitazioni e di servizi sociali, che la migrazio­ sistenza sociale finirono per collegarsi alle ini­ ne della popolazione nera aveva fatto sorgere nei ziative per le pari opportunità. centri urbani, voltò le spalle alle città. Più precisamente, negli anni sessanta si assi­ I programmi di formazione professionale stette a una ridefinizione dei contenuti del libe­ avrebbero potuto divenire l’elemento trainante di ralismo. Al posto dell’ intervento del governo vol­ una politica di piena occupazione. Avrebbero po­ to al bene pubblico, l’elemento caratterizzante il tuto stabilire una collaborazione con il governo nuovo liberalismo — l’uguaglianza fra le razze federale e dare ai sindacati una solida base per — costituì la premessa dell’intervento del go­ l’elaborazione delle proprie strategie politiche a verno a favore dei diritti civili. Ciò significò che livello nazionale. Al contrario, la formazione pro­ la lotta per le pari opportunità finì per permeare fessionale divenne la causa di una micidiale guer­ tutte le questioni attinenti la politica sociale. Qua­ ra alTintemo del movimento sindacale e tra la­ si ogni programma sociale — il welfare, la for­ voratori qualificati e afroamericani, tale da acce­ mazione professionale, gli interventi nei quartie­ lerare il declino del sindacalismo. L’ironia insita ri neri, la politica della casa — divenne più di un nell’esito di questa vicenda storica è che la na­ semplice ingrediente del welfare state, da soste­ zione che più aborrisce ogni tipo di sovvenzione nere o attaccare a seconda se si era a favore del­ governativa fa meno di ogni altra per preparare i l’intervento governativo (i progressisti) o contro suoi cittadini al lavoro. di esso (i conservatori). I fondi per la casa, che per un breve periodo Piuttosto, dal momento che la creazione di nuo­ vennero destinati ai centri degradati delle città, Il welfare state negli Stati Uniti 877 avrebbero potuto migliorare la qualità e accre­ re al livello dei valori di quello che Myrdal13 de­ scere la quantità dell’offerta di abitazioni su sca­ finì il credo americano, che comporta la creazio­ la nazionale. Tuttavia la reazione di carattere raz­ ne di una nazione in grado di garantire non sol­ ziale, che si produsse nel momento in cui la que­ tanto la libertà, ma anche i diritti democratici — stione dell’integrazione finì per legarsi alla poli­ il diritto al lavoro, il diritto di partecipare attiva­ tica della casa, indebolì l’appoggio dell’opinio­ mente alla politica e il diritto alla sicurezza eco­ ne pubblica nei confronti dell’elaborazione di una nomica. Sono questi i compiti che ancora atten­ politica della casa a livello nazionale. dono la nazione. Le lacune nell’agenda della politica interna Jill Quadagno americana nascono dalla sua incapacità di vive­ [traduzione dall’inglese di Paolo Ferrari]

13 John Myrdal, An American Dilemma, New York, McGraw Hill, 1989.

STUDI PIACENTINI Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea Sommario del n. 22,1997

Saggi/Storia locale G. Luigi Molinari, Analisi del voto nella provincia piacentina nel Novecento

Saggi/Storia nazionale Gerhard Schreiber, Crimini di guerra tedeschi in Italia; Mia Füller, / progetti fascisti per la città coloniale di Addis Abeba e per il quartiere Eur ’42; Enrico Serra, Libri e documenti nel cinquan­ tenario della Liberazione; Guido Valabrega, Aspetti e problemi della storiografia israeliana

Saggi/ll contenzioso con le ex colonie Angelo Del Boca, Gli obblighi dell’Italia nei confronti dell’Etiopia e delia Libia; Nicola Labanca, Solo politica? Considerazioni su contenzioso post-coloniale e decolonizzazione a partire da al­ cuni studi recenti; Idris, Tayeb Lamine, Libia e Italia: il futuro sui rottami del passato; Takeste Ne­ gasti, Alcune considerazioni sulle relazioni ¡tato-africane

Testimonianze Gianfranco Fazzini, Paria un testimone a 50 anni dalla strage: Mogadiscio 11 gennaio 1948: la caccia agli italiani; Marcella Cafiero, Tripoli fra Storia e storia. Ricordi di una Piccola Italiana

Rassegna bibliografica Lina Maria Calandra, Culture dell’Alterità. Il territorio africano e le sue rappresentazioni; Stefa­ no Tomassini, Le aporie dei cambiamenti. Uno studio recente sugli anni della nostra repubblica

Schede, a cura di Angelo Del Boca, Richard Pankhurst, Massimo Romandini STORIA AMMINISTRAZIONE COSTITUZIONE Annale dell’Istituto per la scienza deN’Amministrazione pubblica Sommario del n. 6,1998

S tudi

I classici Friedrich Murhard, Amministrazione dello Stato', Ewald Grothe, Friedrich Murhard: un precurso­ re della scienza dell’amministrazione?

I temi Fabrizio Rossi, La fiducia preventiva nel sistema statutario-, Pietro Causarano, L’organizzazione e gli impiegati del Comune di Firenze nel primo ventennio postunitario', Fernanda Mazzanti Pe­ pe, Il movimento per le autonomie locali e il decentramento amministrativo nell’ultimo decennio dell'Ottocento', Giuseppe Astuto, Commissariato civile e amministrazioni comunali nella Sicilia di fine secolo; Mari uccia Salvati, Rotary e storia d'Italia fra le due guerre

Le immagini Roberto Martucci, Vicende costituzionali e numismatica nell’Italia dell’Ottocento

S trumenti

Gli Istituti Enrique Orduna Rebollo, La storia dell’amministrazione negli istituti spagnoli di formazione dei funzionari

Le rassegne Manuela Cacioli, La letteratura e la bibliografia sulle fonti e sugli archivi

La ricerca Rod A.W. Rhodes, Uevoluzione del governo centrale in Gran Bretagna: il programma Whitehall dell’ESRC

Le recensioni, a cura di Piero Aimo, Giuseppe Astuto, Elisabetta Colombo, Paolo Colombo, Fe­ derico Lucarini, Anna Gianna Manca II Mediterraneo e i limiti della potenza americana

Giampaolo Valdevit

Anni cinquanta. Una superpotenza — gli Stati rea gli Stati Uniti avrebbero avvertito la man­ Uniti — sta spostando fuori dall’Europa quelle canza di condizioni di sicurezza nelle varie peri­ che sono state definite “le frontiere dell’interes­ ferie del sistema euroatlantico, predisponendosi se americano”1. L’area in questione è il teatro me­ a controllarle con l’intenzione di integrarle in es­ diterraneo, un teatro che rispetto alla competi­ so. Parallelamente, stando sempre al paradigma zione bipolare è in larga misura un’area grigia, di Leffler, la percezione della minaccia sovieti­ attraversata da frontiere nazionali nonché da fron­ ca, da realistica qual era originariamente, avreb­ tiere imperiali, queste ultime in corso di drastica be assunto carattere esagerato quando non esa­ ridefinizione. sperato; l’originale reaction, sostanzialmente Sotto questo profilo si tratta di un terreno di commisurata alla sfida, sarebbe trascesa in over- elezione per verificare quanto sia adeguato il pa­ reaction', la cautela iniziale si sarebbe trasforma­ radigma interpretativo adoperato negli ultimi an­ ta in insensatezza. ni per analizzare la politica estera americana, che E nel complesso evidente, e lo si è segnalato si è articolato attorno alla coppia sicurezza na­ in varie sedi, che un paradigma del genere è co­ zionale-preponderanza di potere. Com’è ormai struito sull’asse delle relazioni fra Stati Uniti e largamente noto, questo paradigma sorregge Unione Sovietica, cioè attorno al nodo della guer­ l’ampia ricostruzione della politica estera ameri­ ra fredda, a quello che è stato un elemento di con­ cana negli anni di Truman (1945-1952) realizza­ tinuità in parte della seconda metà di questo se­ ta alcuni anni fa da Melvyn P. Leffler2. colo. Che la rottura di tale continuità a partire dal Leffler lo ha ripreso in un’altra sua opera più 1989-1990 avrebbe prodotto un qualche divi­ recente, di taglio divulgativo3, per sostenere la te­ dendo anche sul piano del dibattito storiografico si di una sostanziale continuità della politica este­ era un’aspettativa alimentata da più parti, ma è ra americana lungo tutto il corso degli anni cin­ solo ora che si comincia a coglierlo. In altre pa­ quanta. In altre parole, dopo aver esercitato nel­ role, non è più tanto la correlazione delle forze l’immediato dopoguerra una preponderanza di (fra Stati Uniti e Unione Sovietica) che si conti­ potere in Europa, allo scopo di contenere la mi­ nua esclusivamente ad osservare. Assai più rile­ naccia che l’Unione Sovietica portava alla sicu­ vante appare invece la costruzione di un ’ altra con­ rezza nazionale americana, dopo la guerra di Co­ tinuità che, nonostante i ricorrenti proclami sul

1 Donald W. White, The American Century. The Rise and Decline of the United States as a World Power, New Haven, Yale Up, 1997, p. 19. 2 Melvyn P. Leffler, A Preponderance of Power. National Security, the Truman Administration, and the Cold War, Stanford, Stanford Up, 1992. 3 M.P. Leffler, The Specter of Communism. The United States and the Origins ofthe ColdWar, 1917-1953, New York, Hill&Wang, 1994, pp. 119 sg.

‘Italia contemporanea”, dicembre 1998, n. 213 880 Giampaolo Valdevit declino americano, non sembra prossima all’e­ niti come i determinanti esterni della politica este­ pilogo: l’egemonia americana. ra americana. Non è che siano da ignorare i de­ A tal fine non si tende esclusivamente a mi­ terminanti interni, ma in questi è da distinguere surare il potere, a stabilire quanto potere stia a quanto vi fosse di preconcetto — di ideologico, disposizione dell’uno o dell’altro dei due com­ se vogliamo — da ciò che invece “rispondeva al­ petitori mondiali; piuttosto oggi si preferisce ana­ la percezione di minacce e di mutamenti nel­ lizzare gli usi del potere e ciò, ovviamente, com­ l’ambiente internazionale”6. porta anche un discorso sui limiti del potere. Non Se dunque la storiografia del dopo guerra fred­ è che la moda del revisionismo storiografico ci da si dedica in primo luogo a riposizionare gli stia riportando d’un balzo all’indietro, al punto Stati Uniti nell’ambiente intemazionale rispetto in cui si era rimasti trent’anni fa, a quei limits of alla competizione bipolare con l’Unione Sovie­ power, che era il titolo di un saggio dei Kolko4, tica, l’area mediterranea è un ambiente rispetto al quale arrise notevole fortuna editoriale. I li­ al quale non sono mancate esperienze di ricerca miti di cui si sta parlando ora non sono correla­ in tale direzione. Ora altre vengono ad aggiun­ ti ad un progetto di dominio mondiale, come vo­ gersi in gran parte ad opera di studiosi italiani, levano i Kolko; si tratta piuttosto di autolimita­ che prendono in esame le relazioni degli Stati zioni o, in altri casi, di limiti posti dagli stessi in­ Uniti sia con gli stati dell’area mediterranea sia terlocutori (più che dagli antagonisti) degli Sta­ con le potenze esterne ma tradizionalmente pre­ ti Uniti. senti in essa (Gran Bretagna e Francia) sia, infi­ Nessuno vuole ovviamente dimenticare che è ne, con chi — l’Italia — ambiva a recuperare il esistito un confronto diretto fra Stati Uniti e Unio­ ruolo che le era stato precluso per effetto della ne Sovietica; ma è, per così dire, di una presen­ sconfitta7. Va subito aggiunto che siamo di fron­ za onnivora della guerra fredda che ci si sta ve­ te a studi di carattere molto analitico, spesso co­ locemente sbarazzando. Quanto al modo in cui struiti grazie a ingredienti tradizionali (fra questi vengono ricalibrati gli interrogativi, non è dato pars magna è quella che agli studiosi di relazio­ fino ad ora di cogliere atteggiamenti uniformi, ni intemazionali è nota con l’acronimo Frus e anche se in uno degli interventi più acuti nel di­ cioè la serie dei volumi intitolati Foreign Rela- battito storiografico si è intravista la possibilità tions ofthe United States) e privilegiando netta­ di coniugare quegli approcci (realista, progressi­ mente l’interazione sia fra governi sia fra appa­ sta, internazionalista) che in passato si sono an­ rati burocratici americani. che aspramente contrapposti5. Sta comunque il fatto che già in uno di questi In ogni caso, quanto più ora conta è il riposi­ titoli, Ombre di guerra fredda, a cura di Antonio zionare gli Stati Uniti nell’ambiente intemazio­ Donno, si rende evidente il ridimensionamento nale; il che equivale soprattutto a saper indivi­ che il contesto della guerra fredda ha subito. In duare le specificità dei contesti nei quali essi si realtà, nella ventina di saggi che si susseguono in sono trovati ad agire, a considerare i situational più di settecento pagine, le ombre non hanno sem­ factors, cioè quelli che vengono altrimenti defi­ pre lo stesso spessore. Ma va subito detto che sa-

4 Gabriel e Joyce Kolko, / limiti della potenza americana. Gli Stati Uniti nel mondo dal 1945 al 1954, Torino, Einaudi, 1975 [The limits of power, New York, Harper & Row. 1972]. 5 Michael H. Hunt, The Long Crisis in U.S. Diplomatic History, ora in Michael J. Hogan (a cura di), America in the World. The Historiography of American Foreign Relations since 1941, New York, Cambridge Up, 1995, pp. 122-23. 6 Richard H. Immermann, Confessions of an Eisenhower Revisionist: an Agonizing Reappraisal, “Diplomatic History”, voi. 21, 1990, n. 3, p. 323, e anche M.H. Hunt, The Long Crisis, cit., p. 117. 7 Si tratta di Antonio Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda. Gli Stati Uniti nel Medio Oriente durante gli anni di Ei­ senhower (1953-1961 ), Napoli, Esi, 1998; di Elena Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente 1947-1956. Eredità imperiali e logiche di guerra fredda, Firenze, Il Maestrale, 1997; di Alessandro Brogi, L'Italia e l'egemonia americana nel Mediterraneo, Firenze, La Nuova Italia, 1996. Il Mediterraneo e i limiti della potenza americana 881 rebbe assurdo aspettarsi un risultato diverso da­ temazionali, come se a questi fosse richiesto di to il carattere del volume, che del resto mette as­ studiare il passato allo scopo di prescrivere le ri­ sai utilmente assieme, e quindi a confronto, espo­ cette affinché si possano evitare, nel presente, er­ nenti di varie storiografie nazionali oltre a quel­ rori che è fin troppo facile attribuire ai protago­ la italiana. nisti di ieri11. C’è dunque ancora chi, quest’ombra, continua Più della guerra fredda (o delle sue ombre) la a vederla molto fitta e ad attribuire perciò agli minaccia che gli Stati Uniti si trovano di fronte è Stati Uniti la volontà di fare dei paesi arabi il fat­ l’instabilità dei regimi medio-orientali. Ma si tore di contenimento di una minaccia generaliz­ stenta a vedere, da parte americana, un qualcosa zata di infiltrazione sovietica, volontà che sareb­ che possa essere definito come risposta organica be stata la “stella polare” del segretario di Stato a tale situazione, ovvero un progetto volto a crea­ americano, John FosterDulles8. Una politica mio­ re condizioni di sicurezza interna, anche se i do­ pe, la si definisce e, soprattutto nel saggio di Biel- cumenti americani già dagli ultimi anni quaran­ lo9, la si giudica con mano pesante: incapacità di ta abbondano in riferimenti al carattere “vitale” “reale comprensione dei problemi”, cronica de­ del Medio Oriente ai fini della sicurezza nazio­ ficienza di esperti nel Dipartimento di Stato, ina­ nale. Indicazioni del genere non mancano nel vo­ deguatezza, cecità. Da qui si passa al rimprove­ lume curato da Donno. Ad esempio, come spie­ ro — quanto meno curioso — di non aver reagi­ gano Reich ed Erickson, nella crisi iraniana del to con la “dovuta vigoria” all’annuncio della for­ 1951 gli Stati Uniti non intervengono a boicotta­ nitura di armi cecoslovacche all’Egitto nell’otto­ re il petrolio iraniano (che è stato nazionalizza­ bre 1955, e in generale di non aver capito ciò che to) per timore che ciò possa provocare condizio­ prima di tutto si doveva fare in Medio Oriente: ni di caos economico e sociale, destabilizzazio­ non contrapporsi all’Unione Sovietica ma attrar­ ne, creando opportunità di intervento a chi ne è re alleati10. l’unico e tradizionale beneficiario, cioè l’Unio­ Non vorrei indulgere alla moda della dietro­ ne Sovietica12. logia, ma conclusioni di tal fatta sembrano rive­ E fuor di dubbio che un modello analitico del lare 1’esistenza di una riserva mentale: l’onnipo­ genere sia desunto dal l’esperienza compiuta in tenza americana, onnipotenza potenziale sì ma Europa a guerra finita. Ma quando, soprattutto alle volte sprecata a causa, appunto, di miopie, nelle fasi di crisi, lo si applica al Medio Oriente, inadeguatezze e via di questo passo. Da analisi fra i due momenti (il challenge e il responsé) man­ del genere è facile propendere verso la deplora­ ca quella successione diretta che è invece tipica zione per ciò che si sarebbe dovuto fare e non si dell’esperienza europea. Da vari saggi contenuti è fatto: un atteggiamento che in effetti è stato più nel volume si può infatti giungere agevolmente volte rimproverato agli studiosi di relazioni in­ alla conclusione che, nei confronti del mondo ara-

8 È un’interpretazione che colgo nei saggi — tutti nel volume di A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda, cit., — di Mo­ nica Lagazio, Il Paltò di Baghdad. Conflittualità regionali e strategia globale nella politica di sicurezza americana in Medio Oriente (1953-1956), pp. 189-218; A. Donno, Le relazioni tra Stati Uniti e Israele dal 1953 alla crisi di Suez, pp. 243-283; Daniele De Luca, Una legge, due giustizie. L'Amministrazione Eisenhower, le Nazioni Unite e il ritiro israeliano dal Sinai e da Gaza, pp. 563-624. Daniele Biello, Gli Stati Uniti tra bipolarismo e polarizzazione. La diplomazia americana ne! Medio Oriente e la Dottrina Eisenhower, in A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda, cit., pp. 625 sg. 10 D. Biello, Gli Stati Uniti tra bipolarismo e polarizzazione, cit. 11 Esemplari al riguardo sono le osservazioni di Anders Stephanson, Commentary: Ideology and Neorealist Mirrors, “Diplo- matic History”, voi. 17, 1993, n. 2, p. 287. Si tratta in ogni caso di atteggiamenti individuali, tali comunque da non inficiare 11 valore complessivo del volume che, attraverso una lettura trasversale, offre la possibilità di mettere a fuoco alcuni aspetti cruciali della politica estera americana. 12 Bernard Reich, Mitchell D. Erickson, La politica petrolifera degli Stati Uniti in Medio Oriente durante l’Amministrazione Eisenhower, in A. Donno (a cura di). Ombre di guerra fredda, cit., p. 124. 882 Giampaolo Valdevit bo, che pure è considerato un mondo nel com­ Uniti abbiano pur sempre appreso qualcosa: la plesso instabile, da parte americana ci sia, quan­ fatuità di quell’assunto che già dall’ultimo scor­ to meno nella prima metà degli anni cinquanta, cio della guerra era presente nella pianificazio­ una propensione al non fare piuttosto che al fa­ ne della politica estera americana, cioè l’aspet­ re, ad agire da osservatori assai più che da po­ tativa di poter incanalare il nazionalismo arabo tenza interventista in nome di generali postulati verso un atteggiamento filo-occidentale. Peral­ di sicurezza nazionale. tro non è che ciò preluda a una linea di condot­ Certo, come conseguenza della crisi di Suez, ta in qualche modo definitiva: il che è indice del nel gennaio 1957 il modello analitico che si è det­ limite tout court di un’amministrazione, i cui to viene sostanzialmente incorporato nella dot­ maggiori esponenti (Eisenhower, Dulles) erano trina Eisenhower, con la quale gli Stati Uniti si partiti con la baldanzosa promessa di poter at­ impegnano a bloccare atti di “aggressione diret­ trezzare gli Stati Uniti a reggere la sfida sovie­ ta” di matrice comunista. Ma al riguardo è assai tica sul lungo periodo. pertinente l’osservazione di Lesch, a giudizio del Se dunque l’atteggiamento americano verso il quale essa serviva in primo luogo a isolare Nas- nazionalismo arabo compie oscillazioni molto ser, cioè non tanto un puppet sovietico ma l’e­ ampie, la stessa definizione della minaccia so­ sponente di un nazionalismo arabo radicale, nel vietica in Medio Oriente corrisponde al movi­ quale si vedeva prima di tutto un fattore di divi­ mento del pendolo. Quella che De Luca defini­ sione all’interno del mondo arabo13. Paradossal­ sce come “diplomazia armata”15, sperimentata mente, poi, nel corso della crisi siriana del 1957, nell’invio dei marines in Libano nel luglio 1958, la resistenza nei confronti dell’Unione Sovietica è un episodio non una strategia, un episodio per verrà proprio da parte egiziana e siriana, cioè dai di più nel quale gli Stati Uniti agiscono con le temuti promotori dell’opera di infiltrazione so­ mani legate dal leader libanese Camille Cha- vietica: si tratta di un insegnamento che gli Sta­ moun. ti Uniti saranno pronti a cogliere14. Fra l’altro, uno scenario del genere è tutt’al­ Da quelli che appaiono i contributi più matu­ tro che infrequente nel corso degli anni cinquan­ ri ed equilibrati (Lesch, Hahn) veniamo condot­ ta. Il volume curato da Donno illustra una quan­ ti al problema centrale per gli Stati Uniti nel Me­ tità di casi in cui gli Stati Uniti non solo si tro­ dio Oriente: il nazionalismo arabo. Nei suoi con­ vano a dover reagire alle iniziative degli attori lo­ fronti è difficile cogliere continuità e coerenza cali, ma spesso stentano ad articolare una rispo­ nella linea di condotta americana, che oscilla sta. Ad esempio, i prodromi della crisi di Suez piuttosto fra due estremi: una visione del nazio­ nascono dall’iniziativa di Israele, che avverte di nalismo arabo come strumento di penetrazione essere relegato ad un ruolo del tutto marginale e sovietica nel Medio Oriente o al contrario come reagisce disturbando, con i raid su Gaza, rac­ fattore di resistenza ad essa. Soltanto sul finire cordo sulla base di Suez raggiunto nel 1954 fra degli anni cinquanta, dopo molto girovagare ap­ Egitto e Gran Bretagna alla fine di una trattativa punto, si arriverà a individuare la possibilità di estenuante. Dopo di che, l’iniziativa resta anco­ stabilire col nazionalismo arabo una limitata ra nelle mani degli attori locali: dell’Egitto in­ compatibilità. Verrebbe in ogni caso da conclu­ nanzitutto, che prima reagirà ricorrendo all’U­ dere che nel corso degli anni cinquanta gli Stati nione Sovietica come potenza fornitrice di armi

13 David W. Lesch, La Siria e l’Amministrazione Eisenhower. L'inizio di una relazione antagonistica, in A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda, cit., p. 300. 14 D.W. Lesch, La Siria cit., pp. 305 sg.; Peter L. Hahn, Gli Stati Uniti e l’Egitto (1953-1961 ), in A. Donno (a cura di), Om­ bre di guerra fredda, cit., pp. 332 sg. 15 D. De Luca, La diplomazia armata. Gli Stati Uniti e la crisi giordana e libanese (1957-1958), in A. Donno (a cura di), Om­ bre di guerra fredda, cit., pp. 651-86. Il Mediterraneo e i limiti della potenza americana 883 e poi farà naufragare i tentativi di Dulles di di­ no le accelerazioni ed operano in genere entro stoglierlo dalla prospettiva del riarmo16. ' tempi brevi, il che provoca di frequente uno spiaz­ In altre parole, gli attori locali hanno un pote­ zamento ai danni degli Stati Uniti. Solo per cita­ re di interdizione sulle iniziative degli Stati Uni­ re un esempio, Dulles nella primavera del 1956 ti. Se poi volessimo allargare lo sguardo su un’al­ avrebbe preferito che l’offerta americana di fi­ tra potenza mediterranea (e balcanica), che non nanziare la costruzione della diga di Assuan “ap­ viene invece considerata in questo volume (la Ju­ passisse sulla vite”19. Invece si trovò, appunto, goslavia), non sarebbe difficile trovare forti ana­ spiazzato dall’improvvisa decisione di Nasser di logie nel comportamento degli Stati Uniti che per nazionalizzare la compagnia del canale di Suez. gran parte degli anni cinquanta tentano di far coo­ Infine, per capire l’atteggiamento americano, perare la Jugoslavia alla difesa dell’Occidente, va tenuto presente che, da parte degli Usa, viene con un’alterna fortuna che dipende, il più delle comunque definita una gerarchia di interessi. La volte, dalle iniziative di Tito17. Infine, quanto al­ si coglie meglio che altrove nelle pagine di Ele­ le relazioni con Israele, nel volume curato da Don­ na Calandri20, la quale ripropone un dato che sem­ no si tende per lo più a suffragare una tesi sulla bra ormai sostanzialmente acquisito dalla storio­ quale si sta stabilendo una sorta di consenso sto­ grafia americana: il Medio Oriente non gode in­ riografico: la tesi che fino alla fine degli anni cin­ distintamente dello stesso valore strategico per quanta gli Stati Uniti non svilupparono quella gli Stati Uniti, i quali pongono al vertice delle special relationship che sarebbe stata tipica dei priorità il rafforzamento del cosiddetto northern decenni successivi18. tier (e della Turchia soprattutto). Nell’analizza- Se dunque gli Stati Uniti ci appaiono spesso, re le relazioni fra Stati Uniti e Turchia, l’autrice dalle pagine di questo volume, come una super- ci conduce in uno scenario che nella sostanza è potenza incoerente, indecisa quando non rilut­ più occidentale che medio-orientale. Fra questi tante, vale la pena cercare di capirne fino in fon­ due partner è in atto a pieno titolo quella logica do il perché. Non si tratta genericamente di in­ dell’alleanza, che si può agevolmente ritrovare capacità o di incompetenza, come tendono a con­ nel rapporto fra Stati Uniti e Italia, e dovunque cludere alcuni autori. Piuttosto, all’origine di ta­ l’interlocutore locale degli Stati Uniti agisca in li atteggiamenti sta, oltre a quanto già si è detto, condizioni di debolezza: l’intervento americano, anche ciò che si potrebbe definire come un di­ che si manifesta soprattutto in termini di aiuto verso rapporto con il fattore tempo per gli Stati economico e di sicurezza, diventa un “test di po­ Uniti e per i paesi dell’area medio-orientale. I polarità” per la leadership locale21, che ne bene­ primi hanno bisogno di tempi lunghi per porre in ficia sotto il profilo della legittimazione e quindi atto i propri progetti; come si è detto, Eisenhower della stabilità. si proponeva di mettere gli Stati Uniti nelle con­ Lo rivela a chiare lettere il commento del­ dizioni di poter reggere alla sfida sovietica over l’ambasciatore americano ad Ankara sulle rea­ the long haul, e lo stesso vale per la politica che zioni turche all’annuncio della dottrina Ei- la sua amministrazione condusse nel Medio senhower. Egli segnala “la convinzione [che es­ Oriente. Al contrario, i leader locali preferisco­ sa] significherà per la Turchia un massiccio au-

16 A. Donno, Le relazioni, cit., pp. 264 sg.; P. Hahn, Gli Stati Uniti e l'Egitto, cit., pp. 314 sg. 17 Lorraine M. Lees, Keeping Tito Afloat. The Uniteci States, Yugoslavia, and thè Colà War, Univ. Park PA, The Pennsylvania State Up, 1997. 18 Si veda la tavola rotonda ospitata in “Diplomatic History”, voi. 22, 1998, n. 2 e in particolare l’intervento di Yaakóv Bar- Siman-Tov, The United States and Israel since 1948: A “Special Relationship" ?, pp. 231-62. 19 P. Hahn, Gli Stati Uniti e l’Egitto, cit., p. 318. 211 Le relazioni Tra Stati Uniti e Turchia (1954-1960), in A. Donno (a cura di), Ombre di guerra fredda, cit., pp. 343-88. 21 E. Calandri, Le relazioni tra Stati Uniti e Turchia, cit., p. 573. 884 Giampaolo Valdevit mento di aiuti economici. [_] L’uomo della stra­ ti Uniti nel contesto mediterraneo. Per la Gran da ha trovato in tale prospettiva uno sprazzo di Bretagna, in particolare, il Medio Oriente è un luce in un panorama altrimenti deprimente. Qua­ concetto geostrategico: il luogo in cui proiettare lunque sia la penuria del giorno — uova, chero­ la propria potenza in funzione sostanzialmente sene, pane, casa, benzina, ecc. — tutto andrà be­ antisovietica. Non dissimile è la concezione fran­ ne non appena saranno arrivati i nuovi aiuti ame­ cese, anche se il Mediterraneo occidentale è so­ ricani”22. prattutto un’area di raccordo. Gli Stati Uniti ini­ In realtà, si tratta di prospettive illusorie e, già zialmente accettano siffatte definizioni di inte­ dalla metà degli anni cinquanta, si manifesterà a ressi, anche “supinamente” per quanto si riferi­ Washington un conflitto fra chi fa prevalere le sce alla Francia24. Ma lo fanno — cosa che non esigenze della sicurezza in Turchia (che chiedo­ sempre viene messa adeguatamente in luce — no di continuare gli aiuti militari su ampia scala) perché allora a Washington viene definita una ge­ e chi invece guarda all’obiettivo della stabilità rarchia di interessi, che stabilisce una netta prio­ economica, che invece dovrebbe indurre a ridi­ rità: la ricostruzione di condizioni di stabilità e mensionare le forze armate turche. Ma, come sot­ di sicurezza in Europa. Con un’unica eccezione: tolinea Calandri, il dilemma resta tale, perché ri­ la garanzia per gli Usa di poter usare le basi in durre l’aiuto militare significherebbe mettere in Marocco nel quadro di quella pianificazione d ’e­ dubbio la garanzia di sicurezza americana. Alla mergenza, che prevede un attacco sovietico al­ fine, la logica dell’alleanza lega le mani agli Sta­ l’Europa. In tale contesto la difesa del Medio ti Uniti, che si troveranno ad aver creato “un eser­ Oriente viene affidata alla Gran Bretagna. cito da colpo di stato”, in altre parole ad aver in­ Per le due potenze europee si pone, evidente trodotto in Turchia un’ulteriore fonte di instabi­ fin dall’inizio, un problema: la carenza di risor­ lità. se. E perciò che la Gran Bretagna spinge ripetu­ Ecco dunque i situational factors, le peculia­ tamente per un più ampio coinvolgimento nel Me­ rità locali alle quali vanno riferiti i processi de­ dio Oriente degli Stati Uniti, che però si dimo­ cisionali in atto a Washington: instabilità in pri­ strano disposti ad intervenire semmai nel quadro mo luogo, ma anche capacità di interdizione da di iniziative multilaterali. Dopo la guerra di Co­ parte di attori minori, movimenti inerziali che rea, la revisione imposta alla politica estera ame­ sfuggono alla capacità di controllo della super- ricana non manca di ripercuotersi nel teatro me­ potenza, disomogeneità sostanziali nel rapporto diterraneo, dove aumenta sì il grado di coinvol­ con il tempo. gimento americano ma in maniera circoscritta: Sempre parlando di situational factors, è da agli Stati Uniti interessa far uso del potenziale aggiungerne un altro: la resistenza che proviene strategico spagnolo, di quello libico, oltre che far dalla Gran Bretagna nonché dalla Francia. Esem­ entrare la Grecia e la Turchia nella Nato, mentre pio tipico è il patto di Baghdad, con il quale la viene rimandato a tempo indeterminato il pro­ prima cerca di coinvolgere in un’alleanza regio­ getto, caro agli inglesi, volto a creare un sistema nale il segretario di Stato Dulles, che già ha ma­ di sicurezza nel Medio Oriente. nifestato netta ostilità al riguardo23. Non c’è alcunché da obiettare su ciò che ne E un tema che Calandri riprende nel volume desume Calandri: “la concezione americana di Il Mediterraneo e la difesa dell’ Occidente, col­ un bacino mediterraneo funzionale all’area poli­ locandolo all’interno della relazione triangolare tico-strategica europea prevaleva sulla visione che si sviluppa fra Gran Bretagna, Francia e Sta­ imperiale britannica”, e si sarebbe ulteriormente

22 E. Calandri, Le relazioni tra Stati Uniti e Turchia, cit., p. 369. 23 M. Lagazio, // Patto di Baghdad, cit., pp. 198-99. 24 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., pp. 70-71. II Mediterraneo e i limiti della potenza americana 885 consolidata con l’amministrazione Eisenhower25. niversità di Salisburgo una quindicina di anni fa, A Washington si è tempestivamente consapevo­ e venne a cadere su un terreno fertile poiché la li del declino dell’influenza britannica nel Medio storiografia postrevisionista americana, dopo Oriente, ma di puntellarla non se ne parla affat­ aver lungamente polemizzato con la scuola revi­ to, e su ciò neppure gli inglesi preferiscono nu­ sionista, stava riprendendo qualcosa che era sta­ trire soverchie illusioni. La conclusione è che to molto caro a questa: il paradigma imperiale. ognuno andrà per la propria strada difendendo fi­ La tesi dell’impero (americano) su invito (euro­ no in fondo il diritto di farlo. Significativo è quan­ peo) apparve subito la più adeguata a guidare quel to afferma Eden nell’ottobre 1955 durante una ciclo di ricerche sulle relazioni fra Stati Uniti ed riunione del gabinetto britannico: “Non dobbia­ Europa occidentale che da allora si è sviluppato mo pertanto lasciarci condizionare troppo dalla pressoché senza soluzione di continuità. riluttanza ad agire senza il pieno sostegno e la Essa, dunque, gode ormai di largo credito: non completa adesione americana”26. c’è dubbio alcuno che fra le due sponde dell’A­ In realtà, con raffermarsi della dottrina della tlantico abbia avuto luogo una relazione a due deterrenza, verrà meno agli occhi britannici il ri­ vie, in ogni caso entro una situazione di egemo­ lievo strategico del Medio Oriente, dove ritorna nia americana — la derivazione appunto del- al centro il problema del petrolio e, correlato ad Vempire by invitation, che fra l’altro è enunciata esso, quello delle relazioni con il nazionalismo nello stesso titolo del saggio di Brogi ed è essa arabo. E, questo, un ulteriore fattore di divisione pure largamente consolidata forse più sul ver­ fra Stati Uniti e Gran Bretagna: dall’autunno 1955 sante storiografico europeo che su quello ameri­ agli Stati Uniti interessa contenere Nasser men­ cano. Il tema centrale è quello dell’“alleanza di­ tre l’obiettivo inglese è assai più radicale e mira seguale”, già proposto nelle sue linee essenziali alla sua rimozione27. Sappiamo dove porta la sto­ da Ennio Di Nolfo30. In particolare esso, sul pia­ ria: alla crisi di Suez e al divaricamento finale fra no analitico, invita a cogliere quelli che sono sta­ Stati Uniti da un lato e Gran Bretagna e Francia ti definiti i determinanti esterni della politica este­ dall’altro, a quello che viene definito un atto di ra americana, cioè gli apporti esterni che con­ “ribellione anti-americana di un governo britan­ corrono a formare, accanto a quelli interni, la po­ nico conservatore che pareva portare nei cromo­ litica estera americana. Nel caso in questione si somi la collaborazione con Washington”28. tratta ovviamente del determinante italiano, che Il tema del conflitto d ’interessi all’interno del- in effetti Brogi osserva con estrema attenzione e l’alleanza occidentale è pure presente nel saggio puntualità, andando soprattutto alla ricerca di una di Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Me­ risposta all’interrogativo: ha avuto, l’Italia, una diterraneo29, anche se è collocato in un contesto politica estera autonoma? interpretativo diverso, suggerito dal fatto che l’in­ Com’è noto si tratta di un interrogativo che terlocutore degli Stati Uniti è questa volta l’Ita­ spesso si è subordinato ad una visione schemati­ lia. L’impianto del volume è sostenuto da una te­ ca (e fortemente polemica) della relazione fra Ita­ si, riassunta nella formula empire by invitation, e lia e Stati Uniti, dalla quale l’autore si distanzia da una sua derivazione. La formula fu presenta­ nettamente. Assodato, dunque, che c’è un palese ta per la prima volta da uno studioso norvegese, invito italiano all’intervento americano in Euro­ Geir Lundestad nel corso di un convegno all’U­ pa, Brogi ne coglie l’elemento essenziale, già a

25 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell'Occidente, cit., pp. 185, 223. 26 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., p. 286. 27 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., pp. 261-62. 2li E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa del!Occidente, cit., p. 294. 29 Per i riferimenti bibliografici, cfr. nota 8. M Italia e Stati Uniti: un’alleanza diseguale, “Storia delle relazioni intemazionali”, 1990, n. 1, pp. 3-28. 886 Giampaolo Valdevit partire da De Gasperi, nella sottolineatura della contrario, da un’autonoma propensione america­ “debolezza [che] rappresentava il miglior stru­ na ad intervenire a fini di stabilità interna, mi sem­ mento di politica intemazionale”, uno strumen­ bra assai difficile da stabilire, soprattutto se si ac­ to di pressione dal quale si configurerebbe una cetta la tesi — come fa Brogi — che Vempire by sorta di “tirannia del debole”31. In altre parole, il invitation comporta un “flusso reciproco” di ini­ timore di compromettere ulteriormente una si­ ziative33. tuazione di debolezza, di vulnerabilità italiana Quanto alle ricadute della “tirannia del debo­ (soprattutto sul piano interno) avrebbe legato le le” sulla politica estera italiana, il discorso è di­ mani agli Stati Uniti inducendoli a prendersi ca­ verso. Senza dubbio l’aspettativa di esercitare, rico costante della stabilità italiana. per stare alla formula dell’autore, una tale tiran­ Si può essere d’accordo con una tesi del ge­ nia in politica estera si manifestò da parte italia­ nere purché si chiarisca ciò che si intende per de­ na; ma andò spesso delusa. Si pensi ad esempio bolezza italiana. Da parte americana — e Brogi alla questione di Trieste, che negli anni del pri­ sembra convenire su ciò — la si vide sostanzial­ mo dopoguerra esercitò una forma di “presenza mente come un fenomeno di natura interna, te­ onnivora” e che fu fonte di ripetute frustrazioni nuto sotto controllo negli anni grosso modo del soprattutto per la leadership politica italiana. Se Piano Marshall, ma drammaticamente ripropo­ si eccettuano singoli episodi, la politica ameri­ stosi dopo le elezioni del giugno 1953, la conse­ cana su tale questione fu del tutto sorda alle esi­ guente crisi del centrismo degasperiano e la ri­ genze italiane. Né si può concordare con Brogi cerca di nuovi equilibri interni. Per citare alcuni quando afferma che l’Italia godette di poteri di esempi, l’ingresso dell’Italia nel Patto Atlantico veto nei confronti della volontà americana di far fu assai più una risposta al problema della vul­ entrare la Jugoslavia nella struttura della sicu­ nerabilità italiana che il riconoscimento delle po­ rezza occidentale. Nel già citato saggio di Lor- tenzialità strategiche nel teatro mediterraneo. A raine Lees è certamente possibile cogliere atti di fini di stabilità interna fu diretto anche l’aiuto mi­ resistenza al progetto volto a inserire la Jugosla­ litare americano, che continuò per tutti gli anni via nella cintura di sicurezza europea, ma essi na­ cinquanta. scono e si sviluppano a Belgrado, non a Roma. Per inciso, un altro recente saggio illustra, con Nella fase successiva, poi, quanto è dato di co­ dovizia di particolari, da un lato l’estrema atten­ gliere dal volume di Brogi è prima di tutto il fat­ zione con la quale, a partire dalla fine del 1957, to che l’Italia si allineò, pressoché in tutti i pas­ si evitò da parte americana di far interferire con saggi cruciali, alla politica che gli Stati Uniti an­ l’evoluzione della politica interna negli anni di davano conducendo nel teatro mediterraneo. Si incubazione del centro-sinistra il lungo negozia­ trattò di mero appiattimento italiano sulle posi­ to per l’installazione dei missili Jupiter in Italia zioni della potenza egemone? Sarebbe sicura­ e dall’altro l’intenzione italiana di giocare tale mente ingiusto definirlo in tal modo. Da parte ita­ questione come “asso nella manica” allo scopo liana ci fu la volontà di ottenere maggiore spazio di ottenere quanto meno un più ampio diritto di di manovra nel Mediterraneo, di esercitare me­ consultazione all’interno dell’alleanza atlanti­ diazioni nei momenti di crisi, di dar vita ad una ca32. Quanto tutto ciò dipendesse da una capacità “politica di presenza” alla luce di un “atlantismo italiana di manovrare la potenza egemone o, al rinnovato, scevro dalle ambiguità colonialiste”34

31 A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., pp. 38, 77, 100. 32 Leopoldo Nuti, Dall'operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una storia documentata dei missili SM-78 in Italia, “Storia delle relazioni intemazionali”, 1996-1997, n. 1, pp. 95-140, e 1996-1997, n. 2, pp. 105-49. 33 A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., p. 342. 34 A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., p. 224. Il Mediterraneo e i limiti della potenza americana 887 e attento soprattutto alla dimensione dell’aiuto za militare (ma mancava di disponibilità di ri­ economico (in base al dettato pur vago dell’arti­ sorse)36. Durante l’amministrazione Truman colo 2 del Patto Atlantico): in una parola neoa­ sembrò, a Londra e a Parigi, che la Nato potesse tlantismo, come lo si definì a partire dalla seconda servire da copertura per mantenere le rispettive metà del 1957. Ma si tratta fondamentalmente di posizioni nel Mediterraneo. Con Eisenhower le speranze di cui lo stesso autore sottolinea spesso cose cambiarono decisamente e la crisi di Suez il carattere illusorio, fatta ovviamente eccezione avrebbe drammaticamente rivelato F illusione per per le incursioni del presidente dell’Eni, Enrico quel che era. Mattei, ai danni delle Sette sorelle. Mi sembra, questo, un ragionamento astratto: D’altro canto, Brogi stesso parla di ambiguità innanzitutto perché non prende in adeguata con­ a proposito del neoatlantismo, un atteggiamento siderazione il nazionalismo arabo, nei confronti che doveva servire sì in politica estera ma anche del quale il disegno politico inglese e francese in politica interna (in funzione dell’apertura al può anche darsi che fosse coerente ma sicura­ Psi). E se gli Stati Uniti lo lessero nella seconda mente era obsoleto, tant’è che non si manca di chiave, osteggiandolo prima per poi assecondar­ definirlo “affetto dal vizio coloniale”37. lo moderatamente (allo scopo di rafforzare la lea­ Inoltre mi sembra un ragionamento aprioristi­ dership di Fanfani), furono evidentemente spin­ co. In primo luogo perché dà per scontato uno ti a farlo proprio perché una valenza del genere sforzo egemonico americano nel Mediterraneo (e veniva proposta da parte italiana. “Washington un parallelo impegno alla “progressiva destitu­ — conclude Brogi — decise di soddisfare le am­ zione da responsabilità globali” ai danni di Fran­ bizioni nazionali dell’Italia quel tanto che basta­ cia e Gran Bretagna)38. Ora, da quanto emerge va per mantenerne la stabilità di governo”; e, in dalle altre direzioni di ricerca qui considerate, è linea di continuità con l’atteggiamento che si era proprio sull ’esistenza di una tale volontà egemo­ delineato fin dall’immediato dopoguerra, “l’ar­ nica che è lecito nutrire più di un dubbio, non fos­ gomento persuasivo [fu] la fragilità degli equili­ se altro per il fatto che, a differenza dell’Europa, bri interni italiani”35. nel resto del Mediterraneo e nel Medio Oriente Per quanto riguarda dunque la sua proiezione in particolare, salvo casi singoli, nessuna poten­ specifica nel campo della politica estera, il neoa­ za locale ebbe ad invitare gli Stati Uniti ad allar­ tlantismo riscosse assai scarso interesse a Wa­ gare il proprio impero e che quando questi ulti­ shington; da questo punto di vista, quella che ci mi nel 1957, con la dottrina Eisenhower, tenta­ viene proposta da Brogi — senza, è bene preci­ rono, per così dire, di autoinvitarsi, l’esperimen­ sarlo, intenti recriminatori — è anche una storia to ebbe scarsa durata. In secondo luogo perché di speranze (italiane) non alimentate da parte presuppone nei leader dell’Europa occidentale americana. Alla stessa conclusione si giunge, con una forte predisposizione a farsi illusioni sul fat­ toni invece assai più taglienti, nel saggio di Ele­ to che l’alleanza occidentale fosse per gli Stati na Calandri, II Mediterraneo e la difesa dell’Oc­ Uniti un entangling alliance a tutte le latitudini, cidente. Gli Stati Uniti fecero fallire — viene det­ soprattutto un’alleanza capace di intrappolarli a to senza mezzi termini — la politica inglese e sostegno dei vari interessi nazionali europei. In francese nel Mediterraneo, una politica alla qua­ realtà, a leggere tra le righe, essi non appaiono le non mancava coerenza poiché faceva discen­ così ingenui da non sapere che il lasciar fare non dere l’influenza politica dalla credibilità della for­ è mai sinonimo di approvare o condividere. Se

35 A. Brogi, L’Italia e l'egemonia americana, cit., pp. 348-349. 36 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., p. 295. 37 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., p. 296. 38 E. Calandri, Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente, cit., p. 296. 888 Giampaolo Valdevit poi dettero ad intendere di non saperlo, il più del­ misura si è trattato poi di un impero condiscen­ le volte ciò servì a mascherare un ben diverso pre­ dente: ha permesso di sognare, ma anche di rac­ supposto: che quando si usciva dai confini del­ contare i sogni e ha almeno dato a vedere di ascol­ l’alleanza occidentale ognuno era libero di an­ tarli. Quanto a tramutarli in realtà, ha sempre dare per la propria strada. pensato che non fosse affar suo. La storia delle In definitiva, per tutti gli anni cinquanta l’im­ illusioni, quindi, resta un capitolo di storia na­ pero su invito è stato un impero limitato, quan­ zionale più che di storia delle relazioni intema­ to a estensione e a capacità costrittive (e lo stes­ zionali. so vale per l’egemonia americana). In qualche Giampaolo Valdevit

STUDI E RICERCHE DI STORIA CONTEMPORANEA Rassegna dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea Sommario del n. 50, dicembre 1998

Editoriale Angelo Bendotti, Giuliana Bertacchi, Cinquanta numeri

Saggi Roberta Ravelli, ¡.’“Assillo” (1918-1919) e le origini del fascismo a Bergamo; Barbara Curtarel- II, LUn io ne reduci di guerra (1920-1926)

Rassegne Mauro Gelfi, L’antisemitismo a Bergamo. 1938-1945. Spoglio dei periodici locali

Racconti Giulio Questi, Documenti

Note e discussioni Gaetano Arfé, Il revisionismo tra ideologia e politica; Eugenia Valtuiina, Riflettendo sugli archi­ vi storici sindacali

Rassegna bibliografica Maria Grazia Meriggi, Al lavoro nella Germania di Hitler

Schede e segnalazioni Elda Guerra, Problemi della contemporaneità; Giorgio Mangini, / fondi speciali delle biblioteche lombarde; Ferruccio Ricciardi, Bergamo e il suo territorio', Giorgio Mangini, La guerra d ’Etiopia: propaganda e consenso-, Pierandrea Sonzogni, Un quotidiano laico in una provincia bianca; Giorgio Schena, Una storia di emigrazione?', Maria Carla Mangili, La difficile quadratura: Cor­ rado Terzi e il cinema

Notiziario dell’Istituto Nuove fonti per lo studio della guerra fredda Il National Security Archive e il Cold War International History Project

Mario Del Pero

Per anni gli storici che si sono occupati della guer­ passato sono stati troppo spesso analizzati come ra fredda hanno denunciato i limiti imposti alla semplici appendici di scelte elaborate altrove, pe­ ricerca dalla carenza di fonti primarie. I docu­ dissequi esecutori degli ordini che giungevano da menti disponibili, infatti, provenivano quasi Mosca2. esclusivamente dagli archivi di paesi del blocco Al contempo, anche negli Stati Uniti si co­ occidentale (e in special modo dagli Stati Uniti) minciava finalmente ad avere accesso a una se­ ed erano comunque il frutto di processi di ‘aper­ rie di fonti sulle quali, per esigenze di sicurez­ tura’ degli archivi assai selettivi. L’angolo visua­ za nazionale, era stato mantenuto il segreto di le delle vicende storiche del secondo dopoguer­ stato. Anche in questo caso, nuovi ed inediti do­ ra è stato pertanto caratterizzato da unilateralità cumenti sono stati finalmente resi disponibili, e parzialità— in gran parte inevitabili— che han­ sia attraverso la volontaria apertura di fondi ri­ no certamente limitato la nostra comprensione masti a lungo segreti sia in virtù delle possibi­ degli eventi dell’ultimo cinquantennio. lità offerte agli storici dal Freedom of Informa­ La caduta dei regimi comunisti nell’Europa tion Act, una legge federale statunitense che sta­ orientale e la inarrestabile implosione dell’Unio­ bilisce il diritto di accesso alle informazioni re­ ne Sovietica hanno progressivamente fatto venir lative all’attività delle agenzie del governo fe­ meno quei rigorosi vincoli di segretezza posti in derale3. passato sui documenti dei paesi comunisti. Una Di fronte a processi sviluppatisi in maniera quantità non indifferente di fonti nuove ed ine­ piuttosto spontanea e caotica, è però sorta la splorate è stata finalmente resa disponibile, sia necessità di creare degli strumenti che riorga­ pure in forme spesso caotiche e confuse, caratte­ nizzassero in maniera più sistematica fonti già rizzate non di rado da scarsa chiarezza e assolu­ disponibili e definissero con chiarezza gli obiet­ ta mancanza di regole1. Ciò ha finalmente con­ tivi su cui concentrare la futura ricerca. Per ri­ sentito di gettare un po’ di luce sulle scelte della spondere a queste esigenze sono stati pertanto politica estera sovietica durante la guerra fredda creati a Washington il National Security Ar- e, in particolare, sui suoi tormentati rapporti con chive e il Cold War International History i paesi satelliti del blocco comunista, i quali in Project.

1 In particolare permane in Russia un forte condizionamento politico sulla gestione dei documenti dell’ex Unione Sovietica. Questo rischio era già stato denunciato da James Hershberg, Soviet Archives : the Opening Door, “Cold War International Hi­ story Project Bulletin”, 1992, n. 1, pp. 2-15. 2 Per un quadro delle possibilità offerte dai nuovi documenti provenienti dagli archivi sovietici si vedano i vari interventi al simposio “Soviet Archives: Recent Revelations and Cold War Historiography”, pubblicati con Io stesso titolo da “Diploma­ tic History”, 1997, n. 2, pp. 215-305, e in particolare quelli di Robert C. Tucker, Odd Arne Westad e Raymond L. Garthoff. ' Diritto garantito non solo ai cittadini americani, ma anche a quelli stranieri.

‘Italia contemporanea”, dicembre 1998, n. 213 890 Mario Del Pero

Il National Security Archive colare attenzione per le azioni statunitensi in Cen­ tro America (Nicaragua ed E1 Salvador), i servi­ Il National Security Archive (Nsa) è un’organiz­ zi d’intelligence e la corsa agli armamenti6. Infi­ zazione non governativa e non-profit fondata nel ne il Nsa ha promosso la pubblicazione, in edi­ 1985 da un gruppo di storici e giornalisti inten­ zione paperback, di alcune raccolte di documen­ zionati a creare un unico archivio centrale costi­ ti esplicitamente pensate per un pubblico non spe­ tuito dai fondi ottenuti individualmente attraver­ cialistico, nell’intento di divulgare questo tipo di so il Freedom of Information Act. Nato inizial­ materiali tra un vasto numero di lettori7 8. mente come semplice archivio, il Nsa (che ha la Oltre a caratterizzarsi per queste attività di rac­ sua sede presso la George Washington Univer­ colta e di pubblicazione di fonti documentarie, il sity) ha rapidamente sviluppato una serie di altre Nsa costituisce un archivio nel senso più tradi­ iniziative, che vanno dalla promozione di attività zionale del termine, anche se il continuo flusso di ricerca vere e proprie alla consulenza legale di nuove accessioni — spesso frutto di donazio­ nella difesa del diritto pubblico di accesso alle ni di singoli ricercatori — ne rende difficile la informazioni governative — servizi che lo han­ schedatura e obbliga non di rado lo studioso a no trasformato in un centro studi noto in tutto il frugare tra scatoloni e cartelle contenenti mate­ mondo. Il bilancio, di circa un milione di dollari riale ancora da catalogare. all’anno, viene coperto per un quinto attraverso Il Nsa rappresenta, nel suo genere, un esperi­ gli introiti derivanti dalle sue varie pubblicazio­ mento straordinario: un archivio che promuove e ni, e per i restanti quattro quinti da donazioni pri­ sviluppa attività di ricerca e che di tale ricerca si vate4. Nel 1987 il Nsa pubblicò la sua prima am­ ‘nutre’ per arricchire i propri fondi archivistici, pia collezione monografica di documenti relati­ dai quali sono poi tratte le raccolte di documen­ vi alla vicenda Iran-Contra5. Il successo di que­ ti distribuite in tutto il mondo. Il successo di que­ sta prima pubblicazione indusse a promuovere sto esperimento è chiaramente dimostrato dalle una serie successiva di voluminose raccolte numerose collaborazioni che il Nsa ha istituito (ognuna di esse contiene più di quindicimila do­ con altri paesi per attivare modelli simili di isti­ cumenti) sulla politica estera statunitense duran­ tuzioni non governative e non-profit. L’impatto te la guerra fredda, pubblicate su microfiche in che l’attività del Nsa ha all’interno degli Usa è collaborazione con la casa editrice Chadwick- evidenziato dal fatto che le pressioni legali eser­ Healey e vendute a università e centri di ricerca. citate attraverso il Freedom of Information Act La maggior parte di queste collezioni si riferisce hanno permesso che fosse reso pubblico un buon a vicende degli ultimi trent’anni, con una parti­ numero di documenti su cui era stato mantenuto

4 Tra i maggiori finanziatori vi sono la Camegie Corporation, la Ford Foudation e la MacArthur Foundation. Il fatto che si­ mili istituti sopravvivano grazie a donazioni private evidenzia la lontananza culturale che continua ad esistere in questo cam­ po tra Stati Uniti ed Europa. 5 The Chronology. The Documented Day by Day Account ofthe Secret Military Assistance to Iran and the Contras, New York, Warner Books, 1987. 6 Queste collezioni, disponibili peraltro a prezzi non propriamente accessibili (tra i quattro e i cinquemila dollari l’una), sono state vendute a università e centri di ricerca di 10 paesi. Il Nsa offre inoltre raccolte documentarie sulla politica estera statu­ nitense in Sud Africa, in Afganistan e nelle Filippine, oltre a due collezioni sulla crisi dei missili cubani e su quella di Berli­ no (1958-1962). 7 Laurence Chang, Peter Kombluh (a cura di), The Cuban Missile Crisis, New York, W.W. Norton & Co., 1992; P. Kombluh, Malcolm Byme (a cura di), The Iran-Contra Scandal: the Declassified History, New York, W.W. Norton & Co., 1993; Ken­ neth Mokoena (a cura di), South Africa and the United States: the Declassified History, New York, W.W. Norton & Co., 1993; Tom Blanton (a cura di), White House E-Mail: the Top Secret Computer Messages the Reagan-Bush White House tried to De­ stroy, New York, The Free Press, 1995. 8 Al momento attuale il Nsa collabora con circa una dozzina di istituzioni non governative di paesi stranieri tra i quali la Rus­ sia, il Sud Africa, la Germania, l’India, e alcuni stati sudamericani. Nuove fonti per lo studio della guerra fredda 891 a lungo il segreto di stato, tra i quali l’epistolario storicizzare e da comprendere appieno. La scel­ tra Krushchev e Kennedy durante la crisi dei mis­ ta di concentrarsi sugli ultimi trent’anni (con nu­ sili cubani e i diari di Oliver North durante la vi­ merose ‘incursioni’ negli anni ottanta e, addirit­ cenda Iran-Contra. Alcuni membri dello staff del tura, negli anni novanta), se appare il frutto, for­ Nsa sono stati inoltre chiamati in più di un’oc­ se inevitabile, della collaborazione tra storici e casione a testimoniare di fronte a commissioni giornalisti, lascia però spesso perplessi, soprat­ del Congresso. tutto quando finisce per aggiungere confusione a Il Nsa mette pertanto a disposizione degli stu­ un quadro già di per sé poco chiaro, come nel ca­ diosi una serie di strumenti che facilitano la ri­ so delle collezioni su\Vintelligence statunitense. cerca, rendendola più rapida e agevole. I docu­ Anche queste ultime evidenziano un altro limite menti che giungono al Nsa in seguito alle richie­ generale dell’esperienza del Nsa, rappresentato ste inoltrate appellandosi al Freedom of Infor­ da una certa caotica ‘artigianalità’ nell’organiz- mation Act diventano automaticamente accessi­ zare le proprie raccolte di documenti, che spes­ bili anche attraverso i normali canali archivisti­ so finisce per disorientare il ricercatore. Esso ci, ma spesso sono sparsi nel mare del materiale emerge in maniera più evidente nelle prime, a di­ conservato dagli archivi centrali (National Ar- mostrazione che il tempo e l’esperienza ne stan­ chives and Record Administration, Nara) o dalle no permettendo il graduale superamento, e tutta­ biblioteche presidenziali. In altre parole, il Nsa via non è assente neanche in quella recente sulla garantisce alla'ricerca una rapidità particolar­ comunità dell’intelligence, curata da Jeffrey T. mente apprezzata da chi non può soggiornare ne­ Richelson10. Una raccolta impressionante, que- gli Stati Uniti per lunghi periodi di tempo. Le ric­ st’ultima, sia per la mole del materiale in essa che collezione edite dal Nsa tendono a situarsi in contenuto (più di trentacinquemila pagine), che una zona intermedia tra quelle pubblicate dal go­ per la scarsa rilevanza storica di gran parte di es­ verno statunitense (in particolare i volumi delle so. Il fatto che gran parte delle fonti sui servizi Foreign Relations ofthe United States, Frus) e le d’intelligence americani non sia ancora disponi­ fonti disponibili presso gli archivi centrali; esse bile o, a quanto pare, sia stata addirittura distrut­ permettono di diffondere anche fuori dagli Stati ta, rende quantomeno difficile organizzare rac­ Uniti i documenti che progressivamente vengo­ colte documentarie complete e significative. Il la­ no acquisiti dal Nsa9. Il forte impegno sul fronte voro promosso da Richelson fornisce una quan­ della ricerca, infine, si concretizza in un’assi­ tità difficilmente ‘digeribile’ di documenti rela­ stenza, anche legale, ai singoli ricercatori e con­ tivi all’articolazione istituzionale del mondo del- ferisce al Nsa un dinamismo decisamente inu­ Vintelligence statunitense (gli unici disponibili suale per un archivio. allo stato attuale delle cose), ma non sembra fran­ Nell’operato di questa istituzione esistono camente aggiungere molto alla nostra conoscen­ però, ineluttabilmente, anche limiti e difetti. Lo za delle vicende storiche degli ultimi cin­ storico non può non manifestare un certo scetti­ quantanni. Quindi sarebbe stato forse meglio at­ cismo di fronte alla tendenza a privilegiare vi­ tendere che fossero finalmente rese disponibili cende molto prossime a noi, ancora difficili da quelle fonti che tutti noi attendiamo con impa-

9 Un limite che peraltro si sta superando attraverso le straordinarie possibilità di diffusione delle informazioni permesse ora da Internet. Anche il Nsa ha il suo sito web (www.seas.gwu.edu.nsarchivet), sebbene per il momento esso non offra ancora ac­ cesso ai documenti delle proprie collezioni. 10 Jeffrey T. Richelson (a cura di), U.S. Espionage and Intelligence: Organization, Operations, and Management, 1947-1996, Washington, DC, The National Security Archive and Chadwick-Healey, 1997. Richelson è stato spesso criticato in passato per la sua scarsa attenzione nella scelta delle fonti utilizzate nei suoi numerosi studi sul mondo dell’intelligence statunitense. Si veda in particolare Mark Lowenthal, The Intelligence Library: Quantity vs. Quality, “Intelligence and National Security”, 1987, n. 2, pp. 367-374. 892 Mario Del Pero zienza, prima di pubblicare una nuova raccolta portanti storici della politica estera americana, documentaria che si è aggiunta a quella, per mol­ quali John Lewis Gaddis, Samuel Wells, Warren ti aspetti più utile e importante, edita nel 199011. Cohen e William Taubman. Come già detto tuttavia, tutti questi difetti so­ In questi sette anni il Cwihp ha dato vita a tre no superabili con il tempo, e nulla tolgono a un’e­ tipi di iniziative: la creazione di un bollettino su sperienza importante e significativa per il suo im­ cui vengono pubblicati documenti provenienti da­ pegno a stimolare una sempre maggiore apertu­ gli archivi dei paesi ex comunisti e alcuni studi ra degli archivi pubblici e a svolgere, in alcuni interni (workingpapers)\ l’istituzione di borse di casi, anche una funzione supplente nei loro con­ studio per ricercatori dell’Europa dell’Est e del­ fronti. Un’esperienza che sembra ormai essersi l’ex Unione Sovietica; la promozione infine di consolidata e che si auspica possa venire estesa numerose forme di collaborazione, finalizzate al­ anche fuori dagli Stati Uniti. la riorganizzazione e al recupero del materiale ar­ chivistico presente in tali paesi. In particolare, il bollettino (pubblicato con ca­ Il Cold War International History Project denza non sempre regolare) è divenuto rapida­ mente uno strumento fondamentale per chiunque Parallela all ’ esperienza del Nsa, e per molti aspet­ voglia occuparsi della storia del secondo dopo­ ti strettamente intrecciata con essa, è quella del guerra13. Avvalendosi della collaborazione di nu­ Cold War International History Project (Cwihp), merosi ricercatori statunitensi e stranieri, il Cwihp promossa verso la fine del 1991 presso il Woo- è pertanto riuscito a promuovere una pionieristi­ drow Wilson International Center for Scholars, a ca attività di raccolta e pubblicazione di fonti do­ Washington, DC. Anche in questo caso un ruolo cumentarie che solo fino a pochi anni fa nessuno cruciale nel finanziare l’iniziativa è stato svolto si sarebbe sognato di poter consultare. Documenti da enti privati e in particolare dalla MacArthur dell’ex Ddr, dell’ex Unione Sovietica e di altri Foundation. L’obiettivo principale del Cwihp è paesi del blocco comunista, relativi ad alcuni pas­ quello di promuovere la divulgazione di docu­ saggi cruciali della guerra fredda sono stati fi­ menti sulla guerra fredda, cercando di integrare nalmente resi disponibili e, attraverso il bolletti­ il materiale disponibile presso gli archivi occi­ no del Cwihp e il suo sito web, sono accessibili dentali con nuove fonti provenienti dai paesi del­ a chiunque. l’ex blocco comunista. Il Cwihp si ripromette per­ L’interesse del Cwihp si è rivolto in particola­ tanto di superare un certo approccio americano­ re ad alcuni momenti chiave della guerra fredda centrico e unilaterale allo studio della guerra fred­ e alla ricaduta che essi hanno avuto sulle singo­ da, per creare nuovi legami tra gli storici che, co­ le realtà nazionali. L’obiettivo esplicito è quello me ha affermato James Hershberg nel primo nu­ di recuperare appieno la complessità delle vi­ mero della rivista del Cwihp, “superassero le bar­ cende del secondo dopoguerra, troppo spesso ana­ riere linguistiche, geografiche e di specializza­ lizzate nel quadro di un rigido e manicheo bipo­ zione regionale”12. La rilevanza dell’iniziativa è larismo, incapace di affrontare, ad esempio, il chiaramente dimostrata dalla presenza, nel pri­ problema del rapporto tra le potenze egemoni dei mo comitato di consulenza, di alcuni dei più im­ due blocchi e i paesi minori14. Se l’attenzione dei

11 J. T. Richelson (a cura di), The U.S. Intelligence Community, 1947-1989, Washington, DC, The National Security Archive and Chadwick-Healey, 1990. 12 James Hersberg, The Cold War International History Project, “Cold War International History Project Bulletin”, 1992, n. 1, p. 1. 13 II “Cold War International History Bulletin” viene distribuito gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta. Peraltro i documenti, i commenti, i working papers sono disponibili anche su Internet, presso il sito http:llcwihp.si.eduldefault.htm. 14 E probabilmente superfluo sottolineare che questo ritardo è soprattutto presente nello studio dei rapporti tra l’Unione So­ vietica e le democrazie popolari dell’Europa orientale. Nuove fonti per lo studio della guerra fredda 893 primi numeri del bollettino del Cwihp si è con­ — una generale concordia nel denunciare un cer­ centrata principalmente suH’Unione Sovietica, to ‘provincialismo’della storiografia americana, l’Europa Orientale e il dissidio sino-sovietico, nei chiaramente riscontrabile nella scarsa disponi­ numeri più recenti sono stati presi in considera­ bilità di molti storici d’oltreoceano a lavorare su zione altri teatri della guerra fredda, come l’An­ fonti non in lingua inglese. Il Cwihp dimostra di gola e il Como d’Africa. aver recepito tale indicazione in toto. Ciò che Il successo di tale iniziativa è chiaramente di­ però a volte sembra ancora mancare è la dispo­ mostrato sia dal crescente numero di richieste nibilità a quella collaborazione interdisciplinare del “Cold War International History Project Bul- che tanto ha contribuito negli ultimi anni ad ar­ letin” sia dall’impressionante crescita delle sue ricchire la nostra conoscenza della guerra fred­ dimensioni: esso è rapidamente passato dalle da. Prevale in gran parte dei contributi un ap­ quaranta pagine del suo primo numero alle oltre proccio rigidamente ancorato all’assoluta pre­ quattrocento di quello dell’inverno 1996-1997. minenza del paradigma geopolitico propria di Quella del Cwihp rappresenta probabilmente l’i­ larga parte della storiografia postrevisionista16. niziativa storiografica più importante promossa Un approccio che tende a concentrarsi sulla di­ dopo la caduta del muro di Berlino e il collasso mensione militare e strategica, a discapito di al­ del blocco comunista, anche se numerose diffi­ tri importanti aspetti emersi nel quadro bipolare coltà materiali ne stanno rallentando il cammi­ del secondo dopoguerra. no. Come spesso accade per queste istituzioni, Sembra inoltre affermarsi la propensione a un il maggiore ostacolo è rappresentato dalla man­ certo fideistico ottimismo nei risultati che ver­ canza di fondi: l’ex direttore del bollettino del ranno consentiti dal progressivo e costante ve­ Cwihp, James Hershberg, ha denunciato a chi nire alla luce di nuovi documenti17. In altre pa­ scrive il fatto che numerosi documenti acquisiti role, l’esperienza del Cwihp tende frequente­ dagli archivi russi non sono stati ancora pubbli­ mente a inserirsi nel quadro di un modello sto­ cati a causa della impossibilità di pagarne le tra­ riografico che, per quanto più solido da un pun­ duzioni. to di vista delle fonti, più complesso e raffinato, Peraltro permangono alcuni dubbi anche ri­ riecheggia assai di frequente le tesi più tradizio­ spetto all’impostazione generale del Cwihp. nali della vecchia storiografia ortodossa. È per­ Emerge in particolare una certa ortodossia me­ tanto auspicabile che le pagine del “Cold War In­ todologica che appare ancor più anacronistica se ternational History Project Bulletin” continuino confrontata con l’assoluta originalità delle fon­ a ospitare, come già hanno cominciato a fare, gli ti documentarie utilizzate. Nell’ultimo decennio interventi critici degli storici che non si identifi­ si è assistito a un vivace dibattito tra gli storici cano in quello che sta diventando il modello in­ americani che si occupano della politica estera terpretativo più popolare delle vicende degli ul­ statunitense15. Salvo rare eccezioni, si è regi­ timi cinquant’anni18. Un modello interpretativo strata —• sia pure da prospettive assai differenti che continua peraltro a venir messo in discus-

15 Per un quadro generale di questo dibattito storiografico si rimanda ai numerosi articoli comparsi sulla rivista statunitense “Diplomatie History” e alla raccolta di saggi curata da Thomas G. Patterson e Michael J. Hogan, Explaining the History of American Foreign Relations, New York-Cambridge, Cambridge University Press, 1991; si veda inoltre M. J. Hogan, Ameri­ ca in the World: The Historiography of American Foreign Relations since 1941, New York-Cambridge, Cambridge Univer­ sity Press, 1995. 16 Per un rapido sguardo delle tendenze più recenti della storiografia Usa sulla guerra fredda si veda Federico Romero, La guerra fredda nella recente storiografia americana. Definizioni e interpretazioni, “Italia contemporanea”, 1995, pp. 397-412. 1 ' Si fa riferimento in particolare all’ultimo lavoro di John Lewis Gaddis, emblematicamente intitolato We Now Know: Rethinking Cold War History, New York-Oxford, Oxford University Press, 1997. 18 Si veda in particolare la polemica sulle origini e le responsabilità della guerra di Corea apertasi tra Bruce Cumings e Kathryn Weathersby nel n. 8-9 (1996-1997) del “Cold War International History Bulletin”, pp. 120-123. 894 Mario Del Pero sione anche da storici che hanno avuto la possi­ che sempre più contribuiscono a fornire gli stru­ bilità di lavorare sugli archivi dell’ex Unione So­ menti essenziali per comprendere la storia della vietica, a testimonianza del fatto che un certo guerra fredda. L’impegno che entrambe queste pluralismo storiografico non solo è sopravvis­ giovani istituzioni pongono nella ricerca si com­ suto alle nuove rivelazioni provenienti da Mo­ bina con una forte sensibilità per l’utilizzo dei sca, ma da esse è stato in parte addirittura rinvi­ mezzi che lo sviluppo tecnologico degli ultimi an­ gorito19. ni mette a disposizione: il risultato è quello di di­ stribuire ad un pubblico sempre più vasto il ma­ National Security Archive e Cold War Internatio­ teriale prodotto e i documenti raccolti. nal History Project costituiscono due esperienze Mario Del Pero

19 Si vedano le interpretazioni divergenti nei vari articoli pubblicati con il titolo Soviet Archives: Recent Revelations and Cold War Historiography, cit.

IL PENSIERO ECONOMICO MODERNO Sommario del n. 43, ottobre-dicembre 1998

Articoli A. Fazio, Banche e mercato finanziario in Italia', G. Bellone, / mutamenti del saggio di sconto ed il corso dell’economia; S. Burgalassl, Statistica e sociologia in Giuseppe Toniolo-, G. Gaburro, G. Cresotti, Il lavoro soggetivo nel pensiero di Giovanni Paolo II

Osservatorio F. Pitocco, II dibattito sulla riforma universitaria

Le opere e i giorni Documenti della SISE sull'autonomia didattica universitaria; La riunione annuale della Società degli economisti; La scuola storica tedesca in Italia

I libri R. Pasta, Editoria e cultura nel Settecento; B. Bracco, Storici italiani e politica estera; P. Ciocca, L'economia mondiale nel Novecento; S. Levati, La nobiltà del lavoro

Indice dell’annata 1998 Prime riflessioni sulla guerra italiana Interpretazioni, testimonianze e apologie 1945-1946

Lucio Ceva

In una sequenza di non so più quale film Eduar­ corso si collocasse il crollo di un regime dittato­ do De Filippo impersonava un reduce frustrato riale. Qualche cosa di simile si era verificato in — tra l’altro — dal fatto che, al ritorno nella Na­ Francia dopo la caduta del secondo impero se­ poli devastata del primissimo dopoguerra, non guita da una produzione memorialistica e pamph- riusciva a raccontare le sue avventure militari e letistica sterminata che ancor oggi costituisce una di prigionia. Ogni interlocutore infatti, al solo ac­ specialità bibliografica a sé stante. E, sia pur scon­ cenno delle miserie di guerra, si congedava o lo tate mille differenze, il fascismo — come il se­ costringeva a cambiar discorso tanto di queste co­ condo impero — era stato un regime cesareo in­ se ciascuno aveva un proprio bagaglio dolente ac­ teso al “meraviglioso”, al “soprannaturale poli­ compagnato dal desiderio di dimenticarlo. tico”, all’autocelebrazione e alla copertura degli Una verità, però non tutta la verità. aspetti prosaici ma talora piccanti che da sempre Infatti già dal 1944-1945 a mano a mano che sono sottofondo e contorno della vita pubblica. lungo la penisola il cannone cessava di tuonare Se a Roma l’editoria libraria centrata su guer­ principiavano a “gemere” i torchi degli editori ra e fascismo getta le basi mentre le combattive sfornando memorie, diari, spezzoni di documen­ retroguardie di Kesselring menano ancora fen­ tazione, rievocazioni, saggi e pamphlets. E se que­ denti fra Toscana, Umbria e Marche1, bisogna sto facevano gli editori, si può esser certi che ave­ dire che anche nel Nord occupato dai nazifasci­ vano le loro buone ragioni tanto più in un tempo sti si prepara in un certo senso il terreno per svi­ in cui, almeno da noi, i meccanismi per creare bi­ luppi di natura analoga e di proporzioni mag­ sogni generalizzati erano in parte ancora da sco­ giori. Non sempre si ricorda che nella Repub­ prire. Nella fetta di italiani capace di lettura vi blica di Salò almeno una licenza era stata ac­ erano interessi e curiosità diffuse per tutto ciò che quisita: quella di parlar male del re, della fami­ riguardava la guerra, il regime fascista, i suoi per­ glia reale, di casa Savoia in genere (salvo del Du­ sonaggi e i retroscena. ca d’Aosta), di Badoglio, di molti generali e am­ Il fenomeno aveva del resto precedenti illustri miragli sia pure con un certo rischio perché non legati non solo al carattere epico di vicende sto­ era facile prevedere se un determinato perso­ riche (guerre, rivoluzioni, grandi mutamenti di naggio fosse definitivamente e ufficialmente fortuna), ma ancor più al fatto che sul loro per­ “buono” o “cattivo”. Ad esempio, mentre Gra-

1 Infatti già nel 1944 uscivano a Roma i primi libri come ad esempio Leonida Felletti, Soldati senz'armi. Le gravi responsa­ bilità degli alti comandi (De Luigi). Mentre nel 1945, alcuni prima e alcuni dopo la liberazione del Nord, uscivano fra gli al­ tri: Quirino Armellini, La crisi dell'esercito (Priscilla); Clara Conti, Servizio segreto e 11 Processo Roatta. I documenti (De Luigi); Mario Donosti (pseudonimo di Mario Luciolli), Mussolini e l’Europa (Leonardo); Carlo Grazzi, Il principio della fi­ ne. La guerra di Grecia (Faro); Luigi Mondini, Prologo del conflitto italogreco (Treves in realtà Garzanti) e il primo dei due volumi di Giacomo Zanussi, Guerra e catastrofe d’Italia (Corso).

'Italia contemporanea”, dicembre 1998, n. 213 896 Lucio Ceva ziani fu sempre “buono” e Ambrosio sempre veste letteraria ai particolareggiati ricordi del ca­ “cattivo”, Gambara e Guzzoni oscillarono forte­ po-usciere Navarra, pochi libri sono stati utiliz­ mente tra una categoria e l’altra per assestarsi zati o comunque tenuti d’occhio più di questo. poi in un incerto limbo di dimenticanza, e lo stes­ Quasi nessuno fra quanti scriveranno poi su Mus­ so può dirsi — sempre esemplificando — per la solini potrà prescinderne anche se non tutti lo ci­ memoria di Cavallero. teranno. Chi era interessato a\Vesercito nella A far presentire il gusto delle “rivelazioni” era guerra 1940-1943 non poteva trascurare il volu­ stato proprio Mussolini con la sua fortunata se­ me di Roatta che — apologie e polemiche a par­ rie giornalistica sul “Corriere della sera” poi rac­ te — era il primo a fornire dati precisi su vari colta come II tempo del bastone e della carota, aspetti dell’organizzazione militare e delfarma- nella quale, oltre a sparlare pubblicamente di suoi mento terrestre italiani 1940-1943, mentre per le gerarchi fino al giorno prima intoccabili come precedenti vicende vi erano Armellini e Puglie­ Dino Grandi, aveva scodellato, sia pure con tagli se. Notizie sulla strategia, gli alti comandi e i ben mirati, il poi famoso verbale della riunione rapporti con Mussolini si trovavano in Zanussi, 15 ottobre 1940 in cui fu decisa la guerra di Gre­ in Badoglio e in un altro volume del generale Ar­ cia. Il “duce” lo presentava — è vero — come mellini. Sulla produzione bellica, oltre ad accen­ una sorta di antipasto accompagnato dall’avver- ni in Roatta e Zanussi, vi erano i contributi di Fa­ timento secondo cui “data la situazione si pote­ vagrossa, Spigo e Caracciolo di Feroleto. Per le vano aprire gli armadi di ferro e pubblicare se vicende armistiziali vi erano gli scritti di Castel­ non ancora integralmente, almeno i punti essen­ lano, Zanussi e Rossi. Per la caduta del fascismo ziali di molti documenti che appartengono alla e l’S settembre nella capitale c'era f affresco gior­ storia”2. nalistico di Monelli la cui vena brillante si era ar­ E non era forse questo uno stuzzichino desti­ ricchita dopo il 1945 di un tratto nuovo: l’impla­ nato ad aguzzare un appetito latente ma già ro­ cabile senso critico verso Mussolini e gli uomi­ busto? ni del regime. Per la marina, vi era il volume del­ Nel 1946, a Italia completamente liberata, i ti­ l’ammiraglio Iachino, peraltro solo su Matapan, toli sono ormai così numerosi da scoraggiare an­ mentre per visioni d’insieme bisognerà attende­ che citazioni incomplete come quelle fatte per re il 1947-1948 coi primi lavori dell’ammiraglio Roma alla nota 1. E solo possibile accennare a Bemotti e il 1949 con quello di Marc’Antonio qualche pubblicazione per categorie di argomenti. Bragadin, destinato a divenire molto popolare an­ Per i curiosi della quotidianità del dittatore, corché di modesta attendibilità. Per Vaviazione delle sue abitudini di lavoro o di altre più priva­ invece si resterà sostanzialmente a bocca asciut­ te, il contributo fondamentale era quello di Quin­ ta fino al 1947, anno di pubblicazione del primo to Navarra, Le memorie del cameriere di Musso­ impressionistico ma simpatico contributo di Pa­ lini (Milano, Longanesi). Chiunque sia stato a dar gliano3. I fronti di guerra contavano saggi di va-

2 , Il tempo del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942-settembre 1943), supplemento del “Corriere della Sera”, 9 agosto 1944, p. 45. Nella pubblicistica della Rsi ricordo Oreste Gregorio, L’estate di Et Alamein. No­ te di un inviato speciale, Milano, Esse, 1945. 3 Mario Roatta, Otto milioni di baionette. L'esercito italiano in guerra 1940-1943, Milano, Mondadori, 1946; Emanuele Pu­ gliese, lo difendo l’esercito, Napoli, Rispoli, 1946; Carlo Favagrossa, Perché perdemmo la guerra. Mussolini e la produzio­ ne bellica, Milano, Rizzoli, 1946; Umberto Spigo, Premesse tecniche della disfatta, Roma, Faro, 1946; Mario Caracciolo di Feroleto, “Epoi?" La tragedia dell' esercito italiano, Roma, Corso, 1946; PietroBadoglio,L'Italia nella seconda guerra mon­ diale: memorie e documenti, Milano, Mondadori, 1946; Quirino Armellini, Diario di guerra. Nove mesi al Comando supre­ mo, Milano, Garzanti, 1946; Giuseppe Castellano, Come firmai l’armistizio di Cassibile, Milano, Mondadori, 1946; Giaco­ mo Zanussi, Guerra e catastrofe d'Italia, 2 voi., Roma, Corso, 1945-1946; Francesco Rossi, Come arrivammo all’armistizio, Milano, Garzanti, 1946; Paolo Monelli, Roma 1943, Roma, Migliaresi, 1946; Angelo Jachino, Gaudo e Matapan, Milano, Mondadori, 1946; Romeo Bemotti, La guerra sui mari nel conflitto mondiale, 3 voi., Livorno, SET, 1947-1950; Marc’Anto- Prime riflessioni sulla guerra italiana 897 rio valore ma già numerosi: per Tunisia e Africa Ecco, semplificando al massimo, alcuni dei Settentrionale, Messe, Orlando e gli eccellenti luoghi comuni interpretativi da essa avvalorati. memorialisti Pedoja e Piscicelli Taeggi; per la Se l’Italia fu alleata della Germania nazista — Russia, a parte la memorialistica (spesso assai e al pari di questa disfatta — ciò si dovette agli polemica come quella di Revelli e di Tolloy), le errori del solo Mussolini, “un uomo e un uomo prime pubblicazioni delPUfficio storico dello solo”7 per riprendere i termini del radiodiscorso Stato Maggiore dell’esercito; di Grecia e Balca- churchilliano del 23 dicembre 1940. nia avevano scritto, oltre a Zanussi, Mondini e Se fummo sconfitti sui campi di battaglia la Grazzi, Pricolo, Visconti Prasca e Angelini4. colpa fu dunque del solo Mussolini il quale in pri­ Pubblicazioni non numerose ma importanti in­ mo luogo ci gettò in guerra disarmati; in secon­ vestivano il settore della diplomazia e dell’al­ do luogo scelse come alleati i tedeschi i quali ci leanza con la Germania. Basti ricordare il Diario trattarono da servi badando solo ai loro interessi 1939-1943 di Ciano, un significativo campione com’era provato dal contegno delle loro truppe della corrispondenza Hitler-Mussolini e le me­ in Africa e in Russia. morie di due diplomatici: Mario Donosti (pseu­ Un’occhiata ai pilastri chiamati a sorreggere donimo di Mario Luciolli) e Pietro Simoni (pseu­ siffatte credenze mostrerà non solo come le loro donimo di Michele Lanza)5. fondamenta fossero già state poste nel 1945-1946, I volumi 1939-1943 del diario di Ciano ap­ ma altresì come in realtà nella pubblicistica allo­ parsi in Italia nell’aprile 1946 (preceduti da pub­ ra disponibile ricorressero anche notevoli ele­ blicazioni parziali su giornali nazionali e stranieri menti contraddittori che avrebbero dovuto met­ e in libro all’estero) eserciteranno influenza in­ tere in guardia. Non a caso però essi furono tra­ calcolabile sia sugli studi sia sulla pubblica opi­ scurati perché rischiavano di compromettere l’ef­ nione anche perché un dato tipo di lettura sarà su­ ficacia assolutoria delle credenze stesse. bito suggerito con successo6. Concluderò poi queste note con qualche esem­ Constatazione analoga vale, a parer nostro, an­ pio tratto dalla memorialistica che proverà come che per grandissima parte della pubblicistica del in taluni casi essa desse prova di equilibrio e di 1945-1946 di cui abbiamo ricordato qualche cam­ verosimiglianza. pione significativo, e beninteso anche per quella Alleanza con la Germania. Il pezzo forte era degli anni subito seguenti. rappresentato dal Diario 1939-1943 di Ciano al nio Bragadin, Che ha fatto la marina?, Milano, Garzanti, 1949; Franco Pagliano, Storia di diecimila aeroplani, Milano, Ed. Europa, 1947. Ricordo che ai libri della Conti sui servizi segreti replicherà violentemente dieci anni dopo M. Roatta, Scia­ calli addosso al Sim, Roma, Corso, 1955. 4 Giovanni Messe, Come fini la guerra in Africa, Milano, Rizzoli, 1946; Gerolamo Pedoja, La disfatta nel deserto, Roma, Oet Polilibraria, 1946; Taddeo Orlando, Vittoria di un popolo. Dalle battaglie di Tunisia alla guerra di Liberazione, Roma, Cor­ so, 1946; Nuto Revelli, Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, Cuneo, Panfilo, 1946; Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito, L’81 armata italiana nella seconda battaglia difensiva sul Don (li dicembre 1942-gennaio 1943), Roma, Us- sme, 1946 (seguirà l’anno dopo il fascicolo su Csir e Armir); Francesco Pricolo, Ignavia contro eroismo, Roma, Ruffolo, 1946; Sebastiano Visconti Prasca, Io ho aggredito la Grecia, Milano, Rizzoli, 1946; Giuseppe Angelini, Fuochi di bivacco in Croa­ zia, Roma, Tipografia Regionale, 1946. 5 Galeazzo Ciano, Diario 1939-1943, 2 voi., Milano, Rizzoli, 1946; Vittorio Zincone (a cura di), Hitler e Mussolini-lettere e documenti, Milano, Rizzoli, 1946; Pietro Simoni (Michele Lanza), Berlino ambasciata d'Italia, Roma, Migliaresi, 1946 e M. Donosti, Mussolini e l’Europa, cit. 6 Le vicende attraverso le quali la parte 1939-1943 del diario di Ciano era stata salvata erano allora note solo in minima par­ te. Neppure oggi sono del tutto conosciute le circostanze attraverso le quali il diario potè essere completato con la parte 23 agosto 1937-31 dicembre 1938 nonché con altre minori. Per tutto ciò, e in genere sulla documentazione diplomatica e mili­ tare italiana, rinviamo a Howard McGaw Smyth, Secrets ofthe Fascisi Era, Londra-Amsterdam, Southern Illinois University Press, 1975, volume spesso non citato in Italia come per esempio dal pur informatissimo Marco Palla, La fortuna di un do­ cumento, “Italia contemporanea”, 1981, n. 142. 7 Winston S. Churchill, The Second World War, Londra, Cassell, 1949, pp. 547-548. 898 Lucio Ceva quale faceva da contorno un certo numero di let­ mente dell’ultimo in cui Ciano diede ai tedeschi tere scambiate fra i due dittatori, anche se erano l’impressione di essersi allineato sulle loro tesi ancora di là da venire le prime parziali pubbli­ belliciste), era facile cogliere: il carattere stru­ cazioni di documenti diplomatici8. Mentre nes­ mentale del contegno di Ciano (ben diverso da suno si poneva domande sull’autenticità del do­ quello che più tardi egli si attribuiva nell’/niro- cumento, le cose che più colpirono nel diario era­ duzione); l’effimera consistenza della successi­ no l’introduzione scritta nel 1943 dal carcere di va azione frenante su Mussolini che invero si ma­ Verona e uscitane clandestinamente per il noto nifestò solo in corrispondenza di momenti di in­ canale rappresentato da Frau Beetz. L’ex mini­ certezza e dubbio del “duce”10 e che, col dimi­ stro, ormai al passo estremo, valorizza al massi­ nuire di tali oscillazioni, fu velocemente rin­ mo la propria opposizione ai tedeschi nel con­ goiata. Per il primo e fondamentale aspetto, si vegno di Salisburgo (11-13 agosto 1939) e la suc­ rilegga (un esempio fra tanti) l’annotazione cessiva azione spiegata per evitare che Mussoli­ dell’ 11 gennaio 1939 in cui Ciano, dopo aver de­ ni si schierasse con la Germania. Senonché, già scritto Chamberlain e Halifax — in visita a Ro­ allora sulla base del diario e senza attendere la ma — come “disposti a qualunque sacrificio”, documentazione successiva9 che avrebbe offer­ approva l’orientamento mussoliniano per un pat­ to un ben diverso panorama generale dell’in­ to con Germania e Giappone e così ne spiega la contro e dei due colloqui con Hitler (special- ragione:

8 Solo nel 1948 apparirà il volume L’Europa verso la catastrofe. 184 colloqui con Mussolini, Hitler, Franco, Chamberlain, Sumner Welles, Rustu Aras, Stojadinovic, Goering, Zog, François Poncet etc., Milano, Mondadori (d’ora in poi Europa Ca­ tastrofe). L’editore non specificò mai la provenienza di questo materiale sicuramente autentico. Si trattava in realtà di una fra­ zione della sempre parziale ma assai più vasta collezione di documenti trasferita segretamente da Guariglia — durante i 45 giorni di Badoglio — presso l’ambasciata italiana di Lisbona e poi dovuta consegnare agli angloamericani che, venutine a co­ noscenza, l’avevano richiesta ultimativamente in forza delle clausole armistiziali. E quasi certo che, a questo punto, il gover­ no italiano abbia favorito l’improvvisata edizione mondadoriana per prevenirne la pubblicazione da parte angloamericana che anch’essa fu poi, per varie ragioni, parziale e selettiva. Si veda H. McGaw Smyth, Secrets, cit., pp. 1-19 e, per taluni aspetti, Mario Toscano, Storia dei trattati e politica internazionale I parte generale, Torino, Giappichelli, 1963, pp. 328-331. Nessu­ no studioso ha visto gli originali del diario di Ciano e solo pochissimi hanno avuto a disposizione le fotografie degli stessi fat­ te in Svizzera nel gennaio 1945. Tra questi, Gaetano Salvemini poté accertare che le pagine dal 26 al 28 ottobre 1940 relati­ ve all’inizio della campagna di Grecia erano state riscritte, presumibilmente nei cinque mesi del 1943 in cui Ciano fu amba­ sciatore presso la Santa Sede. Secondo altri l’intero diario 1939-1943 sarebbe stato riscritto in quel periodo ma la cosa appa­ re dubbia. Non sono ancora riuscito a sapere dove Salvemini abbia formulato l’osservazione sulle pagine dell’ottobre 1940 (che non figura nel suo Ciano's Diaries, “The Atlantic Monthly”, marzo 1946, pp. 163-167) ma che sia H. McGaw Smyth, Secrets, cit (p.66 nota 108), sia M. Palla, La fortuna, cit., riprendono da Duilio Susmel, Vita sbagliata di Galeazzo Ciano, Mi­ lano, Palazzi, 1962, p.78. Un errore fu rilevato prima dal pubblico che dagli studiosi: la parola Rommel riferita all’Africa set­ tentrionale in data 12 dicembre 1940, in un tempo cioè in cui Rommel, sconosciuto in Italia, nulla ancora aveva a vedere con la Libia. Si tratta certamente di un lapsus per “Roma”, ma solo vedendo l’originale si potrebbe forse stabilirne la natura e l’au­ tore. L’esame di fotocopie delle fotografie originali permette di individuare altre probabili soppressioni di passi. 9 La verbalizzazione tedesca di questo colloquio Ciano-Hitler alla presenza di Ribbentrop apparve (doc. PS 1871) nel voi. XXIX (documenti) del Procès des grands criminels de guerre devant le Tribunal International de Nurberg 14 novembre 1945- 1 octobre 1946, Nurberg, Allemagne, 1948 e fu ripetuta nei Documents on Germán Foreign Policy 1918-1945 (d’ora in poi DGFP), serie D, (1937-1941), vol VII (pubblicato nel 1956), doc. 47. Rilevanti sono le differenze tra la verbalizzazione tede­ sca del secondo e del terzo colloquio di Salisburgo e la verbalizzazione italiana (Europa Catastrofe, pp. 453-458), ripresa tal quale in Ministero degli Affari Esteri, Documenti Diplomatici Italiani,serie 8a / XIII (d’ora in poi DDI). Nella versione ita­ liana del secondo colloquio è del tutto omessa la scena della consegna di un telegramma al Fiihrer e della spiegazione data a Ciano trattarsi del consenso sovietico all’invio a Mosca di un negoziatore tedesco (circostanza che Ciano evidentemente non riferì a Mussolini almeno per iscritto), mentre nella versione italiana del terzo colloquio non figurano le frasi in cui Ciano am­ mette che Hitler possa aver ragione nelTescludere reazioni anglo-francesi all’attacco contro la Polonia. 10 Galeazzo Ciano, Diario, cit., 15-21 marzo, 13-21, 27 agosto, 4-5, 10 settembre, 3 ottobre, 10-16 dicembre 1939, Io - 20 aprile 1940. Si veda Brian R. Sullivan, The impatient cat. Assessment ofMilitary Power in Fascisi ltaly, 1936-1940, in Wil­ liamson Murray and Allan R. Millet (a cura di), Calculations Net Assessment and thè coming of World War II, New York, The Free Press, 1992, pp. 125 sg. Prime riflessioni sulla guerra italiana 899

Avendo nelle mani un simile strumento potremo otte­ clausola che impegnava le parti a garantire un pe­ nere quello che si vorrà. Gli inglesi [...] cercano di re­ riodo di pace di tre-quattro anni. Solo nel 1948, trocedere il più lentamente possibile, ma non voglio­ con la pubblicazione degli atti del processo di No­ no battersi. rimberga, di “L’Europa verso la catastrofe” e del primo dei due lavori di Toscano sulle origini del Espressioni che non s’intonano né all’ingenua (o patto d’Acciaio12, fu chiaro che questo desiderio sfrontata?) speranza espressa nella lettera indi­ di Mussolini e di Ciano (dettato solo da preoc­ rizzata a Winston Churchill nel 1943 dal carcere cupazioni sullo stato degli armamenti italiani) era di Verona (di essere considerato un caduto per “la stato affidato a niente di più vincolante delle causa della libertà e della giustizia”)11 né alle poi chiacchiere scambiate fra Ciano e Ribbentrop nel- fantasticate opposizioni alla politica di Mussoli­ l’incontro di Milano (6-7 maggio 1939) e del co­ ni. Beninteso il diario non fu presentato come una siddetto “memoriale Cavallero” ossia la lettera rivalutazione totale di Ciano (vedi nota introdut­ che Mussolini inviò a Hitler il 30 maggio, dun­ tiva di Ugo d ’ Andrea e prefazione di S umner Wel- que dopo il patto, pretendendo di dame un’inter­ les oltre ai brani d ’inquadramento che precedo­ pretazione “autentica” tale da mutare il senso del­ no ciascun semestre), ma sicuramente cercando le clausole appena firmate. Missiva cui com’è no­ di far ricadere il maggior biasimo su Mussolini to il Fiihrer non rispose mai. del quale tutto si potrà dire ma non che si trovasse In verità molti degli errori della vulgata che, solo e abbandonato nella propria decisione di grazie al diario e alle sue correnti letture, si af­ schierarsi con la Germania né prima né dopo la fermò nel 1946 si sarebbero evitati tenendo pre­ crisi del settembre 1939. Per il prima valeva, in­ sente un altro testo a mezza strada fra il saggio sieme con mille altre, la sopra riportata annota­ storico (per taglio, orizzonti culturali) e il libro zione del diario; per il dopo, ancora una volta il di memorie (per l’importanza dei ricordi e delle diario offriva la prova dell’atteggiamento di Cia­ esperienze dell’autore): il già ricordato volume no al tempo stesso remissivo verso il suocero e di Donosti (Luciolli), Mussolini e l’Europa 13. superficiale coi tedeschi. Assecondò le tendenze Purtroppo quest’opera non raggiunse il grande di Mussolini a manifestare appetiti politico-ter­ pubblico e anche più tardi ad essa fu dedicata ritoriali di entità selvaggia ma non assistiti da pa­ un’attenzione non sempre pari alla sua impor­ ri determinatezza nel precisare e chiarire pretese tanza14. e punti di vista al fine di evitare gli equivoci che Un’attenta lettura di Luciolli non solo avreb­ caratterizzarono poi tutta l’alleanza. be portato chiarezza sui limiti del Patto d’acciaio, Va aggiunto che proprio dal diario derivò il sulle circostanze, sulle leggerezze e perciò sulle convincimento (in parte vivo ancor oggi fra i non responsabilità che si addensarono intorno alla sua specialisti) che il patto d’Acciaio contenesse una stipulazione, ma avrebbe messo in guardia anche

11 W. S. Churchill, The Second World War, cit., pp. 115-116. 12 I verbali italiani dell’incontro di Milano apparvero per la prima volta in M. Toscano, Le origini dei patto d'acciaio, Firen­ ze,Sansoni, 1948, pp. 147-151 (cui seguì l’approfondito Le origini diplomatiche de!patto d’Acciaio, Firenze, Sansoni, 1956). Mentre scriviamo (luglio 1996) essi non sono ancora comparsi nei DDI. Dal 1956 è però possibile leggere nei DGFP, D, voi. VI sia due documenti tedeschi preparatori della riunione (I e li senza data a pp. 444-449) sia un riassunto tedesco 18 maggio 1939 (doc. 341, pp. 450-452) con differenze non trascurabili rispetto alla verbalizzazione italiana. Il memoriale Cavallero fu pubblicato nel 1948 sia nel Procés des grands criminels de guerre devant le Tribunal International deNurberg, cit., voi. XXXI, doc. PS 2818, sia nella prima delle due opere di Toscano ultime citate a pp. 186-189. Esso riapparve nel 1952 nei DDI serie 87X11 n. 59 e quindi nel 1956 nel secondo degli stessi due lavori sopra citati di Toscano. 13 Avrebbe giovato a impedire certe incrostazioni anche una maggiore attenzione al ricordato volume di P. Simoni (Lanza) (per esso e per Donosti cfr. note 1 e 5). 14 Si veda per esempio l’apprezzamento favorevole ma con riserve per il carattere “accesamente polemico” formulato da Ma­ rio Toscano nel suo pur fondamentale Storia dei trattati, cit., p. 594. 900 Lucio Ceva contro interpretazioni tendenti a fare della poli­ chiarazioni revisioniste degli anni ‘20 alla di­ tica estera di Mussolini un’avventura giorno per chiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilter­ giorno intesa soprattutto al successo pubblicita­ ra” mentre “un altrettanto ininterrotto filo logico rio a breve termine. Che anche questi caratteri avrebbe condotto, in senso inverso, all’autodis- fossero importanti nell’azione mussolinianaè in­ soluzione del Fascismo”. Così pure Luciolli ave­ negabile. Tale era stata l’interpretazione sugge­ va ben colto il carattere limitato e compromisso­ rita da Gaetano Salvemini nel suo Mussolini di­ rio della dittatura fascista che, a differenza di quel­ plomatico, libro di battaglia antifascista e non di la nazista, doveva vedersela con forze quali la storia dato che, quantunque ripubblicato nel do­ monarchia e la chiesa romana. Al punto che mol­ poguerra, era nato durante l’esilio a Parigi e per to della decisione per la “non belligeranza” nel forza di cose senza base documentaria15. Ma in settembre 1939 va ricondotta all’influenza del so­ verità a un esame attento non potevano sfuggire vrano16. nella politica di Mussolini talune costanti che al­ E anche se Luciolli non fa oggetto di altret­ meno in parte furono colte da Luciolli. Che il re­ tanto lucido esame il révirement del monarca nel visionismo dovesse alla lunga condurre verso la giugno 1940 (questo sì riconducibile alle vitto­ Germania non poteva costituire una totale sor­ rie tedesche e agli schemi classici del presenzia­ presa. Alla stessa stregua era molto logico che, lismo sabaudo che — nei secoli — aveva dilata­ scatenatosi — a partire dal 1933 — il dinamismo to il ducato a regno e da ultimo a impero), non si tedesco, l’Italia fascista fosse tentata di “asso- può negare che l’intelligente e colto diplomatico ciarvisi anziché di combatterlo”. Ma, osserva Lu­ avesse a tratti anticipato molti elementi delle in­ ciolli, “quel che invece non poteva esser materia terpretazioni della politica estera fascista che in di dubbio è che, per associarvisi utilmente, biso­ questi ultimi anni, dopo circa mezzo secolo, si gnava conoscerne il carattere e valutarne le pos­ contendono il campo. sibilità”. E proprio questo tipo di conoscenza do­ Ossia: 1) quella sostenuta fino alla sua recen­ veva mancare a Mussolini il quale si legò al car­ te scomparsa da Renzo De Felice che, fondan­ ro germanico con prospettive miste di affinità e dosi su vasti scavi archivistici ma anche su nu­ strumentalità poi scivolate nella “paura” tout merose fonti secondarie, tende ad accreditare un court. Una sfumatura diversa vi era in Ciano e Mussolini più opportunista che coerente (“super- nella sua piccola corte, dove invece sopravvisse trasformista”) e soprattutto non ideologo, quasi a lungo l’idea della “strumentalità”, cioè l’illu­ privo di programmi fin dopo l’Etiopia quando, sione che fosse sempre possibile tomare indie­ pur non insensibile al proprio “mito” e incline a tro. Ma Luciolli, voce troppo poco ascoltata, ve­ “sogni farneticanti”, ritarderà nonostante contra­ deva fino da allora (1945) che l’intervento mus- rie apparenze la definitiva scelta di campo. Un soliniano aveva “cause più complesse” del sem­ Mussolini in ogni caso assai lontano dalla co­ plice desiderio di profittare delle vittorie tede­ struzione politico-biologica del nazionalsociali­ sche dell’aprile-maggio 1940. Era impossibile smo le cui affinità col fascismo sono fortemente sconfessare la politica antitedesca senza scon­ svalutate da De Felice17. Non va peraltro dimen­ fessare al tempo stesso se stessi e tutta l’opera del ticato il carattere aperto a “continue acquisizio­ fascismo dalla marcia su Roma in poi: “un filo ni” della ricerca di De Felice sul quale egli ave­ logico ininterrotto conduceva dalle prime di­ va spesso insistito18; 2) quella di scuola anglo-

15 G. Salvemini, Mussolini diplomate, Paris, Grasset, 1932. 16 M. Donosti, Mussolini e l'Europa cit. pp. 79, 103, 226, 212-213. 17 Renzo De Felice, Mussolini il fascista . La conquista del potere. Torino, Einaudi, 1966, pp. 537-538 e passim e Mussolini. Il duce, voi. II, Lo stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981, pp. 321-330, 700-701; Intervista sul Fascismo, a cura di M. A Ledeen, Milano Mondadori, 1992, specie pp. 40-46, 70-91. 18 R. De Felice, Intervista, cit., pp. 20-26. Prime riflessioni sulla guerra italiana 901 sassone che, già con antecedenti in Denis Mac lo paiono racchiusi effetto e causa: Perché per­ Smith e in altri, è ora portata alle estreme conse­ demmo la guerra. Mussolini e la produzione bel­ guenze da B. MacGregor Knox. Anche grazie al­ lica. la valorizzazione del diario di Grandi19 e delle In senso generale la tesi è inoppugnabile e va carte del generale Gàzzera20, essa fa di Mussoli­ senza meno estesa all’intero Tripartito, evidente ni un “ideologo” sostanzialmente orientato ver­ essendo che le sue risorse naturali e industriali so la Germania fino dagli anni venti (missione erano di gran lunga inferiori a quelle della coali­ Capello del 1924, ansiosa attesa del rafforza­ zione antihitleriana comprendente fra gli altri gli mento tedesco fra il 1929 e il 1932, ancor prima Stati Uniti, l’Unione Sovietica e l’Impero bri­ dell’ascesa di Hitler). Il tutto in un quadro che tannico. E poiché nel Tripartito l’Italia fascista mette in valore l’affinità ideologica fra i due re­ rappresentava il parente povero, a maggior ra­ gimi e al tempo stesso la profonda diversità per gione essa non poteva che esser la prima a per­ quanto riguarda la presa sui rispettivi paesi, to­ dere. Cose ovvie. I soli punti non ovvi su cui Fa­ tale quella nazista, limitata da sopravviventi cen­ vagrossa avrebbe potuto utilmente manifestarsi tri di potere (corona, chiesa romana, forze arma­ non riguardavano certo l’esito del conflitto ben­ te) quella fascista21. sì il suo corso. Così il sapere se la produzione Addentrarci nelle dispute d’oggi esorbitereb­ bellica — a parità di risorse — non avrebbe po­ be dai limiti di questa nota ai cui fini era invece tuto essere indirizzata diversamente, se la man­ importante ricordare gli antecedenti del 1945- canza di alcune materie prime fosse stata deter­ 1946. minante e in quali momenti, se e quando avesse cagionato una sottoutilizzazione degli impianti L’idea che il dittatore abbia gettato l’Italia di­ industriali. sarmata in una contesa mondiale è di quelle co­ La sezione più estesa dell’opera {Per frenare sì penetrate non solo nella letteratura ma nella Mussolini ) inizia col capitolo Per scongiurare la coscienza di tante persone che anche il solo met­ guerra dove l’autore narra i propri sforzi per di­ terla in dubbio guadagna a chi vi si attenti la pa­ stogliere Mussolini dall’idea di intervenire nel tente di mentecatto. La tesi è ripetuta con anda­ conflitto, cosa che egli avrebbe fatto perfino co­ mento corale già nel 1945-1946 dai vari Zanus- municandogli dati anche più pessimistici del rea­ si, Armellini, Roatta, Caracciolo e Felletti, per le22. Un’azione dunque tutta politica e sulla qua­ citare i primi che vengono in mente. Sicuramente le ciascuno è libero di farsi l’opinione che crede. però l’argomento ha trovato il suo più vistoso so­ Molte pagine sono dedicate a mettere in ri­ stenitore nel generale Carlo Favagrossa sia per salto la pochezza delle attribuzioni dell’ente da le cariche ricoperte (commissario generale e poi lui presieduto. Indubbiamente si trattava di at­ sottosegretario alle Fabbricazioni di guerra e tribuzioni scarse e compaginate in modo più da quindi ministro della Produzione Bellica) sia per tarpare che da rafforzare l’organismo. Senonché le cifre, gli specchi e i grafici che occupano tan­ l’autore limitandosi a descrivere la situazione te pagine del suo già ricordato libro nel cui tito­ senza approfondirne origini e cause fa pensare

19 Questa fonte (di cui un microfilm dell’originale offerto da R. De Felice nel 1982 si conserva alla Georgetown University Library di Washington D.C.) è citata con frequenza ma non è ancora stata pubblicata integralmente. 20 La parziale pubblicazione in Italia delle carte Gàzzera (“Storia contemporanea”, 1989, n. 6, pp. 1007-1058) è affetta da ta­ gli (non segnalati) uno dei quali elimina proprio il riferimento alla missione Capello del 1924. Al riguardo, anche Jens Peter- sen, Hitler e Mussolini la difficile alleanza, Bari, Laterza, 1975 (ed. or. 1973), pp. 14-16. 21 Vedi ora B. MacGregor Knox, The Fascisi Regime. ItsForeign Policyand its'Wars: An ‘Anti-Anti-Fascist’ Orthodoxy?, “Con- temporary European History”, 1995, pp. 347-365. Per un’interpretazione, coincidente nelle grandi linee ma meno schemati­ ca e basata su eccellente conoscenza psicologica di Mussolini, rinvio ai lavori di Brian R. Sullivan e in particolare a The im- patient cat, cit. 22 C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit, p. 110 e passim. 902 Lucio Ceva si sia trattato del mero capriccio di un tiranno lu­ contrastava con la loro inveterata tendenza al­ natico al più assecondato “dai ministeri militari l’autonomia. che non vollero rinunciare alle attribuzioni ac­ Il sopravvenuto fascismo, sotto un volto diri­ quisite dopo la guerra 1915-1918 con l’aboli­ gista e guerriero, aveva tutta la convenienza a non zione dell’allora ministero Armi e Munizioni”23. urtarsi con le uniche forze che, in particolari cir­ In tal modo solo una parte della verità è sfiora­ costanze, sarebbero state in grado di contestare ta. Il 1° settembre 1939 Favagrossa era succe­ la sua gestione esclusiva della politica: i grandi duto all’integerrimo generale Dallolio nella pre­ interessi economici e le forze armate. A queste sidenza del comitato per la Mobilitazione civile ultime in particolare Mussolini applicava il prin­ (Cmc) nonché in quella del commissariato ge­ cipio del divide et impera . E in ogni campo dif­ nerale per le Fabbricazioni di guerra (Cogefag e fidava di estese concentrazioni di potere. La ca­ poi Fabbriguerra). Ma già da molti anni prima pacità della grande industria di mettere a profit­ del 1939 Dallolio non aveva più i poteri dei qua­ to le vocazioni separatiste delle singole istituzioni li era stato investito nel 1915-1918 allorché con militari aveva partorito la soluzione “ideale”. Fra mano ferrea aveva potuto creare e dirigere la il 1923 e i primi anni trenta erano nati infatti nu­ “mobilitazione industriale” accentrando in sé tut­ merosi enti: un comitato per la Mobilitazione Ci­ te le decisioni circa le commesse (ordini all’in­ vile aggregato alla Commissione suprema di di­ dustria) delle due forze armate (prima del 1923 fesa, suddiviso in tre organi principali e in una l’aeronautica faceva parte dell’esercito). Nono­ rete di “osservatori industriali” ripartiti nelle set­ stante ritardi, inconvenienti e approfittamenti, la te zone in cui il paese era stato suddiviso. Alla te­ “mobilitazione industriale” del 1915-1918 era sta del Cmc si ritrovava il generale Alfredo Dal­ stata nell’insieme un successo perché la produ­ lolio assistito da un comitato interarma e da un zione bellica italiana si era mantenuta all’altez­ segretariato generale. L’insieme però faceva ca­ za delle esigenze militari e talora anzi le aveva po non più al ministero della Guerra ma a un ma­ sorpassate. Naturalmente non erano mancati ri­ stodontico appena varato ministero dell’Econo­ tardi, forniture non soddisfacenti e altri incon­ mia Nazionale. Inoltre la legge 8 giugno 1925 n. venienti rispetto ai quali il sottosegretario e poi 969 sulla “Organizzazione della nazione in guer­ ministro alle Armi e Munizioni disponeva — è ra” stabiliva al suo articolo 4 che l’“organo inca­ vero — di un apparato punitivo. Senonché le pe­ ricato di provvedere alle fabbricazioni di guerra” santissime multe comminate dalla normativa ben (da istituirsi solo in caso di “evidente necessità”) di rado venivano poi inflitte per tema delle ri­ sarebbe stato posto “alla dipendenza dei ministeri torsioni che solevano provocare: al minimo mu­ competenti”. Era perciò evidente che tutta la ma­ tamento di programma o alla più piccola richie­ teria delle commesse all’industria restava in ma­ sta di modificazioni dei materiali il multato rea­ no ai singoli ministeri militari. Senza diffonder­ giva con arresti produttivi o con pretese onero­ ci ora nell’elencazione delle decine di altri enti se. Insomma lo Stato, in tempo in guerra cioè in (uffici superiori, nuclei ecc.) che videro la luce condizioni di necessità, è un cliente debole (di­ verso i primi anni trenta, possiamo concludere scute poco i prezzi, condona le sanzioni, tollera che se la preparazione bellica del paese rimane­ i ritardi) cioè un buon cliente dal punto di vista va dubbia, assicurata e fin dal 1923 era invece la dei produttori. Ma — si sa — ogni cosa buona quasi libertà dell’industria di somministrare alle è sempre perfettibile. E del resto, come anche singole forze armate quel che avesse voluto e al­ Favagrossa accenna di sfuggita, neppure alle sin­ le condizioni per lei più convenienti. Di tanto si gole forze armate era piaciuta l’onnipotenza di ebbe la conferma nel 1935 allorché con l’impre­ Dallolio la cui stringente logica accentratrice sa etiopica il pericolo di guerra si fece improv­

23 C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit, p. 34. Prime riflessioni sulla guerra italiana 903 visamente concreto. Fu allora istituito il già ri­ stesso a rifiutarli raccomandando di attendere la cordato Cogefag (rdl 14 luglio 1935 n. 1374 e de­ fine della guerra prima di concederli (dopo la vit­ creto del capo del Governo 23 settembre 1935), toria insomma), asserendo che la loro adozione strutturato come una specie di “provveditore e nel corso del conflitto avrebbe comportato l’o­ gestore di materie prime e semilavorati”24 (da ri­ nerosa riorganizzazione di quell’ente che egli partirsi tra ministeri militari e civili nonché azien­ stesso altrove aveva definito “un vero aborto” pro­ de produttrici) senza però la minima competen­ prio per la mancanza di quei poteri26. Essi gli fu­ za in fatto di commesse. Non solo. Al Cogefag rono poi comunque attribuiti nel febbraio 1943, erano sottratti campi di grande importanza quali ormai in pieno clima di sconfitta, con la trasfor­ gomma, legname, fibre tessili, canapa, mentre il mazione del sottosegretariato in ministero. vitale settore dei combustibili solidi e liquidi sarà Le carenze interne del Fabbriguerra erano ag­ riservato sino al settembre 1942 a organismi fa­ gravate dai limiti invalicabili del quadro in cui centi capo ai ministeri delle Comunicazioni e del­ doveva operare. Durante la “non belligeranza” le Corporazioni25. Forse Mussolini pensava che l’importazione di materie prime strategiche era il coordinamento sarebbe stato assicurato dalla iugulata sia dalla modestia delle riserve auree e sua personale preminenza. E tale probabilmente valutarie sia dal blocco navale esercitato della fu Fultima speranza di Dallolio quando il 1° set­ Gran Bretagna soprattutto sul carbone tedesco di­ tembre 1939 lasciò la carica. Certamente la gra­ retto a noi. Essa era pronta a sostituirlo con mi­ ve età del generale (87 anni!) giustificava il riti­ nerale proprio purché l’Italia le avesse fornito ar­ ro. Ma dato che egli era stato mantenuto in ser­ mi27, cosa che Mussolini rifiutò nel febbraio 1940. vizio ben oltre i limiti di legge e sarebbe vissuto Del resto, sempre durante la “non belligeran­ altri 13 anni, lucidissimo come testimoniano le za”, le oscillazioni politiche del “duce” non era­ sue carte private posteriori al 1945, è ragionevo­ no rimaste senza riflessi nel campo dell’impiego le chiedersi se il distacco non sia da collegare di risorse. Ai primi di dicembre 1939 Mussolini piuttosto all’insuccesso dei suoi tentativi di am­ decise improvvisamente di fortificare con gran­ pliare e finalizzare le attribuzioni del Cogefag de urgenza la frontiera con l’alleata Germania modificando il ricordato articolo 4 della legge 8 profondendovi un miliardo di lire e ingenti quan­ giugno 1925 n. 969. Ebbene il suo successore, tità di ferro e di calcestruzzo28. Si trattava di or­ generale Favagrossa, lamenta — come già detto dini che Favagrossa non aveva titolo per discute­ — la pochezza delle sue attribuzioni e dichiara re. E tuttavia stupisce che il generale, il quale pu­ “grave errore i 1 non aver concentrato le commesse re — a suo dire — non aveva esitato di fronte a nel Cogefag”. Però quando, nel marzo 1942, Mus­ interventi di natura mediatamente politica per solini si risolve a concedere al Fabbriguerra i so­ “scongiurare la guerra”, non abbia neppure pro­ spirati poteri sulle “commesse”, è Favagrossa spettato in una paginetta al capo del governo qua-

24 C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit., p. 35. 25 Su mobilitazione civile, Cogefag e Fabbriguerra sono fondamentali i lavori di Fortunato Minniti, fra cui Due anni di atti­ vità del Fabbriguerra per la produzione bellica, “Storia contemporanea” 1975, n. 4; Aspetti organizzativi del controllo della produzione bellica in Italia (1923-1943) e Aspetti territoriali e politici del controllo della produzione bellica in Italia entrambi in “Clio”, 1977, n. 4 e 1979, n.l, nonché Le materie prime nella produzione bellica in Italia (1935-1943) (parte I e II), “Sto­ ria contemporanea”, 1986, n.l e 1986, n. 2. Si vedia inoltre Lucio Ceva, Grande Industria e guerra, in Commissione italiana di storia militare, L'Italia in guerra. Il Primo anno-1940, Roma, 1990 e voce Carlo Favagrossa, in Dizionario biografico de­ gli italiani, Roma, Istituto dell’enciclopedia italiana, 1996; L. Ceva e Andrea Curami, Industria bellica e Stato nell'imperia­ lismo fascista degli anni ‘30, “Nuova Antologia”, 1988, n. 2167. 26 C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit., pp. 34-35, 39-40 e all. 1 a pp. 245-246. 27 William Norton Medlicott, The Economie Blockade, 2 voi.. Londra, HMSO, 1952, voi. I, pp. 280-301. Erano richiesti da­ gli inglesi soprattutto anticarro da 47/32 e caccia Re 2000, una interessante realizzazione del gruppo Caproni rifiutata per ra­ gioni poco chiare dalla . 28 MacGregor Knox, La guerra di Mussolini, Roma, Editori Riuniti, 1984 (ed. or. 1982), pp. 97-98. 904 Lucio Ceva li rinunce in altri campi provenivano da tale de­ l’8 settembre i tedeschi catturarono sui piazzali cisione. delle industrie acciai e correttivi in misura a vol­ Una volta entrati in guerra si dipese solo dal te tripla e a volte quadrupla delle dotazioni di par­ buon volere dell’alleato, intermittente e comun­ tenza3 1. Questa constatazione, ricordata anche da que sempre condizionato dalla strozzatura dei tra­ Favagrossa, non sarà sic et simpliciter estensibi­ sporti. Né molto si poteva contare sulle risorse le a tutti i settori ma getta una strana luce su mol­ dell’Europa occupata, la principale delle quali ti asserti del generale. Essi non sembrano più cre­ (petrolio romeno) era totalmente subordinata al dibili delle querimonie di Mussolini a Hitler (6 placet tedesco. novembre 1941) secondo le quali “per difetto di La lamentano di Favagrossa sulla mancanza di materie prime” l’industria italiana avrebbe lavo­ materie prime è — si può dire — continua. E tale rato “al 40-60 per cento delle sue possibilità”32. mancanza è ancor oggi argomento correntemente Ma se anche maggior copia di combustibili, di chiamato a far le spese di qualunque insuccesso. energia elettrica, di caucciù o di nichel sarebbe Invano gli studi di quest’ultimo decennio hanno stata desiderabile, è certo che essa non avrebbe cercato di far notare che una cosa è la carenza as­ influito sul problema dell’armamento italiano che soluta e altra è quella relativa. Se la guerra si fos­ fino circa alla metà del 1942 riguardò la qualità se prolungata oltre il 1943 la povertà italiana non e non la quantità dei mezzi. avrebbe mancato di farsi sentire, ma nello svolgi­ Un’arma efficiente non sempre richiede ma­ mento concreto delle cose ben può dirsi che essa terie prime maggiori o diverse di un’arma sca­ non fece quasi in tempo a esercitare reale inci­ dente. Per semplicità e chiarezza sono costretto denza29. Già la politica delle scorte, avviata a suo a ricordare esempi già illustrati in altri studi33. Il tempo da Dallolio, fu talora interpretata in modo carro medio M I3/40, spina dorsale dei nostri re­ così gretto da provocare interventi dello Stato Mag­ parti corazzati, rimase la stessa “povera cosa” (de­ giore Generale per sbloccare le cosiddette “scor­ finizione del generale Zanussi) sia nel 1941, quan­ te intangibili” che ormai diventavano risparmi fi­ do il nichel usato per la sua blindatura assom­ ni a se stessi. Ad esempio in un promemoria 6 ago­ mava a 46 kg, sia quando nel 1943 esso si era ri­ sto 1942 del maresciallo Cavallero si leggono le dotto a 8 kg. Fin dall’8 maggio 1941 lo Stato seguenti parole in argomento munizioni: Maggiore dell’esercito disponeva della relazio­ ne del generale Giuseppe Sarracino nella quale Le riserve possono essere impiegate senza esitazione si constatava che le corazze dei carri italiani di­ perché se la guerra dovesse durare ancora a lungo strutti dagli inglesi a Beda Fomm (Libia) nel feb­ avremmo sempre la possibilità di mandare a rottame armi e munizioni della scorsa guerra che sono ricche braio precedente (e perciò costruiti nel 1940 con di correttivi pregiati30 31. la più elevata quantità di nichel) avevano ceduto ai proietti inglesi per difetti costruttivi (campate E inoltre notissimo che le industrie disposero troppo ampie, trattamenti termici errati) o per al­ complessivamente di più acciaio e correttivi di tre incurie grossolane (diseguale e insufficiente quanti fossero in grado di lavorarne al punto che serraggio dei bulloni!)34. Ora anche ricordando

29 Per questi concetti cfr. L. Ceva voce , in The Oxford Companion of thè Second World War, Oxford, New York Univer­ sity Press, 1995, pp. 582-586. 30 Archivio Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito (Aussme), Diario Cavallero, agosto 1942, all. 6. 31 L. Ceva e A.Curami, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943, 2 voi., Roma Ussme, 1994 (la ed. 1989), voi. I, pp. 384-385 e nota 66, docc. e letteratura ivi cit. fra cui lo stesso C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit., p. 200. 32 DDI serie 8a / IX, n. 722 (pp. 743-748), p. 744. 33 Cfr. soprattutto opere citate alle note 25 e 31. 34 L. Ceva e A. Curami, La meccanizzazione, cit, voi. I, pp. 339-344 e voi. II, doc. 51 pp. 270-281. Cfr. anche A. Curami, Com­ messe belliche e approvvigionamenti di materie prime, in Commissione Italiana di Storia Militare, L’Italia in guerra. Il Pri­ mo anno-1940, cit., pp. 60-61. Prime riflessioni sulla guerra italiana 905 che — almeno a dire di Graziani — i carri im­ zioni di un opuscolo del suo ministero datato piegati a Beda Fomm erano stati fomiti dall’An- 194339 (e allora segretissimo), teso a dimostrare saldo come “non collaudati”35, si può al massi­ come nonostante tutto la produzione bellica del mo supporre che un collaudo avrebbe migliora­ 1940-1943 fosse stata superiore a quella del 1915 - to il serraggio dei bulloni ma non che avrebbe po­ 1918. Perfarsi un’idea dellapoca attendibilità del­ tuto influire sui difetti progettuali (campate) e co­ l’opuscolo basti osservare che la minore produ­ struttivi (trattamenti termici, disomogeneità del­ zione di “complessi d’artiglieria” moderna viene le colate d ’acciaio). Tutti sanno poi che il basso giustificata riportando acriticamente le scuse de­ rendimento degli stessi carri, non migliorato in gli industriali secondo i quali le nuove artiglierie modo significativo durante l’intero conflitto, era avrebbero richiesto tempi di lavorazione molto dovuto a insufficienza dei motori non cagionata maggiori di quelle dalla prima guerra mondiale. certo da difetto o da cattiva ripartizione di mate­ Asserzione vera ma solo se riferita agli affusti dei rie prime bensì da carenze progettuali. E si è già pezzi per renderli autotrainabili e non certo alle avuto occasione di ricordare il possibile rimedio bocche da fuoco la cui meccanica non era gran­ consistente nell’adattare ai carri motori di aerei ché mutata in un ventennio. L’incongruenza del­ ormai superatissimi e che tuttavia l’aeronautica l’argomento risalta ancor più quando si rifletta che continuava ad acquistare a centinaia: ordini ri­ nell’esercito italiano, esattamente come in quel­ spettivamente del 27 novembre 1942 e del 6 mar­ lo tedesco, le bocche da fuoco destinate all’auto­ zo 1943 relativi ai caccia monoplani Fiat G 50 traino erano solo quelle dei reparti motocorazza­ bis e biplani Fiat CR 4236. Le ragioni di questi ti e quelle d’armata, mentre la massa delle fante­ acquisti ci sfuggono trattandosi di materiali ne­ rie per tutto il conflitto era dotata degli stessi pez­ cessariamente destinati alla demolizione. L’uti­ zi del 1915-1818 (talora di poco migliorati negli lizzazione per i carri dei motori di tali aerei sa­ anni venti) e tutti ippotrainati al pari di quelli40. rebbe stata di sicuro possibile trattandosi di con­ Orbene, i dati dell’opuscolo ufficiale del ministe­ gegni in tutto analoghi (perché derivati dagli stes­ ro, in gran parte ricalcati su documentazione im­ si capistipite) a quelli che gli anglo-americani in­ bevuta di pubblicità Ansaldo, si ritrovano perfino stallavano nei loro carri “Crusader” e anche nel­ oggi frequentemente anche in lavori a preteso ca­ le prime serie di “Sherman” che con tanto suc­ rattere “storico”. cesso ci contrastavano nel deserto37. Certo i mastodontici programmi di nuove arti­ Il ministro della Produzione bellica, che non glierie (che ci avrebbero dotati di un buon parco ha dedicato una sola riga a quanto sopra, ne spen­ verso il 1945-1949!) erano stati varati nel 1938 de alquante per esaltare “la genialità” degli indu­ cioè prima dell’ascesa di Favagrossa il quale nel striali e il loro “aver fatto miracoli dando prova di 1940-1941 partecipò solo alla decisione di ridurli capacità organizzativa e di spirito di adattamento per dare la precedenza ai mezzi corazzati. E cu­ veramente rari”38. Inoltre egli trascrive larghe por­ rioso però che non una parola sia spesa per ricor-

35 Rodolfo Graziani, Ho difeso la Patria, Milano, Garzanti, 1948, pp. 239-240. 36 I 100 G 50 bis e i 152 CR 42 ordinati rispettivamente alla CMASA e alla Fiat furono ridotti a 80 e a 122 nel luglio 1943: cfr. A. Curami-Gianni Gamberini, Catalogo delle matricole militari della Regia Aeronautica (1923-1943), studio fuori com­ mercio, Milano, 1992. 37 L. Ceva e A. Curami, La meccanizzazione, cit„ voi. I, pp. 387-397. 38 C. Favagrossa, Perché perdemmo la guerra, cit., pp. 17, 73 e passim. 39 Miproguerra, Cenni sullo sforzo sostenuto dal paese per la produzione bellica nella guerra 1940-43 e sua entità nei con­ fronti della guerra 1915-18. Potenziamento dell’ industria bellica 1939-1943, Roma, luglio 1943 (a stampa). L’opuscolo mi­ nisteriale riproduce alla lettera molte parti della Relazione sull’attività dell’Ansaldo S.A. dal 1939 al 1943 nel campo delle costruzioni di artiglierie, dattiloscritto di 76 fogli più 4 di allegati in Fondazione Einaudi ( Torino), Archivio Rocca, 14.51. 40 Richard L. DiNardo e Austin Bay, Horse drawn transport in thè German Army, “Journal of Contemporary History”, 1988, n. 1, pp. 130-142. Il tema è ripreso e ampliato da DiNardo in Mechanized Juggernaut or military anachronism?, Londra- NewYork, Greenwood Press, 1991. 906 Lucio Ceva dare come, oltre a questi programmi (anzi in par­ considerata senza adeguato esame delle struttu­ ziale loro vece dopo che furono ridotti), si sa­ re di ricerca che avrebbero dovuto provveder­ rebbero potuti adottare (come avvenne ad esem­ vi43. Per tacere del fatto che non tutti gli avvi­ pio in Gran Bretagna e in Germania) accorgi­ stamenti notturni per noi funesti furono opera del menti idonei per migliorare gittata e potenza di radar. Questo nella notte di Matapan localizzò molte vecchie artiglierie sia ritubandone le can­ solo il Pola rimasto isolato e fermo per l’aerosi- ne sia migliorandone il munizionamento, come luro ricevuto. Ma gli altri due incrociatori della da anni e su autorevoli riviste scientifiche anda­ stessa 1“ divisione (Fiume e Zara) i quali — coi vano suggerendo provetti tecnici italiani41. E na­ relativi cacciatorpediniere — avevano invertito turale che le grandi industrie preferissero i rin­ la rotta per soccorrere il Pola, furono distrutti a novamenti totali che assicuravano lavoro per an­ cannonate dagli inglesi che, ancora ben lontani ni e che permettevano altresì il rinnovo gratuito dalla nave ferita, li avevano avvistati con sem­ degli impianti grazie all’anticipo del 15 per cen­ plici binocoli. Si ripete che i motori radiali dei to a fondo perduto promesso e pagato alle gran­ nostri velivoli da caccia con la loro forma e di­ di aziende produttrici (Temi, Oto, Ansaldo)42. Ma mensione avrebbero tarpato la velocità, come se ciò non toglie che, indipendentemente dalla suc­ radiali non fossero stati i propulsori dei velocis­ cessiva riduzione dei programmi, i previsti anni simi Focke Wulf FW-190 tedeschi e dei Repu- di attesa avrebbero potuto essere messi a profit­ blic P-47C Thunderbolt americani! Un “giorna­ to con rimedi interinali di costo modesto. Il ge­ lista-tuttologo”, rievocando dopo cinquant’anni nerale Favagrossa ha preferito sorvolare su que­ su un grande quotidiano il bombardamento ame­ ste circostanze, delle quali, pur non essendone re­ ricano di Roma del 19 luglio 1943, non ha esi­ sponsabile, non poteva non essere a conoscenza, tato a deplorare le condizioni della caccia italia­ e riferire invece tutte quelle altre intonate alle “ra­ na non tanto perché poco numerosa, male arma­ gioni” dell’industria. ta e poco veloce, ma perché dotata di aerei “di A tanta distanza di anni possiamo solo con­ legno”, ignorando evidentemente che in legno statare come Favagrossa abbia contribuito a im­ erano anche i de Havilland Mosquito Mkl, for­ porre in tema di “impreparazione” una chiave di se i migliori aerei da cooperazione della secon­ lettura ingannevole, assolutoria e forse proprio da guerra mondiale. per questo fortunatissima e persistente. Da allo­ Potremmo continuare l’elenco se ci propo­ ra leve di “esperti” si sono sbizzarrite nell’accu­ nessimo di offrire un campionario di inesattezze mulare cahiers de doléances sull’arretratezza e di omissioni. Ma lo scopo è solo quello di ri­ delle nostre armi causa di ogni sventura. Il fuci­ cordare come certa pubblicistica abbia contri­ le 91, come se fosse stato sostanzialmente di­ buito a far dimenticare che le vittorie, prima di verso dal Mauser tedesco, dal Lebel francese o tradursi in termini tecnici, numerici ed economi­ dall’Enfield inglese. Il “terribile” mortaio dei ci, maturano nel campo della cultura, dell’abitu­ greci, che era né più né meno il nostro Brandt dine a guardar fuori di casa e dell’addestramen­ costruito su licenza francese. Mancavamo di ra­ to. E una volta che le sconfitte sono avvenute, se dar, deficienza gravissima indubbiamente, ma non le si vuol rivivere, vanno messe a profitto con

41 Renzo Garrone La nostre artiglierie post-belliche, “Rivista di artiglieria e genio”, agosto 1930, pp. 1503-1516; F. Marrajeni, Gli esplosivi, le armi della fanteria, le artiglierie, Roma, Pinnarò, 1928. Cfr. anche A. Curami-Fulvio Miglia L’Ansaldo e la produzione bellica, in Francesca Ferratini Tosi, Gaetano Grassi, Massimo Legnani (a cura di), L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Milano, Angeli, 1988. 42 Comitato per la storia delTartiglieria italiana, Storia dell’artiglieria italiana, Roma, Rivista d’Artiglieria e Genio, voi XV, pp. 361 e sg.; L. Ceva Un intervento di Badoglio e il mancato rinnovamento dell’artiglierìa italiana, ‘‘Il Risorgimento”, 1976, pp. 117-172; L. Ceva-A. Curami La meccanizzazione, cit. voi. 11, doc. 49 e 49b (pp. 258-264). 43 In argomento si veda ora Franco Mattesini, I radiolocalizzatori della R. Marina, “Bollettino d’archivio della Marina mili­ tare”, settembre 1995 (la parte, pp. 95-198) e dicembre 1995 (2a parte, pp. 25-141). Prime riflessioni sulla guerra italiana 907 lo studio e la riflessione, non cullandosi in pana­ servizi, tozzi, dinoccolati, trasandati non facevano gran cee assolutorie. bella figura. Ma figura assai peggiore di questi bravi Che in Africa e in Russia l’alleato tedesco non figliuoli, che se non avevano dalla loro l’aspetto guer­ solo ci avesse trattato con sprezzo e scarso ca­ riero, possedevano un coraggio e una tenacia che eb­ meratismo ma addirittura avesse consumato ai bero modo poi di rifulgere nel seguito della campagna, nostri danni sistematiche “rapine” era convinci­ allorché i loro prestanti ed eleganti “camerati” tede­ schi, saltati in autocarro, li abbandonarono al loro de­ mento nato nel 1942-1943 e divenuto nel 1945- stino, fecero i nostri carri armati [...]. 1946 così assiomatico da non meritare neppure trattazioni ex professo ma al più semplici accen­ E più oltre a proposito della rotta di E1 Alamein: ni “di passata”. Chi ha avuto occasione di di­ scorrere nel 1943 o nel 1944 coi reduci dai fron­ Le truppe di Rommel erano montate quasi al comple­ ti, ha udito molte parole di sdegno e condanna a to su automezzi; quelli che mancavano vennero sot­ questo proposito, con poche eccezioni limitate in tratti ai nostri secondo il sistema che ai danni del- genere alle forze aeree. l'ARMIR stava già praticandosi in Russia. In tal mo­ La cosa del resto s’inquadrava assai bene in do il grosso delle forze di Rommel [...] riuscì a sgan­ una rappresentazione generale del contegno di ciarsi e a ripiegare [...] Alle nostre formazioni appie­ molte truppe tedesche che purtroppo non era af­ date e cioè alla massa del nostro corpo di spedizione, fatto un semplice stereotipo. Sa di che cosa par­ toccò quel che doveva accadere al già ricordato AR- MIR: abbandonate a se stesse, circondate da tutte le liamo chi ricorda non solo le operazioni “di po­ parti, senza collegamenti, senza automezzi, senza rifor­ lizia” delle SS e degli altri “reparti speciali” ma nimenti, esse resistettero strenuamente finché il nemi­ anche, per esempio, la sistematica fucilazione co non le sommerse (corsivo nostro)45 dei 3.000 prigionieri italiani compiuta non da SS ma da normali forze della Wehrmacht a Cefalo- Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e sempre con nia nel settembre 1943. Vi sono insomma pochi l’accennato tono di cosa risaputa che ormai non dubbi sul punto che, in fatto di crudeltà orga­ vale neppure la pena di dimostrare ma solo di rie­ nizzata, spesso i tedeschi primeggiassero. Cer­ vocare incidentalmente. tamente la Russia di Stalin fu per loro un con­ Eppure già allora non era mancato il tentativo corrente di tutto rispetto e anche il Giappone non di contenere in giusti limiti l’accusa basandosi scherzava. Per tacere poi della brutalità più im­ non sulla chiacchiera generalizzata ma racco­ provvisata ed estemporanea ma non per questo gliendo testimonianze affidabili o ragionando su meno grave cui nessuno è rimasto estraneo, a co­ dati documentali. minciare da noi44. Testimonianze circostanziate erano offerte da Però non ogni verità, anche terribile, giustifi­ Gerolamo Pedoja, un corrispondente della “Gaz­ ca l’estensione generalizzata ad altri episodi. Scri­ zetta del popolo” autore di un volume pubbli­ ve il generale Giacomo Zanussi, a proposito di cato nel 1946 assai serio e con tratti di origina­ un’ispezione in Libia compiuta nell’estate 1941 lità. Sarà anche per questa ragione che Pedoja è al seguito di Roatta sul fronte dell’Halfaya dove oggi del tutto dimenticato e il suo libro, già in­ nostre truppe erano frammischiate a quelle di trovabile negli ultimi anni quaranta, non ha mai Rommel: avuto l’onore di una ristampa. Pedoja dunque aveva ricostruito sul posto qualche episodio che Accanto ai soldati tedeschi, alti, ben piantati, prestan­ vale la pena di ricordare. A Marsa Matruh un ti [...] i nostri ausiliari, per lo più addetti al genio e ai colonnello tedesco con scorta armata impose il

44 Citiamo per tutti la testimonianza postuma resa in Diario AOl—15 giugno 1936-4 ottobre 1937 (Milano, Longanesi, 1971) dall’insospettabile giornalista del Regime Ciro Poggiali. 45 G. Zanussi, Guerra e catastrofe d’Italia, cit., voi. I pp. 124 e 276. 908 Lucio Ceva distacco dei locomotori a nafta da un trenino- [...] Apolloni abbassa la voce: “E quell’ufficiale tede­ ospedale con “oltre un centinaio di nostri feri­ sco, si ricorda?” “Quale ufficiale tedesco?” Apolloni ti”. Ottenuto così di “formare d’urgenza un al­ mi guarda. “Quell’ufficiale tedesco che gridava raus tro convoglio per i bisogni delle forze armate te­ con la pistola un mano, che voleva buttarci fuori dal- l’isba quella notte. Sior tenente, lei lo gà copà, non si desche”, i nostri feriti, fatti in seguito prigio­ ricorda?” No che non mi ricordo, sinceramente. “Non nieri dagli inglesi, assistettero poco dopo “alla mi ricordo, Apolloni”, dico. Apolloni sembra esitare. partenza di altri vagoncini carichi di materiale “Sì, lo gaveimo copà”. “Ma chi lo ammazzò?” dico. d’equipaggiamento in cui figuravano soprattut­ “Io non mi ricordo”. Apolloni mi guarda, mi pare di to tende, casse, brandine da campo, tavoli e se­ capire che egli non crede che io non ricordi. Tomo a die a sdraio”. Inoltre: domandare: “Ma chi fu ad ammazzarlo?” E Apolloni: “Lei. Noi. Sì, sior tenente. Cadde giù come nel cine­ Presso Sollum, alcuni nostri soldati, pur sapendo che ma avvitandosi”47. i tedeschi si opponevano dappertutto con ferocia a prenderli a bordo degli autocarri anche se vi fosse sta­ In un suo recente studio Alessandro Massigna- to posto, s’aggrapparono a un camion carico di ma­ ni — sulla scorta di documentazione e testimo­ teriale di fureria. Ma dovettero lasciar subito la pre­ nianze non solo tedesche — avvalora l’ipotesi sa per i violenti colpi di calcio di fucile ricevuti sul­ che il generale Karl Eibl, comandante la 385a le mani. I nostri, esasperati e con le mani sanguinan­ divisione di fanteria tedesca, sia stato ferito a ti, si dettero allora a sparare contro i “camerati”. E nello scambio di fucilate vi furono un morto e alcu­ morte, e non involontariamente, da una bomba ni feriti46. a mano gettata da alpini italiani. E non si può neppure escludere che poco o nulla sia stato poi Episodi gravissimi senza dubbio e quasi certa­ fatto per soccorrerlo48. Massignani è studioso mente non i soli. Ma pur sempre eventi comuni serio e accurato e del resto nella sua ricostru­ nelle ritirate precipitose che si svolgono spesso zione della ritirata sul Don egli segnala impar­ all’insegna del “si salvi chi può”. Ma poi siamo zialmente anche non pochi comportamenti ri­ proprio sicuri che abusi e violenze furono solo da provevoli dell’alleato. parte tedesca e non magari anche da parte italia­ In conclusione sono proprio credibili queste na quando l’occasione si presentò? guerre e queste ritirate con tutti i santi da una par­ Durante la tragica ritirata di Russia, allorché te e i reprobi dall’altra? trovar posto in una misera e sovraffollata “isbà” Ma tornando alla pretesa sottrazione degli au­ al calare del sole segnava la differenza fra so­ tomezzi italiani da parte dei tedeschi nella ritira­ pravvivere o morire assiderati, non ci si scam­ ta da E1 Alamein, dobbiamo ricordare la convin­ biavano certo complimenti. zione espressa nel 1946 dal maresciallo Giovan­ Negli anni sessanta un altro giornalista serio, ni Messe il quale, giunto in Africa a soli tre me­ Egisto Corradi, ritrova nel carpentiere Apolloni si dai fatti a comandare proprio i superstiti di E1 da Thiene il suo attendente di vent’anni prima, Alamein, era pervenuto alla conclusione che non anch’egli uno dei pochi superstiti della “Julia”. dovesse parlarsi di “sottrazione” bensì “di man­ Ed è tutto un rievocare in cui dimenticanze e “ri­ cata restituzione” di mezzi. I tedeschi infatti mozioni” dell’uno incastrandosi coi ricordi del­ avrebbero rigettato una domanda di restituzione l’altro ricreano il quadro. di due autoraggruppamenti che gli italiani fin dal

46 G. Pedoja, La disfatta nel deserto, cit., pp. 170-171. Nel secondo episodio sembra riconoscibile quanto, con le già dette am­ plificazioni, annotato nel diario di Ciano il 12 novembre 1942. 47 Egisto Corradi, La ritirata di Russia, Milano, Longanesi, 1964, p. 213. 48 Alessandro Massignani, Alpini e tedeschi sul Don. Documenti e testimonianze sulla ritirata del corpo d’armata alpino e del XXIV Panzerkorps germanico in Russia nel gennaio del 1943. Con il diario di guerra del generale tedesco presso l'8e ar­ mata italiana, Valdagno, Rossato, 1991, pp. 89-93. Prime riflessioni sulla guerra italiana 909

1941 avevano assegnato all’Afrika Korps per i ferirci a quella ancora assai esile relativa al fron­ suoi bisogni logistici49. te nordafricano perché quella sulla Russia per la Ora si può star certi che, se le amplificazioni sua abbondanza già nel 1946 richiederebbe una di qualche fatto vero sono ormai entrate nella trattazione a sé. Nel 1946 i contributi degni di no­ “memoria storica” degli italiani assai più delle ta sul fronte africano erano due: il ricordato La puntualizzazioni di Messe, nessun posto verran­ disfatta nel deserto di Pedoja e le memorie del­ no a occuparvi le ancor diverse, gravi e docu­ l’ufficiale artigliere Oderisio Piscicelli Taeggi51. mentate affermazioni espresse negli anni settan­ Di Pedoja qualcosa abbiamo appena detto, ma ta da alti ufficiali italiani, il generale Mancinelli esso va ricordato anche per altre ragioni. Nel 1946 e il colonnello Gravina. Alla radice della perdita il suo era l’unico libro particolareggiato sull’a­ delle fanterie starebbe, secondo loro, il rifiuto op­ vanzata fino a E1 Alamein, sull’ultimo tentativo posto dal nostro Comando supremo al prestito di di sfondamento italo-tedesco a fine agosto 1942. 1.500 automezzi e relativo carburante richiesto Conteneva anche insuperate pagine sulle diverse da Rommel per approfittare della sopravvenuta condizioni della truppa nelle varie unità e offri­ sosta della battaglia (30 ottobre) al fine di far ri­ va descrizioni — per quanto ci consta — ancor piegare “di circa 100 chilometri (sulle posizioni oggi uniche di taluni fatti. Fra essi il soggiorno di Fuka) le truppe di fanteria italiane e tedesche, di Mussolini in Libia nella vana attesa di entrare con armi e munizioni, dalla divisione ‘Bologna’ vittorioso ad Alessandria (giugno-luglio 1942), compresa in giù, vale a dire per la parte centro­ nonché vicende di combattimento e di vita civi­ meridionale dello schieramento”. Ossia proprio le in Tunisia fra dicembre 1942 e gennaio 1943, il segmento di linea che dovrà poi arrendersi agli sulle quali nessuno si è poi soffermato. inglesi in pieno deserto. Ebbene, dati gli umori Sia Pedoja sia Piscicelli Taeggi, pur così di­ del Comando supremo romano, ignoriamo se an­ versi, hanno un tratto comune strettamente lega­ cora ottimisti o se già intonati alFaltemativa “vit­ to al tempo in cui scrissero. La figura di Rommel toria o morte” che il 3 novembre piomberà da Ra- non campeggia. Eravamo prima del 1950, quan­ stenburg (subito riecheggiata da Palazzo Vene­ do in Gran Bretagna il popolare volume di De- zia), una concessione di automezzi era sentita co­ smond Young, seguito poi dai Rommel Papers me incoraggiamento a quella rotta che doveva ve­ (opere tradotte in infinite lingue anche se il se­ rificarsi qualche giorno dopo e in condizioni tan­ condo quasi sempre con tagli rilevanti), fece del to peggiori50. vinto di E1 Alamein un eroe e addirittura un an­ In ogni caso, tralasciando questi apporti degli tinazista. Pedoja, che come giornalista respirava anni settanta, si deve constatare una volta di più spesso l’aria dei comandi italiani, riecheggia ta­ che già nel 1945-1946, anche a parità di diffu­ lora i risentimenti che il maresciallo tedesco vi sione editoriale, determinate versioni incontra­ suscitava. Piscicelli Taeggi, in prima linea agli vano maggior fortuna di altre. ordini di Rommel dalla primavera 1941 al gen­ Bisogna infine prendere atto di taluni buoni naio 1942, lo nomina poche volte e senza parti­ apporti della memorialistica e vogliamo qui ri­ colare enfasi. Sono ancora lontani gli anni in cui

49 G. Messe, Come finì la guerra in Africa., cit., p. 23. 50 Giuseppe Mancinelli (poi capo di Stato Maggiore deH’armata Messe e capo di Stato Maggiore della Difesa dal 1954 al 1959), Dal fronte dell’Africa Settentrionale (1942-1943). Dall’ invasione dell'Egitto all'abbandono della Libia, Milano, Riz­ zoli, 1970, pp. 196-198 e 217 e Igino Gravina (collaboratore dell’Ufficio storico dell’esercito), Le tre battaglie di El Alamein, Prefazione del generale Emilio Faldella, Milano, Longanesi, 1971, pp. 356-357 e all. II. Gli allegati di novembre 1942 del dia­ rio Cavallero conservato in Aussme ci sembrano confermare le versioni di Mancinelli e di Gravina. 51 Oderisio Piscicelli Taeggi, Diario di un combattente nell’Africa Settentrionale, Bari, Laterza, 1946. Nel 1972 ne fu pub­ blicata da Longanesi (Milano) una riedizione leggermente accresciuta e col sottotitolo Carri armati e cannoni fra Marmari- ca e Tunisia . 910 Lucio Ceva non vi sarà memorialista d’Africa che non abbia bidienti e devoti al nome della patria”52. Al di là avuto incontri frequenti o scambi di frasi col ma­ infatti dell’appassionante avventura vissuta sem­ resciallo tedesco. Per Piscicelli, Rommel è solo pre con coraggio e consumata perizia risalta l’ac­ il comandante che talora gli accade di vedere trat­ cusa “contro chi, inseguendo le chimere del suo tandosi di un capo che stava abitualmente con le cervello, ha abusato delle nostre coscienze, del­ avanguardie. le nostre volontà, delle nostre intelligenze, della Ma altra soprattutto è la forza del volume di nostra fedeltà alla bandiera”53. Piscicelli Taeggi che spinse Benedetto Croce a Per taluni riguardi vi sono dunque memoria­ volerlo pubblicare: l’ammirazione dovuta al com­ listi che hanno offerto cinquant’anni or sono chia­ battente che in pagine “ricche di vita e prive di vi di lettura che ci sembrano più lucide e duratu­ retorica” rievoca con quali difficoltà e sacrifici “i re di quelle di altri settori della pubblicistica del­ nostri soldati combatterono non già per lo scia­ l’immediato dopoguerra. gurato regime ma per l’onore d’Italia, sempre ub­ Lucio Ceva

52 Non siamo riusciti a trovare la collocazione di queste parole di Croce (forse in una lettera) riportate a p. 2 della “quarta di copertina” dell’edizione Longanesi di Piscicelli Taeggi. 53 O. Piscicelli Taeggi, Diario di un combattente nell’Africa Settentrionale, cit p. 2 dell’edizione Laterza.

STUDI ECONOMICI E SOCIALI Rivista di vita economica - Centro studi “G. Tomolo” Sommario del fase. IV, ottobre-dicembre 1998

Articoli A. Fazio, Banche e finanze in Italia', R. Molesti, Giuseppe Toniolo 80 anni dopo; J.-Y. Calvez, Aspetti evolutivi del mondo del lavoro; F. Luciani, L. Nanni, Rifiuti: aspetti legislativi e gestionali

Note e rassegne S. Trucco, Note alla bibliografia di Giuseppe Toniolo

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