Aristocratico ed elegante, Michael, giovane membro del Parlamento, ha potere e ricchezza, ma non una sposa. Il giovane non crede nell’amore, così sceglie una fanciulla di nobile nascita e poche ambizioni. A opporsi a questo matrimonio è Caroline, la bella zia della prescelta. In lei, risoluta e sensuale, Michael scopre la donna dei suoi sogni, ma dovrà usare tutto il suo fascino per convincerla che, solo sposandolo, lei potrà realizzare i desideri celati nel profondo del cuore. L’undicesimo libro della saga dei Bar-Cynster, i fratelli e i cugini più affascinanti dell’Inghilterra dei primi dell’800

Copertina: Art Director: Giacomo Callo Image Editor: Giacomo Spazio Mojetta Realizzazione: Studio Echo

Titolo originale: The Ideal Bride © 2004 by Savdek Management Proprietory Ltd. © 2006 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Prima edizione I Romanzi giugno 2006

Per abbonarsi: www.abbonamenti.it Finito di stampare nel mese di maggio 2006 presso Mondadori Printing S.p.A. via Bianca di Savoia 12, Milano. Stabilimento NSM viale De Gasperi 120 - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in Italy

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La Voce del Desiderio

Dedicato con affetto, alle altre quattro “Autrici Scandalose” Victoria Alexander, Susan Andersen, Patti Berg e Linda Needham. Non so come farei senza di voi!

Capitolo 1

Eyeworth Manor, Fritham, New Forest, Hampshire Fine giugno 1825

Moglie, moglie, moglie, moglie... Michael Anstruther-Wetherby imprecò dentro di sé. Sentiva quella parola dal giorno prima, da quando si era accorto che echeggiava, chissà come, nel cigolio delle ruote della carrozza lanciata a tutta velocità sulla strada del ritorno. Il giorno precedente poteva anche capirlo, dato che era stato a un matrimonio, ma non si sarebbe mai aspettato di sentire quel ritornello risuonare anche quel giorno nel battito degli zoccoli del suo cavallo. Sposarsi era un passaggio cruciale della vita e per lui stava diventando un obbligo. Se non fosse andato al matrimonio di Amelia Cynster nel Cambridgeshire, avrebbe avuto l’opportunità di fare un passo avanti verso il fidanzamento. Non aveva potuto declinare l’invito, anche perché era sua sorella Honoria, duchessa di St. Ives, a fare gli onori di casa e quel matrimonio era l’occasione per rafforzare i legami familiari. Lui teneva in grande considerazione la famiglia. Proprio grazie alla famiglia si era affermato in quegli anni, riuscendo dapprima a farsi eleggere deputato e poi a conquistare sempre più prestigio nel partito. Ma questo, dopotutto, era un aspetto secondario: lui apprezzava la famiglia in quanto tale, senza considerazioni utilitaristiche di sorta. Mentre Atlas trottava veloce sul viale che conduceva fuori dal parco, lui guardò dapprima il maniero, un massiccio edificio di tre piani in pietra grigia, poi la stele che sorgeva a meta strada tra la casa e il confine della tenuta. Era stata eretta quattordici anni prima, proprio nel punto in cui suo padre, sua madre, le sue sorelle e fratelli avevano trovato la morte in un pomeriggio di tempesta, uccisi da un albero caduto. Lui e Honoria avevano visto tutto dalle finestre del maniero: un fulmine aveva colpito l’albero, facendolo precipitare di schianto proprio sulla carrozza che riportava a casa i loro cari. Quell’albero aveva distrutto la loro vita, lasciandoli soli, affranti, sconvolti dal dolore. Lui aveva solo diciannove anni, sua sorella sedici, e dovettero dividersi. Erano riusciti a mantenere i contatti, nonostante tutto, e anche adesso erano molto vicini, anche se lei aveva sposato il duca di St. Ives. Una scelta che era stata difficile per una donna come lei, gelosa della sua indipendenza. Ma aveva trovato la persona giusta, una fortuna che lui non poteva più permettersi di attendere: i suoi programmi, le sue ambizioni, gli imponevano di sposarsi al più presto. Si fermò davanti alla stele, chinò la testa in un attimo di raccoglimento, poi si voltò e scosse le redini. Atlas riprese il suo passo spedito, superando il cancello in un baleno. Michael affondò i talloni e il cavallo galoppò sullo sterrato che attraversava i campi. Il ricordo di quell’incubo, delle urla, dei nitriti, della corsa disperata sotto la pioggia battente lentamente svanì, lasciando riemergere gli impegni del presente. Quel giorno avrebbe mosso il primo passo che gli avrebbe permesso di creare la sua famiglia. “Una moglie.” La campagna fioriva rigogliosa attorno a lui, cingendolo nel suo verde abbraccio. Stretto e tortuoso, lo sterrato univa il maniero alla strada per Lyndhurst attraversando i boschi in cui giocava da bambino. Poco prima dell’incrocio c’era un’altra stradina sterrata che portava al villaggio di Bramshaw e a Bramshaw House, la sua destinazione. Aveva deciso di sposarsi mesi prima, ma gli impegni di deputato l’avevano trattenuto a Londra fino alla chiusura estiva del Parlamento. Adesso però era libero e nonostante il breve rinvio per il matrimonio di Amelia, voleva chiudere al più presto la questione. Per questo aveva lasciato anzitempo il pranzo di nozze, in modo da guadagnare un giorno prezioso. “Dunque è una questione d’importanza capitale” aveva commentato Amelia. “In un certo senso...” Una risposta onesta. Per un parlamentare di trentatré anni scapolo e con ambizioni di ministro, prendere moglie era davvero una questione d’importanza capitale. Lui aveva accettato ormai da tempo la necessità di farlo, anche perché quella prospettiva era sempre rimasta sullo sfondo, nonostante gli impegni. In quale altro modo poteva crearsi la famiglia che desiderava tanto? Purtroppo gli anni passavano e, preso com’era dalla sua carriera, dai mille impegni con la gente, con l’alta società, con i Cynster, sembrava impossibile trovare il tempo per cercarsi una moglie adatta. Adesso però non era più tempo di rinvii. Prima di lasciare Londra, il Primo ministro l’aveva convocato per annunciargli che era tra i candidati alla nomina a ministro nel nuovo governo preannunciato per l’autunno. C’era un solo inconveniente: era scapolo, anche se cercava attivamente moglie fin da aprile. Il punto era che non poteva accontentarsi. La donna ideale doveva combinare intelligenza, lealtà, comunicativa e cultura: in breve, stava cercando la moglie brillante di un politico di successo! Una donna esperta, bene introdotta in società, bella ma non tanto da suscitare invidie, capace di sostenerlo nel ruolo impegnativo di ministro. Dove trovare una donna simile con il poco tempo a disposizione? Poi aveva incontrato Elizabeth o, meglio, l’aveva rivista dato che la conosceva da una vita intera. Suo padre, Geoffrey Mollison, era il proprietario di Bramshaw House e aveva rappresentato il loro distretto al Parlamento prima di lui. Ma l’improvvisa morte di sua moglie l’aveva addolorato al punto da spingerlo alle dimissioni proprio quando Michael stava raggiungendo una certa importanza nel partito grazie all’influente aiuto dei Cynster e di suo nonno, Magnus Anstruther-Wetherby. Così era stato candidato alle elezioni. Avrebbe avuto successo, visto che poteva contare sui voti di Geoffrey che lo aveva visto crescere, si fidava di lui ed era stato felice di passare il testimone a qualcuno che stimava. Anche se appartenevano a generazioni diverse e avevano caratteri e priorità diversi, Geoffrey gli riconosceva un’indubbia integrità e quindi l’aveva sempre sostenuto, dimostrandosi pronto a dare una mano ogniqualvolta servisse. Sperava solo che lo sostenesse anche adesso. Elizabeth era quanto di più vicino alla moglie ideale potesse immaginare, anche se era giovanissima. Aveva solo diciannove anni, ma era molto matura per la sua età. Istruita e indubbiamente graziosa, possedeva l’intelligenza necessaria per apprendere tutto ciò che doveva. La sua tipica bellezza inglese, capelli biondi, occhi azzurri, carnagione chiara e fianchi sottili, si adattava perfettamente ai canoni della moda. Inoltre conosceva molto bene l’ambiente politico e la vita pubblica, visto che oltre a quelli del padre seguiva anche gli impegni di sua zia, lady Cunningham, sposata a un diplomatico di sua maestà, e aveva vissuto a lungo a Lisbona grazie a un’altra zia, Caroline, moglie dell’ambasciatore in Portogallo. Elizabeth era nata e cresciuta tra politici e diplomatici. Sicuramente sapeva gestire una grande casa. Naturalmente, sposarla avrebbe rafforzato maggiormente la sua posizione, soprattutto nel distretto. Perché negarlo? La ragazza gli sarebbe stata molto utile. Mentalmente ripassò il discorso preparato per Geoffrey. Per ora non gli avrebbe chiesto la mano della figlia, ma vista la lunga amicizia che lo legava ai Mollison sembrava opportuno parlarne comunque. In genere, Geoffrey non aveva peli sulla lingua e sarebbe stato inutile insistere se avesse negato il suo assenso. Non temeva davvero un rifiuto, anzi era quasi certo che la sua proposta sarebbe stata accolta con entusiasmo, ma guadagnarsi il suo favore tastando un po’ il terreno sembrava una tattica vincente. Poi, se Elizabeth avesse confermato la buona impressione che gli aveva fatto a Londra, avrebbe avanzato la proposta formale in modo da sposarsi prima dell’autunno. Un approccio un po’ freddo, doveva ammetterlo, ma lui cercava un matrimonio combinato. Le passioni avevano poco spazio nella sua vita e, nonostante la vicinanza ai Cynster, non condivideva la loro propensione per le unioni d’amore. I Cynster erano passionali, decisi, persino indifferenti alle tradizioni, se fossero state contrarie ai loro sentimenti. Lui sapeva bene di essere deciso, ma da tempo aveva capito che smorzare le passioni era indispensabile per un politico equilibrato. Comunque, non aveva mai permesso ai sentimenti d’influenzare le sue scelte. Con un’ampia curva, lo sterrato usciva dal bosco per poi attraversare una verde spianata. Era tanto immerso nei suoi pensieri che sentì solo all’ultimo minuto il tintinnio dei finimenti di una carrozza che procedeva a rotta di collo; quando si spostò di lato per darle spazio, il battito degli zoccoli dei cavalli al galoppo era ormai vicinissimo. Poi vide il veicolo e sgranò gli occhi, perché non era una carrozza. Era un calesse piccolo e leggero fuori da ogni controllo. A bocca aperta lo vide sbandare, poi raddrizzarsi quasi per miracolo e superarlo in un attimo, proseguendo rapidissimo sulla strada che portava al maniero. Lo conduceva una giovane donna, pallida, slanciata... la forza con cui tirava le redini nel disperato tentativo di fermare il cavallo imbizzarrito lo riempì d’orrore. Aveva perso la famiglia per un incidente di carrozza. Chiunque fosse, quella ragazza aveva bisogno d’aiuto. Imprecando, voltò Atlas, affondò i talloni nei suoi fianchi e partì al galoppo. Il purosangue guadagnò subito metri e un minuto dopo era già nella scia del calesse. Evidentemente il cavallo si stava stancando, ma il maniero non era lontano e dopo il cancello la strada curvava di nuovo. Una curva troppo stretta per un cavallo imbizzarrito. Era nato al maniero, ci aveva vissuto diciannove anni e conosceva ogni metro di quella strada. Atlas era fresco. Alzò un attimo lo sguardo, vide il cancello avvicinarsi e affondò nuovamente i talloni. Il potente purosangue accentuò il galoppo e lui lasciò le redini, guidandolo con le ginocchia. Aveva quasi affiancato il calesse... In quel momento superarono il cancello. Non c’era un attimo da perdere. Facendosi coraggio, Michael balzò verso il calesse, si aggrappò al sedile, riuscì a issarsi e a strappare di mano le redini alla ragazza. Tirò le briglie con forza, il cavallo nitrì selvaggiamente e lei gridò, ma la folle corsa parve rallentare. Lui attese ancora un attimo e poi tirò di nuovo con violenza: i sassi della strada schizzarono ovunque, il cavallo scartò di lato, finì sul prato e si fermò con il calesse in bilico, proiettandoli fuori entrambi. La ragazza finì sull’erba a faccia in giù. Lui la seguì subito dopo, atterrando sopra di lei. Per un attimo nulla si mosse. Michael non riusciva neppure a respirare, mentre una ridda di pensieri gli riempiva la mente. La ragazza snella e sottile sotto di lui, delicata e molto femminile, ispirava un istintivo senso di protezione... ma anche una gran rabbia per il rischio appena corso, che non riguardava solo loro. Se il calesse fosse piombato nel cortile delle scuderie a quella velocità, sarebbe successa una tragedia. La paura crebbe, nera e tumultuosa, cupa, intensa, antica. Una paura che conosceva bene. Quando lo dominava, tutto il resto non esisteva Un nitrito lo spinse a voltarsi. Il cavallo della ragazza provò a muoversi, ma il calesse rovesciato lo trattenne. Fermo sulla strada, Atlas lo guardava con le orecchie alzate. Sentì una specie di suono soffocato. La ragazza si mosse, ma non poteva alzarsi se lui non si spostava. Michael si alzò a sedere e in quel momento il suo sguardo cadde sulla stele di granito. Distava al massimo due metri. Il terribile ricordo di quel giorno gli invase subito la mente e socchiudendo gli occhi, si alzò in piedi e guardò la ragazza scuro in volto. Quando sedette a sua volta, non le diede neppure il tempo di parlare, ma le prese una mano e la fece alzare bruscamente in piedi, dritta davanti a lui. — Di tutte le stupide donne... Non doveva insultarla. Cercò di moderare il tono, di smorzare la rabbia suscitata da quell’orrendo, antico terrore. Non ci riuscì. — Se non sapete guidare un calesse, madame, forse è meglio che vi procuriate un cocchiere — esclamò. Per quanto le sue parole fossero taglienti e offensive; doveva dirgliele. Con un cenno le indicò la stele a lato della strada. — Due metri più in là e non saremmo qui a parlarci. Era sorda? Con sua sorpresa, lei non mostrò di averlo sentito. Caroline Sutcliffe si pulì le mani dalla polvere, ringraziando il cielo per avere indossato i guanti. Ignorando quella specie di marcantonio che la guardava accigliato, cominciò a pulirsi la gonna dall’erba. Non sapeva chi fosse, visto che non lo aveva ancora guardato in volto, ma il suo tono non le piaceva affatto. Sistemò la gonna, il corpetto, la borsa, la sciarpa di seta sottile e finalmente si degnò di alzare lo sguardo. Per alzarlo ancora. E ancora. Era più alto di quanto credesse e aveva due spalle da lottatore. L’agilità con cui era balzato sul calesse, unita alla sensazione del suo peso su di lei, le riempirono la mente, turbandola. — Vi ringrazio di cuore, signore, per essere accorso in mio aiuto. Mi spiace di avervi disturbato tanto. Aveva il tono di una duchessa, freddo, sicuro, posato. Ma anche parecchio arrogante. Proprio il tono giusto da usare con un maschio presuntuoso. Studiò il suo volto, sbatté gli occhi... aveva il sole alle spalle e non riusciva a vederlo bene, ma sembrava proprio lui. Si spostò un poco e alzò la mano per ripararsi dalla luce, studiando la mascella squadrata e i tratti angolosi di un volto indubbiamente aristocratico. Aveva capelli folti e castani, la fronte ampia e le sopracciglia scure, con due occhi azzurri che la studiavano con disappunto. Il tocco di grigio che gli brizzolava i capelli sulle tempie lo rendeva molto interessante. Era un volto che mostrava un carattere complesso e deciso. Un viso che conosceva bene. — Michael? — gli chiese, inclinando la testa. — Tu sei Michael Anstruther- Wetherby, vero? Lui sgranò gli occhi e contemplò quel viso a forma di cuore circondato da una cascata di capelli tanto fini e morbidi da ricordare il soffione del tarassaco, poi due occhi azzurro chiaro, caldi, acuti, un po’ strabici... — Caro? — chiese stupito. Lei gli sorrise deliziata; per un attimo, Michael fu semplicemente incapace di pensare. Il ricordo delle urla strazianti di quel giorno ormai lontano scomparve per la prima volta dopo tanto tempo. — Come stai? Sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo visti — riprese lei. — Al funerale di Camden — le ricordò Michael. Suo marito, Camden Sutcliffe, era una leggenda nei circoli diplomatici e aveva sposato Caroline dopo la morte della seconda moglie. Caro annuì. — É vero. Sono passati due anni, quindi. — Non ti ho mai vista in giro in città — le disse. Aveva però sentito parlare di lei: molti la chiamavano “la vedova allegra”. — Come vanno le cose? — Bene, grazie. Camden era buono e mi manca molto, ma... — disse, stringendosi nelle spalle. — Tra noi c’erano quarant’anni di differenza e quindi sapevo che sarebbe morto prima di me. Il cavallo di Caroline si mosse di nuovo. Entrambi si voltarono, poi Michael si avvicinò, si accertò che si fosse calmato e cominciò a liberarlo dai finimenti per portarlo a mano alla scuderia. — Che cosa è successo? — le chiese, controllando il calesse. — Non ne ho idea — rispose lei, accarezzando il cavallo sul muso. — Venivo dalla riunione del circolo femminile di Fordingham... Il rumore di un altro calesse la interruppe. Lo guidava una donna, che comincia ad agitare una mano non appena li vide per poi incitare il cavallo. — Muriel ha insistito perché partecipassi. Sai com’è fatta — disse, aggiungendo subito dopo: — Voleva accompagnarmi ma, visto che ero nei paraggi, ho pensato bene di far visita a lady Kirkwright. Michael annuì. Muriel era figlia di George Sutcliffe, il fratello di Camden. Anche lei era cresciuta a Bramshaw, ma a differenza di Caroline non aveva mai vissuto fuori dalla contea. L’unico importante viaggio della sua vita consisteva nel trasferimento da Sutcliffe Hall, dall’altra parte del paese, a Hedderwick House, la casa di suo marito nel centro di Bramshaw. Espansiva e capace, trovava modo d’infilarsi in ogni attività della zona. Qualcuno la riteneva troppo esuberante, ma i suoi eccessi erano tollerati perché tutti le erano grati per il ruolo che svolgeva nella vita del paese. Con un sospiro di sollievo, Muriel si fermò davanti a loro. I lunghi capelli corvini e il sorriso luminoso la rendevano una donna molto affascinante. — Caro! Dio mio, sei stata sbalzata dal calesse? I tuoi abiti sono sporchi di fango. — Henry si è imbizzarrito e se non fosse stato per Michael chissà cosa sarebbe successo — rispose Caroline. — Ma per fortuna è riuscito a fermarlo. Avresti dovuto vederlo! Michael incontrò il suo sguardo e vide la calda gratitudine che le riempiva gli occhi. — Grazie a Dio, tutto è finito bene — constatò Muriel sorridendogli. — Non sapevo che fosse tornato. Da quando siete qui? — Da stamattina. Avete idea del motivo per cui Henry si è imbizzarrito? Ho controllato il calesse, il morso e i finimenti, ma sembra tutto a posto. Muriel si accigliò. — No. Ci eravamo appena lasciate quando Henry è partito al galoppo. — Proprio così — confermò Caro. — Trottava tranquillo sulla strada, poi a un certo punto non sono più riuscita a tenerlo. — Alla prossima riunione del circolo andremo insieme, puoi starne certa — dichiarò Muriel scuotendo la testa. — Tutto è successo così rapidamente... mi è quasi venuto un colpo quando ti ho visto partire in quel modo. Temevo di trovarti ferita e sanguinante, ma per fortuna c’era Michael. Caro non rispose e si voltò verso il cavallo. — Qualcosa deve averlo spaventato. — Forse un cinghiale. Quel tratto di strada passa tra fitti cespugli ed è impossibile vedere un animale nascosto — disse Muriel impugnando le redini. — Ma adesso devo andare. Bisogna organizzare la festa della parrocchia e ci sono ancora tante cose da discutere! Spero che parteciperete anche voi, Michael. Lui sorrise. — Se posso — affermò, ripromettendosi di segnarlo sull’agenda. — Porgete i miei saluti a Hedderwick e a George. — Potete contarci — rispose Muriel girando attorno al calesse rovesciato, poi salutò entrambi con un cenno e si allontanò al trotto. Michael guardò Caroline. — Andiamo. Voglio portare Henry alle scuderie, in modo che Hardacre gli dia un’occhiata. Forse lui riuscirà a capire perché si è imbizzarrito. — Ottima idea — concordò lei. Michael prese Henry per la briglia e guardò Atlas, che attendeva pazientemente a lato della strada. Bastò schioccare le dita, indicare con un cenno le scuderie e il cavallo si avviò con calma dietro di loro. Mentre camminavano, Michael lanciò una breve occhiata a Caro. Aveva i capelli scompigliati per la caduta, ma erano così soffici e il sole li rendeva così lucenti da obbligarlo a uno sforzo per non toccarli. — Pensi di restare a Bramshaw House? Lei lo guardò — Per il momento sì — rispose. — Ma sono comunque sempre in viaggio. Geoffrey abita qui, Augusta a Derby, Angela nel Berkshire. Pensa che non riesco neppure a trovare il tempo per tornare a Londra e riaprire la mia casa! Michael annuì. Geoffrey era il fratello di Caro, Angela e Augusta le sue sorelle. Lei però era molto più giovane e passava un po’ per la “ragazzina” della famiglia. Le lanciò un’altra breve occhiata e la vide accarezzare il muso del cavallo per calmarlo. Una strana confusione lo pervase, come se una parte delle sue certezze l’avesse improvvisamente abbandonato. Naturalmente si doveva a lei: quando si erano visti due anni prima, non avevano parlato veramente per via del funerale. Caro era in lutto, affranta e velata, sempre circondata di gente. Anche nei loro brevi, precedenti incontri avevano scambiato solo poche parole dato che quando tornava a Londra con il marito era talmente impegnata da farsi vedere solo ai balli, a teatro e così via. Pertanto, nonostante fossero cresciuti insieme e solo cinque anni li dividessero, Michael poteva dire di non conoscerla affatto al di là dei giochi che avevano fatto da bambini nei campi e nei boschi della New Forest. Studiò con il sorriso sulle labbra la donna elegante, sicura e molto attraente che gli camminava accanto. Caro sentì il suo sguardo e si voltò, sorridendogli come per ammettere una certa curiosità anche da parte sua. Una sensazione del tutto nuova si fece strada dentro di lui. Un attimo dopo Caro aveva distolto lo sguardo. Hardacre emerse dal cortile della scuderia e puntò deciso verso di loro, incuriosito dal loro arrivo. Michael lo chiamò con un cenno e l’uomo accelerò il passo, salutò Caroline con un breve inchino e strinse la mano che lei gli porse, poi guardò Michael con aria interrogativa. — Manderò due garzoni a prendere il calesse, milord — disse quando lui gli spiegò l’accaduto. — Per quanto riguarda il cavallo lo metterò nel box e lo lascerò calmare per un’ora prima di dargli una bella occhiata. Forse ha una spina piantata in uno zoccolo. Michael guardò Caro. — Vai di fretta? Posso prestarti un calesse, se vuoi. — No, no — rispose lei agitando la mano. — Un’ora di tranquillità non può farmi che bene. — In tal caso, mia cara, che ne diresti di una tazza di tè? Lei sorrise radiosa. — Dico che è un’ottima idea — rispose, prendendolo a braccetto. Con un cenno di saluto a Hardacre si diressero verso la casa. Caroline si sentiva piuttosto nervosa, una cosa normale visto ciò che aveva passato, ma il terrore per la folle corsa del cavallo c’entrava solo in parte. — C’è ancora la signora Entwhistle? — gli chiese. Era la governante. — Sì. I domestici sono gli stessi dell’ultima volta che sei stata qui. Lei guardò la solida casa dai muri di pietra con gli alti tetti spioventi pieni di abbaini. Stavano attraversando il frutteto e il profumo delizioso dei frutti maturi si mischiava a quello pungente delle erbe curative nel vivaio, situato poco più avanti. Il sentiero lo tagliava in due: sulla sinistra, dopo un muretto di pietra, c’era la parte riservata alle piante aromatiche per la cucina. — É per questo che torniamo sempre — gli disse, catturando il suo sguardo. — Perché qui tutto resta uguale nel tempo, non trovi? Michael si strinse nelle spalle. — Non ci avevo mai pensato, ma devo ammettere che è confortante — rispose, fermandosi per farla passare sullo stretto sentiero. — E quando sarà il tuo prossimo viaggio? Lei sorrise, sapendo che non poteva vederla da dietro. — Sono appena arrivata! — esclamò, senza aggiungere che era stata chiamata d’urgenza da sua nipote Elizabeth. — Immagino che resterò per qualche settimana. Entrarono dalla porta della cucina e Michael la fece accomodare in salotto sentendosi sempre più agitato. Era lei a stuzzicargli i sensi con il suo frizzante entusiasmo, le sue curve voluttuose, il suo corpo snello avvolto in un abito di mussola leggera. A fatica riuscì a dirsi che non c’era nulla di provocante in quel vestito, né Caro si comportava in modo diverso dal solito. Sedettero sul divano e lui tiro il cordone del campanello. Un attimo più tardi Gladys, la cameriera, comparve sulla porta. Michael le chiese di portare il tè, poi si voltò verso la sua ospite. Lei lo guardava con la fronte aggrottata. — Non hai un maggiordomo? — No — rispose Michael. — L’ultimo maggiordomo non era della contea e gli impegni a Londra mi hanno obbligato a chiudere la casa per un po’. — Lo stai cercando? — Lo cercherei, se ne avessi il tempo. Ma per come vanno le cose... Lei sorrise. — Se ti sbrighi, non dovrai neppure cercarlo. Ricordi Carter? Ha lasciato Fritham per andare a Londra e lavorare come maggiordomo a casa di suo zio. Adesso è tornato, ha lavorato qualche tempo da Muriel, ma lei è così scostante con i domestici che se ne vanno tutti! Di conseguenza, adesso è libero. — Pensi che vada bene? — chiese Michael dubbioso. — Oh, lui conosce il suo lavoro. La colpa è di Muriel, che non fa altro che cambiare domestici. In ogni caso, Carter vive a casa della madre. Perché non provi a passare? Lui annuì. — Gli manderò un biglietto. — No — disse Caro, cortese, ma ferma. — È meglio passare di persona. Lui incontrò il suo sguardo, poi annuì leggermente. In genere non si faceva convincere tanto facilmente, ma Caroline era una vera esperta in quel genere di cose. Anzi, in effetti nessuno meglio di lei poteva consigliarlo sul modo migliore di farsi avanti con Elizabeth. Arrivò il tè, portato dalla signora Entwhistle che desiderava salutare Caro. Lei accettò con eleganza i complimenti dell’anziana donna; Michael la guardò mentre le chiedeva notizie del figlio e si complimentava per la torta alla panna. La governante arrossì di piacere, sorrise e si schermì, uscendo poco dopo con un radioso sorriso in volto. Quella frizzante esuberanza era spontanea oppure faceva parte di una maschera? La studiò mentre parlava, almeno fino a quando non la vide voltarsi e porgergli con un sorriso la tazza di tè. Forse un tempo la sua aria radiosa era stata una maschera, concluse, ma adesso faceva parte di lei come una seconda a pelle. Che tra l’altro le stava d’incanto. La conversazione fiorì subito mentre sorseggiavano il tè e mangiavano la torta, lei piluccando, lui di gusto. Appartenevano allo stesso ambiente, frequentavano gli stessi circoli ed entrambi avevano il dono naturale di saper ravvivare l’atmosfera. Come immaginava, Caro si rivelò ben presto attenta e perspicace. Ogni suo commento tradiva un’intelligenza, un’ironia e una capacita di capire la gente che lo stupì. Quella donna emanava sicurezza, si disse, ma non la ostentava come una bandiera: era una sicurezza profonda, pacata, consapevole. Creava un’aura di pace. A fatica ricordò che il tempo stava passando. — Hai qualche progetto per il futuro? Lei incontrò il suo sguardo e allargò le mani. — Per essere onesti, no — rispose con ironia e un tocco di disapprovazione verso se stessa. — Ho viaggiato parecchio durante il periodo di lutto e ho visto tutto quello che volevo vedere, poi sono tornata a Londra per la Stagione mondana. Ho rivisto vecchi amici, fatto nuove conoscenze, ripreso dei contatti persi da tempo, ma... — si interruppe, stringendo un po’ le labbra. Poi continuo con un sospiro: — Non basta per riempire una vita. Non so neppure se tornare in città, riaprire la casa e viverci, se crearmi una corte come una duchessa rinascimentale o dedicarmi alle opere di bene — spiegò, rompendo in una risatina. — In quale ruolo mi vedresti meglio? I suoi occhi grigio azzurri si riempirono d’allegria. Erano aperti, onesti, ma dotati di un’affascinante profondità. — In nessuno dei due — fu la risposta. Mentre era seduta sul sofà, elegante e rilassata, non vedeva altro ruolo per lei che quello della moglie di un ambasciatore. — Secondo me devi lasciare le opere di bene a Muriel e per quanto riguarda la corte... ebbene, è troppo poco per te. Caroline rise, un suono cristallino che riempì il salotto inondato di sole. — Hai la lingua vellutata del politico — commentò divertita. — Ma adesso basta parlare di me. Eri a Londra per la Stagione? Era la domanda che sperava di sentire. Le sue labbra si piegarono in un mezzo sorriso. — Sì, ma gli impegni parlamentari mi hanno tenuto così occupato da non permettermi molte distrazioni — dichiarò, più che disposto a farle capire quanto bisogno aveva di una moglie. Non sembrava il caso di menzionarlo apertamente; Caro era esperta e intelligente e l’avrebbe intuito da sola. Continuò per un po’ a parlare di sé, dosando bene le parole per conquistarla alla sua causa. Una volta avanzata la richiesta formale, lei sarebbe stata perfetta per parlare e rassicurare Elizabeth. Poi bevve un sorso di tè e posò la tazza, aggrottando leggermente la fronte. — Non mi hai ancora spiegato perché stavi venendo qui. Lo sterrato univa il maniero alla strada principale, poi finiva, quindi lei non era lì per caso. Caro gli rivolse un radioso sorriso. — Grazie per avermelo ricordato — cominciò. — Tra l’incidente di prima e la gioia di vederti, me ne ero scordata. Vuoi venire a un ricevimento a casa di Geoffrey, stasera? Lui aggrottò la fronte. — L’hai organizzato tu? — Sì. Ho scoperto che i funzionari di molte ambasciate sono soliti trascorrere l’estate da queste parti e così, visto che mi sono sistemata a Bramshaw House, ho chiesto a Geoffrey il permesso di organizzare una cena. Ci sarà qualcuno dell’ambasciata portoghese e tre funzionari dell’ambasciata austriaca, più un certo numero di ospiti. Ma ho bisogno d’aiuto e così ho pensato a te — concluse, guardandolo contrita. — Aiuteresti una vecchia amica che perde il pelo, ma non riuscirà mai a perdere il vizio? Laddove il vizio era quello di frequentare gli ambienti diplomatici più esclusivi di Londra. Nessun politico poteva farsi sfuggire l’occasione di cenare accanto a personalità del genere. — Sarà un piacere — accettò con un sorriso. — Grazie — rispose Caro radiosa come non mai. Gli anni passavano, ma il suo fascino sembrava funzionare come sempre. Lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo attirò la loro attenzione. Guardarono fuori e videro Hardacre che faceva passeggiare Henry tenendolo per il morso. — Sembra tutto a posto — disse il capo stalliere quando scesero. — Non dovrebbe più darvi alcun problema, milady. Caro lo ringraziò, poi prese la mano che Michael le porse per aiutarla a salire sul calesse. Strinse le redini e disse sorridendo: — Allora ti aspetto alle otto. Prometto che non ti annoierai. — Ne sono certo — disse lui facendosi di lato e salutandola. Lei scosse le redini e Henry partì al trotto, seguendo la strada senza alcuna bizza. Michael la guardò allontanarsi e si chiese come faceva Caroline a sapere della sua presenza al maniero. Diamine, era arrivato solo in mattinata! Coincidenza o attenta pianificazione? Conoscendola, propendeva più per la seconda ipotesi. Accanto a lui, Hardacre si schiarì la voce. — Non l’ho detto a lady Sutcliffe per non allarmarla, ma quel cavallo... Michael si voltò — Cos’ha? — Nulla. Ma è stato colpito da qualcosa. Ho trovato una ferita sulla coscia sinistra, come se fosse stato colpito da una fionda. Lui si accigliò. — I ragazzi del paese? — Non sono così stupidi. È uno scherzo piuttosto pericoloso. Hardacre aveva ragione. Non c’era famiglia della contea che non possedesse un cavallo e i ragazzi conoscevano bene il risultato di un simile scherzo. — Forse un gruppo di villeggianti londinesi con i figli troppo esuberanti. — Può darsi — concluse lo stalliere. — In ogni caso è difficile che succeda di nuovo. — Già. Sarebbe come un fulmine che colpisce due volte nello stesso posto. Hardacre tornò nella scuderia e lui restò per un lungo istante a guardare il viale, poi tornò verso il maniero e salì le scale della terrazza. Ormai era tardi per far visita a Geoffrey, soprattutto considerando il fatto che aveva certamente la casa sottosopra per la cena di Caroline. Meglio farsi vedere alle otto e chiedergli un colloquio privato. Grazie a Caro, la morsa dell’impazienza si era notevolmente allentata. La sua cena tornava utile per molte cose: a parte il piacere di parteciparvi, rappresentava un’occasione perfetta per vedere Elizabeth all’opera in un ambiente che certamente avrebbe frequentato. Soddisfatto almeno su quel fronte, rientrò in casa e chiamò una cameriera che l’aiutasse a disfare i bagagli.

— Il nemico è in trappola. La vittoria è certa! — annunciò Caroline con un sorriso trionfante, sprofondando in una delle comode poltrone del salotto di Bramshaw House. — Bene. Ma funzionerà? — chiese nervosamente sua nipote seduta sul bordo della sedia, molto graziosa nel leggero abito estivo, i lunghi capelli raccolti in una crocchia. Speranza e trepidazione le riempivano i grandi occhi azzurri. — Ma certo che funzionerà — rispose lei voltandosi verso Edward Campbell, il suo segretario, un sobrio, onesto e affidabile giovanotto di ventitré anni che non sembrava affatto in grado di far colpo su una donna come Elizabeth. Ma l’apparenza, come Caro sapeva bene, ingannava parecchio. — Funziona da secoli anche nei rapporti diplomatici! Prevenire la guerra è meglio che combatterla: nel nostro caso, prevenire una proposta di matrimonio è meglio che rifiutarla. Vi assicuro che quando un uomo come Michael avanza una simile proposta, la pressione è comunque enorme. Ma noi eviteremo estenuanti trattative convincendolo in primis che Elizabeth non è la donna giusta per lui. Parlava a Elizabeth, ma guardava Edward. Se avevano dei dubbi sul suo piano, meglio saperlo adesso. Fino a una settimana prima si trovava nel Derbyshire da Augusta per trascorrere l’estate con lei. Ma due urgenti richieste d’aiuto, una da Elizabeth, l’altra da Edward, l’avevano fatta accorrere nell’Hampshire via Londra. Elizabeth temeva di doversi confrontare presto con una richiesta formale da parte di Michael. L’aveva scoperto parlando con suo padre: dopo essersi accertato che non avesse incontrato nessuno spasimante durante la Stagione, il buon Geoffrey aveva cominciato a decantare le qualità di Michael suscitando subito sospetti nella figlia. Una breve indagine a Londra presto i circoli più in vista aveva confermato ciò che lei ed Edward temevano tanto. Michael era tra i candidati a un posto di ministro, ma il fatto che fosse ancora scapolo gli giocava contro. Non ci voleva molto a tirare le somme: la situazione era davvero seria e bisognava intervenire subito. Seppur degno, meritevole e quant’altro, Michael doveva cercare altrove la sposa che l’avrebbe proiettato ai vertici della carriera. Il suo sguardo si posò su Elizabeth. Doveva salvarla dal matrimonio combinato, dalle sofferenze portate da un’unione indesiderata che poteva solo sfociare in un totale fallimento. Lei le conosceva bene, anche se all’inizio aveva creduto di sposarsi per amore. Ingannata a diciassette anni da un uomo come Camden, ricco, astuto, affascinante, aveva trascorso notti intere a piangere in capitali straniere che non conosceva e di cui non capiva la lingua. Ma proprio l’infelicità l’aveva spinta a crescere, a farsi strada nel mondo dorato della diplomazia. Adesso non poteva certo lamentarsi, ma in ogni caso non avrebbe augurato un matrimonio simile neppure alla sua peggior nemica, figurarsi a sua nipote. No, Elizabeth doveva sposare Edward. Si erano incontrati per la prima volta a casa sua a Lisbona: lei non li aveva incoraggiati, ma nemmeno si era opposta. Se proprio dovevano innamorarsi era meglio non interferire e i fatti le davano ragione, visto che si vedevano da tre anni e nessuno dei due aveva perso l’interesse per l’altro. Purtroppo, era un amore destinato a restare segreto, almeno fino a quando Edward non avesse fatto carriera. Lei voleva aiutarlo, ma era ancora giovane e comunque dovevano prima risolvere il problema costituito da Michael. Poi si sarebbe ingegnata per sistemarlo in una posizione che gli avrebbe permesso di convincere Geoffrey. — Prevenire la proposta mi sembra una soluzione perfetta — sospirò sua nipote, guardando entrambi. — Come devo comportarmi a cena? Caroline sorrise incoraggiante. — Stasera dobbiamo insinuare il seme del dubbio. Ma senza esagerare: non dobbiamo farlo fuggire a gambe levate, ma solo spingerlo a chiedersi se ha davvero scelto bene. Gli altri la guardarono perplessi, ma lei sapeva come tirare certi fili. — Fingiti imbarazzata davanti a tanti ospiti importanti. Se ti parla, ridi come una sciocca e sposta la conversazione su argomenti di nessun conto — le spiegò, rivolgendo a entrambi uno sguardo ammonitore. — Ma soprattutto, dovrai essere sempre sottile e molto, molto convincente. Se Michael si accorge di qualcosa... ebbene, non riusciremo più a manipolarlo.

Capitolo 2

Michael salì gli scalini di Bramshaw House poco dopo le otto. Catten, il maggiordomo, lo condusse nel salone e annunciò il suo arrivo. Lui lo ringraziò e proseguì con passo misurato, sorridendo agli ospiti che si erano voltati a guardarlo. Seduta vicino al caminetto, Caro si alzò e gli venne incontro in un fruscio di seta. — Sei un angelo — gli sussurrò, porgendogli la mano. Michael si produsse in un elegante baciamano e lei lo prese a braccetto per portarlo verso il gruppo con cui stava parlando. — Credo che tu conosca già qualcuno dei presenti, ma adesso vorrei presentarti gli addetti all’ambasciata del Portogallo — disse, guardandolo dubbiosa. — Se per te va bene, naturalmente. — Ma certo — rispose Michael, lasciandosi docilmente condurre. — L’ambasciatore e sua moglie hanno dovuto recarsi a un ballo a Brighton, ma i nostri ospiti sono ancora più influenti — aggiunse Caroline a mezza voce. Lui aggrottò leggermente la fronte, ma poi sorrise quando cominciarono le presentazioni. — Il duca e la duchessa di Oporto — disse Caro, indicando un azzimato gentiluomo dal viso cadaverico e una donna alta, allampanata e scura in volto. — Il conte e la contessa di Albufeira — continuò, rivolgendosi stavolta a un uomo dai capelli scuri, la faccia simpatica e il naso rubizzo da grande intenditore di vini portoghesi, seduto accanto a una dama elegante, graziosa ma dal viso severo. — E questo è Ferdinando Leponte, il nipote del conte. Signori, vi presento Michael Anstruther- Wetherby, il deputato della nostra contea. Seguirono i saluti e i commenti di circostanza, ma al primo attimo di pausa Caroline lasciò Michael e posò la mano sull’avambraccio del duca. — Adesso vi lascio, in modo che possiate conoscervi meglio — disse, guardando Michael con occhi che brillavano. — Qualcosa mi dice che presto sir Anstruther-Wetherby passera più tempo nei circoli diplomatici e meno nelle polverose sedi di partito. Lui incontrò il suo sguardo, ma il fatto che le fosse giunta voce della sua possibile nomina a ministro non lo sorprendeva più di tanto. Lo sorprendeva maggiormente lo strano silenzio che aveva osservato nel pomeriggio: conoscendola, era logico aspettarsi almeno un accenno. In ogni caso, quel velato commento attirò subito l’attenzione degli altri e nel giro di qualche minuto si ritrovò immerso in una fitta discussione con il conte, il duca e le loro mogli, felici di stabilire un contatto di prima mano con un astro nascente della politica britannica. Lui sfruttò al meglio la situazione, discutendo amabilmente delle relazioni tra i loro due paesi, avanzando proposte per migliorarle e lasciando trapelare ad arte alcune delle iniziative che avrebbe preso per influenzare le scelte del Foreign Office se fosse subentrato al ministro uscente. Era un piccolo successo, ma nonostante tutto non poteva fare a meno di guardare Caro aggirarsi nel salone a braccetto di Ferdinando. Contrariamente agli altri, quel giovanotto non l’aveva degnato delle minima attenzione e, dopo i saluti di circostanza, si era alzato per allontanarsi con lei. Alto, slanciato e di carnagione olivastra, dimostrava circa trent’anni ed era sicuramente affascinante con il suo sorriso sempre pronto e i grandi occhi scuri. Un casanova in libertà: il modo in cui parlava e sorrideva a Caroline non lasciava alcun dubbio a riguardo. Come molti addetti alle ambasciate, sfruttava la sua posizione per introdursi nei circoli che contavano e farsi strada in un modo o nell’altro, anche con le conquiste femminili. Un profittatore, insomma, ma quella sera sembrava intenzionato a sfruttare l’influenza dello zio solo per far colpo su di lei. Un quarto d’ora dopo, Caroline tornò a prenderlo per presentargli gli altri ospiti con quell’irritante giovanotto ancora alle calcagna. Michael si scusò, salutò con un inchino e si avviò a braccetto con lei, lanciando una dura occhiata al giovane importuno. Ottenne solo uno smagliante sorriso e così dovette sopportarlo mentre attraversavano il salone. — Se proprio volete restare con noi, evitate di prendere in giro il generale! — sibilò Caro non appena si allontanarono dagli altri. Ferdinando fece spallucce con tipica noncuranza latina. — Ah, ma è così divertente! Impossibile resistere. Si riferiva al generale Kleber, un prussiano dalla testa ai piedi che sedeva con l’ambasciatore degli Asburgo e sua moglie. Michael li conosceva già e dopo un cordiale saluto passò oltre, verso il gruppo composto da tre diplomatici inglesi, un parlamentare scozzese, sir Driscoll, venuto con la moglie e le due figlie, e un nobile irlandese molto affascinante, lord Sommerby, a cui una delle figlie di Driscoll rivolgeva un sorriso dopo l’altro. Finalmente Caro lo accompagnò verso l’unico gruppo che davvero gli interessava, quello composto da suo fratello Geoffrey, da Elizabeth e da un giovanotto compito ed elegante che lo guardava con vaga diffidenza. Michael strinse calorosamente la mano di Geoffrey, un uomo basso e robusto con la tipica aria affabile del deputato di campagna. Tra tutti, era proprio lui a sembrare leggermente fuori posto. — Ho sentito che tu ed Elizabeth vi siete incontrati in città — dichiarò Caro con un sorriso, indicando la sua giovane nipote. Meglio tardi che mai, si disse Michael baciando galantemente la piccola mano che Elizabeth gli porse. — Signorina Mollison — salutò. La teneva d’occhio fin dal suo ingresso, ma era stato attento a non mostrarsi troppo interessato. Provò a catturarle lo sguardo per capire che effetto le faceva la sua presenza, ma al di là di un freddo sorriso non percepì alcun interesse in quei grandi occhi azzurri che guardarono subito altrove non appena Caro gli presentò il giovanotto seduto con loro. — Michael, vorrei presentarti il mio segretario, Edward Campbell. Era il braccio destro di Camden, ma sono così abituata a fidarmi di lui in ogni cosa da obbligarlo in pratica a restare. Campbell sorrise e si strinse nelle spalle, come per ricordare a tutti loro che era solo un segretario, ma ci teneva a far bene il suo lavoro. Michael gli strinse la mano, reprimendo la gran voglia di chiedergli se poteva incaricarsi lui di tenere a bada Ferdinando. Sospirando dentro di sé, scambiò qualche parola e poi si voltò verso Elizabeth. — Ho sentito che sei in lizza per un posto di ministro — disse Geoffrey. Lui sorrise. — La scelta spetta al capo del governo, che come ben sapete non ha fretta. Se ne riparlerà in autunno. — Ah, quell’uomo adora tenere la gente sulle spine,— ridacchiò Geoffrey. Scambiare quattro chiacchiere con Geoffrey era il modo migliore per studiare discretamente sua figlia. Elizabeth sorvegliava pigramente la stanza seduta accanto a lui, per nulla interessata alla conversazione. Sembrava persa in chissà quali pensieri: un attimo più tardi, Caro prese Campbell a braccetto e si avviò lentamente tra gli ospiti. Michael guardò Elizabeth. C’era qualcosa di sbagliato in lei, a partire dal fatto che vestiva completamente di bianco. Nulla di strano, in effetti, visto che molte giovani donne adoravano vestire di bianco, ma lei era così chiara sia di capelli che di carnagione! Indossava una parure di brillanti che riluceva alla forte luce del candelabro come se volesse ostentare apertamente le grandi risorse finanziarie della sua famiglia. Bionda, occhi azzurri, pelle candida, abito da sera bianco e parure di brillanti. Sembrava una combinazione studiata apposta per attirare l’attenzione su di sé. Accigliato, si disse che non avrebbe mai pensato di dover istruire una giovane donna su come vestirsi in certe occasioni!. L’idea di portarla abbigliata così a una cena ufficiale lo fece rabbrividire. Caroline era impeccabile come sempre. Il suo abito di seta color perla dal taglio innovativo esaltava le sue curve sensuali e si adattava alla perfezione alla sua pelle ambrata e alla gloriosa cascata di capelli biondo scuro. La collana di perle e i numerosi bracciali d’argento portati sciolti sui polsi sottili aggiungevano un tocco intrigante al suo fascino già indubbio. La differenza di stile era palese, ma conoscendo Caro non poteva credere che non avesse suggerito alla giovane nipote d’indossare qualcos’altro. Possibile che l’aria innocente di Elizabeth nascondesse un carattere tanto capriccioso da spingerla a ignorare i consigli di una delle donne più affascinanti del ton? La sua perplessità crebbe. Certo, qualche capriccio era normale per una giovane donna, ma presentarsi a un’occasione del genere vestita così... Altri ospiti arrivarono in quel momento. Michael vide Elizabeth illuminarsi in volto. — Ah, Melissa Hartford e suo fratello Derek! — esclamò, sorridendo radiosa a lui e a Geoffrey. — Scusatemi... devo assolutamente parlare a Melissa. Si alzò di scatto e attraversò di corsa il salone sotto lo sguardo imbarazzato del padre. Michael sbatté le palpebre sconcertato. Conosceva lei e Geoffrey da anni e dunque una certa confidenza rientrava nella normalità, ma quel comportamento da ragazzina viziata era inammissibile! Un fruscio di seta, accompagnato da un profumo di fiori dolce ed elusivo, lo fece voltare. Caro lo prese a braccetto, si scusò con Geoffrey e lo portò via. Il suo sguardo si posò su Elizabeth. — Devi avere un po’ di pazienza con lei — gli sussurrò. — Purtroppo è giovane ed entusiasta. Ha voluto mettere a tutti i costi il vestito bianco. Io ho provato a dissuaderla, ma non c’è stato niente da fare. — Ah, lo immagino. — E quella parure di brillanti... — riprese Caro scuotendo la testa. — Era di sua madre. Ha voluto indossarla per farsi coraggio. Michael conosceva la madre di Elizabeth, Alice. — Coraggio? — chiese perplesso. — Sì. Non è abituata a questo genere di serate e immagino che abbia bisogno di... un talismano, per sentirsi più sicura — gli spiegò, guardandolo con occhi divertiti. — Anche noi eravamo cosi, ricordi? Deve solo acquisire un po’ di sicurezza e poi imparerà a comportarsi. Qualcosa attirò la sua attenzione, spingendola a voltarsi. Michael aggrottò perplesso la fronte. Perché Caroline gli parlava cosi? Era stato tanto incauto da svelare le sue intenzioni? — Catten ci sta aspettando sulla porta. La cena è pronta — gli sussurrò lei ritirando la mano dal suo gomito. — Scusami, ma devo assegnare i posti a tavola. Per quanto ti riguarda, avevo in mente di sistemarti accanto a lady Driscoll. Ti spiace? Lui scosse la testa e la guardò mentre usciva sorridendo dal salone, ben sapendo che non era facile sistemare a dovere ospiti quali dignitari inglesi, irlandesi, prussiani e portoghesi. Ma Caroline aveva un dono naturale per questo genere di cose e Michael poté constatarlo ancora una volta quando vide che ogni posto era studiato per favorire la conversazione tra commensali molto diversi tra loro. La cena cominciò in allegria. Aggrottando la fronte, lui guardò Elizabeth seduta con le figlie dei Driscoll e due giovani gentiluomini e si chiese come se la sarebbe cavata in una situazione simile.

Evidentemente combinando un mezzo disastro, almeno da ciò che accadde a tavola. Mentre discorreva con lady Driscoll, una contessa di mezza età ancora piacente e molto acuta che sembrava considerarlo un candidato perfetto per le figlie, vide Elizabeth ridere forte con i vicini di posto e poi strozzarsi con il cibo, rompendo in una tosse irrefrenabile che attirò su di lei gli sguardi preoccupati dei presenti. Quando smise, si guardò attorno rossa in volto e biascicò delle scuse incomprensibili, per poi abbassare gli occhi sul piatto. — Le è andato qualcosa di traverso — disse una delle sorelle Driscoll, dandole qualche colpetto sulla schiena. — Va meglio adesso, Elizabeth? Lei annuì e sorrise e, con un sospiro di sollievo, gli altri ripresero a mangiare. Mentre parlava con la contessa, Michael si scoprì sempre più perplesso. Era un piccolo incidente che poteva capitare a chiunque, certo, ma mentre posava gli occhi su Caro che teneva banco dall’altra parte del tavolo con il duca e il generale, si chiese che cosa sarebbe successo se fosse capitato a lei. Ammettendo che potesse capitarle, in effetti, visto che bisognava essere proprio incauti per strozzarsi cosi. Nel caso, senza dubbio avrebbe gestito la situazione con stile. D’altro canto, come diceva Caroline, Elizabeth era molto giovane. Fece il suo miglior sorriso e guardò la contessa. — Sarà un piacere farvi visita a Edimburgo, milady. Trovo la Scozia un paese molto affascinante.

Quando gli ospiti tornarono nel salone, lui continuò a studiare Elizabeth senza avvicinarsi. Era perennemente circondata da altri giovani e sembrava intenzionata a delegare a suo padre e a Caro il compito di fare gli onori di casa. Sentendosi sempre più frustrato, visto che così non aveva modo di valutare le sue capacità, si chiese se doveva raggiungerla per dirle qualcosa. Ma poi scosse la testa: quel gruppo era così diverso da lui, così immaturo e viziato! Non condividevano alcun interesse e per quanto riguardava la conversazione... ebbene, era passato qualche anno da quando rideva con gli amici alle spalle dei docenti. Un fruscio di seta lo distrasse dai suoi pensieri. Sapeva che era Caroline ancor prima di voltarsi. La naturalezza con cui lo prese a braccetto, come se sentisse fino in fondo la loro amicizia e volesse mostrarla a tutti, lo colpì a tal punto da insinuarsi tra le sue rigide difese. — Uhm — borbottò lei, guardando sua nipote. — Ho bisogno di un po’ d’aria e credo che lo stesso valga per Elizabeth — gli disse. Il suo tono era caldo come sempre, ma tradiva una punta d’impazienza. — Chissà, forse riesco a separarla dai suoi amici. Mi spiace, ma deve comportarsi come una vera padrona di casa, aggirarsi tra gli ospiti, badare al loro benessere... — aggiunse, rivolgendogli un sorriso astuto. — Vorresti accompagnarci in terrazza? Celando accuratamente il suo sollievo, Michael annuì. In un batter d’occhio Caro attraversò il salone con lui, prelevò Elizabeth dal gruppo e li condusse fuori in terrazza, sotto il cielo ancora chiaro della lunga serata estiva. — Bene — cominciò, prendendo la nipote per un braccio e voltandola verso di sé. — Come va la tosse? — É passata, ma un po’ d’aria mi farà bene comunque. — Milady? Quella pacata voce maschile li fece voltare tutti e tre. Edward Campbell aspettava sulla porta della terrazza. — Mi spiace, ma c’è bisogno di voi. — Arrivo — replicò Caro guardando Michael ed Elizabeth, poi si avviò con un sospiro verso il suo segretario. — Tu intanto fai una passeggiata — ordinò alla nipote. — Poi torna dentro e fai un po’ di pratica parlando con il generale. Elizabeth sbatté le lunghe ciglia. — Ma io volevo... — Niente obiezioni — ribadì lei entrando nel salone, per poi voltarsi e invitarla a muoversi con un cenno che fece tintinnare i bracciali d’argento. — Avanti! Si può sapere cosa aspetti? Un attimo più tardi era sparita, lasciandoli soli. — Forse è meglio obbedire e basta — disse Michael, facendo qualche passo. — Allora, come procede la vostra estate? Elizabeth gli rivolse un sorriso rassegnato. — Bene, direi. Qui non è eccitante come a Londra ma adesso che c’è zia Caroline sono certa che l’ambiente si ravviverà e ci saranno più feste, più intrattenimenti. — Quindi vi piace conoscere gente nuova? — le chiese. Una buona cosa per la, moglie di un politico. — Oh si. Se sono giovani, naturalmente — replicò lei, mettendo quasi il broncio. — Vi confesso che fare conversazione con vecchi tromboni o con gente con cui non ho nulla in comune è davvero difficile per me, ma zia Caroline dice che devo imparare — aggiunse, continuando con un sospiro: — Anche se preferirei non imparare affatto. Con un condiscendente sorriso, Michael fece per rispondere ma lei parlò per prima. — Io voglio solo divertirmi frequentando le feste, le cene e i balli, non annoiarmi con discorsi inutili e pomposi. Sono giovane e voglio godermi la vita, danzare, cavalcare e tutto il resto. Lui chiuse la bocca e sbatté le palpebre, ma con un sorriso, Elizabeth lo prese a braccetto. — Voi saprete bene cosa vuol dire godersi la vita. Con tutto quello che succede a Londra! Si aspettava di vederlo sorridere e annuire, ma dopo Oxford lui aveva trascorso anni interi come segretario di un brillante dirigente del partito. Viveva a Londra, ma in pratica non entrava mai in contatto con l’ambiente che lei aveva descritto. — Ah, sì... certo che lo so. Non le disse di quanti mesi doveva tornare indietro per ricordare l’ultimo ballo. Elizabeth rise come se sospettasse che le nascondeva chissà cosa. Avevano raggiunto la fine della terrazza e così tornarono indietro, con lei che parlava a briglia sciolta della Stagione appena terminata e di gente che lui non conosceva e non aveva alcuna voglia di conoscere. Mentre si avvicinavano alla porta del salone, Michael si rese conto che non aveva mostrato alcun interesse per lui, per le sue attività e le sue conoscenze. Non l’aveva trattato come un amico di famiglia, ma come un vecchio zio! Evidentemente non aveva mai pensato a un suo possibile interesse per lei. In quel momento Caroline riemerse dal salone. — Finalmente! — disse, tirando un sospiro di sollievo. — È così tiepido qui fuori! Davvero perfetto per una passeggiata. — Ah, mia cara, mi avete letto nella mente! Lei si voltò. Ferdinando l’aveva seguita in terrazza, ma si fermò quando vide gli altri. — Sir Anstruther-Wetherby e la signorina Elizabeth stavano tornando nel salone — spiegò Caro. Ferdinando le rivolse un candido sorriso. — Excelente! Loro rientrano e noi potremo passeggiare in pace. Stava per rispondere che non poteva, ma Michael si mosse dietro di lei. — In effetti, signor Leponte, non credo che lady Sutcliffe abbia il tempo di passeggiare. Alzando gli occhi al cielo, lei resistette all’impulso di dirgli che era perfettamente capace di gestire un bellimbusto come Ferdinando. — Il nostro caro Michael ha ragione — affermò, ignorando l’occhiata di fuoco che i due uomini si scambiarono. — Non ho tempo per una passeggiata: devo tornare dai miei ospiti. Ferdinando strinse le labbra, ma non poté far altro che abbozzare. Sapendo che avrebbe messo il broncio, Caro intravide in quel momento un’insperata opportunità e, voltandosi verso Elizabeth, le indicò Ferdinando con un’occhiata approfittando della sua distrazione. — Mi sembri più fresca adesso, mia cara. Non vorresti aiutarmi? Elizabeth sbatté le ciglia, poi fece un ingenuo sorriso. — Ma certo — disse, ritirando la mano dal braccio di Michael e avvicinandosi al portoghese. — Non sareste così gentile da accompagnarmi da vostra zia, signore? Ho avuto davvero poche occasioni di parlarle. Ferdinando era troppo esperto per mostrare il suo disappunto; dopo un attimo di esitazione sfoderò il suo miglior sorriso e con un inchino si disse onorato. Poi prese Elizabeth per mano e Michael trasalì. Fu solo un attimo, ma il portoghese se ne accorse. Il suo sorriso si fece malizioso. — Vi accompagnerò da mia zia, ma poi dovrete promettermi di... Impossibile sentire il resto, visto che lo sussurrò all’orecchio di Elizabeth. Lei rise; Caro la conosceva troppo bene per temere che si facesse corrompere dal suo fascino latino, ma nondimeno aggrottò la fronte prima che si allontanassero. Michael era chiaramente irritato dietro la maschera di compostezza. Lo nascondeva bene, ma lei frequentava il suo stesso ambiente da troppo tempo per non saper leggere queste cose tra le righe. Proprio come sperava, era perplesso e un po’ frustrato dalla splendida recitazione di Elizabeth e cominciava a mostrarsi molto più cauto. Adesso dovevano dargli il tempo di assimilare l’accaduto; quasi incrociò le dita quando lo prese a braccetto. — Vogliamo entrare? Il duca vorrebbe parlarti. Richiamato ai suoi doveri, Michael rientrò con lei nel salone senza battere ciglio. Il primo atto della commedia era andato a meraviglia, ma per il bene di sua nipote, adesso doveva assicurarsi di tenerlo impegnato lontano da lei. Non fu difficile, dato che il duca voleva davvero parlargli, ma dopo averlo lasciato continuò a sorvegliarlo e lo vide sempre più dubbioso. Il motivo fu subito chiaro, dato che Ferdinando provava a consolarsi flirtando proprio con Elizabeth. Lei parlava e rideva, ma conoscendola, Caro capì subito che il portoghese non aveva alcuna chance nonostante si ingegnasse in ogni modo. Purtroppo, durante un ricevimento la padrona di casa non poteva mai rilassarsi. Riprese quindi ad aggirarsi tra i vari gruppi, ma quando la serata stava per terminare, si accorse che Michael non c’era più. Una rapida occhiata nel salone le confermò che anche Geoffrey era sparito. — Accidenti! — imprecò, sfoderando un sorriso di circostanza e avvicinandosi a Edward. — Controlla tu la situazione — gli disse, poi aggiunse a bassa voce: — Io devo sparire per un po’ e cavare le castagne dal fuoco per voi due. Lanciò un’ultima occhiata nel salone per accertarsi che non ci fossero altri guai in vista e uscì nell’atrio. Catten le disse che Michael e Geoffrey si erano chiusi nello studio e lei trattenne a stento un gemito. Possibile che dopo tutto ciò che aveva visto quella sera, dopo tutti i dubbi che Elizabeth aveva certamente suscitato, Michael fosse tanto testardo da avanzare comunque una proposta formale? Non riusciva a credere che fosse così stupido! Quasi correndo raggiunse la porta dello studio, bussò e aprì. — Geoffrey, che cosa... Le bastò un’occhiata per rendersi conto dell’equivoco. I due uomini erano chini su una grande mappa stesa sulla scrivania. Un profondo sollievo la pervase, ma lo nascose dietro una vaga disapprovazione. — So che non siete abituati ai ricevimenti, ma questo non è il momento per parlare di politica! Geoffrey le rivolse un sorriso imbarazzato. — Non stiamo parlando di politica, ma di una diga naturale che si è formata su un affluente del fiume all’altezza di Eyeworth Wood. Stavo mostrando a Michael il punto esatto. Alzando gli occhi al cielo come una sorella esasperata, si avvicinò e prese Geoffrey a braccetto. — Cosa devo fare con te? — chiese, guardando Michael accigliata. — Potete benissimo parlarne domani! Lui sorrise. — É vero, ma ci tenevo a saperne di più — disse, seguendola mentre riportava il fratello nel salone. — Quei boschi sono miei e verranno inondati se non liberiamo il torrente. Elizabeth li guardò con i grandi occhi ansiosi quando entrarono, ma Caro la tranquillizzo con un sorriso. Poi si accertò che quei due non avessero più occasioni di parlarsi portando Geoffrey dal generale Kleber e Michael da lord Driscoll. Mezz’ora dopo i primi ospiti cominciarono a congedarsi e alla fine restò solo il variegato gruppo dei diplomatici, più abituati a far tardi la sera. Erano tutti raggruppati in mezzo al salone quando Ferdinando parlò. — Vorrei invitare tutti coloro che amano la navigazione a trascorrere un giorno sul mio panfilo — dichiarò, guardandosi attorno con il sorriso sulle labbra. Ma alla fine, il suo sguardo si posò su Caroline. — ormeggiato a Southampton Water, quindi abbastanza vicino. Potremmo navigare per qualche ora, poi gettare l’ancora in un posto tranquillo per un tipico pranzo portoghese. Era una magnifica idea e tutti i presenti l’accolsero con entusiasmo. Caro si accertò con qualche domanda che l’imbarcazione fosse abbastanza spaziosa, mentre Ferdinando si prodigava in complimenti per il suo equipaggio e soprattutto per il cuoco. Alla fine decisero di trovarsi tra due giorni, visto che il tempo era bello e non sembrava destinato a peggiorare. Finalmente venne il momento di salutarsi; non appena il gruppo uscì dal salone, Elizabeth la guardò dubbiosa. — Ebbene, che ne dite della nostra piccola commedia? — Direi che è andata a meraviglia. Non potevamo fare di più — rispose lei. — Inoltre questa gita sembra fatta apposta per la nostra messinscena. Elizabeth si morse nervosamente un labbro. — Secondo voi sta funzionando? — Non ha fatto alcuna proposta stasera ed è questo l’importante — rispose lei, dandole qualche colpetto d’incoraggiamento sulla mano. — Tuttavia, domani è un altro giorno e dobbiamo fare in modo di tenerlo occupato. Con un fruscio di gonne uscì nell’atrio, puntando verso Michael che stava salutando Geoffrey. — Avevo un piccolo programma per domani e mi chiedevo se volevi unirti a noi — gli disse, prendendolo a braccetto e sfoderando uno smagliante sorriso. — Potremmo andare a Southampton, dare un’occhiata in giro e pranzare al Dolphin, poi visitare le mura della città e tornare tranquillamente a casa. Michael non rispose. Lei inarcò un sopracciglio. — Possiamo contare sulla tua compagnia? Saremo io, tu, Elizabeth, Edward e qualche amico. Un’altra opportunità per valutare Elizabeth, stavolta molto più tranquillamente. Michael sorrise agli occhi azzurri e imploranti di Caroline. — Sarà un piacere venire con voi.

Non aveva capito che il programma prevedeva una visita a tutti i negozi della città, né che Leponte faceva parte degli amici. Quando arrivò a Bramshaw House alle undici, gli venne chiesto di lasciare il cavallo e di salire sul fastoso barouche con Elizabeth, Caroline ed Edward Campbell. Il sole splendeva alto nel cielo, la brezza rinfrescava l’aria e l’atmosfera preannunciava un’allegra giornata in compagnia. La prima sorpresa avvenne a Totton, sulla strada di Southampton, dove incontrarono la duchessa, la contessa, la moglie dell’ambasciatore portoghese e Ferdinando. Quest’ultimo provò subito a cambiare carrozza, proponendo Edward per scortare le anziane gentildonne. Ma Caroline liquidò subito ogni pretesa a riguardo. — Ci vuole meno di mezz’ora e quindi non vedo perché il povero Edward dovrebbe spostarsi — dichiarò, toccando il cocchiere sulla spalla con la punta del parasole chiuso. L’elegante carrozza scoperta cominciò a muoversi. — Seguiteci e arriveremo in men che non si dica. Dopo potremo passeggiare tutti insieme. Con queste parole sedette comoda e guardò Michael, quindi Edward. La gratitudine di entrambi era evidente. Trascorsero la mezz’ora scarsa di viaggio parlando delle vicende locali. Caroline e Michael non erano al corrente di molti sviluppi, ma Elizabeth sì. Bastò incoraggiarla un po’ perché raccontasse loro tutto ciò che era accaduto in quell’ultimo anno e Michael constatò soddisfatto che almeno si teneva informata sugli affari della contea. — E così, tra poco ci sarà la festa della parrocchia — concluse Elizabeth arricciando le labbra in una smorfia. — Immagino che dovremo andare, altrimenti Muriel si offenderà. Caroline la guardò perplessa. — È sempre stato un giorno molto piacevole. — Ah, ci sono troppi vecchi! E poi, odio sentirmi obbligata a partecipare a una festa. Caro sospirò e guardò altrove; Michael si accigliò. Nessuno parlò più fino a Southampton. Lasciarono le carrozze al Dolphin e si avviarono lungo High Street, dove li attendeva la seconda sorpresa del giorno. Dopo pochi metri, le signore entrarono nel primo negozio. Gli uomini, tutti e tre, misero subito da parte i loro dissidi e cominciarono a protestare. Ma purtroppo non potevano fare granché: si erano fatti allettare dalla classica carota e adesso dovevano accettare il ruolo degli... asini. Edward, sicuramente più abituato degli altri due, si ritrovò presto sommerso di pacchi e pacchettini generosamente accatastati tra le sue braccia dalla duchessa. Michael dovette portare la scatola cilindrica di un cappellino apparentemente delizioso. Non era pesante, ma aveva il piccolo difetto di essere verde chiaro con un vistoso nastro rosa: per ringraziarlo dell’ingrato compito, Elizabeth gli dedicò molti sorrisi. Chiacchierando allegramente, le signore passarono da un negozio all’altro. Michael guardò Ferdinando, che si aggirava disgustato quanto lui con due grossi pacchi tra le braccia, poi Edward. Il suo sguardo si posò sui pacchi marroni che teneva tra le braccia: senza dubbio pesavano più del cappellino di Elizabeth, ma erano infinitamente più dignitosi. — Facciamo cambio? — gli chiese. Edward scosse la testa. — Non possiamo. L’etichetta vuole che ognuno si tenga i pacchi che gli vengono affidati, altrimenti le signore potrebbero confondersi. Michael fece una smorfia. — Mi state prendendo in giro? — No, di certo. Quando finalmente le signore acconsentirono a tornare al Dolphin per consumare il pranzo in un salottino privato, Michael trasportava il cappellino e tre altri pacchetti, di cui due ornati con un fiocco. Il solo aspetto divertente della situazione era che Ferdinando, sommerso da almeno dieci pacchi, non diceva una parola e risultava pressoché invisibile. Lui provò qualcosa di pericolosamente simile alla solidarietà quando misero gli acquisti nel barouche, ma dovette ricredersi a pranzo mentre tentava di strappare qualche parola a Elizabeth, stranamente taciturna. All’improvviso, qualcosa di caldo e morbido gli sfiorò la gamba. Si voltò e vide che era Caroline, obbligata a spostarsi sulla panca perché Ferdinando era più insistente del dovuto. Scordandosi in un attimo l’idea di strappare a Elizabeth qualcosa di più di un dimesso balbettio, guardò il portoghese soffocando a fatica un impeto di rabbia. L’avrebbe preso per un orecchio come un monello indisponente, ma purtroppo farlo significava creare qualcosa di molto vicino a un incidente diplomatico. Per cui cercò i suoi occhi, gli sorrise e disse: — Leponte, che cavalli preferite per le vostre galoppate? Scommetto che in Portogallo avete una scuderia di prim’ordine. Completamente assorbito dalle sue velleità di conquista, Ferdinando lo guardò con gli occhi sgranati per la sorpresa e gli rispose arrossendo leggermente. Da quel momento in poi, Michael lo tempestò di domande e di commenti, attirando tutti gli sguardi su di lui e obbligandolo così a un comportamento più consono alla situazione. Quando si alzarono, Caroline gli strinse leggermente il braccio e sorrise. Era il minimo che poteva aspettarsi da un’amica, ma ciononostante si sentì stranamente trionfante. Dopo pranzo, il programma prevedeva una passeggiata alle antiche mura della città. La vista sulla baia di Southampton Water e sull’isola di Wight era splendida, ma il vento stava rinforzando e agitava le gonne delle signore minacciando in ogni momento di far volare i loro cappellini. Di conseguenza tornarono abbastanza presto nei vicoli della città vecchia, con la duchessa e la contessa che procedevano a passo di marcia scambiandosi chissà quali commenti in portoghese, seguite dalla moglie dell’ambasciatore con Elizabeth, da lui e Caroline, con Ferdinando ed Edward che chiudevano il gruppo. Michael aveva la netta impressione che la ritirata imposta al portoghese al ristorante fosse del tutto momentanea. Anzi, a giudicare dal tono dimesso con cui parlò a Caroline, aspettava solo il momento buono per rientrare nelle sue grazie. Probabilmente ci sarebbe riuscito, si disse Michael con uno strano disappunto: gli bastava sfoderare il suo fascino latino e sorridere per abbindolare qualsiasi donna. Imprecando dentro di sé, guardò Edward e Ferdinando chiedendosi se per caso il portoghese non aveva deciso di assediare Caroline a causa del soprannome che le era stato affibbiato. Ma come sempre, la “vedova allegra” si stava dimostrando una preda irraggiungibile: probabilmente nessuno gli aveva spiegato che quell’appellativo era puramente ironico, in quanto la serietà di Caroline era fuori discussione. Lui la guardò di sottecchi, chiedendosi se in quei due anni non avesse avuto neppure un piccolo sbandamento. In teoria la cosa non doveva interessarlo, ma suo malgrado era ansioso di scoprirlo.

Capitolo 3

Un’alba radiosa preannunciò una giornata perfetta per il mare. Come concordato, Michael li raggiunse a Bramshaw House per partire tutti insieme, anche se lui ed Edward preferirono scortare a cavallo il barouche su cui sedevano Geoffrey, Elizabeth e Caroline. Mentre procedevano lungo la strada, Caro sorrise a Michael e ripassò i suoi piani per la giornata. Per farsi perdonare l’insistenza del giorno prima, Ferdinando aveva accettato di risalire la Baia di Southampton fino a Totton, abbreviando di molto il loro viaggio. Era una mossa strategica, dato che Elizabeth non doveva trascorrere troppo tempo con Michael in presenza di suo padre o di altre persone estranee al loro piccolo complotto se non voleva rischiare di farsi scoprire. Purtroppo il loro spazio di manovra era molto limitato. Elizabeth poteva recitare la sua commedia solo quando si trovava sola con Michael, oppure con lei e Edward presenti. Gli altri non dovevano accorgersi di nulla, visto che i diplomatici avevano tradizionalmente buona memoria e andare sopra le righe in pubblico non era certo il modo migliore di aiutare Edward a far carriera quando si sarebbero sposati. Piccoli incidenti come tossire forte a tavola o sbagliare abito da sera potevano essere attribuiti alla sua giovane età; il resto no, e dunque dovevano stare molto attente. Per fortuna, fino a quel momento era filato tutto liscio come l’olio. Caroline era compiaciuta, ma non intendeva certo dormire sugli allori. Giunti a Totton, percorsero la strada principale e poi svoltarono verso il porto. Le vele ammainate del panfilo di Ferdinando comparvero tra le case; la carrozza percorse una breve discesa e finalmente videro l’elegante imbarcazione oscillare pigramente all’ormeggio. Gli altri erano già a bordo; l’ambasciatore portoghese e sua moglie li salutarono dal ponte quando il barouche si fermò. Michael smontò da cavallo, porse le redini a un garzone e mosse sorridente verso le signore per aiutarle a scendere. Era un porticciolo discreto e pittoresco, costruito per le imbarcazioni da diporto e ben lontano dall’affollato porto commerciale di Southampton. Compiaciuta, Caroline gli porse la mano e accettò con un sorriso il suo galante aiuto, più che consapevole della forza controllata della sua stretta. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono, poi lei si voltò verso il molo. — Un panfilo davvero splendido, non trovi? — disse mentre lui aiutava Elizabeth. Michael si voltò, aggrottò la fronte e annuì. — Non mi aspettavo che fosse tanto grande. — Ferdinando adora navigare lungo la costa portoghese e quindi l’imbarcazione deve affrontare le onde dell’Atlantico — spiegò Caroline sistemandosi lo scialle. — Sono ancora più alte di quelle della Manica e le bufere sono davvero terribili. Non appena Edward e Geoffrey li raggiunsero, il gruppo si avviò lungo il molo. Caroline sorrise quando vide lady Driscoll e le figlie salutarli dal ponte del panfilo: aveva chiesto espressamente a Ferdinando d’invitarle e non poteva che sentirsi soddisfatta per la solerzia con cui l’aveva accontentata. Un’occhiata a Elizabeth, splendida nel suo leggero vestito estivo di mussola increspata, la fece sentire ancora più soddisfatta. Era un abito perfetto per una festa in giardino o una puntata in città, ma del tutto inadatto per una gita in barca. A giudicare dalla sua espressione compiaciuta, Michael non ci aveva ancora badato. Ma se ne sarebbe accorto presto, si disse mentre chiamava Edward con lo sguardo per poi prenderlo a braccetto e avviarsi sulla traballante passerella. — Spero che siate sicura di ciò che fate — le sussurrò lui, rafforzando la stretta quando la sentì barcollare. Caro strinse le labbra. — Uomo di poca fede! Vi ho mai tradito finora? — No, ma... non c’è solo Michael da considerare. — Oh? — rise Caroline, guardando Elizabeth aggrapparsi a lui mentre avanzavano sul pontile scivoloso. Michael sembrava un po’ a disagio. — E chi altri dovreste temere? — Lui — rispose Edward, indicando con un lieve cenno Ferdinando che li attendeva alla fine della passerella con le braccia conserte e un sorriso di benvenuto stampato in volto. Sembrava un lupo con quegli splendidi denti in bella mostra; con una piccola smorfia, Caro strinse la mano che finalmente le porse per aiutarla a fare l’ultimo metro. Accanto a lei, Edward gemette piano. Ferdinando mosse un passo indietro e si inchinò, prendendole le dita per il baciamano. — Siete l’ultima, mia adorata Caroline, come si addice ai più importanti. Adesso possiamo salpare. Lei non riuscì a trattenersi. — Prima, aspettate che salgano anche mia nipote e sir Anstruther- Wetherby — cinguettò, ritirando bruscamente la mano e attirando la sua attenzione sulla coppia che procedeva piano sull’infida passerella. — É la prima volta che Elizabeth sale su un panfilo, sapete, ma sono certa che le piacerà moltissimo. Pensate voi ad aiutarla? Io vorrei salutare gli invitati. Si allontanò seguita dal suo sguardo irritato, ma lo ignorò e procedette con il sorriso sulle labbra verso il gruppo più vicino. Edward la seguì; entrambi conoscevano le navi e il costante rollio del ponte non dava loro alcun fastidio. — Contessa... Duchessa... — Caroline sciorinò tutta la sua arte mentre porgeva gli omaggi ai nobili ospiti. Ma il sorriso che rivolse alle Driscoll fu sincero e luminoso. — Sono così felice che siate venute! — esclamo, stringendo la mano a lady Driscoll.

Come prevedeva, ed era sempre così eccitante avere ragione, sia lei che le figlie erano vestite a puntino per una gita in barca. I loro abiti di twill erano graziosi, ma semplici e disadorni, proprio come l’abito di seta color bronzo che indossava lei. Alto fino al collo e con le maniche lunghe, non aveva nastri o fronzoli e la gonna era diritta, in modo che non sbattesse al vento e non si impigliasse dappertutto. Proprio il contrario di ciò che indossava Elizabeth, che aveva pensato bene di portarsi persino un parasole di pizzo. Come per sottolineare quel pensiero, un grido la fece voltare. La gonna di Elizabeth si era impigliata nella passerella. Ferdinando la teneva per le spalle apertamente seccato, mentre Michael si chinava in precario equilibrio sull’acqua per liberare l’orlo senza strapparlo. Stava andando meglio del previsto. Sorridendo con indulgenza, Caroline si voltò verso gli altri. — Oggi sarà una magnifica giornata — dichiarò, indicando il mare placido con un ampio gesto della mano. Comincio cosi, in effetti. Non appena Elizabeth venne liberata, tre robusti marinai ritirarono la passerella e la piccola nave levò l’ancora, mentre le vele venivano alzate e si gonfiarono subito al vento. Tra un coro di ammirati commenti, l’elegante imbarcazione guadagnò velocità sollevando sottili spruzzi che convinsero le signore ad allontanarsi dal parapetto per accomodarsi sulle chaise-longues ordinatamente disposte sul ponte. Lasciata Elizabeth alla sua recita, visto che aveva ricevuto precise istruzioni su come comportarsi, Caro prese Geoffrey a braccetto e cominciò a camminare, decisa a restare alla larga sia da Michael che da Ferdinando. Era facile se passava di gruppo in gruppo, condividendo così la frizzante eccitazione per quella gita così insolita. Il mare nella baia era appena increspato e tranne quando attraversarono la scia di un grosso mercantile, la navigazione procedette senza il minimo problema. Seduti vicino al boccaporto, Michael, Elizabeth e le sorelle Driscoll stavano chiacchierando. Caroline non poté fare a meno di ascoltare. — Ho saputo che la cena non è granché, ma le danze... — sospirò Elizabeth con occhi che brillavano. — Sembra che una ragazza possa ballare tutta la sera, cambiare continuamente cavaliere e non sapere mai con chi sta ballando, dato che sono tutti mascherati! Stava parlando di Vauxhall Gardens, o meglio la rotonda dei giardini che costituivano senza dubbio il luogo pubblico più licenzioso di Londra. Non un posto adatto da frequentare per un politico in ascesa. Le ragazze la guardarono incuriosite; Michael sorrise amabilmente. Poi Elizabeth si appoggiò a una cima arrotolata accanto a lei e uno dei nastri dell’abito restò impigliato nella ruvida canapa. Una delle sorelle Driscoll l’aiutò a liberarsi. Non appena quell’attimo di agitazione terminò, Elizabeth pensò bene di aprire il parasole. Michael balzò in piedi, lo prese e lo tirò, ma dovette strapparglielo di mano per chiuderlo e spiegarle perché era meglio non aprirlo sul ponte di una nave. Caroline arrischiò una rapida occhiata. Sembrava seccato, se non addirittura cupo. Nascondendo una risatina, guardò avanti e proseguì la sua passeggiata con il fratello. Visto che Ferdinando aveva i suoi obblighi di anfitrione a cui pensare, per ora non doveva preoccuparsi di lui. Sapeva bene che cosa voleva, ma confidava pienamente nella sua capacità di tenerlo a bada. Come giovanissima moglie di un anziano nobile, era stata assediata dai più esperti seduttori per almeno dieci anni. Ferdinando non aveva alcuna chance: a dire il vero, nessun uomo aveva la benché minima possibilità con lei dato che non nutriva alcun interesse per ciò che insistevano a offrirle. Certo che la loro ostinazione avrebbe subito un duro colpo se solo avessero saputo... Accanto a lei, Geoffrey si schiarì la voce. — Sai, cara, è da un po’ che mi chiedo una cosa — cominciò, studiandola da sotto le folte sopracciglia. — Sei felice, Caroline? Lei sbatté le palpebre, sorpresa. — Voglio dire — si affrettò ad aggiungere Geoffrey — sei ancora giovane, non hai riaperto la casa di Londra, e così mi chiedevo... Probabilmente si chiedevano entrambi la stessa cosa. Con un lieve sorriso, lei gli diede qualche colpetto sulla mano. — Non ho riaperto la casa perché non so ancora se voglio viverci — spiegò, accorgendosi di non poter dare voce a ciò che davvero provava. La casa di Half Moon Street rappresentava un enigma per lei fin dalla morte di Camden. Era splendida, sorgeva nella parte più lussuosa della città, aveva un magnifico giardino e non era troppo grande, ma adesso che lui non c’era ogni volta che ci andava provava una strana sensazione. — Insomma, immagino che dovrò pur decidermi un giorno — ridacchiò. — Meno male — sospirò Geoffrey. — A dire il vero, temevo che avessi deciso di risposarti. Caro si voltò lentamente. — No — disse. — Ti garantisco che non ne ho la minima intenzione. — Non fraintendermi, immagino che sia un’aspirazione più che legittima, soprattutto nel tuo caso — riprese suo fratello, voltando imbarazzato lo sguardo. — Temevo solo che pensassi di sposare uno straniero, andando a vivere chissà dove. Adesso che sei tornata a casa... La frase gli morì sulle labbra e Caro si ritrovò a seguire lo sguardo di Geoffrey, puntato su Ferdinando che stringeva impettito il timone gridando ordini a destra e a manca. — Oh, no! — rise, stringendogli il braccio per rassicurarlo. — Se è lui che temi, puoi metterti l’anima in pace. So bene a cosa mira, ma ti assicuro che le sue attenzioni mi lasciano del tutto indifferente e che non ho alcuna intenzione d’incoraggiarlo. Lui la guardò, poi sbuffò con aria burbera. — Meglio cosi. Purtroppo la tregua non duro a lungo. Un quarto d’ora dopo, una volta usciti dalla baia e guadagnato il mare aperto, Ferdinando affidò il timone al suo secondo e comincio ad assediarla, offrendole un’ottima occasione per dimostrare a Geoffrey che non aveva di che preoccuparsi. Anche se, doveva ammetterlo, l’astuzia con cui la invitò offrendosi di mostrarle l’imbarcazione fece squillare un campanello d’allarme. Di conseguenza scelse una soluzione a metà strada, permettendogli di accompagnarla in giro per il ponte in modo da stroncare subito ogni altra velleità. In piena vista doveva controllarsi, almeno a giudicare dallo sguardo severo con cui lo seguiva la vecchia e nobile zia. Difficile dire se disapprovava quel comportamento o era arcigna di natura, ma la luce nei suoi occhi non prometteva nulla di buono per il baldanzoso nipote. Che però non sembrava minimamente preoccupato. — Vedo che siete un’esperta di navigazione — le disse ammirato, commentando così la serie di domande con cui cercava di distrarlo. — Questa è una delle navi da diporto veloci e maneggevoli mai costruite. Perché non la proviamo insieme? Potremmo uscire domani pomeriggio, noi due soli, e correre sulle onde come... — Domani pomeriggio? Impossibile — lo interruppe lei, scuotendo rammaricata la testa. — La festa della parrocchia è alle porte e se non faccio la mia parte, Muriel diventerà insopportabile. Ferdinando si accigliò — Chi è Muriel? — chiese con fastidio. — Mia nipote acquisita — rispose Caro con un sorriso. — Ma in effetti è molto di più. — Nipote acquisita — ripete Ferdinando, rimuginandoci sopra. — Immagino significhi che era la nipote di lord Sutcliffe. Lei annuì, per poi lanciarsi in un’accurata descrizione di Muriel e delle sue doti. Lui provò a interromperla, ma poi non poté fare altro che accettare la sconfitta. Quando riuscì a parlare, erano tornati tra gli altri. Purtroppo per lui, quella piccola delusione era il preludio a problemi ben più gravi. Guardando verso il boccaporto dove prima sedevano Michael, Elizabeth e le ragazze, Caroline vide il gruppo addossato alla balaustra. Erano tutti voltati di spalle, tranne Edward che la vide e la chiamò con un cenno. Sia lei che Ferdinando si affrettarono a raggiungerli. — Coraggio, non è nulla — disse una delle giovani Driscoll. — Ecco, prendete il mio fazzoletto. — Che cosa terribile. Povera ragazza! — esclamò sua sorella. — Chi poteva immaginarlo? Con uno sguardo preoccupato, Edward si spostò per far passare Caroline, indicando una snella figura piegata in due sulla balaustra. — A quanto pare, soffre il mal di mare. — Oooh — si lamentò Elizabeth con evidente sofferenza. Caroline gemette dentro di sé. Diamine, non avevano pensato a quella possibilità. — C’è una cabina dove possa sdraiarsi? — chiese a Ferdinando. — Ma certo — si affrettò a rispondere lui. — La faccio preparare subito. — Non servirà — commentò Michael a denti stretti, cercando il suo sguardo. — Il mare aperto è troppo mosso. Meglio tornare nella baia. Ferdinando sospirò, mentre Caroline si accorgeva improvvisamente di quanto alte fossero le onde. Abituata alle traversate oceaniche, non ci aveva neppure fatto caso. — Avete ragione. Darò subito gli ordini necessari — disse il portoghese celando a fatica il disappunto. Con un breve cenno chiamò il suo secondo e gli disse di far preparare una cabina e di voltare la prua. Intanto Michael ed Edward portavano di sotto Elizabeth, pallida come un lenzuolo. Caroline seguiva a ruota, pronta a dare il suo contributo. — Cerca di calmarti, mia cara — le disse non appena gli altri l’adagiarono sul letto, posandole una mano sulla fronte. — Stiamo tornando indietro e adesso ti faremo degli impacchi freddi. Starai subito meglio, vedrai. Elizabeth apri gli occhi, provò a rispondere, ma non ci riuscì. Con un nuovo gemito, sprofondo nel letto e si voltò su un fianco. — Prova a non pensarci — aggiunse Caro avvolgendola nello scialle, per poi toglierle una ciocca bionda dalla fronte. — Io resterò qui con te. Non dovette guardar fuori dall’oblò per rendersi conto che stavano virando. Il fragore delle onde che si infrangevano sulla chiglia cominciò presto a calare, riducendosi a un lieve sciabordio quando rientrarono nella placide acque della baia. Elizabeth si addormentò e Caro pensò bene di aprire gli oblò, per rimuovere l’aria stantia della cabina. Per un attimo assaporò la tiepida brezza del mare, poi udì delle grida sul ponte seguite da un secco rumore metallico e da un tonfo nell’acqua. Ferdinando aveva gettato l’ancora; presumibilmente il pranzo sarebbe stato servito tra poco, almeno per i fortunati che potevano consumarlo. Lei era tra quelli, ma non poteva lasciare Elizabeth e così sedette su una sedia e aspettò. Poco dopo, qualcuno bussò alla porta. Caroline si alzò, lanciò un’occhiata a Elizabeth profondamente addormentata e aprì, trovandosi davanti Michael con un vassoio in mano. — Ecco il pranzo — le disse, sbirciando nella cabina. — Il cuoco ha preparato qualcosa di leggero anche per Elizabeth. Come sta? — Dorme tranquilla — rispose lei, accennando a prendere il vassoio. — É piuttosto pesante — spiegò Michael. — Meglio che lo tenga io. Con addosso lo scialle, Elizabeth era decentemente coperta. Caro gli indicò il tavolo. — Posalo pure là. Penserò io al resto. — Quando si sveglia, dovresti farle mangiare qualcosa — aggiunse Michael. Lei annuì, poi arricciò le labbra in una smorfia. — Per fortuna non ho mai sofferto il mal di mare in vita mia. E tu? — Nemmeno io — rispose lui con un sospiro. — Ma conosco diversa gente che ne soffre. Quando si sveglierà, si sentirà debole e scombussolata. Ma adesso che siamo tornati nella baia, mangiare qualcosa l’aiuterà. Caro annuì e guardò la povera Elizabeth. Michael tacque per un attimo, poi aggiunse: — Anche Geoffrey non è stato bene. Lei si voltò, sgranando preoccupata gli occhi. — Per questo non è sceso a sincerarsi delle condizioni di sua figlia — aggiunse Michael. — Ma stai tranquilla, non è nulla di grave. L’aria fresca gli ha fatto bene e adesso è di sopra, seduto con gli altri. Caro però continuava a guardarlo accigliata, obbligandolo a uno sforzo per non alzare una mano e accarezzarle teneramente la guancia. — Non preoccuparti per Geoffrey. Io ed Edward lo teniamo d’occhio. Tu pensa a curare Elizabeth. Non poté far altro che annuire, poi lanciò un’occhiata alla sua giovane nipote sdraiata sul letto. Michael le sorrise e aprì la porta; lei lo accompagnò, salutandolo con un grazie poco più che sussurrato, poi chiuse e sedette al tavolo. Gli ospiti sul ponte consumarono il pranzo in allegria e Michael approfittò dell’atmosfera informale per approfondire il rapporto con il generale Kleber, il conte e il duca. Dall’altra parte del tavolo, Ferdinando sembrava invece immerso in una fitta conversazione con Edward. Michael si chiese se vista la forzata assenza di Caroline, il portoghese non cercasse di saperne di più su di lei tramite il suo segretario. Ridacchiando dentro di se, gli augurò buona fortuna perché nonostante la sua giovane età, Edward Campbell sembrava abbastanza esperto da difendere egregiamente la privacy della sua datrice di lavoro. Dopo i dessert e il brandy per i gentiluomini, le chiacchiere lasciarono il posto a un tranquillo appagamento. Michael si alzò, annunciando l’intenzione di fare quattro passi sul ponte per smaltire l’abbondante libagione. Si fermò presso il boccaporto, sporgendosi dalla balaustra e respirando a pieni polmoni l’aria frizzante del mare. — Ecco, prova questo. Ti garantisco che starai meglio. Era la voce di Caro. Michael abbassò lo sguardo e vide gli oblò aperti. Elizabeth doveva essersi svegliata. — Non so se ci riuscirò. — Avanti, devi fare uno sforzo — dichiarò Caro con voce incoraggiante. A quanto pareva, anche lei stava mangiando. — Anche Michael ha detto di mangiare qualcosa e sai bene che abbiamo ragione. Non vorrai star male di nuovo! — Che umiliazione! Come posso affrontarlo adesso? Come posso salire di sopra... — E comportarti come se niente fosse? — la interruppe Caro — Non lo so, mia cara, ma è esattamente ciò che devi fare. Perché in questo tipo di situazioni è meglio chiudere l’incidente e non parlarne più, sorridere, scusarsi e passare ad altro per non dare l’impressione di sfruttare il tuo malore per attirare l’interesse su di te. Segui un lungo silenzio, rotto dal tintinnio delle posate. Poi Caroline disse: — Proviamo a vedere il lato positivo della faccenda: soffrire il mal di mare può tornare a tuo vantaggio. Dopotutto, per la moglie di un politico è un grosso inconveniente. Sembrava divertita. Michael aggrottò la fronte, chiedendosi se aveva sentito bene. — Davvero? — chiese Elizabeth incredula. E poi: — Ma... ed Edward? Non sarà un inconveniente anche per lui? — Più che altro sarebbe un inconveniente per te — rise Caroline. — Sai quanti viaggi in mare compie un diplomatico nella sua carriera? Michael sobbalzò. Edward? — Uhm, dobbiamo riflettere — riprese Caroline. — Se proprio non esiste una cura, si potrebbe pensare a un impiego a Londra. — Era ciò che diceva Edward — sospirò Elizabeth. — Mentre io ho sempre voluto viaggiare. Le loro voci svanirono mentre Michael attraversava lentamente il ponte guardando verso la riva. Sapeva bene che il dialogo non era concluso, ma ormai aveva sentito abbastanza. Appoggiato di spalle alla parte opposta del boccaporto, ripensò a quello scambio di battute e cercò di capire che cosa stava succedendo. Aveva avuto l’impressione che Caro sapesse del suo interesse per Elizabeth, ma credeva che volesse aiutarlo. Invece stava aiutando qualcun altro, nella fattispecie Edward, a conquistare la mano della sua giovane nipote. Sbuffando, si chiese che cosa provava all’idea che Elizabeth sposasse Campbell e non lui. La risposta era una blanda indifferenza: anzi, a dire il vero sembravano proprio una coppia perfetta. Con una smorfia incrociò le braccia e si disse che certo avrebbe reagito in modo ben diverso se fosse stato convinto della bontà della sua scelta. Non era un Cynster, ma certamente avrebbe lottato fino in fondo e sofferto immensamente, se fosse stato davvero deciso a sposare Elizabeth. Invece si sentiva molto più seccato dallo sfacciato corteggiamento di Ferdinando verso Caroline che non dal successo di Edward con la sua giovane nipote. Tuttavia, non era neppure questo a bruciargli. Se ripensava a quegli ultimi tre giorni, cioè da quando era tornato a casa intenzionato a valutare Elizabeth e Caroline era rientrata tanto drammaticamente nella sua vita, doveva ammettere che le cose si erano svolte senza alcun intoppo. Le situazioni e le opportunità che cercava si erano presentate da sole, senza il minimo sforzo da parte sua. Ebbene, avrebbe scommesso qualsiasi cosa che dietro c’era la mano sapiente di Caroline. Tuttavia il suo tocco era così leggero, così esperto, da rendere impossibile capirlo prima: lei era maestra nelle arti diplomatiche. Lo sapeva da anni e non doveva sorprendersi di vederla finalmente all’opera. La domanda, a questo punto, era una sola. Che gioco stava giocando con lui?

Una volta afferrato il primo scampolo di verità, il resto venne da solo. Impossibile non notare l’eleganza con cui Elizabeth si congedo da Ferdinando quando, un’ora dopo, l’imbarcazione attraccò al porticciolo e lei riemerse dalla cabina. Caroline non batté ciglio mentre lei si scusava per il fastidio procurato; chiaramente, sapeva di non avere alcun bisogno di aiutare la nipote. Per contro, lei ed Edward intervennero fin troppo rapidamente quando Elizabeth dovette scendere la passerella. Gli altri erano già sbarcati e solo lui e Ferdinando restavano a bordo; con un mezzo sorriso, contemplò dal ponte il trio che recitava la commedia prima di farsi avanti e offrire il suo aiuto. Elizabeth procedette incerta tra lui ed Edward, mentre Caro accettò di scendere con Ferdinando. Giunti a terra, Edward la prese a braccetto e Michael ne approfitto per studiarlo. Il suo sguardo tradiva una vera preoccupazione, certo non la blanda apprensione imposta dall’etichetta. Bastò guardarli per rendersi conto che non aveva affatto capito male: tra quei due c’era sicuramente qualcosa. E Caroline lo sapeva fin dall’inizio. Purtroppo, per recitare fino in fondo la sua parte aveva dovuto lasciarla a Ferdinando. Immediatamente si fermò, chiese a Edward di accompagnare Elizabeth in carrozza e si volto verso di loro. Il portoghese la guardava sorridendo e le parlava, cercando chiaramente di strapparle un altro incontro. Lui non perse tempo e si avvicinò con passo misurato, per poi dirle che Geoffrey la stava aspettando. Caroline lo prese a braccetto e con un saluto si avviarono, ignorando la smorfia irritata del baldanzoso portoghese. Ma fu impossibile ignorarlo quando giunsero al barouche e lui aiutò Caro a salire. L’occhiata che Ferdinando gli rivolse dal pontile, dura, piena di sfida, rivelo senza alcun dubbio quanto forzo gli costava mantenere la civile facciata del gentiluomo. Per ora non aveva altra scelta che accettare la considerazione che lei gli riservava, quello dovuta a un amico divertente e basta, ma quel ruolo non gli piaceva affatto e si vedeva. Sotto quel punto di vista approvava senza remore il comportamento di Caroline. Anzi, l’avrebbe persino aiutata dicendo due parole a Ferdinando. Perché nonostante il disappunto, il portoghese non sembrava affatto intenzionato a lasciar perdere.

Capitolo 4

Alle undici del mattino dopo, Michael sellò Atlas e partì per Bramshaw House. Il cavallo, felice di galoppare ogni giorno, scalpitava per l’impazienza e lui lo lasciò correre tra i campi. Quella visita non era prevista, dato che il giorno prima erano tornati separatamente, ma non poteva più aspettare. Da quando si erano divisi a Totton non faceva altro che rimuginare sulla messinscena di Caro. L’idea di essere stato manipolato gli bruciava parecchio; in genere era molto più cauto, ma non aveva pensato di doversi guardare le spalle anche da lei. Bene. Se a Caro piacevano tanto gli intrighi, anche lui aveva qualche numero in serbo. Non avrebbe esagerato perché dopotutto, quella commedia gli aveva permesso di capire che Elizabeth non era adatta a lui prima di esporsi con Geoffrey, ma l’orgoglio ferito esigeva la sua vendetta. Nessuno poteva abbindolarlo così e presto Caro se ne sarebbe accorta. Trovò il terzetto al gran completo nel salottino privato. Caro lo guardò sorpresa, ma poi si alzò con un sorriso radioso. — Stavo cercando Geoffrey — le disse senza preamboli. — Abbiamo rimosso lo sbarramento sul torrente e l’acqua sta defluendo. — Mi spiace. È appena uscito. — Così mi ha detto Catten. In ogni caso, tutto procede a meraviglia e non dovrebbero sorgere problemi. Gli lascerò un appunto — spiegò Michael, guardando Elizabeth ed Edward. — Adesso però... — Non dirmi che devi già andartene! — esclamò Caroline, indicando il parco inondato dal sole. — É una splendida giornata e potremmo organizzare qualcosa, per esempio una gita a Rufus Stone. Non ci vado da anni ed Edward non ha mai visto il monumento. Nel silenzio che seguì, Elizabeth sorrise e chiese: — Perché non facciamo un picnic? Caroline annuì calorosamente. — Ottima idea. — Potrei far sellare i cavalli mentre voi vi cambiate d’abito — si offrì Edward. — Perfetto. Avviserò subito Catten — dichiarò Caroline tendendo una mano verso il campanello. Ma poi si fermò, come se un pensiero improvviso l’avesse colpita. — A condizione, naturalmente, che tu non abbia cose più importanti da fare — disse, guardando Michael. Lui incontrò i suoi occhi chiari, notando con che facilità sapeva renderli imploranti e pieni di speranza. Ma se si guardava sotto la facciata, ci si rendeva conto di quante cose celava quello sguardo. Giudicare Caroline in base alle apparenze, prenderla solo come una bella donna dall’indubbio fascino e la parlantina sciolta, significava commettere un grave errore. Non aveva pensato a un picnic, la proposta non era partita da lui, ma l’occasione sembrava troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Con un sorriso, Michael la guardò e disse: — Venire con voi sarà un vero piacere. Che continuasse pure a credere di avere tutto sotto controllo. Il divertimento sarebbe stato doppio all’inevitabile resa dei conti. — Splendido! Sarà una magnifica giornata — cinguettò Caroline tirando il cordone del campanello. Catten comparve sulla porta e lei gli diede le opportune istruzioni, poi si voltò verso gli altri. — Andate pure di sopra a cambiarvi — invitò Michael guardando Edward. — Penseremo noi ai cavalli. Ci vediamo all’ingresso principale. Lei ed Elizabeth uscirono a braccetto, seguite dai due uomini. Si salutarono nell’atrio e non appena furono sole, Caroline sussurrò: — Oggi, cerchiamo di non esagerare. Anzi, forse è meglio che non reciti nessuna parte. Una galoppata e un picnic sono occasioni informali e se continui a fare la sciocca, lui potrebbe insospettirsi. Sua nipote la guardò confusa. — Pensavo che voleste dimostrargli ancora una volta che non sono adatta. Credete che abbia già cambiato idea? Accigliata, Caroline cominciò a salire le scale. — No. Ci vorrà ancora un po’ di tempo. Infatti ho proposto la cavalcata per evitare che lui t’invitasse a una passeggiata nel parco. — Credete che fosse quella la sua intenzione? — O quella o qualcosa del genere. Perché altrimenti sarebbe venuto qui all’improvviso? — replica Caro fermandosi davanti alla porta della sua camera. — Scommetterei la mia collana di perle che voleva parlarti in privato e l’ultima cosa che dobbiamo fare è permettergli di farti la sua proposta proprio adesso. Dieci minuti dopo si ritrovarono sul pianerottolo e Caro fu lieta di vederla abbigliata come si conveniva per una cavalcata. Scesero insieme chiacchierando e ridendo, ma quando Catten aprì la porta, Caroline sgranò gli occhi vedendo Michael tenere le redini della sua giumenta grigia, Calista, e non quelle di Orion, il cavallo di Elizabeth. Stupita, cercò una spiegazione plausibile mentre sorrideva in modo radioso. Possibile che Michael fosse venuto per parlare con lei e non con Elizabeth? In effetti, come amica poteva dargli dei preziosi consigli su come avvicinarla e corteggiarla. Una situazione insidiosa, anche se prevedibile. Celando accuratamente i suoi pensieri, scese le scale chiedendosi come sfruttarla al meglio. Lui ridacchiò dentro di se davanti a quell’attimo di perplessità. Attese che si avvicinasse, poi la prese per i fianchi e si preparò ad alzarla; Caro posò la mano guantata sul suo avambraccio, alzò lo sguardo, incontro i suoi occhi... Il desiderio divampò chiaro e improvviso, come seta sottile che accarezzava la loro pelle nuda. Michael si accorse del fremito che la scosse in tutto il corpo, facendole trattenere il respiro mentre un lampo le attraversava i limpidi occhi azzurri. Fu solo un attimo: poi Caro sbatté le lunghe ciglia, lo guardò e piegò le labbra in un sorriso come se non fosse successo niente. Ancora non respirava, però. Senza distogliere lo sguardo, strinse le dita e la sentì fremere di nuovo. Poi l’alzò, posandola sulla sella e tenendole la staffa. Le fu necessario un attimo più del dovuto per infilarvi il piede, ma non appena ci riuscì lui si voltò, dandole le spalle senza aspettare che lo ringraziasse. Balzò in sella chiedendosi cosa diavolo fosse successo. Diamine, voleva solo metterla un po’ in imbarazzo e invece il cuore gli batteva all’impazzata. D’istinto la guardò, ma poi Elizabeth ed Edward voltarono i cavalli e loro due dovettero seguirli. — Forza pigroni! Vediamo chi arriva prima al cancello! — esclamo Caro partendo al galoppo. Ridendo a loro volta, Elizabeth ed Edward accettarono di buon grado la sfida. Lui invece venne colto di sorpresa. Socchiudendo gli occhi, spronò Atlas e si lanciò all’inseguimento. Era tornato a casa per Elizabeth, solo per scoprire che non poteva sposarla. Ma Caroline? Raggiunsero la strada principale e procedettero affiancati al trotto. Perplesso, Michael cercò di rielaborare la sua strategia. Aveva accettato di andare con loro per vendicarsi almeno un poco e, a ben pensarci, non intendeva affatto rinunciare a quel proposito. Tuttavia, non poteva negare di sentirsi turbato per le sorprendenti sensazioni suscitate da quel breve contatto con il corpo di lei. Sarebbe successo ancora? Tutti i suoi sensi si accesero a quel pensiero. Caro rideva, parlava e recitava alla perfezione la sua parte, godendosi la calda giornata estiva, il cielo azzurro, l’odore del fieno appena tagliato. Ma dentro di sé ringraziava il cielo per la discipline appresa nel corso degli anni. Era profondamente scossa, come se un terremoto avesse appena colpito. Doveva ripristinare subito le sue difese se non voleva rischiare di tradirsi. Giunti a Cadnam, svoltarono a sud, prendendo la strada immersa nel verde che conduceva al luogo dove Guglielmo II aveva trovato la morte in un incidente di caccia. Caro sentiva su di sé lo sguardo di Michael, ma una rapida occhiata le disse che la sua espressione pacata nascondeva una grossa incertezza. Evidentemente si stava chiedendo che cosa era successo: non sembrava compiaciuto, ma sorpreso quanto lei. Meglio così. Non aveva alcuna voglia di soffermarsi su quell’inatteso sviluppo e se lui la pensava allo stesso modo era tanto di guadagnato per entrambi. Non sapeva perché quel semplice contatto l’aveva fatta fremere da capo a piedi, ma l’istinto le diceva di evitare a tutti i costi situazioni del genere. Michael era interessato a Elizabeth: confondere le acque in quel modo avrebbe creato solo altri problemi. Poco più avanti la strada si restringeva. Se non voleva procedere affiancata a lui fino a Rufus Stone doveva dare la sveglia a Edward, che procedeva tranquillamente accanto a Elizabeth. — Edward, avete chiesto alla contessa del señor Rodriguez? — gli chiese, rallentando un po’ Calista. Aveva scelto di proposito un argomento che non poteva interessare Michael ma, con sua sorpresa, lo vide rallentare a sua volta. — Tu e la contessa vi conoscete da tempo, immagino — commentò prima che Edward potesse rispondere. Lei lo guardò, si voltò verso il suo segretario e poi annuì. — Ci conosciamo da anni. È una dama di corte ed è molto influente. — Quanto sei rimasta a Lisbona? Dieci anni? — Più o meno — rispose Caro. Doveva fare buon viso a cattiva sorte, tenere salde in pugno le redini della conversazione. Con un sorriso a sua nipote, aggiunse: — Elizabeth è venuta da noi diverse volte e si è sempre divertita molto. Michael guardò Edward. — Ah, lo immagino. Lei seguì il suo sguardo e sbatté le palpebre ma prima che potesse capire che cosa significasse quel commento, lui aggiunse: — Le ambasciate sono famose per le cene, i balli e i ricevimenti che organizzano. Come moglie di un ambasciatore non ti è mai capitato di averne abbastanza? Lei trasalì, mentre un lampo le attraversava lo sguardo. — Ti assicuro che la moglie di un ambasciatore ha un ruolo ben preciso nella vita di un’ambasciata — replicò, sentendo crescere una certa irritazione. Ma non doveva perdere le staffe. Michael stava solo cercando di fare conversazione ed era logico che la cosa lo interessasse, visto che era tra i candidati alla guida del Foreign Office. — Infatti è lei che organizza gli eventi più importanti. Quando ero sposata, curavo la vita sociale di mio marito in ogni dettaglio. — Pensavo che fosse Edward a occuparsi di quel genere di cose. Caro sentì Edward schiarirsi la voce dietro di lei. Voleva offrirle il suo aiuto, ma che fosse dannata se si fosse fatta mettere all’angolo da Michael! — No. Come segretario particolare, Edward aiutava mio marito nelle questioni diplomatiche, ma molte decisioni vengono prese proprio ai ricevimenti. In altre parole — concluse con una punta d’impazienza — mentre l’ambasciatore e la sua squadra portano avanti il piano di battaglia, è la moglie a creare il terreno su cui manovrare. Guardò avanti e tirò un profondo respiro, intenzionata a rimettere insieme la sua imperturbabile facciata. — Se le voci che girano sono fondate e in autunno verrai nominato ministro degli Esteri, sappi che un politico senza moglie è malvisto in molti paesi. Aggrottando altezzosamente la fronte, si voltò e cercò i suoi occhi azzurri. Ma notò prima il suo sorriso ironico. — Che strano — replicò Michael. — A quanto ne so, lo stesso vale in Inghilterra per un ministro scapolo. Suo malgrado, Caro si ritrovò a sbattere perplessa le ciglia. Michael guardò avanti, reprimendo a fatica una risatina. Edward ed Elizabeth erano dietro, leggermente distanziati. — Tutti sanno che Camden Sutcliffe era un ambasciatore di prim’ordine — riprese, abbassando un po’ la voce. — Senza dubbio, avrai fatto... Le parole gli morirono in gola non appena notò lo sguardo ferito che Caro gli rivolse. Voleva solo metterla un po’ sulla graticola: non si aspettava una reazione così emotiva. Tralasciò immediatamente il resto e tese una mano, guardandola preoccupato. — Scusami, non volevo offenderti — le disse. — Stai bene? Lei strinse le labbra, scartò bruscamente verso destra per evitare la sua mano e guardò avanti. — Si, perché? La sua voce era fredda come il ghiaccio e Michael decise che per quel giorno poteva bastare. Si rendeva conto dello sforzo che le costava mantenere la calma e per un attimo si chiese se doveva scusarsi ancora, ma non sapeva bene per cosa. Di conseguenza decise di tacere e, poco dopo, il gruppo arrivò nella radura dove più di sette secoli prima, precisamente il 2 agosto 1100, Guglielmo II venne ucciso dalla freccia scagliata da un suo compagno di battuta, Walter Tyrrell. Il luogo dov’era caduto il sovrano era indicato dal monumento eretto dal conte De La Warr a meta del XVIII secolo, Rufus Stone, così chiamato per il soprannome del re, Rufus, derivato dai suoi capelli rosso fuoco. Una volta ammirato il monumento e commentato insieme l’evento che ricordava, il gruppo si dedicò più prosaicamente a preparare il picnic. Le donne stesero un grande plaid sull’erba, mentre gli uomini si occuparono dei cestini appesi alle selle dei cavalli. Il tutto sotto l’attenta guida di Caroline: Michael eseguì i suoi ordini senza fiatare, più per calmarla che per altre ragioni. Poi sedettero a mangiare. Facendo appello a tutto il suo fascino, Michael sorrise e vezzeggiò Elizabeth seduta accanto a lui. Come si aspettava, quel giorno non recitava la parte dell’oca interessata solo ai balli e ai vestiti, ma anche se risultava molto più attraente lui si rese conto che non suscitava affatto il suo interesse. Invece Caroline... per tutto il tempo la sua attenzione andò solo a lei, celata naturalmente dalla maschera di allegra cortesia che anche lui sapeva indossare a meraviglia. Seduta dall’altra parte della coperta, parlava e rideva con Edward come se fossero vecchi amici. Michael li studiò attentamente, ma nulla lasciava trasparire la possibilità che fossero amanti. Sembrava piuttosto che Edward nutrisse vera ammirazione per le capacità di Caro e questo lo colpì. Sapeva per esperienza che i collaboratori di una persona importante erano i suoi critici più severi: evidentemente, Caro aveva passato da tempo l’esame del giovane segretario. Restava da capire perché si era trincerata dietro un muro di gelo quando aveva nominato suo marito. Aggrottò la fronte e ripensò a ogni dettaglio di quello scambio di battute, dicendosi che fredda o sfavillante che fosse, la maschera di Caro sembrava in grado di resistere a ogni tentativo di violarla. In dieci anni si era costruita delle difese impenetrabili: nessuno poteva superarle senza il suo consenso. La tentazione di saperne di più su di lei, di riscoprire la vera Caroline dopo tutti quegli anni, crebbe a dismisura. Mentre sgomberavano la coperta non poté evitare di chiedersi perché ma non trovò risposta. Poteva solo attendere e vedere che cosa sarebbe successo. Per comodità, Catten aveva fatto preparare quattro piccoli cestini. Tornarono ai cavalli chiacchierando, poi ognuno si dedicò a legare alla sella il proprio cestino. Michael legò il suo, poi guardò gli altri. Le donne avevano qualche difficoltà: Edward aiutava Elizabeth e lui si avvicinò a Caro per chiederle se voleva una mano. In quel momento Calista scartò bruscamente di lato, obbligando Caroline ad arretrare. Lui stava arrivandole alle spalle e l’urto fu inevitabile. La schiena di lei sbatté contro un solido torace maschile; il fondoschiena trovò invece due gambe dure come il ferro. D’istinto, Michael le strinse i fianchi per sorreggerla. Caro si irrigidì all’istante; il fiato le mancò, mentre un nuovo fremito l’attraversava da capo a piedi. Lui la lasciò e mosse un passo indietro. — Scusami — gli disse sorridendo, senza però guardarlo negli occhi. Michael sorrise a sua volta e si spostò di lato, afferrando le cinghie per aiutarla. Non appena le loro mani si sfiorarono, lei le ritirò come se si fosse scottata, lasciando il cestino in precario equilibrio sulla schiena del cavallo. Michael lo prese prima che cadesse, poi lo assicurò alla sella. — Ecco, così dovrebbe tenere fino a casa. Tirò un sospiro di sollievo quando Edward si offrì di aiutarla a salire. Con un incerto sorriso balzò in sella ad Atlas ma, sorpreso, constato che l’idea di concludere così quella giornata non gli piaceva affatto. — Il sole è ancora alto nel cielo — disse mentre Edward montava a cavallo. — Potremmo attraversare la foresta, passare Fritham e fermarci al mio maniero per il tè. Gli altri si scambiarono un’occhiata, aggrottando la fronte. — Perché no? — commentò Elizabeth guardandolo con occhi sorridenti. Michael si voltò verso Caro. Uno dei suoi radiosi sorrisi le piegò le labbra. — Ottima idea. Compiaciuto, fece strada attraverso la foresta. Il sole penetrava a fatica tra le fronde, riempiendo la strada di ombre; l’aria fresca era pregna di aromi e il cinguettio degli uccellini veniva rotto di quando in quando dal fruscio degli animali che si muovevano nel fitto sottobosco. Nessuno si sforzò di conversare e Michael si limitò a guidare il gruppo. Solo tra amici Caroline non si sentiva obbligata a chiacchierare: il suo silenzio era incoraggiante. Come fu incoraggiante la fresca allegria con cui entrambe le donne presero il tè, ammirando il parco del maniero sedute comodamente in terrazza. Entusiasta per il loro arrivo, la signora Entwhistle superò se stessa e li riempì di dolci e pasticcini, ricordando a Michael che erano passati mesi dall’ultima volta in cui un gruppo di amici si era seduto alla sua tavola. Il tempo passò veloce e il sole cominciò a calare. Il tè era finito e la signora Entwhistle si era congedata quando, su richiesta di Caroline, i garzoni si recarono alla scuderia per riprendere i loro cavalli. Tutti si alzarono, ma mentre scendevano la scala della terrazza il rumore di un calesse risuonò in lontananza. Caro si portò una mano alla fronte per vedere chi era. Gli effetti della momentanea debolezza mostrata a Rufus Stone erano scomparsi e si sentiva ragionevolmente calma. Avrebbe pensato dopo a quell’assurda reazione, quando si fosse trovata da sola nella sua stanza e ben lontana da Michael. Per il resto, la giornata era andata proprio come voleva. Non era servita a portare avanti la loro causa, ma perlomeno Michael non aveva avuto modo di corteggiare Elizabeth e quindi tutto restava come prima. Intanto il calesse si avvicinava, con i cavalli che trottavano veloci sul viale sotto la guida di Muriel. Era una guidatrice d’eccezione: Michael inclinò ammirato la testa quando la vide fermarsi davanti a loro con un’eleganza fuori dal comune. — Michael, stavo proprio cercando voi — gli disse prima di salutare gli altri. — Domani sera darò una cena per il circolo femminile e visto che siete a casa, mi chiedevo se non vorreste partecipare. Molte delle nostre socie non vi conoscono e so che sarebbero felici di scambiare quattro chiacchiere con voi. Michael sorrise e si avvicinò alla scala, fermandosi accanto a Caroline. Lei sentì il suo sguardo sfiorarle il viso e, immaginando il motivo della sua esitazione, aggiunse: — Ti prego, accetta. Così conoscerai le dame del circolo. Nonostante l’avesse ferita, si sentiva bendisposta nei suoi confronti. Lui non poteva sapere, e da quando aveva capito di averla offesa suo malgrado, il suo comportamento era stato perfetto. Michael la guardò negli occhi e poi guardò Muriel, mentre la maschera del politico tornava subito al suo posto. — Sarò felice di cenare con voi — disse. — Finalmente conoscerò tutte le vostre affiliate. Ho sentito che il circolo continua a crescere. — Proprio così — confermò Muriel deliziata. Il circolo femminile era la luce dei suoi occhi. — L’anno scorso abbiamo fatto molto per la contea, ma sentirete parlare dei nostri successi domani sera. Tutti si voltarono quando Hardacre sbucò dal cortile della scuderia conducendo a mano i tre cavalli. Muriel guardò Caroline. — Se stai tornando a casa, mia cara, potresti cavalcare accanto al calesse. Così cominceremo a discutere le idee per la festa. — Ma certo — rispose lei. Ma poi la mano di Michael le sfiorò la schiena, spingendola subito a scendere. Quasi inciampò per la fretta di montare in sella a Calista; Muriel la guardò sorpresa, ma tacque. Imprecando dentro di sé, lei prese le redini della giumenta e si voltò per vedere che cosa faceva Michael. Con sorpresa lo vide stringere amichevolmente la mano a Edward e poi congedarsi da Elizabeth con calda galanteria, senza chiederle un nuovo incontro. Ma il peggio doveva ancora arrivare. — É stata davvero una splendida giornata — disse poi, avvicinandosi a lei. — Se posso aiutarti a montare in sella... Caro abbozzò un sorriso, rendendosi subito conto di quanto fosse incerto. Michael aveva lasciato a Edward il compito di aiutare Elizabeth e lei non poteva certo pretendere che lo facesse con entrambe. Facendosi forza, accarezzò il muso di Calista e poi si voltò. Trovandolo vicinissimo e già pronto a sollevarla. Due mani ben curate si posarono sui suoi fianchi... e fu peggio di quanto aveva immaginato, perché i suoi nervi sobbalzarono, il cuore cominciò a battere impazzito e il fiato le restò in gola. Michael era così alto che il suo viso gli arrivava alla scapola e aveva delle spalle tanto larghe da impedirle per un attimo di vedere Muriel e gli altri. Poi cominciò a sollevarla e la testa prese a girarle, facendola sentire piccola, debole e impacciata per la prima volta in tanti anni. Sembrava quasi che la forza di Michael assorbisse letteralmente la sua. Catturata, sedette sul dorso del cavallo stringendo forte il pomolo della sella. Per fortuna lui non parve accorgersi del suo turbamento e tenne ferma la staffa fino a quando non riuscì a infilarvi il piede. A fatica riuscì a ringraziarlo: il suo tono suonò così distante da sorprenderla. Poi si aggiustò la gonna, sorrise agli altri e guardò Muriel. — Bene. Vogliamo andare? Michael mosse un passo indietro e un attimo più tardi il calesse partì sulla strada affiancato da Caro, con Elizabeth ed Edward che le seguivano trottando pigramente. Lui salutò il gruppo come un perfetto anfitrione, poi restò a guardarli fino a quando non uscirono dal parco. Con un sorriso, si voltò e tornò sulla terrazza.

Capitolo 5

Doveva saperne di più su Caroline. Molto di più. Mentre consumava la colazione, Michael si chiese come aveva fatto a non notare prima i segni di quella sorprendente attrazione. Forse perché lui e Caro si conoscevano da sempre; in ogni caso, se ci pensava bene doveva ammettere che esisteva un ottimo motivo per concentrarsi su di lei. Da tempo non desiderava una donna per il semplice gusto di farlo, senza calcoli di alcun genere. Soprattutto una donna che, almeno in apparenza, risultava del tutto irraggiungibile. Invece, la reazione di Caroline indicava che anche lei aveva sentito la scintilla che nasceva dal cuore e non chiedeva alcun permesso. Ma l’aveva rifiutata, tanto da fingere con qualche impaccio che non fosse mai esistita. Per quanto ne sapeva, era un comportamento che non portava a nulla. Fino a quando fossero vissuti vicini, frequentandosi giorno dopo giorno ed entrando inevitabilmente in contatto, quella scintilla era destinata a diventare un incendio che si propagava a dismisura fino a piegare ogni resistenza. Lui era scapolo. Lei vedova. L’unico problema era che si trattava di Caroline. Per questo la sua freddezza non lo sorprendeva affatto: nonostante ciò che il suo soprannome, la “vedova allegra”, poteva indurre molti a pensare, Caro era allegra solo nel senso che adorava avere ospiti, partecipare ai balli, vivere la vita nel suo senso più ampio e sfavillante. Ma in realtà, al di là delle apparenze era l’emblema della castità. Già da sposata era stata corteggiata dai casanova più celebri del regno, ma non aveva mai ceduto. Adesso si ritrovava sotto assedio da due anni senza dare adito al minimo scandalo. Non solo: aveva disilluso schiere di spasimanti senza perdere un grammo della sua influenza. Una specie di miracolo, doveva ammetterlo. Peccato che adesso quell’atteggiamento così virtuoso lo riguardasse da vicino. Assaporando l’ultimo sorso di caffè, pensò a quanto tempo poteva volerci per conquistarla. Diventare l’uomo che tentava la vedova allegra al punto da portarsela a letto sembrava un’impresa impossibile. L’unico modo di riuscirci era convincerla che erano fatti l’uno per l’altra. Una sfida immane quanto avvincente! Vincerla avrebbe costituito un trionfo senza pari anche se nessuno avesse saputo del suo successo. Ma lui contava di far trapelare qualcosa, naturalmente. Faceva parte del gioco. Avrebbe usato tutte le sue doti per insinuarsi tra le difese di Caro e quando lei si fosse gettata sospirando tra le sue braccia, l’avrebbe convinta a cedere per poi passare all’assalto finale. Più ci pensava, più sentiva di potercela fare. Ma doveva avere pazienza: tanto per cominciare, quel giorno era meglio non farsi vedere. Caro doveva riprendere la sua naturale fiducia, tornare a sentirsi sicura e inattaccabile. Doveva convincersi che lui non rappresentava un pericolo e non aveva alcun bisogno di difendersi. Di conseguenza si alzò e si avviò verso lo studio, intenzionato a sbrigare le pratiche che giorno dopo giorno si accumulavano sulla scrivania. Due ore dopo stava diligentemente smaltendo gli arretrati quando Carter bussò alla porta. — Lady Sutcliffe vorrebbe parlarvi, milord. Lui aggrottò la fronte. — Quale lady Sutcliffe? Caroline o Elizabeth? — Caroline, milord. L’ho fatta accomodare nel salottino. — Grazie, Carter — disse alzandosi e avviandosi alla porta. La curiosità lo stuzzicava, ma dentro di sé fece spallucce. Per quanto giungesse inaspettata, non doveva aspettarsi nulla da quella visita. Quando entrò nel salottino, la vide in piedi vicino alla finestra intenta a contemplare il parco. Il sole riempiva di riflessi dorati i suoi folti e soffici capelli castani, rendendoli lucidi e tentatori. Indossava un abito azzurro un po’ più scuro dei suoi occhi, grazioso e leggero, aderente quel tanto che bastava a lasciar indovinare le sue curve voluttuose. Sentendolo entrare, si voltò e lo salutò con un radioso sorriso, che svelò subito a Michael quanto lontana fosse dal ritenerlo innocuo. Dovette affidarsi all’istinto per capirlo, dato che nulla traspariva dalla maschera di allegra cortesia di Caroline. — Spero di non averti disturbato. Sono venuta per chiederti sia un aiuto che un parere. Sorridendo a sua volta, lui indicò il sofà. — Da dove cominciamo? Caro approfittò del momento in cui sedette con grazia sul divano per schiarirsi le idee e controllare le sensazioni irrazionali che provava dal giorno prima. Le bastava pensare a un fugace contatto tra loro per sprofondare nel panico: una cosa incredibile considerando che dopo anni di esperienze in giro per l’Europa, l’ultima cosa che avrebbe pensato era sentirsi tanto vulnerabile proprio a casa sua, là nel bel mezzo della campagna inglese. Naturalmente non poteva cedere. Se non fosse riuscita a controllarsi, almeno poteva nascondersi dietro una parvenza di serenità. — Ho deciso di dare un galà la sera prima della festa della parrocchia. Mi è venuto in mente che, visto il gran numero di diplomatici venuti qui in villeggiatura, organizzare un ballo e invitarli tutti con la promessa di sistemarli per la notte potrebbe convincerli a partecipare alla festa del giorno successivo — dichiarò, aggiungendo dopo un attimo: — In pratica, l’idea sarebbe offrire una festa degna dei migliori salotti che continui con quella del giorno dopo. Michael studiò il suo volto sorridente, ma lei non riuscì a capire che cosa ne pensava. Dopo un attimo le disse: — Se ho ben capito vuoi usare il ballo per portare alla festa di Muriel molti ospiti importanti, aumentando così l’interesse della gente del luogo. Se funziona, sia il ballo che la festa saranno un successo. Lei sorrise, felice di parlare con qualcuno in grado di guardare al di là delle apparenze e vedere subito le implicazioni di un progetto. Naturalmente, assicurare il successo della festa non era il solo scopo di quell’iniziativa. Dopo il picnic a Rufus Stone, sia Elizabeth che Edward l’avevano implorata di fare qualcosa per chiudere una volta per tutte la questione con Michael. Bisognava quindi creare una situazione che dimostrasse definitivamente l’incapacità di Elizabeth di fare ciò che Michael si aspettava. — Sono certo che hai già cominciato a organizzare tutto — riprese lui. Caro aggrottò la fronte davanti alla sua aria divertita. — Come posso aiutarti? — Accettando di ospitare alcuni degli invitati — replicò subito. — E dandomi la tua opinion sull’elenco che ho preparato. Credi che le continue “incomprensioni” tra russi e prussiani possano riflettersi sul ballo? Paradossalmente, entrambe le ambasciate hanno delle proprietà nella contea e senza dubbio qualcuno si offenderebbe se non ricevesse l’invito. Tenendo in pugno la conversazione, Caroline cominciò a delineare la sua strategia. Michael la lasciò parlare, fornendo un’opinione solo quando doveva, in modo da evitare discussioni inutili. Tanto, sicuramente, lei sapeva già dove parare. Alla fine Caroline si alzò, si infilò i guanti e si avviò verso la porta, voltandosi per un’ultima conferma. — Allora mi aiuterai, vero? Elizabeth... ah, temo proprio di non poter contare su di lei. Pensa che non appena ha saputo delle mie intenzioni, si e rifugiata dalle sorelle Driscoll dicendo che odia organizzare questo genere di cose. Non vuole neppure aiutarmi a preparare gli inviti, dato che la “signorina” detesta scrivere sempre le stesse frasi! Lui inclinò la testa, dicendosi che lo sforzo di Caro per sminuire ai suoi occhi la nipote senza darlo a vedere era davvero ammirevole. — Ma certo — rispose con una risatina. — A due condizioni. — Condizioni? Oh, no! — rise Caroline, mentre una luce circospetta le riempiva gli occhi chiari. — Quali sarebbero? — gli chiese con tono rassegnato. — La prima è che ti fermi a pranzo — cominciò lui, conscio della tensione che saliva. Caroline lo guardò fece per declinare, ma poi ci ripensò — Sara un piacere — gli disse. — Pensavo giusto di cominciare a organizzare le cose questo pomeriggio. Naturalmente se Muriel mi concederà una tregua, perché in questo periodo è sempre... Era tanto agitata che gesticolava mentre parlava. Fu proprio il desiderio di risparmiarle quel tormento che lo spinse a prenderle le dita, stringendole a mezz’aria. Lei tacque, guardandolo smarrita. — La seconda — riprese Michael con un caldo sussurro — è che tu mi prometta di porre fine alla commedia. Sono perfettamente in grado di capire da solo certe cose. Muovendo un po’ le dita, le chiuse la mano nella sua e si avvicinò, rendendosi conto che non era sicura del significato di quelle parole. — So bene che sposare Elizabeth sarebbe un grave errore. Non devi più recitare la tua parte. Caroline guardò i suoi occhi azzurri e sorridenti. In vita sua non si era mai sentita tanto sorpresa. Inoltre lui era così vicino da farle desiderare di fuggire... Come diavolo aveva fatto a capirlo? Quel pensiero servì a scuoterla dallo stupore. Socchiuse gli occhi e sospettosamente gli chiese: — Dunque hai cambiato idea? Non chiederai più la mano di Elizabeth? Lui sorrise. — Ho cambiato idea — ammise, portandosi la sua piccola mano alle labbra e sfiorandole le nocche con un bacio. — Mi sono reso conto che non è lei la mia sposa ideale. Il tocco delle sue labbra le fece formicolare la pelle, ma la sua confusione non era nulla davanti all’immenso sollievo che provò. Solo allora si rese conto di non essere mai stata certa di riuscire a salvare sua nipote dalle sofferenze di un matrimonio indesiderato, come quelle che lei aveva vissuto in prima persona. Se ripensava all’imbarazzo, all’inesperienza, alle vere e proprie gaffes che avevano contrassegnato i suoi esordi nel mondo della diplomazia, non poteva che rallegrarsi della decisione di Michael. — Ne sono lieta — disse, sorridendogli con gioia. — Mi sono intromessa solo perché sapevo che non avrebbe funzionato. — Lo so — disse lui, felice di averle tolto quel peso con poche e semplici parole. — Bene — commentò Caroline. Non riusciva a smettere di sorridere: se fosse stata ancora una ragazzina, avrebbe fatto i salti di gioia. — Non vedo l’ora di dirglielo. Michael alzò un dito ammonitore. — Dopo pranzo, naturalmente — dichiarò, indicando la porta con un cenno. — Dopotutto, me l’hai promesso. Pranzarono in assoluta armonia, con lei che continuò a parlare dei suoi progetti per il ballo ma senza alcun secondo fine, dando voce apertamente ai suoi pensieri. Michael si accorse subito della sottile differenza e capì di avere compiuto un significativo passo avanti. Si era conquistato la sua fiducia, un progresso non da poco. Alla fine l’accompagnò in giardino, attendendo con lei che il garzone portasse il calesse dalla scuderia. L’aiutò galantemente a salire e ottenne un radioso sorriso, poi si salutarono con affetto. Quando la vide sparire in lontananza, si voltò e rientrò in casa apertamente soddisfatto. Tutto era andato per il meglio quella mattina: anzi, non si poteva concepire un inizio migliore. La gioia di Caroline, fresca e genuina, era una delizia, ma le aveva impedito di capire che una volta abbandonata l’idea di sposare Elizabeth, la sua attenzione si era spostata su un’altra donna. Una donna molto più esperta. Scuotendo divertito la testa, studiò per un attimo la casa ed entrò. Non vedeva l’ora di recarsi a cena da Muriel quella sera.

— Ah, Michael, finalmente siete arrivato! Severa ed elegante in un vestito di seta amaranto, Muriel si precipitò ad accoglierlo con il sorriso sulle labbra. Michael si produsse in un galante baciamano, poi si guardò attorno. Il salotto era pieno di dame, con qualche gentiluomo sperduto qua e là. — Permettetemi di presentarvi le nostre nuove amiche — disse lei radiosa, conducendolo verso un gruppo che chiacchierava davanti a una porta-finestra spalancata sul giardino. — Ecco la signora Carlisle. Lei e suo marito si sono trasferiti di recente nella contea. Sfoderando il suo miglior sorriso da politico, strinse la mano dei coniugi Carlisle e apprese che venivano da Bradford. Poi si dedicò alle altre signore che lo guardavano deliziate, salutando le tre che conosceva e presentandosi alle due nuove arrivate. Anche se le donne non votavano, erano le più attive a livello sociale con le loro associazioni parrocchiali, le iniziative caritatevoli e via dicendo. Lui le aveva sempre appoggiate e adesso che il Primo ministro era sul punto di affidargli delle responsabilità di altissimo livello, aveva bisogno di tutto il sostegno possibile. Quel genere di serate erano proprio ciò che ci voleva: Muriel gliel’aveva offerta su un piatto d’argento ed era determinato a trarne il meglio. Era impegnato proprio in quell’impresa, quando Caroline arrivò. In piedi davanti al camino, voltato di spalle, chiacchierava con due gentiluomini quando qualcosa lo spinse a posare gli occhi sullo specchio appeso alla cappa. Lei era sulla soglia e si guardava attorno. Indossava un delicato vestito di seta stampata che attirò subito gli sguardi, ma sembrava perfettamente a suo agio in quell’ambiente. Due fili di perle le ornavano il collo e il polso, da cui pendeva un’elegante borsettina da sera. Non portava altri fronzoli e in effetti non ne aveva alcun bisogno. Poi Caro vide Muriel e si diresse sorridendo verso di lei. Rivolgendosi ai suoi interlocutori, Michael chiuse con tatto la discussione e si allontanò, deciso a intercettarla. Caroline fremette quando lo vide, ma lui fu l’unico a notarlo. Le prese la mano e fece per portarsela alle labbra, ma poi si limitò a stringerla. — Mi chiedevo quando saresti arrivata. Il sorriso che lei gli rivolse tradiva ancora la gioia di quella mattina. — É una serata splendida e ho preferito camminare — spiegò. — Hai già conosciuto le nuove socie? — Si, ma adesso ho bisogno del tuo aiuto — rispose Michael, indicando con un cenno un gruppo dall’altra parte del salotto. — Non ho ancora parlato alla signora Kendall. Immagino che tornerà alla carica per l’orfanotrofio. Non intendeva nasconderle in alcun modo il suo interesse. Chissà quanto ci avrebbe messo a capire le sue intenzioni? Caroline parve perplessa e si irrigidì un poco, come per proteggersi dall’effetto che aveva su di lei, ma il suo sorriso vacillò solo un attimo. Poi, radiosa come sempre, guardò la dama in questione e sussurrò: — Se vuoi ti accompagno, ma non vedo come posso aiutarti. Se l’era solo immaginato o nel sorriso che gli piegò le labbra c’era qualcosa di predatorio? Ridacchiando con aria amichevole, Michael disse: — Ah, ma certo che puoi aiutarmi. Veniamo dallo stesso ambiente: solo tu puoi interpretare a dovere le promesse di un politico. Lei rise e sentì allentarsi la tensione che provava. Fu divertente accompagnarlo al gruppo della signora Kendall, che davvero partì alla carica sui fondi all’orfanotrofio, poi in giro nel salotto a salutare gli ospiti. Quel pomeriggio era tornata dal maniero tanto sollevata da volare su una nuvola e aveva raggiunto subito Edward ed Elizabeth per dare loro la buona notizia. Ne avevano parlato fino all’ora del tè, felici che lui avesse rinunciato così presto e ammettendo che, per quanto a fin di bene, imbastire un simile inganno non era piaciuto a nessuno di loro. Michael però aveva capito e il fatto che concordasse con loro li assolveva. Di conseguenza, mostrargli la sua gratitudine restando un po’ con lui nonostante le sciocche emozioni che provava era il minimo che potesse fare. Un’ora passò con rapidità, poi Muriel annunciò che la cena era servita. Gli ospiti si spostarono in sala da pranzo, fermandosi davanti al buffet. Michael era ancora accanto a lei; notando con quanta gentilezza le prese un piatto e l’aiutò a servirsi, Caroline aggrottò la fronte e sussurrò: — Dovresti aggirarti tra gli ospiti, non restare con me. — Davvero? Lei socchiuse gli occhi e lo guardò. — Si. Immagino tu sappia che in queste occasioni un politico deve blandire il suo pubblico. Con queste parole si voltò, muovendo verso le finestre aperte sul giardino. Ma un attimo più tardi lui le fu di nuovo accanto. — Non vedo perché non possiamo blandirlo insieme. Perché se per caso l’avesse toccata, le sarebbero saltati i nervi con conseguenze imprevedibili. Fece per liquidarlo con un perentorio invito a levare le tende, ma si morse la lingua e continuò a camminare con un sorriso sereno stampato in volto, cercando d’ignorare il modo in cui tutti i suoi sensi sembravano puntati su di lui. Non poté evitare di guardarlo mentre procedeva al suo fianco con languida grazia, forte e sicuro. Ricordava bene quant’era solido il suo corpo: da ragazzo, Michael era stato un vero atleta e non sembrava troppo cambiato nel corso degli anni. Per qualche folle ragione, provò l’irrefrenabile impulso di scoprire se era davvero cosi. Si sentiva a pezzi quando raggiunsero le finestre. Voleva protestare per la sua insistenza, ma lui parlò per primo. — Pensa a me come a un amico che ha bisogno della tua protezione. — La mia protezione? — si stupì Caro, invitandolo con un’occhiata a non adottare scuse idiote. Se credeva di prenderla in giro appellandosi alla sua sensibilità, si sbagliava di grosso. — Tra tutti i presenti, tu sei forse l’unico a non aver bisogno di alcuna protezione. Tranne forse quella della tua lingua vellutata. Michael rise, facendole capire che ci voleva altro per scoraggiarlo. Caro si rese conto che per qualche oscuro motivo non riusciva a esercitare con lui l’autocontrollo che aveva acquisito negli anni. O meglio, poteva provarci ma, contrariamente al solito, non aveva alcuna garanzia che funzionasse. La sua capacità di tenerlo al suo posto non era affatto scontata. Doveva conquistarsela ogni volta. Finirono in silenzio di mangiare, poi lei lo guardò. I loro occhi si incontrarono; lui la studiò, poi inarcò le sopracciglia in una tacita domanda. — Perché insisti a restarmi accanto? — gli chiese Caroline alzando un poco il mento. Michael aggrottò la fronte; i suoi occhi si riempirono d’ilarità. — Immagino sia ovvio. La tua compagnia è molto più piacevole di quella della nostra onnipresente padrona di casa. In effetti lei doveva ammettere che a volte Muriel poteva dimostrarsi un disastro con la sua invadenza. Ciononostante alzò un dito ammonitore. — Farai bene a non criticarla, visto che ti ha fatto un gran favore. Diamine, hai ripreso i contatti che contano senza muovere un dito! — Non ho mai detto di non esserle grato. Ho detto solo che preferisco la tua compagnia. — Se lei non avesse organizzato questa serata, cosa avresti fatto? Il suo sorriso fu devastante. — Avrei chiesto a te di organizzarla, naturalmente. Maledetta la sua lingua di politico! Caro sbuffò, ma Michael non intendeva demordere. — Non avresti aiutato un vecchio amico? — le chiese, fingendosi offeso. Lei lo guardò cercando di assumere un’aria severa. — Forse si, per combattere la noia. Ma non mi sto annoiando affatto in questo periodo, per cui dovresti ringraziare Muriel di cuore. Mentre parlava, Michael si fece pensieroso come se contemplasse qualche possibilità mai studiata prima. — Forse dovrei organizzare qualcosa del genere anche nell’area a sud di Lyndhurst. — Immagino di sì. Buona fortuna — commentò lei seccamente. Non aveva la minima intenzione di tornare a promuovere incontri politici o diplomatici per gli altri. Sapeva di avere talento per quel genere di cose e a volte lo metteva a frutto, ma non avrebbe più ripreso quel ruolo per un uomo. Lui posò i loro piatti su un tavolino, poi la guardò implorante. — Puoi almeno darmi una mano con la signora Harris? Non ricordo quasi nulla di lei. Ricordando a se stessa che, nonostante la sua arroganza, gli era ancora grata, accettò di accompagnarlo dall’anziana nobildonna e di aiutarlo quando fosse stato necessario. Così fu trascinata in un altro gruppo, e poi in un altro ancora. Fino a quando si rese conto, dall’occhiata intensa della vedova Tricket, che la loro continua vicinanza stava sollevando la curiosità di molti. Sapeva per esperienza che discutere con un maschio arrogante non portava a nulla: non appena rivide Muriel, si diresse verso di lei e le prese affettuosamente la mano. — Grazie per la deliziosa serata, mia cara. Muriel guardò Michael, che stava parlando con la signora Ellingham. — Stai andando via? — le chiese sorpresa. Lei sorrise. — Si, purtroppo. Volevo dirtelo prima, ma eri troppo occupata. Voglio dare un ballo la sera prima della festa della parrocchia. Molti diplomatici sono qui in villeggiatura e vorrei convincerli a partecipare alla festa offrendo loro un alloggio per la notte. — Oh! — esclamo Muriel sbattendo le ciglia. — Ottima idea. Non sembrava così entusiasta, ma probabilmente si doveva al fatto che non ci aveva pensato lei per prima. Dandole qualche colpetto sulla mano, Caroline aggiunse: — Ho lasciato Elizabeth ed Edward a scrivere gli inviti, ma immagino che anch’io debba fare la mia parte. Grazie di nuovo: ti manderò l’invito domani stesso. — Grazie a te — replicò Muriel sorridendo, poi guardò altrove. — Se vuoi scusarmi, c’è qualcosa che devo controllare. Si allontanò di fretta e Caroline si voltò verso Michael. — Credo che andrò a casa — gli disse. Michael la guardò stupito, poi salutò la sua anziana interlocutrice e mosse con lei verso la porta. — Ti accompagno. Un’affermazione, non una richiesta. Avanzata per giunta come se avesse ogni diritto su di lei. Caroline fremette, ma non capì per cosa. Sapeva solo che l’idea di averlo accanto fino a casa, seduti sul calesse nella tiepida notte estiva, le faceva venire i nervi a fior di pelle. — No, grazie. Preferisco camminare. Michael uscì con lei nell’atrio, dove gli invitati non potevano sentirli. — In caso ti fosse sfuggito, è notte fonda là fuori. Lei fece spallucce. — Siamo in campagna, non a Londra. Da qui al cancello di Bramshaw House ci sono dieci minuti a piedi e il viale nel parco sarà lungo mezzo miglio. Che rischi vuoi che corra? Con sua somma irritazione, Michael non si degnò neppure di rispondere. — Portate qui il mio calesse, per favore — disse al valletto che attendeva accanto alla porta. — Subito, milord. Il valletto uscì. Michael guardò una furibonda Caroline con un blando sorriso stampato in volto. — Non ho alcuna intenzione... — cominciò lei. — Che male c’e? Improvvisamente a corto di argomenti, lei guardò verso la porta del salone. — Muriel — sibilò. — Non l’hai neppure salutata. Sarò a casa prima che tu riesca a liberarti. Una porta si aprì alla loro destra. Hedderwick, il marito di Muriel, emerse rosso in volto dallo studio. Chiaramente vi si era rifugiato per il classico cicchetto clandestino; Michael lo guardò, dicendosi che forse potevano darsi una mano a vicenda. — Vecchio mio, cercavo proprio voi. Devo andarmene, purtroppo, ma vostra moglie è sparita chissà dove. Sareste così gentile da porgerle i miei omaggi e dirle che è stata una serata deliziosa? Basso, robusto e senza un capello in testa, Hedderwick piegò le labbra in un affabile sorriso. — Ma certo, non preoccupatevi. É stato un piacere avervi qui con noi — dichiarò, stringendogli la mano per poi prodursi in un elegante inchino a Caroline e dirigendosi verso il salotto. Michael aggrottò ironicamente le sopracciglia. — Ci sono altri obblighi sociali da rispettare? Due occhi azzurri pieni di rabbia si posarono su di lui, ma una stridula voce distrasse entrambi. — Ah, eccovi qui, signore. Muriel è sparita e io devo proprio andare, altrimenti Reginald comincerà a preoccuparsi. Volete dirle che è stata una serata davvero piacevole? Hedderwick sorrise e annuì, spostandosi di lato per far passare la signorina Trice, la sorella del vicario. Alta come Caroline, era una gran ficcanaso ma aveva un cuore d’oro e oltre a governare la casa del fratello, partecipava a molti progetti del circolo femminile. Una volta salutato Hedderwick, si avvicinò a loro con aria da cospiratrice e sussurrò: — Grazie per aver dato il via ai saluti, mia cara. Muriel sa organizzare delle feste davvero splendide, ma purtroppo domani bisogna alzarsi presto! Caroline sorrise. La signorina Trice salutò Michael e augurò loro la buonanotte, poi uscì con passo spedito. Un attimo più tardi, il calesse si fermò davanti alla porta. — Ottimo — commentò lui, prendendo Caro a braccetto. — Perché dobbiamo discutere? É buio, me ne sto andando anch’io e non mi costa alcuna fatica darti un passaggio. Lei lo guardò, apparentemente calma, ma esasperata come non mai. Tuttavia, sapeva quando aveva perso una partita. — E la signorina Trice? — sbuffò, uscendo insieme a lui. — Non sta rincasando anche lei da sola e al buio? Michael gemette mentre l’aiutava a salire sul calesse. — Il vicariato quanto dista? Cinquanta metri al massimo e tra il cancello e la porta ci saranno altri dieci metri. Inutile insistere oltre. Meglio tenersi forte al sedile, visto che per raggiungere la strada principale dovevano fare una curva molto stretta e non aveva alcuna voglia di finire contro di lui. Cosa che accadde comunque: una vampata di caldo l’attraversò da capo a piedi, ma poi Michael si spostò permettendole di tirare un sospiro di sollievo. Per fortuna era una notte senza luna, calda e stellata: lui non poteva aver notato la sua agitazione. Come prevedeva, la sua presenza forte e virile a pochi centimetri da lei le sconvolgeva i sensi, facendole battere forte il cuore e rendendole impossibile respirare normalmente. Tuttavia, Michael cercava solo di essere gentile. Colta dal timore di avergli rivelato qualcosa, prove a recuperare dicendo: — Non volevo sembrare scortese. Solo che... Due loschi figuri emersero in quel momento dalle ombre della strada. Caroline sbatté le ciglia, guardò meglio e li indicò. — Guarda. Chi sono quei due? Sotto i loro occhi, gli sconosciuti si misero a correre, raggiungendo in un baleno una sottile figura che marciava spedita davanti a loro. Un urlo echeggiò nel silenzio della notte. — Signorina Trice! — chiamò Caroline, voltandosi verso Michael che stava incitando i cavalli. Lei si tenne forte mentre la coppia di trottatori balzava in avanti, accelerando subito il passo. Il battito dei loro zoccoli riempì la strada; i due malfattori si voltarono, uno di loro gridò qualcosa all’altro e poi entrambi lasciarono la preda, dandosi a una fuga disperata nei vicoli del paese. Oltre i quali c’era la foresta. Sapendo di non poterli più raggiungere, Michael rallentò la corsa e si fermò davanti alla signorina Trice, stesa a terra terrorizzata e affranta. — Dio mio! Come state? — le chiese Caroline, balzando giù mentre il calesse oscillava ancora sulle mote. — Vi hanno fatto del male? — No. Io... oh! — singhiozzò lei lottando per respirare e stringendo il braccio di Caroline, che però non aveva la forza di sollevarla. Ci pensò Michael ad alzarla e rincuorarla. — Sono fuggiti, non temete. Come vi sentite? La signorina Trice lo guardò con gratitudine. — Sto bene. Ho solo bisogno di riprendere fiato. Le lasciarono tutto il tempo necessario, poi si avviarono pian piano verso il cancello del vicariato. — Vi accompagniamo fino alla porta — disse Michael. Caro notò che la signorina Trice sembrava felice della sua presenza. L’aggressione era avvenuta praticamente sotto casa; quando passarono il cancello e si inoltrarono sul vialetto lastricato, Michael chiese: — Immagino non abbiate idea di chi siano quelle due canaglie. Lei scosse la testa. — Non erano di qui, ve lo assicuro. Due marinai ubriachi, senza alcun dubbio. Puzzavano d’alcol e continuavano a imprecare! Era facile arrivare al paese da Southampton, anche se i marinai preferivano frequentare i postriboli e le taverne di città. Probabilmente, quella notte due di loro avevano deciso di spingersi all’interno per rubare e vedendo le luci accese nella casa di Muriel, si erano appostati in attesa che uscisse il primo ospite. Michael guardò Caroline mentre salivano gli scalini della casa del vicario. Chissà se si rendeva conto che senza la sua insistenza, e Dio solo sapeva quanto aveva dovuto insistere, sarebbe stata lei la prima a uscire. Percorrendo quella strada da sola, al buio. Senza nessuno che potesse aiutarla.

Capitolo 6

Caroline si era dimostrata ancora una volta all’altezza della situazione, si disse Michael la mattina dopo, mentre galoppava sulla strada per Bramshaw. Dopo avere portato in casa la signorina Trice e spiegato l’accaduto al vicario, si erano accertati che la poveretta non avesse bisogno di un dottore, poi si erano congedati. Caro sembrava pensierosa quanto lui e nessuno parlò mentre percorrevano l’ultimo tratto di strada. Il viale del parco, fiancheggiato da grandi alberi che di giorno creavano una deliziosa frescura, era immerso nell’oscurità più totale. In alcuni punti le fronde erano talmente fitte da impedire persino di vedere le stelle; se quei due tagliagole si fossero appostati la... — Che strana faccenda — commentò lei quando si fermarono davanti all’ingresso principale. Michael la guardò, rendendosi conto che non era spaventata, ma perplessa quanto lui. — Già. — In ogni caso, grazie per avermi accompagnato — aggiunse Caroline mentre lui l’aiutava a scendere. — A quanto pare è stata una vera fortuna, soprattutto per la signorina Trice. Michael strinse le labbra. Era contento di avere aiutato quella povera donna, ma sperava in un fine serata ben diverso. Le prese la mano e quando lei mosse le dita, la guardò negli occhi e disse: — Devi riferire tutto a tuo fratello. Caro socchiuse gli occhi per quel tono autoritario, poi annuì con regale distacco. — Ma certo. — Me lo prometti? Questo la mandò su tutte le furie. — Non ne ho alcun bisogno, visto che glielo dirò subito. Credi che dormirò tranquilla pensando che quei due potrebbero aggirarsi ancora nei paraggi? Parlerò a Geoffrey e gli chiederò di mettere in allarme i domestici, gli stallieri e i braccianti. Con Elizabeth a casa per l’estate, la prudenza non è mai troppa.

Il rischio non riguardava solo Elizabeth, ma lui si era morso la lingua accettando le sue rassicurazioni con un cenno. Aveva fatto bene, concluse adesso rallentando la corsa di Atlas perché era quasi arrivato. Avvisare Geoffrey era tutto ciò che le aveva chiesto; per il resto, doveva constatare che Caroline non si era ancora accorta delle sue intenzioni, altrimenti non l’avrebbe fustigato così per l’insistenza con cui cercava di proteggerla. Difatti, più la vedeva e più il desiderio di proteggerla acquistava forza. Sotto quell’aspetto, assomigliava a suo cognato più’ di quanto volesse ammettere. Che Devil fosse pronto a proteggere Honoria in ogni situazione, suscitando spesso le vibrate proteste della moglie per quella che riteneva una soffocante tirannia, era fuori discussione. Lui si era chiesto spesso che cosa lo spingeva: adesso lo sapeva, visto che era vittima della sua stessa “malattia”. Aveva trascorso una notte insonne; quando si era seduto a colazione, sapeva bene che la strana sensazione alla bocca dello stomaco non si doveva certo alla fame. Il punto era che la sua strategia non lo soddisfaceva più. Lasciare che le cose si sviluppassero da sole, permettere a Caroline di accorgersi del suo interesse con il tempo, si rivelava un’autentica tortura. C’era poi la questione per nulla secondaria della sua nomina a ministro: forse sarebbe riuscito a conquistare Caro durante l’estate, ma sedurla non era sufficiente. Per fortuna lei non era più una giovane e inesperta debuttante. Con un matrimonio alle spalle, avrebbe certamente capito il suo interesse. Sempre che se ne rendesse conto, visto che finora lui aveva evitato di mostrarglielo. Di conseguenza aveva deciso di accelerare i tempi, iniziando discretamente ad assediarla in modo da valutare le sue reazioni. Lasciò Atlas allo stalliere di Geoffrey e si avviò verso la casa passando dal giardino. Stava percorrendo l’ultimo tratto del vialetto quando un secco rumore risuonò alla sua sinistra. Si voltò e la vide nel giardino delle rose, intenta a tagliare i fiori appassiti. Impugnando delle grosse cesoie, Caroline lavorava soprappensiero ammucchiando i fiori secchi ai margini delle aiuole. Hendricks, il giardiniere, li avrebbe raccolti più tardi, ringraziandola per la sua fatica. Pulire i rosai era rilassante, persino rasserenante sotto molti punti di vista. Perlomeno la distraeva dall’irritazione che provava pensando a Michael, una cosa che ultimamente accadeva troppo spesso per i suoi gusti. Non aveva mai vissuto una tale situazione e dunque non poteva appellarsi all’esperienza, ma l’istinto l’ammoniva a non fidarsi. Sapeva di poggiare i piedi su un terreno scivoloso: Michael era una canaglia dalla lingua vellutata e sapeva farsi valere dannatamente bene quando voleva. Inoltre, tra tutti gli uomini che conosceva, era l’unico capace di resisterle e questo la preoccupava non poco. Gli effetti li aveva visti la sera prima, quando aveva capitolato davanti alla sua insistenza. Anche se aveva fatto bene, visto ciò che era successo, non poteva evitare di chiedersi da quando era diventata sensibile alle pressioni di un maschio presuntuoso. Perché non se n’era andata lasciandolo lì come un allocco? Perché si era arresa in quel modo? Accigliata, decapitò con rabbia un altro fiore secco. Poi sbatté le ciglia e si fermò, conscia di una solleticante sensazione di calore che le correva lungo la schiena. Trattenendo il respiro si voltò, vedendo Michael appoggiato di spalle all’ingresso ad arco del giardino. Con una silenziosa e colorita imprecazione in portoghese, si disse che l’effetto che Michael aveva su di lei sfiorava decisamente l’assurdo. Com’era possibile che sentisse il suo sguardo a venti metri di distanza? Lo vide sorridere, poi avvicinarsi. Sopprimendo sul nascere un’ondata di panico, inclinò la testa come se fosse lieta di vedere un vecchio amico. — Buongiorno. È una splendida mattina, vero? — lo salutò, aggiungendo con vago rammarico: — Immagino che tu sia qui per Geoffrey. Sei proprio sfortunato, sai? È appena uscito per visitare il lato sud della tenuta. Lui annuì, studiandola da capo a piedi con il sorriso sulle labbra. — Pazienza. Mi accontenterò della sorella — mormorò, coprendo con passi felpati la distanza che li separava. Caro sgranò gli occhi e rise, ma in realtà era tesa come una corda di violino. Michael doveva sorprenderla ancora di più quando alzò una mano, le tolse le cesoie e poi le strinse le dita tra le sue. Dita guantate, ricordò a se stessa mentre lottava per riordinare le idee. Lui sorrise con calore. — A dire il vero, cercavo te. Ringraziando il cielo per lo spesso guanto da lavoro, inarcò un sopracciglio e attese che lui capisse che non poteva prodursi in un galante baciamano. Michael reagì con un’occhiata divertita, poi le voltò la mano, le alzò con le dita l’orlo della manica e le diede un bacio conturbante quanto consapevole sul polso, appena sopra il punto dove il sangue le pulsava selvaggiamente nelle vene. Per un attimo le girò la testa, ma poi scrutò il suo volto e vide la soddisfazione che gli riempiva lo sguardo. — Davvero? — chiese, mantenendo con uno sforzo la sua espressione di educata amicizia. Poi ritirò la mano, senza dover strappare perché lui la lasciò subito. — Sì. Sei occupata? Glielo chiese senza guardare i fiori secchi sparsi a terra, cosa per cui dovette concedergli diversi punti. Una gentildonna del suo stampo che faceva visita alla casa del fratello non aveva granché da fare se passava il tempo potando le rose. — No — rispose, decisa ad andare fino in fondo alla questione. Qualunque fosse. — Hai qualche suggerimento per il ballo? I loro occhi si incontrarono e lei cercò senza successo di capire cosa pensava. — Forse sì, ma perché non facciamo una passeggiata? Ci sono diverse questioni di cui vorrei parlarti. La prima riguardava Elizabeth, naturalmente, visto che Michael era disposto a mettere una pietra sopra la vicenda, ma voleva capire com’erano andate le cose. Lottando contro la tensione che le impediva praticamente di pensare, Caroline decise di raccontargli tutto. Gli spiegò così che era stato proprio Geoffrey a suscitare i primi sospetti, magnificandolo agli occhi della figlia. Naturalmente non sapeva della relazione tra Elizabeth ed Edward; lei sì, e quindi la nipote le aveva scritto disperata per chiedere il suo aiuto. Con una visita a Londra apprese dell’ultimatum a Michael da parte del Primo ministro. Allarmata, si era recata quindi da Harriet Jennet, la zia di Michael e Honoria che li aveva cresciuti dopo la tragica scomparsa dei genitori, trovando conferma dei suoi peggiori sospetti. — Così sono venuta qui per farti cambiare idea prima che tu avanzassi una proposta formale — concluse, cercando i suoi occhi. — L’ho fatto per Elizabeth, ma anche per te. Sono felice che ti sia reso conto da solo che per molti motivi, il vostro matrimonio sarebbe stato una gabbia per entrambi. Uno scettico sorriso gli piegò le labbra. — Capisco. Era per dirmi questo che sei venuta a trovarmi il giorno stesso del mio arrivo? Lei si sentì arrossire, ma fu svelta a voltarsi e a fare spallucce. — Sono venuta perché temevo che tu volessi parlare subito a Geoffrey. Naturalmente non pensavo di entrare in scena in modo tanto drammatico. Quel commento ricordò a Michael lo strano incidente in calesse. Un brivido gli corse lungo la schiena, ma lo attribuì alla tensione che provava vedendola camminare accanto a lui, calda, fragrante e incredibilmente femminile. Si erano avviati verso il gazebo sul laghetto ornamentale; lui guardò avanti e vide che era ancora distante. — Bene — le disse sorridendo. — Per quanto mi riguarda, possiamo considerare chiusa la faccenda. Anzi, immagino che tu abbia dei progetti anche per Edward. Deve fare ancora molta strada per poter chiedere a Geoffrey la mano della figlia. — Infatti — ammise lei, abbassando lo sguardo. — Tuttavia, il mio unico progetto è una visita a Londra in autunno, quando riaprirà il Parlamento. C’è aria di rimpasto e potrebbe essere il momento propizio per inserirlo in qualche ministero. Michael annuì, riflette un attimo e poi disse: — Se vuoi, posso sondare il terreno con Hemmings al ministero dell’Interno, oppure con Curlew alle dogane. Lei sgranò gli occhi. — Lo faresti davvero? Prendendola per un braccio, la condusse su per la scala del gazebo. — Edward è un giovane capace e di saldi principi morali. In questi giorni l’ho studiato un po’ e mi sembra pronto a salire uno scalino. I suoi trascorsi come segretario particolare di Camden e il nostro appoggio dovrebbero garantirgli una posizione più che onorevole. Caro rise felice, guardandolo con riconoscenza. — Non so come ringraziarti — disse, addentrandosi nella fresca penombra. Lo vide esitare, studiarla con occhi caldi e azzurri, poi avvicinarsi. Trattenne il respiro, mentre a ogni suo passo sentiva stringersi la morsa che le avvolgeva il cuore. Provò a dirsi con tutta la severità possibile di non essere sciocca, di sorridere, parlare e nascondere con ogni mezzo l’agitazione che provava. Era Michael, accidenti. Non costituiva alcuna minaccia per lei! Anche se, a ben guardare, c’era qualcosa nei suoi occhi che le diceva proprio l’opposto. Sorpresa e allarme toccarono nuove vette quando si rese conto che più si avvicinava e più le sue intenzioni diventavano chiare. Aveva gettato la maschera del gentiluomo, constatò sussultando, e la guardava come se volesse... La piena comprensione la colpì con la violenza di un pugno. Sgranò gli occhi, si voltò di scatto e indicò il lago. — Che panorama stupendo! Riusciva appena a parlare. Era tanto tesa da tremare come una foglia. — Davvero splendido — fu la sussurrata risposta, pronunciata tanto vicino a lei da farle rizzare i capelli sulla nuca. Una totale confusione la pervase. Lui era come una languida fiamma che ardeva alle sue spalle, incendiandole tutti i sensi; allarmata, si rese conto che l’aveva chiusa contro la balaustra. — Guarda! — balbettò, spostandosi di lato per sfuggirgli. — Da qui si vede proprio tutto. Ecco i rododendri in fiore... e laggiù c’è un’anatra con i suoi pulcini. Quanti sono? — chiese a se stessa, rinunciando in partenza a contarli. — Saranno una dozzina di anatroccoli. Silenzio. Facendosi piccola piccola, Caro azzardò un’occhiata rendendosi conto che lui le era sempre più vicino. — Caroline? A fatica evitò di urlare; era tanto tesa da rischiare di svenire. — Si può sapere che cosa ti passa per la testa? — tuonò, voltandosi di scatto. Michael si fermò, ma il suo sguardo continuò a vagare, studiando, cercando. Per un attimo, Caro ebbe l’impressione che fosse perplesso quanto lei, ma poi inclinò la testa e si avvicinò ancora obbligandola a fare un altro passo indietro. — Che cosa vuoi fare? — ripeté con un filo di voce, rivelando tutto il suo sconcerto. Perché la confondeva, la spaventava, distruggendo la comoda amicizia che li univa da anni e che finora avevano accettato entrambi? Lui sospirò, tornando a guardarla. In quel momento, Caro fu certa che era teso quanto lei. — Provo a tenerti ferma quanto basta per stringerti tra le mie braccia. Quella risposta suscitò in lei un panico inaudito, ma anche così non riusciva a credere alle sue orecchie. Sbattendo le palpebre, riuscì ad assumere il freddo distacco di cui aveva disperatamente bisogno. — Non vorrei deluderti, ma la “vedova allegra” non si concede mai. Non amo affatto questo genere di scherzi — dichiarò. Il tono fermo di quelle parole servì a darle un po’ di coraggio. — Né con te, né con nessun altro uomo. Michael non batté ciglio e continuò a guardarla. Dopo un lungo istante, le disse: — Che cosa ti fa pensare che stia scherzando? L’atroce dubbio che fosse tutto un malinteso l’assalì, ma bastò guardare l’espressione del suo volto per scacciarlo. Paralizzata dall’incertezza, non riuscì a opporsi quando lui si avvicinò ancora, intrappolandola contro la balaustra. E prima che potesse aprire bocca, le sue mani le cinsero possessivamente la vita. — Scherzare, in effetti, è l’ultima cosa che mi passa per la testa — mormorò, tirandola con forza a sé. Lei fremette, ma il panico che le impediva di reagire era permeato di stupore. Gli posò le mani sul torace con l’idea di tenerlo lontano, però non trovò la forza e le dita restarono inerti sul suo petto. Con uno sforzo, Michael ignorò quel contatto incredibilmente evocativo e attese, dandole il tempo di calmarsi, tirare il fiato, abituarsi alla sua vicinanza e soprattutto al fatto che era riuscito a mettere all’angolo la vedova allegra. Ma se non voleva passare per un altro dei molti seduttori che l’avevano assediata, doveva chiarire subito che il suo assalto non nasceva da semplice lussuria. Per questo si limitò a guardarla, a studiare i pensieri che si riflettevano nella luce dei suoi occhi fino a quando non la sentì rilassarsi un poco. — E adesso? — chiese infine Caroline, schiarendosi la voce. Lui sorrise e la vide alzare lo sguardo sulle sue labbra. Solo allora chinò la testa, avvicinandosi piano. Caro emise un lieve gemito, premendo le mani sul suo torace. — Adesso questo — le sussurrò, poi chiuse gli occhi e la baciò. All’inizio fu un semplice contatto tra le loro labbra, dato che si aspettava qualche resistenza ed era pronto a vincerla. Invece lei restò ferma dov’era, senza ritrarsi, ma anche senza rispondere. Non si mosse neppure. Non c’era nulla da vincere, nessuna resistenza. Neppure un freddo distacco. Nulla, assolutamente nulla. La cautela gli riempì la mente, arginando il suo ardore iniziale. Perplesso, mosse piano le labbra nel tentativo di capire che cosa provava lei, se quella totale mancanza di reazioni indicava un rifiuto o una timorosa accettazione. Nel dubbio decise di tener ferme le mani sui suoi fianchi, continuando dolcemente a vezzeggiarla nella penombra del gazebo. Poi sentì le sue labbra muoversi un poco, tanto esitanti e incerte che quasi si tirò indietro per accertarsi di star baciando proprio Caroline, la moglie dell’ambasciatore, l’indiscussa protagonista da un decennio della mondanità dei diplomatici. Perché la donna che stringeva... se fosse stata un’altra, avrebbe pensato che non fosse mai stata baciata. Di nuovo la prudenza gli suggerì di non correre troppo, di tentarla e vezzeggiarla solo con le labbra. Era come donare la vita a una statua con il soffio del suo respiro. Un paragone che calzava a pennello, visto che lei era immobile ma non fredda, come se aspettasse solo il calore necessario per accendersi. Una reazione così insolita da infiammargli i sensi come non aveva creduto possibile, obbligandolo a uno sforzo, per contenere l’impeto. Ciò che stava scoprendo con quel bacio, con il graduale scaldarsi di quella labbra morbide come petali di rosa, con la prima, incerta pressione che sentì, distava a tal punto da ciò che aveva immaginato da riempirlo di uno stupore assoluto. Dopo quella prima, incerta risposta, Caroline si fermò. Lui capì che si aspettava di vederlo ritrarsi, interrompere il bacio e lasciarla andare. Ci pensò sopra un attimo, poi si spostò e inclinò la testa premendo un po’ di più sulle sue labbra. Lasciarla andare adesso equivaleva a perderla: lui non era certo un casanova, ma si rendeva conto del pericolo. Continuò quindi a vezzeggiarla, usando ogni mezzo che conosceva per strapparle un’altra risposta. Sentì muoversi quelle piccole mani sul torace, poi le sue dita gli strinsero la giacca per avvicinarlo ancora e come per miracolo, le sue labbra si aprirono un poco. Si beò di quel contatto e la trascinò subito in un vero scambio di baci e carezze, distraendola al punto da muovere le mani sulla sua schiena stringendola con forza a sé, intrappolandola contro il suo petto prima che cambiasse idea e cercasse di sfuggirgli. Caro si sentiva girare la testa. Come aveva fatto a cascare in quella trappola? E lui... non si era reso conto che non sapeva baciare? In teoria, questo avrebbe dovuto allontanarlo e invece eccolo lì, intento ad abbracciarla con inspiegabile ardore. Doveva smettere, spingerlo via e porre fine a quell’insana debolezza. L’istinto le gridava a gran voce di farlo adesso se non voleva pentirsene, ma nessuno l’aveva mai baciata in un modo così languido e gentile, come se la sua reazione contasse davvero. Era questo a trattenerla: i pochi uomini che erano riusciti in qualche modo a cingerla tra le braccia volevano solo divorarla, suscitando un rifiuto completo e immediato. Ma evidentemente esisteva anche un altro modo di baciarsi, rispettoso, caldo e appassionato. Questo e la sicurezza che provava nella casa in cui aveva trascorso l’infanzia non permisero alle sue difese di scattare al loro posto, lasciandola inerme davanti all’assalto, rendendola incapace di resistere a quello strano bacio, ottenebrante, tentatore, intossicante. E quanto tentatore doveva rivelarsi apparve chiaro un attimo più tardi, quando lui smise pian piano di baciarla e tirò indietro la testa. Non tanto, giusto quanto bastava per permetterle di alzare le palpebre e studiare i suoi occhi azzurri e luminosi, parzialmente nascosti dalle ciglia socchiuse. Lei emise un tremulo sospiro e si accorse di trovarsi ancora tra le sue braccia, ma non si sentiva oppressa, intrappolata o altro. Solo accarezzata. Seguendo l’istinto, si alzò in punta di piedi, gli premette il seno sul torace e cercò di nuovo le sue labbra per un altro bacio languido. Ma nel momento stesso in cui lo fece, avvertì la sua soddisfazione, un trionfo tipicamente maschile per averla tentata fino a quel punto. “Che cosa sto facendo?” Provò a tirarsi indietro, ma Michael rafforzò la stretta, chinò la testa e la baciò di nuovo. Una languida, dolce carezza, delicata all’inizio e poi sempre più appassionata, fino a quando la sua lingua non le sfiorò le labbra tracciandone i contorni. Caroline sentì la tentazione e cercò di resisterle, ma poi socchiuse la bocca curiosa di scoprire che cosa avrebbe fatto. Lui tracciò dapprima l’interno delle labbra, sicuro ma non spavaldo, poi affondò pian piano nella bocca, cercando, sondando, stuzzicandola fino a trovare la sua lingua. Un’ondata di calore la percorse da capo a piedi per quelle umide carezze, allentando la sua tensione, scacciando remore e paure. Michael si accorse subito del sottile cambiamento, del momento in cui la residua freddezza si sciolse e lei si abbandonò tra le sue braccia. Il desiderio di prendersi di più. crebbe a dismisura, ma controllò l’istinto e si limitò a baciarla con languida passione, facendo di tutto per tranquillizzarla. Con grande maestria le fece intravedere i fulgidi orizzonti della passione; poi cominciò a ritrarsi, ben sapendo che spaventarla significava darle un’ottima scusa per fuggire. Tirò indietro la testa, aprì gli occhi e la guardò, celando accuratamente il suo trionfo. Non la lasciò subito, ma continuò a stringerla fino a quando non la vide ferma sulle gambe. Caroline lo guardò, arrossì e mosse un passo indietro, trovando però la balaustra. Allora si spostò di lato, poi distolse lo sguardo e mormorò: — Così, adesso lo sai. Lui la guardò perplesso. — Che cosa dovrei sapere? Sbuffando leggermente, Caroline si avviò verso la scala. — Che non so baciare. L’aveva detto nell’improbabile caso in cui non se ne fosse accorto, sperando che girasse al largo. Meglio chiarire subito che quell’attimo di debolezza sarebbe rimasto tale. Michael però era davvero ottuso quando voleva. — Perché, questo non era un bacio? — replicò divertito e un po’ perplesso. — No. Almeno, non per le tue abitudini — fu la pronta risposta. — Non so baciare, te l’ho detto. Temo proprio che ti convenga rinunciare — concluse, avviandosi di buon passo sul sentiero con lui che la seguiva. Scrutò il cielo come se volesse capire che ora era e poi aggiunse: — É tardi. Immagino che Geoffrey sia già tornato. — Caroline? Quella sola parola era pregna non solo di emozioni, ma anche di una promessa ben precisa. Il cuore le balzò in gola, ma si sforzò di restare calma. Michael era un consumato negoziatore e non doveva mai scordarlo. — Ti prego, risparmiami la tua compassione. — Ma io non ti compatisco affatto. Questo la bloccò dov’era. — Come? — Hai capito benissimo — ribatté lui, guardandola negli occhi. — Non c’è nulla per cui dovrei compatirti. Puoi benissimo imparare, sai? — No, non posso. E comunque... — Comunque cosa? — Ah, non importa. Lui rise. — Ma a me importa. Voglio insegnarti a baciare e tutto il resto. Caroline sbuffò, gli lanciò una fredda occhiata e si voltò, avviandosi con passo spedito verso casa e maledicendo al contempo tutti gli uomini.

Capitolo 7

Da quel momento in poi lo avrebbe evitato. Sicuramente non aveva intenzione di perdere tempo chiedendosi che cosa volesse insegnarle. C’erano un ballo da organizzare e un sacco di ospiti da sistemare per la notte: bastava e avanzava per tenerla occupata nei prossimi giorni. Quella sera era stata invitata a cena a Leadbetter Hall, la monumentale dimora presso Lyndhurst affittata dai portoghesi per trascorrervi l’estate. L’invito non comprendeva Edward; vista la sicura presenza di Ferdinando, la cosa non la sorprendeva affatto. Aveva chiesto la carrozza per le sette e poco prima uscì dalla sua stanza accuratamente vestita e pettinata. Dopo qualche indecisione aveva optato per l’abito da sera rosa scuro, tagliato sapientemente per valorizzare il suo seno piccolo, ma perfetto. Il colore si intonava alla parure di perle e ametiste, composta da una lunga collana che scivolava nella scollatura dopo due giri attorno al collo, orecchini e braccialetto. Un pettine d’avorio con filigrana d’oro teneva a posto l’elaborato chignon in cui aveva raccolto la sua folta e soffice massa di capelli. Quei capelli mossi e tanto ribelli da vietarle le acconciature più alla moda costituivano un vero cruccio fin da ragazza, ma poi un’esperta e bendisposta anziana nobildonna le aveva detto che era inutile combattere una battaglia persa in partenza. Meglio cercare uno stile adatto e usarli come tratto distintivo della sua personalità. Sul momento aveva considerato quel consiglio come un vano tentativo di consolarla, ma poi si era accorta che la nobildonna aveva ragione. Adesso, la peculiarità del suo aspetto rappresentava un rassicurante punto di forza; muovendo con passo leggero verso le scale, posò una mano guantata sulla balaustra e comincio a scendere. Il suo sguardo si posò sulla porta d’ingresso, dove Catten attendeva in silenzio. Era arrivato qualcuno? Stringendo le labbra, continuo a scendere e vide aprirsi la porta dello studio. Un attimo più tardi Michael comparve nell’atrio, elegante e austero come sempre, seguito da Geoffrey che sorrideva soddisfatto. Lei si fermò, ma Michael la vide e si avvicinò alla scala. Il consiglio della nobildonna le tornò subito in mente. — Che sorpresa! — esclamò, porgendogli la mano per il baciamano. — Non dirmi che sei stato invitato anche tu alla cena. Il suo sguardo la incatenò. — Si, purtroppo — rispose ridacchiando. — E, viste le circostanze, penso che sarà meglio andare insieme. Fermo dietro di lui, Geoffrey anticipo la sua domanda. — Con quei due mascalzoni ancora in libertà, la prudenza non è mai troppa. — Credete davvero che arrivino ad assalire una carrozza? — chiese lei perplessa. — Chi può saperlo? — rispose Geoffrey, lanciando a Michael un’occhiata d’intesa. — In ogni caso, mi sentirò più tranquillo se qualcuno ti accompagna. Come temeva era una battaglia persa in partenza. Rassegnandosi all’inevitabile, anche perché l’unica cosa che doveva temere erano i suoi nervi a fior di pelle, sorrise a entrambi con diplomazia e inclinò la testa. — Se vi fa piacere — disse, poi inarcò un sopracciglio e guardò Michael. — Sempre che tu sia pronto a partire. — Prontissimo — rispose lui sorridendo e prendendola a braccetto. — Vogliamo andare? Con un profondo respiro, Caro alzò la testa decisa a ignorare la tensione cresciuta all’improvviso non appena lui si era avvicinato. Salutarono Geoffrey e si diressero verso la carrozza che stava aspettandoli fuori. Michael l’aiutò galantemente a salire, poi si accomodò di fronte a lei. — Sai già chi è stato invitato? — le chiese non appena partirono. Caroline aggrottò la fronte. — Ho qualche idea, ma nulla di pin — rispose, cominciando subito a elencare i nomi degli ospiti sicuramente presenti e la loro posizione, per poi azzardare qualche ipotesi sugli altri invitati chiamati a rallegrare l’esclusivo salotto dei portoghesi. Lui l’ascoltò con attenzione, chiedendosi se Caro si rendeva conto che le delucidazioni che gli stava offrendo erano proprio quelle che si sarebbe aspettato da una moglie. Tuttavia prestò la massima attenzione a non incalzarla e calibrò ogni domanda per farla sentire a suo agio, visto che era quello il vero obiettivo che si era posto per la serata. Le sue informazioni si rivelavano utilissime, ma la cena aveva un’importanza secondaria. Molto più importante era riportare qualche certezza nel loro rapporto, frequentando insieme l’ambiente in cui entrambi si muovevano da maestri, anche se in modo ben diverso. Poi, al ritorno a casa, contava di approfondire il lato più nuovo e personale della loro relazione, visto che lei sarebbe stata molto più abbordabile dopo una bella serata. Per questo si ripromise di fare il possibile perché si godesse la cena. Raggiunsero Leadbetter Hall in perfetto orario. La carrozza si fermò davanti all’imponente scalinata d’ingresso, davanti alla quale attendevano la duchessa e la contessa. A braccetto di Michael, salì le scale con passo misurato e porse i suoi omaggi alle anziane nobildonne. — È un vero piacere rivedervi, signore — disse a Michael la duchessa una volta finito di complimentarsi con Caro per lo splendido abito. Poi, con lo sguardo che passava da uno all’altro, aggiunse: — Mi auguro di cuore di continuare a vedervi anche negli anni a venire. Lui rispose con un elegante baciamano e una scherzosa rassicurazione, strappandole un sorriso. Quel commento, però, lo lasciò perplesso. Lanciò un’occhiata a Caro e la vide sorpresa quanto lui, poi si voltò verso la contessa che annuiva approvando. Sembrava quasi che gli stessero dando il benvenuto in un circolo esclusivo. Reprimendo un sorriso di trionfo, prese Caroline a braccetto e con aristocratica eleganza si avviarono verso il salone. Si fermarono sull’ingresso per studiare i vari gruppi e mettere a fuoco la situazione. Qualcuno si voltò verso di loro, poi tornò tranquillamente a conversare. Lui guardò Caro, immobile al suo fianco, serena e sorridente, e un’ondata di possessività lo attraversò da capo a piedi. Era lei la moglie che voleva e che intendeva conquistare. — Raggiungiamo subito il duca e il conte? Lei annuì. — Ottima idea. Fu davvero confortante aggirarsi insieme tra gli ospiti, fermandosi in ogni gruppo per scambiare saluti e commenti. Le supposizioni di Caroline sulla lista d’invitati si rivelarono corrette; tra gli ospiti imprevisti c’erano due funzionari del Foreign Office e uno del ministero del Commercio con le rispettive mogli. Tutti e tre lo riconobbero subito e scusandosi con i loro interlocutori, lo raggiunsero per salutarlo. Quando stavano per riprendere il loro giro, Michael vide Ferdinando avvicinarsi con il sorriso sulle labbra. — Signor Leponte — lo salutò. Lui rispose con un breve cenno del capo che tradì tutta la sua sospettosa freddezza, ma ormai l’aveva inquadrato e così accettò con formale educazione i suoi tentativi di sottrargli Caroline. Sapeva che il portoghese si sarebbe ritrovato con un pugno di mosche in mano, visto che uomini molto più esperti di lui avevano assediato la “vedova allegra” per anni senza ottenere nulla. La formidabile reputazione di Caroline, che evidentemente Ferdinando non conosceva a fondo, lasciava intendere che non c’erano eccezioni di sorta. Almeno finora. Mentre parlava con Kosminsky, l’incaricato d’affari polacco, continuò a studiare Ferdinando con la coda dell’occhio e dovette ammettere che ci sapeva fare, almeno a giudicare dalla scusa che trovò per portare via Caroline. Lei però non intendeva muoversi, visto che chiacchierava, sorrideva e teneva la mano ben ferma sul suo avambraccio. Michael sentiva la pressione di quelle dita agili e curate attraverso la stoffa della giacca e concluse che il portoghese non aveva la minima speranza di convincerla. Ferdinando sfodero la sua vena poetica. — Mia adorata Caroline, stasera i vostri occhi sembrano lune d’argento su un volto paradisiaco. Lei aggrottò le sopracciglia. — Due lune? Che strano paradiso! Michael si trattenne a stento dal ridergli in faccia. Un’occhiata al polacco accanto a lui gli rivelò che sogghignava sotto i baffi, mentre Caroline aveva assunto un’espressione davvero angelica. Ferdinando invece parve rattristato da tanta concretezza, ma la maschera del nobile annoiato tornò subito al suo posto e un attimo più tardi riprovò a bussare alla porta di Caro. Se non fosse stato un rivale, l’avrebbe informato che quell’approccio non portava da nessuna parte, almeno non con lei. Inutile cercare una breccia nelle sue difese: bisognava sorprenderla per riuscire ad aggirarle. Una volta alzate, le mura impenetrabili che proteggevano la sua virtù avrebbero scoraggiato qualunque pretendente. Ancora non capiva perché Caroline difendesse con tanto accanimento una virtù persa da tempo, ma sapeva bene che l’ultimo posto in cui provare a conquistarla era un evento mondano di quel tipo. Tornò alla sua conversazione con Kosminsky e, dopo essersi assicurato che avrebbe partecipato al ballo di Caroline, provò a strappargli la promessa che nulla avrebbe turbato il tranquillo svolgimento della festa. Il polacco sbuffò. — Per una sera, immagino che le tensioni con i prussiani possano restare fuori dalla porta. Vi garantisco tutto il mio impegno per la riuscita del vostro ballo, milady. Caroline colse subito l’occasione per porre freno ai tentativi di Ferdinando. — Vi ringrazio, signore. La vostra promessa mi tranquillizza molto. So quanto può essere difficile mediare, ma... In cinque minuti ridusse il burbero Kosminsky a uno schiavo devoto, almeno per quanto riguardava il ballo. Michael si limitò ad apprezzare in silenzio le sue capacità, ma poi guardò di nuovo Ferdinando e si accorse subito del suo malumore. Evidentemente non aveva alcuna intenzione di nasconderglielo; però, quando Caro si voltò per coinvolgerlo nel discorso con un commento, le sue labbra si piegarono subito in un caldo sorriso. Era normale, visto che dopotutto si contendevano i favori di una donna, ma l’intensità della sua reazione l’allarmo. Continue a guardarlo di sottecchi e lo vide studiare Caroline in un modo strano, che non si adattava all’atteggiamento di un diplomatico straniero in cerca di distrazioni nella bucolica campagna inglese. Finalmente venne annunciata la cena e gli ospiti si avviarono in lenta processione verso la grande sala da pranzo. Michael si ritrovò seduto tra il conte e il duca; il Portogallo era da secoli un prezioso alleato dell’Inghilterra e l’interesse dei due nobiluomini verso le sue idee, le iniziative che contava di prendere se avesse occupato il posto di ministro e i rapporti tra i due paesi, era perfettamente comprensibile. Caroline non aveva avuto la stessa fortuna riguardo al posto assegnatole, stretta tra Ferdinando e un vecchio ammiraglio portoghese. Anche se molti dei presenti erano inglesi, nessun compatriota sedeva nelle vicinanze. Lei non dimostrava di preoccuparsene, ma chissà cosa ne pensava. Caroline si rese subito conto della sua strana posizione. Si ritrovava nella zona in cui sedevano la contessa, la duchessa e le altre nobildonne; se Camden fosse stato ancora vivo, sarebbe stato normale sedersi vicino alle mogli degli altri diplomatici. Questo però non spiegava che cosa ci facesse Ferdinando seduto alla sua sinistra; visto il sonnacchioso ammiraglio che sedeva alla sua destra, sembrava chiaro che quella posizione era studiata apposta per dargli le chances che altrimenti non avrebbe avuto. — Ah, finalmente! Mia cara, dovete assolutamente provare questa zuppa — le raccomandò Ferdinando quando i camerieri entrarono con la prima portata. Lei sbirciò nella zuppiera e vide che si trattava di una zuppa di cozze e vongole in un profumato intingolo. Sorridendo, annuì al cameriere che aspettava accanto a lei. — Le cozze sono inglesi, naturalmente, ma è una specialità di Albufeira, la mia città.. Doveva dargliene atto: era deliziosa. Ma la sua insistenza cominciava a seccarla. Portandosi alla bocca un saporito boccone, assunse la sua aria più ingenua e disse: — A quanto ne so, vivete ancora con i vostri zii. Lui sbatté le palpebre. — Ah... sì — rispose, annuendo e guardando il suo piatto. — Tutta la mia famiglia, i miei genitori, zii e cugini, vivono al castello di Albufeira — aggiunse, sfoderando un luminoso sorriso. — Dovreste vederlo. Sorge su una collina che domina tutta la città e la vista sul mare è davvero stupenda. Perché non ci fate visita? Il Portogallo è rimasto troppo a lungo senza la vostra deliziosa presenza. Lei rise. — Temo proprio che il Portogallo dovrà rassegnarsi. Per ora, non credo che lascerò di nuovo l’Inghilterra. — Peccato! — replicò Ferdinando con aria dispiaciuta. — Sarebbe una vera perdita, perlomeno per il nostro piccolo angolo di mondo. Con un sorriso, Caroline finì la zuppa. Non appena il cameriere portò via il piatto, Ferdinando si avvicinò a lei e sussurrò: — Tutti noi sappiamo della vostra devozione a sir Sutcliffe. Deve mancarvi molto. Con un sorriso di rammarico, Caroline prese il bicchiere di vino e se lo portò alle labbra, sorseggiando lentamente. — Certamente — disse, incontrando i suoi occhi scuri. — Per me, la sua scomparsa è stata un vero dramma. Non aveva la minima intenzione di sottovalutare Ferdinando e il suo comportamento istrionico. La stava sondando, studiando, valutando. Non sapeva per cosa, ma era decisa a non concedergli il benché minimo appiglio e soprattutto a non tradire in alcun modo i suoi veri sentimenti. Che provasse pure a circuirla; lei doveva solo aspettare per capire dove voleva arrivare. Poi lo vide abbassare gli occhi in un accenno d’improvvisa timidezza. — Per diversi anni ho nutrito per vostro marito un rispetto che sconfinava nell’ammirazione — le confidò. — Era un diplomatico di prim’ordine, un uomo da cui si può imparare molto. I suoi successi, le sue strategie, rappresentano un vanto per tutta l’Inghilterra. — Lo credete davvero? — chiese lei, fingendosi sorpresa. Non era il primo a provarci così. — Ma certo! Basta pensare alla sua prima iniziativa quando fu presentato a corte! La portata successiva venne sistemata davanti a loro. Ferdinando continuò a esporle la sua ammirazione per sir Camden; mentre mangiava, lei lo incoraggiò felice di tenerlo occupato così. Con pochi e incisivi commenti, riuscì a protrarre quel discorso per buona parte della cena e Ferdinando parve davvero sorpreso quando la duchessa si alzò e chiese alle dame di seguirla nel salone. Quando gli uomini le raggiunsero, fu proprio lui il primo ad andarle incontro. Michael era un po’ indietro e conversava pacatamente con alcuni gentiluomini, ma il suo sguardo si posò su di lei non appena entrò. Per un attimo, Caroline si sentì confusa. Si ritrovava a gestire le attenzioni di due uomini molto diversi, con uno che rappresentava a meraviglia l’immagine del carisma e della bellezza latina e l’altro dotato di un fascino molto più sottile, anche se non c’era nulla di sottile nella sua forza. Se Ferdinando sprizzava entusiasmo da ogni poro, Michael era più lento e posato, ma anche più elegante. Non aveva dubbi sulle intenzioni del giovane portoghese ma, nonostante lui fosse più vicino, il suo sguardo andò a Michael. Poi Ferdinando le prese una mano e dovette per forza sorridergli, ma in realtà percepiva maggiormente lo sguardo di Michael posato su di lei. Quando lo vide muoversi cercò una scusa per liberarsi, ma in quel momento la contessa e la duchessa si scusarono con le persone con cui stavano parlando e si mossero per intercettarlo con una solerzia chiaramente preordinata. Michael dovette fermarsi e parlare con loro. — Mia dolce Caroline, dovete scusare la mia insistenza, ma adesso che siete qui vorrei approfittarne per conoscere meglio sir Sutcliffe — riprese Ferdinando, prendendola a braccetto e avviandosi lentamente tra gli ospiti. — So che la dimora avita della sua famiglia si trova da queste parti e vorrei tanto visitarla. — Sutcliffe Hall non è lontana, in effetti — rispose lei, chiedendosi perché il portoghese insisteva tanto su quel discorso quando in realtà voleva solo sedurla. Tuttavia era un ottimo argomento per tenerlo a bada e così accettò di buon grado di parlarne. — Vi avviso però che Camden non vi si recava spesso, almeno non durante gli anni della sua attività diplomatica. — Ah, ma sicuramente vi sarà cresciuto. Per lui, doveva costituire il luogo dove ritirarsi in cerca di calma e di conforto. Procedevano piano e lui le parlava all’orecchio; visti da lontano, sembravano immersi in chissà quale discorso. Caroline si guardò attorno in cerca di qualche occasioni per sganciarsi, ma purtroppo non ne trovò nessuna. La lenta passeggiata li portò davanti alla porta-finestra aperta. Ferdinando fece per continuare, ma lei si fermò. — É una serata davvero tiepida — commentò il portoghese con un cenno verso la terrazza. — Venite. Continuiamo fuori la nostra conversazione. Un po’ di movimento presso l’ingresso del salone la distrasse. I primi ospiti cominciavano ad andarsene; lei fece per voltarsi e declinare la proposta, ma prima che potesse aprire bocca, lui riprese a camminare, rafforzando un poco la sua stretta per obbligarla a seguirlo. Poteva ritirare il braccio, sorridergli e voltarsi, ma nonostante l’istinto l’ammonisse a non fidarsi, era curiosa di scoprire fin dove voleva spingersi. Non era la prima volta che si trovava in una situazione simile e finora ne era sempre uscita vincitrice. Lanciò quindi un’occhiata fuori, poi annuì e lo seguì in silenzio sulla terrazza illuminate dal chiaro di luna. Dall’altra parte del salone, Michael vide la sua snella figura sparire dalla vista e imprecò dentro di sé. Non perse tempo a chiedersi che cosa voleva fare Leponte: con l’abilità di un consumato politico, si congedò dalle due nobildonne dicendo di dover parlare al funzionario del ministero del Commercio prima che se ne andasse. L’aveva scelto perché era vicino alla finestra e stava salutando i suoi interlocutori, ma mentre fendeva la folla con passo deciso, si rese conto che la duchessa e la contessa avevano capito il trucco. In ogni caso era troppo tardi per fermarlo e sotto il loro sguardo allarmato, superò anche l’ultimo gruppo e uscì. Dietro di lui, le due signore si fermarono sulla porta con un fruscio di seta. Lui le ignorò e con passi misurati si diresse verso Caroline e Leponte, fermi presso la balaustra, lontani dalla luce del salone, ma perfettamente visibili al bagliore della luna quasi piena. Voleva affrettarsi, ma soffocò l’impulso e si avvicinò pigramente come se fosse andato a chiamarla per rincasare. Un’idea quanto mai opportuna, si disse mentre studiava la scena. Il portoghese si trovava vicino a Caroline, ma non la toccava, almeno non ancora. Tuttavia sembrava pronto a cingerle la vita, visto che agitava la mano a mezz’aria come per indicare i vialetti del parco. Caroline, dal canto suo, sembrava calma e serena come sempre, persino divertita da quella situazione. La tensione che l’aveva assalito si placò all’istante. Chiaramente non aveva alcun bisogno del suo aiuto; anzi, probabilmente il suo arrivo avrebbe salvato Leponte, non lei. Sentendolo avvicinarsi, Caro e Ferdinando si voltarono. Per un attimo il volto del portoghese tradì una sorpresa assoluta, mentre lei sorrise e disse: — Stavo spiegando a Ferdinando la tecnica del giardino paesaggistico di Capability Brown. Il Portogallo ha un clima molto diverso dal nostro, ma con le giuste essenze e le tecniche adeguate sono certa che funzionerebbe a meraviglia anche sull’Atlantico. Stavano parlando di giardinaggio? Michael provò un moto di pietà per il povero corteggiatore. — Si sta facendo tardi — constatò. — Dobbiamo andare o Geoffrey comincerà a preoccuparsi. — Ah, sì — sospiro lei, notando la duchessa e la contessa ferme sulla porta. — Concedimi altri dieci minuti per salutare — aggiunse, avviandosi verso di loro. Voleva vendicarsi per la parte che avevano giocato nel piccolo intrigo ordito da Ferdinando; per questo tornò al discorso sull’architettura dei giardini, profondendosi in descrizioni dettagliate. La contessa fu la prima ad arrendersi. Guardando verso il salone, provò a fuggire dicendo che doveva salutare gli ospiti che si stavano accomiatando, ma Caroline la prese a braccetto e procedendo lentamente tra lei e la duchessa, continuò con calma a istruirle sui giardini inglesi. Michael le seguì senza parlare, molto divertito da quella scena surreale. Caro poteva beffare chiunque con la sua eloquenza: bastava guardarle per rendersi conto del loro disagio. Persino Ferdinando sembrava sollevato per essersi liberato di lei. Un quarto d’ora dopo, una volta salutati gli ultimi ospiti e i padroni di casa, Michael e Caroline uscirono scortati da Ferdinando. Quando lei gli porse la mano davanti alla portiera aperta della carrozza, lui si produsse in un galante baciamano e disse: — Mia adorata Caroline, ci rivedremo presto al vostro ballo. Sono ansioso di vedere Sutcliffe Hall e di conoscere con voi le meraviglie dei suoi giardini. Quell’uomo aveva fegato, doveva dargliene atto. Aggrottando la fronte, Michael si disse che pochi avrebbero osato sfidare la sorte in quel modo. Tuttavia, se pensava di poter scomporre Caroline si sbagliava di grosso. Lei gli rivolse un serafico sorriso. — Temo proprio che non abbiate letto bene l’invito — lo informò — Il ballo si terra a Bramshaw House e non a Sutcliffe Hall. Entrambi notarono subito la sua sorpresa e l’espressione accigliata che seguì. Caroline inclinò la testa e gli dedicò un sorriso radioso. — Ci vediamo al ballo, allora — salutò, voltandosi verso la carrozza e accettando la mano che Michael le porgeva. Sedette e un attimo più tardi lui salì, occupando la luce della portiera con la sua mole. La penombra rendeva impossibile distinguere il suo volto, ma la sua voce risuono chiara e decisa. — Spostati un poco. Caroline si accigliò, ma lui attendeva in piedi che gli facesse posto. Voleva dirgli di occupare il sedile di fronte, ma non poteva mettersi a discutere sotto gli occhi di Ferdinando. Con una smorfia obbedì e Michael sedette, decisamente troppo vicino per i suoi gusti. Un valletto chiuse lo sportello e un attimo più tardi il pesante veicolo partì. Si erano appena allontanati, quando Michael le chiese: — Perché Leponte era così contrariato quando ha saputo che il ballo non si teneva a Sutcliffe Hall? — Non ne ho idea, ma si direbbe che nutra una grande ammirazione per Camden. Forse voleva vedere il luogo dov’è nato e cresciuto. Michael tacque, mentre lei sentiva con forza il calore del suo corpo muscoloso. Non si sfioravano neppure, ma era come se si toccassero. Come sempre, la sua vicinanza la faceva sentire confusa, fragile, incredibilmente vulnerabile. Alla fine le chiese: — Tu gli credi? No, non gli credeva, ma si limitò a fare spallucce. — Camden era un diplomatico famoso. A prescindere dal suo attuale impiego, immagino che Ferdinando sia destinato un giorno a prendere il posto dello zio. Forse è per questo che è stato mandato in Inghilterra, per imparare di più. Studiare l’ambiente dov’è cresciuto uno dei più celebri diplomatici della Corona potrebbe anche avere un senso. Lui sbuffò e guardò fuori dal finestrino. Non si fidava di Leponte e non solo riguardo a Caroline. Prima pensava che la sua diffidenza nascesse da un ovvio motivo, cioè dal primordiale istinto possessivo che Caro suscitava in lui, ma dopo l’inaspettata intromissione di quelle due arpie alla cena e la strana reazione di Ferdinando una volta saputo che il ballo non si svolgeva a Sutcliffe Hall, cominciava a credere che la sua sfiducia nascesse in realtà da qualcosa di molto più profondo. Era preparato ad accettare e controllare le impressioni personali, persino a nascondere la sfiducia o l’antipatia per qualcuno se proprio doveva. Costituiva un obbligo per un politico di professione. Ma la diffidenza generata dall’istinto professionale era un’altra cosa: ignorarla poteva rivelarsi molto pericoloso. — Di cosa avete parlato tu e Leponte a cena? Lei si appoggiò allo schienale imbottito e lo studiò attraverso la penombra. — All’inizio delle solite cose, poi lui ha cominciato a magnificare Camden. Sembrava conoscere ogni dettaglio della sua carriera. — Davvero? — Tutto ciò che ha detto era esatto — gli spiegò. Michael si accorse dal suo tono che era perplessa almeno quanto lui. Fece per chiederle qualcosa, ma lei aggiunse: — Poi, nel salone, ha cominciato a chiedermi di Sutcliffe Hall sostenendo che doveva essere una sorta di buen retiro per Camden. — Ed era cosi? Caro scosse la testa. — Non che io sappia. Non ho mai notato in lui un grande attaccamento per la dimora avita dei Sutcliffe. — Uhm — borbottò Michael, riflettendo per un attimo prima di voltarsi e prenderle la mano. — Credo proprio che terrò d’occhio Leponte non solo al ballo, ma ovunque lo incontreremo — disse piano. Lei lo guardò perplessa, facendogli sentire tutta la tensione che provava. — Per un buon numero di ragioni — aggiunse. Poi le alzò la mano e le sfiorò le nocche con un bacio. Caro fremette e abbassò lo sguardo, tirando un tremulo respiro. Per un attimo regnò il silenzio, poi i loro occhi si incontrarono. — Cosa... Invece di lasciarle la mano come si aspettava, Michael chinò la testa e prese a tracciare i contorni della nocche con la punta della lingua. Un fremito le corse lungo la schiena; doveva dirgli di smettere, ma con un lieve sospiro chiuse gli occhi. Lui si rialzò, le lasciò la mano e si mosse sul sedile, cingendola alla vita con un braccio e alzando la mano libera per stringerle piano il mento. Il bacio fu lieve, rassicurante, leggero. Tanto allettante da farla subito reagire, muovendo un po’ le labbra, poi cedette al suo assalto e socchiuse la bocca. Un nuovo fremito la scosse al primo contatto con la lingua; gli posò le mani sul petto come per resistere, ma lui si fece strada dolcemente e la sua resistenza non arrivò mai. Non solo. Passo dopo passo la trascinò oltre la fredda accettazione, verso un accenno di vero ardore. Non durò molto, purtroppo, ma lui non aveva alcuna fretta: incoraggiato, continuò a vezzeggiarla facendole capire che quello era solo l’antipasto. Caroline tornò a baciarlo, anche se con qualche esitazione. Aveva le labbra piene, morbide, incredibilmente sensuali. La bocca che gli offriva era una vera tentazione, ma Michael si trattenne, conscio che lei stava studiandolo sorpresa, quasi spaventata. Il motivo, però, restava avvolto nell’ombra. Tuttavia quel bacio era una delizia e così assaporò tutto ciò che lei gli offriva, prolungando il più possibile quel momento di piacere. L’accarezzò, la coccolò e approfondì il bacio un po’ di più quando la sentì rispondere in modo più deciso, passionale e profondo. La desiderava anima e corpo, ma sapeva bene che con Caroline doveva pazientare. La “vedova allegra” non concedeva nulla senza lottare. Quello, probabilmente, era il motivo per cui nessuno l’aveva conquistata. Tutti la vedevano spavalda e sicura, attribuendole un’esperienza che non aveva senza immaginare neppure alla lontana quanto fosse vulnerabile. Per questo erano caduti alla prima difficoltà: riuscire a stringerla e baciarla. Quasi rise ripensando a quando gli aveva detto di non saper baciare. Qualcuno glielo aveva messo in testa oppure si trattava solo di una scusa? Perché sedurre una donna che non voleva baciare era un’impresa disperata, ma lui c’era riuscito e adesso si godeva i frutti di quell’insperata vittoria. L’avvicinò ancora, intensificò le languide carezze della lingua e sentì i suoi seni sfiorargli il torace, le sue braccia salire fino a posarsi sulle spalle... La carrozza rallentò, poi svoltò e imboccò il viale di Bramshaw House. Annaspando, Caroline si tirò indietro e lo ammonì: — Michael! — Zitta — disse lui, avvolgendola in un caldo abbraccio. — Non vorrai scandalizzare il nostro buon cocchiere. Lei sgranò gli occhi. — No, ma... La interruppe nel più efficace dei modi, sapendo che avevano ancora qualche istante prima di raggiungere la villa. E lui intendeva goderseli tutti fino all’ultimo.

Capitolo 8

Caroline si svegliò la mattina dopo decisa a riprendere il controllo della sua vita. A cominciare dalle emozioni, messe letteralmente a soqquadro dall’incredibile audacia di Michael. Non sapeva cosa volesse da lei, ma non aveva la minima intenzione di incoraggiarlo. Peccato che anche la sera prima fosse partita con la stessa decisione, scordandosela del tutto sulla strada del ritorno. Imprecando dentro di sé per quell’inattesa debolezza, per quel misto di curiosità, fascino e voglia d’imparare che l’avevano spinta a concedergli certe libertà, uscì dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso la scala. Una buona colazione e una giornata senza di lui erano ciò che le serviva per tornare sui binari giusti. Tuttavia, mentre scendeva, non poté evitare di chiedersi se stava esagerando. Dopotutto si trattava solo di qualche bacio. O meglio di molti languidi e caldi baci dati in due diverse occasioni, ma comunque sempre di baci si trattava. Per quanto ne sapeva, Michael poteva anche averla baciata solo per il gusto della sfida e una volta ottenuto ciò che voleva, l’avrebbe finalmente lasciata in pace. — Ah, eccoti qui, mia cara — le disse suo fratello quando la vide entrare. Come sempre sedeva a capotavola con la sua tazza di caffè; accanto a lui, Edward ed Elizabeth leggevano insieme un biglietto. — Un invito dai prussiani — le spiegò. subito Geoffrey. — È arrivato poco fa. A quanto pare siamo tutti invitati, ma io ho troppo da fare. Volete riferire loro che apprezzo molto, ma non sono riuscito a liberarmi? Quella richiesta, rivolta in generale a tutti e tre, non la stupì affatto. Geoffrey sembrava lieto della visibilità acquisita dalla sua famiglia, ma lei sapeva bene che la morte di Alice l’aveva privato di ogni voglia di partecipare a quel genere di eventi. — Un pranzo all’aperto da lady Kleber. L’invito è scritto di suo pugno — riferì Edward porgendoglielo. Lei diede una rapida occhiata. — Lady Kleber è cugina di primo grado della granduchessa e ha un grande ascendente a corte. Mi chiedo chi faccia parte della “compagnia selezionata” di cui scrive. Una domanda retorica, visto che l’avrebbe scoperto presto. Non poteva certo rifiutare: a parte la scortesia che comportava un rifiuto, la moglie del generale voleva solo dimostrare il suo apprezzamento per la cena a Bramshaw House. Era stata lei a dare il via a quel giro di feste, pranzi e cene nel tentativo di aiutare Elizabeth e adesso non poteva sfuggire a ciò che aveva suscitato. Poteva solo sperare, probabilmente invano, che Michael non facesse parte degli invitati al pranzo. — Andiamo? È una splendida giornata — disse Elizabeth con occhi che brillavano. — Ma certo che andremo — replicò lei, sorseggiando il tè per nascondere il suo malumore. — Anche se Crabtree House è dall’altra parte di Eyeworth Wood e ci vuole almeno un’ora di carrozza per raggiungerla. Edward annuì. — In tal caso, farò preparare il barouche subito dopo la colazione. Finirono rapidamente di mangiare e si alzarono tutti insieme. Nell’atrio si separarono: Geoffrey si chiuse nello studio mentre Edward si recava nelle scuderie ed Elizabeth annunciava la sua intenzione di suonare il pianoforte nella sala da musica. Probabilmente, si disse lei, più per far sapere a Edward dove trovarla che non per vero interesse verso le lezioni che continuava a prendere. Giunse a quella conclusione con una freddezza che la lasciò perplessa. Senza dubbio era davvero così e tuttavia stava diventando troppo calcolatrice nei suoi schemi, troppo uguale a Camden nella sua visione del mondo. Sospirando, scacciò subito l’allettante idea che le ronzava in testa. Anche ammettendo che fosse possibile, non era giusto creare ad arte una situazione che tenesse Michael impegnato quel pomeriggio, impedendogli di recarsi al pranzo.

Arrivarono a Crabtree House poco dopo le undici. La carrozza dei portoghesi era ferma davanti a loro: attesero che Ferdinando aiutasse sua zia a scendere, poi il barouche avanzò con un sussulto fino all’imponente scalinata dell’ingresso. Aiutata da Edward, Caroline scese e sorrise a lady Kleber, stringendole la mano e scusandosi subito per l’assenza di Geoffrey. Elizabeth salutò a sua volta ed Edward si produsse in un galante inchino, poi la nobildonna si avviò. — Venite disse loro, conducendoli verso il retro della casa. — Facciamo quattro chiacchiere in terrazza mentre aspettiamo gli altri. Caroline camminava accanto alla contessa, mentre Elizabeth aveva raggiunto lady Kleber. Edward e Ferdinando chiudevano il gruppo e quando lei si voltò, li vide immersi in una fitta discussione. Stranamente, Ferdinando si era limitato a salutarla; divertita, si disse che anche lui si ritrovava prigioniero dei suoi schemi, dato che Edward era stato il braccio destro di Camden e quindi doveva per forza parlargli se voleva dare credibilità al suo presunto interesse per un grande diplomatico. Sedettero in terrazza e poco dopo arrivò il generale Kleber, che salutò impettito le signore prima di raggiungere i due uomini. La conversazione proseguì, mentre lei non poteva evitare di chiedersi dov’era Michael. Stavolta non poteva raggiungerli a Bramshaw House per andare con loro in carrozza, dato che Eyeworth Manor era molto più vicino a Crabtree House di quarto non lo fosse la casa di Geoffrey. Di conseguenza sarebbe venuto da solo, sempre che fosse stato invitato. Il rumore di passi annunciò altri arrivi, ma si trattava dell’ambasciatore svedese, Verolstadt, con la moglie e le due figlie. Poco dopo arrivò anche Kosminsky, quindi diversi diplomatici con la famiglia al seguito. Caroline apprezzò l’idea di lady Kleber d’invitare anche i giovani, in modo che facessero gruppo a parte, ma non poté evitare di accigliarsi. Vista la grande esperienza della nobile prussiana, l’assenza di Michael sembrava perlomeno strana. Oltre a essere il deputato del distretto, sembrava il più quotato per la poltrona di ministro e tutti sapevano che proprio in quel genere di eventi informali e rilassati si forgiavano le alleanze e si facevano piani per il futuro. Stringendo le labbra, pensò a qualche scusa per sollevare la questione. — Ah, ecco finalmente sir Anstruther-Wetherby — annunciò in quel momento lady Kleber alzandosi dal tavolo e muovendo verso la scala con il sorriso sulle labbra. Lei guardò di sotto e vide Michael arrivare con calma, dalle scuderie. Non aveva sentito il rumore degli zoccoli sulla ghiaia del vialetto, quindi era passato dalla foresta. Lo vide inchinarsi a lady Kleber e si rimproverò per essersi preoccupata così. Chiaramente non aveva bisogno del suo aiuto per farsi strada nel mondo diplomatico, almeno a giudicare dal modo in cui salutò la padrona di casa, la contessa e gli altri ospiti. Lasciando lei per ultima. Caroline si chiese perché ma poi si rese conto che Ferdinando aveva abbandonato Edward e cambiato posto, sistemandosi in modo tale da poter reclamare la sua compagnia quando sarebbero scesi in giardino. Ricordava bene com’era il parco: i pranzi all’aperto si tenevano in genere in una pittoresca radura tra gli alberi. Non distava molto, ma l’idea di arrivarvi a braccetto del portoghese... In un attimo la decisione fu presa. Trattenne Michael con qualche domanda e quando lady Kleber invitò gli ospiti a seguirla, si alzò e lo prese a braccetto. — Ah, Ferdinando, venite con noi, vi prego — cinguettò, rivolgendogli un sorriso. Lui non si fece pregare, naturalmente, ma era Michael ad averla vicina. Scesero le scale e procedettero in silenzio sui vialetti che si snodavano tra i prati, ma poi Michael disse a Ferdinando: — Ho sentito che siete una sorta di discepolo del vecchio Camden. Era un approccio diretto, più da politico che da diplomatico. Un vago rossore tinse la pelle olivastra del portoghese. — Proprio così. La carriera di sir Sutcliffe e un esempio per tutti coloro che provano a farsi strada nel duro ambiente della diplomazia — rispose, sostenendo fermamente il suo sguardo. — Immagino che siate d’accordo con me. Sutcliffe, dopotutto, era un vostro compatriota. — Certo che sono d’accordo — replicò Michael con calma. — Anche se sono più incline alla politica che alla diplomazia. Aveva l’aria di un vero e proprio monito, si disse Caro, visto che in politica gli sgambetti erano all’ordine del giorno, mentre la diplomazia era per definizione l’arte della trattativa. Con un cenno all’incaricato d’affari polacco, Michael aggiunse: — In ogni caso, se volete sapere come lavorava Sutcliffe dovreste parlare a Kosminsky. Era al ministero degli Esteri quando Camden assunse il suo primo incarico, quello di ambasciatore in Polonia. Credo si siano conosciuti addirittura nel 1786 e, a quanto ne so, sono sempre rimasti in contatto. Lo sguardo del portoghese andò al piccolo e vivace funzionario, immerso in un fitto discorso con il generale Kleber. Dopo un attimo d’esitazione, riuscì a mostrare un sorriso di piacevole sorpresa. — Davvero? Michael annuì, senza compiere alcuno sforzo per ammorbidire il gesto. — Sì. Lo stava prendendo in giro? Caroline gli diede un pizzicotto senza farsi vedere. Quando lui si voltò, lo guardò con una silenziosa domanda negli occhi: “Dove vuoi arrivare?”. Lui però si limitò a sorridere, aggrottando leggermente la fronte. Un lampo le attraversò lo sguardo, poi si voltò di scatto. — Guardate, una ghiandaia! Tutti si fermarono scrutando attentamente tra gli alberi, ma solo Edward riuscì a vedere l’elusivo uccellino confermando così di avere una vista perfetta, oltre alla naturale inclinazione ad aiutare Caroline sempre e comunque. D’altro canto, aveva avuto diversi anni per adattarsi alle manovre della sua datrice di lavoro. Lei aveva talento da vendere anche in quel campo, si disse Michael. Mentre descriveva a Ferdinando l’aspetto di una ghiandaia e gli spiegava perché era così raro vederne una, avevano raggiunto la radura dove li attendeva una tavola riccamente imbandita e circondata da numerose, comode sedie. Complimentandosi con lady Kleber, gli ospiti sedettero e cominciarono a mangiare, premurosamente serviti da un maggiordomo e tre valletti. Nonostante la relativa formalità, l’atmosfera assunse presto il tono gioioso del picnic grazie alla brillante conversazione della padrona di casa, di Caroline e, sorprendentemente, della contessa. Perplesso sotto la maschera sorridente, Michael decise di alzare al massimo la guardia. C’era qualcosa di strano nei portoghesi e il suo istinto gli diceva che riguardava Camden Sutcliffe, anche se non aveva idea di cosa potesse trattarsi. In ogni caso, il tentativo della contessa di dividerlo da Caroline divenne palese non appena il pranzo terminò e gli ospiti si alzarono per sgranchirsi un po’ le gambe. All’inizio fu facile ignorarla, visto che lui parlava con lady Kleber e naturalmente la nobildonna portoghese non poteva reclamarlo per sé, ma non appena la padrona di casa si allontanò, lei tornò alla carica. — Potreste concedermi un minuto, signore? — gli chiese sorridendo e, prendendolo a braccetto, sussurrò: — Ho un messaggio per voi da parte del duca e onestamente non vedo l’ora di assolvere il mio dovere e riferirvelo. Lui dubitava che il messaggio fosse davvero importante, ma purtroppo non poteva più negarsi. Per fortuna Ferdinando era impegnato in una fitta discussione con Kosminsky e almeno su quel fronte, tutto sembrava tranquillo. — Sono tutt’orecchi, milady. — Che strani modi di dire avete in Inghilterra — commentò la nobildonna sospirando. — In ogni caso... Mentre le dava corda, si rese conto che lo stava allontanando da Caroline. Perché? Non poté evitare di chiederselo mentre ascoltava un pomposo quanto inutile discorso, notando intanto che il gruppo dei più giovani si preparava a una passeggiata. Ferdinando era ancora impegnato con Kosminsky, mentre Caro ed Edward parlottavano un po’ in disparte. Poi Elizabeth reclamò il suo spasimante e insieme si avviarono con gli altri, mentre Caro si accompagnava a lady Kleber, lady Verolstadt e lady Kosminsky. Il pomeriggio si fece afoso. L’aria calda e umida, pregna degli odori della foresta, invitava a un pisolino digestivo. La conversazione comincio a languire, poi qualcuno si rilassò sulla sedia e chiuse gli occhi. Venti minuti dopo, Michael parlava con la contessa, Ferdinando con Kosminsky e Caroline si chiedeva perché non era andata con Edward, visto che le sue interlocutrici tacevano da un po’ e sembravano propense a sonnecchiare. Purtroppo il gruppo dei più giovani era sparito tra gli alberi, lasciandole poca scelta. Se fingeva di dormire a sua volta, sicuramente Michael o Ferdinando si sarebbero avvicinati per svegliarla come una specie di Bella Addormentata. Stranamente, nessuno sembrava prestarle una grande attenzione: pian piano si alzò, girò attorno al tavolo e senza dire una parola si avviò sul sentiero, decisa a raggiungere Edward, Elizabeth e gli altri ovunque fossero.

Una pessima idea, almeno a giudicare dai risultati. Il gruppo era lontano, non sapeva bene dove fosse diretto e, suo malgrado, doveva ammettere di non ricordare più com’era fatto il bosco dopo dieci anni trascorsi in Portogallo. Ferma sul sentiero, si chiese se doveva tornare indietro. Sentiva in lontananza il fragore di un torrente: d’impulso decise di raggiungerlo e pochi minuti dopo sedette su una grande roccia scaldata dal sole, si guardò attorno e sorrise. Se n’era andata per non sembrare la Bella Addormentata, visto che detestava l’immagine della povera fanciulla raggirata e intrappolata al punto da dover attendere il bacio del primo principe di passaggio per svegliarsi... e adesso sedeva su una roccia in mezzo al bosco come Biancaneve. Purtroppo non erano certo i sette nani che si aspettava di veder spuntare tra le fronde. Sicuramente i suoi due spasimanti avevano notato la sua assenza, lanciandosi all’inseguimento. E visto che Michael conosceva quella foresta come nessun altro, prima o poi l’avrebbe trovata, anche perché non voleva allontanarsi troppo. Bene. Visto che probabilmente era destinata a farsi trovare, con quale dei due avrebbe preferito confrontarsi? Controllare Ferdinando in un luogo così isolato poteva rivelarsi difficile, ma lui aveva poche possibilità di coinvolgerla in un illecito abbraccio. Michael invece sì; per questo era lui il più pericoloso, quello a cui sfuggire a tutti i costi. Sembrava una logica inoppugnabile. Perché allora l’istinto continuava a dirle che era proprio Michael l’unico di cui potesse fidarsi? Un dilemma a cui la sua notevole esperienza non l’aveva preparata affatto. Il secco rumore di un ramo spezzato la strappò ai suoi pensieri. Un attimo più tardi udì dei passi avvicinarsi e con una rapida occhiata decise di nascondersi dietro un fitto cespuglio. Si affrettò a raggiungerlo, ma poi si rese conto che seppur perfetto per nasconderla da chiunque passasse sul sentiero, il cespuglio non offriva alcun riparo verso l’alto. Il terreno saliva ripido tra i grandi tronchi, permettendo di vederla a chiunque passasse sopra di lei. Tuttavia, ormai era tardi per cambiare posto. Si acquattò tra le fronde e attese, trattenendo il respiro. Un attimo dopo, un uomo comparve sul sentiero ma lei non riuscì a vederlo in volto. Lo vide però fermarsi e capì che si stava guardando attorno; poi si mosse, permettendole di intravedere tra le foglie una giacca blu scuro. Era Ferdinando. Michael indossava una giacca marrone. Timorosa persino di respirare, attese che proseguisse soffocando un’improvvisa agitazione. Da bambina era solita giocare a nascondino proprio in quella foresta, ma il gioco non aveva mai assunto una tale intensità emotiva. Per un lungo istante nulla si mosse. Persino gli uccellini avevano smesso di cantare; Caroline si rese conto che il cuore le batteva all’impazzata, ma poi uno strano sollievo la pervase, un’emozione inaspettata che le scaldò i sensi... Sentì Michael avvicinarsi ancora prima di vederlo, ma poi intravide la sua agile figura scivolare cautamente tra gli alberi. Un attimo dopo, una grande mano la cinse alla vita, senza avvicinarla, ma facendole comunque sentire la sua presenza, la sua forza e il suo calore. Se prima respirava a fatica, adesso il fiato le restò in gola. La testa cominciò a girarle, soprattutto perché qualcosa la spinse ad alzare la mano e posarla sulla sua. Lui rispose sfiorando con le labbra la pelle sensibile del collo. Reprimendo un fremito, Caro fece per voltarsi, ma lui sussurrò: — Non ti muovere, altrimenti ci vedrà. Voltò la testa per dirgli che lo sapeva, i loro occhi si incontrarono, poi lei scese con lo sguardo fino alle sue labbra. Erano così vicine che il loro respiro si mischiava; stranamente, la cosa più sensata da fare parve subito avvicinarsi ancora, coprire la distanza che li separava e baciarsi con passione, anche se entrambi sapevano che Ferdinando si trovava a pochi metri da loro e la cercava. Fu quello a limitare il loro ardore, spingendoli a sfiorarsi in una fugace carezza per poi separarsi e scrutare attentamente il sentiero. In quel momento udirono ciò che entrambi aspettavano di sentire: con una soffocata imprecazione in portoghese, Ferdinando si voltò e tornò indietro verso la radura. Un’ondata di sollievo la percorse da capo a piedi, scacciando almeno in parte la tensione. Ma prima che potesse raccogliere le idee, Michael ridacchiò e la voltò verso di lui, stringendola impetuosamente tra le braccia e cercando le sue labbra, prendendo, assaporando, stuzzicando. E lei lo seguì senza alcuna remora, apparentemente disposta a permettergli tutto come se fosse lieta della crescente intimità portata da ogni nuovo incontro. Un riflesso del desiderio che provava e che lui alimentava in ogni possibile occasioni. Michael se ne rendeva perfettamente conto e per questo aspettava fiducioso gli sviluppi, anche se era difficile capire una donna come Caroline. Sapeva però che l’avrebbe negato se lui avesse commesso l’errore di parlarne e quindi si limitò a baciarla senza scordare che il motivo per cui l’aveva cercata era proteggerla dal portoghese. Quando pose fine al bacio alzò la testa, studiò il turbine di emozioni che le attraverso gli occhi chiari e poi sorrise, prendendola per mano per tenerla in equilibrio. Lei fremette, ma poi alzò lo sguardo e disse: — Devo tornare alla radura. Michael aggrottò la fronte. — Con Ferdinando che si aggira sul sentiero? Sei sicura di volerlo incontrare da sola nel bosco? Ogni dubbio sul modo in cui Caroline vedeva il portoghese, ogni tentazione di considerarlo un rivale, svanì d’incanto davanti al lampo che le attraversò lo sguardo. Per la prima volta la vide esitare, poi scuotere la testa con un gemito d’esasperazione. — No, ma devo pur tornare! Sembrava davvero incerta. Michael sorrise. — Puoi tornare con me e nessuno troverà nulla da ridire — dichiarò, aggiungendo davanti al suo sguardo perplesso: — Al di là di questa salita comincia la mia proprietà e la diga naturale si era formata proprio su questo torrente — le spiegò. — Logico che abbia pensato di approfittare dell’occasione per dare un’occhiata di persona. Anzi, perché non mi accompagni? Caroline esitò, soppesando chiaramente la proposta. Michael tacque e attese che lei prendesse una decisione. Alla fine la vide annuire. — Va bene. Ti accompagno. Mano nella mano risalirono il torrente che scorreva impetuoso tra le rocce. Caroline gli lanciò un’occhiata sospettosa. — Si direbbe che la diga non ci sia - É vero, ma perché non accertarsi di persona che i miei braccianti abbiano fatto un buon lavoro? Secondo Geoffrey, lo sbarramento si è formato per i detriti trattenuti da un albero caduto. Mettiamo che i miei uomini si siano limitati a toglierli senza tagliare il tronco: nel giro di poche settimane si riformerebbe di sicuro. Dopo un quarto d’ora di marcia nella foresta videro una cascata che precipitava con fragore in un’ampia pozza nascosta tra gli alberi. Il terreno era ancora intriso d’acqua: chiaramente, la diga si era formata proprio in quel punto. — Di notte, gli animali del bosco vengono qui ad abbeverarsi — le spiegò Michael dando una buona occhiata in giro. Ma neppure un fruscio risuonava nel pomeriggio afoso: erano soli, completamente isolati dal resto del mondo. — Secondo Geoffrey, l’albero era là — aggiunse, indicando la parte opposta del piccolo specchio d’acqua. — Ho detto ai miei braccianti di tagliarlo e rimuovere i rami più grossi, lasciando al torrente il compito di ripulire il letto. — Si direbbe che scorra come sempre. Lui annuì, si voltò e la cinse alla vita, sollevandola senza sforzo per poi posarla contro il tronco di una grossa quercia. Prima che lei riuscisse a protestare, chinò la testa e la baciò. Stavolta sul serio. Subito la sentì tendersi, annaspare, premere leggermente con le mani sul suo petto per respingerlo. Un senso di trionfo lo pervase quando non ci riuscì, un trionfo che si trasformò in delizia non appena sentì la sua piccola lingua ritornargli le umide carezze. Un attimo più tardi lei socchiuse le labbra ancora di più e con spavalderia, o meglio con la sua tipica, controllata spavalderia, Caro rispose all’assalto con elusiva passione, quasi volesse chiedergli di più. Ottenne subito una serie di baci ardenti e una successione di sensuali carezze che le incendiarono i sensi, sorprendendo anche lui. Voleva introdurla passo dopo passo ai piaceri della carne, ma Caro si stava dimostrando un’allieva davvero entusiasta e il modo in cui rispondeva al suo assalto, donandogli le labbra, la bocca, la lingua e il corpo così snello, non aveva nulla di sottile. Niente vie di mezzo, almeno in quel campo. Per certe cose lei non era affatto diplomatica. Se una cosa le piaceva, vi si gettava a capofitto. Se non le piaceva, la liquidava con poche, acide battute. Per questo doveva stare molto attento a dosare bene l’assalto: bruscamente interruppe il bacio, conscio del sangue che gli pulsava forte nelle vene e della pericolosa intensità del desiderio che provava. Tirò indietro la testa, ma le sue mani non si mossero, poi attese che lei aprisse gli occhi e lo guardasse. Doveva capire se si rendeva conto di cosa stava suscitando, se era disposta a seguirlo su quella strada. Ciò che vide lo sorprese, colmandolo di gioia e gratitudine. Una grande meraviglia le riempiva gli occhi chiari; le sue labbra socchiuse, rosa, carnose, leggermente arrossate per i baci, lo invitavano silenziosamente a prenderla. Per un attimo parve pensierosa, quasi distratta, ma lui capì subito quant’era compiaciuta. — Io... — balbettò, studiandolo con uno sguardo intenso che finì di nuovo per posarsi sulle sue labbra. Non aveva bisogno di sapere altro. La tacitò con un bacio devastante, intrappolandola deliberatamente contro l’albero. Caro chiuse le dita sulle spalle della giacca, poi le sue mani si riaprirono e lentamente cominciarono a salire fino a prendergli la nuca e avvicinarlo ancora. Se l’avesse lasciata parlare, probabilmente non sarebbero arrivati a tanto. Lei avrebbe insistito per tornare indietro, raggiungere gli altri, salvare le apparenze anche se magari non era quello che voleva. Un altro aspetto che nessuno spasimante aveva mai compreso. Caroline viveva per le regole sociali. Anche se era un’esperta ad adattarle alle sue esigenze, non poteva evitare di sentirle dentro di sé e quindi reagiva con un istintivo rifiuto a ogni tentativo di sviarla. Lui era riuscito a sorprenderla perché non provava affatto a sviarla, ma agiva e basta, senza porsi alcun problema, ignorando le regole, ma dandole al contempo la possibilità di tirarsi indietro. Una possibilità che lei non aveva mai sfruttato. Poteva negarsi quando voleva, mandarlo via, porre bruscamente fine alle loro esplorazioni e invece ogni incontro diventava sempre più esplicito, obbligandolo a un serio sforzo per controllare la passione. Caroline aderiva a lui, crogiolandosi nel bacio, rispondendo a ogni audace carezza con passione e ignorando la voce sottile che le gridava di smettere. Sapeva di correre un rischio enorme, ma in quel momento così denso di calore e sensazioni non le importava affatto. Voleva solo farsi spazzare via da quell’ondata di desiderio che non aveva mai provato e che, forse, aveva rinunciato persino a cercare. Michael voleva davvero baciarla, non una o due volte, ma tante volte. Non sapeva bene cosa lo spingesse e soprattutto cosa rendesse il suo desiderio sempre più intenso, ma sapeva bene di provare a sua volta una strana sensazione, qualcosa di molto simile all’appetito. Si era offerto d’insegnarle a baciare, ma la voracità con cui le saccheggiava la bocca e i sensi, assaporando e accarezzando per poi ritrarsi e invitarla ad avanzare, andava oltre la lezione. Era una delizia, una gioia scintillante che finalmente stava imparando ad apprezzare. Baciarlo non la spaventava più; anzi, desiderava con tutto cuore che non smettesse mai. Sospirando gli affondò le dita nelle ciocche scure, aderendo a lui con tutto il corpo e traendone un nuovo, profondo appagamento. Uno strano calore cominciò a crescere dentro di lei; con un sospiro lasciò che si riversasse nelle vene, avvolgendola da capo a piedi. Confusamente si mosse contro il suo petto, mentre i capezzoli si facevano tanto duri e sensibili da dolerle un poco. D’istinto provò a ritrarsi, ma poi sentì la sua mano salire lungo i fianchi fino a posarsi indiscreta e prepotente su uno dei suoi seni. Di colpo smise di baciarlo, mentre un’ondata di panico si gonfiava dentro di lei. Voleva respingerlo, ma lui chiuse la mano, poi le passò il pollice sul capezzolo indurito e lo accarezzò piano, delicatamente, rassicurante. Per un attimo si ritrovò a barcollare su un abisso d’incertezza, ma lui continuò a baciarla e vezzeggiarla fino a cancellare i suoi timori. Michael l’aveva introdotta alle semplici meraviglie di un bacio. E se adesso voleva insegnarle di più… Lui si accorse del momento in cui Caro decise di accettarlo e con una gioia molto simile alla gratitudine si dedicò anima e corpo a compiacerla. Bramava quel contatto sensuale quanto lei; probabilmente Caroline lo aspettava da anni, ma non doveva spaventarla. L’istinto gridava di slacciarle almeno il corpetto, affondare la mano e sentire sotto le dita la sua pelle calda e fragrante, ma con uno sforzo si trattenne. Erano nascosti tra gli alberi, ma pur sempre all’aperto e lei doveva tornare indietro; lentamente pose fine al bacio, poi aprì gli occhi continuando però ad accarezzarle il seno come per chiarire che era quello il punto da cui sarebbero partiti la prossima volta. Non appena se la fosse ritrovata tra le braccia. Caro lo guardò, poi abbassò lo sguardo sulla sua mano. Voleva sembrare accigliata, ma riuscì solo ad assumere un’espressione pensierosa. — Non ti ho mai autorizzato a fare questo. Lui le strinse il capezzolo, strappandole un sospiro. — Ma nemmeno mi hai proibito di farlo. Questo riuscì a farla accigliare. — Vuoi dire che non posso fidarmi di te? Il volto di Michael si indurì, ma le carezze non smisero affatto. — Certo che puoi fidarti di me — rispose, studiandola per un attimo. — Lo sai. Ma sai anche che non mi comporterò mai secondo le regole. Farò solo ciò che desideri davvero, ciò che mi chiedi con il cuore. Una secca risposta le riempì la mente, ma prima che potesse parlare, un fruscio risuonò tra gli alberi. Entrambi si guardarono allarmati, poi Michael la prese per mano e si acquattò nel sottobosco, rapido e silenzioso come un predatore. Appena in tempo per non essere notati dall’uomo che sbucò dall’altra parte della pozza, avanzando con calma verso la cascata. La loro sorpresa fu assoluta. — Ferdinando? — sussurrò Michael. — Che cosa ci fa qui? — Forse si è perso. — Non mi sembra davvero il tipo — replicò lui, prima di voltarsi di scatto e acquattarsi ancora di più. — Zitta! — sussurrò. — Sta arrivando qualcun altro. Non muoverti! Caro obbedì senza fiatare, anche perché i due uomini che emersero in quel momento dal bosco avevano un’aria davvero poco raccomandabile. Alti e magri, con gli abiti logori e i capelli incolti, si avvicinarono a Ferdinando come faine sogghignanti. Bastò un’occhiata per rendersi conto che, per quanto inverosimile, sembrava che lavorassero per lui. Erano troppo lontani per sentire cosa si dicevano, ma a giudicare dall’aria irritata di Ferdinando e da come gesticolavano quei due, si sarebbe detto che li stava riprendendo per qualche lavoro fatto male. Poi il portoghese li tacitò con un cenno imperioso della mano, diede loro nuove istruzioni e li congedò bruscamente, avviandosi quindi verso la radura. Michael e Caro si guardarono in silenzio, restando immobili fino a quando non videro sparire anche i due tagliagole. — Mi chiedo cosa stia succedendo — disse Caro sottovoce. — Anch’io — fu il secco commento di Michael. Si alzò, la prese per mano e insieme cominciarono a scendere lungo il torrente, stando bene attenti a non fare troppo rumore. — Per un attimo ho pensato che fossero i due banditi che hanno aggredito la signorina Trice — sussurrò Caroline. — Ma quei due mi erano sembrati più robusti... non sono loro, vero? Lui scosse la testa. — No. La distanza era la stessa di quella sera e li avremmo riconosciuti. — Ma allora chi sono? Cos’hanno a che fare con Ferdinando e perché ha voluto incontrarli qui? Certo non erano suoi braccianti: siamo a miglia di distanza da Leadbetter Hall. Tutte domande che si poneva anche lui. — Non ne ho idea. Proseguirono in silenzio fino al sentiero, poi svoltarono verso la radura. Poco dopo, le voci degli ospiti risuonarono tra le fronde. Il gruppo dei giovani era tornato dall’escursione, strappando i loro genitori dalla siesta pomeridiana. Michael si fermò, poi si guardò attorno e la condusse fuori dal sentiero verso la riservatezza offerta da un grosso cespuglio. Caroline aggrottò la fronte, ma lui strinse le labbra e disse: — Ciò che abbiamo visto conferma i miei sospetti. Ferdinando ha in mente qualcosa. — Lo penso anch’io — commentò Caroline. — Di cosa può trattarsi? Lui aveva qualche ipotesi, ma la tenne per sé. — Fino a quando non lo scopriremo, sarà meglio stare in guardia — dichiarò, sottolineando quelle parole con un ultimo bacio ardente per poi posare le mani sui suoi fianchi e aggiungere, guardandola negli occhi: — Da oggi in poi, evita di restare sola troppo a lungo con lui. Caroline studiò i suoi occhi e il suo volto, poi sorrise. — Lo farò Con questa promessa si voltò, tornò sul sentiero e lo precedette verso la radura. Michael la seguì con gli occhi fissi sul suo perfetto fondoschiena, poi fece il suo miglior sorriso e salutò con allegria gli altri ospiti riuniti.

Capitolo 9

Dovevano parlare a Geoffrey dei loro sospetti su Ferdinando oppure no? Michael si pose la domanda a colazione, anche se sapeva bene che la notte insonne appena trascorsa non si doveva agli intrighi del portoghese. Poi, prima che si alzasse, arrivò un valletto con un biglietto. La mandava proprio Geoffrey ed era un invito a cena per quella sera a Bramshaw House. Approfitto della giornata per sbrigare il lavoro arretrato, poi balzò in sella ad Atlas e partì al galoppo sulla strada per Bramshaw. Il sole al tramonto tingeva il cielo d’intensi colori, preannunciando un’altra tiepida serata estiva. Quell’invito sembrava mandato dal destino: a parte l’opportunità di parlare a Geoffrey e di rivedere Caro, quando erano tornati alla radura avevano trovato Ferdinando immerso in un fitto discorso con Edward. Visto ciò che era successo, non vedeva l’ora di chiedergli di cosa avevano parlato. Raggiunse la casa, lasciò Atlas a un garzone e poi salì a due a due gli scalini dell’ingresso, recandosi subito nello studio di Geoffrey.

Al piano di sopra, Caroline sedeva alla specchiera spazzolandosi pigramente i capelli. Era vestita per la cena, anche se quella sera non richiedeva un particolare impegno poiché ci sarebbe stata solo la famiglia. Un’occasione perfetta per tirar fuori dal guardaroba l’abito di seta color oro che non era all’ultima moda, ma una sua vecchia passione. Indossarlo le aveva sempre dato sicurezza, tranquillizzandola. Chissà, forse avrebbe scacciato persino l’agitazione che provava dal giorno prima. Michael era riuscito di nuovo a sorprenderla. Non voleva limitarsi a baciarla, ma cominciava a chiedere molto di più. Fin dove pensava di arrivare? Ma soprattutto, quanto era disposta a concedergli? Se la passione, il desiderio, la bramosia che avvertiva in lui durante i loro incontri costituiva un segno, la voleva nel modo più intimo e completo. Possibile che fosse cosi? Una parte di lei rise a quell’idea, bollandola come pura immaginazione. Ma un’altra parte più nascosta e vulnerabile sperava di cuore che fosse vero. In ogni caso, già ritrovarsi a considerare quell’ipotesi costituiva uno sviluppo del tutto inatteso. Una cosa, però, sembrava chiara dopo l’incontro del giorno prima. Doveva prendere una decisione netta: era disposta a seguirlo su quella strada, oppure voleva fermarsi? Poteva rifletterci per una settimana, ma alla fine la risposta si traduceva molto semplicemente con un sì oppure un no. Se Michael la desiderava carnalmente, che cosa voleva lei? In teoria non sarebbe dovuto essere difficile saperlo per una donna di ventotto anni con un matrimonio alle spalle, ma nel suo caso esistevano delle complicazioni. Tuttavia, per la prima volta in vita sua, non era affatto convinta di dover rifiutare a priori ciò che Michael le stava offrendo. Era quello il nocciolo della questione, il dilemma che le procurava un’agitazione senza pari. Per la prima volta era seriamente tentata; d’altro canto, a partire da Camden, tutti gli uomini che avevano mostrato qualche interesse per lei erano stati spinti da motivazioni di bassa lega come la lussuria, l’interesse personale, persino la noia. Nessuno l’aveva mai baciata veramente, almeno non con la passione mostrata da Michael. Pensando al suo comportamento, non una sola volta le aveva chiesto il permesso di baciarla. Se non gli diceva apertamente di no, lui prendeva il suo silenzio come un invito a farsi avanti. Tuttavia, quel modo di prendere le cose andava bene a entrambi: finora, non aveva fatto o chiesto nulla che lei non volesse. Anzi, l’avrebbe quasi ringraziato visto che era riuscita a portarla a un punto in cui contemplava seriamente l’idea di concedergli molto di più Ma se poi Michael avesse perso l’interesse per lei? Fino a che punto era giusto spingersi senza alcuna garanzia? Non lo sapeva, naturalmente, ma se lui la desiderava davvero, se teneva a lei sul serio... non valeva la pena rischiare per scoprirlo? Il suono della campana echeggiò nella casa, chiamando tutti in salotto. Lanciando un’ultima occhiata alla massa di ciocche ribelli domate con grande fatica, Caro si alzò e puntò decisa verso la porta ripromettendosi di pensarci in serata. L’istinto le diceva che il prossimo incontro appassionato sarebbe avvenuto molto presto: meglio avere le idee chiare prima di trovarsi di nuovo tra le sue braccia.

Michael udì il suono della campana mentre tentava invano di convincere Geoffrey delle strane intenzioni di Ferdinando Leponte. Purtroppo non poteva raccontargli tutto e quindi dovette ricorrere a pure e semplici supposizioni, condite con qualche fatto e con molte impressioni personali. Alla fine, l’anziano nobile gli sorrise con condiscendenza, alzò una mano per tacitarlo e disse, stringendosi nelle spalle: — Se Leponte è tanto interessato a Camden Sutcliffe, perché non fargli visitare la casa con Caroline? Potresti accompagnarli, se proprio non ti fidi. Questo lo convinse a lasciar perdere, almeno fino a quando non gli avesse portato delle prove più concrete. Anche se era stato deputato per dieci anni, Geoffrey non aveva mai conosciuto il lato sporco della politica e per questo conservava un’invidiabile purezza. — Ah, la cena è pronta — disse sorridendogli. — Torneremo sull’argomento un’altra volta. Imprecando in silenzio, Michael si alzò con lui e parlando di questioni locali, molto meno impegnative, i due uomini percorsero il corridoio fino all’atrio ed entrarono nel salotto. Caroline, splendida nell’abito dorato, era in piedi in mezzo alla stanza e parlava con Edward ed Elizabeth, seduti sul sofà. Tutti e tre li guardarono perplessi. Geoffrey tossicchiò. — Ah, già, mi sono dimenticato di avvisarvi. Michael cenerà con noi. Caro sorrise, sicura e fiduciosa. — Ottima idea — dichiarò, porgendogli la mano prima di voltarsi di nuovo verso suo fratello. — Almeno hai avvisato la signora Judson? — Sì. Gliene ho parlato prima. Senza aggiungere altro, Geoffrey attraversò il salotto per parlare con Edward, mentre Caroline guardò Michael in silenzio. Lui si portò la sua mano alle labbra e le sfiorò le nocche con un bacio. — Spero non t’importi. — Ma certo che no — si affrettò a rispondergli. Avrebbe preferito avere più tempo per valutare la loro situazione, ma chiaramente si trattava di una vana speranza. Si sarebbe adattata: adattarsi era la sua specialità. La cena fu davvero deliziosa, dimostrando una volta di più l’abilita della signora Judson. La conversazione si mantenne vivace e informale, dato che Michael si sentiva a casa e per Caroline e Geoffrey era facile trattarlo come un membro della famiglia. Tuttavia, visto che era stato suo fratello a invitarlo, Caroline non sapeva bene cosa aspettarsi quando tornarono tutti insieme nel salotto. Geoffrey suggerì una serata musicale; sorridendo, Elizabeth sedette al pianoforte felice di poter dimostrare le sue doti. Anche Caroline suonò quella sera, ma solo per concedere a Elizabeth una pausa fin troppo breve dato che Edward e Geoffrey adoravano vederla suonare e la reclamarono a gran voce. Lei si ritrovò accanto a Michael, che continuava a guardarla leggermente accigliato. Si stava annoiando? Oppure voleva parlarle di ciò che era successo tra loro? Poi, sorridendo, lui le offrì il braccio. — Vieni, prendiamo un po’ d’aria. Hai chiesto a Edward che cosa voleva sapere Leponte con tanta insistenza? Quelle parole le rivelarono quant’era distratta quella sera. Si era completamente scordata di Ferdinando e del suo strano incontro nel bosco. Lo prese a braccetto e si avviò con lui verso la parte opposta del salotto, riordinando le idee prima di mormorare: — A quanto pare gli ha fatto un sacco di strane domande, ma il succo del discorso era se Camden aveva lasciato un diario, delle lettere, qualche nota personale... insomma, quel genere di cose. — Le ha lasciate? — Ma certo! — rispose convinta, lanciandogli un’occhiata. — Riesci a immaginare un diplomatico della statura di Camden che non lascia degli appunti? — No — ammise lui. — Perché Ferdinando voleva saperlo? — Non lo ha spiegato, nonostante Edward glielo abbia chiesto. Ma ha avuto l’impressione che cercasse di capire dove fossero. — Senza esito, immagino. — Ah, puoi starne certo — replicò Caroline. Avevano raggiunto la porta aperta della terrazza e, ritirando la mano, lei guardò fuori per poi voltarsi e cercare i suoi occhi. — Edward è un ragazzo sveglio e sa come aggirare certe difficoltà. Michael si accigliò. — Che altro gli ha chiesto? — Se era possibile consultare gli appunti — rispose Caroline ricordando la pacata spiegazione di Edward. — Per studiare il lavoro di un grande diplomatico, naturalmente. — Ovvio — sospirò lui. — Non credi a una parola di ciò che dice, vero? — No. E nemmeno tu. Lei arricciò il naso e guardò fuori. — Ferdinando ha conosciuto Camden di persona — spiegò. — Ma finora non ha mai mostrato alcun interesse per lui. Michael soppesò la cosa. Dopo un attimo chiese: — Dove sono gli appunti di Camden? — Nella casa di Londra — dichiarò, aggiungendo: — Ma non sono più nel suo studio. Li ho riposti dove so che sono al sicuro. Lui annuì, poi si voltò e vide che Geoffrey sonnecchiava sulla poltrona, mentre Elizabeth ed Edward si facevano apertamente gli occhi dolci. Prese Caro per il gomito e la portò fuori, nel fresco della notte. — Non stai per caso valutando l’idea di mostrarli a Leponte, vero? — No — rispose subito Caro, guardandolo perplessa. — Almeno, non fino a quando non li avrò riletti e capito che cosa potrebbe trovarvi Ferdinando di così importante. Michael studiò il suo volto, percepì la sua determinazione e tirò un sospiro di sollievo. Chiaramente, neppure lei si fidava di Leponte. — Hai qualche idea su cosa possa essere? Tu dovresti saperlo meglio di tutti noi. — Non ho mai letto ne il diario, ne gli appunti di Camden. Credo che non li abbia letti mai nessuno — rispose lei, scendendo le scale della terrazza. — A quarto pare, ne so meno di Ferdinando. Guardandola mentre raggiungeva il giardino di sua spontanea volontà, Michael aggrottò perplesso la fronte. Possibile che non sapesse nulla? Strano, per una donna come Caro. Ma ancora più strano era il fatto che sembrava invitarlo a una passeggiata nel parco, ben sapendo che cosa rischiava. A volte quella donna si comportava in modo davvero incomprensibile, ma non intendeva certo lamentarsi. Se era disposta a dargli corda, l’ultimo a dover protestare era proprio lui. — In ogni caso, ti garantisco che il “segreto” di Camden non c’entra nulla con il mondo diplomatico — riprese Caro, lanciando una distratta occhiata al parco immerso nel buio. — Il ministro ha convocato Edward non appena siamo tornati a Londra, chiedendo un dettagliato rapporto su tutte le attività di mio marito. Lo stesso ha fatto Gillingham, l’ambasciatore nominato dopo la sua morte. Se fosse emerso qualcosa di strano l’avrei saputo, te lo garantisco. Lui strinse le labbra. — Immagino di sì. Camden e morto due anni fa. — Proprio cosi. Il suo tono sembrò stranamente . Michael la guardò e vide che si era resa conto di dove voleva portarla. Stava studiando il gazebo e la scura distesa del lago subito dietro, mossa dal vento sempre più teso che portava grosse nuvole nere. Quella notte sarebbe arrivato un temporale; per adesso era ancora lontano, ma l’odore di pioggia che riempiva l’aria stuzzicava gli istinti primordiali, aumentando l’anticipazione, tendendo i nervi, illanguidendo i sensi. Il gazebo comparve davanti a loro, nascondendo il lago. — Quindi i documenti di Camden sono al sicuro a Londra? — Si — rispose Caro. — Nessuno può trovarli se non sa dove cercare. Si fermarono davanti agli scalini e Michael la lasciò, precedendola all’interno. Ma subito si accorse che lei non si era mossa. Allora si voltò, studiando il suo volto pallido. Stava guardandolo e sembrava dubbiosa. Con un lieve sorriso, tese la mano e mormorò: — Vieni con me, Caroline. Per un attimo lei resto immobile nella penombra, ma poi si decise. Strinse la gonna con la mano sinistra, tese la destra e posò le dita nel suo palmo aperto, lasciando che lui lo chiudesse per accompagnarla nell’intima oscurità del gazebo. Ci volle solo un attimo per abituare gli occhi, visto che nonostante le nuvole che coprivano il cielo, il lago rifletteva il tenue chiarore della notte. Attraversarono la costruzione di legno e lei ritirò la mano. Michael la lascio andare e si accontentò di seguirla fino a una delle arcate, sotto la quale era stata sistemata una comoda panchina. Era un posto perfetto per sedersi e contemplare il lago, ma riusciva a guardare solo lei. Si fermò a un metro dalla panchina, ma Caro proseguì. Poi, con un sospiro, si voltò decisa ad affrontarlo. Il vento le scompigliava i capelli, solleticandole le braccia nude; lo studiò per un attimo chiedendosi perché con Michael era così diverso, perché quando si trovava da sola con lui il mondo cessava improvvisamente di esistere. Sembrava quasi che si trovassero in una dimensione irreale dove anche le cose inaccettabili diventavano non solo giuste, ma persino desiderabili. Come baciarlo, per esempio. Rompendo gli indugi si avvicinò a lui, gli gettò le braccia al collo e si alzò in punta di piedi, cercando le sue labbra. All’inizio le sentì piegarsi leggermente per quell’assalto così sfrontato, ma subito si fecero più ferme e decise, pronte a prendere il controllo, a socchiuderle la bocca per la sensuale invasione della lingua. Lei reagì con gioia, certa che era ciò che davvero voleva, ciò di cui aveva più bisogno. Le loro bocche si fusero, ansiose di dare e ricevere, di rinnovare ancora una volta la meraviglia di quella delizia condivisa. Presto i baci si fecero ardenti; fiero e famelico, Michael la strinse forte a sé, avanzando ancora un poco per farle sentire, per la prima volta, tutta la potenza della sua erezione. Lei trasalì al contatto di quel turgore. Dunque la voleva davvero nel modo più intimo e completo, ma quanto profondo era il suo desiderio? Si trattava solo di un capriccio, oppure c’era dell’altro? Esisteva un solo modo per avere la risposta: baciarlo senza il minimo timore, sospirando per il contatto con quel corpo duro e muscoloso e rispondendo con la stessa passione agli assalti della sua lingua. Un senso di esultanza si fece strada dentro di lei, cancellando ogni pensiero e proiettandola in un turbine di scintillanti emozioni. L’ardore di Michael la stava contagiando: erano quindi destinati a... che cosa ne pensava lui? Poteva mai vederla come... Sentiva i seni turgidi e la pelle le formicolava dappertutto. Decisa quanto Michael a cercare il piacere dei sensi, si mosse contro di lui premendogli sul torace i capezzoli duri come sassi per poi sospirare soddisfatta. Accarezzandogli una guancia lo baciò, provocante come mai avrebbe ritenuto possibile, fino a quando non lo sentì arretrare un poco. Allora aprì gli occhi e lo vide appoggiato di spalle a uno dei pilastri di legno che reggevano il tetto. Un attimo più tardi le sue mani le strinsero le natiche per avvicinarla, poi la sua gamba si fece strada tra le gonne, premendo leggermente sulla carne ardente che aveva tra le cosce. Lei fremette, mentre quelle mani possessive si dedicavano a slacciarle il corpetto. Intanto la sua gamba la riempiva di delizia e la sua lingua la saccheggiava avidamente, dandole un piacere indescrivibile. I nastri cedettero facilmente, le sue mani ripresero a muoversi e con un gemito di gioia, lei le sentì posarsi sui seni coperti solo dalla sottile sottoveste e accarezzarla in un modo che le fece girare la testa. Non riusciva più a pensare, respirare si fece difficile e, con grande sorpresa, si ritrovò a volere di più. Fremeva di desiderio e le sue mani vagarono impazzite, sprofondando in quelle ciocche scure, stringendogli le spalle, scivolando sotto la giacca per slacciargli i bottoni della camicia e affondare le dita nei robusti pettorali. Lui si mosse, aprì gli occhi e la guardo; i loro sguardi si incontrarono per un breve istante, poi con un’abile mossa delle dita le fece scivolare una spallina lungo il braccio e, chinando la testa, baciò la carne tenera del seno. Con un gemito, Caro chiuse gli occhi mentre il respiro si faceva affannoso e lui succhiava, leccava, mordicchiava e la toccava, stringendole le natiche e premendole forte la gamba tra le cosce. Il piacere esplose in tutto il corpo, rendendo i nervi incredibilmente sensibili, dilatando i sensi al di là di ogni limite e facendola sentire umida, calda, pulsante per l’insieme di deliziose sensazioni che lui suscitava con tanta maestria. Anche Camden si era spinto fino a quel punto, ma stavolta era incredibilmente bello, vivo, delizioso. Con il suo defunto marito, invece... Meglio lasciar perdere, seppellirne persino il ricordo, lasciare che il tempo guarisse la ferita. Era tra le braccia di Michael, adesso, e tutto sembrava così diverso! Intanto la sua lingua continuava a tormentarla. Caro annaspò, poi gemette stringendosi forte a lui. — Chiamami per nome — le disse, ansante a sua volta. — Gridalo forte a tutti. Ci provò, ma non riuscì a gridare. Abbandonando per un attimo il devastante assalto, Michael tirò indietro la testa e ridacchiò. — Puoi parlare un po’ più forte, sai? Non c’è nessuno in giro. Lei non ne era proprio certa, ma smise di preoccuparsene quando lui si chinò sull’altro seno e ricominciò la dolce tortura fino a strapparle gemiti e colmandola di un piacere inebriante. Era gentile, ma deciso, e rivelava una grande esperienza. Adorava darle piacere e si vedeva, ma non faceva mistero del suo scopo ultimo. Per questo non fu minimamente sorpresa di sentire la sua mano scendere dal seno turgido al ventre, poi farsi sensualmente strada tra le pieghe della gonna e accarezzarle il pube. Lei sobbalzò, ma poi gemette quando un dito scese per premere evocativamente sulle pieghe ardenti del suo sesso attraverso il sottile tessuto. Ciò che la sorprese fu il modo in cui reagì il suo corpo, l’umido calore che cominciò a raccogliersi nel ventre e la tensione che coinvolse muscoli di cui non conosceva neppure l’esistenza. Un’ondata di piacere l’attraversò da capo a piedi quando il suo tocco divenne più fermo ed esigente, ma poi Michael tirò indietro la testa, si rialzò e le sfiorò la tempia con un bacio, continuando intanto a torturarla con il dito. — Caroline? Voleva possederla. La desiderava con tutto il cuore, lei non dubitava affatto del suo desiderio di darle piacere, e tuttavia... — Non so. Non ne sono sicura — gemette. Quel momento era arrivato troppo presto. Non sapeva cosa fare. Michael sospirò, ma non ritirò la mano dal caldo nido tra le sue cosce. Continuò a toccarla piano mentre capiva ciò che i suoi sensi insistevano a dirgli: Caroline lo desiderava, ma esitava a concedersi. Forse doveva parlarle apertamente. — Ti voglio — sussurrò. Non c’era alcun bisogno di abbellire quell’affermazione; la verità risuonava nel tono rauco della sua voce. — Voglio sentirti attorno a me, mia dolce Caro. Perché rimandare ancora ciò che entrambi desideriamo? Quelle parole seducenti si fecero strada dentro di lei. Sentiva che aveva ragione, o perlomeno che gli venivano dal cuore, ma Michael non sapeva... e se avesse accettato e poi cambiato idea? Se avesse ceduto alla paura? Come giustificarsi, cosa dirgli? Mentre la sua mano continuava a carezzarla dolcemente, promettendole il piacere a ogni tocco e suscitando un desiderio che le pulsava forte nelle vene, una battaglia immane infuriò dentro di lei. Michael sembrò sentirla; senza smettere, si avvicinò all’orecchio e le sussurrò con tono disperato: — Possiamo sposarci quando lo desideri, ma per l’amor del cielo, non tirarti indietro proprio adesso! Quelle parole si abbatterono su di lei come una secchiata d’acqua fredda, scacciando all’istante il desiderio. Un panico folle la pervase e divincolandosi con forza dal suo abbraccio, sgranò gli occhi e lo guardò — Cos’hai detto? — gli chiese con un filo di voce. Il suo mondo era finito di nuovo sottosopra, ma stavolta il piacere non c’entrava affatto. Michael aprì gli occhi, studiò il suo volto allarmato e ripensò alla disperata richiesta avanzata poco prima. — Caroline, ciò che abbiamo fatto... io ti voglio, ti desidero. Voglio fare l’amore con te. Fino in fondo. Molte volte. Finora non si era reso conto di quanto potente fosse il suo desiderio, ma adesso che l’aveva risvegliato sapeva che non sarebbe stato facile metterlo a tacere. E l’improvvisa indecisione di Caro non aiutava affatto. Un gelido silenzio calò tra loro mentre lei lo studiava, rigida come una statua. — No, tu non vuoi fare l’amore con me. Tu vuoi sposarmi! Quell’accusa lo colpì come uno schiaffo, lasciandolo disorientato. La guardò, poi scosse leggermente la testa sentendo una vaga irritazione. — Io... voglio entrambe le cose — balbettò, stringendo le labbra in una smorfia. — Davvero? Allora cercale da un’altra parte — fu la pronta replica. — Perché io non ho alcuna intenzione di sposarmi. Con queste parole cominciò a rivestirsi. Michael guardò quello splendido seno sparire dietro il sottile tessuto dell’abito estivo. In quel momento, sembrava una corazza. Sopprimendo un’imprecazione, si passò una mano tra i capelli e cercò di pensare. — Ma questo è ridicolo! Credevi forse che ti avrei sedotta senza considerare il matrimonio? Ci conosciamo da anni, sei la sorella di Geoffrey... Caro alzò le spalline della sottoveste, tesa e furiosa come non l’aveva mai vista. Lui si rendeva conto della sua rabbia, ma ancora non sapeva che cosa l’aveva suscitata. — Non attacca, Michael. Non ho più sette anni — replica glaciale. — Sono una donna adulta, una vedova. Credevo volessi sedurmi, non sposarmi. Un’accusa che risuonò chiara e bruciante, accendendole gli occhi chiari. La confusione di Michael era al massimo. — Ma cosa c’e di sbagliato nell’idea di sposarmi? Per l’amor del cielo, sai bene che devo sposarmi e tu sei la donna che ho sempre cercato! Lei balzò indietro come se l’avesse colpita, ma poi la maschera di gelo tornò al suo posto. — Mi spiace per te. Non voglio sposarmi e non riuscirai a convincermi — dichiarò, poi si voltò bruscamente e gli presentò la schiena nuda. — Adesso, se per cortesia vuoi aiutarmi ad allacciare il corpetto... Le tremava la voce. Imprecando furioso dentro di sé, lui guardò quella figura snella e sensuale lottando contro l’istinto di porre fine alla commedia, prenderla, voltarla e farla sua. Ma non poteva, naturalmente, e non solo per il suo dannato senso dell’onore. Era Caroline quella che aveva davanti, e sembrava improvvisamente così fragile! — Dimmi una cosa, allora — sibilò, cominciando ad allacciare i bottoni. — Se parlare di matrimonio ti sorprende tanto, cosa ti aspettavi dalla nostra relazione? A cosa dovevano portare i nostri incontri? Sbuffando leggermente, lei alzò il mento e guardò dritto davanti a se. — A nulla. Te l’ho detto, sono vedova. Le vedove non hanno certo bisogno di sposarsi per... La frase si concluse con un gesto della mano. — Per amoreggiare? — ringhiò lui. Caro strinse i denti e annuì. — Esattamente. Era questo ciò che volevo — rispose, ringraziando il cielo per la solerzia con cui Michael stava allacciandole l’abito. Non vedeva l’ora di rientrare, salire in camera sua con la dignità intatta e sprofondare nel letto prima di tradire le potenti emozioni che turbinavano dentro di lei. La testa le girava e si sentiva tanto nauseata da temere di star male. E aveva freddo, un freddo profondo, incontrollabile. — Ma tu sei Caroline Sutcliffe, la “vedova allegra”. Nessuno è mai riuscito a sedurti. Quella frase la colpì, ma lui non poteva sapere quanto. Inspirando profondamente, cercò di calmarsi e disse: — Diciamo piuttosto che sono molto difficile riguardo agli uomini da cui voglio farmi sedurre. Ma visto che non era quello il tuo obiettivo... Michael finì di allacciarle il corpetto. Sentendo le sue dita fermarsi, Caroline mosse un passo avanti. — Aspetta! Dovette obbedire, visto che aveva infilato un dito sotto l’orlo della scollatura per trattenerla. — Il mio obiettivo, Caroline, è averti tutta per me. Non riusciva a vederlo, ma si accorse che stava pensando seriamente a ciò che gli aveva detto, rivedendo la sua strategia. — Che cosa vuoi dire? — gli chiese, umettandosi le labbra. Per un lungo istante Michael tacque, mentre lei sentiva il cuore battere all’impazzata. Il vento soffiava forte, ma il temporale sempre più vicino non era nulla rispetto alla tempesta che le sconvolgeva i sensi. Poi lo sentì avvicinarsi, chinare la testa e sussurrarle all’orecchio: — Se tu potessi scegliere, cosa vorresti da ciò che sta nascendo tra noi? Un sottile brivido le corse lungo la schiena. “Se tu potessi scegliere.” La morsa che le stringeva il cuore si allentò quanto bastava per permetterle di tirare il fiato. Con decisione mosse un passo avanti; lui esitò, ma poi la lasciò andare, anche se con riluttanza. — Te l’ho già spiegato — rispose voltandosi e guardandolo negli occhi. — Sono una vedova e non devo rendere conto a nessuno delle mie scelte. Vorrei una relazione tra noi due che sia chiara e senza conseguenze. Lui la studiò in silenzio, ma poi scosse la testa con un lieve sospiro. — Caro, le conseguenze ci sarebbero comunque. Non può funzionare così, perché io voglio sposarti. Stavolta Caroline non riuscì a nascondere la sua reazione, il panico istintivo che la scosse da capo a piedi, il disperato tentativo di sfuggire a quelle parole e alla minaccia che rappresentavano. Il respiro le restò nei polmoni; a testa alta, rigida e immobile, lo guardò in silenzio tremando per la tensione. Anche nella penombra Michael vide la sua paura, si rese conto del terrore che le riempiva gli occhi chiari. Voleva abbracciarla, calmarla e chiederle che cosa aveva, per poi rassicurarla con dolci parole. Che cosa le stava succedendo? Lei però si ritrasse prima che riuscisse tendere le braccia. — Mi spiace, ma risposarmi non fa parte dei miei piani — dichiarò gelida. — Adesso scusami, ma voglio tornare a casa. Con quelle parole fuggì di corsa sul sentiero. — Caroline! — No! — esclamò lei fermandosi, poi si voltò e alzò una mano. — Ti prego... lasciami stare e dimentica tutto questo. Non funzionerà, Michael. Esterrefatto, Michael la vide alzarsi un po’ la gonna e correre precipitosamente verso casa. Il silenzio calò su di lui, rotto solo dal sibilo del vento. Restò lì immobile a pensare nella notte sempre più buia, chiedendosi cosa diavolo era andato storto.

Quella sera, Michael si aggirava nella biblioteca di Eyeworth Manor lanciando di quando in quando un’occhiata fuori dalla finestra, verso gli alberi sferzati dal vento e dalla pioggia. Pensava a Caroline, naturalmente. Non capiva il motivo della sua reazione, non riusciva a immaginare cosa poteva esserci dietro quell’irragionevole rifiuto, ma il cieco terrore che le aveva riempito gli occhi continuava a tornargli in mente. In ogni caso, non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Voleva sposarla e ci sarebbe riuscito. L’idea di vivere senza di lei era diventata improvvisamente inaccettabile: non sapeva perché ma paradossalmente ciò che era accaduto quella sera aveva solo rafforzato la sua determinazione. Bevve un sorso di brandy, guardò fuori dalla finestra e provò a elaborare una strategia. In vita sua non si era mai ritirato da una sfida e non aveva alcuna intenzione di farlo adesso, anche se doveva ammettere che neppure nei suoi sogni più arditi aveva pensato di dover combattere una battaglia così. Per come stavano le cose, la vittoria non consisteva nel sedurre Caroline, visto che in pratica ci era già riuscito, ma convincerla a sposarlo. La sua ricerca, il santo Graal che doveva assolutamente trovare, riguardava il modo di farla ragionare. Piegando le labbra in una smorfia, finì il brandy e si disse che l’ultima cosa che si era aspettato in tutta quella faccenda era quella di confrontarsi con una donna che non faceva i salti di gioia davanti alla sua proposta. Stupito, si rese conto che solo pensarlo dimostrava un’arroganza che non credeva di avere. Girò le spalle alla finestra e posò il bicchiere sul tavolo. La reazione disperata di Caro l’aveva disarmato, ma a ben pensarci costituiva probabilmente la chiave per raggiungere il suo cuore. Doveva scoprire da cosa nasceva il suo terrore e l’unico modo di riuscirci era lasciare che le cose si sviluppassero da sole. Il piano d’azione era ovvio, persino elementare pur nella sua complessità. Prima doveva portarsela a letto, poi trovare un modo sicuro per tenervela. A tutti i costi.

Capitolo 10

Il pomeriggio successivo, Caro sedette a ricamare vicino alla finestra del salotto mentre dall’altra parte della stanza Edward ed Elizabeth giocavano a scacchi. Era di pessimo umore, ma perlomeno la mattina aveva offerto qualche distrazione grazie ai preparativi della festa, a cui mancavano solo tre giorni. Adesso però, non poteva fare a meno di rimuginare cupamente su quanto era successo la sera prima. Si sentiva furiosa con se stessa e con Michael. Come aveva potuto dimostrarsi così ingenua da non pensare al rischio che correva concedendosi a lui in quel modo? Adesso voleva sposarla, lo stupido maschio presuntuoso. Era questo a bruciare di più: perché non potevano avere una relazione che non comportasse degli obblighi così gravosi? Non era abbastanza carina per pensare semplicemente a... Lacrime di rabbia le inumidirono gli occhi. Ancora una volta, doveva constatare di non essere una donna che gli uomini desideravano e basta. Nessuno l’aveva mai corteggiata perché si sentiva attratto da lei. Se non c’erano questioni di soldi, potere, status, c’era la sfida costituita dal sedurre la “vedova allegro”. Veniva scelta, non desiderata. Sembrava un marchio del destino. Un destino di cui anche Michael faceva parte. Per questo, e anche perché per la prima volta aveva sperato che almeno lui fosse diverso, sapeva di non poterlo perdonare. Affondò l’ago nella stoffa e cercò di calmarsi almeno un poco. Ma la sua rabbia nasceva anche dalla preoccupazione per il futuro. Era destinata a restare sola per sempre? Avrebbe mai trovato un uomo che si interessasse a lei e non a ciò che poteva offrire? Domande che certo non contribuivano a tranquillizzarla. Stava cercando di capire come continuare quel dannato ricamo, quando passi pesanti risuonarono in corridoio. Non quelli di Geoffrey, più lenti e controllati, ma passi energici e decisi. I suoi sensi si risvegliarono all’istante; alzò lo sguardo e in quel momento Michael comparve sulla porta. Era vestito da cavaliere, con pantaloni scamosciati e alti stivali neri. Edward ed Elizabeth lo guardarono perplessi; lui li salutò, poi riprese ad avanzare con decisione verso di lei. — Sei occupata? — le chiese, guardando il ricamo con una smorfia. — Dobbiamo parlare. Bastò un’occhiata per farle capire che non si sarebbe mosso fino a quando non lo avesse accontentato. Il modo in cui guardò la porta le disse che erano argomenti da trattare in privato. Si alzò con calma e aggrottò leggermente la fronte, ma lui la prese per mano e la trascinò con sé senza tanti complimenti. — Scusateci — disse rivolto a Edward ed Elizabeth, ammutoliti da quella scena. — Abbiamo qualcosa di molto urgente di cui discutere. Prima che potesse rendersene conto, erano usciti in corridoio e marciavano in silenzio verso l’atrio. Lei faticava a tenergli dietro con i tacchi e così lo strattonò leggermente per obbligarlo a rallentare; Michael le lanciò un’occhiata e l’accontentò, rafforzando però la stretta. Raggiunsero la porta principale e poi uscirono, avviandosi sui vialetti del parco. — Si può sapere dove andiamo? — gli chiese esasperata. — In un posto dove potremo parlare in pace. Inutile chiedergli dove, visto che avevano già preso il vialetto che portava al gazebo. — Ah, va bene — gli disse, alzandosi un po’ la gonna per salire insieme a lui gli scalini di legno. — Se sei così deciso, parliamo pure. Che cosa volevi dirmi? I loro passi risuonarono imperiosi sulle assi del pavimento mentre Michael la portava dove si trovavano la sera prima. Impossibile vederli dalla casa in quel punto: lei se ne rese conto e fece per sollecitare una risposta, ma lui si girò e le lasciò la mano, poi le strinse il mento guardandola negli occhi. Senza dire una parola chinò la testa e la baciò, confondendola e turbandola. Era un assalto in piena regola, che però la riempì di frizzante eccitazione. Si aggrappò alla sua giacca per trovare un punto fermo nel marasma di emozioni e si arrese al bacio con tutta se stessa, annaspando mentre i suoi sensi esultavano per quell’ardente abbraccio che proiettava entrambi nell’universo della passione. — Adesso che almeno questo è chiaro — le disse quando il bacio terminò — c’è qualcosa di molto urgente che voglio offrirti. Caroline sbatté le ciglia, aprì gli occhi e lo guardò, ma ci volle un attimo prima che afferrasse il senso di quelle parole. Un attimo che assaporò appieno: piegando le labbra in un lieve sorriso, gli chiese: — Che cosa sarebbe? Lui le catturò lo sguardo conscio di non potersi permettere altri passi falsi. — Tu hai detto che stai cercando una relazione senza conseguenze — cominciò, piegando le labbra in una sorta di sorriso, prima di aggiungere: — Ebbene, se è questo che sei pronta a offrire, l’accetto senza discutere. La vide aggrottare la fronte. Era brava a nascondere i suoi sentimenti; impossibile capire cosa pensava dietro quegli occhi azzurro argento. — Vuoi dire che abbandonerai ogni pretesa di sposarmi e che potremo essere semplicemente... — Amanti — la interruppe lui. — Se è questo ciò che desideri, sono pronto ad accontentarti. Di nuovo sentì la sua diffidenza più che vederla. — Hai bisogno di sposarti e accetti così il mio rifiuto? — gli chiese perplessa. — Non farai pressioni, non parlerai a Geoffrey, non avanzerai nessuna domanda formale... Michael scosse la testa. — No. Niente domande formali!, nessun colloquio con Geoffrey, nulla di tutto ciò. Ma tanto per chiarire bene le cose — si affrettò ad aggiungere, notando il lampo che le attraversò lo sguardo — non ho cambiato idea e se un giorno tu vorrai riconsiderare la mia proposta, sono pronto a sposarti in qualsiasi momento. Lei lo guardò accigliata e ammutolita; sospirando, Michael aggiunse: — La mia offerta resta valida, ma riguarda solo noi. Se un giorno deciderai di accettarla, basterà dirmelo. La decisione è tua, totalmente nelle tue mani, da prendere senza alcuna pressione da parte mia. Caroline assorbì avidamente ogni parola, consapevole non solo della sua resa, ma anche di ciò che c’era dietro. Si sentiva profondamente scossa; di nuovo, le sue certezze avevano subito un duro colpo. Non si sarebbe mai aspettata una proposta del genere da Michael. — Perché lo fai? — gli chiese. Sostenendo il suo sguardo senza vacillare, lui rispose con espressione ancora pin decisa: — Perché ti voglio, Caroline. E se accantonare il desiderio di sposarti è l’unico modo per averti... ebbene, sono pronto a farlo. Le stava dicendo la verità, ne era sicura. L’impossibile era tornato possibile nel giro di pochi minuti. Un immenso sollievo la pervase, ma soffocò la gioia e lo guardò in silenzio come se temesse di spezzare l’incantesimo dicendo qualcosa di sbagliato. — Ebbene? Era questo che volevi, giusto? — incalzò lui, aggrottando perplesso la fronte. Intrappolata dai suoi occhi azzurri, cercò di rimettere ordine in un mondo improvvisamente sottosopra. La vita la stava chiamando; il fato le presentava l’opportunità di realizzare dei sogni nascosti accuratamente nel cassetto, ma solo al prezzo di affrontare le sue paure più profonde e il rischio di distruggerli per sempre. C’erano paure che la stringevano in una gelida morsa da undici anni e non aveva mai pensato di poterle sfidare così. Almeno, non fino a quegli ultimi giorni. Non fino a quando lui era entrato nella sua vita, facendola sentire felice come non lo era mai stata. E adesso, anche desiderata. — Sì — gli sussurrò. — Era quello che... — Caroline! Edward. Entrambi si voltarono. — Caroline! — chiamò di nuovo Edward, avanzando spedito nel parco. Michael sbuffò. — Campbell farà bene ad avere un ottimo motivo per interromperci cosi. — Lo avrà, non temere — rispose lei sciogliendosi dal suo abbraccio. Con riluttanza si avviarono verso di lui, ma Michael la fermò prima di scendere i gradini. — Un’ultima cosa — le sussurrò, posandole le mani sui fianchi per fermarla. — Se davvero desideri una relazione segreta, dovrai tacere con chiunque e fare tutto ciò che dico. Intesi? Se voleva andare avanti e sapere che cosa poteva succedere tra loro, non poteva rifiutare. — Va bene — disse annuendo. Lui la lasciò e insieme uscirono dal gazebo. Edward li vide e si avvicinò di corsa. — Per fortuna siete qui — disse. — È successo qualcosa di grave. — Cosa? — chiesero entrambi, pronti a precipitarsi verso casa. Edward guardò Michael, poi rispose: — George Sutcliffe è qui con Muriel. Vi stanno aspettando a casa. Sembra che la notte scorsa, qualcuno sia entrato a Sutcliffe Hall!

Pochi minuti dopo, tutti e tre fecero il loro ingresso nel salotto dove George, il fratello minore di Camden, li aspettava con la figlia. Contrariamente al fratello, brillante ed estroverso fino all’ultimo, George era un anonimo sessantenne che conduceva una vita da recluso nella dimora avita della famiglia. La differenza tra loro si era acuita man mano che passavano gli anni e nonostante si assomigliassero fisicamente, era difficile immaginare due uomini più diversi. George non aveva mai viaggiato, non frequentava la buona società e, dopo la morte della moglie, si era dedicato esclusivamente alle sue terre e ai suoi nipoti, visto che suo figlio primogenito, David, continuava ad abitare nell’antica dimora con la giovane moglie e i figlioletti. Aveva ereditato Sutcliffe Hall perché Camden era morto senza eredi; tutti i Sutcliffe consideravano l’enorme dimora come la loro vera casa, persino Muriel anche se non vi abitava più da anni. Caroline non fu affatto sorpresa di vederla lì insieme al padre. L’anziano nobile si alzò quando li vide entrare. — Caroline — salutò, abbozzando un sorriso. Sorridendo a sua volta, Caroline salutò lui e Muriel e poi si voltò verso Michael. Lui strinse la mano di George, scambiò qualche parola con sua figlia e poi sedette insieme a loro, mentre Edward restava un po’ in disparte appoggiato di spalle alla parete. — Che cosa è successo? — chiese Caro. — Edward ha parlato di un ladro. — Erano due — chiarì subito George. — Sono entrati l’altra notte durante il temporale. In poche parole, George raccontò loro di come David aveva sentito dei rumori nell’ala ovest ed era andato a controllare, trovando una finestra spalancata. Era bastato uno sguardo per capire che qualcuno l’aveva forzata e guardando fuori, aveva visto due ombre allontanarsi di corsa nel giardino. — Probabilmente erano solo vagabondi che cercavano rifugio dalla pioggia. Hanno fatto un po’ di disordine, ma non manca alcun oggetto di valore. Muriel però non parve affatto d’accordo. — A giudicare dal “disordine”, hanno cercato meticolosamente nei cassetti. L’ala ovest era quella in cui alloggiava Camden le rare volte in cui tornava a casa — spiegò, guardando Michael. — E così mi chiedevo... Caroline sbuffò. — Pensi che cercassero qualcosa che Camden ha lasciato nella casa? — Non saprei — si schermì subito Muriel. — Tu dovresti saperlo meglio di me. Tuo marito potrebbe aver lasciato qualcosa d’importante a Sutcliffe Hall? Mentre studiava gli occhi scuri e leggermente sgranati di Muriel, Caroline non poté evitare di chiedersi se sapeva dell’interesse di Ferdinando per il suo defunto marito. — No — replicò con un tono che non ammetteva repliche. — Non c’è più nulla a Sutcliffe Hall che apparteneva a Camden, né oggetti di valore, né documenti o altro. Edward fece per parlare, ma lei lo tacitò con un’occhiata. Non era il caso di insistere, visto che Camden non aveva mai considerato quella casa sepolta nelle campagne dell’Hampshire come un punto di partenza. Lei ed Edward lo sapevano da sempre, ma chiaramente c’era qualcuno che la pensava in modo ben diverso. Come Muriel, oppure Ferdinando. Muriel si accigliò, chiaramente insoddisfatta da quella risposta. Ma non aveva altra scelta che accettarla e così lasciò cadere l’argomento, passando di buon grado a parlare della festa. Poco dopo Geoffrey si unì a loro per il tè, parlando di raccolti, allevamenti e prezzi con Michael e George mentre lei si incaricava di distrarre Muriel. Circa un’ora dopo, George e sua figlia si congedarono, Geoffrey tornò nello studio e lei si avviò con Michael ed Edward verso il salotto. Elizabeth non si era mossa dalla poltrona; quando li vide entrare, posò il libro che stava leggendo e si scusò per non averli raggiunti, dicendo: — Muriel mi sembrava molto agitata e non volevo disturbare. Spero non sia successo nulla di grave. Caro strinse le labbra. — Non sappiamo quanto grave possa rivelarsi quello che è successo — commentò pensierosa, rivolgendosi a Michael. — All’inizio mi sono chiesta se quei “vagabondi” non potevano essere le due canaglie che hanno aggredito la signorina Trice, ma poi George ha detto che non manca nulla e così ho taciuto. Tuttavia, non credi che possa trattarsi dei due tagliagole che Ferdinando ha incontrato nel bosco? Edward ed Elizabeth li guardarono perplessi. — Quali tagliagole? Michael spiegò loro ciò che avevano visto ed Edward guardò preoccupato la sua datrice di lavoro. — Credete che li abbia assunti per frugare a Sutcliffe Hall? — Credo che stiamo correndo troppo — replicò Michael deciso. — É vero che Ferdinando sembra sospetto con il suo improvviso interesse per Camden e lo strano colloquio nel bosco, ma ci vuole ben altro per dimostrare la sua colpevolezza. Potrebbe trattarsi di una coincidenza: forse George ha ragione quando afferma che erano solo dei vagabondi. Caro rifletté. — L’ala ovest della casa è la più isolata e dà direttamente sul bosco. A Camden piaceva proprio per questo. — Pertanto, un vagabondo sorpreso da un temporale potrebbe anche pensare di rifugiarsi là — riprese Michael, aggiungendo sotto lo sguardo perplesso degli altri: — Non sono certo un sostenitore di Ferdinando, ma non possiamo accusarlo senza prove. — Tuttavia, possiamo cominciare a tenerlo seriamente d’occhio — intervenne Edward. Michael incontrò il suo sguardo. — Sì. In effetti, anche se potrebbe trattarsi solo di un caso, credo proprio che sia la cosa giusta da fare. Michael ed Edward trascorsero la mezz’ora successiva discutendo le varie possibilità e alla fine decisero di avvertire i domestici di Bramshaw House perché sorvegliassero la casa contro le eventuali intrusioni, prendendo come scusa gli strani eventi di quei giorni. — Leadbetter Hall è troppo lontana per controllare direttamente Leponte — dichiarò Michael con una smorfia. — Anche perché con la festa e il ballo che si avvicinano, può accampare ogni genere di scusa per aggirarsi per Bramshaw. Senza avvisare mezza contea, non possiamo fare molto. Edward annuì. — Se è stato lui, approfitterà del ballo per frugare anche qui, non credete? — Sì. Dobbiamo accertarci che sia tenuto d’occhio tutto il tempo. Caro ascoltava e ogni tanto interveniva, ma senza farsi coinvolgere. Aveva già troppo da fare per organizzare il ballo; contribuire alla sorveglianza di Ferdinando era fuori discussione. Inoltre Michael ed Edward sapevano chiaramente cosa fare. Il sole stava tramontando quando Michael si alzò. Lei lo guardò mentre salutava Elizabeth con galanteria e stringeva la mano a Edward, poi gli porse la mano con un radioso sorriso. — A domani. Lui se la portò alle labbra sfiorando le nocche con un bacio. — Mi farò vivo nel pomeriggio. — Oh, no! Nel pomeriggio sarò molto occupata — rispose Caro, lanciando un’occhiata agli altri per poi sussurrargli: — Sono impaziente quanto te, ma non posso scordare i miei impegni. Muriel verrà certamente qui, e... Michael si fermò presso la porta e le sorrise. — Bene. Allora ci vediamo nel pomeriggio — dichiarò, una calda promessa sottolineata dall’intensità del suo sguardo. Lei fremette, ma non poteva tradirsi davanti a sua nipote e a Edward. Già il baciamano che seguì quelle parole era fin troppo esplicito. — A domani, allora — sospirò. Con un cenno e un sorriso di trionfo, lui si voltò, e uscì. Caroline restò ferma sulla porta a guardarlo mentre se ne andava, chiedendosi in quale impresa si era lanciata cercando una relazione illecita con lui.

Quella domanda le tornò alla mente il pomeriggio successivo, mentre lo guardava allibita in terrazza, con le mani ai fianchi e una gran voglia di dirgli di andarsene. — Hai promesso di fare tutto ciò che dico, ricordi? — concluse Michael puntandole un dito contro il naso. — E senza discussioni. Una promessa che riguardava la segretezza della loro relazione. Fece per dirglielo, ma non appena aprì bocca, lui aggiunse: — Pertanto, hai cinque minuti per cambiarti d’abito e raggiungermi. Ti aspetto davanti alla porta principale con i nostri cavalli. Con queste parole si voltò, scese le scale e puntò deciso verso le scuderie, lasciandola lì a bocca aperta e il vago sospetto di esser stata imbrogliata. Ma per ora, non aveva altra scelta che lasciare tutto e concedergli la cavalcata che le chiedeva con tanta insistenza. Imprecando contro gli uomini, tutti gli uomini, rientrò in casa e salì in camera. Si cambia in un batter d’occhio e tornò di sotto, ma prima di uscire si ricordò di dover dare alla cuoca le istruzioni per la cena e così passò dalla cucina. Ne uscì poco dopo nervosa e affannata, precipitandosi lungo il corridoio e infilandosi al contempo i guanti da cavallerizza. Ma quando arrivò in fondo e svoltò l’angolo, andò a sbattere a testa bassa contro una massa di solidi muscoli che non ebbe difficoltà a riconoscere. — Perché non mi concedi un po’ di tregua? — sbottò, sentendosi molto vicina a una crisi isterica. — C’è la casa da mandare avanti, la festa, il ballo! Non vedi quanto sono occupata? Michael la guardò, scuotendo la testa con disapprovazione. — Non sei così occupata. Sei solo capricciosa — replicò. — E stai cercando ogni possibile scusa per fuggire. Quell’accusa la lasciò di sasso. Spalancò gli occhi e fece per rispondere, ma lui la prese per un braccio e la sospinse gentilmente verso la porta aperta. — Quando vuoi, sei l’efficienza incarnata — riprese Michael. — Non dirmi che non puoi prenderti un paio d’ore per te stessa il giorno prima di un ballo relativamente facile da organizzare. Aveva ragione, almeno sul ballo. Accigliata, non poté fare a meno di chiedersi se aveva ragione anche sul resto. Sapeva bene quanto forti potevano rivelarsi le sue paure, quanto influenzavano il suo comportamento se non stava attenta. Possibile che istintivamente cercasse di evitare una situazione in cui era obbligata ad affrontarle? In silenzio lo seguì fino ai cavalli, tenuti al morso da un garzone. Michael congedò il ragazzo, poi l’aiutò a salire in sella; stranamente, l’ondata di calde sensazioni che sempre suscitava quel contatto le parve molto più facile da sopportare. Lo guardò di sottecchi mentre montava a sua volta e quando i loro occhi si incontrarono, si rese conto che non aveva alcuna intenzione di metterla sotto torchio. Cercava solo di capirla, naturalmente senza troppo successo visto che non riusciva neppure lei a capire se stessa. Ma almeno ci stava provando, si disse, conscia della strana gioia che le dava la sua attenzione. Forse doveva aprirsi un po’ di più. — Mi rendo conto che posso sembrarti capricciosa e difficile, ma l’ultima cosa che voglio è quella di creare ostacoli tra noi — gli disse mentre uscivano al trotto dalla tenuta. — Io... lo faccio senza accorgermene! Michael piegò le labbra in un sorriso molto maschile. — In tal caso, non preoccuparti — le disse, catturandole lo sguardo. — Adoro le corse a ostacoli. Lei sbuffò e guardò avanti, incerta su come prendere quella risposta. E tuttavia, mentre galoppavano tra i campi sotto il caldo sole estivo si ritrovò ad apprezzare la pausa che Michael le aveva imposto. Sembrava deciso a ignorare le sciocche incertezze suscitate dalle sue paure, ad andare avanti con una pacata ma ferrea determinazione fino a scacciare tutto ciò che si frapponeva tra loro. Si stava rivelando un alleato preziosissimo per aiutarla a vincere i suoi timori più profondi. Si accorse che stavano andando a Rufus Stone solo quando erano quasi arrivati e mentre si inoltravano nell’ampia radura circondata da querce secolari, si chiese perché aveva scelto un posto così frequentato. Credeva che si sarebbero inoltrati nel bosco per un nuovo, intimo incontro: che cosa facevano lì? Si fermarono davanti al monumento. Lui scese, legò i cavalli e poi la prese per la vita, la sollevò e la posò lentamente a terra. La radura era deserta e solo il canto degli uccelli risuonava tra le fronde mosse da una leggera brezza. I loro sguardi si incontrarono e la passione divampò all’istante, spingendoli uno nelle braccia dell’altra. Per lunghi istanti si limitarono ad assaporare l’umida e ardente danza delle loro lingue, un anticipo di ciò che doveva nascere tra loro, dell’intimità a cui entrambi anelavano con forza. Sapevano bene di non potersi abbandonare a quel momento di passione, ma visto che al momento erano soli, baciarsi non sembrava affatto una cattiva idea. Quando Michael si tirò indietro e pose fine al bacio, lei aprì gli occhi e lo studio perplessa. — Perché siamo venuti qui? — gli chiese subito. Senza dubbio riusciva a mandarle in subbuglio tutti i sensi, ma la testa continuava a funzionare. Con un sorriso, lui la prese per mano e cominciarono a camminare. — Quando siamo venuti qui con Edward ed Elizabeth... — cominciò, aspettando che lei lo guardasse per aggiungere: — Ricordi che ti stavo stuzzicando? Volevo fartela pagare per il tuo piccolo complotto, ma la tua reazione mi stupì. Ci ho pensato e ripensato, senza però trovare una spiegazione plausibile. Neppure adesso, nonostante le cose siano cambiate. La senti irrigidirsi e si fermò, voltandosi verso di lei senza lasciarle la mano. — Ti stuzzicavo sui doveri della moglie di un ambasciatore e tu mi hai detto che un ambasciatore celibe non è benvisto in molti paesi. Io ti ho risposto che lo stesso valeva in Inghilterra per un ministro scapolo... Caroline abbassò lo sguardo, poi tirò per liberare la mano, ma lui rafforzò la stretta. Davanti alla sua testa china, alla sua espressione cupa e riluttante, sorrise e disse: — Ti ho portata qui per capire perché ti sei infuriata tanto. Per un lungo istante lei restò così immobile da sembrare una statua, ma la vena che le pulsava forte alla base del collo tradiva una grande agitazione. C’era qualcosa in quel discorso che suscitava una ripulsa così forte da sconfinare nel terrore: l’unico, vero ostacolo che Michael riusciva a vedere. Quel giorno, avrebbe provato a superarlo. Alla fine Caro inspirò profondamente, poi alzò la testa e lo guardo, ma senza incontrare i suoi occhi. — Io... — balbettò, ma dovette respirare di nuovo per riuscire a parlare. — Camden mi ha sposata solo perché vedeva in me la perfetta padrona di casa, la moglie ideale per un diplomatico. Parlava con voce piatta, senza la minima inflessione. Michael si accorse che evitava deliberatamente di guardarlo. — Aveva ragione — commentò senza pensarci. — Forse — replicò seccamente lei facendo spallucce. Era così tesa da tremare. Lui la strinse in un caldo abbraccio. — Caroline, non riuscirò mai a capire se non ti spieghi meglio. — Ma io non voglio farti capire proprio nulla! — sbottò lei, cercando di divincolarsi. — Perché non mi lasci stare? Non riuscirò mai a sfuggirti, vero? Il fatto che se ne fosse resa conto lo spinse ad allentare la presa. Abbassò le braccia e Caro prese a camminare verso il monumento. Non ci voleva molto per intuire il suo tormento, ma il motivo di tanta agitazione restava avvolto nel buio più assoluto. Alla fine lei parlò, ma senza guardarlo e continuando a camminare. — Perché vuoi saperlo? — Perché non voglio ferirti di nuovo — replicò Michael senza nemmeno pensarci. Quella risposta riuscì a fermarla, ma solo per un attimo. Gli lanciò un’occhiata, poi riprese ad avanzare aggirando il monumento come se volesse frapporlo tra di loro. — Ero giovane, molto giovane — disse dopo un lungo, penoso minuto. Parlava a voce bassa, ma ogni parola risuonò con chiarezza nel silenzio della radura. — Avevo solo diciassette anni. Camden ne aveva cinquantotto. Prova a pensarci. Un uomo anziano, ma molto affascinante, esperto, vissuto, anche attraente a modo suo, convince una ragazzina alla sua prima Stagione a sposarlo con ogni genere di promessa. Lei ci casca solo per scoprire che la realtà è ben diversa, che è stata scelta per un motivo ben preciso fatto d’interesse, avidità, egoismo... Michael immaginava già che si trattasse di una cosa del genere, ma nondimeno la rivelazione lo colpì. Non come un pugno, ma come il taglio di un rasoio affilatissimo che fa sanguinare qualcosa che non si sa neppure di avere. Almeno, non fino a quel momento. — Oh, Caroline! — No! — gridò lei, lanciandogli un’occhiata fulminante. — Non osare compatirmi! Almeno ho imparato sulla mia pelle ciò che non sapevo — aggiunse, muovendo le mani per poi voltarsi e riprendere a camminare. Ma dopo un attimo tirò un lungo respiro e si fermò. — Comunque è acqua passata. Inutile rivangare il passato. Michael fece per dirle che non era affatto inutile se il passato continuava a lacerarla, ma preferì tacere. Non era certo di poter esprimere quel concetto in modo convincente e Caro era già fin troppo agitata. — In genere non sono così sensibile, ma la faccenda del tuo matrimonio con Elizabeth... — riprese Caroline, lasciando la frase in sospeso. Poi aggiunse: — In ogni caso, adesso lo sai. Ti senti meglio? No — fu l’immediata risposta. — Ma perlomeno capisco un po’ di più. Con quelle parole si mosse verso di lei, aspettandosi quasi di vederla scappare. Invece Caro restò ferma dov’era. — Non vedo proprio che bisogno tu abbia di capire. Scuotendo la testa, Michael colmo in un attimo la distanza che li separava. — Lo so. “Ma lo vedrai presto.” Quelle parole gli echeggiarono nella mente mentre la cingeva tra le braccia e chinava la testa per cercare le sue labbra. Ma senza assalirla, senza schiacciarla, dandole tutto il tempo di adattarsi. Caroline rispose, all’inizio freddamente, poi con una tenue scintilla di trasporto e pian piano si addentrarono nelle fiamme della passione. Lui mostrava la strada e lei lo seguiva senza esitare, fino a quando le fiamme li avvolsero e l’ardore del loro bacio, la delizia dei loro corpi che si toccavano, parvero non bastare più. Presa dal momento e dalla promessa che recava con se, bisognosa del calore che lui sapeva darle per scacciare il gelo del passato, Caroline trasalì quando lo sentì ritrarsi. Sapeva bene che erano in piena vista in un luogo piuttosto frequentato, ma tuttavia... — Non sono così fragile, sai? — gli disse, abbassando la mano e sfiorando con dita sensuali la sua turgida erezione. — Potremmo montare a cavallo e cercare un luogo più appartato. Lui le afferrò il polso e tirò un lungo respiro. — Non stavolta. — Perché no? Il suo tono tradì una punta di delusione che lui non aveva mai sentito prima. Ma nonostante gli costasse una fatica immane, Caroline doveva sapere che il suo scopo non era semplicemente sedurla. — Perché ho altri progetti per noi. Lei parve sorpresa. Il suo sguardo oscillò tra il divertito e il sospettoso. — Quali? Abbozzando a sua volta un sorriso, lui le accarezzò la schiena fino a fermarsi su una natica, poi l’avvicinò voluttuosamente a sé. — Non ho alcuna intenzione di svelarteli — rispose, premendo un poco per farle sentire tutta la potenza del suo membro. — Ma nessuno ti impedisce di scoprirli. Caroline ridacchiò, poi si alzò in punta di piedi per un nuovo bacio muovendo il bacino contro di lui. Ma nonostante quella nuova tentazione, Michael non intendeva affatto cedere. La voleva anima e corpo, ma prima voleva farla ridere, rasserenarla, scacciando le nubi nere di un passato che l’aveva spenta troppo a lungo. Poi, una volta superata quella fase, si sarebbe preso il giusto premio. Si limitò così a rispondere, a baciarla con passione, ma senza cedere all’istinto. E come immaginava, Caro si arrese e si accontentò con gioia di quel semplice contatto, per poi appoggiare sorridendo la testa alla sua spalla e crogiolarsi in silenzio nel suo abbraccio.

Nonostante le apparenze, Caroline si sentì immensamente sollevata per quella conclusione. Una volta tornata a Bramshaw House, si immerse nell’organizzazione del ballo con una serenità e una calma impensabili prima della galoppata. Purtroppo c’era molto da fare e quindi non aveva tempo per pensare ad altro, ma quando salì in camera per una notte di meritato riposo, la sua mente andò subito a Michael, a ciò che era successo nella radura, a ciò che voleva da lei, al modo in cui riusciva a farla sentire. Bastava pensarci per sentirsi fremere di frizzante delizia. Il ricordo dei suoi baci e delle sue carezze le scaldava il cuore, sciogliendo almeno un poco le gelide mura che aveva eretto per difendersi da Camden. Anche lui l’aveva toccata. Il velo nero steso dalla sua mente sulle poche notti in cui aveva reclamato i suoi diritti di marito le impediva di ricordare il resto, ma grazie a Michael non nutriva più alcun dubbio sul fatto che fosse possibile amarsi in modo diverso, non più con crudele possesso, ma con complicità, gioia, accettazione. Tuttavia, la profonda paura che l’attanagliava non era scomparsa. Temeva che potesse dimostrarsi tutto un sogno, che qualcosa cambiasse all’improvviso e che alla fine, quando fossero arrivati al dunque, si ritrovasse di nuovo a piangere per un’altra delusione atroce. Ma per la prima volta in tanti anni provava un’incredibile curiosità, un’anticipazione, un’impazienza che la riempiva d’entusiasmo. Voleva spingersi oltre con lui. Voleva provare, esplorare, assaporare le sensazioni mai provate che Michael le trasmetteva con incredibile facilità. Per questo si sentiva disposta a seguirlo ovunque, senza condizioni, pronta a scoprire un fondamentale aspetto della vita che non conosceva e che le era mancato troppo a lungo.

Capitolo 11

La mattina dopo Michael si alzò presto. A colazione prova a leggere il giornale, poi si chiuse nello studio per sbrigare alcune pratiche e rispondere alle lettere arrivate in quei giorni, ma alla fine dovette arrendersi. Chiuse il fascicolo che studiava senza esito da almeno un quarto d’ora, posò un gomito sul tavolo e si voltò verso la finestra da cui entrava copioso il sole del mattino, pensando a lei. Si era scusata per gli ostacoli che senza volerlo frapponeva tra di loro e poi aveva rivelato un unico, immenso ostacolo da superare a ogni costo, un’impervia montagna che doveva assolutamente scalare se voleva conquistarla anima e corpo. Camden l’aveva sposata per le sue doti, per le sue innegabili capacità. Conoscendolo, non poteva certo dirsi sorpreso. Se esisteva un uomo al mondo in grado di vedere con chiarezza le capacità latenti delle persone, nella fattispecie quelle di una brillante fanciulla appena debuttante, quello era lui. Dopotutto aveva già sposato due nobildonne capaci e raffinate. Il problema nasceva dal modo in cui l’aveva convinta. Giovane e inesperta, Caroline pensava senza dubbio di sposarsi per le solite, romantiche ragioni che affollano la mente di una diciassettenne. Sicuramente non immaginava che lui fosse spinto da motivazioni molto più meschine e quando la brutale realtà era emersa con tutta la sua forza... Un profondo disgusto lo riempì. Riusciva tranquillamente a immaginare Camden che usava tutta la sua esperienza e il suo fascino per abbagliare una giovane donna, mentendo spudoratamente pur di ottenere ciò che voleva. Le aveva messo gli occhi addosso e se l’era presa, ma solo ingannandola senza pietà. Era quello ad averla ferita, una ferita che sanguinava ancora dopo tanti anni. Quanto sanguinasse l’aveva constatato di persona. Non avrebbe più toccato quel punto alla leggera, ma non era pentito di averlo fatto. Almeno adesso aveva un’idea chiara della sfida da affrontare. Caroline era perfettamente consapevole della sua necessità di trovare moglie, e questo lo avvicinava molto a Camden, e considerando il suo carattere tutt’altro che arrendevole, convincerla a sposarlo sembrava un’impresa ai limiti del possibile. Sedurla rappresentava solo il primo tratto dell’impervia montagna, la parte più facile della scalata. Le difficoltà arrivavano adesso. Come fare per convincerla? Ci pensò per un po’, ma poi decise di lasciar perdere. Era una situazione ancora troppo intricata per metterla a fuoco con chiarezza. Chi sapeva che cosa sarebbe successo da quel momento alla fine dell’estate? Potevano anche presentarsi nuove strade per arrivare al matrimonio e conquistare così quella che adesso sembrava una vetta irraggiungibile. Nel frattempo, contava di procedere nel più semplice dei modi: un passo alla volta e assicurandosi di avere consolidato bene il terreno prima di muovere il passo successivo. Con un sospiro tornò a concentrarsi sul fascicolo, visto che non poteva permettersi di perdere la mattinata cosi. Prese la penna e scrisse alcuni appunti, ma poi gettò tutto di lato. Non poteva evitare di pensare a lei. Borbottando un’imprecazione, si alzò e uscì dalla biblioteca. Dieci minuti dopo era in sella ad Atlas e galoppava verso Bramshaw House. Sapeva bene che il giorno del ballo era il peggiore per far visita a Caroline, immersa senza dubbio in lunghi elenchi di ospiti da sistemare. Se avesse avuto un minimo di buonsenso sarebbe rimasto a casa, seguendo il suo piano e facendosi vedere solo in serata. E invece, eccolo

Michael trascorse il resto della mattina a Bramshaw House rendendosi, per stessa ammissione di Caroline, decisamente utile. Non fece nulla per distrarla dai suoi compiti; l’unico momento in cui lasciò trasparire il suo interesse fu in terrazza, quando venne servito un piccolo rinfresco e lei gli porse il vassoio dicendo: — Serviti pure. Il suo sguardo andò subito al suo seno, per poi scivolarle lungo il corpo come una calda carezza. — Puoi contarci — le disse sorridendo. — Mi servirò non appena possibile. Lei fece spallucce, naturalmente, ma non poté evitare di dirsi che da buon politico, Michael era un maestro di ambiguità. “Non appena possibile.” E quando sarebbe stato? Per tutto il giorno quella domanda continuò a tornarle in mente e verso sera, quando sedeva davanti allo specchio provando il delicato diadema in filigrana da posare sui capelli, si accorse di essere non solo curiosa, ma trepidante come una fanciulla prima del debutto, persino ansiosa per quanto si sentiva i nervi tesi. Alzandosi con un sospiro, si stirò con le mani l’abito di seta écru che aveva scelto e studiò per l’ultima volta come esaltava la sua figura e i riflessi castani dei capelli, quindi sistemò la collana in modo che il pendente di topazio si fermasse appena sopra la scollatura e sistemò gli orecchini e i braccialetti. Poi, soddisfatta almeno in parte del suo aspetto, uscì dalla stanza e si avviò di buon passo verso le scale. Catten attendeva impettito presso la porta. Quando la vide scendere, lisciò l’elegante giacca nera e disse: — Devo suonare il gong, milady? — Sì, per favore. Che il ballo di mezza estate abbia inizio! — esclamo con un sorriso, avviandosi con passi leggeri verso il salotto ancora vuoto. Tra i pochi ospiti già presenti c’era Michael, intento a conversare con Geoffrey accanto al camino. Entrambi si voltarono quando lei fece il suo ingresso. — Mia cara, sei davvero elegante — la salutò suo fratello stringendole la mano con affetto. Caro sorrise compiaciuta, ma la sua attenzione andava solo a Michael, bello come il peccato nel suo completo scuro. L’aveva già visto molte volte in abito da sera, ma adesso la stava guardando senza celare la sua ammirazione, conscio che anche lei gradiva molto ciò che vedeva. La giacca nera esaltava le sue spalle larghe e il suo ampio torace, creando un piacevole contrasto con la candida camicia e la cravatta color avorio, mentre i pantaloni ugualmente neri rivelavano tutta la forza delle sue lunghe gambe. Sembrava torreggiare su di lei anche più del solito, facendola sentire particolarmente delicata, femminile, vulnerabile. Geoffrey si schiarì la voce, borbottò qualcosa e li lasciò; i loro sguardi si incontrarono, per poi restare incatenati. Lei sorrise. — Ebbene? Anche tu mi trovi elegante? La sua fronte si corrugò leggermente, ma i suoi occhi restarono fissi su di lei. — No. Ti trovo incantevole. Conferì a quella parola un peso che andava ben oltre il suo significato e come per magia lei si sentì davvero incantevole, tanto luminosa, affascinante e desiderabile quanto il suo tono lasciava intendere. — Grazie — rispose, sbattendo le lunghe ciglia. Poi tirò un corroborante respiro e si voltò verso la porta, conscia della sua grande e improvvisa sicurezza. — Purtroppo devo lasciarti per accogliere i miei ospiti. Lui le offrì il braccio. — Perché non mi presenti agli invitati che ancora non conosco? Sorpresa da quella richiesta, lo guardò perplessa ricordando la decisione con cui aveva giurato di non fare piaceri del genere a nessun uomo. Le prime carrozze stavano arrivando; gli ospiti sarebbero entrati presto. Farsi vedere accanto alla porta insieme a lui significava... Nella migliore delle ipotesi, significava che Michael aveva assunto una posizione speciale per lei. E in effetti era vero. Michael era una persona del tutto speciale, più di una semplice conoscenza, persino più di un amico. Annuendo piano, posò la mano sul suo braccio e lasciò che la conducesse verso la porta. Aveva promesso di non farle pressioni per convincerla a sposarlo e si fidava di lui. Inoltre gli invitati alla cena erano tutti diplomatici, quindi con scarse conoscenze nel ton. E anche se qualcuno lì o a Londra avesse cominciato a sospettare qualcosa... ebbene, non le importava nulla. Anzi, l’idea di condividere ancora con lui quei momenti di fulgida passione la riempiva di un’eccitazione che sconfinava nella gioia. Ferdinando fu uno dei primi ad arrivare. Lanciò un’occhiata a Michael e la sua irritazione fu palpabile, ma altri ospiti lo seguivano e dovette proseguire. Cinque minuti dopo conversava amabilmente nel bel mezzo del salone, sempre più affollato a mano a mano che il flusso d’invitati diventava incessante. Alcuni avrebbero trascorso la notte a Bramshaw House e quindi bisognava far scaricare il loro bagaglio; Catten aveva già ricevuto le sue istruzioni, ma lei si sentì comunque obbligata a controllare. Di conseguenza non ebbe un attimo di tregua, ma grazie a Michael riuscì a gestire tutto a meraviglia. Conosceva quell’ambiente molto meglio di Geoffrey e sapeva per istinto come mettere la gente a proprio agio e come gestire le situazioni imbarazzanti. Insieme formavano una splendida coppia: un pensiero che avrebbe dovuto spaventarla, soprattutto perché se ne rendevano conto tutti e due, ma stranamente non era il timore a dominare, bensì la soddisfazione. Ogni sguardo di apprezzamento, ogni commento sussurrato, la facevano sentire più sicura. Non aveva tempo per rimuginarci troppo. La cena fu un vero successo, poi gli ospiti tornarono nel salone, dove ebbero tutto il tempo di osservare i preziosi arredi, poi di uscire in terrazza ad ammirare il parco illuminato da numerose lanterne prima che li raggiungessero gli invitati al ballo. Tutto procedeva a meraviglia quando un nuovo flusso di ospiti riprese ad arrivare. Michael tornò accanto a Caroline e Geoffrey si unì a loro. Lei gli lanciò un’occhiata, ma non fece commenti e si limitò a salutare i nuovi arrivati, assicurandosi che Michael e Geoffrey avessero il tempo di salutarli a loro volta e di scambiare qualche parola. Anche stavolta nessuno batté ciglio. Erano possidenti e personalità locali e per loro era normale salutare prima la padrona di casa, poi il nuovo deputato della contea e quindi l’uomo che sedeva in Parlamento prima di lui. Quando il flusso d’invitati terminò, Michael le sfiorò il braccio e indicò con un cenno la delegazione russa, poi si allontanò pigramente per salutare con un cenno il generale Orlov. Era deciso ad aiutare Caro e tenere sotto controllo la delegazione più turbolenta sembrava un ottimo sistema per guadagnarsi il suo apprezzamento. Visto ciò che aveva in mente per la seconda parte della serata, si trattava di un vantaggio per nulla trascurabile. Intanto Caroline danzava, visto che l’orchestra aveva cominciato a suonare e lei venne sommersa dagli inviti. Michael non la perse di vista un solo istante, dato che era più alto della maggior parte dei presenti e la preziosa filigrana d’oro che lei portava tra i capelli era inconfondibile. Se Caro non si fermava un solo istante, Ferdinando era appoggiato di spalle alla parete ormai da un po’. Anche lui la teneva d’occhio, probabilmente in attesa del momento buono per chiederle un ballo. Ma purtroppo bisognava aspettare parecchio: presa com’era dai suoi doveri di padrona di casa, perennemente circondata da gente, lei risultava semplicemente inavvicinabile. Gli augurò mentalmente buona fortuna e si voltò, ma come sospettava, quando lo guardò di nuovo cinque minuti dopo lo vide ancora lì, più imbronciato che mai. L’unico neo di quella tattica consisteva nel fatto che non offriva alcuna garanzia che fosse lui a ottenere il primo valzer. Come immaginava, l’orchestra si era dedicata a scaldare l’atmosfera con qualche ballo campestre. Sapeva che Caro aveva deciso di far precedere il rinfresco da un valzer in piena regola e lanciando una rapida occhiata alla pendola si congedò dai russi, avvicinandosi al palco dell’orchestra. Una gentile richiesta accompagnata da qualche ghinea gli facilitò notevolmente il compito, permettendogli di trovarsi al posto giusto quando le prime note echeggiarono nel salone tra l’entusiasmo degli ospiti. — Mi concedete questo ballo, milady? — scherzò, producendosi in un buffo inchino. Caroline sorrise all’elegante dama con cui stava parlando, che lo guardò divertita a sua volta. — Ma certo — disse ridendo e porgendogli la mano. Lui la condusse sulla pista da ballo, la prese tra le braccia e cominciarono a volteggiare. La guardò in volto, cercò i suoi occhi azzurro argento e si ritrovò intrappolato dall’intensità del suo sguardo. Lei gli sorrise con sicurezza, ma mentre volteggiavano con eleganza il loro sorriso svanì, insieme alla consapevolezza delle altre coppie attorno a loro. Bastò studiarla un attimo per capire che pensavano la stessa cosa. Nonostante si conoscessero da anni e frequentassero gli stessi ambienti, quella era la prima volta che danzavano il valzer insieme. Caro sbatté le ciglia; lui tornò a sorridere. — L’ultima volta era una quadriglia. Lei annuì. — Nel salone di lady Arbuthnot. Questo non riusciva a ricordarlo. Sapeva solo che quel momento era diverso da tutti gli altri: non era solo il valzer, il fatto che entrambi lo danzassero alla perfezione, il modo in cui volteggiavano senza sforzo tra le coppie. C’era qualcosa di più profondo che li spingeva a muoversi all’unisono, rendendoli più attenti e consapevoli di ciò che faceva il compagno e che li portava, nonostante la loro educazione, a escludere gli altri. Caro sentì la magia di quel momento, sapeva che la provava anche Michael e poté solo meravigliarsi. Finora non si era mai ritrovata così lontana dal mondo, gli occhi chiusi, le orecchie tappate, i sensi concentrati esclusivamente su di lui. Era prigioniera, ma di sua spontanea volontà. I nervi le vibravano di fremente eccitazione, la pelle formicolava per la sua vicinanza e Caro assaporava deliziata l’aura di forza che l’avvolgeva senza intrappolarla, ma sostenendola con la promessa delle sensuali delizie che lei bramava. Solo alla fine del valzer la sua mente riprese a funzionare. E anche quella di Michael, almeno a giudicare dal suo sguardo e dalla riluttanza con cui accennò a fermarsi. Il bozzolo che li avvolgeva si dissolse e il chiacchierio del salone li raggiunse, una babele di voci indistinte su cui dominava quella di Catten che annunciava il rinfresco in terrazza. Gli ospiti cominciarono a uscire, inoltrandosi con ammirati commenti nella tiepida notte d’estate. Lasciando lei e Michael sul lato opposto del salone, vicini alla porta principale. Lui si accertò con una rapida occhiata che nessuno li stesse osservando, poi si sporse in avanti e sussurrò, stringendole leggermente la mano: — Andiamo. É il nostro momento. Lei sgranò gli occhi, apri la bocca, ma le fu necessario un lungo istante prima di parlare. — Adesso? — chiese allarmata. — Sì. Adesso. — Ma... non possiamo! — disse Caroline lanciando un’occhiata agli ospiti che uscivano. Il modo in cui Michael la guardò le fece impazzire letteralmente il cuore. — Possiamo? — chiese cauta, umettandosi le labbra. Il suo sorriso era quello del predatore. — Se vuoi scoprirlo, vieni con me. Tenendola per mano, la condusse su per le scale fino al primo piano. Nessuno li vide, dato che gli ospiti erano in terrazza a godersi il rinfresco e i domestici facevano la spola tra la cucina e il parco. Un attimo più tardi raggiunsero il salottino in fondo al corridoio; era rimasto chiuso per anni, ma Geoffrey l’aveva fatto dipingere di recente. Michael chiuse la porta, mentre lei lasciava correre lo sguardo nella morbida penombra della notte soffermandosi sulle poltrone, lo scrittoio e il tavolino su cui troneggiava uno splendido vaso di gigli dall’intenso profumo. Poi, con un sospiro, guardò il sofà ampio, comodo, perfetto per un incontro clandestino. Si voltò verso di lui e nel silenzio più assoluto si abbandonarono una nelle braccia dell’altro, baciandosi con ardore, immergendosi all’istante nella danza delle loro lingue e nell’ottenebrante contatto tra i loro corpi. Michael inclinò la testa e il bacio si fece famelico; lei gli infilò le dita tra i capelli e rispose con tutta la passione che le riempiva il cuore, catturata da quel ritmo che le faceva vibrare tutti i nervi proiettandola in un mare di delizia. Quanto intossicante poteva rivelarsi la semplice intimità di un bacio! In vita sua, non aveva mai pensato che potesse essere cosi. Sensazioni travolgenti spazzarono via gli ultimi barlumi di controllo, liberando il desiderio, l’ardore, la naturale bramosia che provavano uno per l’altra. Quella sera, finalmente, nulla sembrava in grado di frapporsi alla primordiale natura del loro desiderio. Caroline esultava, visto che da dieci lunghi anni cercava quell’ondata di limpida passione; avvolta dalle sue braccia e dal suo intenso calore, l’assaporò con tutta se stessa e annaspò protestando quando lui si tiro indietro. Sospirò soddisfatta quando sentì le sue dita slacciarle il primo bottone del corpetto. — Abbi pazienza — le sussurrò Michael. — Dobbiamo togliere il vestito. Visto ciò che ci aspetta di sotto, è meglio evitare di presentarsi con un abito da sera stropicciato. Cosa li aspettava di sotto? Ah, già! Aveva un salone pieno di ospiti da cui tornare. Tirò un tremulo respiro, ma il modo in cui la guardò mentre le abbassava il vestito fino ai fianchi per poi lasciarlo cadere ai suoi piedi soffocò ogni protesta. Impossibile non notare il desiderio che gli riempiva gli occhi quando il suo sguardo scivolò su di lei come una calda carezza, soffermandosi sui capezzoli induriti che spuntavano dalla sottoveste, sulla pelle liscia delle cosce sopra le giarrettiere, sulle calze di seta che le velavano le gambe. Una bramosia profonda e contagiosa, che le strappò un sospiro stringendo ancora un poco la morsa che le impediva di pensare. Michael contemplò quella meraviglia, il suo corpo perfetto, le sue curve sensuali, il triangolo che aveva tra le gambe coperto appena dalla sottile biancheria; deglutendo, tornò a guardarla in volto. — Perché non mi eviti una sofferenza e ti togli tutto? — chiese, per poi aggiungere davanti al suo sguardo perplesso: — Se lo facessi io, avrei paura di strapparla. Per un attimo la realtà, la prudenza, persino il pudore si intromisero nella sua mente, ma lei li scacciò con decisione. Senza dubbio Michael la riteneva molto più esperta di quanto in realtà non fosse; una convinzione che doveva sparire presto, ma lei era pronta a seguirlo, a imparare, a lasciarsi condurre fino alla fine sulla strada cercata per anni. L’unica cosa che la sorprendeva era la facilità con cui accettava la sua guida. Sotto il suo sguardo bramoso sciolse il nodo che chiudeva il sottile indumento, si tolse i gioielli, abbassò le spalline e la sottoveste raggiunse l’abito ai suoi piedi. Una vampata le corse da capo a piedi per la sensazione dell’aria fresca sulla pelle. I loro corpi distavano solo pochi centimetri; lei avvertì la tensione che lo prese, la sentì crescere quando le posò una mano sul fianco nudo, ma con uno sforzo lo fermò. — Aspetta. Lui si fermò di colpo. Per un attimo la testa le girò. Il senso di trionfo che la pervase alla constatazione che bastava una semplice parola per fermarlo, per bloccare l’avanzata di quel corpo muscoloso, possente, vibrante di mascolina potenza, era incredibile. Michael attendeva il suo permesso senza battere ciglio nonostante fremesse di desiderio per lei. Velocemente si chinò, raccolse il vestito e la sottoveste e li posò ordinatamente su una poltrona, poi tese una gamba e fece per slacciare la giarrettiera. — No. Lasciale. Quell’ordine imperioso la bloccò dov’era. Si alzò e si voltò verso di lui, sprofondando nel suo abbraccio. Le sue mani l’accarezzarono e la toccarono, scivolando sulla pelle nuda per poi fermarsi sulle natiche mentre chinava la testa per una nuova, ardente invasione con la lingua che le tolse ogni capacità di ragionare, colmandola d’insaziabile desiderio. In un attimo, precipitarono insieme nel vortice della passione. Un piacere inaudito la pervase quando lui prese a toccarla intimamente, rivelando tutto il suo famelico appetito. Ma in lui l’autocontrollo c’era ancora: il suo tocco era fermo, urgente e vorace, ma sempre molto esperto e persino rispettoso nel prendersi ciò che lei gli offriva tra gemiti e sospiri. E in effetti gli stava offrendo il suo corpo con tanta passione, con tanta urgenza da stupire persino sé stessa per l’abbandono e la sensualità con cui rispondeva ai suoi assalti ardenti. Peccato solo che lui fosse vestito: voleva sentire la sua pelle nuda su di se, il suo membro caldo, pulsante, duro come roccia tra le gambe. Un bisogno che crebbe a dismisura, fino a diventare un tormento vero e proprio. Ansimando, ritirò le mani che gli stringevano la nuca e le infilò tra la camicia e la giacca, spingendola un po’ indietro. — Tu sei vestito! — protestò Michael si allontanò un po’ e la guardò — Mi toglierò la giacca, ma non posso spogliarmi — rispose quasi con frenesia, sfilandosi la giacca e gettandola sopra gli altri vestiti. — Perderemmo tempo prezioso! — Ma... Un bacio languido e bollente le impedì di continuare. — Non stasera, mia dolce Caro. — Cosa? — Zitta! Hai ospiti di sotto, ricordi? Pensa a stasera come alla seconda portata del nostro sensuale banchetto. “Il nostro sensuale banchetto.” L’idea aveva un suo fascino, non poteva negarlo. Gli posò le mani sulle spalle, sentendo sotto le dita i muscoli tesi che si muovevano mentre lui riprendeva ad accarezzarle dolcemente la schiena. Le sue labbra tornarono a riempirla di baci tentatori, scendendo lentamente dalla tempia al collo, poi più giù fino alla scapola. — Sei la mia amante, ricordi? Stamani mi hai invitato a servirmi e io lo sto facendo. Dita forti la strinsero all’altezza delle costole. I suoi pollici presero a tormentarle i capezzoli duri come sassi. — Quindi non protestare, sdraiati sul sofà e limitati a gustare quello che farò. Non aveva altra scelta che obbedire, qualunque cosa lui volesse farle. Per quanto inesperta aveva qualche idea e per questo era ansiosa di seguirlo, ma prima lo baciò con un desiderio primordiale facendogli capire che non avrebbe più posto alcun ostacolo, né adottato scuse per fuggire. Michael se ne accorse dopo il bacio, quando lei accennò a sedersi trascinandolo con se per poi sdraiarsi contro la spalliera e fargli posto sorridendo, offrendogli il suo corpo nudo perché ne facesse ciò che più gradiva. Le intime carezze ripresero all’istante; il trasporto con cui lei lo seguiva lo riempì non tanto di trionfo, quanto di una profonda e luminosa gratitudine. Tuttavia, mentre la esplorava in modo sempre più completo si accorse di dover mantenere a ogni costo il suo autocontrollo. Caroline lo coinvolgeva anima e corpo, catturandogli i sensi come nessuna donna in passato, suscitando un desiderio che dominava ogni pensiero. Riusciva ancora a tenere a freno la lussuria, ma se lei si fosse spinta troppo oltre... Tutto sommato la cosa più sicura era portarla subito all’estasi. Un compito a cui si dedicò immediatamente, posando una mano sul suo ventre e ponendo fine al bacio per poi chinare la testa e posare la bocca prima su un seno e poi sull’altro. Caro gemette e si inarcò, poi gridò di gioia quando lui scivolò con un dito tra le umide pieghe del suo sesso, stimolando il piccolo bottone del piacere, sondando la calda apertura, entrando e uscendo con deliberata, lasciva lentezza. Trattenersi dal possederla in quel momento gli costò uno sforzo immane. Il suo profumo inebriante gli impediva di pensare, il sangue gli ribolliva nelle vene, il membro pulsava tanto da dolergli. Se non faceva subito qualcosa, la passione avrebbe presto travolto anche lui. Appellandosi agli ultimi scampoli di volontà, la baciò dal seno all’ombelico, stuzzicando con la lingua la dolce cavità. Poi, quando il suo ansimare divenne ancora più intenso, le allargò le gambe e scese ancora, affondando con la testa tra le cosce. La sentì sobbalzare, tendersi per la sorpresa e poi fermarsi, ma quando posò le labbra sulle pieghe ardenti lei gridò, affondandogli le dita tra i capelli. Sorridendo dentro di sé, si immerse nel suo profumo, nel suo sapore un po’ acidulo, nella sua carne umida e pulsante, deciso a trarre il meglio da quel banchetto. Saziando intanto l’appetito a lungo represso della sua dolce Caroline. Caro chiuse gli occhi, si tenne forte a lui e si abbandonò a quel marasma di violente sensazioni che spazzarono subito via ogni sorpresa, protesta e pensiero razionale. Non riusciva a crederci, non aveva mai immaginato che potesse esistere un piacere così intenso, una serie di sensazioni tanto ottenebranti da proiettarla d’incanto in un mare di passione. Michael sembrava deciso a darle tutto il piacere che lei riusciva a concepire; ogni possessiva carezza della lingua l’avvicinava al ciglio di un baratro di cui aveva solo immaginato l’esistenza, senza mai gettarvi neppure un’occhiata. Non aveva altra scelta che farsi trasportare dalla corrente, sempre più impetuosa man mano che lui leccava, succhiava, sondava, sollevando onde di passione che la proiettavano sempre in alto. Il calore crebbe, fino a diventare una fornace che ardeva incessante dentro di lei. I muscoli si tesero, i nervi cominciarono a vibrare, respirare si fece impossibile mentre lui continuava quella dolce tortura fino a penetrarla con la lingua... Un’esplosione di luce, di colori, di abbaglianti sensazioni la scosse da capo a piedi, dandole un piacere così intenso e pervasivo da toglierle anche il poco fiato che le restava. Per un attimo non riuscì a respirare; poi una gioia senza pari la riempì, attenuando lo choc della prima ondata e proiettandola in un mare di dolci sensazioni che sembrò durare all’infinito. Aprì gli occhi perché lui si mosse, ma avrebbe desiderato tenerli chiusi ancora a lungo. Sdraiato accanto a lei, Michael la guardava con la testa appoggiata alla mano aperta e il gomito piegato sul sofà. Sorridendo, si sporse in avanti e le sfiorò teneramente le labbra rosse e gonfie per i baci. Lei tese le mani, cercando invano di slacciargli i pantaloni. — E tu? — protestò Michael la guardò negli occhi. Il suo sorriso si allargò, ma lo sforzo che gli costava la rinuncia era evidente. — Io mi accontenterò del piacere che ti ho dato, almeno per stasera. — Perché? — obiettò Caroline, sgranando gli occhi. — Perché il rinfresco sarà quasi finito e qualcuno potrebbe anche notare la nostra prolungata assenza. Caroline gemette. Si sentiva deliziosamente appagata, ma anche stanca oltre ogni limite. L’idea di rivestirsi, scendere, comportarsi come se nulla fosse successo... sapeva di doverlo fare, ma non poté evitare un profondo fastidio a quel pensiero. Ridacchiando, lui si alzò, prese la sottoveste e gliela porse. — Avanti, non fare storie. Dobbiamo farci trovare nel salone quando gli ospiti rientreranno. Approfondiremo il nostro piacevole discorso un’altra volta. Si alzò sbuffando, vestendosi in un attimo per poi rimettersi il diadema e la collana. Poi lo guardò negli occhi, ponendogli l’unica domanda logica a quel punto. — Quando? Lui rise, scosse la testa e la prese per mano, dandole un bacio sulla tempia. — Quando avremo almeno un paio d’ore tutte per noi.

Capitolo 12

Per limitare i rischi decisero di usare la scala della servitù, in modo da rientrare nel salone da uno degli ingressi secondari. Mano nella mano scesero in silenzio, ma il rumore di una porta che si apriva a pianterreno li spinse ad addossarsi velocemente alla parete. Ferdinando uscì con cautela dallo studio di Geoffrey, si fermò sotto di loro e si guardò attorno, poi si avviò verso il salone. Anche la biblioteca dava su quel corridoio: indubbiamente il portoghese l’aveva già perquisita, sfruttando al meglio l’interruzione offerta dal buffet. Come loro, del resto. Un attimo più tardi ripresero a scendere, oltrepassarono lo studio e si trovavano nei pressi della biblioteca quando la porta si aprì. Edward si affacciò, li vide e aggrottò la fronte, ma poi sorrise. — A quanto pare, l’intrusione a Sutcliffe Hall non ha dato frutti. — Direi di no — commentò Michael, evitando di accampare scuse per la loro presenza in corridoio. Edward sapeva benissimo dell’esistenza delle scale. — Dove ha frugato? — Un po’ dappertutto, ma principalmente tra i libri. Ne ha sfogliati parecchi, come se cercasse una lettera nascosta tra le pagine. Michael strinse le labbra in una smorfia. — Una lettera di Camden. — Bene. Adesso sa che qui non c’è — sbuffò Caro. — Chissà cosa vuol fare a questo punto — si chiese Michael pensieroso. — Se vogliamo capire cosa cerca, dobbiamo prevenire le sue mosse. Edward annuì. — Purtroppo non è facile. Servirebbe un piano di battaglia. Su questo erano tutti d’accordo, ma la questione andava rimandata a tempi migliori. In ogni caso la presenza di Edward rendeva inutili le precauzioni e, conversando amabilmente, rientrarono nel salone proprio mentre gli ospiti cominciavano a tornare. Caro si allontanò per accertarsi che tutto fosse andato bene; Michael ed Edward restarono sulla porta, notando Ferdinando entrare poco dopo dalla terrazza a braccetto di lady Verolstadt. — Un abile furfante, il nostro amico — commentò Michael. — Già. Sarà bene tenerlo d’occhio tutto il tempo — dichiarò Edward cupamente. Lui annuì, ma poi aggrottò la fronte vedendo il generale Kleber discutere animatamente con uno degli addetti all’ambasciata russa. Tra russi e prussiani la tensione era alle stelle: meglio intervenire subito. — Pensateci voi, amico mio — rispose, indicandogli la scena con un cenno. — Io devo evitare che il salone di Geoffrey si trasformi in un campo di battaglia. E con queste parole si avviò spedito, salutando il generale con il suo miglior sorriso. Il ballo era stato un successo, ora ci sarebbe stata la festa della parrocchia. Mentre consumava la colazione con un piccolo esercito di ospiti, Caroline ringraziò il cielo per avere mandato un’altra splendida giornata. Lasciò a tutti il tempo di prepararsi e verso le undici una processione di eleganti dame e di gentiluomini vestiti di scuro si avviò con calma verso il centro del paese. Da sempre la festa si svolgeva nel prato dietro la chiesa, ampio a sufficienza e dal terreno abbastanza regolare. La foresta lo cingeva su due lati, mentre sulla destra c’era uno spiazzo erboso molto più piccolo in cui i fedeli lasciavano i calessi durante le funzioni religiose. Quel giorno era anche sorvegliato: dopo la recente aggressione subita dalla signorina Trice, Muriel aveva pensato bene di sistemarvi i suoi stallieri per scoraggiare gli eventuali malintenzionati. La festa vera e propria sarebbe cominciata dopo pranzo; la mattina era invece riservata al mercatino e quando arrivarono alla chiesa, gli ospiti si immersero nell’allegra atmosfera delle bancarelle. Caro si fermò a chiacchierare con la signora Henry e con la signorina Ellerton, tenendo però d’occhio la situazione. Presto constatò che i suoi timori erano infondati. Tutti gli ospiti, senza alcuna eccezione, sembravano gradire molto quell’insolita partecipazione alla tranquilla esistenza di un piccolo villaggio inglese. Ebbero successo i prodotti artigianali e i quadri, ma soprattutto le marmellate e i dolci. Lady Kleber e suo marito conversavano piacevolmente con il falegname, ammirarono i suoi mobili intarsiati e ne acquistarono uno per la loro casa. Non molto dopo arrivarono le carrozze degli invitati che avevano pernottato a casa di Michael, l’ambasciatore di Svezia Verolstadt con la famiglia e i funzionari dell’ambasciata polacca. Caroline lo guardò mentre li accompagnava nella radura, indicando le bancarelle e presentando loro le dame del circolo. Le figlie dei Verolstadt gli sorrisero, poi si avviarono con i parasole aperti dietro i genitori. Anche i polacchi si dispersero; Caro si aspettava di vederlo allontanarsi con loro, ma, sorprendendola, lui restò fermo dov’era e la guardò con il sorriso sulle labbra. Una calda sensazione l’avvolse da capo a piedi; Michael sapeva di trovarla là, ma il modo in cui la guardava era diverso dal solito, più intenso e promettente. Quando lo vide avvicinarsi gli andò incontro, ma poi si accigliò quando lui le prese la mano e le sfiorò le nocche con un bacio sensuale. — Non farlo — l’ammonì sentendosi arrossire. Il suo sorriso si allargò. — Perché no? — le chiese, poi la prese a braccetto e si girò verso una bancarella. — Sei deliziosa quando arrossisci — sussurrò. Deliziosa. Si aspettava di sentirlo usare quella parola. Per vendicarsi lo obbligò a comprare due bottiglie del vino di sambuco della signora Crabthorpe, poi si aggirò con lui nel mercatino. Fu davvero divertente: Michael parlava, assaggiava tutto ciò che gli veniva offerto e di quando in quando comprava qualcosa, anche se non necessariamente utile. Comprò persino due centrini dalla signorina Ellerton, che arrossì ancora più di lei. A mezzogiorno i ragazzi del paese cominciarono a sistemare i lunghi tavoli per il pranzo, presto traboccanti di pentole, piatti e ciotole con ogni soda di specialità locale. Anche stavolta, Caro constatò che i suoi ospiti gradivano molto quell’atmosfera informale. Tenendo in mano la sua ciotola continuò ad aggirarsi tra i vari gruppi accanto a Michael, liberato dai suoi acquisti grazie alla signora Entwhistle e alla sua capace borsa. Infine arrivò il momento di aprire ufficialmente la festa. Con una punta di malizia, Muriel chiese a Michael di conferire un’aura formale all’occasione tenendo un discorso. All’inizio lui nicchiò, ma poi si fece convincere e salì su un palco improvvisato, attirando l’attenzione di tutti. Caro sorrise. Se Muriel aveva pensato di metterlo minimamente in imbarazzo, si era sbagliata di grosso. Michael era perfetto per quel ruolo, impeccabile ed elegante nella sua giacca da cavaliere di tweed verde e marrone, la cravatta bianca e i pantaloni scamosciati infilati negli stivali neri e lucidi. Una combinazione perfetta per l’immagine che doveva proiettare, cioè quella di un politico abituato a muoversi nelle alte sfere che restava però uno di loro, vicino ai problemi della sua gente e capace di apprezzare ciò che gli offriva la sua terra. Quando parlò, dopo un breve discorso del reverendo Trice e della stessa Muriel, le sue capacità oratorie furono subito chiare. Caroline era abituata a quel genere di cose, ma ciononostante restò ammirata dalla sua calma e dalla semplicità con cui applaudì allo spirito della comunità, magnificandone il lavoro e affermando che doveva servire da esempio a tutto il regno. Con poche e chiare parole risvegliò l’orgoglio dei presenti, tracciò la rotta per il futuro e alla fine sdrammatizzò l’atmosfera con qualche battuta ben congegnata. Alla fine si dichiarò onorato di aprire i festeggiamenti. Scese dal palco tra gli applausi, strinse la mano del vicario, di Muriel e di altre personalità locali e poi la raggiunse. Ormai non sapeva più se aspettarlo o temerlo, ma sorrise comunque e gli fece i suoi complimenti. — Un discorso molto azzeccato — commentò E poi, a bassa voce: — L’avevi studiato o hai parlato a braccio? Lui la guardò fingendosi sorpreso per la battuta maliziosa. — Ho improvvisato, naturalmente! — ridacchiò — É una dote di famiglia, sai? — Lo immagino — replicò Caroline con una risata, poi si voltò verso il prato. Le gare sarebbero cominciate di lì a poco: i ragazzi piantavano i paletti per il lancio dei ferri di cavallo, mentre gli adulti sistemavano i bersagli per la gara di tiro con l’arco. I giochi sarebbero andati avanti tutto il pomeriggio, poi alla sera ci sarebbe stato il ballo campestre. In attesa della prima gara, ripresero il loro lento girovagare tra gruppi di persone e bancarelle. Caro si accorse che nessuno trovava strana la continua presenza di Michael al suo fianco e si chiese perché ma poi si rese conto che anche quello rientrava nella logica delle cose. Lui non conosceva molta gente; lei invece conosceva tutti, veniva continuamente salutata e chiunque si fermasse a parlarle ne approfittava per conoscere Michael. Era come se stesse presentando ai cittadini di Bramshaw il loro deputato, ottenendo la gratitudine collettiva. Da buon politico, lui si era dimostrato un’abile canaglia nel capirlo e nel trarne vantaggio in quel modo. Meglio così, si disse ridacchiando. Ormai si stava abituando alla sua forza, alla sensazione di averlo sempre accanto. Tuttavia, quel giorno c’era qualcosa di molto sottile nelle sue attenzioni, come se avesse deciso di dedicarsi solo a lei e al suo divertimento, sottraendola con abilità alle chiacchiere delle persone più insistenti, facendo proposte, trovando sempre il modo di distrarla e farla ridere. Un altro uomo, per esempio Ferdinando, l’avrebbe fatto pesare in qualche modo, pensando alla successiva ricompensa. Michael invece non sembrava neppure accorgersene, come se volesse solo prendersi cura di lei, regalarle uno stupendo pomeriggio non perché doveva, ma semplicemente per istinto e perché gli faceva piacere. La signora Carter si avvicinò per salutarli e ringraziare Michael per avere assunto il figlio come maggiordomo. Lui si schermì, ringraziò e lodò apertamente il lavoro del ragazzo, attirandosi una volta di più la simpatia di tutti. Ma non appena l’anziana donna li lasciò, Michael catturò il suo sguardo e le indicò con un cenno il lungo tavolo del pranzo. O meglio, due uomini nei pressi che parlavano fittamente tra loro. — Non sembra intenzionato a demordere, il nostro Ferdinando. Lei seguì il suo sguardo e vide che l’interlocutore del portoghese era George Sutcliffe. — Direi proprio di no — rispose, abbozzando un sorriso. — Ma conoscendo George, penso che andrà incontro a un’altra feroce delusione. Michael aggrottò la fronte. — Probabilmente sì — ammise, lanciandole un’occhiata. — Che ne pensi, andiamo a salvarlo? Lei rise. — Chi? George o Ferdinando? — chiese, sussurrandogli subito dopo: — Per me, possiamo tranquillamente lasciarli ai loro discorsi. Non aveva alcuna voglia di guastare quegli splendidi momenti ritrovandosi Ferdinando tra i piedi. Già sapeva quanto acido poteva dimostrarsi e vista la continua presenza di Michael accanto a lei, un velato battibecco era il minimo che poteva aspettarsi. Ignorarlo era il modo migliore per evitare musi lunghi e smorfie di disprezzo. Michael la pensava evidentemente allo stesso modo, perché guardò i bersagli del tiro con l’arco, estrasse l’orologio da taschino e disse: — A che ora comincia la gara? — Di solito alle due. — Quindi non manca molto — concluse lui. — Vogliamo dare un’occhiata? — Con piacere — accettò Caroline prendendolo a braccetto e avviandosi sorridente verso il folto gruppo di arcieri. Si sentiva radiosa come non mai; molti uomini avevano provato a conquistarla facendole mirabolanti promesse, ma il semplice piacere di un pomeriggio trascorso con qualcuno che teneva a lei la riempiva di felicita. Purtroppo l’inizio della gara era ancora lontano, dato che quando raggiunsero gli arcieri li trovarono immersi in un’accesa discussione sulla distanza dei bersagli e sull’ordine dei partecipanti. Qualcuno provò anche a coinvolgerli chiedendo a Michael un parere, ma lui era troppo abile per sbilanciarsi e dicendo di essere ignorante sull’argomento, si allontanò frettolosamente con lei. La folla si era infittita e il sole splendeva alto nel cielo. Caroline agitò una mano davanti al viso, rammaricandosi di non avere portato un ventaglio. — Cerchiamo un angolino all’ombra — gli disse. — Ho bisogno di tirare il fiato. Subito lui la condusse verso il bosco, lontano dalla parte più affollata della festa. Una grande betulla dal tronco bianco e liscio che cresceva ai margini della radura offrì un delizioso riparo dalla calura pomeridiana. Caroline vi si appoggiò di spalle, socchiudendo gli occhi e alzando il mento per godersi appieno la lieve brezza. — È una giornata perfetta per la festa, non pensi? Michael si frapponeva tra lei e la folla, nascondendola dagli sguardi indiscreti. Caro gli sorrise, chiedendosi il motivo del suo improvviso silenzio. Una luce maliziosa gli riempì gli occhi chiari. — É una giornata perfetta per molte cose — mormorò, prendendola per mano. — Anzi — riprese, tirando leggermente. Lei si staccò dal tronco, finendo quasi per abbracciarlo. — Perché dopo non cerchiamo il momento giusto per... Un sibilo improvviso li fece sobbalzare. Contemplarono con occhi sgranati la freccia piantata nel tronco proprio dove Caro era appoggiata un attimo prima. Impossibile descrivere lo sconcerto, la paura, il terrore vero e proprio che segnò i loro volti in quel momento. Se lei non si fosse spostata, seguendo il suo invito, sarebbe stato un colpo mortale. Con una secca imprecazione, Michael l’avvicinò a se per farle scudo con il corpo e si guardò attorno. Bastò un’occhiata per rendersi conto che nel trambusto generale, nessuno si era accorto dell’accaduto. — Andiamo — disse imperioso, prendendola per mano e puntando verso gli arcieri. Ritrovarsi nella sicurezza della folla servì a calmarla un poco. Michael procedeva spedito lungo le bancarelle; lei tirò per fermarlo e ci riuscì. — Dev’essere stato un incidente — disse. Michael la guardò. Era pallida e scossa, ma sembrava aver superato lo choc. — Lo vedremo — rispose, stringendo i denti così forte che gli fecero male. Sapeva bene chi cercare: diplomatico o no, il caro Ferdinando faceva bene a farsi trovare con un folto gruppo di persone, altrimenti... Lo vide un attimo più tardi, intento a parlare con due possidenti locali. Impugnava un arco da competizione, ma la gara era cominciata e i giudici stavano annotando proprio il suo punteggio. Caroline sgranò comunque gli occhi. — Dio mio. Possibile che sia stato lui? — No — replicò Michael cupamente. Il suo istinto protettivo era all’erta, ma questo non gli impediva di ragionare. — Non può essere stato lui. I bersagli sono sul lato opposto e ha appena fatto i suoi tre tiri sotto gli occhi di tutti — dichiarò, voltandosi di nuovo verso la betulla. La freccia era ancora là, ben piantata nel tronco. — Inoltre, la nostra freccia ha le piume bianche mentre quelle dei contendenti hanno tutte le piume nere. Bastò guardare le faretre per confermarlo. Caro tirò un tremulo sospiro. — Allora deve per forza trattarsi di un incidente — disse con il tono di chi cercava più che altro di convincere se stessa. — Forse un monello è riuscito a impadronirsi di uno degli archi... — No — la interruppe Michael. Lei lo guardò allibita. — Non è stato un incidente, ma fare una scenata non avrebbe senso. Quella freccia non è partita dalla radura, ma dalla foresta. Chiunque l’abbia scagliata sarà sparito subito dopo nel folto degli alberi.

Caro aveva il cuore stretto in una morsa di ansia e di terrore. La festa sembrava diventata ostile, la sua allegria era sparita di colpo e il suo sorriso si faceva sempre più forzato. Voleva tornare a casa, ma non poteva. Era una delle organizzatrici e abbandonare i suoi ospiti era fuori discussione. Michael però non sembrava affatto dello stesso avviso. — Alla fine della gara ce ne andremo — le sussurrò all’orecchio. — Prepara qualche scusa, perché non voglio perderti di vista un solo istante. — Ma la nostra fuga solleverà una marea di voci e pettegolezzi — gli fece notare Caroline. — Non importa. Il misterioso arciere potrebbe riprovarci e qui siamo allo scoperto. Al diavolo i pettegolezzi — replicò Michael deciso. Lei provò a ribadire che doveva trattarsi di un incidente, ma alla fine si arrese e cominciò a salutare Muriel e le altre dame del circolo femminile dicendo che non si sentiva molto bene e che voleva approfittare del passaggio offertole da Michael, in procinto di andarsene per altri impegni. Almeno in apparenza la scusa funzionò, visto che era pallida come un lenzuolo; augurandosi che la sua posizione la mettesse al riparo dai pettegolezzi più feroci, lasciò le dame del circolo e avverti suo fratello, poi si avvicinò a Edward. — Noi ce ne andiamo — annunciò seccamente Michael, che aggiunse davanti alla sua occhiata interrogativa: — Tenete Ferdinando sotto stretta sorveglianza e cercate di capire se incontra qualcuno. Vi spiegherò tutto più tardi. — Controllate che i nostri ospiti tornino a casa senza inconvenienti — gemette Caroline. Michael annuì e, ignorando la perplessità di Edward, si affrettò verso il calesse trascinando Caro con se. Poco dopo partirono al trotto sulla strada di Bramshaw House. Ma quando vide che superavano l’incrocio, lei si voltò e disse: — Si può sapere dove mi stai portando? Michael strinse le labbra in una smorfia. Aveva dato il pomeriggio libero ai domestici e quindi il maniero era tutto per loro. Non pensava di approfittarne, a dire il vero, ma visto che dovevano andarsene, tanto valeva sfruttare l’occasione. — A casa mia — fu la secca replica. — Cosa? Ma... e se Geoffrey dovesse tornare prima del previsto? — Non succederà, vedrai. Sembrava divertirsi un mondo alla festa. Caro si torse nervosamente le mani, poi si voltò verso l’incrocio e più in generale verso Bramshaw. — Edward ed Elizabeth? — gli chiese con un filo di voce. — Ah, loro faranno bene a tacere del tutto. Scuotendo piano la testa, Caro tornò a guardare avanti. Michael aggrottò la fronte, chiedendosi se la determinazione che gli tendeva i muscoli si doveva solo a quella maledetta freccia o se c’era qualcos’altro. Apparentemente una parte di lui si stava convincendo che per proteggerla a dovere, doveva farla sua al più presto. Quello non era il primo incidente che le capitava: c’era stato anche il colpo di fionda al suo cavallo il giorno in cui l’aveva rivista dope tanto tempo e poi la strana aggressione alla signorina Trice. Un’anziana e gentile zitella di paese che, per quanto dignitosamente abbigliata, non aveva nulla che potesse far gola a un ladro. Per qualche oscuro motivo aveva sempre pensato che quei due aspettassero Caro. — Meglio evitare casa tua fino a quando i domestici non saranno di ritorno, credimi — le disse. Caroline tacque e continuò a guardare la strada. Il cuore le batteva all’impazzata, mentre una ridda di pensieri conturbanti le riempiva la mente confondendola ancora di più. La stava portando via come un cavaliere nella ballata di un menestrello, presa per mano, gettata in sella e poi rapita per approfittare di lei e costringerla a... Un pensiero davvero inquietante. Sbattendo le palpebre, tornò al presente e contemplò il massiccio profilo del maniero che si stagliava in lontananza. Michael scosse le redini per accelerare il trotto, mentre lei cercava di schiarirsi le idee. La sera prima si erano lasciati ripromettendosi di prendersi due ore tutte per loro: forse avevano forzato un po’ la situazione, ma non poteva certo dirsi intimorita. Anzi. In ogni caso, meglio fargli capire subito che non doveva diventare un’abitudine. Una dama di buonsenso avrebbe protestato. Oppure no? Nel dubbio si schiarì la voce, voltandosi per un attimo quando oltrepassarono il cancello d’ingresso alla tenuta. — Risparmia il fiato — l’anticipò Michael. Lei sobbalzò, guardandolo accigliata. — Dovrei? — Ma certo — fu la risposta sicura. Il calesse curvò; le scuderie comparvero davanti a loro. — Ne avrai bisogno, dopo. Del fiato, intendo. Caro si accigliò ancora di più, fece una smorfia e lo studiò in silenzio. Aveva un’espressione così dura da sembrare scolpita nel granito. — Tu credi? Ebbene, sappi che non puoi comportarti così, come un cavernicolo — replicò, alzando il mento con aria di disprezzo. Lui svoltò nel cortile della scuderia, tirò le redini, poi alzò il freno per bloccare il calesse. — Davvero? Stai a vedere. Con quelle parole balzò a terra, girò attorno al calesse e, prima che lei potesse protestare, le passò un braccio attorno alle spalle, l’altro sotto le ginocchia e poi la sollevò, portandola verso casa. La sua sorpresa non avrebbe potuto essere più assoluta. — Michael, mettimi giù! Anni di abitudine al comando risuonarono nella sua voce. Lui sorrise, si fermò e obbedì... solo per invaderle la bocca con un bacio devastante. E ciò che non diceva le echeggiò con chiarezza nella mente. “Adesso ti possiederò anima e corpo.” Il bacio ribadì con forza il concetto, un assalto che le fece girare la testa spegnendo all’istante ogni velleità di resistenza, colmandole le vene di un calore che sembrava lava fusa, strappandole un sospiro quando lui avanzò un poco e le fece sentire tra le cosce tutta la potenza del suo membro. Un ardore incontenibile la spinse a muovere le gambe, ritornandogli ogni carezza. Sapeva, sentiva che questo era ciò di cui aveva bisogno, la risposta giusta all’angoscia che da anni l’assillava. Michael la desiderava senza alcuna ambiguità. Se solo lei fosse riuscita a... Come se avesse sentito ciò che davvero voleva, il suo desiderio più recondito e impossibile da esprimere, Michael smise di baciarla, si chinò e la riprese in braccio, tornando a marciare verso la porta sul retro. Aggrappata alle sue spalle, si aspettava di venir posata a terra quando raggiunsero la casa, ma lui estrasse subito la chiave, aprì e attraversò la cucina e l’atrio, salì al piano di sopra e si fermò davanti alla porta in fondo al corridoio. La sua espressione era impenetrabile, decisa, risoluta. Abbassò la maniglia e Caro intravide una camera da letto ampia e soleggiata; lui chiuse la porta con un piede, poi attraversò la stanza e si fermò davanti al letto, gettandola sulle coperte. Un attimo più tardi la raggiunse, facendola rimbalzare sul materasso con il suo peso. Poi, in un silenzio carico di voluttuosa tensione, chinò la testa e cercò di nuovo le sue labbra per un altro bacio. Ardore. Si riversava da Michael direttamente su di lei, propagandosi nelle sue vene e accendendole i sensi affamati. Pian piano sprofondarono nel letto, baciandosi e toccandosi con disperata urgenza mentre lei gli cingeva la nuca con la mano per abbassarlo verso di lei. Poi gli affondò le unghie nelle spalle, aprì le dita e tirò indietro la giacca cercando freneticamente il contatto con la sua pelle nuda. Il bacio terminò per un attimo, giusto quanto bastava per permettergli di sfilarsi la giacca. Poi tornò a invaderla dolcemente con la lingua, mentre lei vagava con le dita fino a trovare la fila di bottoni che gli chiudeva il gilè. Uno a uno li slacciò, poi aprì il panciotto e posò le mani aperte sul lino della camicia, sul grande e possente torace, sui pettorali caldi e sodi. Stregato dal suo tocco, Michael si immerse nella meraviglia di quel bacio assaporandone ogni istante mentre l’accarezzava sulla schiena, sui fianchi, sulle natiche e le cosce. La camicia si aprì e dita piccole, sottili e affamate affondarono nei suoi pettorali. Riusciva appena a credere alla sensuale intensità che suscitava in lui ogni carezza, ogni ardente richiesta. Non sapeva se Caro ne fosse consapevole, ma chiedeva appagamento con ogni fibra del suo corpo e con un ultimo, faticoso pensiero razionale giurò d’accontentarla. Avrebbe fatto tutto il possibile per cancellare dieci anni di forzata castità. Lei era famelica, molto più di quanto avesse immaginato. Interrompendo il bacio con un gemito, Caro si alzò su un braccio mentre lui ne approfittava per togliersi il gilè e la camicia, restando a torso nudo. Una piccola mano si posò su di lui, spingendolo indietro sul materasso; chiudendo gli occhi, Michael si sdraiò per assaporare al meglio la febbrile urgenza del suo tocco, il modo in cui fletteva le dita sui pettorali, cercando, esplorando. Era come se fosse lei a possederlo. Un approccio a cui non era abituato, ma per ora non aveva nulla in contrario a seguirla su quella strada. Aprì gli occhi e la guardò, trovando sul suo volto delizia e meraviglia. Quella vista lo colpì, ma ciò che vide quando lei sorrise e gli catturò lo sguardo con gli occhi azzurri offuscati dal desiderio gli tolse il fiato. La cinse con un braccio e la incoraggiò a salire su di lui; Caroline sospirò e si mosse, poi chinò la testa e lo baciò Trovandolo pronto ad accoglierla, a distrarla, ad attirarla nell’intensità del bacio mentre posava le dita sul primo bottone del corpetto. Si staccarono solo per sfilare l’abito; lei lo aiutò, poi lo gettò sul pavimento insieme agli altri vestiti e mormorò soddisfatta quando lui affondò le dita nella massa disordinata dei capelli e la tirò di nuovo giù, invadendole la bocca con veemenza. Adesso che era coperta solo da una sottile sottoveste non riusciva più a tenere a freno il desiderio di toccarla, di chiudere le dita sul suo corpo voluttuoso per riempirsi le mani di morbida carne prima di possederla con tutta la forza del suo ardore. Caro mormorò qualcosa mentre lo baciava, poi trattenne il fiato quando cominciò ad accarezzarle i seni turgidi e sensibili. Il bacio si fece lascivo, umido, invitante. Lui rispose stringendole i capezzoli e la passione esplose, strappandole un gemito. Allora scese con le mani, tracciando le sue curve, stringendole le natiche, alzando l’orlo della sottoveste per posare le dita sulla nuda pelle e sentirne la sensuale morbidezza. Si crogiolò nel calore che suscitò il suo tocco, gustando ogni goccia dell’urgenza che la colse e che si diffuse con prepotenza tra loro. Deliberatamente, Caroline si mosse stuzzicando con le cosce la sua potente erezione. Lui indossava ancora i pantaloni, ma avvertì attraverso il tessuto il tenero calore delle sue gambe, poi si tese quando la sentì alzarsi un poco e muovere le natiche in una sinuosa quanto eccitante carezza. Doveva prendere ciò che gli stava offrendo o continuare quel gioco lascivo? Avevano tempo, in effetti, ma la loro urgenza non ammetteva altri rinvii. Dopo avrebbero potuto parlarsi, giocare, amarsi ancora e ancora poiché quella era solo la prima volta. Con passione esplorò ogni anfratto, vezzeggiando, stuzzicando, cercando i punti più sensibili e stimolandoli fino a quando non la sentiva gemere. Adorava farsi toccare dietro le cosce e appena sotto i seni. Centimetro dopo centimetro le alzò la sottoveste, fino a quando lei non interruppe il bacio per permettergli di sfilarla dalla testa. Per un attimo restò immobile con la sottoveste in mano a contemplare quella vista, il suo tesoro. La femminile bellezza di quel corpo era intossicante: il suo sguardo vagò sulla cosce perfette, sui seni e sui fianchi, soffermandosi sulla rosea sfumatura della pelle color avorio. Quindi lasciò cadere il sottile indumento e si alzò, rotolando sul letto e salendo su di lei per poi affondare con la lingua tra quelle labbra carnose. Era uno splendido pomeriggio estivo; la finestra era aperta e una leggera brezza rinfrescava i loro corpi accaldati. Entrambi si sentivano bruciare; Caro interruppe il bacio, aprì gli occhi e gli accarezzò dolcemente la guancia; lui voltò la testa e le baciò il palmo. Ardeva di desiderio e la passione induriva ancor di più i tratti spigolosi del suo volto. — Ti desidero — sussurrò raucamente. — Stavolta... — Sì — rispose Caro. — Stavolta sarò tua. Michael si alzò. Lei sgranò gli occhi, ma poi tirò un sospiro di sollievo quando mise mano alla cintura e la slacciò, togliendosi in un istante gli stivali, le calze e i pantaloni. Il cuore le si fermò in gola. Era splendido, pienamente eretto, maschio in modo completo: non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, dalla prova lampante del suo desiderio. Voleva tendere la mano, stringere tra le dita il membro turgido e assaporare il delicato calore di quella pelle morbida, ma Michael si sdraiò sul letto e le posò una mano sul fianco, poi abbassò la testa e chiuse le labbra su un capezzolo. Gemendo, gli passò una mano tra i capelli e lo strinse forte a se, invitandolo a prendere ciò che più gradiva. Sentì il suo corpo tendersi e il suo sesso rigido le premette tra le cosce; allora si mosse un poco e lo lasciò, abbassando la mano per accarezzarlo mentre lui banchettava sul suo seno. Conosceva ormai il suo modo di venerarla; con gioia vi si arrese, cercando in tutti i modi di trattenere un grido. Michael se ne accorse: sospese per un attimo il suo pasto e mormorò: — Puoi gridare quanto vuoi. Non ti sentirà nessuno... tranne me. Quelle parole chiarirono senza equivoci che voleva sentirla gridare di piacere. Un compito per nulla difficile, visto che tutti i suoi sensi erano avvolti dalle fiamme, dal pulsante calore che lui accendeva senza sforzo nel suo corpo. L’umido assalto riprese con vigore; lei chiuse gli occhi, strinse il membro che aveva tra le dita e poi mosse la mano, strappandogli un gemito. — Aspetta! Così mi farai morire. Dita forti le strinsero il polso, spostandole la mano. Quindi si mosse, salendo su di lei, schiacciandola nel letto, facendosi strada tra le cosce per poi inarcare la schiena e premere sulle pieghe ardenti con la punta del suo membro. Lei si ferme all’improvviso. Bloccata. Improvvisamente inerte. Apri gli occhi e lo guardò, proprio mentre Michael sospirava e inclinava la testa come se temesse quel momento. Una ridda di emozioni contrastanti la pervase mentre constatava che non era deluso, né tantomeno irritato. Quando parlò la sua voce suono calda, comprensiva, infinitamente dolce. — Non temere. Voglio darti piacere come tu lo darai a me. Un nodo le strinse la gola, mentre lacrime di gioia le riempirono gli occhi. Finalmente l’atroce domanda avrebbe trovato risposta, una chiara e inequivocabile risposta. La sua attenzione si spostò d’incanto all’umida carne che aveva tra le cosce. Sobbalzò quando lui abbassò la mano, l’accarezzò, poi l’apri al suo inesorabile possesso. La turgida punta del membro scivolò in avanti, la penetrò un poco e Caro trattenne a stento un grido, muovendo i fianchi in una silenziosa implorazione. Ogni suo nervo era teso all’inverosimile, ogni fibra del suo corpo vibrava per un’emozione così intensa da soffocarla, colmandola di timore per il baratro che si apriva sotto di lei. Aveva paura del dolore, ma ancora di più, temeva l’oceano di atroce delusione che l’avrebbe inghiottita se Michael non... L’orgasmo di Caroline chiamò quello di Michael. La seguì immediatamente sulla strada dell’estasi, spingendo come un ossesso e riempiendola del suo seme, per poi crollare su di lei con un sospiro. Sazio, appagato, felice fino al midollo.

Capitolo 13

Caroline giaceva sotto Michael ed esultava. Anche se il peso del suo corpo muscoloso la faceva sprofondare nel letto non si era mai sentita così comoda, così autenticamente felice. Così vicina a un’altra persona a livello fisico ed emotivo. Le ultime fiamme dell’estasi ancora la lambivano, mandandole fremiti di delizia in tutti i muscoli e donandole una gioia indescrivibile. Dunque era quella l’intimità: una condizione molto più profonda di quanto avesse immaginato in cui sentimenti, sensazioni e istinto si mischiavano in modo indissolubile. Per lunghi minuti si accontentarono di giacere abbracciati in silenzio, consapevoli della necessità di riposare e riordinare le idee. Ma lentamente, il timore che lui avesse intuito il suo segreto si fece strada dentro di lei. Che cosa ne pensava? L’urgenza di saperlo la spinse a cercare le parole giuste, ma poi concluse che doveva solo dirgli ciò che davvero provava. Michael aveva la testa appoggiata alla sua spalla; gentilmente gli accarezzò una guancia, per poi guardarlo con occhi pieni di felicità. — Grazie — sussurrò. Lui inspirò profondamente, solleticandole il seno con i ricci scuri del torace. — Per cosa? — rispose, baciandole la spalla. — Per avermi fatto passare i migliori momenti della mia vita? Diplomatico anche a letto. Lei piegò le labbra in un timido sorriso. — Non devi fingere. So bene di essere... Le mancarono le parole, ma si augurò che lui capisse. Michael si alzò su un gomito e la guardò negli occhi, poi le prese la mano e le sfioro le nocche con un bacio. Poi si mosse, aderendo a lei in modo da appoggiarle sulla coscia il membro ancora eretto. O meglio, il membro di nuovo eretto, si corresse Caro guardandolo confusa. — Non so quale fosse il problema di Camden, ma come puoi constatare io non ne soffro affatto — le disse con un sorriso malizioso. Già. Questo era innegabile. E per ribadire il concetto, salì sopra di lei e si sistemò tra le sue gambe. — Ricordi ciò che ho detto sulla necessità di prendersi almeno due ore? — chiese, inarcando la schiena e penetrandola con una sola, potente spinta. Caro sobbalzò per la sorpresa, poi gemette e lo strinse tra le cosce. — Sì — riuscì a dirgli. — Ebbene, ho cambiato idea. Credo che oggi ce ne vorranno almeno tre. Una promessa pienamente mantenuta: per tre ore colme di gioia e di piacere la tenne prigioniera nel suo letto, ridotto alla fine a un sensuale campo di battaglia. Quando ricominciarono per la terza volta, Michael si disse che ormai doveva aver capito che un amplesso non bastava a saziare né lui, né lei. Tuttavia, dato che aborriva la ripetitività, si premurò di variare le regole del gioco, conducendola verso nuove scoperte che l’affascinarono e la deliziarono. Avrebbe continuato fino a notte, ma purtroppo non potevano restare ancora a lungo. Tuttavia si prese un momento per pensare, visto che le cose tra loro erano cambiate con incredibile rapidità e doveva adattare di conseguenza la sua strategia. Ciò che era successo rafforzava a dismisura la decisione di sposarla. Caroline era quanto di più prezioso e desiderabile potesse trovare nella sua vita e avrebbe fatto l’impossibile per non perderla. Anche dar la caccia a un... Il ricordo di quanto era accaduto lo scosse profondamente, strappandolo dal bozzolo dorato in cui si crogiolava insieme a lei. Si alzò su un gomito e studiò il dolce profilo del suo volto, le labbra sensuali un po’ socchiuse, le lunghe mezzelune della ciglia e la curva perfetta della spalla. Era esausta e appagata: la commozione gli strinse il cuore vedendola così. Doveva proteggerla da un nemico spietato che si muoveva astutamente nell’ombra. Quel pensiero gli rese impossibile star fermo. Di colpo gettò indietro le coperte, si alzò dal letto e attraversò la stanza, fermandosi accanto alla finestra nonostante fosse nudo. Caro gemette e apri gli occhi. — Cosa c’è? — gli chiese, guardando fuori. Il sole splendeva alto nel cielo; non aveva idea di che ore fossero, ma non sembrava troppo tardi. — Dobbiamo già andare? Un lungo silenzio fece seguito a quella domanda. Caro si scosse dal torpore, guardò meglio e capì dalla cupa espressione del suo volto e dalla tensione che gli irrigidiva i muscoli che qualcosa non andava. — C’è qualche problema? — domandò preoccupata. Alla fine lui parlò — Sì. Qualcuno sta cercando di ucciderti — disse piano, più pensieroso che allarmato. Si era chiesto come avrebbe reagito e le sue supposizioni si rivelarono esatte. Lei sorrise rassicurante, ma poi aggrottò la fronte quando lui la guardò facendole subito capire che non scherzava affatto. — Ti riferisci all’incidente di oggi o c’è qualcosa che non mi hai detto? Dentro di se, Michael ringraziò il cielo per aver posato gli occhi su una donna intelligente. — Ricordi l’incidente del calesse? Non è stato casuale. — Come? — fu l’immediata replica. Caroline sedette sul letto. — Quando il mio stalliere ha esaminato il tuo cavallo ha trovato un taglio su una coscia, come se qualcuno acquattato tra i cespugli l’avesse colpito con una fionda. Lei sgranò gli occhi. — Perché non me, l’avete detto? — Perché l’abbiamo ritenuto uno scherzo di cattivo gusto fatto da qualche ragazzino e quindi era inutile allarmarti, visto che non si sarebbe ripetuto. Ma poi c’è stata l’aggressione. — Non a me, ma alla povera signorina Trice. — Sì, però eri tu la prima che doveva uscire. Però io ti ho trattenuto, insistendo per accompagnarti in calesse. É stato questo a salvarti, altrimenti ti saresti avviata da sola verso casa, al buio, senza nessuno che potesse aiutarti. Il dubbio si fece strada nella mente di Caroline; un brivido le corse lungo la schiena, spingendola a coprirsi con la trapunta. — Ma come potevano sapere che stavo per andarmene e che sarei tornata a casa a piedi? — Sei arrivata a piedi e quindi era logico che tornassi indietro a piedi. Bastava aspettarti: un gioco da ragazzi se qualcuno ti teneva d’occhio. Lei tacque, guardandolo con gli occhi sgranati. — E adesso abbiamo una freccia che si pianta con incredibile violenza nell’albero contro il quale eri appoggiata fino a un attimo prima. Non sono un arciere, ma ti garantisco che nessun monello può scagliare una freccia con tanta forza. Per quanto si sforzasse, Caroline non poteva negare la cruda realtà. La sua ultima difesa suonò quasi disperata. — Ma perché provare a uccidermi? Non c’è alcun motivo plausibile. Non ha senso, capisci? — Non ha senso per noi, ma se consideriamo i fatti dobbiamo concludere che per qualcuno ha senso, eccome — rispose Michael seccamente, aggiungendo davanti al suo silenzio: — Dobbiamo scoprire chi è. Caroline notò immediatamente quel dobbiamo. Fino a poco tempo prima l’avrebbe considerato solo un altro segno di arroganza maschile, ma adesso il suo coinvolgimento non la disturbava affatto. Ancora non credeva che qualcuno volesse ucciderla, ma Michael ne sembrava davvero convinto e se per caso aveva ragione, saperlo accanto a lei mentre affrontavano un ignoto criminale la rassicurava parecchio. Con un sospiro si alzò e raccolse da terra la sottoveste. — Va bene. Comunque sia, terrò gli occhi bene aperti. E adesso, volenti o nolenti dobbiamo tornare a Bramshaw House.

Arrivarono giusto in tempo per non farsi scoprire dai primi domestici che rientravano a piedi dalla festa. Caro si ritirò in camera per lavarsi e cambiarsi; Michael invece si servì un drink e sedette in terrazza, gustandosi l’aria tiepida del tardo pomeriggio. La casa aveva ripreso il suo ritmo normale quando, mezz’ora dopo, vide Edward, Geoffrey ed Elizabeth percorrere in calesse il viale del parco. Posò il bicchiere sul tavolo e scese le scale per andar loro incontro. — Come sta Caroline? — gli chiese subito Geoffrey. — É ancora di sopra — rispose lui. — Era spossata e siccome non c’era nessuno in casa, ho deciso di restare mentre riposava — aggiunse. Odiava mentirgli cosi, ma se le cose andavano come sperava, presto non sarebbe più stato necessario. — Il sole, senza dubbio — concluse Geoffrey scuotendo la testa. — Oggi era particolarmente forte. Avrebbe dovuto portarsi il parasole, o almeno indossare un cappellino. — Caroline è sempre stata molto avventata per queste cose — commentò Edward, lanciando un’occhiata a Michael. Anche lui odiava mentire, ma aveva deciso di tenergli la parte. Guadagnandosi una volta di più il suo apprezzamento. Geoffrey ed Elizabeth si avviarono verso la porta; Edward fece per seguirli, ma lui lo trattenne. — Ce ne siamo andati perché alla festa qualcuno ha tirato una freccia contro Caro — sussurrò. Edward sgranò gli occhi, ma poi tornò a sorridere perché gli altri erano ancora nei pressi. — Non potrebbe trattarsi di un incidente? Magari uno dei partecipanti a... — cominciò, ma poi scosse la testa. — No, impossibile — borbottò. — Pensate sia stato Ferdinando? — Non personalmente, visto che in quel momento partecipava alla gara. Ma può darsi che sia stato uno dei suoi uomini. In apparenza la freccia veniva dal prato, ma dev’essere stata per forza scoccata dalla foresta. Edward annuì, tirando un lungo respiro prima di mormorare: — L’ho tenuto d’occhio, ma non si e mai allontanato. Se davvero è stato un suo sicario, hanno preso accordi prima. — Dobbiamo sorvegliare Caroline da vicino, che le piaccia o no — affermò Michael, estraendo l’orologio da taschino. — Adesso devo andare, ma domani faremo il punto della situazione. Nel frattempo, amico mio, tenete gli occhi bene aperti.

Splendida in un abito estivo color verde mela, Caro scese le scale dopo aver consumato un’abbondante colazione in camera, per nulla sorpresa di sentire la voce profonda di Michael echeggiare nella casa. Con un sorriso sereno attraversò l’atrio, entro in salotto e si fermò sulla porta-finestra, vedendo Michael ed Edward seduti in terrazza che guardavano accigliati verso il parco. Entrambi si voltarono e Caro sentì subito il calore con cui Michael la guardò Gli rivolse un sorriso sensuale, salutò Edward, e sedette con loro. — Di cosa parlate? — Di Ferdinando — rispose Michael. — Dando per scontato che stia cercando qualcosa di speciale, ci chiedevamo se agisce per conto suo o se è stato mandato da qualcuno. Lei aggrottò la fronte. — Visto che la sua ricerca riguarda qualcosa che Camden ha lasciato, e difficile che agisca per conto suo. Lo conosceva, è vero, ma mio marito l’ha sempre trattato come un giovane ambizioso e nient’altro. Non erano in confidenza — concluse, guardando Edward. — Non siete d’accordo? Edward annuì convinto. — Nel mondo diplomatico, Ferdinando è un funzionario e basta. Un giorno potrebbe anche salire di grado, ma per ora lo vedo più come un emissario. — Va bene — affermò Michael. — Se è un emissario, per chi agisce? Caroline ed Edward si scambiarono un’occhiata, poi lei strinse pensierosa le labbra. — Certo non per un estraneo. Conoscendolo, so che rischierebbe tanto solo per la sua famiglia. Lo scandalo era assicurato se qualcuno lo avesse sorpreso a frugare nello studio e nella biblioteca di Geoffrey. Poi c’è il suo inspiegabile interesse per Camden, i tentativi di sedurmi, lo scasso a Sutcliffe Hall. I portoghesi hanno un senso dell’onore familiare molto più radicato di noi inglesi. Non metterebbe mai a rischio il buon nome dei Leponte per soldi o per fare carriera. — Già. Lo metterebbe a rischio solo per difenderne la rispettabilità, ed è questo il punto. Che cosa nascondono i Leponte? — chiese gravemente Michael. — Cosa sapete di loro? — Il conte e la contessa, cioè i suoi zii, sono gli unici che ho conosciuto a Lisbona — cominciò Edward, riflettendo. — Il duca invece rappresenta gli interessi di alcuni possidenti in Norvegia, almeno per quanto ne so. Caroline annuì. — In ogni caso, il conte e la contessa hanno una grande influenza a corte. Gli altri membri della famiglia non sono così potenti, ma loro riescono a farsi ascoltare anche dal re. E sono saliti in questi anni — aggiunse, sfiorandosi il piccolo mento come per ricordare bene. — Al mio arrivo a Lisbona, cioè dieci anni fa, erano dei perfetti sconosciuti. — Quindi è qualcosa che potrebbe danneggiare la loro posizione — commentò Michael. — Sembra probabile, anche se non ho mai sentito nulla di controverso su di loro. E in dieci anni, vi garantisco che... — disse Caro, tacendo per un attimo per poi guardarli perplessa. — Sapete una cosa? C’e un altro piccolo mistero nei Leponte. Perché il conte di Albufeira, in effetti, non è alla guida della famiglia. Quella posizione dovrebbe spettare al duca di Oporto, ma ai galà ufficiali si presentava sempre solo il conte con sua moglie. Edward parve sorpreso. — È vero. Anzi, i duchi non figuravano mai neppure tra gli invitati! — Strano per una famiglia ducale vicina addirittura al re — commento Michael. — Si direbbe che il duca o la duchessa siano caduti in disgrazia per qualche motivo. Un lungo silenzio cadde tra loro mentre valutavano questa possibilità. — Un motivo che potrebbe essere legato ai documenti che il nostro Ferdinando cerca con tanta insistenza — riprese Michael. — Camden raccoglieva ogni genere d’informazioni e ne prendeva diligentemente nota. Ma i dossier finivano sul tavolo del Foreign Office e non ho mai saputo dell’esistenza di dossier privati — chiarì subito Caroline. — Questo non significa che non esistano. In ogni caso Ferdinando non lo sa, quindi continua a cercarli — rispose Michael. — Tuttavia, ciò che vorrei capire è perché stanno cercando di ucciderti. Con sua sorpresa, la vide alzare gli occhi al cielo. — Continui a esserne convinto? — protestò, scuotendo leggermente la testa. — Anche ammettendo che abbiano provato a uccidermi, non vedo che collegamento possa esistere con i segreti dei Leponte. — Oh, un collegamento molto semplice — intervenne Edward. — Diciamo che in attesa di trovare i famosi documenti, si può eliminare un testimone scomodo. Per quanto ne sa Ferdinando, Camden potrebbe avervi raccontato tutto! Michael annuì, ma lei alzò una mano infastidita. — Sciocchezze. — Caro... — provò a insistere lui. — No! Adesso state a sentirmi, tutti e due — riprese lei sbuffando. — Non voglio più sentir parlare di tentativi di omicidio o di simili idiozie e adesso vi spiegherò perché — aggiunse, studiando un attimo il salotto. — Elizabeth potrebbe arrivare da un momento all’altro, quindi sarò breve. E non interrompetemi! Entrambi gli uomini strinsero le labbra. — Vi siete messi in testa che quei tre incidenti fossero altrettanti tentativi di omicidio, ma avete valutato i fatti? Per cominciare, solo due mi riguardavano direttamente: l’idea che quei due tagliagole abbiano scambiato la signorina Trice per me è una pura supposizione. Non ci assomigliamo affatto: anche se era buio, come potevano sbagliarsi cosi? Michael si morse la lingua per non dirle che erano entrambe alte e magre e tanto bastava per ingannare due furfanti che non l’avevano mai vista. E poi era notte, uscivano dalla stessa casa, facevano la stessa strada... — Per quanto riguarda i due incidenti che mi coinvolgono, il primo, quello del calesse, è opera di un ragazzino troppo vivace. Persino tu e Hardacre l’avete pensato! E la freccia... ebbene, per quanto odi pensarlo, dev’essere partita a qualcuno che si stava allenando e che ha preferito defilarsi. Mi è andata bene, lo ammetto, ma sono cose che possono succedere. Lui evitò di rispondere subito ed Edward tacque a sua volta. Ci volevano argomenti concreti per convincerla e dopotutto era normale che negasse con forza una cosa così inquietante. Di conseguenza, per adesso l’avrebbero tenuta d’occhio e basta; poi, una volta raccolte abbastanza prove, avrebbe riprovato ad aprirle gli occhi. — Ebbene? Non avete nulla da obiettare? Michael fece per rispondere, ma poi si alzò per salutare Elizabeth comparsa in quel momento sulla porta. Lei accettò sorridendo il suo baciamano, poi guardò Caroline ed Edward. — Stavate parlando della festa? È stata splendida, vero? — Si — rispose Caro, ammonendo con lo sguardo i suoi due interlocutori. Inutile preoccuparla con le loro assurde teorie. — Ma stavamo parlando di alcune faccende private. — Oh. Scusatemi — si schermì Elizabeth. — Non fa nulla, mia cara. Avevamo finito e adesso Edward è libero — chiarì Caroline. — Io farò una passeggiata nel parco prima di pranzo. Michael sorrise e le porse il braccio. — Ottima idea. Dopo le fatiche della festa e il giusto riposo, una passeggiata è quello che ci vuole. Vieni, ti accompagno. Con queste parole si voltò verso la scala, ignorando la sua occhiataccia. Voleva fare una passeggiata, non perdersi di nuovo con lui nei meandri della passione. Non appena scesero e si allontanarono tra i prati, pensò bene di chiarire la faccenda. — Non ho la minima intenzione di seguirti nel gazebo — gli disse. Il modo in cui Michael le sorrise le fece capire che si aspettava quell’affermazione, ma mentre camminavano tra le aiuole fiorite lei parve calmarsi. — E così, continui a pensare che vogliano uccidermi — disse con un tono che indicò solo una pacata accettazione. Michael sospirò. — So che è difficile crederci, ma io ed Edward ne siamo ragionevolmente convinti. Lei scosse la testa e riprese a camminare, guardando avanti. Michael l’affiancò subito, prendendole la mano per obbligarla a guardarlo. — Caroline, lo facciamo perché teniamo a te. Pensaci. Se per caso avessimo ragione e non prendessimo precauzioni, come ci sentiremmo se tu venissi ferita o persino... Non riusciva a dirlo. Il pensiero era troppo terribile per esprimerlo a parole. — Per questo ti terremo discretamente d’occhio. Non te ne accorgerai neppure, vedrai. Si rese conto che non era vero nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole. Se ne sarebbe accorta in ogni momento, non appena avesse posato lo sguardo su di lei. Era così terribile? Caroline intanto camminava accigliata, ringraziandolo dentro di se per non aver aggiunto altro. Doveva assorbire quella che per lei era una situazione del tutto nuova: nessuno finora l’aveva mai “tenuta d’occhio”. Camden era protettivo, ma solo perché era una delle sue proprietà più preziose. Edward, al contrario, le era affezionato. Si conoscevano da anni e lo considerava un amico oltre che un dipendente, quindi vederlo così preoccupato per lei non la stupiva affatto. Ma Michael... il suo tono paziente nascondeva delle emozioni molto più profonde e la necessità di sorvegliarla, di proteggerla e aiutarla, nasceva nel suo caso da una fonte molto diversa. Era una forma di possessività, in effetti, ma generata dal suo apprezzamento per lei, per la donna che desiderava. Per questo non aveva nulla di soffocante, contrariamente al freddo possesso mostrato da Camden per tanto, troppo tempo. — E va bene — disse senza neppure pensarci, già distratta dal desiderio, dalla curiosità profonda e urgente di saperne di più sulla necessità di Michael di proteggerla. Che cosa lo spingeva? Fermandosi all’ombra di una grande quercia, si voltò e disse: — Pensavo di passare il pomeriggio con te. Sei occupato? Lui sbatté le palpebre, studiandola in silenzio come per accertarsi di avere sentito bene. Quando lei sorrise, le prese la mano e disse: — Sono libero come il vento. E sarei felice di trascorrere il pomeriggio con te. Si trovavano in un angolo appartato, nascosto dalla casa da fitti cespugli. Caro si abbandonò contro di lui, gli gettò le braccia al collo e cerco le sue labbra. Baciandola, Michael la spinse a socchiudere la bocca e poi la invase con la lingua, un’intrusione a cui lei rispose con un caldo benvenuto. Il desiderio esplose subito, generando ondate di passione incontrollabile. Le loro bocche si fusero avidamente, Caro aderì gemendo a lui; Michael fremette e la strinse tra le braccia, avvolgendola in un bozzolo di calore e voluttà. Quando lui terminò il furioso assalto, tirando indietro la testa per poi tracciare con baci languidi la sinuosa linea del collo, Caro disse sospirando: — Non possiamo andare al gazebo. Alla luce del giorno è troppo rischioso. — In tal caso, andiamo al maniero — rispose Michael con voce un po’ affannata, roca, decisamente sensuale. — I domestici pensino pure ciò che vogliono. L’importante è che non ne parlino con nessuno. Dal suo punto di vista, la questione era irrilevante dato che voleva sposarla presto. Molto più importante era la reciproca esigenza di trovare subito un posto dove amarsi. Caroline alzò le palpebre pesanti, lo guardò e sorrise. Umettandosi le labbra, Si voltò verso il bosco e disse: — Il maniero è troppo lontano. Vieni con me: c’è un posto molto più vicino che aspetta solo noi.

Capitolo 14

Tenendosi per mano, si addentrarono nel sottobosco fino a sbucare in una radura piena di fiori in cui scorreva impetuoso un torrente. Il sentiero lo attraversava con un ponte di pietra e giusto al di là, non appena passata la sponda sassosa, Michael vide un piccolo cottage dal tetto di paglia. — Molto grazioso. A chi appartiene? Lei sorrise. — Era di mia madre — rispose, cercando i suoi occhi. — Adorava dipingere, ricordi? Questo era il suo rifugio. Adesso diventerà il nostro. Michael attinse alla sua conoscenza della zona. Se non sbagliava, quello era il torrente che alimentava il bacino artificiale da cui Bramshaw House attingeva l’acqua. — Più a valle c’è l’invaso di Geoffrey, vero? — Sì, è proprio qui sotto — rispose Caro, puntando il dito verso il margine della radura. Lui le lasciò la mano e si fermò sul ponte, sporgendosi un poco dalla balaustra per contemplare la scena. L’acqua correva spumeggiando tra le rocce, per poi precipitare nell’invaso i cui riflessi erano ben visibili tra le fronde. Caroline però lo aspettava sulla porta aperta con un allettante sorriso in volto; Michael si affrettò a raggiungerla e non appena la cinse con le braccia, lei lo prese per il bavero, lo tirò dentro e poi chiuse la porta, alzandosi in punta di piedi e baciandolo con passione. Per tentarlo, allettarlo, tormentarlo in un invito così esplicito da fargli ribollire il sangue nelle vene. Le loro lingue presero a danzare, poi Michael scese con le mani e le strinse le natiche, avvicinandola a se per farle sentire tutta la potenza del suo desiderio. Lei trasalì quando la sua erezione premette contro la carne sensibile tra le cosce; con un lieve gemito aderì completamente a lui, invitandolo a prendersi ciò che più gradiva, a mostrarle fino a che punto arrivava il suo appetito. Mentre si baciavano nella luce dorata del sole del mattino, i loro corpi avvinghiati, le loro bocche fuse in un vulcanico contatto, Caroline ricordo i giorni della sua infanzia quando andava al cottage a giocare mentre sua madre dipingeva. Era un mondo tutto da scoprire, un luogo di meraviglie composto dalla miriade di fiori della radura, dall’acqua fresca del torrente, dagli alberi e dai piccoli animali del bosco, ma anche dai pennelli, dal pungente odore dei colori, dai quadri che prendevano forma sotto i suoi occhi. Quel giorno avrebbe esplorato un mondo nuovo proprio nel luogo più gioioso della sua infanzia. Si inarcò contro di lui e sentì le sue mani salire lungo i fianchi, per poi stuzzicare con i pollici i suoi capezzoli. Adesso toccava a lui tormentarla, tentarla con carezze che promettevano un indicibile piacere e che al contempo non le bastavano mai. Sapeva che erano il preludio a qualcosa di molto più completo, ma la sensualità con cui Michael la venerava indicava un nuovo passo avanti, come se volesse ripercorrere senza alcuna fretta la strada precipitosamente imboccata il giorno prima. Non che le spiacesse, anzi. L’impazienza veniva facilmente dominata dalla curiosità: voleva capire che cosa spingeva davvero Michael; che cosa indicava il suo desiderio per lei e cosa poteva nascere tra loro. Il giorno precedente aveva appreso che la passione che entrambi cercavano era già nei loro cuori, un amalgama di desideri, necessità e sentimenti che sbocciava solo se lo volevano in due. Insieme potevano creare un vortice di meravigliose sensazioni, una vicinanza fisica ed emotiva così intensa da trascendere la realtà. Era un obiettivo condiviso, un desiderio reciproco, una necessità per entrambi. Le loro labbra si separarono; Caro protestò con un lieve gemito, ma dovevano pur tirare il fiato. Michael ne approfittò per salire con le mani e sciogliere abilmente i lacci del corsetto mentre lei assaporava a occhi chiusi ogni sensazione di quel delizioso istante: il calore del suo corpo teso ed eccitato, i muscoli d’acciaio che l’avvolgevano e che sentì guizzare sotto le dita quando le aprì il corpetto e si preparò ad abbassarlo, l’aura di forza che le dava la sua vicinanza. Peccato non averle scoperte prima. Quel pensiero suscitò una silenziosa risatina. Perché non erano andati lì quando lei aveva appena sedici anni e lui poco di più ad abbracciarsi, baciarsi, toccarsi? Come sarebbe cambiata la sua vita se lui l’avesse presa tra le braccia allora e baciata con lo stesso trasporto che mostrava adesso? Domande inutili a cui non esisteva risposta, visto che da ragazzi non erano così. Gli anni avevano cambiato entrambi: lei era diventata una donna esperta e sicura di sé, due attributi che costituivano la sua bandiera e che adesso le permettevano di esplorare senza il minimo rimorso un mondo nuovo fatto di sensualità, piacere, intimità. Lui invece era l’uomo che stringeva tra le braccia, non un ragazzino, non un giovane gentiluomo ansioso di farsi strada nel mondo, ma un uomo maturo nel pieno della forza, dotato di una personalità complessa e capace di desiderarla sotto molteplici aspetti. Mentre il bacio continuava sollevando ondate di piacere sempre più intense, Caro si scoprì incerta sul da farsi. Doveva lasciarsi andare, consegnargli le redini del gioco e permettergli di prenderla come voleva, oppure recuperare almeno in parte il controllo ceduto il giorno prima? Ieri aveva dovuto per forza seguirlo, visto che si stavano addentrando in un mondo che non conosceva; oggi però toccava a lei condurre la partita, anche perché l’aveva portato là per un motivo ben preciso. Quando sentì le sue mani salire, si tolse prontamente l’abito e piegò con cura il sottile indumento estivo per poi posarlo su una sedia. Il cottage era piccolo e il mobilio ridotto al minimo. Oltre al tavolo e ad alcune sedie c’erano un lungo divano appoggiato alla parete, una bacinella per l’acqua e una cassapanca, mentre la parete opposta era occupata per metà da un grande camino. Grazie alla signora Judson, devota dapprima a sua madre e adesso a lei, il cottage veniva regolarmente pulito e spolverato. Era perfetto per le loro esigenze e ora ne avrebbero finalmente approfittato. Posato l’abito si voltò, sostenendo lo sguardo di Michael attraverso la stanza. Con deliberazione lasciò correre lo sguardo su di lui, poi aggrottò la fronte quando tornò a guardarlo in volto. — Togliti la giacca. Piegando le labbra in un mezzo sorriso, Michael si tolse la giacca e si avvicinò, pronto a seguirla in qualsiasi gioco lei avesse in mente. Gli occhi azzurri di Caro si accesero di soddisfazione vedendolo obbedire così. — Togliti anche il gilè — aggiunse subito. Lui l’accontentò. Quando le porse l’indumento, chiese: — Posso sapere che intenzioni hai? Inarcando un sopracciglio, lei piegò la giacca e il gilè e li posò. Poi si voltò — Prova a indovinare. Io, purtroppo, non posso dirtelo — rispose, aggiungendo con un sorriso: — Almeno per adesso. Con queste parole si alzò in punta di pied!, lo prese per la nuca e lo avvicinò per un bacio languido che riaccese subito le fiamme della passione. Lui le posò le mani sui fianchi, accarezzandole la pelle attraverso la seta sottile della sottoveste, ma un attimo più tardi Caroline tirò indietro la testa con disappunto. — Hai ancora troppi vestiti. Perché gli uomini devono sempre vestirsi così tanto? Non è affatto comodo per certe cose. — Hai ragione — disse Michael ridacchiando. — Non resta che trasformarlo in un vantaggio. Come pensava, l’allusione la incuriosì. — E come? Assumere un’aria innocente non fu per nulla facile, — Se posso farti una proposta... Caroline sorrise, allettata quanto lui. — Proponi pure — replicò con malizia, facendogli capire che aveva già una vaga idea di cosa gli passasse per la testa, ma era comunque interessata. Quel messaggio si riflesse nei suoi occhi chiari quando Michael li guardò. Entrambi volevano gettarsi a capofitto in un nuovo gioco erotico: un senso di anticipazione gli strinse il petto in una morsa, colmandolo di un’emozione che non provava più da anni. Attese ancora un attimo per imbrigliare la passione, poi disse: — Spogliamoci pian piano, un indumento alla volta, e cerchiamo di trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Lei annuì perplessa. — Sembra un’ottima idea, ma come possiamo fare? — Adesso tu lo mostrerò — replicò Michael, cingendola alla vita. Ma con sua sorpresa invece di baciarla la voltò, le passò un braccio attorno alla vita e le sussurrò all’orecchio: — Cominciamo con i sandali!. Appoggia il piede sulla sedia e togline uno. Caro voleva chiedergli perché proprio i sandali, ma tacque e fece ciò che lui diceva. Indossava due calzari in stile neoclassico, con i cinturini sottili avvolti sul polpaccio fino al ginocchio. China sulla sedia, cominciò a slacciare il nodo, ma in quel momento le mani di Michael si chiusero avidamente sui suoi seni, stringendoli con possessività. Pensare si fece improvvisamente difficile. — Ah... capisco. Mi sembra un ottimo sistema per... togliersi i sandali!. — Sono felice che ti piaccia — rispose lui accentuando la deliziosa tortura. Trattenendo a stento un gemito, Caroline posò le mani sulle sue sentendo i movimenti del suoi muscoli mentre la toccava. — Adesso cosa devo fare? La sua risposta arrivò con un roco mormorio. — Nulla. Per ora, devi solo sentire — replicò, premendo leggermente sulle natiche il membro turgido mentre le carezze si facevano avide, indiscrete, possessive. Poi si chinò in avanti e aderì alla sua schiena con il torace muscoloso, posando due labbra ardenti sulla nuca per una nuova serie di baci. Se continuava così, ci avrebbe messo ore a togliersi quei sandali. Continuò a provarci mentre lui leccava, succhiava e mordicchiava la pelle sensibile del collo, obbligandola a chinarsi un po’ di più e a muovere di conseguenza il fondoschiena sulla sua pulsante erezione. Un gemito le sfuggì dalle labbra quando una mano scese all’improvviso e scivolò sotto la gonna per toccarla là dov’era umida e bollente, pronta a riceverlo in tutta la sua lunghezza. Si sentiva avvampare. Ogni suo nervo vibrava d’anticipazione. Quando finalmente riuscì a slacciare il nodo, la testa le girava per il piacere che lui le dava approfittando senza pietà della posizione in cui era costretta. Facendo appello a tutte le sue forze, si tolse il sandalo e abbassò la gamba. Lui si fermò giusto un secondo, in modo da permetterle di alzare l’altra e completare l’opera. Una cosa a cui Michael teneva molto, visto che scese con le labbra lungo la curva sinuosa della schiena, fermandosi a metà mentre il suo dito tornava a sondare l’umida apertura, infiammandole tutti i sensi, sbaragliando gli ultimi barlumi di razionalità, trasformandola in un ammasso di nervi e muscoli alla frenetica ricerca del piacere. Un grido echeggiò nel cottage, una roca esortazione a continuare; lo senti muoversi un poco, armeggiare dietro di lei, poi gridò di nuovo quando il dito si ritrasse e la turgida punta del suo membro cominciò a farsi strada tra le pieghe bollenti. Era prigioniera della sua forza, senza fiato per l’eccitazione, intrappolata e posseduta fino in fondo. Annaspando, provò a muoversi per facilitargli il compito, ma non sapeva come. Fu lui a mostrarglielo, prendendola per i fianchi e dando il via alla danza primordiale. Un’ondata di piacere delizioso la scosse da capo a piedi; chiuse gli occhi e si chinò in avanti, posando le mani sulla sedia per sostenere le sue spinte. Chinandosi ancora una volta su di lei, Michael riprese a baciarle la schiena e allentò la presa. Non voleva arrivare fino in fondo ma solo darle un assaggio, visto che tutto era partito come un gioco e non c’era motivo di affrettarsi. Rallentò quindi il ritmo, tormentandole i sensi entrando e uscendo più volte. Intanto assaporava ogni sensazione, crogiolandosi nell’urgenza che aveva suscitato in lei con tanta intensità da farla gemere come una lasciva cortigiana. Caro sentì le sue labbra piegarsi in un sorriso sulla pelle sensibile della nuca e si accorse di essersi completamente dimenticata del sandalo. Facendo appello a tutta la sua volontà, aprì gli occhi, tese le mani e sciolse quel maledetto laccio, per poi lasciar cadere il sandalo a terra e alzarsi un poco sulla sedia. La risatina che echeggiò dietro di lei le mandò un fremito d’anticipazione lungo la schiena. Un attimo più tardi la mano di Michael la lasciò e poi lo sentì ritrarsi, liberandola da quell’imbarazzante posizione. Ma non appena si rialzò, la sua voce imperiosa riempì la stanza. — Adesso togliti la sottoveste. Le sue dita le strinsero le natiche quando accennò a voltarsi, facendole capire che doveva restare così, voltata di spalle, conscia della sua presenza dietro di lei. Era ancora vestito: da autentica canaglia non si era nemmeno tolto la cravatta! Ma forse poteva prendersi una rivincita. Piegando le labbra in un sorriso, lasciò correre l’immaginazione e poi decise. Per un attimo si chiese se non doveva mantenere un comportamento un po’ più casto, ma il pudore venne immediatamente accantonato. Aveva troppe cose da imparare e sotto quell’aspetto aveva già sprecato anni interi della sua vita. Inoltre Michael sembrava far di tutto per liberare la lussuria che albergava in lei: adesso voleva dargliene un assaggio, tanto per pareggiare i conti. Con un sinuoso movimento, strinse l’orlo della sottoveste e poi l’alzò, restando nuda davanti a lui. — Se stavolta posso avanzare io un suggerimento... — Ma certo. Tutto quello che desideri — rispose lui ridacchiando. Caro si voltò. Ancora non aveva idea di cosa l’aspettava. — Resta fermo dove sei — gli disse, mettendo mano alla cintura. Lui aggrottò la fronte, obbligandola a mentirgli. — Ti voglio nudo. — Aspetta. Prima gli stivali. La sua obiezione arrivò troppo tardi per fermarla. La cintura cedette subito e nello stesso momento Caro si abbassò, tirandogli già i pantaloni per poi prendere direttamente tra le labbra il membro eretto, assaggiare con la punta della lingua la morbida pelle del prepuzio, poi posargli le mani sulla natiche e avvicinarlo un poco per riempirsi la bocca con il turgido muscolo, caldo, pulsante, tanto duro da mandarle fremiti di eccitazione in tutto il corpo. Michael sobbalzò, affondandole le dita nei capelli con la vaga intenzione di fermarla. Non si aspettava un simile attacco, non credeva che Caroline sapesse... Poi lei cominciò a succhiare, cancellando all’istante ogni protesta. Tutti i suoi sensi, la sua energia, persino gli ultimi scampoli del suo intelletto si concentrarono sulla parte del suo corpo che lei stimolava con tanta dedizione, assaggiandolo, possedendolo. Caro succhiava, si muoveva e raschiava leggermente; lui gemette e chiuse gli occhi. Non riusciva più a pensare per l’eccitazione, ma invece di preoccuparsi si sentiva travolto da una gioia a dir poco esaltante. Pensava di tenere salde in pugno le redini del gioco e lei gliele aveva sfilate senza alcuno sforzo. Una lezione di cui doveva far tesoro. Soffocando la gran voglia di muoversi nella sua bocca, di affondare del tutto nella calda caverna e prendersi ciò che lei gli offriva incautamente, tirò un tremulo respiro per poi spingerle indietro la testa con entrambe le mani. — Basta così — le disse, tanto roco da riconoscere appena la sua voce. Mosse un passo indietro e la lasciò, mentre lei si alzava aggrottando ironicamente un sopracciglio. Michael la guardò negli occhi e ciò che vide prometteva ore intere di sensuale tortura. Doveva riportare la questione su binari conosciuti: con frenetica urgenza si spogliò del tutto, poi la prese per mano e si spostò all’indietro verso il divano. — E adesso... — Siediti prima tu — suggerì Caro come una sirena tentatrice. Michael la guardò sperduto, ma lei non aveva alcuna intenzione di demordere. — Avanti — insistette, posandogli una mano sul torace e spingendolo sul sofà con una risatina. — Non te ne pentirai, te lo prometto. Non restava altra soluzione che obbedire. Michael sedette e Caro si accomodò sopra di lui, muovendosi sulle ginocchia per sistemarsi meglio. Poi si sporse in avanti e cercò le sue labbra per un bacio che precipitò entrambi nella fornace del desiderio e dell’urgenza, cancellando di nuovo ogni pudore. Lui la seguì senza la minima obiezione, quasi scioccato dal modo in cui sapeva catturargli i sensi, la volontà, la coscienza. Presto il successo di Caro fu lampante: ormai dimentico di ogni controllo, l’unico pensiero che albergava nella mente di Michael era prenderla, affondare nell’umida guaina e sfogare con intensità tutto l’ardore che lei aveva magistralmente suscitato. Sentiva l’ambito premio a pochi centimetri da lui, appena fuori dalla sua portata. Sapendo quanto lei volesse condurre la danza, aveva finora tenuto le mani posate sul sofà, ma adesso non riusciva più a star fermo. Le strinse le natiche, tese le dita e le affonda nella tenera carne delle cosce con il chiaro intento di abbassarla un poco e penetrarla. Ma Caroline restò ferma dov’era, sporgendosi in avanti e sfregandogli con un sinuoso movimento della schiena i seni sul torace. L’intenzione era tormentarlo sempre più, ma fu proprio lei la prima vittima della sua spavalderia. Trattenendo un gemito, lottò per riprendere il controllo ma in quel momento lui si arrese. — Ti prego, scendi ancora un po’... Trattenendo a stento una risata, gli accarezzò una guancia e lo guardò negli occhi. La luce implorante che li riempiva non poteva essere più esplicita. “Basta! Fammi entrare!” Ormai poteva anche accontentarlo. Si chinò in avanti per un nuovo, vulcanico bacio, poi si mosse un poco e prese il turgido membro tra le cosce. Lui gemette soddisfatto al pensiero di poter finalmente alleviare la terribile pressione che sentiva nel petto; quando la punta vellutata tocco la carne ardente, abbassò le mani con frenetica urgenza per posizionarsi meglio. Caro si alzò sulla ginocchia, poi tornò a scendere con deliberata lentezza, accettandolo con un gemito dentro di sé. Dedicandogli l’abbraccio più umido e bollente che Michael avesse mai provato in vita sua. A occhi chiusi, Caro assaporò ogni istante della discesa, della costante invasione che finalmente riusciva a controllare. Che piacere aveva mancato nella vita! Quel pensiero le riempì la mente, ma evaporò all’istante non appena strinse i muscoli sul suo membro per poi muoversi un poco. Adorava quella posizione così diversa dalle altre, così soddisfacente grazie al controllo che le dava, ma non voleva fermarsi lì. Fremendo di gioia e di delizia mentre lui la penetrava fino in fondo, si chiese come sfruttarla meglio. Che cosa doveva fare per sentirlo ancora di più? Già fare chi che doveva, alzarsi e abbassarsi con lasciva lentezza, la riempiva di un piacere indescrivibile, ma nonostante ciò comincio a sperimentare. Mosse i fianchi, si chinò in avanti per scendere in modo un po’ diverso, tese i muscoli... e la passione crebbe travolgente, investendoli entrambi e spingendola ad aprire gli occhi per studiare Michael sotto di lei, duro e potente, teso nello sforzo di assecondare i suoi movimenti e di rispondere dandole tutto il piacere che poteva. Perché era questa la sua intenzione, altrimenti non l’avrebbe lasciata libera di muoversi come voleva, di darsi a lui come più gradiva. Non aveva parole per esprimergli la sua gratitudine. Come se l’avesse capito, lui alzò un braccio, le strinse la nuca e l’avvicinò a se, alzandosi sul sofà per incontrare le sue labbra e trascinarla con lui, per intrappolarla in una rete di passione che diventava sempre più forte a ogni umida carezza delle lingue, a ogni assalto che le riempiva la bocca e i sensi di calda meraviglia suscitando l’impellente desiderio di accelerare il passo e lanciarsi a capofitto nelle fiamme. Una mano si aprì sulla sua schiena, avvicinandola con forza fino a farle premere i seni sui ricci scuri che gli coprivano il torace. L’altra mano si chiuse su una natica, tenendola ferma mentre la penetrava a fondo con implacabile potenza fino a proiettarla nell’oceano dorato del piacere, mentre il mondo che lei conosceva andava in mille pezzi e sprazzi di nuove sensazioni cominciavano a fluirle nelle vene. Il primo accenno dell’estasi che lei tanto bramava. Non aveva più la forza di resistergli. Si accorse a malapena di venire voltata, di finire sotto di lui sulla stoffa del sofà intrappolata dal suo peso, una lancia infuocata tra le cosce mentre due mani forti le afferravano le gambe per poi alzarle con prepotenza fino a posarle sulle spalle. Con un grido, Michael affondò dentro di lei. Così era più aperta al suo possesso, più vulnerabile e intimamente sua. Lui la prendeva ancora e ancora, duro, facendosi, strada con vigore tra i suoi muscoli. E quel ritmo esasperato sortì subito il suo effetto: con occhi che brillavano di gioia, lei gli strinse la nuca e lo tirò a sé per un bacio selvaggio, sfidando con la lingua e con il corpo la sua supremazia non per combatterla, ma per eccitarlo ancora di più e convincerlo a unirsi a lei con forza ancor maggiore, a donarle tutto se stesso senza freni o riserve. Lui l’accontentò e il risultato andò oltre ogni aspettativa dando vita a una frenetica scalata verso l’estasi, a una ricerca del piacere che suscitava sensazioni così profonde e coinvolgenti da stupire entrambi con la loro intensità. Se ne resero entrambi conto un attimo prima che il maelstrom si alzasse, guardandosi negli occhi e trovandovi la stessa meraviglia, la stessa gioia, lo stesso stupore per ciò che insieme potevano provare. L’orgasmo li scosse entrambi nello stesso momento, fondendo i loro corpi e le loro menti, marchiandoli con una consapevolezza e una vicinanza di cui non si sarebbero liberati mai più. E quando la morsa finalmente si allentò, crollarono esausti una tra le braccia dell’altro, lottando per tirare il fiato e per riprendere un barlume di coscienza. Pian piano la consapevolezza di ciò che era successo li riempì, ma per adesso nessuno dei due aveva la forza di parlare. Poterono solo restare lì sdraiati, accarezzandosi dolcemente in silenzio. Poi Michael voltò la testa e le baciò la mano, certo di non essersi mai dato così completamente, di non aver mai provato nulla di simile in vita sua. Ma non aveva ancora la lucidità necessaria per capire: sapeva solo che voleva provare di nuovo quelle meravigliose sensazioni. E presto, se non voleva perdere del tutto la ragione. Fare in modo che diventasse possibile era diventata una questione d’importanza capitale. Caroline doveva restare al suo fianco. Insieme. Per sempre.

Quando Michael si svegliò, il cottage era immerso nell’ombra. Il sole era sceso dietro gli alberi, ma vista l’afa di quel giorno la mancanza di vestiti non costituiva alcun problema. Caro dormiva ancora, accoccolata accanto a lui. Sorridendo, attese ancora un attimo per assaporare l’appagamento che gli riempiva tutto il corpo, poi si alzò, attraversò la stanza a piedi nudi e aprì una finestra. La tiepida brezza estiva gli solleticò la pelle accaldata, mentre il fragore del torrente e il cinguettio degli uccellini creavano una bucolica atmosfera che lo commosse. Inspirò a pieni polmoni, poi si voltò e guardò la splendida donna che giaceva sul sofà nuda e addormentata. Negli ultimi due giorni l’aveva riempita ben cinque volte del suo seme. Non aveva preso nessuna precauzione, né aveva cercato di evitarlo. E neppure Caroline, in effetti. Come doveva interpretare la sua completa accettazione? L’istinto lo ammoniva a non sollevare l’argomento, a lasciare che le cose seguissero il loro corso, ma era giusto comportarsi cosi? Più che altro, visto che Camden non l’aveva mai posseduta, Caroline si rendeva conto di cosa poteva succedere? Parlargliene, però, non era facile. E se un simile discorso avesse rotto l’incantesimo? Naturalmente non avevano mai parlato di bambini. Non sapeva neppure che cosa ne pensava a riguardo! Per un attimo, l’immagine di lei con suo figlio tra le braccia gli riempì la mente, lasciandolo senza fiato. Poi sbatté le palpebre, scosse la testa e tornò alla realtà, provando subito un’istintiva cautela. Mai un pensiero aveva acquisito tanta forza, facendolo sentire in bilico tra la felicita più completa e un’incertezza senza pari. Sapeva che era quello che voleva, lo scopo ultimo a cui non avrebbe rinunciato facilmente, ma ciò che accadeva in quei giorni era cruciale per garantirsi il successo almeno su un fronte. Sposare Caro. Gli fu necessario un lungo istante per decidere, per scacciare i suoi timori e tornare a respirare. Non le avrebbe fatto parola del rischio di restare incinta. Avrebbe però fatto di tutto per trasformare il suo sogno in realtà.

Capitolo 15

Tornarono a casa lungo il sentiero nella luce dorata del tardo pomeriggio, mano nella mano e con gli occhi pieni di felicita. Parlarono poco: in quel momento fuori dal tempo, non avevano bisogno di parole. Caroline non riusciva a pensare, né tantomeno a farsi un’opinione di ciò che era successo e dei sentimenti che erano nati tra loro. Nulla in quell’incontro amoroso rientrava negli schemi che da sempre dava per scontati. Inutile sforzarsi di capire: era così e basta. Accanto a lei Michael camminava sicuro, tenendola saldamente per mano come se non volesse più lasciarla andare. Ed era vero: mentre attraversavano il bosco, cercò d’inquadrare quel nuovo sviluppo e i sentimenti che ribollivano dentro di lui. Qualcosa era cambiato, dandogli una vision molto più chiara della strada da seguire. L’ultimo tratto del sentiero attraversava le verdi distese del parco. Lui le lasciò la mano e quando arrivarono sotto la casa, sentirono delle voci in terrazza. Alzarono lo sguardo e videro Muriel parlare a Edward, che sembrava insolitamente seccato. — Ah, eccoli qui — le disse, voltandosi verso di loro e stringendo le labbra in una smorfia.. Muriel li guardò accigliata e Michael la vide studiare Caroline. Una rapida occhiata gli rivelò che era rossa in volto, ma non riuscì a capire se si doveva alla camminata sotto il sole o al loro incontro nel cottage. In ogni caso non gli importava un accidente di ciò che pensava Muriel e salendo le scale con passo elastico, le strinse la mano con un sorriso. — Buon pomeriggio — disse. — Devo ancora congratularmi con voi per il successo della festa. É stato un pomeriggio meraviglioso, sia per noi che per i nostri ospiti. Questo servi ad ammorbidirla, ma solo in apparenza. — Sì, in effetti sono soddisfatta di come sono andate le cose — concesse, poi guardò Caroline e aggiunse: — Tuttavia, sono venuta qui per parlare proprio dei vostri ospiti. È stata un’idea così stravagante invitarli alla festa della parrocchia! Mi chiedo se non si sono annoiati... sicuramente sono abituati a eventi molto più eccitanti. Non vorrei che, in certi ambienti, i Sutcliffe venissero giudicati da oggi in poi dei provinciali! Dietro la maschera sorridente, Michael si accigliò. Edward, meno abile a nascondere i suoi sentimenti, si irrigidì come una statua. Caroline però rise divertita. — Oh no, Muriel! Ti stai creando dei problemi per nulla. Tutti i nostri ospiti erano felici di partecipare a un evento così informale. Muriel arricciò il naso. — Forse non si lamentavano per cortesia. — Non si lamentano ai balli delle ambasciate, Muriel — replica Caro, molto più decisa. — Sono quelli gli eventi a cui partecipano per cortesia, non una festa campestre. Credo che tutti siano stati felici di uscire per un giorno dai soliti schemi e comportarsi liberamente! — Se davvero ne sei convinta... — concluse Muriel, poi guardò l’orologio. — Dio mio, com’e tardi. Devo passare dalla signorina Trice. È ancora scossa per l’aggressione subita e così ho pensato bene di prendere il tè con lei. Stavolta, tutti e tre la guardarono perplessi. Erano passati giorni da quel brutto episodio e la sorella del vicario non sembrava affatto scossa. Anzi, l’ultima volta che l’avevano incontrata rideva a ripensarci! Era una scusa per prevenire l’invito a fermarsi per il tè? Nel dubbio tacquero, tirando un silenzioso sospiro di sollievo quando Muriel li salutò e si avviò con Caroline verso il calesse.

— Quella donna è invidiosa di voi — dichiarò Edward non appena Caroline tornò in terrazza. Lei liquidò la cosa con un gesto della mano. — Oh, no! Muriel è sempre stata terribilmente apprensiva. Non bisogna prenderla sul serio, almeno non per queste cose. Il suo segretario però non parve affatto convinto. — Dovevate sentire come parlava di voi durante la vostra assenza! — So bene che può rivelarsi molto irritante quando vuole — concesse Caroline. — E ammetto che forse è anche un po’ gelosa. D’altro canto, durante l’anno tutti si rivolgono a lei per le cose più svariate, poi in estate arrivo io e le sottraggo una buona fetta di attenzione. Mi sembra comprensibile che a volte perda un po’ la calma. — In ogni caso, non puoi negare che faccia di tutto per farsi notare — intervenne Michael. — No, non lo nego. Ma tu non puoi negare che lavori duramente e creda in ciò che fa. Edward sbuffò. Michael scosse la testa, ma la sapeva troppo lunga per mettersi a discutere di Muriel con Caroline. — In ogni caso, non ha voluto fermarsi per il tè, ma io non vedo l’ora di sedermi e chiedere alla cuoca un’abbondante fetta di torta — riprese Caro, sorridendo a entrambi. — Voi che intenzioni avete? Michael estrasse l’orologio dal taschino, poi scosse piano la testa. — Purtroppo devo rifiutare. Si sta facendo tardi e ho alcune faccende da sbrigare — dichiarò, prendendole la mano. — A domani, Caroline, e grazie per la deliziosa compagnia. — Aspetta. Ti accompagno alle scuderie. Quando si avviarono, Caroline notò l’occhiata d’intesa che lui ed Edward si scambiarono. Indicava il cambio della guardia. Il messaggio non poteva essere più chiaro: io l’ho tenuta d’occhio tutto il giorno; adesso tocca a te. Piegando le labbra in un lieve sorriso, scese le scale con Michael senza fare alcun commento. Perché frustrare in qualche modo le loro buone intenzioni? Voleva bene a entrambi, anche se in modo molto diverso. Se sorvegliarla giorno e notte li rendeva felici e riuscivano a farlo senza darle fastidio, allora che la sorvegliassero pure.

La mattina dopo, Caroline sedeva in terrazza e ascoltava Elizabeth che si esercitava al pianoforte. Come sempre, Edward era rimasto con lei con la scusa di girarle le pagine dello spartito; sorridendo tra sé, si alzò e scese le scale intenzionata a fare una passeggiata all’aria fresca del mattino. Doveva schiarirsi le idee dopo una serata trascorsa a pensare. In ogni caso, doveva ammettere di aver dormito benissimo. Le lunghe ore colme di passione trascorse insieme a Michael le avevano dato le certezze che cercava da tempo, ponendo però nuove sfide. Si sentiva troppo esperta, troppo avanti con gli anni, per potersi innamorare facilmente persino di un uomo come lui, nonostante il suo indubbio fascino e la sua personalità forte e complessa. Soprattutto perché dopo anni trascorsi nell’ambiente diplomatico, sapeva bene quanto era facile adattare la personalità alla situazione come se fosse solo un costume da indossare a piacimento. Comunque, aveva imparato a distinguere la verità quando la vedeva. Michael non indossava alcuna maschera quando erano insieme. Il suo fascino era autentico quanto la sua passione: persino la parte più scettica di lei lo dava per scontato. Ciò che l’affascinava di più, non era tanto il desiderio che avvertiva in lui, ma ciò che riuscivano a creare insieme. Era lì che risiedeva la forza da cui entrambi si sentivano così attratti, un’energia che avvertiva con tanta intensità da sembrare a volte quasi palpabile. Veniva alimentata dal legame che esisteva tra loro e che cresceva di continuo grazie all’incontro delle loro personalità. Tuttavia era così difficile capire che cosa stava accadendo, racchiudere negli stretti limiti della razionalità le emozioni, le sensazioni e i sentimenti che provava quando era tra le sue braccia. Impossibile darne una descrizione logica, prendere una posizione, pianificare delle azioni. — Dio mio — si disse ridacchiando. — Ero diventata tanto simile a Camden? Accigliata, giunse al bivio vicino al bosco e prese il sentiero che conduceva al cottage. Se la logica non poteva aiutarla a capire che cosa stava nascendo tra loro, forse doveva fare appello ai sentimenti. Ma il profondo bisogno di capire dove li stava portando la loro relazione non poteva supplire alla mancanza d’esperienza. Non aveva idea dei sentimenti che potevano svilupparsi tra un uomo e una donna, delle mille sfaccettature di un rapporto di quel tipo. Sotto quel punto di vista, poteva prendere lezioni persino da Elizabeth. In ogni caso, sapeva bene di non essersi mai sentita così prima d’ora e quello era un aspetto che non poteva più negare. Come non poteva negare che qualunque cosa lei provasse, la stava provando anche Michael. Era una tempesta che coinvolgeva entrambi, lasciandoli smarriti, meravigliati, impotenti, facendoli sentire piccoli e indifesi come se si trovassero davanti a uno spettacolare fenomeno della natura. Una definizione che calzava a pennello all’incredibile intensità che permeava i loro incontri. Esitò per un attimo mentre si addentrava nel bosco, chiedendosi se era davvero il caso di allontanarsi così tanto. Presto Elizabeth avrebbe finito di suonare ed Edward sarebbe uscito in terrazza, aspettandosi di trovarla seduta a leggere o di vederla passeggiare nel parco. Andava spesso al cottage da sola e lui lo sapeva: dopo averla cercata in giro inutilmente, avrebbe immaginato che si era recata là. Poteva indicare a Michael dove si trovava. Lui l’avrebbe subito raggiunta e l’avrebbe resa ancora una volta felice con le sue carezze sensuali. Un pensiero troppo allettante per rinunciarvi facilmente. Abbozzando un sorriso riprese a camminare, scacciando con la speranza di un nuovo, ardente incontro la domanda fondamentale che continuava a tormentarla. Dando per scontato che la relazione nata tra loro e i sentimenti che generava portassero da qualche parte, si sentiva pronta a seguire Michael ovunque volesse condurla?

Michael lasciò Atlas allo stalliere di Geoffrey e si avviò di buon passo verso la casa. Si aspettava di vedere Caroline in terrazza, ma fu Elizabeth a uscire dalla porta- finestra del salotto e che poi si voltò a chiamare qualcuno. Un attimo più tardi, Edward comparve accanto a lei e scese subito le scale. Una vaga premonizione gli fece drizzare i capelli sulla nuca. Sforzandosi di restare calmo, si affrettò a raggiungerlo e non appena fu abbastanza vicino, Edward disse: — Caro non c’è. L’abbiamo cercata in casa e al gazebo, ma sembra sparita nel nulla. Probabilmente è andata al cottage vicino all’invaso del torrente. — So dov’è l’invaso — si affrettò a dire lui. — Vado a cercarla. Elizabeth li raggiunse. — Se seguite il sentiero nel bosco, ci metterete più tempo. Passate di là — suggerì, indicando un punto ai margini del parco. — così arriverete in meno di dieci minuti. Il cottage è poco più sopra, vicino alla sponda del torrente. Ringraziandoli, Michael si avviò, giungendo in pochi minuti ai cespugli indicati da Elizabeth. Vide un viottolo coperto di foglie, lo prese e avanzò a passo di marcia attraverso il bosco. Fremeva d’agitazione, ma non sapeva esattamente per cosa. Non si trattava certo di una situazione insolita, visto che anche lui adorava passeggiare da solo in campagna e dimenticare almeno per un po’ gli impegni della sua vita di città. L’apprezzamento per la quiete agreste era un’altra cosa che lui e Caro condividevano appieno. Tuttavia, vista la situazione, avrebbe preferito che lei non andasse in giro da sola. Almeno non adesso: anche se rifiutava ostinatamente di credere che qualcuno attentasse alla sua vita, non aveva imparato nulla dall’aggressione subita dalla signorina Trice? Non si chiese neppure da dove veniva il senso di pericolo incombente che gli riempiva il cuore. In quel momento, porsi delle domande del genere serviva solo a fiaccare la sua convinzione visto che, pericolo o no, voleva comunque raggiungerla al più presto. L’istinto protettivo, profondamente radicato in lui fin dalla tragica morte dei suoi genitori, non ammetteva repliche. E se si trattava solo di un abbaglio, tanto di guadagnato: sarebbero rimasti soli con tutta la mattinata a disposizione. Finalmente uscì dal bosco, ritrovandosi però, lontano dal torrente. Bastò un’occhiata per vederla. Era forse a mezzo miglio di distanza e stava per salire sul ponte di pietra che conduceva al cottage. Agitò le mani per chiamarla, ma la snella figura vestita di mussola chiara continuò ad avanzare senza fretta. Lui cominciò a correre. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato vedendola così tranquilla, ma invece il panico cresceva a dismisura: dargli ascolto era una cosa del tutto irrazionale, ma scacciò immediatamente i dubbi, strinse i denti e continue a correre sul sentiero sassoso. Rallentò solo quando fu a portata di voce. — Caroline! — gridò. Stavolta lei lo sentì: fermandosi a meta del ponte, si voltò e gli rivolse un radioso sorriso, appoggiandosi al parapetto di legno con il chiaro intento di aspettarlo. Un urlo echeggiò nella radura. Michael vide il parapetto cedere di schianto, ma con un istintivo colpo di reni, Caroline tese le mani per aggrapparsi a uno dei pali di sostegno. Anche quello si spezzò come un fuscello e, con occhi pieni di terrore, la vide precipitare nelle acque spumeggianti del torrente. In un attimo raggiunse la sponda e la seguì tra i cespugli, incurante dei rami che gli frustavano il viso. Non pioveva da diversi giorni, ma la corrente era comunque molto forte e le rocce scivolose. Inoltre in quel punto il letto si restringeva e l’acqua saliva di livello, per poi gettarsi con una piccola cascata nell’invaso. Con il cuore in gola la vide sbattere contro le rocce, poi rotolare a valle, affondare in una pozza e poi riemergere, tendendo freneticamente le mani per aggrapparsi a qualcosa. Ma la lunga veste le era d’impaccio: con un nuovo grido, perse l’appiglio e rotolò ancora più sotto. Un attimo più tardi precipito dalla cascata. Togliersi gli stivali e gettarsi nell’invaso fu questione di un secondo. Un sollievo senza pari lo riempì quando la vide riemergere annaspando e sputacchiando. Cominciò a nuotare verso di lei, ma la chiusa era in parte aperta e creava una corrente micidiale. Poi, con orrore, vide che l’acqua la sommergeva nuovamente. Con uno sforzo immane guadagnò il centro dell’invaso, si fermò e si guardò attorno. Un attimo più tardi lei riemerse. — Michael! Io... aiuto! Quella disperata richiesta gli moltiplicò le forze e con un guizzo riuscì ad afferrarle la gonna. Annaspando e nuotando si avvicinò a lei, stando attento a non tirare troppo il sottile tessuto per non lacerarlo. Un attimo più tardi la prese per un polso, avvicinandola con forza a se per poi cingerla con le braccia. Caro si aggrappò freneticamente a lui. — Non riesco a nuotare! — Calmati — le disse imperioso. Se perdeva la testa, rischiava di trascinare sotto entrambi. — Tieniti forte a me e rilassati. Non devi nuotare: ci penso io a portarti a riva. Guardandosi attorno, si rese conto che il modo più sicuro di cavarsela era arrendersi temporaneamente alla corrente. Dal punto in cui si trovavano sarebbero finiti contro una delle paratie metalliche che creavano l’invaso: lui doveva solo spostarsi verso destra in modo da non avvicinarsi alla chiusa. — So come uscire — le disse. — Fidati di me. Caro tremava per lo choc, il freddo e la paura, ma fece del suo meglio per calmarsi. Tenendola stretta con un braccio e nuotando con l’altro, Michael uscì dalla parte più turbolenta dell’invaso e un attimo più tardi, sbatterono con forza contro la paratia. — Il peggio è passato — le disse. — Adesso aggrappati al bordo e seguimi. Tra poco saremo fuori di qui. Emersero a fatica dall’acqua gelida e profonda, per poi crollare sulla riva e tirare il fiato per quella che parve una vera eternità. Michael la stringeva tra le braccia, accarezzandole dolcemente i capelli, baciandole la fronte, guardandole il viso, le braccia e le gambe per accertarsi che non fosse ferita. Ma a parte il comprensibile spavento e qualche graffio, sembrava proprio che la fortuna avesse deciso di darle una mano. Poi lei si mosse, lo guardò negli occhi e gli accarezzò la guancia. — Grazie — mormorò. Lui non rispose. Non ci riusciva: si limitò quindi a prenderle le dita, chiudendo gli occhi e sfiorandole la mano con un bacio. Era andato vicinissimo a perderla: se ci pensava si sentiva avvolgere da una tale rabbia, da un tale terrore, da non poter più ragionare. Ma poi registrò la dolce sensazione del suo peso contro di lui, il calore del suo corpo sotto gli abiti fradici, il gentile contatto dei suoi seni sul torace e con un sospiro di sollievo la strinse forte a sé, baciandola con tenera passione. Si accorse a malapena che Caro gli stringeva le dita come per dirgli qualcosa. Tirò indietro la testa e la guardò, accorgendosi solo allora della rabbia che le riempiva gli occhi. — Sai una cosa? — gli disse stringendo le labbra. — Odio ammetterlo, ma avevate ragione. Qualcuno sta davvero cercando di uccidermi!

Alla fine riuscirono a tornare a casa, fradici ed esausti ma decisi più che mai a pone fine a quella storia. Per fortuna Geoffrey era chiuso nel suo studio; raccomandando a Elizabeth ed Edward il massimo riserbo, Caroline spiegò brevemente cos’era accaduto dipingendolo però, come un incidente e chiese a Catten di mandare qualcuno a Eyeworth Manor per prendere dei vestiti asciutti per Michael. Poi salì in camera sua per cambiarsi, dandogli appuntamento nel salotto. Mezz’ora dopo erano entrambi seduti davanti a due tazze di tè bollente. — Sono felice che tu abbia cambiato idea — le disse subito lui, aggrottando leggermente le sopracciglia. — Posso chiederti come mai? Erano soli, visto che Edward non era ancora arrivato. — Il parapetto — rispose Caroline senza esitare. — Ieri, tu ti sei appoggiato per guardare il torrente e non si è neppure mosso. Lui tornò con la mente a quando aveva attraversato il ponte, poi annuì. — Scommetto che se andiamo a vedere, scopriremo che qualcuno ha segato i pali di sostegno — commentò con aria cupa. — Ne sono certa. Ha ceduto non appena mi sono appoggiata, senza neppure oscillare. Io... Smise di parlare poiché Edward ed Elizabeth entrarono all’improvviso, guardando entrambi con la preoccupazione dipinta in volto. Caroline sorrise a sua nipote. — Forse è meglio che tu vada a ripassare le tue lezioni, mia cara. Noi dobbiamo parlare di affari importanti. — Oh. In tal caso vi lascio alle vostre discussioni — replicò Elizabeth con voce incerta, guardando Edward che annuì. — Ci vediamo a pranzo. Michael si alzò per chiudere la porta, poi tornò a sedersi e vide Edward scuotere la testa. — Non è stato un incidente, vero? — No — rispose Caroline. — Ed è per questo che ho mandato via Elizabeth. Non voglio che si preoccupi. Michael guardò il giovane segretario. — Caroline si è finalmente convinta che qualcuno la vuole morta — gli spiegò, storcendo le labbra in una smorfia. — La domanda a cui rispondere, adesso, è chi potrebbe organizzare tutto questo e soprattutto perché. Lei allargò le mani. — Non ne ho la minima idea. Io non ho nemici. — Per quanto ne sappiamo, potresti avere dei nemici che non sono mossi da un rancore nei tuoi confronti, ma da motivi che non hanno nulla di personale. — Intendi dire a causa di Camden? Michael annuì. — Sappiamo di Ferdinando e del suo strano interesse per gli appunti di Camden — intervenne Michael. — Se davvero agisce per conto del duca di Oporto, potrebbe darsi che ci sia proprio il duca dietro i tentativi di eliminarti. Forse pensa che tu sappia qualcosa di compromettente. Edward rifletté, poi annuì con decisione. — È possibile — commentò, guardando Caro. — Dovete ammetterlo, milady. Sappiamo tutti cosa potrebbe esserci in ballo. Una riabilitazione presso il re del Portogallo è un motivo più che sufficiente per uccidere. La gente uccide per molto meno! Lei fece una smorfia, lanciò un’occhiata a Michael e sospirò. — E va bene. Il duca è tra i sospettati. Con i suoi mezzi, non è difficile trovare del sicari. — Sicari controllati da Ferdinando, come abbiamo potuto constatare — aggiunse Michael. Caroline aggrotto la fronte, ma poi annuì con riluttanza. — Se sommiamo tutti gli elementi a nostra disposizione, arriviamo a un bel nido di vipere. Che voi sappiate ce ne sono altri? Lei ed Edward si scambiarono un’occhiata. — Non che io sappia — disse infine. A Lisbona, siamo sempre rimasti fuori dalle vicende di corte — aggiunse Edward. Il loro tono svelò subito a Michael che dicevano la verità. Sollevato, accantonò il sospetto che Caro si sentisse obbligata a tacere per non creare uno scandalo, o peggio un incidente diplomatico. Sarebbe stata una follia, visto che era in gioco la sua vita. — Meglio così — concluse, per poi guardare entrambi. — Ma naturalmente, potremmo anche sbagliarci. Potrebbero esserci altri motivi che non conosciamo... — Stai pensando al testamento di Camden? — chiese Caro. — Sì. Che cosa ti ha lasciato? La casa di Half Moon Street e un ragionevole gruzzolo tra contanti e azioni. — Cominciamo con la casa. Pensi che possa esserci qualche situazione speciale dietro il lascito? Si è fatto avanti qualcuno per contestare il testamento? Fu Edward a rispondere. — No, ma a prescindere dal valore della casa, già abbastanza alto di per sé, Camden l’ha riempita nel corso degli anni con mobili, quadri e arazzi di grande valore. Persino i collezionisti più noti sgranerebbero gli occhi davanti a un tale tesoro. — E a chi andrebbe tutta quell’abbondanza se per caso Caroline morisse? Questo parve sorprenderli entrambi. Caroline lo guardò, aggrotto la fronte, poi si rivolse a Edward. — Non me lo sono mai chiesta, ma immagino ai miei eredi. Voi lo sapete? — No — rispose lui scuotendo la testa. — Non ci ho mai pensato. Non credevo potesse rivelarsi così importante. Michael soppesò la cosa. — Naturalmente avete una copia del testamento. — Ma certo. È nella casa di Londra. — Insieme agli appunti di Camden? — Non sono nello stesso posto, ma anche gli appunti si trovano nella casa. Seguì un lungo silenzio mentre tutti e tre valutavano le alternative. Poi Michael disse: — Bene. Se le cose stanno così, credo proprio che l’unica cosa da fare sia tornare subito a Londra. Partiremo domattina.

Capitolo 16

Alla fine la difficoltà maggiore non fu convincere Caroline a partire, ma Edward a restare. — Se non restate, Elizabeth vorrà venire con noi — disse Caro. — E anche se io mi opponessi, troverebbe qualche scusa per stare da Angela o da Augusta. Sapete bene che può andare da loro quando vuole per far compere ed e abbastanza cresciuta da convincere Geoffrey a lasciarla andare. Per cui, mio caro Edward, dovete restare qui. — Ma io sono il vostro segretario — protestò lui con evidente irritazione, lanciando un’occhiata a Michael. — Potreste aver bisogno di me e poi è un mio dovere seguirvi ovunque andiate. Se Elizabeth insiste per venire, farò di tutto per dissuaderla. Tutti e tre si guardarono in silenzio. — Capisco la vostra amarezza, ma purtroppo sono d’accordo con Caroline — intervenne Michael. Lei lo guardò sorpresa. — La situazione potrebbe anche precipitare e sappiamo quanto testarda possa rivelarsi Elizabeth. E se venisse in città da sola? Visto che ha diversi posti dove stare, potremmo ritrovarcela davanti senza preavviso. la nipote di Caroline e tutti sanno che sono molto legate... — dichiarò, lasciando la frase in sospeso. Non voleva allarmare Edward, ma solo paventare una situazione che, per quanto aveva visto, non era affatto impossibile. — In breve, amico mio, per quanto strano possa sembrarvi, il modo migliore di aiutare Caroline e prendervi cura di Elizabeth. La determinazione di Edward vacillò; Michael decise di parlargli onestamente. — Se quello che cerchiamo si trova davvero a Londra, a casa di Camden o nel suo testamento, chiunque ci sia dietro questa storia potrebbe pensare di rapire Elizabeth per ricattare Caroline. Non possiamo correre un simile rischio! Come immaginava, quell’affermazione fece trasalire sia Caro che Edward, ma purtroppo non c’era altro modo per convincerlo. — Va bene — abbozzò infine lui, cupo in volto come non lo aveva mai visto. — Resterò qui e non perderò di vista Elizabeth un solo istante.

Caroline cominciò subito a fare i bagagli e Michael restò a cena per aiutarla a spiegare a suo fratello quell’improvvisa partenza senza Edward. Come pensava, bastò dirgli che anche lui aveva delle faccende da sbrigare in città e che quindi sarebbero partiti insieme, per tacitare le obiezioni di Geoffrey. Si congedò non appena i domestici sparecchiarono la tavola, dato che doveva fare i bagagli a sua volta e organizzare le cose in modo che tutto procedesse a dovere durante la sua assenza. Caroline si alza con lui per accompagnarlo alla porta. — A domani — gli disse, porgendogli la mano. Le sue dita erano così delicate da spingerlo a sfiorarle con un bacio senza neppure pensarci. — Arriverò alle otto. Fatti trovare pronta. Lei gli rivolse un sorriso molto femminile e poi si voltò, avviandosi su per le scale. Aggrottando la fronte, Michael la guardò salire e poi uscì, puntando direttamente verso la scuderia con una folle idea in testa. Tre ore dopo, verso mezzanotte, galoppava a briglia sciolta verso Bramshaw House.

Alzarsi alle sette non fu per nulla facile, ma ne valeva decisamente la pena. Mentre tornava da Caro in calesse alle otto in punto, Michael si disse che un paio d’ore di sonno perduto non erano nulla davanti alle meravigliose emozioni suscitate dai loro incontri, davanti al piacere, alla passione, al trasporto che provava quando la stringeva tra le braccia. Doveva convincerla al più presto a sposarlo o sarebbe uscito di senno: in teoria non sarebbe dovuto essere così difficile, visto che anche lei provava gli stessi sentimenti; in pratica, però, era una cosa ben diversa. Come constatò al suo arrivo a Bramshaw House. Caroline lo aspettava sorridente sotto il portico, ma i valletti stavano ancora caricando i suoi bagagli facendo la spola tra l’atrio e la carrozza. Guardando i due piccoli bauli legati sul retro del calesse, aggrottò la fronte e chiese allo stalliere che l’accompagnava di sistemarli come poteva sulla carrozza, poi scese e si diresse verso di lei. Era immersa in una fitta conversazione con Catten e con la sua cameriera portoghese; il maggiordomo lo salutò con un inchino mentre la cameriera, piuttosto avanti con gli anni, si inchinò, ma dopo un’occhiata piena di riprovazione. Caroline però sorrideva e solo questo contava per lui. — Siamo quasi pronti — gli disse indicando i valletti. — Ancora dieci minuti e potremo partire. Doveva aspettarselo. Rassegnato, aggrottò leggermente la fronte, ma poi sorrise. — Bene. Ne approfitterò per parlare a Edward. — Dovrebbe essere con Elizabeth a colazione. — Grazie. Lo troverò da solo — dichiarò Michael salutandola con un cenno, poi entrò. Edward era ancora in sala da pranzo. Lui si fermò sulla porta, salutò Elizabeth e poi lo chiamò con un cenno, uscendo con lui in terrazza. — Qualche istruzione dell’ultimo minuto? — gli chiese Edward. Michael lo studiò per un istante. — Non proprio. Riguarda più i miei piani a lungo termine — cominciò, poi aggiunse con qualche esitazione: — Devo farvi una domanda molto particolare e ovviamente gradirei una risposta, ma se pensate di non potermi accontentare voglio chiarire subito che vi capisco. Edward si dimostrò abile come lui pensava. Sembro sorpreso, la sua occhiata rivelò una certa cautela, ma Michael non aveva tempo da perdere. affondò le mani in tasca, spaziò con lo sguardo nel parco e chiese: — Che tipo di relazione c’era tra Caroline e Camden? Dopo ciò che lei gli aveva detto sul suo matrimonio e la constatazione che era ancora vergine, doveva assolutamente saperlo. Anche perché il passato continuava a giocare una parte importante nel comportamento di Caro. Per questo aveva scelto con cura le parole, in modo da non rivelare nulla di specifico, lasciando però trasparire il suo interesse per lei. Edward non era uno sciocco. Senza dubbio si era accorto di qualcosa, ma taceva per rispetto verso Caroline. Adesso avrebbe capito se era disposto ad aiutarlo anche su quel fronte. Il silenzio si prolungò per qualche istante. Lui non si aspettava certo una pronta risposta, ma dovevano partire e sperava ardentemente che il giovane segretario decidesse per il meglio. Anche perché se Camden era morto e sepolto, Caroline non lo era affatto. Alla fine Edward si schiarì la voce e si voltò a sua volta verso il parco. — Sono molto affezionato a Caroline — cominciò, per poi aggiungere con voce piatta: — Non so se ne siete al corrente, ma il ministero ha stabilito che tutte le informazioni che riguardano la vita di un diplomatico, matrimonio incluso, vengano raccolte in un fascicolo. Questo perché a certi livelli anche la vita personale può presentare degli aspetti che toccano la sicurezza nazionale. Ebbene, quando sono stato inviato a Lisbona per sostituire il segretario di Camden, mi fu comunicato che lady e lord Sutcliffe non avevano alcun tipo di rapporto personale. Michael sentì lo sguardo di Edward posarsi su di lui, ma fece di tutto per restare impassibile. — In breve, il loro matrimonio non è mai stato consumato — commentò asciutto. — Avete idea del motivo? Stavolta Edward strinse le labbra con disapprovazione. — Camden aveva un’amante — mormorò. — Una donna conosciuta prima di sposare Caro, dalla quale si recava ogni volta che poteva. Secondo quanto mi è stato riferito... — aggiunse, ma poi scosse la testa. — Ah, non importa. Vi basterà sapere che non ha mai rinunciato a vederla. Nonostante fosse l’emblema del perfetto segretario, Michael colse la punta di disgusto nella sua voce. Un disgusto più che giustificato: imprecando dentro di se, lo guardò negli occhi e chiese: — Caroline lo sapeva? — Certo. Chiunque se ne sarebbe accorto. Ma lei non ne ha mai fatto parola, né in pubblico né in privato — chiarì, aggiungendo dopo un lungo istante: — Al contrario, persino l’occhio attento del Foreign Office non ha mai trovato una sola macchia nella vita di Caroline. Lei non ha mai avuto alcuna relazione, posso garantirlo. “Finora” si disse Michael. Ma non era lì per ammettere o negare alcunché. Lasciò dilungare il silenzio, poi guardò Edward e annuì. — Vi ringrazio. Era ciò che volevo sapere. Spiegava alcune cose, ma sollevava anche nuove domande a cui solo Caroline poteva rispondere. Si voltarono insieme per rientrare, ma quando furono sulla porta Edward disse: — Promettete di mandare a chiamarmi se avrete bisogno di me? Lui rifletté, mentre dentro la casa cominciarono a risuonare le note di un pianoforte. Elizabeth stava seguendo la sua lezione. — Non preoccupatevi. Se potrete aiutarci di più a Londra che qui, state tranquillo che vi manderemo a chiamare. — Ci conto — replicò Edward, poi lo trattenne per un braccio e cercò il suo sguardo quando si voltò. — Forse l’avete già capito, ma vorrei avvertirvi comunque. Non perdete mai di vista Caroline. Per quanto sia affidabile, tende a sottovalutare molto i pericoli. Lui annuì piano e i due uomini rientrarono insieme. In quel momento Elizabeth si produsse in una scala trionfale: piegando le labbra in un sorriso, Michael si avviò verso la sala da musica per salutarla.

Arrivarono a Londra nel tardo pomeriggio. L’umidità era soffocante e il caldo saliva a ondate dal pavé delle strade, dai muri delle case, dai vetri delle finestre che riflettevano i raggi del sole. A fine luglio la capitale era deserta, visto che chiunque poteva si trasferiva in campagna per sfuggire alla calura. Persino il parco era semivuoto e solo qualche calesse percorreva al trotto i suoi lunghi viali alberati. Tuttavia, quando la loro carrozza svolta in Mayfair, Michael si rese conto dell’emozione che gli riempiva il cuore. Era tornato al centro della politica, nel luogo dove venivano presentate, dibattute e infine prese le decisioni che influenzavano tutti i sudditi del regno. Accanto a lui Caroline sospirò e Michael si rese conto che tornare nella capitale la colpiva in un modo molto simile. Per un po’ si limitarono a guardar fuori in silenzio, poi lei gli chiese: — Dove devo lasciarti? Michael sostenne il suo sguardo, poi si strinse nelle spalle. — Tu dove pensavi di alloggiare? — Da Angela, in Bedford Square. — L’hai già avvisata? — No, perché non è in città — replicò lei sorridendo. — Ma ovviamente sono sempre invitata. — I domestici saranno ridotti al minimo. — Immagino di Si. Siamo nel pieno dell’estate! Lui guardò fuori dal finestrino, poi disse: — Credo sarebbe meglio per entrambi se alloggiassimo da mio nonno in Upper Grosvenor Street. — Come? — chiese lei sobbalzando, per poi rendersi conto che la carrozza puntava proprio verso quella zona. L’idea di essersi resa inconsapevolmente complice dei suoi piani la fece fremere da capo a piedi. — Ma non possiamo arrivare cosi, senza preavviso. Infatti stamattina ho mandato uno dei miei valletti con un messaggio. La carrozza rallentò, poi si ferma con un sussulto. Michael la guardò negli occhi. — Vivo qui quando sono in città e Magnus lascia raramente la casa, per cui i domestici saranno al gran completo. Credimi, sia mio nonno che la servitù saranno deliziati di averti come ospite. Lei si accigliò. — Non credi che la mia presenza qui con te possa dar adito a pettegolezzi? Dopotutto sarò l’unica signora nella casa. — Nient’affatto. C’è anche Evelyn, la cugina di Magnus. Avrà più di settant’anni, ma resta comunque una signora e dunque le apparenze sono salve — le spiegò ridendo. Poi, molto più persuasivo, aggiunse: — A parte tutto il resto, qui siamo al sicuro e ti garantisco che neppure le malelingue più sfacciate oseranno insinuare che sotto il tetto di Magnus Anstruther- Wetherby si sta consumando un vero scandalo. Il modo in cui lo disse preveniva ogni possibile obiezione. Caro socchiuse gli occhi. — Tu hai pensato a questa soluzione fin da quando abbiamo deciso di partire! Lui sorrise e aprì la portiera della carrozza. Caroline non era affatto convinta che si trattasse di una buona idea, ma dato che non trovava un vero motivo per opporsi si fece tranquillamente condurre su per le scale, verso il maggiordomo che li aspettava accanto alla porta. — Buon pomeriggio, milord. Bentornato a casa. — Grazie, Hammer — rispose Michael fermandosi con lei sulla soglia. — Questa è lady Sutcliffe. Resteremo qui tutta la settimana per sbrigare certe faccende. — Milady — salutò Hammer con un inchino. Aveva una voce profonda quanto garbata. — Per qualsiasi richiesta, dovete solo chiamarmi. La vostra presenza fa onore a tutti noi. Lei sorrise, decisa a non mostrare la sua perplessità. — Vi ringrazio di cuore — rispose, indicando la carrozza con aria dispiaciuta. — Temo proprio di avere un bagaglio piuttosto ingombrante. — Non importa, milady. Lo porteremo subito nella vostra stanza — replicò il maggiordomo con un lieve sorriso, poi si rivolse a Michael. — La signora Logan ha pensato di sistemare milady nella stanza verde. — Ottima scelta, amico mio — commentò Michael. — Sono certo che lady Sutcliffe la troverà di suo gradimento. — Non dovete disturbarvi per me — si schermì lei studiando Michael e cercando di capire che cosa gli passava per la testa sotto il sorriso di circostanza. Non ci riuscì. — La mia cameriera personale si chiama Fenella. É portoghese, ma parla bene l’inglese. Potreste cortesemente mostrarle la mia stanza? Io salirò tra breve per rinfrescarmi e cambiarmi. Hammer si inchinò, mentre Caroline prendeva Michael a braccetto. — Bene. Se adesso vuoi presentarmi a tuo nonno... Sorridendo, Michael si avviò con lei verso la biblioteca, da sempre rifugio del vecchio patriarca. — L’hai già conosciuto, vero? — Anni fa, a un ricevimento del Foreign Office. Non so se si ricorderà di me. — Non temere. Il vecchio Magnus non dimentica mai nulla. Caro si accorse quant’era vero nel momento stesso in cui un valletto apri la porta. — Ah, lady Sutcliffe! Finalmente ci rivediamo! — esclamò il patriarca facendo cenno di avvicinarsi. — Perdonatemi se non mi alzo, ma questa maledetta gotta mi fa impazzire — spiegò, indicando il piede destro avvolto in una voluminosa fasciatura e poggiato su un comodo sgabello. Lei attraversò la stanza per salutarlo, ignorando il suo sguardo penetrante. — È un piacere avervi qui con noi, milady. — Il piacere è mio, milord. Sono davvero felice di rinnovare la nostra conoscenza — replicò Caro con una perfetta riverenza. Lo sguardo inquisitore si posò su Michael, che si limitò a sorridere. — Accomodatevi, vi prego — riprese Magnus, aggrottando le folte sopracciglia. — Mio nipote mi ha spiegato che avremo il piacere della vostra compagnia per una settimana. — Sempre che non vi dia disturbo, naturalmente. Un breve sorriso curvò le labbra del patriarca. — Mia cara, sono anziano e fin troppo annoiato. Rallegrare questa casa con la vostra bellezza sarà una vera gioia, ve l’assicuro. Lei dovette per forza ringraziarlo. — In tal caso, sono davvero deliziata di accettare la vostra ospitalità — dichiarò, raccogliendosi le gonne e sedendosi con aristocratica eleganza. Magnus la studiò per un lungo istante, poi guardò suo nipote. — Molto bene. Adesso che abbiamo levato di mezzo le formalità, volete spiegarmi che cosa sta succedendo? Un attimo di silenzio calò nella biblioteca mentre loro due si guardavano. Poi Michael aggrottò la fronte, facendole capire che spettava a lei decidere se coinvolgere o meno il nonno in quella faccenda. Solo allora Caroline si accorse che durante il viaggio non aveva mai pensato al motivo di quel viaggio. — Siamo qui, milord, perché a quanto pare qualcuno ha deciso che la mia esistenza rappresenta un pericolo da eliminare a tutti i costi. Due candide e folte sopracciglia si alzarono per la sorpresa. — Perché? — chiese Magnus dopo un attimo. — Questo — replica lei sfilandosi i guanti — è ciò che siamo venuti a scoprire.

Nel giro di mezz’ora gli spiegarono tutto; fu rassicurante constatare che il vecchio patriarca era completamente d’accordo con loro. Vista la sua esperienza, significava che probabilmente avevano visto giusto. Quella sera, dopo aver congedato Fenella, Caroline guardava fuori dalla finestra della sontuosa camera da letto giocata sulle diverse tonalità di verde. Nonostante le ovvie differenze con la campagna, si sentiva a casa sua anche a Londra, con il lontano brusio delle attività notturne che le era familiare come il profondo silenzio della notte nei campi. Dopo il colloquio con Magnus, lei e Michael si erano ritirati nelle rispettive stanze per rinfrescarsi e cambiarsi, per poi scendere a cena e organizzare con il vecchio patriarca la visita del giorno dopo in Half Moon Street. L’idea era prelevare il testamento e gli altri documenti di Camden e portarli in Upper Grosvenor Street, dove sarebbero stati molto più al sicuro. Fin lì, le cose sembravano semplici: una volta recuperato tutto ciò che poteva aiutarli a far luce su quella strana vicenda, avrebbero cominciato a studiarlo per capire chi c’era dietro i misteriosi tentativi di ucciderla e spuntare, si augurava in senso metaforico, le sue armi. Non aveva alcun dubbio su quel tipo di tattica. I dubbi riguardavano piuttosto ciò che stava nascendo tra lei e Michael. Il giorno prima si era recata nel cottage per valutare la situazione con calma, ma il fato ci aveva messo lo zampino. Adesso ci stava pensando sopra ormai da un po’ ma, nonostante gli sforzi, non riusciva ad arrivare a una conclusione certa. Il continuo desiderio di Michael per lei e ciò che stava scoprendo giorno dopo giorno la stupivano a tal punto da non riuscire a guardare oltre. Ormai poteva aspettarsi ogni genere di sorpresa da parte sua, dall’improvvisa comparsa fuori dalla finestra della sua camera da letto la notte prima, al provvidenziale salvataggio di cui si era reso protagonista. Tutto era così nuovo, eccitante, insolito. Non c’era da sorprendersi se le batteva forte il cuore non appena pensava a lui. Il punto, tuttavia, non era l’emozione, l’eccitazione, l’ardore dei loro incontri, ma dove tutto ciò li stava portando. Chissà se Michael provava i suoi stessi dubbi quando ci pensava. La casa era immersa nel silenzio. Lei sentì i suoi passi leggeri in corridoio ancora prima che si avvicinasse alla porta. Un attimo più tardi la maniglia si abbassò e, senza neppure bussare, Michael entrò e si diresse deciso verso di lei. Caro si voltò, seguendolo con lo sguardo mentre attraversava la stanza. Le sue labbra si piegarono in un lieve sorriso, ma dentro di sé esultava. Si era chiesta se sarebbe venuto: nel dubbio, aveva indossato la vestaglia più sottile che aveva. Lui non era molto più vestito, dato che portava una veste da camera di seta aperta sul torace nudo. Mentre si avvicinava, il suo sguardo vagò su di lei, ammirando le curve sensuali generosamente mostrate dalla finestra alle sue spalle. — Ti rendi conto, immagino, che una camicia da notte così mi toglie ogni capacita di ragionare. Caro ridacchiò per il suo tono drammatico, ma non appena lui le accarezzò una guancia, si abbandonò tra le sue braccia, alzando le mani per stringergli la nuca e tirarlo giù con forza. Michael resistette giusto un attimo, quanto bastava per guardarla negli occhi; ciò che lei vide nel suo sguardo confermava appieno ciò che le aveva appena detto. Poi inclinò la testa, la strinse nel suo abbraccio... Colta da un’idea improvvisa, lei lo fermò posandogli una mano sul torace nudo. Fu facile convincerlo, soprattutto quando scese con la mano lungo l’orlo della veste da camera aprendola un poco con le dita per poi stringergli il membro eretto, caldo e pulsante di desiderio per lei. Nonostante tutto riusciva ancora a stupirla al punto da bloccarle il fiato nei polmoni. Voleva mostrargli la gioia che provava vedendolo lì con lei e così chiuse le dita e mosse un po’ la mano, accarezzandolo lasciva fino a quando lui non chiuse gli occhi, gettando indietro la testa. Con l’altra mano sciolse il nodo che gli chiudeva la veste da camera alla vita, deliziata quando la sentì aprirsi con un tenue fruscio. Si avvicinò, gli diede un languido bacio al centro del torace e senza mai lasciare il turgido membro cominciò a scendere, tracciando con i baci la strada tra i suoi muscoli fino a inginocchiarsi davanti a lui. Poi, spavaldamente, piegò la testa in avanti e prese la punta vellutata tra le labbra, per poi avanzare dolcemente e sensualmente. Lui fremette, affondandole le dita tra i capelli per poi stringere quando comincio a succhiare e a leccare, provando nuove e ardite soluzioni. Affondandogli le dita nelle natiche, lo tenne fermo mentre imparava il modo migliore di ritornargli la dolce tortura con cui Michael riusciva a farle saltare i nervi. Bruscamente lui inspirò, la prese per le spalle e mosse un passo indietro. — Aspetta. Aveva una voce tormentata. Lei obbedì e lo lasciò, posando entrambe le mani sul suo torace mentre lui l’alzava. Quando lo guardò negli occhi, si accorse che ardevano di selvaggia passione. — Spogliati — le disse, mandandole un fremito di delizia lungo la schiena. Nel momento stesso in cui la sottile vestaglia cadde a terra, Michael la cinse tra le braccia e la baciò con ardore devastante, rovesciandole nelle vene un inferno di fuoco e fiamme fino a riempirla di un desiderio incontenibile. Poi la sollevò e gemendo di piacere e anticipazione, Caro gli gettò le braccia al collo, lo strinse alla vita con le cosce e si mosse contro di lui, cercando con affanno la punta incandescente del suo membro duro come il ferro. Si trattenne a stento dal gridare quando lo sentì farsi strada tra le umide pieghe del suo sesso; gettando indietro la testa, emise un confuso mormorio mentre la spada entrava lentamente nel suo fodero. Michael l’alzò ancora un poco, poi la tirò a sé con forza per penetrarla completamente e il desiderio esplose. Centimetro dopo centimetro, la sua inesorabile avanzata la proiettò in un mare di piacere così intenso da permetterle a malapena di accorgersi della danza furiosa delle loro lingue, della forza con cui Michael la muoveva avanti e indietro, del fatto che erano ancora in piedi e non sdraiati a letto. Nulla importava più, solo la comunione dei loro corpi, dei loro cuori e delle loro menti. Insieme vennero proiettati così in alto da toccare il sole, sciogliendosi uno tra le braccia dell’altra per poi tornare inevitabilmente a terra. Più tardi, stretta tra le sue braccia, esausta e appagata tra le lenzuola, Caroline sussurrò: — Non dovevamo farlo. Siamo ospiti a casa di tuo nonno! — Al contrario. Proprio per questo possiamo e dobbiamo farlo. Quelle parole risuonarono come un caldo brontolio nel suo torace, su cui lei posava stancamente la testa. — Per questo hai voluto che venissi qui, vero? — Non solo per questo. Sai bene perché — fu la risposta. Caroline lo senti giocherellare con le sue ciocche castane, poi accarezzarle dolcemente la nuca. — Ma ho un problema d’insonnia che tu sai curare a meraviglia. Lei rise, alzò la testa e lo baciò, per poi accoccolarsi contro di lui. Chiudendo gli occhi, Michael continuò ad accarezzarla fino a quando non caddero entrambi addormentati.

Capitolo 17

Caro aprì la porta della casa di Half Moon Street e fece cenno a Michael di seguirla. — La nostra governante, la signora Simms, viene qui due volte alla settimana per spolverare e arieggiare la casa, in modo che sia sempre pronta se voglio tornarci a vivere. Lui la seguì nel grande atrio dal pavimento a mosaico, su cui spiccavano intricati motivi color ocra, verde e oro. Durante il viaggio da Bramshaw a Londra, Caroline non aveva mai parlato di alloggiare lì: evidentemente, tornare nella casa in cui aveva abitato con il suo defunto marito non faceva parte delle opzioni. Chiuse il portone d’ingresso e si guardò attorno mentre lei avanzava verso una porta bordata d’oro che presumibilmente conduceva nel salone. Osservando lo stile monumentale della casa, seguì Caro lanciando un’occhiata alla grande specchiera e agli altri mobili che arredavano l’atrio. Perfettamente tenuti, sembravano tutti dei preziosi pezzi d’antiquariato e stava per chiederle a quando risalivano, quando lei aprì la porta del salone, facendo cenno di seguirla. Oltrepassò la soglia e si fermò, guardandosi stupito attorno. Non era il salone ma la sala da pranzo e conteneva un lungo tavolo di mogano massiccio, circondato da una dozzina di sedie che persino il suo occhio poco esperto riconobbe in stile Luigi XIV. Splendidi quadri adornavano le pareti e il pavimento era coperto di tappeti dai colori vividi e brillanti. Aggrottando la fronte, si disse che solo ciò che vedeva in quella sala valeva una fortuna. Seguì Caroline in silenzio mentre passava di stanza in stanza, sempre più sconcertato dalla ricchezza che traspariva ovunque. Edward aveva ragione dicendo che qualcuno avrebbe anche ucciso pur di entrare in possesso di quella reggia. Tuttavia l’insieme non risultava mai opprimente: era come se fosse stato creato con amorevole cura, sfruttando una profonda conoscenza dell’arte, e fosse restato lì negli anni, scarsamente utilizzato per qualche ignota ragione. — Cominciamo dal testamento — disse Caroline tornando nell’atrio, poi salì al primo piano insieme a lui e si avviò lungo un corridoio. Aprì una porta e insieme entrarono in quello che era chiaramente stato lo studio di Camden. Fermo sulla soglia, la vide avanzare verso il quadro appeso dietro la scrivania. Se gli altri erano preziosi, quello sembrava un vero capolavoro, ma lei non parve affatto impressionata. Nascondeva una cassaforte da parete: Caro ruotò la manopola per inserire la combinazione, poi prese una grossa chiave, la infilò nella serratura e tu sportello si aprì con uno scatto. Mentre lei cercava al suo interno, Michael provò a immaginarla con Camden in quello studio. Non era un pensiero irrazionale, dato che la sua mano era evidente. Tra tutte le stanze che aveva visto, quella era forse la meno mascolina con il suo perfetto equilibrio tra comodità, lusso ed eleganza. Probabilmente l’avevano arredato insieme; di nuovo si scoprì incapace di farsi un quadro completo della loro relazione. Li aveva visti alle cene e ai balli, ma nulla lasciava intuire la realtà del loro matrimonio. Adesso sapeva che era tutta una finzione e tuttavia, visto la reggia che Camden aveva creato per viverci con lei, non poteva evitare di chiedersi perché non l’avesse mai desiderata. Possibile che fosse tanto innamorato dell’amante da rinunciare in partenza a farla sua? Il secco rumore dello sportello che si chiudeva lo strappò ai suoi pensieri. Caroline si voltò mostrandogli con il sorriso sulle labbra uno spesso documento arrotolato; lui lo prese, lo sistemò nella tasca interna della giacca e poi la seguì in corridoio. — E adesso il diario e gli appunti — disse lei, prendendolo sorridente a braccetto fino a fermarsi davanti a una doppia porta una decina di metri più avanti. Quando aprì, Michael constatò sorpreso che non era la porta di una stanza, ma quella di un armadio a muro con gli scaffali pieni di asciugamani, lenzuola e copriletti. — Stai indietro — gli ordinò Caro, spostando una pila di lenzuola e afferrando la staffa di sostegno dello scaffale subito sopra. Tirò con forza e con un secco rumore il retro dell’armadio a muro si aprì verso l’interno, rivelando uno sgabuzzino pieno di casse accatastate. — Ecco l’archivio di mio marito. Michael piegò le labbra ammirato mentre valutava la mole dell’archivio. C’erano circa una ventina di casse, tutte piene di documenti. — Per fortuna hai insistito per portare due valletti — le disse. Prima, a casa di suo nonno, aveva persino cercato di dissuaderla! Lei sorrise. — Visto che avevo ragione? E adesso diamoci da fare. La carrozza attendeva presso l’uscita secondaria. Michael scese con la prima cassa, poi tornò di sopra con i due domestici. Ci volle più di mezz’ora per caricarle tutte e alla fine la carrozza partì senza di loro, dato che non c’era posto. Caroline chiuse la porta, poi si avviò con Michael a piedi cercando un calesse a pagamento. Un’ora dopo contemplavano perplessi le casse impilate in uno studio al primo piano. Era stata Evelyn a suggerire quella sistemazione, dicendo che era il posto più sicuro della casa. Magnus aveva brontolato, ma alla fine si era arreso offrendo persino il suo aiuto per vagliare l’enorme massa di documenti. — Che facciamo? — chiese Michael appoggiato di spalle alla parete. — Ci vorranno giorni per studiare tutto. — Lo so. Ma potrei cominciare con il diario e la corrispondenza privata — dichiarò Caroline, lanciandogli un’occhiata. — Scusami, ma almeno all’inizio ho intenzione di procedere da sola. Lui se lo aspettava, visto che tra i documenti c’erano senza dubbio le lettere dell’amante, ma perdere tempo così era un lusso che non potevano permettersi. Fece per dirglielo, ma in quel momento risuonò la campanella del pranzo. — Meno male — disse Caro sorridendo, per poi prenderlo a braccetto e avviarsi con lui. — Stavo morendo di fame. Comincerò nel pomeriggio.

Visto che non poteva aiutarla, dato che Caro fu irremovibile e insistette per chiudersi da sola nello studio, Michael prese il testamento, deciso a chiedere l’aiuto di un esperto. A pranzo avevano provato a studiarlo insieme a Magnus, senza però arrivare a molto a causa del linguaggio burocratico con cui era scritto. Di conseguenza aveva pensato di chiedere aiuto al suo potente cognato, il duca di St. Ives; lui sapeva certamente a chi rivolgersi per decifrare quello che sembrava un vero rompicapo persino per un possibile ministro. Si avviò a piedi e poco dopo sbucò in Grosvenor Square, la grande piazza alberata in cui sorgeva la lussuosa dimora di città di Devil e Honoria Cynster. attraversò i giardini pubblici pieni di bambini e bambinaie, poi salì la scala dell’ingresso augurandosi che almeno Devil fosse a casa. La fortuna gli sorrise: sia lui che Honoria si trovavano miracolosamente in città. Seduto alla scrivania, suo cognato lo salutò con un classico sorriso da canaglia. — Michael! Credevo fossi impegnato nella ricerca di una moglie. Cosa ti porta a Londra? — Un testamento — rispose lui, posandolo sulla scrivania prima di sedersi. Devil contemplò il foglio arrotolato, poi si appoggiò allo schienale della sedia senza neppure toccarlo. — Di chi sarebbe? — Camden Sutcliffe. Questo suscitò una cauta occhiata. — E cosa ci fa nelle tue mani? Michael gli spiegò brevemente l’accaduto e, come si aspettava, bastò parlare dei tentativi di omicidio per suscitare lo sdegno di Devil. — Quindi la soluzione del mistero potrebbe essere qui dentro — disse, decidendosi finalmente a prenderlo. — Oppure nei documenti personali di Camden. Caroline li sta studiando e mi chiedevo se tu non potessi fare qualche ricerca riguardo al testamento — gli spiegò, sporgendosi in avanti. — Passalo al setaccio. Avrebbe potuto rivolgersi ai migliori studi legali di Londra, ma qualche voce sarebbe sicuramente girata. Devil capeggiava il potente clan dei Cynster, i cui interessi spaziavano in ogni campo. Nessuno meglio di loro poteva identificare con assoluta discrezione una potenziale minaccia contenuta nel testamento. Devil studiò distrattamente il manoscritto, poi annuì. — Come vuoi — dichiarò, soffermandosi su una delle clausole e aggrottando leggermente la fronte. — Dio mio! Viene da chiedersi chi può averlo scritto. In ogni caso, mi darò subito da fare. — Grazie — disse Michael alzandosi. — Honoria è in casa? Un leggero sorriso piegò le labbra di suo cognato. — Ma certo, e immagino che sappia già della tua presenza nel suo regno. Probabilmente è fuori ad aspettarti, pronta a balzarti addosso non appena lascerai il mio studio. Michael aggrottò la fronte. — Sono sorpreso che non sia entrata a chiamarmi — commentò Aspettare non era da Honoria e suo marito non aveva segreti per lei. Il sorriso di Devil si fece maligno. Scribacchiò qualcosa, posò l’appunto accanto al testamento e disse: — Anch’io, ma immagino che non voglia darci l’impressione di ficcare il naso nei tuoi affari privati. Lo sforzo la sta probabilmente uccidendo. — In tal caso, forse è meglio che vada a salvarla — commentò Michael ridendo. — Ti farò sapere qualcosa non appena possibile. Michael uscì, si chiuse la porta alle spalle e percorse il breve corridoio fino all’atrio. Nel momento stesso in cui pose piede nel grande ingresso della casa, una voce risuonò alle sue spalle. — Spero proprio che adesso tu abbia almeno un minuto per me — disse sua sorella con la voce pacata e imperiosa della vera duchessa. Lui si voltò, alzò lo sguardo e la vide sul pianerottolo dell’ampia scala che conduceva ai piani superiori. — Stavo giusto per salire — rispose sorridendo. Un attimo più tardi salì gli scalini a due a due, poi la strinse in un affettuoso abbraccio che lei gli ritornò deliziata. — Come vanno le cose al maniero? — gli chiese, muovendo un passo indietro e studiandolo da capo a piedi. — Perché sei tornato a Londra? Hai trovato una donna adatta a te? Lui rise. — Aspetta! Ti racconterò tutto, ma non qui. Honoria non aspettava altro. Lo prese a braccetto e lo condusse nel suo salottino privato, tempestandolo di domande fino a quando lui non le riferì ogni cosa. Ma come aveva fatto con Devil, evitò accuratamente di parlarle della strana relazione tra Caroline e Camden. Le disse però che era la donna che intendeva sposare, ottenendo un entusiastico assenso. Sua sorella conosceva bene Caroline, visto che un tempo erano state amiche; per questo la vide trasalire quando venne a sapere dei tentativi di ucciderla. Per tranquillizzarla, dovette spiegarle che contromisure avevano preso. Alla fine lei annuì. — Portala qui per il tè — disse, pensandoci un attimo. — Vi andrebbe di venire domani? Michael sapeva di poter contare sul suo discreto aiuto per convincere Caroline a sposarlo, ma forse era meglio chiarire bene le cose. — Ti ricordo che io le ho chiesto di sposarmi, ma lei non ha ancora accettato. Honoria aggrottò le sopracciglia, studiandolo per un attimo, poi sorrise comprensiva. — In tal caso bisognerà fare qualcosa per spingerla a decidersi, non trovi? — dichiarò, alzandosi in piedi. — E adesso vieni con me. I tuoi nipoti hanno appena finito la lezione. Immagino che abbiano anche loro qualcosa da dirti. Con un sorriso, lui la seguì in corridoio, perfettamente disposto a dedicare ai suoi tre nipoti il resto del pomeriggio.

A fine luglio, le serate londinesi potevano essere terribilmente calde e umide. Mentre si aggirava nella sua stanza aspettando che Fenella andasse a dormire per raggiungere Caro, Michael si tolse la cravatta e si arrotolò le maniche della camicia, pensando a ciò che suo nonno gli aveva detto di Camden. Tutta quella storia ruotava attorno a lui, alla sua complessa figura in cui luci e ombre sembravano alternarsi in un’altalena senza fine. L’esame del suo diario non aveva finora portato a nulla di concreto, ma Caroline era solo all’inizio. D’altro canto dovevano procedere in quel modo, dato che non avevano idea del periodo in cui cercare la chiave del mistero, o meglio la lettera, il documento o chissà che altro interessava al misterioso attentatore. L’ipotesi che fosse collegato alle intricate vicende della corte portoghese era concreta, ma finche non fosse stata suffragata dai fatti, restava una possibilità tra molte. In ogni caso, a cena avevano deciso di non limitare le ricerche ai documenti, ma di ampliarle ai circoli politici e diplomatici approfittando dei loro contatti rimasti in città. Qualcuno doveva pur sapere se Camden era stato coinvolto in un cambio di potere a Lisbona o altrove; il modo di apprendere una tale informazione restava un mistero, ma al momento opportuno avrebbero inventato qualcosa. Non era quello a preoccuparlo, ma la controversa figura descritta da suo nonno. Lui e Camden si erano conosciuti, anche se non bene visto che frequentavano ambienti diversi. Magnus era più vecchio di dieci anni e si dedicava alla politica, non alla diplomazia, ma era sempre stato un attento osservatore. Dalla sua descrizione emergeva un uomo che dava la sua posizione per scontata e dunque si guardava bene dal farla pesare agli altri. Tuttavia, per dirla con le sue parole, Camden era diabolicamente astuto; sapeva per istinto come impressionare i suoi interlocutori e sotto il suo temperamento affabile si nascondeva un vero squalo che mischiava in un’intricata rete gli interessi personali e quelli del suo paese. Nella sua lunga carriera aveva ricevuto lodi e accuse, passando con disinvoltura dal più completo egocentrismo agli slanci patriottici, dal sospetto di tramare nell’ombra al pubblico plauso per la sua fedeltà. Tutto per tornaconto personale, almeno a sentire il vecchio Magnus: nessuna sorpresa che un uomo così avesse sposato Caroline senza mai desiderarla, condannandola a una lunga sofferenza pur di sfruttare le sue capacità sociali. I conti tornavano alla perfezione se non fosse stato per la casa in Half Moon Street. Se non amava Caro, perché creare insieme a lei una tale reggia? In quel momento udì in corridoio i passi leggeri di Fenella. Facendo spallucce si infilò la vestaglia, deciso a scacciare per adesso l’inesplicabile enigma costituito dalla relazione tra Caroline e Camden. Tutto taceva nella casa: era giunto il momento di raggiungere Caro nella sua stanza. La vedova di Camden. La sua futura moglie.

La mattina del giorno dopo, Michael apprese da uno dei suoi contatti che Ferdinando era in città. Poi tornò a casa di suo nonno per pranzare, sedette con gli altri e guardò Caro. Lei si accorse subito che qualcosa non andava. — Ci sono novità, vero? — disse convinta. — Che cosa hai sentito? Lui ridacchiò ammirato, ben sapendo di non essere una persona facile da capire. In poche parole riferì la notizia prima di aggiungere: — É qui da solo, senza il duca, il conte e le loro mogli. Alloggia in uno degli appartamenti dell’ambasciata. — Quando è arrivato? — chiese Magnus. — Ieri — rispose Michael scambiando un’occhiata con Caroline. Lei annuì. — Probabilmente è venuto a Bramshaw House per farmi visita, ha sentito della mia partenza ed è venuto qui. — Probabile — commentò Michael bevendo un sorso dal suo bicchiere. — A parte questo, non ci sono novità di rilevo. Tu hai scoperto qualcosa dal documenti di Camden? Caro strinse le labbra in una smorfia. — Tante impressioni personali, annotazioni, bozze di relazioni da presentare al ministero, ma nulla di misterioso. Intanto Evelyn estraeva un elenco da una tasca, poi lo aprì sul tavolo e lo guardò soddisfatta. — Vi ho preparato un elenco dei ricevimenti organizzati nei prossimi giorni — disse, porgendolo a Caroline. — Spero vi possa essere d’aiuto. Lei studiò la lista, poi alzò lo sguardo rivolgendole un sorriso di gratitudine. — Ci sarà utilissimo. Grazie — dichiarò, poi guardò Michael divertita. — Tua zia Harriet organizza per stasera una serata musicale. Anche se lui non batté ciglio, Caro fu certa che stava pensando all’ultima volta che era stato da sua zia e alla visita che Caroline le aveva fatto poco dopo. Senza dubbio, Harriet era ancora convinta che lui stesse per chiedere la mano di Elizabeth. — Credo proprio che dovremo andare — concluse ridacchiando. Stavolta Michael reagì con una smorfia, ma nondimeno annuì. Quando il pranzo terminò, i due uomini si spostarono in biblioteca, mentre lei si fermò nell’atrio studiando la lista. Lui la trovò immersa nei suoi pensieri quando tornò indietro dieci minuti dopo. — Oggi pomeriggio pensavi di riprendere a studiare il diario? — le chiese. Caro lo guardò e sorrise. — No, a dire il vero. Se le nostre indagini devono estendersi anche ai circoli più esclusivi, avrò bisogno di un nuovo paio di guanti e di qualche borsetta. Pensavo di andare in Bond Street — annunciò, piegando le labbra in una smorfia. — Anche perché ne ho abbastanza di studiare gli appunti del mio defunto marito. Una pausa mi farà bene. Non sembrava affatto triste, né tantomeno amareggiata. Michael aggrottò perplesso la fronte. Non sapeva esattamente che cosa stava studiando, ma dubitava che avesse tralasciato di leggere le lettere dell’amante. Non le importava nulla? Caro era maestra nel nascondere i suoi sentimenti. — Ti accompagno — si offrì senza neppure pensarci. Per contro, lei ci pensò sopra eccome. — Devi far compere anche tu? — No. Ma se vuoi andare in Bond Street, allora vengo con te. Per un lungo istante lei si limitò a guardarlo in silenzio; poi piegò le labbra in un sorriso e indicò le scale. — Se proprio insisti... ma ti avviso che devo ancora prepararmi. Michael sospirò. — Ti aspetto in biblioteca. Stava leggendo un libro sulla storia del Portogallo quando lei aprì la porta e guardò dentro. Lui si alzò; distratto dal suo lavoro, Magnus sbuffò e li spedi fuori senza tanti complimenti. Quando raggiunse Caro in corridoio, studiò ammirato l’abito da passeggio che aveva scelto per quel giorno, una fantasia d’azzurro piena di nastri e di lustrini che suscita subito l’allettante vision di acqua fresca nella calda giornata estiva. Con l’acquolina in bocca la guardò mentre attraversava il grande atrio con la sua andatura elegante, chiaramente ignara dell’effetto che le sue curve voluttuose avevano su di lui. La folle idea di ignorare Hammer, fermo accanto alla porta, e dirle che aveva cambiato idea per poi portarsela di sopra con qualche scusa gli riempì la mente, ma suo nonno sarebbe venuto a saperlo e Caro non gliel’avrebbe perdonata, anche perché non si rendeva ancora pienamente conto di quanto fosse intenso il suo desiderio per lei. Sospirando la raggiunse e la prese a braccetto, per poi salire sulla carrozza in attesa. Bond Street non era lontana e presto si ritrovarono a passeggiare tra la folla, fermandosi davanti alle vetrine più alla moda. Caroline cominciò a entrare in un negozio dopo l’altro, con lui che l’accompagnava dentro per darle il suo parere. Con sollievo scoprì che aveva le idee chiare su ciò che cercava, evitando così di mettere a soqquadro interi negozi come facevano di solito le dame della Londra che conta. Per strada, invece, si accorse che attirava su di se tutti gli sguardi, sia degli uomini che delle donne. Il suo stile elegante ed esclusivo, assolutamente personale, la faceva spiccare tra la folla; a questo si aggiungeva l’ampio ventaglio delle sue conoscenze, sparse un po’ ovunque nei variegati salotti del ton. Dopo aver salutato lady Holland, Michael guardò i pacchi che teneva in mano e le lancio un’occhiata impaziente. — Abbiamo finito? Lei sorrise. — Credo proprio di sì, ma potremmo anche continuare la nostra passeggiata — disse. — Se dobbiamo indagare anche nei salotti, non possiamo perdere l’opportunità di incontrare di persona le poche nobildonne rimaste in città e strappare qualche invito. — A proposito — cominciò Michael. — Stavo quasi dimenticando che Honoria ci ha invitati a prendere il tè questo pomeriggio. Immagino che saremo solo noi tre, visto che con tre figli di cui cura personalmente l’educazione, non ha più molto tempo da dedicare ai salotti. Il volto di Caroline si illuminò. — Non la vedo da anni! — esclamò. — L’ultima volta che ci siamo parlate è stato al funerale di Camden. Andiamo — disse contenta, prendendolo a braccetto. — Che ore sono? Lui prese l’orologio da taschino. — Abbiamo il tempo di arrivare in fondo alla strada e di tornare indietro. Saremo a casa sua alle cinque in punto. — Molto bene — commentò lei. — Vediamo un po’ chi incontriamo adesso. Si fermarono due volte a chiacchierare con altrettante nobildonne, poi arrivò la sorpresa che lasciò entrambi a bocca aperta. — Caroline! Speravo proprio d’incontrarti qui! Muriel Hedderwick. Tutti e due si fermarono dov’erano. — Che incredibile coincidenza — riprese Muriel attraversando frettolosamente la strada, per poi squadrarli da capo a piedi. Michael inclinò la testa, prendendole la mano per il baciamano. Lei aggrottò altezzosamente la fronte, poi sorrise a Caro. — Ma sei davvero uno splendore! — Grazie. Adoro questo abito così comodo e fresco — si schermì lei. — Sei qui per qualche riunione? — le chiese. Muriel si spostava solo per quello. — Ah, sì — sospirò lei. — Il comitato direttivo dell’Older Orphans Temperance Society. Ieri doveva cominciare la ristrutturazione dell’orfanotrofio... Per cinque interminabili minuti Muriel si produsse in un soffocante monologo sui problemi e gli obiettivi dell’associazione. Caroline sentiva Michael muoversi impaziente al suo fianco, ma sapeva che interromperla serviva solo a prolungare quel supplizio e quindi si limitò a sorridere e ascoltare. — E quindi, mia cara, puoi ben capire la mia preoccupazione — concluse Muriel, parole che in genere preludevano alla fine. Ma l’insidia era sempre in agguato. — Vista la mole di lavoro che ci aspetta, abbiamo davvero bisogno di una mano. Perché non ti unisci a noi? — le chiese con un’intensa occhiata. — Adesso che sei tornata in Inghilterra, non senti il bisogno di fare qualcosa per le nostre associazioni? Stasera alle otto c’e un’altra riunione... Caroline sorrise. — Ti ringrazio per l’invito. Farò di tutto per partecipare — dichiarò. Sapeva per esperienza che in quei casi era meglio per tutti ricorrere a una piccola bugia. Se avesse rifiutato, Muriel avrebbe fatto di tutto per convincerla: meglio restare sul vago e non farsi vedere, per poi scusarsi con lei alla prossima occasione. Michael doveva aver pensato la stessa cosa, poiché sorrise e non mosse un muscolo. Lo sguardo sospettoso di Muriel passò da uno all’altro. — La riunione si terra in Alder Street al numero quattro. Non è difficile trovare la strada, visto che è appena dopo Aldgate. Lui aggrottò leggermente la fronte, poi guardò Caroline. Sapeva bene che lei non conosceva Londra così a fondo. Il rischio di ulteriori spiegazioni incombeva minaccioso nell’aria. Rischio che Caro spazzò via con un luminoso sorriso. — So dov’è. Spero tanto di riuscire a liberarmi e di raggiungerti alle otto alla riunione. — Ottimamente — commentò Muriel. E con un sorriso a Caro e un regale cenno di saluto per lui, si allontanò a passo di marcia sul marciapiede affollato. — Finalmente! — sospirò Michael quando lei fu lontana, reprimendo l’impulso di dirle che se voleva davvero andare alla riunione, forse faceva bene a portarsi un robusto valletto. Le sarebbe servito se per caso avesse osato contraddire quella donna. — Immagino che tu non abbia alcuna intenzione di andare in Alder Street alle otto, vero? — Certo che no — mormorò Caro, per poi scuotere leggermente la testa. — Povera Muriel. La sua ossessione per questo genere di cose non fa che peggiorare col tempo. Ormai sono diventate la sua vita: per questo non riesce ad accettare il fatto che qualcuno può anche non essere interessato, almeno non quanto lei — concluse, guardandolo con il sorriso sulle labbra. — Ma per fortuna, in quelle associazioni c’è anche gente molto più ragionevole. Michael incontrò il suo sguardo. — In tal caso, possiamo prendere il tè da Honoria senza sentirci troppo in colpa.

Capitolo 18

Che cosa aveva detto Devil a Michael sul testamento di Camden? Quei due si erano rinchiusi nello studio per quasi mezz’ora mentre Honoria le faceva conoscere i suoi tre splendidi figli. Caro glielo chiese non appena salirono in carrozza, voltandosi per guardarlo negli occhi. Lui aggrottò la fronte e le sorrise. — La casa ti è stata lasciata con inoppugnabile chiarezza e non può tornare ai Sutcliffe in nessun modo. Alla tua morte, passera ai tuoi eredi. — Cioè a Geoffrey, che sicuramente non sta cercando di uccidermi. Quindi non c’è nulla nel testamento che possa spingere qualcuno ad attentare alla mia vita. — Non direttamente, no. Tuttavia, contiene molti lasciti a persone che non sono imparentate tra loro. Devil mi ha chiesto il permesso di sottoporre il testamento a due della combriccola per ulteriori ricerche. Caroline si accigliò. — Quale combriccola? E chi sarebbero questi due? — Gabriel e Lucifer e la combriccola e quella dei Bar Cynster. — Chi? Michael dovette riflettere per rispondere. — Rupert e Alasdair Cynster. — Mio Dio, che soprannomi! — dichiarò lei alzando gli occhi al cielo. — Sono appropriati, te lo garantisco. — Davvero? E come possono aiutarci un diavolo e un angelo? — Gabriel è uno dei migliori esperti della city e nessuno meglio di lui conosce il sottobosco della finanza. Lucifer invece è un rinomato esperto d’arte, specializzato in argenti e gioielli. Ma le sue conoscenze spaziano un po’ in tutti i campi e visto ciò che contiene la casa... Dopo un attimo, lei annuì. — In tal caso, immagino che i loro talenti possano tornare utili. — Sapevo che avresti risposto così e per evitare perdite di tempo gli ho dato l’assenso per te. Visti gli ambienti in cui sono soliti muoversi i Cynster, la discrezione è garantita — dichiarò prendendole una mano. — Ho fatto bene? Caro lo guardò negli occhi e si chiese se una simile indagine non serviva più che altro a tranquillizzare lui. Che qualcuno la volesse morta era un dato di fatto, ma dentro di sé era certa che si trattasse di una persona assolutamente sconosciuta che voleva impedirle di rivelare qualcosa di cui pensava fosse a conoscenza, non di un amico, o peggio, un parente che agisse per interesse. Michael però sembrava intenzionato a indagare in ogni direzione e questo la commosse. Ripensò a come si era offerto di accompagnarla in Bond Street, un sicuro tormento per un uomo come lui, e si disse che mai finora qualcuno si era interessato tanto alla sua sicurezza. Per mostrargli la sua gratitudine doveva permettergli di agire come riteneva giusto, anche se quel tipo d’indagine si sarebbe certamente rivelata una perdita di tempo. Sorridendo, si appoggiò allo schienale imbottito e disse: — Se sono discreti come dici, hai fatto benissimo.

Quella sera entrarono a braccetto nel salone di Harriet Jennet, la zia di Michael. Non erano invitati, ma, come membro della famiglia, Michael poteva venire quando voleva e vista la sua fama, Caro si augurava che lo stesso valesse per lei. Credeva che avrebbe letto negli occhi dell’anziana nobildonna perlomeno una vaga sorpresa, ma Harriet salutò entrambi con il suo tipico aplomb rotto, se mai era possibile, da un lampo divertito che le attraversò gli occhi azzurri. Sembrava quasi che vedere suo nipote tornare a Londra con lei fosse esattamente ciò che si era aspettata. — L’hai avvisata prima? — sussurrò a Michael mentre entravano nell’affollato salone. Lui scosse la testa. — No. — Allora è stato tuo nonno — sbuffò Caro. — Speravo tanto di riuscire a sorprenderla! Credo che nessuno sia riuscito in quest’impresa da almeno cinque anni. Trascorsero una piacevole serata in compagnia del membri del ton rimasti in città, a cui si aggiunsero diversi esponenti politici e alcuni diplomatici. La sua comparsa accanto a Michael aveva certamente suscitato la curiosità di molti, ma nessuno lo diede a vedere. Almeno non fino a quando lei non si imbatté in Therese Osbaldestone, una delle nobildonne più temute del ton. — Bene, chi abbiamo qui? — gracchiò la vecchia signora trapassandola con occhi di ossidiana, poi l’abbracciò con affetto. — Sono sempre lieta di rivederti, mia cara. — Grazie, milady — rispose lei con la dovuta riverenza. — Ho visto Honoria a cena e ho saputo che alloggi da quel vecchio trombone di Magnus Anstruther- Wetherby — aggiunse subito lady Osbaldestone. — Posso chiederti perché? Nessun altro si sarebbe mai permesso di porle apertamente una simile domanda, come peraltro di definire Magnus un “vecchio trombone”. Caroline sorrise. — Ero in vacanza da mio fratello nell’Hampshire, ma un piccolo problema con il testamento di Camden mi ha costretta a venire in città. Michael si è offerto di accompagnarmi, visto che doveva recarsi a sua volta a Londra e così, visto che non ho ancora riaperto la casa di Half Moon. Street... Caroline pregò che la sua espressione fosse innocente al punto giusto, ma lady Osbaldestone sapeva leggere a meraviglia tra le righe. — Davvero? Già, siete vicini e vi conoscete fin da ragazzi — concesse, poi partì all’attacco. — Quindi non c’è nulla di speciale nel fatto che ti sei presentata qui a braccetto con lui, giusto? Caro fece spallucce. — Non ho fatto in tempo a ricevere l’invito e Michael è di casa. — Capisco — disse lentamente la terribile vecchia. — Un interesse davvero notevole per una tranquilla serata tra amici. In ogni caso, qual è questo piccolo problema con il testamento del tuo defunto marito? Credevo che tutto si fosse risolto ormai da tempo. — Un problema che riguarda alcuni lasciti — tagliò corto lei, mostrandosi apertamente restia a parlarne. Therese sembrò accettarlo; con un sorriso disse: — Mi ha fatto davvero piacere vederti in giro la scorsa Stagione. Sono lieta che tu non abbia abbandonato la scena come spesso capita. Per come la vedo io — aggiunse, fissando su di lei il suo sguardo acuto — non hai nessuna scusa per non usare il tuo talento e la tua esperienza dove servono. La sicurezza consisteva nel tacere. Caro annuì piano. — Adesso raccontami tutto della tua permanenza da Geoffrey. Chi c’era quest’anno nell’Hampshire? Caroline le raccontò ogni cosa, soffermandosi soprattutto sul ballo di mezza estate e sulle scintille tra russi e prussiani. Quand’era giovane, Therese Osbaldestone era stata una personalità riconosciuta negli ambienti diplomatici e politici. Suo marito era stato ambasciatore prima di diventare ministro e nonostante fosse morto ormai da tempo, lei continuava a esercitare la sua notevole influenza in molti circoli di altissimo livello. Forse era per questo che aveva un debole per Caroline, e le mostrava un affetto che lei ricambiava di cuore. Si capivano, conoscevano entrambe le sfide che comportava il loro ambiente e sapevano quanto fosse importante andare oltre le apparenze. — E così c’erano i portoghesi al gran completo — dichiarò Therese, pensandoci un attimo. — Strano, visto che l’ambasciatore è in villeggiatura a Brighton con la moglie. — È venuto a trovarci — rispose Caro. — Mi è sembrato disponibile e cortese come sempre. — Ah, non ne dubito. Non lo conosco bene quanto te, ma visto che sei la vedova di Camden... — cominciò la vecchia nobildonna, aggiungendo davanti al suo sguardo perplesso: — Un piccolo riconoscimento alle capacità di tuo marito. Con i portoghesi è sempre stato invischiato, già prima della sua nomina ad ambasciatore. — Davvero? — chiese Caro, alzando subito le orecchie. Lady Osbaldestone era una coetanea di Camden. — Ah, si — sospirò Therese, poi aggiunse con un sorriso malizioso: — Immagino che nessuno te l’abbia mai detto, ma Camden era in affari con una bella congrega di cortigiani disinvolti. Secondo me, sua maestà l’ha nominato ambasciatore per evitare che un giorno o l’altro lo impiccassero. — Dite sul serio? — domandò Caroline allibita, non celando in alcun modo il suo interesse. — Chi erano questi cortigiani e in quali affari era coinvolto mio marito? Therese scosse la testa. — Nessuno lo sa di preciso. Era una voce che girava, veniva smentita con forza e poi riaffiorava qualche mese dopo. Purtroppo, questo mistero se n’è andato con lui. Caroline annuì. Capiva benissimo di cosa parlava lady Osbaldestone e ciò che le aveva appena detto confermava il suo atroce sospetto: c’era qualcosa nel passato di Camden che spingeva qualcuno a uccidere pur di cancellarlo. E lei era sicuramente nel mirino. Un brivido le corse lungo la schiena. — Hai freddo, mia cara? — le chiese Therese guardando la finestra aperta. — Si sta alzando un po’ di vento. Vieni, passeggiamo nel salone. Caro si avviò con lei, cercando Michael con lo sguardo. Inutile insistere oltre con lady Osbaldestone: se avesse saputo di cosa si trattava, glielo avrebbe detto subito.

Dovevano affrettare le ricerche il più possibile se volevano arrivare da qualche parte. Con queste parole, Michael uscì subito dopo colazione per sondare a fondo i suoi contatti, mentre lei si chiuse nello studio e ricomincio a studiare gli appunti di Camden. Ciò che Therese le aveva detto la sera prima confermava l’ipotesi che la soluzione del mistero fosse nel suo passato, ma nonostante la certezza che qualcosa dovesse pur trasparire dai suoi appunti, il lento progredire tra appunti di ogni genere cominciava a diventare frustrante. A questo si aggiungeva la profonda irritazione per dover perdere tempo dietro una faccenda che sembrava fatta apposta per distrarla da cose più importanti, come ciò che stava accadendo tra lei e Michael, oppure le strane sensazioni che aveva provato tenendo tra le braccia la piccola Louisa, la figlia minore di Honoria. I bambini non erano mai entrati nel suo mondo. Non facevano parte dell’equazione del suo matrimonio, né ci aveva mai pensato in generale. Anche se voleva bene a Elizabeth e a tutti i suoi cugini, raramente li aveva visti da piccoli e non ricordava di aver mai preso in braccio uno di loro. Adesso però si accorgeva che non c’erano mai entrati perché la vita non l’aveva mai permesso: mentre teneva in braccio Louisa, il suo peso, il bacio che le aveva dato sulla guancia, la sensazione delle sue piccole braccia attorno al collo l’avevano riempita di una gioia difficile a spiegarsi. Tutte queste idee, speranze, sentimenti, le risultavano del tutto nuove. Voleva esplorarle, studiarle a fondo, capirle, ma risolvere il mistero di chi volesse ucciderla e perché aveva naturalmente la priorità. Sospirando, si voltò verso la parete. Finora era riuscita a esaminare a fondo due casse di documenti. A giudicare da quelle che restavano, ne aveva ancora per diverse settimane. Troppe. Ci voleva un aiuto. Doveva scrivere a Edward e farlo venire in città? Lui sarebbe arrivato subito e come segretario di Camden non poteva sperare in un aiuto migliore, ma Elizabeth l’avrebbe certamente seguito. No, ci voleva qualcun altro, qualcuno di cui potesse fidarsi al punto... — Ma certo! — esclamò, pensandoci bene. Non poteva dargli i diari, visto che contenevano commenti molto personali, ma le note e gli appunti riguardavano cose di tutti i giorni. Lui avrebbe potuto vagliarle per lei. — Conoscendolo, sarà certamente in città — disse convinta, poi si alza e tirò il cordoncino del campanello.

— Buon pomeriggio. I1 visconte Breckenridge e in casa? Il maggiordomo la guardò impassibile. Non la conosceva ed evidentemente aveva delle precise istruzioni a riguardo. — Chiedo scusa, milady? Sbuffando, lei prese un biglietto da visita e glielo porse. — Portatelo a Timothy e vedrete che mi riceverà — dichiarò convinta, notando davanti a se la porta aperta di un salottino. — Io aspetterà là dentro, ma prima di salire dovreste spiegare ai miei valletti dove possono sistemare alcune casse. — Casse? — ripeté allibito il maggiordomo, tornando a guardare il suo biglietto. — Sì, casse per Timothy. Capirà tutto quando mi vedrà — ribadì lei con vaga impazienza, per poi voltarsi verso la strada e far cenno a qualcuno di sbrigarsi. — Sono parecchie. Forse è meglio sistemarle in biblioteca, o magari nel suo studio. Il maggiordomo sbatté le palpebre, ma dovette spostarsi quando i valletti entrarono con le prime casse. — La biblioteca è da questa parte — fu costretto a spiegare, poi le lancia un’occhiata e si avvio con loro. Caroline sorrise, si sfilò i guanti e si accomodò nel salottino, aspettando che Timothy la raggiungesse. Cinque minuti dopo la porta si aprì e Timothy Danvers, visconte Breckenridge, entrò a passo di marcia. — Caroline! Che cosa fai qui? Lei contemplò le sue ciocche bionde spettinate, la veste da camera di seta rossa che si era gettato addosso in fretta e furia e i pantaloni spiegazzati. — Oh, no! Sono arrivata in un momento inopportuno? — gli chiese ridacchiando. Le sue labbra si chiusero per trattenere una feroce imprecazione, poi si voltò per sbattere la porta in faccia al maggiordomo ficcanaso e ripeté: — Cosa diavolo fai qui? Caro tacque, dato che voleva calmarlo, ma tratteneva a stento una risata. Timothy aveva trentun anni ed era un uomo straordinariamente bello, con le spalle larghe, il corpo snello e muscoloso, il profilo da dio greco e un’innata, felina eleganza. Ma nonostante venisse descritto come micidiale per qualsiasi donna al di sotto dei settant’anni, non rappresentava alcun pericolo per lei. — Devo chiederti un favore. — Quale favore? — ribatté subito lui, avvicinandosi a grandi passi per poi fermarsi di colpo e guardarla accigliato. — Prima, dimmi che hai avuto il buonsenso di venire velata da capo a piedi e con una carrozza senza stemma. Di nuovo, lei dovette sforzarsi per non ridere. — I valletti dovrebbero aver tolto lo stemma della carrozza, credo — scherzò. — Ti ho portato alcune casse. — Casse? La guardava allibito quanto il maggiordomo, ma con occhi molto letali. — Le casse che contengono parte dei documenti di Camden — si affrettò a spiegare. Lui la guardò in silenzio, studiandola per un attimo per poi scuotere la testa come per scacciare una distrazione. — E la tua carrozza? — Non è mia, ma di Magnus Anstruther-Wetherby. Ma stai tranquillo, ho fatto togliere lo stemma — aggiunse subito nel vano tentativo di rassicurarlo. — Di chi è? — gemette Timothy. — Dov’è adesso? — Parcheggiata sulla strada, immagino. Timothy la guardò come se fosse impazzita del tutto, poi imprecò e suonò il campanello. — Porta via subito quella carrozza! — tuonò verso l’incolpevole maggiordomo, per poi voltarsi verso di lei nel momento stesso in cui la porta si richiuse. — Insomma, tagliamo corto. Perché hai portato qui i documenti di Camden? Lei glielo spiegò, vedendolo sempre più pensieroso man mano che procedeva nel racconto. — Sono venuta qui per chiedere il tuo aiuto. La spiegazione del mistero è probabilmente in quei documenti!, ma sono troppi e posso fidarmi solo di te. Leggerò io i diari, visto che sono pieni di riferimenti che solo io ed Edward possiamo capire. Tu non leggeresti gli appunti e alcune lettere? Sono più specifici, quindi più facili da capire. Ti prego, aiutami. Lui era un uomo d’azione e si vedeva, ma era anche intelligente, colto, raffinato. Senza dubbio in grado di cogliere i passaggi più importanti contenuti negli appunti. Il suo sospiro suonò rassegnato. — E va bene. Devo cercare tutti i riferimenti ad affari fatti con i portoghesi, giusto? — Sì. E se vogliamo dar retta a lady Osbaldestone, il periodo più probabile è quello della sua nomina ad ambasciatore, oppure poco prima. — Ho capito. Bene, comincerò subito. Caroline lo guardò sorpresa. — Sei sicuro? Credevo di avere interrotto... — Ah, non importa cos’hai interrotto. Non era importante. Tu e questa storia lo siete molto di più. — dichiarò, stringendo le labbra e lanciandole una dura occhiata. — Ma c’è una condizione perché ti aiuti. Lei si limitò ad aggrottare un po’ la fronte. — Quale? — Che per nessun motivo devi tornare qui o farti vedere nei paraggi. Manderò io a chiamarti se scoprirò qualcosa. Caro alzò gli occhi al cielo. — Che sciocchezza! Sono la “vedova allegra”, ricordi? Tutti sanno che non è così facile sedurmi. Un’alzata di spalle e un lieve sbuffare sottolinearono il concetto, ma prima che potesse rendersene conto lui era già in piedi, proteso in avanti con entrambe le mani posate sui braccioli della poltrona nella quale lei era seduta. Era in trappola: con sua notevole sorpresa, un vago allarme le corse lungo la schiena. — Tutti sanno anche che io non mi arrendo tanto facilmente. I loro sguardi restarono incatenati un attimo, poi lei accennò ad alzarsi. — Lo so benissimo. Ma la questione non mi riguarda. Timothy si spostò, lasciandola libera di alzarsi. Quando posò la mano sulla porta, lo sentì sbuffare dietro di sé. — Non mi accompagni alla carrozza? — gli chiese sorridendo, avviandosi lungo il corridoio... quando sentì le sue mani posarsi improvvisamente sui fianchi. Stavolta fu lui a ridere davanti alla sua faccia perplessa. — Di là — le disse, indicando la parte opposta. — Fai visita a uno dei libertini più chiacchierati di Londra e non conosci nemmeno le procedure? La tua carrozza aspetta sul retro, così nessuno ti vedrà uscire. — Ah, già — replicò lei, scuotendo la testa come per rimproverarsi di tanta distrazione. Arrivarono in fondo al corridoio, poi attraversarono un salotto e uscirono in giardino. Ferma al di là del muro, con lo sportello proprio davanti al cancello del giardino, c’era la sua carrozza. Lui aprì, si guardo attorno, poi le fece cenno di salire. Stava per tornare indietro quando Caro si sporse fuori e disse: — A proposito, il rosso non ti dona affatto. Lui sbatté le palpebre, si guardò, poi arricciò le labbra in una smorfia. — Non farti più vedere qui — ringhiò. — Manderò io a chiamarti! Lo sportello si chiuse delicatamente; il cancello invece sbatté con forza. Poi la carrozza partì e Caroline sedette comoda sul sedile e cedette a un’irrefrenabile risata.

Lei e Michael avevano un impegno quella sera, un ballo al consolato della Corsica a cui avrebbero partecipato anche i dignitari dell’ambasciata spagnola. — Credi che loro possano sapere qualcosa? — chiese Caro mentre si trovavano in carrozza. — Forse è qualcosa che riguarda le guerre tra Spagna e Portogallo. Michael si strinse nelle spalle. — Difficile a dirsi, ma faremo bene a tenere le orecchie aperte. Se qualcuno è così disperato da uccidere pur di seppellire per sempre un avvenimento del passato, deve trattarsi di qualcosa di molto pericoloso e le guerre sono piene di intrighi. — Lo penso anch’io. Stasera potremmo cogliere un indizio dalla fonte più inaspettata. Stringendole le mani tra le sue, Michael scosse un po’ la testa. Si sentiva come un cavaliere che si difendeva su due fronti: tutto sembrava indicare che i colpevoli fossero i portoghesi, ma... — Oggi ho visto Devil. Ha parlato con Gabriel e Lucifer e si direbbe che in effetti i lasciti disposti da Camden non possano mettere in pericolo la tua eredità. In pratica, nessuno degli altri eredi trarrebbe vantaggio dalla tua morte e quindi possiamo scartare questa pista, anche se Gabriel continua a indagare. Lucifer invece vorrebbe esaminare le antichità contenute nella casa, per vedere se c’è qualcosa di strano. Lei lo guardò perplessa, obbligandolo a spiegarsi meglio. — A quanto pare, le antichità sono un affare complicato. Camden potrebbe esser stato coinvolto in un giro di falsi, che adesso qualcuno vuole coprire a ogni costo. Cose di questo genere, insomma. Lei si accigliò. — Non so molto della passione di Camden per l’antiquariato, visto che la sua collezione esisteva già quando mi sono sposata e lui non mi ha mai coinvolto. So però che aveva contatti sempre con la stessa gente e comunque che prendeva le sue informazioni prima di trattare con qualcuno. Immagino che negli anni abbia imparato a stare attento. — Immagino di sì, ma avresti qualcosa in contrario se Lucifer desse un’occhiata alla collezione? Caro scosse la testa. — Nient’affatto, anzi. Più ipotesi riusciamo a scartare, meglio è. Lui le strinse leggermente le dita. — Precisamente. Ci sono novità dai documenti? — No, purtroppo. Ma le ricerche procederanno più spedite, visto che mi sono ricordata di un vecchio amico di Camden e gli ho portato i documenti meno personali perché mi aiutasse. La carrozza di fermò davanti agli scalini del consolato e il valletto in attesa aprì la porta. Michael annuì per farle capire che aveva sentito, scese e le porse la mano, dirigendosi con lei verso la moglie del console che attendeva all’ingresso, pronta a salutare Caroline con entusiasmo tipicamente latino. La notizia gli arrivò come una bomba quando il ballo volgeva al termine, a opera di un alto funzionario del Foreign Office che aveva ricevuto l’invito. Nonostante la sua attenzione andasse esclusivamente a Caroline, Michael aveva notato la strana assenza di dignitari e funzionari dell’importante ministero che forse avrebbe presto diretto. Poi, sul tardi, vide entrare Jamieson, uno dei segretari particolari del ministro, che si scusò per il ritardo con la padrona di casa per poi cercarlo con lo sguardo. — Temo che sia successo qualcosa — mormorò a Caroline con uno strano presentimento addosso. Lei seguì il suo sguardo, studiando Jamieson che si avvicinava. — Strano che sia arrivato così tardi — mormorò. — Proprio così — affermò lui, notando la sua aria leggermente trafelata. Alla fine il funzionario li raggiunse. Salutò Caro con un inchino, poi annuì solennemente a Michael. Lui gli porse la mano. — Sembrate un po’ agitato, amico mio. Jamieson strinse le labbra. — Stasera, qualcuno è entrato al ministero e ha frugato negli archivi — riferì. — Per questo sono arrivato così tardi. Due dei nostri depositi sono stati passati al setaccio. Loro si guardarono. — Quali? — chiese Michael. — Non ci credereste mai — rispose Jamieson stringendo le labbra. — Hanno fatto tanta fatica per consultare del vecchi fascicoli sul Portogallo. Incredibile! Caro lo studio accigliata. — Perché è così strano? — Perché la stessa cosa è accaduta due settimane fa a Lisbona! Qualcuno è entrato nottetempo nell’ambasciata e ha forzato gli archivi — dichiarò Jamieson lanciando a Caro una cauta occhiata. — Voi conoscete bene la situazione in Portogallo, milady, e così mi chiedevo se non potete aiutarci a scoprire chi è stato. Lei si premurò di sgranare gli occhi e di annuire convinta. — Ma certo. Che cosa cercavano? Manca qualcosa? — No, per fortuna. Le pagine sono numerate e non ne manca nessuna. I fascicoli erano chiaramente fuori posto, ma... — Che periodo riguardavano? — lo interruppe Michael. Il periodo immediatamente precedente a quando sir Sutcliffe fu nominato ambasciatore — rispose Jamieson, guardando Caro. — Siamo inclini a pensare che cercassero delle informazioni su qualche attività illecita a cui vostro marito ha posto termine. Ci sarà sicuramente un’inchiesta e così sono davvero lieto di avervi avvisata in anticipo. Non esitate a contattarci se vi viene in mente qualcosa di importante. Lei annuì. — Ma certo. Lasciarono Jamieson e poco dopo salutarono la padrona di casa, intenzionati a tornare a casa per riflettere con calma.

— Sai una cosa? — le chiese Michael più tardi, quando la raggiunse in camera sua. — Comincio a credere che qualcuno abbia perso la testa per nulla. Che cosa sperava di trovare negli archivi del Foreign Office che già non si sapesse? — Non lo so — mormorò Caro gettandogli le braccia al collo. — Ma è possibile che l’intrigo sia sotto gli occhi di tutti, solo che nessuno se n’e accorto. Cingendola alla vita, lui la guardò negli occhi prima di cercare le sue labbra. — Interessante. Hai qualche idea? Con un lieve sorriso, Caroline aggrottò leggermente la fronte. — Conoscendo Camden, so che poteva architettare qualsiasi cosa. Ora, considerando i suoi agganci a corte e ciò che mi ha detto lady Osbaldestone, è possibile che nei suoi documenti ci sia qualcosa di davvero esplosivo. — Credi che al ministero non se ne sarebbero accorti? Lei strinse le labbra, rimproverandolo senza parole per la sua ingenuità. — Chi può sapere che cosa nasconde il ministero? Inoltre comincio seriamente a dubitare che mio marito abbia davvero depositato tutti i fascicoli. E se esistesse un archivio segreto? — Mi sembrava che l’avessi escluso. — Non proprio — replicò lei con un sospiro. — Ma se esiste, sarà pur menzionato da qualche parte e per quanto riguarda i suoi contatti, so in che periodo cercare. Domani classificherò i documenti in base alla data. In quel momento però, avvolta nella penombra della notte e stretta tra le sue braccia, classificare i documenti di Camden non era in cima alle sue priorità. Alzandosi in punta di piedi, gli sfiorò le labbra e sussurra: — Adesso baciami. Michael sorrise e l’accontentò. Voleva chiederle chi era il “vecchio amico” di Camden e come mai si fidava tanto di lui, ma poteva anche rimandare a dopo la questione visto che il bacio si stava facendo sensuale, invitandolo a esplorare orizzonti che lo catturarono anima e corpo, ma che, soprattutto, gli catturarono il cuore. Con nessun’altra donna aveva mai provato una tale vicinanza, ne avrebbe immaginato di arrivare a tanto. Più passavano i giorni, e soprattutto le notti, più il loro mondo si faceva definito, come se il destino avesse affidato loro il compito di completare una metà del mosaico e il lavoro fosse quasi terminato. Quella constatazione lo scosse profondamente, riempiendolo di frizzante euforia. Esultava al pensiero di ciò che li aspettava, poiché nonostante lei non avesse ancora accettato la sua offerta, era difficile prevedere uno sbocco diverso dal matrimonio per la loro relazione. La strada per arrivarci era ancora immersa nella nebbia, l’incertezza continuava a dominare, ma il traguardo spiccava chiaramente. Era là, alla loro portata, se fossero riusciti a sgomberare la strada da ogni ostacolo. Più tardi, appagato e stanco, la strinse tra le braccia e le accarezzò dolcemente i capelli fino a quando lei si addormentò. Purtroppo doveva alzarsi per tornare nella sua stanza, ma poteva rubare ancora cinque minuti per ascoltare in silenzio il respiro leggero di Caro, per assaporare il suo caldo corpo femminile che giaceva rannicchiato accanto a lui in una promessa più chiara di mille parole. L’impazienza si faceva sentire sempre di più, ma da tempo aveva imparato ad apprezzare la semplice saggezza dell’attesa. Caroline doveva decidersi da sola, senza pressioni da parte di nessuno. Però, forse, poteva fare qualcosa per spingerla a decidersi, si disse mentre si alzava silenziosamente dal letto. Influenzare sottilmente la gente era la dote principale di un politico e in quel campo nessuno poteva dargli lezioni. Tranne forse sua sorella. E se avesse chiesto aiuto a Honoria?

Capitolo 19

Il giorno dopo, Michael uscì alle due e mezzo del pomeriggio dalla casa di Devil e Honoria e si avviò lungo Grosvenor Street rimuginando sulle parole di sua sorella. Le aveva chiesto che cosa l’aveva convinta a sposare Devil, dato che la conosceva bene e sapeva che diventare duchessa era stata l’ultima delle sue considerazioni. Lei e Caroline erano molto simili sotto quel punto di vista: entrambe avevano bisogno di qualcosa di più dei semplici privilegi per rinunciare alla loro indipendenza. Devil le aveva offerto quel qualcosa; lui era pronto a offrire tutto ciò che serviva, se solo avesse saputo di cosa si trattava. Lei aveva riso davanti alla sua espressione sperduta. — Non so se può valere anche per Caroline, ma io ho cambiato idea perché Devil mi ha offerto ciò di cui più avevo bisogno, ciò che poteva trasformare la mia esistenza nella vita che sognavo. Quando ho capito che era pronto a darmelo con tutto il cuore, ho accettato la sua proposta. Poi il suo sguardo si era posato sui bambini. Non aveva mai parlato di figli con Caroline e dunque non aveva idea di cosa ne pensasse, ma sapeva bene che nel suo caso i figli sarebbero stati un punto d’arrivo, lo sbocco naturale di qualcosa di molto più prezioso. Quell’ineffabile emozione che lei aspettava da anni e che lui, con sua grande frustrazione, non riusciva a mettere a fuoco. Anche Honoria doveva averlo intuito, poiché dopo un lungo istante di silenzio si era sentita obbligata ad aggiungere: — Non riesco a spiegartelo meglio di così. Per ogni donna è diverso, ma sappi che se riesci a darle una sola prova della tua volontà di provarci, allora avrai fatto un enorme passo avanti. Non gli era rimasto che ringraziarla, rendendosi conto di quanto rassegnato doveva esserle sembrato. Ci avrebbe pensato, ma in un altro momento, perché ormai era arrivato a casa di suo nonno. Salutò Hammer e salì al piano superiore, trovando Caro seduta su una poltrona dello studio immersa nella lettura del diario di Camden. Aveva raccolto in una treccia i suoi capelli soffici e sottili, avvolgendoli quindi in un delizioso chignon; quando alzò il volto dai lineamenti cesellati e gli sorrise, Michael vide i suoi occhi accendersi di gioia. — Eccoti, finalmente. Spero sinceramente che tu sia venuto a salvarmi. Lui entrò sorridendo, le prese il diario e lo posò sul tavolino, poi le strinse le mani e la fece alzare. Quindi la cinse tra le braccia e la baciò, un bacio lungo e appassionato ma pur sempre un breve incontro. Purtroppo, quel pomeriggio dovevano mettere un freno al loro ardore. — Dobbiamo andare, immagino. Sei un po’ in ritardo! — esclamò Caro sospirando. Michael rise per lo scherzoso rimprovero che trasparì dalla sua voce. — Temo proprio che Lucifer ci stia aspettando. Si erano messi d’accordo per mostrargli la collezione di Half Moon Street, dandogli appuntamento alle tre. Quando arrivarono lo videro appoggiato al cancello, alto, bruno, bello come il peccato. Non appena scesero dal calesse, si avvicinò a loro sorridendo. — Lady Sutcliffe, è un onore fare la vostra conoscenza. Lei sorrise. — Grazie, milord. Ma vi prego, chiamatemi Caro. Lucifer salutò Michael, poi si voltò verso la casa. — Vi confesso che sono ansioso di vedere ciò che contiene. Caro rise e salì rapidamente gli scalini. — Ecco, signori — disse quando aprì la porta, invitandoli a entrare con un eloquente gesto della mano. — Non sapevo che mio marito fosse un collezionista tanto famoso. — Vi garantisco che era il collezionista più eclettico e completo che abbia conosciuto — replicò Lucifer, fermandosi a studiare un vaso sistemato su una piccola colonna bianca nell’atrio. Poi si giro con gli occhi che brillavano. — La maggior parte dei collezionisti si dedica a un tipo particolare di oggetti. Vostro marito no. Lui collezionava di tutto, ma per uno scopo ben preciso: arredare questa casa — spiegò, indicando dapprima il vaso, poi l’insieme composto dal tavolino e due sedie in stile classico. — Tutto è stato scelto per riportare ogni oggetto alla funzione per cui è stato originariamente costruito. Questa collezione non ha eguali perché tutto ciò che la compone vive — dichiarò, guardandosi attorno. — Credete che la sua passione fosse tale da spingerlo a commerciare dei falsi per coprire le spese? — gli chiese Michael. Lucifer si voltò — Proveremo a capirlo dando un’occhiata in giro e facendo qualche ricerca con Gabriel. Ma prima ditemi: a chi si rivolgeva per gli acquisti? Ho già qualche nome, ma vorrei una conferma da voi. Caro conosceva di persona gli antiquari, visto che Camden li vedeva ogniqualvolta tornava con lei a Londra. — Wainwright, Cantor, Jofleur e Hastings. Non trattava con nessun altro. — Ne siete certa? — Assolutamente. Lui rifiutava le offerte che gli arrivavano da altri antiquari. Una volta mi disse che non gli interessavano gli articoli dalla dubbia provenienza e che loro erano gli unici di cui si potesse fidare. — Aveva ragione e questo corrisponde alle informazioni in mio possesso — affermò Lucifer, aggiungendo dopo una breve pausa: — Non solo, ma riduce di molto il sospetto che fosse implicato in un giro di falsi. Quei quattro trattano solo con collezionisti dalla reputazione immacolata — disse, poi li guardò con un sorriso malizioso: — O perlomeno, con persone conosciute come tali. Lei continuava a dubitare che ci fosse la compravendita di oggetti antichi dietro i tentativi di ucciderla, ma ormai riteneva Camden capace di tutto. Per questo non batté ciglio quando Lucifer le chiese di vedere le stanze principali della casa, cominciando naturalmente dal salone e dalle sale adiacenti Mentre aspettava che Lucifer finisse di studiare una collezione di bicchieri in sala da pranzo, Caro vide sulla mensola del camino il candelabro che normalmente troneggiava in mezzo al tavolo. Attraversò la sala, lo prese e lo rimise a posto, rimproverandosi per non aver ancora avvisato la signora Simms del suo ritorno in città. Senza dubbio l’aveva spostato per spolverare, per poi dimenticarselo la sopra. Il giro continuò, con Lucifer che prendeva diligentemente nota di ogni cosa. Michael seguiva lui e Caro in silenzio, ascoltando solo in parte ciò che si dicevano. Per quanto gli spiacesse, doveva dar torto a Lucifer. Quella casa non viveva affatto. Era vuota, fredda, un lussuoso involucro che poteva essere unico nel suo genere, ma a cui mancava tutto. E non si riferiva solo a una torma di bambini che correva gridando lungo i corridoi, bensì alla sola cosa che Camden si era scordato di portarci. Forse non gli interessava, oppure non ne era capace; in ogni caso, ciò che poteva far vivere davvero quella casa, ciò a cui Caro anelava con tutto il cuore, non aveva mai messo piede lì dentro. Se Camden aveva davvero creato quella casa per lei, era stata una fatica inutile. Un paio d’ore dopo tornarono nell’atrio. Lucifer declinò il loro invito a cena per dei precedenti impegni, ma prima di salutarli disse: — Controllerò l’elenco al più presto e poi mi darò da fare insieme a Gabriel per capire se i conti non tornano — annunciò, poi storse un po’ le labbra. — In ogni caso, mi spiace annunciarvi che esiste un’ottima ragione perché ci sia un collezionista dietro i tentativi di omicidio. Michael e Caro si guardarono. — Quale? — chiese lui. — A quanto ho visto, questi sono tutti pezzi unici — cominciò Lucifer. — Ora, se venissero rubati non sarebbero commerciabili. Per vendere degli oggetti del genere bisogna attestarne la provenienza e questo significa che dovreste essere voi a venderli. Seguì una pausa, mentre Michael e Caro si sentivano sempre più perplessi. — Ebbene, voi smembrereste la collezione per vendere i pezzi separatamente? — chiese infine Lucifer. — No — replicò subito lei. — Questa è una creazione di Camden e io la preserverò com’è. — Precisamente — affermò Lucifer. — Ebbene, per quanto fastidiosa possa sembrarvi questa domanda, se voi moriste i vostri eredi venderebbero? Magari dopo qualche tempo? Lei lo guardò con gli occhi spalancati, poi si voltò verso Michael. — Naturalmente Elizabeth, Geoffrey e gli altri eventuali eredi non nutrono per questa collezione la stessa passione di Caroline. Immagino che dopo qualche tempo comincerebbero a vendere — disse dopo un attimo. Caroline non poté fare altro che annuire. — Quando ho preso le mie informazioni, sono rimasto sorpreso da quante persone conoscono i pezzi che Camden ha comprato per questa casa — concluse Lucifer, aggiungendo cupamente: — Ci sono dei collezionisti pronti a uccidere pur di mettere le mani su un pezzo unico. E qui, ci sono delle antichità invidiate in tutto il regno. Invece di restringersi, la rete sembrava ampliarsi a dismisura includendo delle possibilità a cui non avevano mai pensato. Una però dominava su tutte e conduceva dritta in Portogallo: per questo motivo furono entrambi grati a Evelyn quando quella sera a cena annunciò di avere scritto a una vecchia amica che conosceva certamente molte cose. — Il marito di lady Claypoole era l’ambasciatore in Portogallo prima di Camden — spiegò loro. — Purtroppo è deceduto da diversi anni, ma Ernestine potrebbe sapere qualcosa e questa settimana è in città per fare visita a certi parenti. Potremmo mandarle un biglietto. Tutti concordarono sull’opportunità di provare anche quella strada, poi Michael e Caro salirono per prepararsi alla serata. Quella sera avevano un invito all’ambasciata delle Fiandre, e avrebbero concluso la serata nel salotto di lady Castlereagh. Non appena entrarono nel salone dell’ambasciata, Caro notò un profilo che conosceva bene tra la folla di quasi sconosciuti. — Guarda! C’è Ferdinando vicino alle finestre — sussurrò. Michael guardò a sua volta, poi strinse le labbra. — Andiamo a salutarlo? Potremmo chiedergli che cosa fa a Londra — propose lei. Lui annuì. — Ottima idea. Ma mentre si facevano strada tra gli invitati, Ferdinando si mosse e quando raggiunsero la finestra, lui non c’era più. — Ci ha visti ed è fuggito! — esclamò Michael. Purtroppo l’ambiente formale imponeva loro di controllarsi anche se la fuga di Ferdinando confermava i loro peggiori sospetti. — Perché andarsene se non aveva nulla da nascondere? — commentò Caro accigliata. — Perché il nostro amico ha molto da nascondere. Ma lo rivedremo — sibilò Michael. Poi dovettero sorridere perché lady Winston, la moglie del governatore della Giamaica, si avvicinò tra mille moine per salutare Caro. Le presentò Michael e restò sempre al suo fianco anche quando ripresero a passeggiare tra i gruppi d’invitati. Lo stesso accadde con lady Castlereagh, spingendo Caroline a chiedersi se il tacito accordo che li spingeva a fare squadra nasceva dalla necessità di Michael di averla accanto, una necessità che lei percepiva con chiarezza e che si sentiva istintivamente portata a soddisfare, oppure dal suo desiderio di proteggerla. A giudicare da come le stringeva la mano mentre procedevano a braccetto tra la gente, era proprio il desiderio di proteggerla la spiegazione più probabile. Quella serata non servì a scoprire alcuno scheletro che i portoghesi nascondevano nel proverbiale armadio, ma permise a Caroline di acquisire una nuova consapevolezza su molte cose a cui non aveva mai badato. Più tardi, una volta tornati a casa, Michael la raggiunse come sempre nella sua stanza per inoltrarsi insieme a lei in un oceano di piacere condiviso, per poi giacere stanchi e appagati a letto con i loro cuori che battevano insieme, i loro fiati che si mischiavano, il sonno che incombeva piacevolmente su di loro. Solo allora Caroline permise ai suoi pensieri di vagare su tutto ciò che aveva visto, capito, appreso su di lui e sulla sua necessità di averla. Una necessità che non nasceva dalla vicinanza fisica, per quanto piacevole potesse dimostrarsi, né dal bisogno di aiuto per farsi strada fino ai massimi livelli. Lo dimostrava il modo in cui la stringeva a sé, il calore con cui le accarezzava dolcemente i capelli baciandole la fronte, il fatto che continuasse ad abbracciarla anche quando cadeva addormentato, la tensione che lo trasformava ogniqualvolta sembrava necessario proteggerla. Era questo a tradirlo, l’istintivo bisogno di difenderla. Aveva detto di volerla sposare e che la proposta restava valida fino a quando lei non avesse deciso. In pratica doveva solo dirgli si o no: ebbene, nonostante non avesse mai pensato di poter superare la sua profonda avversione per il matrimonio, o meglio per un altro matrimonio, doveva ammettere che l’idea di sposare Michael la tentava. Conteneva una promessa capace di sciogliere persino le gelide mura che aveva eretto attorno al cuore: lei non era più una debuttante, visto che Camden l’aveva lanciata nel circolo ristretto della diplomazia e Michael si era occupato d’istruirla sul meraviglioso mondo della sensualità, ma quella stessa esperienza che le diceva di non fidarsi mai delle apparenze, la esortava anche a non rifiutare i doni del destino. Doni preziosi che spesso venivano offerti una sola volta nella vita. Era pronta ad affrontare il rischio d’innamorarsi di lui? Un’abile canaglia, un politico di successo, un uomo per cui la capacità di persuasione faceva parte delle doti necessarie. Tuttavia, lui non aveva mai cercato di usare quelle doti per convincerla. Non era la sua lingua vellutata a tentarla cosi, ma ciò che faceva nella vita di ogni giorno. Il sonno si insinuò con forza nei suoi pensieri, sparpagliandoli, confondendoli, trasformandoli nei primi scampoli di un sogno. L’ultima cosa che sentì fu la rassicurante sensazione del corpo di Michael accanto a lei, nudo, caldo, appesantito dal languore dell’appagamento. Le braccia protettive che la cingevano mandavano un messaggio semplice e chiaro nella sua complessità: lui non era Camden. Sdraiato accanto a lei, Michael sentì il respiro di Caro farsi lento e regolare man mano che sprofondava nel sonno. Anche lui sarebbe crollato volentieri, ma non poteva restare. Si sarebbe alzato non appena avuta la certezza di non svegliarla e per ingannare il tempo cercò di mettere a fuoco la loro situazione, capire a che punto erano arrivati e come darle ciò che lei chiedeva, trasformando in realtà il suo sogno più sentito. Poteva darle una casa e una famiglia, l’invidiata posizione di moglie di un ministro e tutto ciò che le serviva per mettere a frutto le sue capacità sociali. Eppure nulla di tutto ciò costituiva la chiave per conquistarla. Offrirle una copia della vita che lei già conduceva non l’avrebbe mai convinta a diventare sua moglie. Il sonno si fece sentire con prepotenza. Sospirando, sedette sul letto e le sfiorò la bocca con un bacio, poi gettò di lato le coperte e si alzò.

Il tempo passava e nulla di nuovo emergeva dai documenti di Camden e dalle loro ricerche. Neppure la visita a lady Claypoole tornò di qualche utilità, dato che l’anziana nobildonna ricordava che c’era stato un po’ di trambusto negli ultimi mesi della sua permanenza a Lisbona, ma non sapeva dire chi fosse coinvolto e, soprattutto, se vi fosse implicata l’ambasciata inglese. La notizia peggiore riguardava Ferdinando, scomparso nel nulla dalla sera alla mattina. Neppure il suo contatto presso i portoghesi sapeva più dove trovarlo. Questo non era certo un buon segno. Qualcosa bolliva in pentola e loro non avevano fatto mezzo passo avanti; mentre saliva le scale di casa il pomeriggio successivo, Michael stava seriamente pensando a come proteggere Caro nell’ipotesi sempre più probabile che le ricerche non avessero dato alcun frutto. Celando il nervosismo per non preoccuparla, salì al piano di sopra e bussò alla porta dello studio. Come sempre, lei era immersa nella lettura del diario; cercò il suo sguardo e gli sorrise, facendogli cenno di sedersi. — Hai scoperto qualcosa dagli spagnoli? Lui scosse la testa. — No, purtroppo. Ma vista la rivalità tra loro e i portoghesi, la cosa non mi stupisce più di tanto. Caro annuì e riprese a leggere, mentre lui si accontentò di restare lì a guardarla in silenzio assaporando quell’atmosfera intima, rilassata, domestica. Era una panacea per i suoi nervi tesi: non sapeva perché ma bastava la sua presenza per alleviare l’ansia che gli stringeva il cuore. Dovevano venire a capo del mistero, riuscendo a capire che cosa cercava con tanta insistenza l’ignoto attentatore! Sentì il campanello echeggiare nell’atrio; qualche minuto dopo, Hammer bussò discretamente alla porta, facendo voltare entrambi. — Per voi, milady — disse il maggiordomo quando entrò, porgendole un biglietto. — Il ragazzo che l’ha portato non aspettava risposta. Caroline prese la busta sigillata dal vassoio d’argento — Grazie, Hammer. Con un inchino Hammer se ne andò, mentre lei leggeva rapidamente. Michael la vide scuotere la testa, poi posare con aria rammaricata il biglietto sulla scrivania. — Purtroppo, neppure Breckenridge ha scoperto qualcosa — dichiarò. Lui spalancò gli occhi, chiedendosi se aveva capito bene. — Breckenridge? Vuoi dire Timothy Danvers, l’erede di Brunswick? — Proprio lui. Ti avevo detto che mi sarei fatta aiutare da un vecchio amico, no? Meno male che mi ha scritto, altrimenti sarei andata di persona. Vecchio amico? Andare di persona? Michael strabuzzò gli occhi. — Cosa? Devi essere impazzita. Tu che vai di persona da uno come lui... — cominciò, poi tacque per un attimo quando la verità lo colpì come un pugno. — Ci sei già andata, vero? Caroline lo guardò perplessa. — Dovevo pur portargli i documenti. Ma sono andata con due valletti, anche se poi ho dovuto spiegargli che cosa cercare. Per un lungo istante Michael restò immobile come una statua, poi esplose. — Ti sei chiusa in un salotto con lui, a casa sua, da sola, senza dirmi nulla? Questo la fece infuriare. — Sì, perché? Conosco Timothy da almeno dieci anni e ho danzato con lui al mio matrimonio. Era un socio di Camden e si conoscevano da una vita intera! — Non è difficile, visto che Danvers avrà meno di trent’anni. — Ne ha trentuno — lo corresse Caro. — Ed è uno dei più chiacchierati libertini di Londra! Per l’amor del cielo, una donna come te non può far visita a uno come lui come se andasse a prendere il tè da un’amica! — Ma certo che posso — replicò subito lei, — Anche se, adesso che mi ci fai pensare, è stato tanto sgarbato da non offrirmi neppure il tè. — Ah, lo immagino — grugnì Michael. Caro aggrottò la fronte. — Non cominciare con queste sciocchezze. Possibile che voi uomini siate tutti uguali? Persino lui si è subito agitato perché sono entrata a casa sua dalla porta principale, senza essere velata, con la carrozza parcheggiata sulla strada. Che idiozie — sbuffò, lanciandogli una severa occhiata. — Ebbene, voglio ricordare anche a te che sono Caroline Sutcliffe, l’inarrivabile “vedova allegra”. Tutti sanno che non soccomberò mai alle lusinghe delle canaglie che si aggirano nel ton! Lui sorrise ironicamente. — Tu non c’entri — chiarì Caro, liquidando la cosa con un gesto della mano. — Non sei una canaglia, non ti aggiri per il ton e non sei solito lusingare nessuno. Un punto a suo favore, doveva ammetterlo, ma anche così la gelosia mordeva. — Caro, ascoltami. Non è opportuno che una donna come te... — Ah, basta con questa storia. Timothy è un vecchio amico mio e di Camden, uno dei pochi di cui posso fidarmi senza riserve. So bene cosa si dice di lui, ma so altrettanto bene di non correre alcun rischio in sua presenza — dichiarò con cristallina convinzione. — Ho chiesto il suo aiuto per accelerare i tempi e adesso non ho alcuna intenzione di perdere ore in una sciocca discussione. Lo vedi quante casse di documenti ci sono ancora da studiare? — gli chiese, indicandole con un cenno e alzandosi per prendere diversi, pesanti fascicoli. — Tieni, dagli un occhiata. Non appena vedi qualcosa di sospetto, mostramelo subito. Glieli consegnò sbuffando e tornò a sedersi, riprese il diario e comincia a leggere con una matita tra le labbra. Michael la guardò esterrefatto. Era troppo esperto per non accorgersi che si trattava di una vera e propria manipolazione: a Breckenridge erano andati i documenti meno personali, ma visto che con lui era diverso, allora poteva studiare insieme a lei le carte private. Imprecando dentro di sé, abbassò lo sguardo sui fascicoli posati sulle sue ginocchia. Erano davvero spessi. Chissà cosa contenevano. Suo malgrado si ritrovo ad aprirli, sfogliarli, e leggere qualche passaggio. — Che cosa devo cercare? — chiese sospirando. — Qualche traccia di un intrigo che riguardi la corte di Lisbona, il nome dei Leponte, il duca di Oporto e il conte di Albufeira — rispose lei distrattamente. Michael la guardò chiedendosi se non era lui, in effetti, a essere impazzito. Sapere che la donna che intendeva sposare faceva visita senza alcuna cautela al libertino più famoso di Londra avrebbe scosso le certezze di qualsiasi uomo, ma invece di chiuderla a chiave in casa le stava dando partita vinta. Solo in apparenza, però. Aggiungendo mentalmente Breckenridge all’elenco di persone sulle quali indagare l’indomani, prese una matita e cominciò a studiare i fascicoli.

Caroline non era affatto certa di come prendere la gelosia di Michael. Per quanto ne sapeva, un uomo geloso tendeva a imporre, a limitare, a sottrarre con la forza dei preziosi scampoli di liberta. Di conseguenza aveva sempre visto come fumo negli occhi gli uomini gelosi, ma dopo la futile discussione del pomeriggio lui non aveva più detto una parola, costringendola a riflettere. Nessuno era mai stato geloso di lei. Anche se lo trovava estremamente irritante, doveva ammettere che l’idea aveva il suo fascino. Rivelava molto di ciò che lui provava, incuriosendola a tal punto da sopportare senza batter ciglio il cupo silenzio che aleggiava nella carrozza mentre si recavano al ballo degli Osterley. Michael non era più irritato; sembrava piuttosto immerso nei suoi pensieri, tutto preso dallo sforzo di mettere a fuoco l’amicizia tra lei e Timothy. Tuttavia, quando raggiunsero la sontuosa dimora di città degli Osterley e lui l’aiutò a scendere, Caro si accorse che la sua attenzione era tornata completamente su di lei. A braccetto salirono le scale, salutarono i padroni di casa e si diressero verso il salone, mentre Michael si faceva in quattro per metterla a suo agio. Dopotutto, avere accanto un uomo geloso presentava dei notevoli vantaggi. Il salone degli Osterley traboccava di gente importante, tutti esponenti del mondo politico, finanziario, diplomatico; era l’ultima serata di gala della Stagione e gli inviti venivano attentamente dosati. — Vedo che il cambiamento è davvero nell’aria — gli sussurrò Caro studiando insieme a lui l’elegante folla d’invitati. — Mancano persino diversi ministri. Possibile che non siano stati invitati? Michael sospirò. — A lady Osterley piacciono i personaggi in ascesa. Sicuramente li ha invitati, ma loro hanno preferito non farsi vedere. Lo scorso governo è stato un mezzo fallimento: bisogna cambiare, o il paese rischia di sprofondare nel caos. Si parlava di ampliare i diritti di voto, anche se non alle donne, di strade, porti, industrie e ferrovie, ma anche di come alleviare la miseria sempre più diffusa. Sfide immani per il prossimo governo, ma non si poteva più dormire sugli allori. Era tempo di prendere delle decisione fondamentali per lo sviluppo del paese. — Vogliamo gettarci nella gabbia dei leoni? — chiese Michael alzando ironicamente un sopracciglio. — Andiamo — replicò lei, dirigendosi subito verso Devil e Honoria che li guardavano sorridenti. E non erano i soli. Mentre si aggiravano nello sfarzoso salone dopo aver salutato la zia di Michael e lady Osbaldestone, fermandosi nei vari gruppi e scambiando le loro impressioni con ministri e deputati, si accorsero degli sguardi incuriositi di molti dei presenti e dell’insolito entusiasmo con cui molti li avvicinavano. In quell’ultima settimana avevano battuto a fondo i salotti di Londra per le loro indagini: evidentemente le voci giravano anche a quel livello e presentarsi sempre insieme aveva sortito un effetto che nessuno dei due poteva prevedere. Caro ne ebbe conferma verso la fine della cena, quando vide dall’altra parte dell’enorme tavola imbandita la padrona di casa che cercava il suo sguardo, per poi indicare con un cenno Michael seduto a poca distanza e rivolgerle un luminoso sorriso. Lei sorrise a sua volta, provando la netta impressione di essere stata appena inclusa nel cerchio ristretto del potere femminile. Perplessa, riprese a mangiare decisa a non farsi influenzare in alcun modo dalle impressioni altrui. Ma non appena la cena terminò e le signore si alzarono per tornare nel salone, lasciando gli uomini liberi di discutere i loro affari sorseggiando il porto e fumando i sigari, Therese Osbaldestone si avvicinò e la prese a braccetto, indicando la porta- finestra aperta. — Ho bisogno di un po’ d’aria — le disse. — Vieni, facciamo quattro chiacchiere. Incuriosita, Caro si avviò lentamente con lei verso la terrazza. Come sempre, Therese spiccava nella folla per la sua severa eleganza. Quella sera indossava un abito di seta marrone dal collo alto che esaltava la collana di perle e diamanti, mentre numerosi anelli adornavano le dita ossute strette sul bastone da passeggio. Certa del proprio aspetto, visto il taglio innovativo dell’abito di seta eau de Nil e la bellezza dei gioielli d’ambra e argento che le ornavano il collo e i polsi, lei la seguì fino a un angolo appartato in modo che potessero parlare senza interruzioni. Non appena arrivarono alla balaustra, Therese si voltò e la studiò da capo a piedi con il suo sguardo d’ossidiana. Molti si sarebbero sentiti a disagio, ma lei lo sostenne senza batter ciglio. Poi la nobildonna sorrise, voltandosi verso gli splendidi giardini della casa. — La maggior parte della gente è rimasta sorpresa, ma io no. Complimenti per il tuo buonsenso. Doveva aspettarsi una cosa del genere. Fece per spiegarle che non c’era ancora nulla di deciso, ma Therese aggiunse: — Troppo spesso ci limitiamo a criticare, dimenticandoci di fare i complimenti a chi imbocca la strada giusta. Ci conosciamo da tanti anni, Caroline: sai bene che non ho mai pensato di poter influenzare le tue scelte, ma adesso credo che qualche parola d’incoraggiamento sia opportuna — dichiarò, guardandola accigliata. Caro tacque. — Se ben ricordi, io ero tra i pochi che non applaudirono al tuo matrimonio con Camden — riprese Therese, voltandosi di nuovo verso i giardini. — Questo perché all’inizio lo consideravo una trappola e basta. Ma poi, negli anni, ho cambiato parzialmente idea: non perche avessi cominciato a ritenere Camden un marito adatto a te, ma perche intuii che era un mentore davvero perfetto per stimolare le tue doti. Lei si voltò a sua volta verso i giardini. Sentiva su di sé lo sguardo di Therese, ma non si voltò per sostenerlo. — Se non sbaglio, il concetto di mentore e discepolo descrive con esattezza il rapporto che c’era tra voi. Potrà essere stato difficile, persino esasperante, ma devo dire che il risultato è davvero splendido. Per questo ti ho preso in disparte, per applaudire il tuo ritorno nella mischia. Tu hai le doti, le capacità e l’intelligenza che più servono a questo paese. Ci aspettano tempi difficili, vedrai. Il potere deve andare a uomini integerrimi, capaci e coraggiosi al punto da poter guardare avanti. Uomini che devono avere... La frase restò in sospeso. Caro si voltò e i loro occhi si incontrarono. Solo allora Therese inclinò la testa e aggiunse con aria cospiratoria: — L’aiuto di donne come noi. Un lampo di orgoglio e sorpresa le attraversò gli occhi. Dette da lady Osbaldestone erano parole che pesavano. Dopo quella di lady Osterley, ecco la seconda parte della sua investitura. Che cosa doveva succedere ancora quella sera? Lo scopri qualche attimo più tardi, rientrando con Therese che sembrava davvero divertita dalla sua perplessità. Da sempre sapeva che i potenti formavano un circolo ristretto. Era una situazione che conosceva bene grazie a Camden, ma non aveva mai sperimentato di persona quarto ristretto potesse essere. Ciò che vide non appena tornò nel salone con lei, le gettò in faccia la cruda realtà. Michael era in piedi vicino al grande camino, immerso in una fitta conversazione con tre uomini: lord Martinbury, George Canning, l’attuale ministro degli Esteri, e il capo del governo, lord Liverpool. Fu proprio Liverpool a notarla mentre esitava sulla porta. Le sorrise, annuì, poi sussurrò qualcosa a Michael, che si voltò guardandola sperduto. Il dado era tratto. Ma lei ancora non sapeva se giocare la partita.

Capitolo 20

— Che cosa ti ha detto Liverpool mentre non c’ero? — chiese Caro con decisione non appena la carrozza partì. Lui tacque per un lungo istante, poi guardò fuori dal finestrino con aria tormentata. — Canning rassegnerà le dimissioni all’apertura autunnale del Parlamento, insieme a una mezza dozzina di ministri. Liverpool lo sacrificherà sull’altare delle trattative con gli americani, che non hanno registrato passi avanti. — E tu dovrai assumere il suo incarico — affermò Caroline, trattenendo fiato per la tensione. Era il coronamento della brillante carriera di Michael, ma sapeva bene che si sarebbe realizzato a una sola condizione. — Forse sì, ma non è questo il punto — replicò lui, spingendola ad aggrottare la fronte. — Il punto è che la gente vuole facce nuove che indichino con chiarezza la strada da prendere. Il paese vuole soluzioni, nuovi modelli, maggior equilibrio. Le battaglie che ho condotto mi rendono un candidato ideale, ma... — Sei scapolo — lo interruppe lei. — Non è forse questo motivo per cui il Primo ministro mi guardava così, come se sperasse di strapparci questa sera la promessa di sposarci? — Si è detto molto fiero di noi due. Io sono rimasto sul vago riguardo alle nostre intenzioni, rinviando a fine agosto la risposta alla sua offerta. — E lui che cosa ha detto? — Che devo pensarci bene. Il partito non ha intenzione di promuovere la mia candidatura se non sono sposato e questo lo mette in una posizione difficile. Perlomeno Liverpool aveva delle alternative; lei, al contrario, sembrava giunta a un bivio che non poteva ignorare. Tutto sembrava accadere così rapidamente, eppure sapeva bene che non era così. Ci pensava da giorni, persino da settimane, fin da quando Michael aveva lasciato a lei la decisione chiarendo che non rinunciava al suo obiettivo, ma riconoscendole il diritto di scegliere la vita che voleva e consegnandole così le redini della loro relazione. Ciò che non si aspettava fino a quella sera era che le avesse consegnato anche le redini della sua carriera. Solo adesso si rendeva conto che l’aveva fatto volontariamente, ben conoscendo le conseguenze di un rifiuto. Nonostante l’incertezza, non poteva fare a meno di apprezzarlo ancora di più per questo, ma cosa doveva fare riguardo il matrimonio? Doveva arrendersi alla corrente, farsi trasportare, dar retta a Therese Osbaldestone e seguire Michael ai massimi livelli della politica? Con uno sforzo cercò di guardare oltre, di proiettarsi nel futuro e di soppesare bene ogni elemento prima di decidere. La tentazione di rifiutare era forte: le sue ferite bruciavano ancora, troppo profonde e dolorose per seguire senza timore la strada che tutti volevano farle percorrere. Ma se era vero che la volta precedente aveva sofferto troppo, era anche vero che la sua opposizione al matrimonio si stava facendo più sfumata, almeno per quanto riguardava Michael. Se solo avesse avuto tempo per capire meglio il sentimento che li legava sempre più e accertarsi che fosse davvero quello che pensava, forte, intenso e duraturo come mai avrebbe sperato d’incontrare nella vita... ebbene, probabilmente avrebbe accettato con entusiasmo di diventare sua moglie. Non c’erano altri ostacoli. Solo lei, le lezioni apprese dalla vita, i suoi ricordi e le sue paure. Per questo non poteva accettare un’altra volta di sposarsi a occhi chiusi. Non poteva più permettersi di legarsi così profondamente a qualcuno solo per una speranza. Era giovanissima quando aveva sposato Camden e solo per questo aveva volontariamente accettato di farsi trasportare dalla corrente. Anche allora tutti la incoraggiavano; peccato solo che quella corrente così gelida l’avesse gettata su una spiaggia su cui non voleva mettere piede mai più. La vita con Camden non era stata particolarmente difficile. Una volta che si era abituata al suo tradimento, era arrivata persino ad apprezzare la prigione dorata di Lisbona. Non le mancava nulla, ma si sentiva così sola! Il suo matrimonio era un guscio vuoto proprio come la casa di Half Moon Street. Per questo esitava a tornarci, perché a prescindere dal fasto, dalla ricchezza e dallo splendore di ciò che conteneva, non c’era nulla per lei la dentro. Nulla su cui costruirsi una vita. — Dobbiamo parlare — disse, interrompendo il lungo silenzio in cui anche lui era caduto. Michael si voltò, studiando il suo volto nella penombra della carrozza. La linea determinata delle sue labbra gli disse subito che non gli sarebbe piaciuto ciò che lei stava per dirgli, ma ciononostante le sorrise. — Lo so — rispose, appoggiandosi tranquillamente allo schienale. Lei esitò. Non si aspettava tanta calma. Strideva apertamente con la tensione che le attanagliava il cuore. Tirò un lungo respiro e disse con voce piatta, senza guardarlo negli occhi: — Quando tutto questo è cominciato, mi hai detto che spettava a me decidere se sposarti o meno. Io ho sempre saputo che parlavi seriamente, così come sapevo che dovevi sposarti per ambire al posto di ministro. Tuttavia ho sempre pensato che il rimpasto del governo fosse più lontano, che nulla sarebbe successo prima di ottobre. Adesso so che non sarà così — concluse sospirando. — Perché tu possa occupare la poltrona di Canning, dovremmo annunciare il matrimonio entro agosto, in modo da poterci sposare per la metà di settembre al massimo. Michael aggrottò la fronte come se stesse calcolando i tempi. — Ebbene? Come poteva essere così sereno quando lei si sentiva fremere per l’incertezza? — Ebbene, c’è un problema — dichiarò seccamente. — E cioè che non ho ancora deciso. Io non ci riesco! Non era certo una novità. Ignorando la gelida morsa che per un attimo gli strinse il cuore, Michael si spostò un poco sul sedile e aprì la tendina, in modo da poterla guardare in volto. Il tormento di Caro fu subito evidente. Voleva alleviarlo in qualche modo, ma la vita gli aveva insegnato che ogni cosa andava fatta a suo tempo. Adesso era il momento di farla parlare. — Perché no? — le chiese. Caroline gli lanciò un’occhiata, poi guardò avanti e deglutì. Dopo un attimo disse: — Ti ho spiegato come Camden è riuscito a convincermi. E tuttavia, nonostante avessi solo diciassette anni, non ero completamente ignara. Volevo più tempo per pensarci, per accertarmi che fosse sincero, ma lui doveva ripartire per Lisbona in breve tempo e così dovevo accettare o rifiutare. Ho accettato, come ben sai, di cacciarmi in una trappola. “E adesso, undici anni dopo, mi ritrovo davanti la stessa situazione, un’offerta di matrimonio da accettare o rifiutare perché ancora una volta non c’è tempo, perché gli eventi incalzano, perché per diventare ministro devi prima sposarti. Io mi chiedo se sia giusto dare per scontato che tutto sarà perfetto, che tutto è ciò che sembra, che noi due... Lo sfogo si concluse con un gesto della mano. — Io tengo moltissimo a te, lo sai — riprese Caro. — E in queste settimane ho potuto constatare quanto tu tenga a me. Ma neppure questo basta a farmi commettere la stessa follia un’altra volta. Se mai mi sposerò, lo farò solo perché sono sicura di ciò che faccio, ma non voglio che tu ne soffra le conseguenze. Questo lo spinse ad aggrottare la fronte. — Non stai dicendo che dovrei cercare un’altra donna, vero? Lei scosse la testa e per un lungo istante non rispose. Poi strinse le labbra e mormorò: — Per la tua carriera, dovresti farlo. — Ma non vuoi. Caro sbuffò. Poi disse, senza guardarlo: — No. Non voglio che sposi un’altra. Un’ondata di sollievo lo pervase. Finora, andava tutto a meraviglia. — Ma il punto non è questo — esclamò lei, passandosi la mano tra i capelli. — Tu devi sposarti entro poche settimane e questo mi obbliga a prendere una decisione in pochi giorni. Non voglio dirti di si, ma non posso dirti di no. Sono... Era tanto sconvolta da gridare. Michael prese la mano che lei agitava a mezz’aria, se la porta alle labbra e le sfiorò le nocche con un bacio. — Io non devo fare proprio nulla e tu non sei obbligata a prendere nessuna decisione. Gli occhi azzurro argento di Caroline si posarono su di lui. Grazie alla luce di un lampione, Michael si accorse che erano pieni di lacrime. — Abbiamo fatto un accordo, dico bene? Nessuna pressione da parte mia o di qualcun altro, nessun obbligo, nessuna persuasione. La decisione è tua e solo tua — le disse piano. Finalmente vedeva la strada giusta, l’unica per arrivare all’ambito traguardo. Piegando le labbra in un sorriso, le accarezzò una guancia guardandola negli occhi. — Non ti sposerò mai se tu non ne sei più che convinta. Tra noi, non ci sono clessidre che segnano l’ineluttabile destino. Stavolta devi prendere una decisione consapevole: è importante per me, per te, per tutto ciò che potremmo creare insieme. Si era reso conto ormai da un po’ di quanto fosse fondamentale quel punto. Se l’avesse messa sotto pressione, o se avesse permesso agli altri di metterla alle strette per far sì che fosse lui a occupare quella dannata poltrona, non sarebbe mai stato sicuro dei suoi sentimenti. — Farò tutto ciò che posso, e intendo davvero tutto, perché tu possa decidere liberamente — dichiarò convinto, caricando di significato ogni parola. — Perché la cosa più importante, almeno per me, è che tu scelga consapevolmente e autonomamente di diventare mia moglie, di unire la tua vita alla mia. Altrimenti, sono pronto a rinunciare. Caro lo guardò a bocca aperta. — Non capisco. Di nuovo, un mezzo sorriso da canaglia gli piegò le labbra. — Eppure è semplice: lord Liverpool dovrà fare a meno di me. Un lampo le attraversò lo sguardo. Provò a ritirare la mano, ma lui la trattenne. — Hai sentito bene — ribadì. — Non m’importa della poltrona. — Ma... saresti a capo del Foreign Office! Tu sei un politico: è il coronamento della tua carriera! — esclamò lei incredula. — Hai ragione: almeno un po’ m’importa — ammise. Doveva chiarire bene quel punto, altrimenti Caro non avrebbe capito e di conseguenza non gli avrebbe creduto. Guardandola negli occhi, cercò le parole giuste per spiegarsi. — Sono un politico e diventare ministro rappresenta davvero un sogno tenuto nel cassetto per tanti anni. Ma quella è solo una meta della mia vita e da quando ti conosco, comincio a pensare che non sia neppure la più importante. Perché l’altra meta è molto più soddisfacente. Lei lo guardò perplessa. — Pensa a tuo fratello: ha trascorso tutta la vita a Londra amministrando la sua proprietà da lontano, ma dopo la morte di sua moglie non ha esitato a lasciare tutto per dedicarsi a Elizabeth. Lo stesso vale per Devil. Nonostante le sue attività, ciò che riempie di significato la sua vita è Honoria, i suoi bambini, la sua famiglia, sia quella sotto il suo tetto che i Cynster in generale. Quella è la sua vera ragione di vita, lo scopo di ogni sua azione. Caro spalancò gli occhi, studiandolo perplessa. — E tu? — gli chiese. — Per me vale la stessa cosa. Ho bisogno di te, dell’ancora di una famiglia. Ho bisogno di una base, di solide fondamenta che mi sorreggano, di dare un senso a ciò che faccio. Per questo ti voglio come moglie. Voglio fare dei figli con te, voglio una casa piena di calore e di risate. Questo è ciò di cui ho bisogno e, grazie a te, l’ho capito con assoluta certezza. E se per averlo devo rinunciare alla poltrona — concluse sospirando — ebbene, sono pronto a farlo. Il posto di ministro non è importante quanto lo sei tu. Caro lo guardò strabiliata. L’istinto l’ammoniva a non fidarsi, ma per quanto lo studiasse, non vedeva sul suo volto che l’onesta più completa. — Significo così tanto per te? — chiese con un filo di voce. Non si era mai sentita così sorpresa: ciò che Michael le aveva detto andava al di la dei suoi sogni più azzardati. Michael inclinò la testa e le sorrise, poi disse piano: — La carriera è solo un gioco, Caro. Tu sei al centro della mia vita. Senza di te, il resto non conta. Quella dichiarazione aleggiò tra loro forte e imperiosa mentre la carrozza imboccava Upper Grosvenor Street. Lei dovette chiederglielo. — E la tua famiglia? Magnus farà fuoco e fiamme! Lui rise. — Oh no. Anzi, sarà proprio lui ad applaudire alla mia scelta. — Davvero mi vuoi così tanto? — Sono un egoista — sussurrò scherzosamente Michael mentre la carrozza si fermava. — Ti voglio perché ho bisogno di te! Lei scosse la testa. — Io... non so cosa dire. — Non dire nulla, allora — dichiarò lui con un sorriso, preparandosi a scendere. — Devi solo credermi, e ti garantisco che mi crederai. Potrà volerci tempo, ma io ti aspetterò. Era un giuramento solenne e vibrante, che legava i loro cuori con la sua calda promessa. Il valletto aprì la portiera e Michael scese, porgendole la mano per aiutarla. Lei lo ringraziò con un sorriso, poi salì insieme a lui le scale dell’ingresso sentendosi profondamente scossa. Per la prima volta, si augurò che Magnus ed Evelyn fossero già andati a letto.

Molto più tardi, dopo che lui l’ebbe raggiunta nella sua stanza per donarle ore intere di passione, dopo essersi lanciati a capofitto nel calore del reciproco piacere, Caroline lo senti muoversi dietro di lei nelle ore più buie della notte. Era sdraiata su un fianco, con la testa comodamente adagiata su un cuscino; Michael doveva avere riordinato il letto, visto che con sorpresa si trovò coperta fino al mento. Il calore dei loro lunghi amplessi pulsava ancora, mandandole tenui sprazzi di piacere in tutto il corpo. Erano passate ore, ma si sentiva ancora avvolta dalla passione, dal primordiale appetito, dall’urgente desiderio. Non riguardava solo Michael, ma anche lei. Nonostante le molte volte in cui avevano giaciuto insieme, assaporando, indulgendo e condividendo l’estasi del piacere, lei non aveva mai davvero capito da dove nasceva la forza che lo dominava. Ma dopo ciò che le aveva detto nella carrozza... anche se non poteva vederlo bene in volto, sentiva con chiarezza che era proprio quella forza a farlo parlare così, tanto potente e persuasiva da unire per sempre i loro cuori. Da quella sera in poi, non erano più Caroline e Michael, ma un’unica entità. Sentì la sua mano scivolare su un fianco, alzarle la sottile camicia da notte fino alla vita, poi accarezzarle voluttuosamente le natiche. Subito la pelle si scaldò, mentre la mano indiscreta scendeva appena un poco toccando da dietro la tenera carne tra le cosce. Un lungo dito si inoltrò tra le pieghe ardenti, esplorando, sondando, divaricando fino a trovare l’apertura. Un attimo più tardi, il suo lungo membro eretto la penetrò con prepotenza fino in fondo. Per un attimo si chiese se sapeva che era sveglia, ma sicuramente lo capì quando lei si inarcò con un gemito, premendo forte le natiche contro le sue gambe dure come il ferro per meglio assaporare quell’incredibile momento. Lui restò fermo per un attimo, in modo da farglielo gustare appieno. Poi, quando la sentì cedere, comincio lentamente a muoversi. Dentro di lei, attorno a lei, insieme a lei. Una grande mano aperta si posò sul suo ventre, tenendola ferma contro di lui. Caro la coprì con entrambe le mani, sussurrandogli tutto il suo incoraggiamento, emettendo gemiti strozzati quando lo sentì muoversi ancora e ancora, turgido e profondo invasore che la saccheggiava senza la minima pietà. Il familiare calore tornò ad avvolgerli, riversandosi come una cascata nelle loro vene. L’onda si alzò di nuovo e lei si fece spazzar via fremendo di gioia e di piacere, inoltrandosi con tutti i sensi accesi nel mare dorato della sensualità. Non c’era alcuna fretta nel cuore della notte. Solo un lento e profondo amoreggiare, visto che nessuno dei due aveva la forza di fare altro. A Caroline bastava la sensazione della spada nel suo fodero, dura, calda, incredibilmente sensuale mentre affondava per poi ritrarsi un poco. La sua felicita era alle stelle: più si prolungava la danza primordiale, più era certa che lui se ne rendesse conto. Il ritmo così blando le permetteva comunque di pensare, di tornare con la m ente alla domanda che più contava in quel momento. — Perché? — sussurrò, sapendo che lui avrebbe capito senza bisogno di altre spiegazioni. Due mani forti la cinsero alla vita. Le sue labbra le sfiorarono con un bacio languido la pelle sensibile del collo. — Perché e questo ciò che voglio — replicò Michael con voce calda e profonda. — Perché di tutte le donne, sei tu quella che desidero. Cosi! Un potente affondo le strappò un grido di piacere, ma poi il ritmo tornò a rallentare. — Ti voglio nuda accanto a me nel letto, mia da prendere quando lo desidero — riprese Michael, ancora più roco, una maschia promessa nel buio della notte. — Mia da avere e da riempire con il mio seme. Voglio farti portare in grembo i miei bambini. Voglio averti al mio fianco quando diventeremo vecchi. Perché alla fine, la spiegazione si riduce a questo: sei tu la moglie che cercavo e per averti sono disposto ad aspettare anche una vita intera, se proprio si renderà necessario. Il cuore di Caro traboccava di felicita. Per fortuna era voltata di spalle e lui non poteva vederla in volto, perché le lacrime di gioia che le scendevano copiose sulle guance avrebbero tradito tutta la sua emozione. E poi il ritmo cominciò a crescere, le spinte si fecero frenetiche e le parole divennero superflue in quel contatto senza tempo, in quella comunicazione primordiale in cui contavano solo loro e le emozioni che li univano. Michael la strinse a sé con forza, premendole il torace sulla schiena e spingendo fino a quando lei raggiunse l’orgasmo. Lui la seguì subito dopo e mano nella mano approdarono sulla loro spiaggia, calda, dorata e incredibilmente vicina.

Capitolo 21

Michael uscì di casa la mattina dopo con il cuore gonfio di felicità. Per la prima volta in settimane, si sentiva come se il sole avesse spazzato via le nebbie che gli impedivano di vedere le cose con chiarezza. Come aveva potuto essere così cieco? Caroline era tutto quello che più contava nella vita. Se ripensava al modo in cui aveva inizialmente affrontato il matrimonio, con l’umiliante esame della povera Elizabeth, non poteva evitare di vergognarsi di sé. Ma per fortuna era arrivata lei a mostrargli la strada giusta. L’aveva lasciata stanca e appagata nel letto, al sicuro a casa di suo nonno. Non aveva dormito molto quella notte, ma si sentiva comunque in piena forma mentre camminava di buon passo verso il club, intenzionato a sondare i suoi contatti. Come temeva, nessuno aveva idea di dove si trovasse Ferdinando. Resta al club fino a mezzogiorno, poi pranzò con Jamieson per sentire se c’era qualche novità riguardo le misteriose visite all’ambasciata di Lisbona e all’archivio del Foreign Office. Purtroppo, anche in quel caso le autorità brancolavano nel buio; dopo essersi accertato che la sicurezza era stata rafforzata, salutò l’imbarazzato funzionario e prese un calesse pubblico fino a Grosvenor Square, facendosi lasciare proprio davanti a casa di Devil. La nota che gli aveva mandato a colazione annunciava importanti novità. A quanto pareva, Gabriel e Lucifer avevano trovato qualcosa tra i lasciti disposti da Camden e in ogni caso era ormai tempo di vedersi per fare il punto della situazione, confrontare le reciproche scoperte e stabilire una strategia per il futuro. Webster, il maggiordomo di Devil, lo condusse nello studio senza troppi preamboli. Quando entrò, trovò il padrone di casa intento a discutere con Gabriel. Poco dopo arrivò anche Lucifer e i quattro uomini sedettero davanti al camino. Michael approfittò di quel momento per studiare a fondo i suoi interlocutori. Conosceva bene i Cynster, dato che dal matrimonio di Honoria in poi l’avevano trattato come un membro del clan. Darsi reciprocamente una mano faceva parte del loro codice d’onore; per questo non avevano esitato a mettere da parte tutto il resto dedicandosi esclusivamente ad aiutarlo. Gabriel lo guardò con il sorriso sulle labbra. — Anzitutto, sentiamo cosa avete scoperto voi. Michael fece una smorfia. Non ci volle molto a dire “nulla”. — Io ho notizie su Leponte — annunciò Devil. — Sligo, il mio uomo di fiducia, ha scoperto che è ancora a Londra e che ha assunto qualcuno per tenere sotto controllo il Foreign Office. Tuttavia è stato molto attento ad agire tramite intermediari e la sera dell’effrazione è scomparso nel nulla. Questo sembra indicare che sia rimasto per ore nell’archivio. — Visto che cerca qualcosa di scottante, è probabile che abbia agito di persona — commentò Michael. — Non credo che voglia correre il rischio di lasciare scritti compromettenti in mano a un estraneo. Devil annuì. — Se qualcun altro ne venisse a conoscenza, i suoi sforzi sarebbero stati vani. In ogni caso, Sligo ha solo raccolto delle voci grazie ai suoi contatti nei bassifondi e quella non è gente disposta a testimoniare. Pertanto, non abbiamo alcuna prova contro di lui. Con un sospiro, tutti si voltarono verso Gabriel che sembrava ansioso di parlare. — Non so se quanto ho scoperto abbia una particolare importanza, ma è davvero strano — cominciò, guardando Lucifer. — Andiamo con ordine. I lasciti disposti dal testamento erano nove. Tutti riguardavano pezzi di grande valore che facevano parte della collezione di Camden. Lucifer ne ha verificato l’autenticità, mentre io ho indagato sulle condizioni economiche dei beneficiari. Otto di loro sono dei noti collezionisti con cui Camden era in contatto e non sono certo a corto di fondi. — La cosa strana riguarda il nono beneficiario — intervenne Lucifer. — All’inizio non ho afferrato la sua importanza, visto che il lascito viene descritto sul testamento come “uno scrittoio di mogano Luigi XIV con pianale in marmo e fregi d’oro tempestati di zaffiri”. — Sembra prezioso — commentò Michael. Lucifer aggrottò leggermente la fronte. — Prezioso? Ha un valore inestimabile, signori. Perché vedete, dalle successive ricerche e emerso che non si tratta di un pezzo risalente all’epoca di Luigi XIV, ma bensì che era lo scrittoio di Luigi XIV in persona! Devil e Michael sobbalzarono sulla sedia. — E non è tutto — riprese Gabriel. — Sapete a chi è andata una tale fortuna? A un certo T.M.C. Danvers. — Breckenridge! — esclamò Michael. — Anche lui è un collezionista? — Niente affatto — rispose Lucifer. — Non solo: il patrimonio che ha ereditato da suo padre si sta rapidamente assottigliando — chiarì Gabriel. — E per quanto abbia indagato, non ho trovato alcun collegamento tra lui e Camden. Non erano in affari, non avevano parenti in comune e l’unica cosa certa, almeno a sentire i miei contatti, è che si conoscevano per qualche ignota ragione. Michael scosse incredulo la testa. — Secondo Caroline si conoscevano da tempo. Trent’anni, ha detto... Danvers ha trentun anni! Gli altri lo guardarono accigliati. — Vi ha spiegato qual era il loro rapporto? — No, ma si fida di lui completamente. Tanto da affidargli intere casse piene di documenti che appartenevano a Camden perché li studiasse. Un teso silenzio cadde nello studio. — Bisogna capire cosa lega Breckenridge ai Sutcliffe — commentò Devil dopo un po’. — Lo scrittoio, i documenti... sembrerebbe quasi che Caroline e Camden siano stati plagiati da quel furfante, oppure che ci sia sotto un ricatto. — Breckenridge è un uomo pericoloso, anche se viene descritto come un vizioso libertino — aggiunse Gabriel. — In base alle mie informazioni, nel suo passato ci sono diversi duelli e molte faccende poco chiare. Michael ascoltava pensieroso, chiedendosi se poteva essere proprio un ricatto la soluzione del mistero. Per quanto ci provasse non riusciva a vedere Camden o Caroline plagiati da qualcuno, mentre il ricatto poteva nascere da molte cose. Possibile che avessero sbagliato tutto, che i tentativi di uccidere Caro e le ricerche di Ferdinando non fossero in alcun modo collegati? — A questo punto, direi che c’è una sola cosa da fare: interrogare Caroline — disse. — Mi farò spiegare da lei che cosa c’entra Breckenridge in questa sporca faccenda. — Sembrerebbe l’unica soluzione — commentò Devil alzandosi. Gli altri si alzarono con lui. — Interrogatela oggi stesso. Prima riusciremo a capire i retroscena di questa storia, meglio sarà. Lui annuì e dopo aver salutato gli altri usci, percorrendo a passo di marcia Upper Grosvenor Street.

— Breckenridge — disse seccamente non appena entrò nello studio in cui Caro leggeva i diari di Camden. — Che cosa c’entra lui in questa storia? Lei lo guardò sbattendo le palpebre. Sedeva su una comoda poltrona con il diario sulle ginocchia. La casa era immersa nel silenzio del pomeriggio, con il sole che entrava copioso dalle finestre aperte. — Non sapevo che Timothy c’entrasse in qualche modo — commentò perplessa. — Che cosa avete scoperto tu e i Cynster? Sembrava sincera. Michael sentì allentarsi un poco la tensione che lo attanagliava. Guardandosi attorno, attraverso la stanza e sedette di fronte a lei. — Oh, nulla di particolare — rispose ironico. — Solo che per qualche oscura ragione, Camden gli ha lasciato una fortuna. Perché? E soprattutto, perché non me l’hai detto? Come facevano a conoscersi da quasi trent’anni, cioè da quando Breckenridge era solo un poppante? Che rapporto c’è tra loro? La sua rabbia era palese. Caro strinse le labbra, ma non poteva certo dargli torto. — Ti riferisci allo scrittoio, immagino — sospirò. — Ebbene, non te l’ho detto perché non era importante. Timothy non ha nulla a che fare con i tentativi di uccidermi, te lo garantisco. Siete su una pista sbagliata. Sentirla ripetere continuamente quel nome lo mandava su tutte le furie, ma una scenata adesso sarebbe stata davvero deleteria. Caro si sarebbe chiusa a riccio, mentre lui doveva spingerla ad aprirsi. L’ipotesi del plagio riprese subito forza. — Come fai a esserne certa? Lei inclinò un po’ la testa, come se stesse studiando la risposta. Poi lo guardò negli occhi e mormorò: — Non posso dirtelo, purtroppo, ma devi fidarti di me. Anche se non posso più escludere che qualcuno voglia uccidermi per mettere le mani sulla collezione di Camden, ti posso assicurare che Timothy non c’entra nulla. Mio marito gli ha lasciato lo scrittoio per una buona ragione — concluse, immaginando le conclusione a cui era arrivato con Devil. — L’ha deciso consapevolmente, senza pressioni o ricatti di alcun genere. Sembrava così sicura da lasciarlo senza parole. La sua mente vagò tra mille ipotesi, ma se davvero si trattava di plagio, affrontare la questione di petto non sembrava una buona tattica. — Dunque ti fidi di lui al punto da escludere che sia coinvolto? Caro si sporse in avanti, alzò una mano e gli accarezzò teneramente una guancia, guardandolo rammaricata. — Sì. Posso capire che per te non sia facile accettarlo, ma mi fido di lui fino a quel punto. Un lungo silenzio fece seguito a quelle parole, ma dentro di lui infuriava la battaglia. Doveva prenderla, gettarla in carrozza e portarla subito da Breckenridge per farsi spiegare da quella carogna il nesso tra lui e Camden oppure fingere di abbozzare, chiudere la questione e approfondire le indagini con Devil? Alla fine vinse la ragione. — E va bene — le disse. — Se ne sei davvero certa, lasceremo stare Breckenridge e ci concentreremo su Ferdinando. Lei tirò un sospiro di sollievo. Non immaginava che l’accettazione di Michael potesse contare tanto per lei. — Grazie — rispose sorridendo. Soffocando la sua rabbia, lui si alzò. — Devo tornare al club. Ci vediamo più tardi. E senza aggiungere altro, uscì dallo studio prima di tradirsi.

Michael era uscito da meno di mezz’ora quando Hammer bussò alla porta. — Un biglietto per voi, milady. Caro prese la busta e l’aprì, convinta che venisse da Timothy. Ma non appena cominciò a leggere sgranò perplessa gli occhi:

Se volete conoscere il motivo degli ultimi, strani avvenimenti, venite alla casa di Half Moon Street alle otto di stasera. Chi scrive e disposto a raccontarvi tutto ciò che sa, sempre che veniate da sola o accompagnata da sir Anstruther- Wetherby. Non fate parola a nessun altro del nostro appuntamento, altrimenti...

Michael le aveva parlato del suo contatto nell’ambasciata portoghese: possibile che uno dei funzionari si fosse deciso a parlare per soldi? La scrittura era pulita, senza alcun errore, quasi diplomatica seppur molto stringata. E il fatto che la presenza di Michael non veniva affatto esclusa sembrava dimostrarlo ancora di più. Probabilmente l’ignoto autore sapeva bene che lei non si sarebbe mai presentata sola a un simile appuntamento. Gli mostrò il biglietto non appena lo sentì rientrare. Lui lo lesse attentamente, poi strinse le labbra e guardò) l’orologio. Erano quasi le sette. Anche se fosse andato da Devil adesso, non sarebbero riusciti a organizzare un appostamento per le otto. O meglio, potevano provarci ma con il rischio di essere scoperti e non dubitava affatto che l’ignoto autore si sarebbe volatilizzato al minimo sospetto. — Andremo, vero? — chiese lei speranzosa. — Non possiamo perdere quest’occasione di fare un passo avanti. Sarà uno dei portoghesi che ha deciso di parlare per soldi. Erano in cima alle scale. Michael ci pensò sopra ancora un attimo, poi annuì. — Sì, andremo. Lei studiò l’abito da giorno che indossava, poi si voltò verso la sua camera. — Forse è meglio che mi cambi. Avrò bisogno di un vestito più comodo. — Buona idea — commentò Michael. — Intanto io ne parlerò a mio nonno. L’ipotesi che sia uno dei funzionari dell’ambasciata sembra la più probabile, ma non si può mai dire. Per questo è meglio far sapere dove siamo. Scendi in biblioteca non appena sarai pronta. Alle otto meno venti, un calesse pubblico li portò davanti ai cancelli della casa di Half Moon Street. Michael scese, pagò il vetturino e poi studiò attentamente la strada. Il marciapiede era ancora affollato, mentre carri e calessi avanzavano pigramente sul pavé. Non c’era modo di capire se qualcuno li stava tenendo discretamente d’occhio. Intanto Caroline salì le scale e aprì la porta. Michael la seguì, sforzandosi d’imbrigliare la sua istintiva protettività. Magnus sapeva dov’erano e chiunque avesse mandato loro quel messaggio voleva soldi e quindi non rappresentava una minaccia. O almeno, così sperava: nel dubbio, aveva elaborato frettolosamente un piano con suo nonno. Sligo era un ex soldato e conosceva il fatto suo. Approfittando dei pochi minuti in cui Caro si cambiava, gli aveva scritto spiegandogli brevemente la situazione e chiedendogli di raggiungerli poco dopo le otto. Quasi di fronte alla casa c’era una locanda con i tavoli all’aperto: poteva sedersi lì e tenere d’occhio la situazione dall’esterno. Nonostante la naturale diffidenza, l’ignoto autore del biglietto non si sarebbe mai accorto della sua presenza. Per quanto riguardava ciò che poteva accadere all’interno della casa... con decisione strinse l’impugnatura del suo bastone da passeggio, che nascondeva un fioretto dalla lama affilatissima. Una precauzione indispensabile, anche se si augurava di non doverlo usare mai. Attraversarono l’atrio ed entrarono nella sala da pranzo. Lei fece per aprire le tende, visto che fuori era ancora giorno, ma Michael la trattenne. — Meglio di no. Immagino che il nostro amico non abbia alcuna voglia di farsi vedere dall’esterno. Caro ci pensò, poi annuì. La luce filtrava lo stesso dalle finestre, ma lei prese un candelabro e lo accese. Non ce n’era bisogno, ma il caldo bagliore delle candele rassicuro entrambi almeno un poco. — Mi auguro almeno che sia puntuale — disse, posando il candelabro sulla mensola del camino. — Zitta — disse Michael, facendole cenno di fermarsi. Il cigolio di una porta che si apriva risuonò dall’altra parte della casa. — La porta sul retro — sussurrò lei. — Deve avere la chiave. Michael la guardò allarmato. Per un attimo si chiese com’era possibile, ma poi decise di lasciar perdere. — Vado a vedere — annuncio, ordinandole di restare ferma dov’era. Ma naturalmente non serve, visto che lei mosse decisa verso la porta. Rendendosi conto che non aveva senso insistere, visto che non conosceva la casa e Caro poteva benissimo essere più al sicuro con lui che da sola, uscirono nell’atrio e si fermarono ad ascoltare. Passi pesanti echeggiarono in lontananza. Caro gli indicò un corridoio immerso nelle tenebre; lui si avvicinò e si accorse che terminava poco dopo con una curva a gomito. Con un’occhiata d’intesa proseguirono, avanzando cautamente fino in fondo con lei che lo seguiva da vicino. Quando giunsero alla svolta, Michael senti la sua piccola mano trattenerlo. — Adesso ci sono le scale — gli sussurrò. Abbassò lo sguardo e vide tre scalini poco più avanti. Per un attimo si chiese se era il caso di sguainare il fioretto, ma poi lasciò perdere. Il corridoio era stretto e il rumore sarebbe echeggiato fino alle cucine, mettendo in allarme l’ignoto visitatore. Tenendola un po’ indietro con una mano, mosse un passo avanti, poi un altro... Un uomo comparve all’improvviso ai piedi delle scale, alto, atletico, robusto e minaccioso. La scarsa luce gli impedì di vederlo in volto, ma si accorse subito che non era Ferdinando. Per un attimo restarono lì a guardarsi immobili e in silenzio; poi, come se una tempesta fosse scoppiata lo sconosciuto balzò verso di loro, mentre Michael si precipitava verso le scale in una carica furiosa. Si scontrarono appena sopra gli scalini; lui alzò il bastone da passeggio, afferrandolo con entrambe le mani per fermare la sua avanzata e buttarlo giù. Riuscì a fermarlo, ma lo sconosciuto si aggrappò al bastone lottando come una furia. Un attimo più tardi caddero entrambi dalla scala, mentre Caro gridava qualcosa a squarciagola. Nessuno dei due le diede retta, troppo presi dalla lotta. Michael fu il primo ad alzarsi: mosse un passo indietro e non appena l’avversario si rialzò, partì con un micidiale affondo che però venne agilmente evitato. Un attimo più tardi fu lui a doversi abbassare per schivare un gancio che lo avrebbe sicuramente mandato al tappeto. Ringhiando come una belva ferita, lo afferrò per il bavero tentando di affibbiargli una testata. Seguì una lotta furibonda, mentre entrambi cercavano di gettare l’altro a terra... Una secchiata d’acqua fredda si abbatté improvvisa su di loro. Sorpresi, entrambi si fermarono per poi voltarsi verso la scala. — Basta! Smettetela di comportavi come due bambini! — gridò Caro esasperata. — Si può sapere cosa vi prende? Sempre tenendosi per il bavero, i due uomini si guardarono stupiti e gocciolanti, per poi voltarsi insieme verso Caro. Lei posò il secchio che aveva provvidenzialmente trovato nella camera della signora Simms, poi si passò una mano tra i capelli e disse: — Permettetemi di fare le presentazioni, signori. Michael, finalmente conosci il visconte Breckenridge. Timothy, questo è Michael Anstruther-Wetherby. Loro si guardarono, digrignando i denti come se stessero per ricominciare. — Non osate più colpirvi, nessuno dei due! — gridò lei. — Avanti, datevi la mano. Con palpabile riluttanza si lasciarono, aggiustandosi la giacca. Poi Michael tese la mano; Timothy la strinse, ma solo per un attimo. — Che diavolo ci fate qui? — sibilò Michael. Timothy lo guardò quasi con disgusto. — Ho ricevuto un biglietto. Diceva che Caro era in pericolo e che dovevo venire qui alle otto per saperne di più. Michael sbuffò come se non gli credesse affatto. Lo sguardo di Timothy passò da uno all’altra. — E voi cosa ci fate qui? Che cosa sta succedendo, Caro? Il tono preoccupato della sua voce cancellò almeno in parte il sospetto che fosse lui l’autore del messaggio. Caroline sbatté perplessa le palpebre. — Ho ricevuto anch’io un biglietto simile. Michael si è offerto di accompagnarmi. Lui studiò Caro, poi Breckenridge, dicendosi che qualcosa non quadrava in tutta quella storia. — Come siete entrato? Timothy lo guardò divertito. Nonostante l’oscurità, Caro si rese perfettamente conto di quanto provocante appariva il suo sorrisetto. — Con la chiave, naturalmente. “Naturalmente”? L’idea che il peggior libertino di Londra avesse la chiave di casa di Caro lo fece avvampare di rabbia. — Brutta razza di... — Basta! — gridò lei, fulminando Timothy con lo sguardo. Lui assunse la sua aria più innocente, mentre Michael taceva e aspettava, rigido come una statua. — Non è come pensi — riprese Caro. — C’è una spiegazione perfettamente logica per tutto questo. Sembrava affranta. Timothy la guardò, scosse la testa, poi disse con riluttanza: — Non glielo hai detto, mi pare di capire. — No — rispose lei. — Non potevo svelare così il tuo segreto. Se qualcuno deve dirglielo, quello sei tu. Stavolta fu Michael a guardarla. Che razza di rapporto c’era tra loro? Più che una relazione illecita, sembrava il rapporto che c’era tra lui e Honoria. Inarcando le sopracciglia, Breckenridge la guardò ancora un istante, poi si voltò verso di lui studiandolo con aria di sufficienza. — Per il bene che voglio a Caro e visto che è impossibile spiegare molte cose senza che voi sappiate, ve lo dire: Camden era il mio vero padre. Lo stupore di Michael fu assoluto. — Brunswick... — Non ne è mai stato particolarmente felice — lo interruppe Timothy ridendo. — Ma visto che sono l’unico figlio maschio, ha dovuto lasciarmi tutto. In ogni caso, questa strana relazione rende Caro la mia... matrigna? — Comunque sia — intervenne lei — mi sembra che questo spieghi la chiave, il lascito e la mia fiducia verso Timothy. Ti avevo detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ma purtroppo non potevo spiegarti perché. — Lo scrittoio — affermò Timothy ammiccando a Michael. — Scommetto che avete fatto un salto sulla sedia quando avete visto chi l’ha ereditato. Suo malgrado, lui non poté evitare di schermirsi. — Apparentemente non c’era alcuna spiegazione! — Lo so — disse Timothy ridacchiando. — Per molte ragioni, un velo di pietoso silenzio è stato steso su questa vicenda un po’ da tutti: Camden, mia madre e mio padre. Diciamo che è stata una sbandata giovanile, avvenuta durante un viaggio di piacere a Lisbona. E Brunswick ha dovuto abbozzare, visto che in assenza di eredi maschi il titolo e la tenuta sarebbero tornati alla corona. Capite adesso il mio riserbo? A parte lo scandalo, se saltasse fuori che non sono il figlio di Brunswick sarebbe una catastrofe. Un lungo silenzio segui quelle parole, poi il lontano tocco della pendola che batteva le otto li richiamò al presente. — Torniamo di sopra — disse Caroline. — Non vengo qui da tempo e non so neppure se il campanello funziona ancora. Se qualcuno bussa alla porta, qui non sentiremo nulla. Michael guardò Timothy, che allargò le mani con un sorrisetto. — Ah, neppure io lo so. Le rare volte che sono entrato qui, non ho mai suonato il campanello. Sbuffando, Michael li precedette lungo il corridoio. Sbucò nell’atrio e stava per attraversarlo per aprire la porta della sala da pranzo, quando la voce allarmata di Caro echeggiò dietro di lui. — La porta! L’avevo lasciata aperta... Una figura incappucciata emerse da un angolo con un lieve fruscio. Caroline gridò, mentre Michael si voltava rendendosi subito conto che nell’aria aleggiava un profilo familiare. Poi, d’istinto mosse un passo indietro quando la vide estrarre una pistola da sotto il mantello. — Non muovetevi — disse una voce femminile, fredda, spietata, assolutamente decisa. Caro strabuzzo gli occhi per la sorpresa. — Muriel? — Finalmente! — esclamò lei con voce piena d’odio, puntandole addosso la pistola. Poi, rivolta a Michael e Timothy: — Voi due, aprite quella porta. Tu, Caro, resta dove sei. Non potevano fare altro che obbedire. Con riluttanza attraversarono l’atrio, aprirono la porta e aspettarono. — Adesso entrate, ma restate bene in vista — ordinò Muriel, per poi far cenno a Caro di muoversi a sua volta agitando la canna della pistola. — Avanti, entra anche tu. Abbiamo qualcosa da dirci, mi pare. Rigida come una statua, Caro attraversò l’atrio con la pistola puntata alla schiena. I due uomini dovettero spostarsi; Muriel entrò, si chiuse la porta alle spalle, poi scoppiò in una risata raggelante. — Finalmente ho sotto tiro le due persone che più odio a questo mondo! Michael si mosse, avvicinandosi istintivamente a Caroline. — Perché ci odiate, Muriel? Lei lo guardò sprezzante. — Non parlo di voi, ma di loro! — esclamò, indicando con la testa Caroline e Timothy. — Loro, che mi hanno sottratto ciò che mi spettava. Una rabbia cieca e incontrollata grondava da ogni parola. Timothy sgrano gli occhi; Caro divenne pallida come un lenzuolo. — Muriel, non so di cosa stai... — balbettò. — Taci! — gridò Muriel, un urlo che echeggiò tra le pareti della sala. Con la coda dell’occhio, Michael vide Timothy arretrare un poco. Nell’angolo dietro di lui c’era un’antica armatura; il suo sguardo si poso sull’alabarda, poi i due uomini si scambiarono un’occhiata. Era dannatamente rischioso, ma non avevano altra scelta. — Hai parlato anche troppo per i miei gusti, stupida sgualdrina — riprese Muriel con sommo disprezzo. — Dovevi restare in Portogallo, non tornare qui per rubarmi la scena. Da quando sei tornata non faccio altro che sentire lodi su di te. Nessuno mi tiene più in considerazione! Tutti non fanno altro che cercare lady Caroline, l’affascinante vedova di quella carogna di Camden. Che Dio vi maledica tutti! Urlava tanto da sembrare isterica. Timothy guardò Caro, poi la pistola che Muriel teneva puntata su di lei. — Io però non vi conosco neppure — disse, attirando la sua attenzione. — Perché mi odiate? Non ne avete alcun motivo. Muriel rise, una risata malvagia che echeggiò a lungo nel silenzio. — Ah, non mi conoscete? Guardatemi bene. Non riconoscete neppure la vostra sorellastra? Caro gemette, mentre Timothy e Michael la guardavano a bocca aperta. Non c’erano parole per descrivere la sorpresa che tutti e tre provavano. — Proprio così — riprese Muriel. — Nostro padre non era granché fedele, come peraltro la nostra Caroline sa benissimo. L’unico a non saperne nulla è George, un povero ingenuo che non si è mai accorto neppure alla lontana di venir tradito non appena Camden tornava a casa per un po’. — Muriel, siamo tutti vittime dei suoi dannati imbrogli — esclamò Caroline. — Non capisci? Non vedi che cosa ci ha fatto? — No! — gridò lei, muovendo un passo avanti con la pistola puntata sul suo cuore. — Non cercare di convincermi! Sono io l’unica vittima della sua perfidia, l’unica che è sempre stata trattata con disprezzo. L’unica che non ha mai avuto nulla da lui, neppure alla sua morte! — Come avete fatto a sapere di me? — riprese Timothy. Sembrava calmo, sereno, a malapena interessato. — Il segreto della mia nascita è stato custodito gelosamente da tutti. — Siete venuto a Sutcliffe Hall per porgere le vostre condoglianze a Camden dopo la morte di Helen, la sua seconda moglie. Vi ho visti passeggiare da soli nel giardino e così ho deciso di spiarvi. Mi sono acquattata dietro la siepe e ho sentito quanto bastava — spiegò Muriel. — Ma sul momento non ci pensai neppure, dato che ero troppo occupata a farmi notare da quel bastardo. Helen era morta, lui era anziano e così credetti... ah, che idiota — commentò, scuotendo la testa. Ma la pistola non si mosse di un millimetro. — Pensavo che anche se rifiutava di chiamarmi figlia, anche se mi considerava solo sua nipote, mi avrebbe offerto l’opportunità di farmi strada portandomi con sé a Lisbona — riprese. — Avevo tutte le capacità per amministrare l’ambasciata e invece ha preferito risposarsi. Con te, una stupida ragazzina ancora da svezzare. Un attimo di gelido silenzio calò nella sala mentre tutti assorbivano il senso di quelle parole. Muriel guardò Timothy, poi il suo sguardo vagò tra Michael e Caroline. — Ma ti ha svezzata bene, quella carogna. Tanto da permetterti di rubarmi la scena non appena sei tornata a casa. Per questo volevo ucciderti, ma poi è arrivato lui — dichiara, guardando Michael. — Sono stata io a tirare una fiondata al suo cavallo mentre tornava da Fordingham. Poi ho assunto quei due tagliagole perché la levassero di mezzo, ma quegli idioti hanno assalito la signorina Trice. Allora ho deciso di agire da sola, dapprima alla festa della parrocchia, poi segando il parapetto del ponte quando ho capito cosa c’era tra voi. Niente da fare: in un modo o nell’altro, siete sempre riuscito a salvarla — commentò, rivolgendogli un’occhiata sprezzante. — Siete una vera seccatura, lo sapete? Nonostante tutto, sembrava calmarsi. La sua rabbia traspariva chiaramente, ma non parlava più con il tono isterico di prima. Michael la studiò, rendendosi conto solo allora dal rigonfiamento sotto il mantello che aveva un’altra pistola. — Ma forse siete solo un segno del destino — riprese Muriel piegando le labbra in un sorriso sarcastico. — A Bramshaw ero accecata dalla rabbia. Adesso però vedo le cose molto più chiaramente. George aveva una chiave di questa casa: gliel’ho presa e sono venuta a vedere la famosa collezione di mio padre. E adesso che l’ho vista, so che dev’essere mia. Timothy era arretrato di qualche passo mentre lei parlava. Si trovava ormai a meno di due metri dall’alabarda, ma l’impazienza lo tradì spingendolo a muoversi ancora proprio mentre Muriel si voltava verso di lui. Tutto parve rallentare in quel momento. Rendendosi conto di essersi tradito, Timothy balzò verso l’armatura. Muriel si girò, prese la mira... Con occhi sgranati, Michael si rese conto che stava per sparare. A Timothy, il figlio illegittimo di Camden a cui Caroline voleva bene. L’unico che era stato coinvolto in quella storia a sua totale insaputa. Era venuto lì perché si preoccupava per Caro, e adesso quell’assassina lo avrebbe ucciso a sangue freddo. Agì d’istinto, senza neppure pensarci. Balzò verso di lui proprio mentre Muriel premeva il grilletto, spingendolo via, gettandolo a terra nella speranza che non fosse troppo tardi. Lo sparo rimbombò nella sala, lui sentì Timothy accasciarsi tra le sue mani e si rese conto che era stato colpito, ma non ebbe neppure il tempo di guardare perché nello slancio atterrò sul basamento dell’armatura, battendo con violenza la testa contro uno spigolo. Un dolore lancinante esplose, trascinandolo in un baratro di tenebra. Cercò disperatamente di non svenire, di restare aggrappato alla realtà, ma era una battaglia persa in partenza. L’ultima cosa che pensò lo riempì di una pena così profonda da lacerargli il cuore. Caro era sola adesso, sola contro Muriel e la sua lucida follia. La sentì gridare, correre verso lui e Timothy, slacciargli freneticamente la cravatta, poi gridare: — Muriel, ti prego, aiutami! Sta sanguinando! Con l’ultimo barlume di coscienza si rese conto che parlava di Breckenridge. La nera tenebra si faceva sempre più vicina, ma ciononostante riuscì ad aprire gli occhi e la vide china su di lui, intenta a tamponare la ferita. Non sapeva dove fosse stato colpito, visto che le nebbie rossastre del dolore avvolgevano ogni cosa, ma la gelida voce di Muriel risuonò con chiarezza nella sala. — Alzati, Caroline. Alzati o lo ucciderò. Un confuso movimento alla sua sinistra gli disse che Caro aveva obbedito. — Ti prego, non farlo! Non ha senso uccidere Michael. — Infatti non ho alcuna intenzione di ucciderlo. Lo farò solo se tu rifiuterai di obbedirmi. — Cosa... cosa devo fare? Seguì una lunga pausa, poi la voce di Muriel echeggiò di nuovo nella sala: — Ti ho detto che voglio questa casa e così ti ho preso un appuntamento dal notaio — disse con ironia. — C’è l’atto di una donazione già pronto al numero trentuno di Horseferry Road, presso lo studio del signor Atkins. Aspetta solo la tua firma: non appena avrai firmato, ti darà una ricevuta da portarmi. Solo allora potrai andartene con il tuo Michael e con questo schifoso libertino. Ah, tanto per chiarire bene le cose, è perfettamente inutile che racconti chissà cosa al signor Atkins: è stato ben pagato. Non ti ascolterà. Michael voleva parlare, voleva dirle che Muriel non li avrebbe mai lasciati vivere, ma la tenebra era così vicina da paralizzarlo. La sentì implorare, sentì Muriel gridare di nuovo, poi l’ultima barriera cadde e un’oscurità profonda dilagò ovunque, trascinandolo nel baratro.

Capitolo 22

Stravolta dall’angoscia e dal dolore, Caroline si avviò verso la porta, ma Muriel la chiamò. — Ah, ti avviso che l’appuntamento è per le nove. Se farai tardi, e soprattutto se non mi porterai la ricevuta entro le nove e mezzo, potrai cominciare a dire addio a Breckenridge. Lei la guardò con le lacrime agli occhi. — Horseferry Road. Lo studio del signor Atkins. — Precisamente — replicò Muriel agitando la pistola che aveva estratto da sotto il mantello. Aveva posato la pistola scarica sul tavolo per ricaricarla. — E adesso vai. Con un’ultima occhiata a Michael e a Timothy, lei abbassò la maniglia e attraversò l’atrio di corsa, seguita dalla cupa risata di Muriel. Si precipitò lungo la strada alla frenetica ricerca di un calesse pubblico, incurante della gente, delle lacrime, del terrore che la scuoteva in tutto il corpo. Dove diavolo era un calesse quando serviva? Possibile che... Dall’altra parte della strada, un uomo alto e legnoso si alzò dal tavolo di una locanda, gettò una moneta al cameriere e si precipito verso di lei. — Lady Sutcliffe! Milady! Caro rallentò il passo, si voltò e lo vide. — Sono Sligo, milady. Lavoro per il duca di St. Ives. — Grazie a Dio, e il cielo che vi manda! — esclamò lei, agitata come non lo era mai stata in vita sua. — Presto, dobbiamo trovare un calesse! Vi spiegherò tutto strada facendo. Sligo la prese gentilmente per un braccio. — Di qua — le disse. — Dietro l’angolo c’e una carrozza pronta a partire. Mentre correvano, Sligo le spiegò che era stato Michael ad avvertirlo, chiedendogli di tenere d’occhio la situazione dall’esterno. Devil, Lucifer e Gabriel lo aspettavano a casa, pronti per qualsiasi evenienza. Lei ringrazia silenziosamente il cielo per la previdenza di Michael. — Jeffers, portaci a Grosvenor Square il più rapidamente possibile — ordinò Sligo al cocchiere. La casa di Devil non era lontana. Fece appena in tempo a raccontare tutto a Sligo prima che la carrozza si fermasse. Poi lui saltò giù e si precipitò di sopra per avvisare gli altri, mentre lei aspettava seduta, torcendosi le mani per l’ansia e il terrore.

Alle nove, una carrozza nera e senza insegne svoltò l’angolo di Half Moon Street, percorrendo la strada fino a superare la casa di Camden e fermandosi un po’ più avanti. L’incursione nell’ufficio del notaio era andata persino meglio del previsto. Su suggerimento di Devil, lei si era presentata in lacrime, irrompendo come una furia dalla porta e facendo una tale fretta all’impiegato da fargli dimenticare di chiudere a chiave. Non che facesse molta differenza, visto che lui e gli altri potevano sempre irrompere quando Caro fosse uscita, ma avevano comunque guadagnato qualche minuto prezioso. Atkins, un uomo grasso dal volto rossiccio e i capelli unti di brillantina, le sottopose subito l’atto di donazione, porgendole la penna. Caro firmò senza fare storie e non appena lui le porse la ricevuta, Devil, Lucifer e Gabriel fecero irruzione nello studio strappandogli l’atto di mano per poi dargli la meritata lezione. Poi si erano gettati in carrozza, percorrendo a tutta velocità le strade di Londra mentre studiavano un piano d’azione. Caroline spiegò dettagliatamente ai quattro uomini ciò che era accaduto nella sala da pranzo, e li vide scuotere la testa. — Quella donna sembra al di fuori di ogni possibile controllo — commentò Sligo. — É troppo rischioso mandarvi dentro da sola — concordò Devil. — Anche se avete la ricevuta, potrebbe spararvi senza pensarci due volte. Ci dev’essere un altro sistema. — Perché non passiamo dal retro? — suggerì lei. — Si può accedere da un vicolo subito dopo la casa. C’è il cancello, poi un breve tratto di giardino prima della porta delle cucine. Muriel non può vederci dalla sala da pranzo. Era l’idea migliore. Non appena il cocchiere fermò la carrozza, Gabriel scese e si infilò nel vicolo, seguito un attimo più tardi da Lucifer. Devil si voltò verso Sligo. — Resta con Jeffers. Non appena io e Caro scenderemo, voi ripartite. Fate il giro dell’isolato e alle nove e mezzo in punto fermatevi davanti alla casa. Sligo annuì, estrasse il suo orologio e lo sincronizzò con quello di Devil. Quindi lui scese, le porse la mano e Caro sparì tra le ombre del vicolo. La carrozza ripartì, mentre loro si inoltravano nella stretta viuzza. Poco dopo, Caro si fermò. — Siamo arrivati — disse, infilando una grossa chiave nera nella toppa. Con un lieve cigolio, il cancello si aprì non appena lo toccò. Tutti si guardarono perplessi. — Forse Muriel è passata di qui per entrare — disse Caro, stupita. Non c’era tempo per approfondire. Spingendo piano per non farlo cigolare, Lucifer aprì del tutto il cancello e il gruppo si inoltro cautamente nel giardino. Nonostante la loro stazza, i tre Cynster si muovevano con un’agilità che la stupì; Caro fece del suo meglio per tenere il loro passo sul vialetto coperto di erbacce, dicendosi che non appena tutto questo fosse finito doveva chiamare un giardiniere visto che lei e Michael... Meglio non pensarci proprio adesso. Poco più avanti, Gabriel si abbassò di scatto; lei fece appena in tempo a chiedersi perché quando la mano imperiosa di Devil si chiuse sul suo polso, tirandola giù. — Zitta. C’è qualcuno vicino alla porta. Un attimo più tardi un fruscio sinistro agitò i cespugli; lei udì un colpo, poi un grido soffocato. Nel massimo silenzio, Gabriel e Lucifer tornarono indietro con un uomo alto e prestante, torcendogli un braccio dietro la schiena e tappandogli la bocca con la mano. Lei si ritrovò a guardare due occhi scuri che si accesero di rabbia non appena la videro. — Ferdinando? — chiese sbalordita, emergendo dai cespugli. — Che cosa fate qui? I Cynster si guardarono. — Lo conoscete? Caro non rispose, dicendosi che quello era il momento giusto per chiarire un altro mistero. Colto con le mani nel sacco e circondato da tre uomini dall’aria minacciosa, Ferdinando non poteva più tacere. — Non abbiamo tempo da perdere — sibilò. — Ditemi che cosa state cercando con tanta insistenza. Subito! Lui guardò Lucifer, poi Devil e Gabriel. — Lettere — rispose sospirando. — La corrispondenza tra il duca e Camden Sutcliffe che risalgono a una decina di anni fa. Camden le teneva per ricattarlo... il duca è stato riabilitato dopo la sua morte, ma se saltassero fuori quelle lettere verrebbe esiliato per sempre. Lei gemette. A quanto pareva, non c’era limite agli intrighi del suo defunto marito. — Va bene, lasciatelo — disse stringendo le labbra. — Abbiamo cercato in buona parte dell’archivio, ma non abbiamo trovato nessuna lettera compromettente. In ogni caso ve le consegnerò di cuore, ma non adesso. Tornate un altro giorno, magari domani, e le cercheremo insieme. — Soddisfatto? — disse Lucifer. — E adesso, fuori dai piedi. Ferdinando lo guardò con aria di sufficienza, poi si aggiustò la giacca. — Se posso ficcare il naso in una faccenda che non mi riguarda, che cosa ci fa Muriel Hedderwick in giro per la casa con una pistola in mano? — chiese, aggiungendo davanti all’occhiata minacciosa dei tre Cynster: — Sarei già entrato se non l’avessi vista dalla finestra. — Aspetta una generosa donazione — ribatté sarcastico Devil, indicandogli il cancello. — Insomma, volete andarvene o no? Ferdinando alzò le spalle. — Se volete disarmarla, avete bisogno di un diversivo. Io posso fornirvelo. Caro lo guardò perplessa, ma poi capì. Per Ferdinando, l’onore era una ragione di vita: se lei gli avesse consegnato le lettere di sua spontanea volontà, lui si sarebbe sentito per sempre in debito, mentre se l’avesse aiutata a uscire da quel guaio, lo scambio sarebbe stato perlomeno alla pari. — Che ne dite? — chiese ai Cynster. — Un diversivo è quello che ci vuole — commentò Devil dubbioso. — Ma quanto a riuscirci... — Muriel sa che qualcuno è penetrato a Sutcliffe Hall e mi conosce. Inoltre, immagino che stia aspettando Caroline: potrei entrare io al suo posto nel salone e mettermi a balbettare qualche scusa. Questo dovrebbe darvi il tempo necessario per sorprenderla. I tre Cynster guardarono Caro. — Può funzionare? — Il salone ha una porta secondaria — spiegò lei. — Se Ferdinando entra dall’ingresso principale e noi ci appostiamo là dietro, potremmo davvero catturarla. — D’accordo — disse Devil. — Ma prima di recitare la commedia, dobbiamo studiare la situazione a fondo. Cominciamo a entrare in casa. Caroline, descriveteci in modo dettagliato tutto ciò che si trova tra la cucina e la sala da pranzo. Non c’era molto da descrivere, visto che il corridoio ad angolo sbucava direttamente nell’atrio. La sala si trovava sulla destra ed era l’unica con una doppia porta, mentre la porta secondaria dava su una stanza adiacente in cui potevano appostarsi. — Perfetto — sussurrò Devil mentre avanzavano verso le cucine. La serratura era bene oliata e si aprì senza uno scatto; rapidi come predoni, i Cynster entrarono seguiti da Ferdinando. Lei li condusse lungo il corridoio, poi si fermi appena dietro l’angolo. Devil si acquattò nell’ombra, mentre Gabriel e Lucifer si inoltrarono nell’atrio e aprirono la porta della stanza adiacente alla sala. Al loro segnale, Devil e Caro li raggiunsero, poi fecero cenno a Ferdinando di dare il via alla commedia. Aggiustandosi la giacca, il portoghese raggiunse con passo deciso la doppia porta, l’aprì ed entrò nella sala come se non si aspettasse di trovarvi qualcuno. Muriel sedeva in una poltrona vicino al camino; sentendo la porta aprirsi, si alzò di scatto e sgranò gli occhi. — Voi? — chiese sbalordita. Ma impiegò solo un attimo ad afferrare il motivo della sua presenza. — Dunque siete voi il ladro che ha osato entrare in casa mia! — gridò, il volto contratto in una smorfia. Lo sguardo di Ferdinando vagò tra lei, la pistola e i due uomini a terra. — Muriel... ascoltatemi. Non è come pensate — piagnucolò, alzando una mano e fermandosi dov’era. Tre angeli vendicatori si gettarono su di lei dalla porta secondaria, mentre Ferdinando balzava di lato trovando rifugio dietro il lungo tavolo di mogano. — Lasciatemi, maledetti! — gridò Muriel, divincolandosi come una furia. — Solo in una comoda cella — fu l’imperturbabile risposta. Un colpo partì dalla pistola. Tutti si abbassarono e lei riuscì a fuggire, lanciandosi verso l’altra pistola appoggiata sul tavolo. Ma Ferdinando fu più rapido: l’afferrò, la nascose tra le sedie, poi le chiuse la strada verso la porta mentre i Cynster l’afferravano alle spalle. Muriel lottava con tutte le sue forze, ma non aveva scampo. Pian piano la sua resistenza si spense, anche se le sue grida continuarono a echeggiare nella sala toccando picchi isterici quando vide Caro correre verso Michael e Timothy. Con un’occhiata d’intesa agli altri, Devil si affrettò a raggiungerla. — Dio mio, quanto sangue! — gemette Caro guardando terrorizzata la pozza scura davanti al corpo inerte di Breckenridge. Devil aggrottò la fronte. Aveva davvero perso molto sangue. Dovevano bloccare subito l’emorragia, o l’esito poteva essere fatale. — Gabriel, avvisa Sligo. Digli di cercare subito un dottore — gridò, estraendo un fazzoletto dalla tasca e premendolo con forza sulla ferita. Caro intanto si era chinata su Michael, prendendogli la testa e posandola sulle sue ginocchia. Ferdinando si avvicinò. Che ne pensate, ce la faranno? — chiese a Devil. Lui tolse l’improvvisato tampone e studiò la ferita, poi si sporse verso Michael e gli alzò le palpebre. — Dovrebbero cavarsela entrambi, sempre che il dottore arrivi presto. Caro tirò un profondo sospiro di sollievo, mentre Ferdinando si aggirava ancora un attimo e disse — Forse è meglio che me ne vada, prima che arrivino le guardie. Inginocchiata sul pavimento, lei alzò lo sguardo rivolgendogli un sorriso di gratitudine. — Ci vediamo nei prossimi giorni, allora. Mandatemi una nota a casa di Magnus Anstruther-Wetherby — disse, poi aggiunse: — Siete stato molto coraggioso ad affrontarla cosi. Ferdinando fece spallucce con tipica noncuranza latina. — Una donna con una pistola? Nessun problema. Lei rise. — Voi dite? Muriel va al poligono di tiro almeno un paio di volte alla settimana! Il portoghese sgranò gli occhi. — State scherzando, Spero. — Niente affatto. E come arciere, è ancora meglio. Con un gemito, Ferdinando si voltò verso Muriel, legata mani e piedi. — Perché l’ha fatto? Non capisco. Caroline e Devil si guardarono. — Invidia — spiegò lei, ben sapendo che Ferdinando avrebbe accettato quella spiegazione senza battere ciglio. Lui sospirò e con un ultimo saluto uscì, mentre Devil gettava di lato il fazzoletto pieno di sangue e prendeva quello di Lucifer, seduto su una sedia con gli occhi fissi su Muriel. Caro intanto accarezzava il volto di Michael, così dolce e familiare, pregando perché si riprendesse presto. Poi Gabriel e Sligo entrarono con il dottore; solo allora lei si spostò, ringraziando il cielo per essere riuscita a salvare i due uomini a cui più teneva al mondo.

Michael si svegliò nel cuore della notte, quando la città dormiva e solo il ticchettio della pendola rompeva il profondo silenzio della casa. Gemendo, si portò una mano alla testa chiedendosi dove si trovava, ma il morbido calore di Caroline sdraiata accanto a lui lo tranquillizzò immediatamente. Un’ondata di sollievo lo pervase. Sentiva male dappertutto, ma perlomeno il dolore alla testa si era fatto sopportabile. Tastando piano, sfiorò la fascia che aveva tra i capelli, sobbalzo e decise di lasciar perdere. Meglio pensare a Caroline, morbida e profumata accanto a lui. Le accarezzò la guancia e la sentì muoversi; un attimo più tardi, lei alzò allarmata la testa. — Michael! Come ti senti? — Bene, direi — sussurrò, cingendola tra le braccia. — Chi mi ha portato qui? — I Cynster, dopo che il dottore ti ha curato. Il tuo piano ha funzionato — gli disse sorridendo, spiegandogli com’erano andate le cose. — Se ti senti abbastanza sveglio e soprattutto lucido, vorrei farti una domanda. Michael si accigliò davanti a quel tono così serio. — Sono sveglio, lucido e affamato. Qual è la domanda? Lei esitò, poi inspirò profondamente premendogli i seni sul torace. — Quando possiamo sposarci? — chiese piano. — Ho preso la mia decisione. Adesso so quello che voglio e non c’è più motivo di aspettare. Tutto qui — concluse, stringendosi nelle spalle. — Sempre che tu mi voglia ancora, naturalmente. — Ma certo che ti voglio — rispose Michael, soffocando un impeto di gioia e posando la mano sulla sottile camicia di seta. Presto gliel’avrebbe sfilata con il massimo piacere. — Tuttavia... — riprese, esitando per un attimo. Interrogarsi sulla buona sorte non era mai una buona idea, ma doveva saperlo. — che cosa ti ha fatto cambiare idea? — Tu — gli disse, guardandolo negli occhi. — Ciò che hai fatto per me, per Timothy... quando ho visto Muriel che ti puntava alla testa una pistola, ho capita tutto con terribile chiarezza. Come una volta mi ha detto lady Osbaldestone, è giunto il momento di farmi avanti e occupare il posto che mi spetta. Lei intendeva nel ton, nella buona società; io però gli attribuisco un significato un po’ più ampio. Se non decido adesso di accettare il rischio, ciò che è nato tra noi non potrà mai crescere, svilupparsi e dare frutti. Lui si mosse e Caro gli posò la testa sul petto. — Muriel e la minaccia che rappresentava mi hanno fatto capire tutto ciò che rischiavo non prendendo alcuna decisione. La vita va vissuta fino in fondo, non sprecata. Tutti e due abbiamo sprecato molti anni, ma adesso abbiamo l’occasione di ricominciare, di costruirci finalmente un futuro. Insieme possiamo creare una famiglia, riempire il maniero di bambini e di gioia. E anche la casa di Half Moon Street: tu sei l’unica persona con cui potrò viverci, l’unico che può scacciare il gelo accumulato in quelle stanze durante gli anni trascorsi con Camden. — I suoi occhi sembravano d’argento nella notte. — Insieme possiamo vivere felici, crescere e prosperare. Conosciamo entrambi i rischi che corriamo, ma sappiamo anche che ne vale la pena. Per me, per te, per ciò a cui teniamo maggiormente. Lui sorrise, mentre l’ansia che gli attanagliava il cuore ormai da settimane lasciava il posto a una gioia indescrivibile. — Grazie — sussurrò, stringendola tra le braccia, crogiolandosi nel suo calore, godendo appieno quel fantastico momento. — Possiamo sposarci quando vogliamo. Domani stesso chiederò una licenza speciale. Non le diede neppure il tempo di esultare. Chinò la testa e le baciò la nuca, per poi prendere ardentemente le sue labbra non appena Caro si voltò Subito il bacio si fece ardente, tradendo così tutto l’amore, il sollievo, la gioia che entrambi provavano e che scaldava profondamente i loro cuori. — Aspetta! La tua testa... — sussurrò lei non appena ci riuscì, guardandolo preoccupata. — Sta benissimo — gemette Michael. — Ha solo un pensiero fisso e mi auguro che tu vorrai scacciarlo. Caro rise e salì sopra di lui, posando le mani sul cuscino. Poi, con lascivo abbandono, sospirò e gemette mentre lui la possedeva. Tutto andava a meraviglia. Davvero a meraviglia.

Si sposarono nella chiesa di Bramshaw. Il ton partecipò in massa, come peraltro l’élite diplomatica di Londra. Questo avrebbe potuto trasformare i festeggiamenti in un incubo politico e diplomatico, ma grazie all’impegno di Caroline, di Honoria e dei Cynster al completo, nessuno osò sollevare controversie e tutto filò liscio come l’olio. Facendosi largo tra la folla, Michael e Caro emersero tra lanci di riso dalla chiesa stipata all’inverosimile e salirono sul sontuoso barouche che li attendeva appena sotto gli scalini, per poi partire alla volta del maniero dove si sarebbe festeggiato per tutto il giorno. Tutti erano invitati e tutti parteciparono; il sole splendeva alto nel cielo, donando loro la sua gloriosa benedizione mentre si aggiravano mano nella mano per salutare e ringraziare gli ospiti. La folla cominciò ad assottigliarsi solo nel tardo pomeriggio. Ancora vestita con l’abito da sposa, una nuvola di trine e merletti color avorio impreziosita da piccole perle, Caro vide Timothy comodamente seduto al sole con un bicchiere in mano e un tenue sorriso in volto mentre osservava i bambini giocare sul prato. Si avvicino a Michael, gli sfiorò le labbra con un bacio e chiese: — Ti spiace se vado a salutarlo? — Nient’affatto — rispose lui con un sorriso. — Io accompagnerò mio nonno in casa. Ti raggiungerò tra qualche istante. Si allontanò sentendo subito la sua mancanza, poi si avvicinò sorridendo a Breckenridge. Lui la vide e alzò il bicchiere per un brindisi. — Una festa davvero splendida. — Grazie — replicò Caro con eleganza mentre Timothy le prendeva la mano sfiorandole le nocche con un bacio. — Sono davvero felice di vederti finalmente sistemata — commentò lui con ironia. Sedettero insieme al sole del pomeriggio, contemplando per un attimo i bambini. — George mi ha mandato le sue felicitazioni. Sai che si è trasferito in Cornovaglia insieme a Muriel? L’adora al punto da abbandonare la casa in cui ha vissuto tanti anni — commentò Caro, per poi guardarlo sorridendo. — Grazie per non averla denunciata. — Basta che non me la ritrovi più davanti — replicò lui con aria indifferente. — Non tutti hanno la fortuna di avere un’altra possibilità. Spero che ne faccia tesoro, proprio come te. Caroline inarcò un sopracciglio. — E adesso cosa farai? Lui rise. — Ah, non so. Quello che ho sempre fatto, immagino. Stava per chiedergli se davvero voleva continuare a vivere così, ma l’arrivo di Michael la distrasse. I due uomini si salutarono con il sorriso sulle labbra. — Come va la spalla? — chiese Michael. Caro li ascoltò mentre parlavano e scherzavano, sorridendo dentro di sé. Erano due personalità del tutto diverse, eppure ciò che era successo sembrava avere annullato le distanze creando un’amicizia basata sul reciproco rispetto. Per un po’ restarono lì seduti al sole, poi Timothy si alzò. — Devo andare, purtroppo — disse. — Stasera ho un appuntamento a Londra. Questioni di cuore, sapete. Entrambi lo guardarono con un sorrisetto ironico. Alzando gli occhi al cielo, Timothy si allontanò ridacchiando, ma dopo tre passi si voltò: — Ah, un’ultima cosa. Quando tornerai a Londra, Caro, evita se puoi di passare a casa mia — disse, arricciando il naso. — Non vorrei che la mia reputazione finisse definitivamente a brandelli. Lei alzò una mano per uno scherzoso giuramento e con un sorriso sbarazzino, Timothy li salutò ancora una volta per poi avviarsi allegramente verso le scuderie. Michael si accigliò. — Come diavolo hai fatto a danneggiare la sua reputazione? — Forse facendo sapere in giro che anche lui ha un cuore — replicò Caro con occhi che brillavano. — Ma adesso andiamo. Lady Pilkington vorrebbe salutarci prima di partire. Ripromettendosi di chiederle in seguito a chi aveva elargito una simile, succulenta notizia, Michael si alzò tornando con lei tra la folla festante. I bambini sciamavano ovunque, visto che alla festa partecipava l’intero paese. Caro osservò discretamente suo marito mentre riprendeva con aria severa un gruppo di marmocchi troppo chiassoso. I bambini abbassarono contriti lo sguardo, promettendo di non farlo più; lui ne accarezzò alcuni sui capelli, poi indicò il buffet magnificando l’orzata della signora Entwhistle. Scuotendo la testa, Caro vide i marmocchi avviarsi con lui facendo un chiasso ancora peggiore di prima. Era una vista che le riempì il cuore di gioia, soprattutto alla luce di ciò che doveva accadere. Ancora non sapeva se era incinta, ma viste le volte in cui avevano giaciuto insieme in quelle settimane... bastava il pensiero per suscitare una tale emozione da costringerla a uno sforzo per non aggirarsi tra la folla con un sorriso sognante stampato in volto. Tuttavia, ogni cosa a suo tempo: quel giorno si sarebbe goduta quell’immensa felicità così speciale e quando ne sarebbe stata certa, avrebbe condiviso con Michael una felicità del tutto nuova per entrambi, da godersi però in privato. Il flusso di partenze cominciò a crescere, visto che gli ospiti venuti da Londra volevano rientrare a casa prima che calasse la notte. Michael tornò da lei e insieme ripresero ad aggirarsi tra gli invitati, fino a quando non videro lady Osbaldestone chiamarli con un imperioso cenno della mano. — Vado a vedere cosa fa quel gruppo di bambini — annunciò lui sfilando il braccio. Caroline rise. — Codardo — sussurrò. — Io? — fu la pronta replica. — Non è vero. Credi sia facile tenere sotto controllo una decina di marmocchi? Evidentemente era più facile che affrontare l’arcigna nobildonna. Michael si allontanò spedito; scuotendo la testa, Caro si avviò verso Therese. Michael invece si imbatté in Gerrard Debbington, il fratello di Patience, moglie di Vane Cynster. — Mi chiedevo se voi e Caroline non potevate posare per me un giorno o l’altro — disse, educato ed elegante come sempre. Michael lo guardò sorpreso. Gerrard era un pittore di chiara fama, ma la sua specialità erano sempre stati i paesaggi. Il ton si contendeva in moneta sonante i suoi dipinti della campagna inglese. — Credevo che i ritratti fossero fuori dal vostro campo, amico mio. Gerrard sorrise. Con le mani in tasca si voltò verso Caro, studiandola mentre parlava con lady Osbaldestone. — Diciamo che anche un pittore ha bisogno di cambiare, di quando in quando — cominciò. — E la ritrattistica contiene delle sfide che sono ansioso di affrontare. Me ne sono accorto quando ho provato a ritrarre mia sorella e Vane: per me è una dimensione diversa, impossibile da trovare nei paesaggi. Michael guardò Caroline a sua volta. L’idea di un ritratto che riuscisse a esprimere ciò che esisteva tra loro l’affascinò — Per me va bene — disse. — Ma devo parlarne a lei. Possiamo risentirci quando torneremo a Londra, se volete. Sorridendo soddisfatto, Gerrard si dichiarò d’accordo. Con una stretta di mano, i due uomini si separarono. Cominciava a farsi tardi e anche gli ospiti più riluttanti si prepararono a partire. Caro tornò da Michael per salutare e ringraziare, promettendo alle signore di farsi viva non appena possibile. Devil e Honoria furono tra gli ultimi ad accomiatarsi, ma la dimora ducale a Somersham non era poi così distante e vi sarebbero arrivati in poche ore. Caroline e Michael vennero invitati alla tradizionale festa di fine estate e accettarono con entusiasmo; dando loro appuntamento agli inizi di settembre, i duchi di St. Ives salirono sulla loro carrozza e partirono, avanzando lentamente sulla strada affollata fino ai limiti della tenuta. Restarono solo loro due, Magnus ed Evelyn, comodamente seduti in casa. Caroline propose una passeggiata distensiva nel parco; con un sorriso lui acconsentì, prendendola a braccetto. Si fermarono davanti alla stele di granito, guardandosi con occhi che brillavano. — Tutto è cominciato qui, ricordi? — chiese Michael. Lei sbuffò. — Ma certo. “Di tutte le stupide donne...” — ripeté, imitando la sua voce profonda e irritata. — “Se non sapete guidare un calesse, madame...” Michael alzò gli occhi al cielo, ma poi rise insieme a lei. — Già da allora sapevo che non avrei mai sopportato l’idea di perderti! — Questa poi! — commentò Caro ridacchiando. — Hai davvero la lingua del politico! Nel silenzio che seguì, Michael posò lo sguardo sulla stele e attese, ma tutto ciò che udì fu il canto degli uccelli che salutavano il sole al tramonto, il dolce stormire delle foglie agitate dalla brezza, il calore della mano di Caroline, l’amore che gli riempiva il cuore. Non le grida dei domestici, il nitrire dei cavalli, l’orribile scrosciare della pioggia. La paura cieca e ottenebrante si era dissolta per sempre. Il ricordo c’era ancora, ma i suoi effetti venivano sovrastati da qualcosa di molto più vivo e potente. In silenzio si voltò verso Caro, incontrò i suoi occhi azzurro argento e piegò le labbra in un sorriso. Poi, dolcemente, le prese la mano e sfiorò le nocche con un bacio. Mano nella mano tornarono verso la loro casa. Lui alzò tu sguardo verso l’attico da cui aveva assistito con Honoria all’orribile scena. Anche quella vista non poteva nulla contro la felicità, la gioia, la completezza che gli riempiva il cuore. La perdita della sua famiglia apparteneva al passato. Caroline al suo presente e al suo domani. Aveva trovato la sua sposa ideale. Insieme, si sarebbero costruiti il futuro più radioso.

Stephanie Laurens

Stephanie Laurens ha cominciato a scrivere per sfuggire all’arida routine del suo lavoro. Ma quello che inizialmente rappresentava solo un hobby si è presto trasformato in una professione, e la splendida saga dei cugini Cynster ha catturato lettori in tutto il mondo, facendo di Stephanie una delle autrici più amate e popolari. Attualmente vive nei sobborghi di Melbourne con il marito, due figlie e un cane affabile quanto dispettoso. Stephanie inoltre ama fare giardinaggio e ricamare.