Lettura dell’Inamoramento de (o ) - 3 l’amazzone - presentazione 28. 29. 30. Dal mar de l'oro, ove l'India confina, Marfisa la donzella è nominata, Ed eran questi il re de Sericana, Vengon le gente armate tutte quante. Questa ch'io dico; e fo cotanto fiera, Dico Gradasso, che ha tanta possanza, La prima schiera con molta roina Che ben cinque anni sempre stette armata Ed Agricane, il sir de Tramontana, Mena Archiloro il Negro, che è gigante; Da il sol nascente al tramontar di sera, E Carlo Mano, imperator di Franza. La seconda conduce una regina, Perché al suo dio Macon se era avotata La istoria nostra poco adietro spiana Che non ha cavallier tutto il levante Con sacramento, la persona altiera, Di lei la forza estrema e la arroganza, Che la contrasti sopra della sella, Mai non spogliarse sbergo, piastre e maglia, Sì che al presente più non ne ragiono, Tanto è gagliarda, e ancor non è men bella. Sin che tre re non prenda per battaglia. E torno a quei che gionti al campo sono.

Contesto alteritario: c’è anche Marfisa regina

Gagliarda, non men bella, la donzella: nb termini che la descrivono Marfisa l’amazzone – presentazione – contesto alteritario I xvi 31. I xvi 32. I xvi 33. Con romor sì diverso e tante crida Che fo gigante di molta grandezza, Portava il Negro un gran martello in Passato han Drada, la grossa riviera, Né alcuna cosa mai volse adorare, mano, Che par che il cel profondi e se divida. Ma biastema Macone e Dio disprezza, (Ancude non fu mai di tanto peso), Dietro alle due venìa l'ultima schiera; E a l'uno e l'altro ha sempre a minacciare. Spesso lo mena, e non percote in vano: Re Galifrone la governa e guida Questo Archiloro con molta fierezza Ad ogni colpo un Tartaro ha disteso. Sotto alle insegne di real bandiera, Primeramente il campo ebbe assaltare; Contra di lui è mosso il franco Uldano Che tutta è nera, e dentro ha un drago Come un demonio uscito dello inferno E Poliferno, di furore acceso, d'oro. Fa de' nemici strazio e mal governo. Con due tal schiere, che il campo ne è Or lui vi lascio, e dico de Archiloro, pieno; Ciascuna è cento millia, o poco meno. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua arroganza (I xvi) I xvi 55. I xvi 56. I xvi 54, 5-8 Tanto il core arrogante ha quell'altiera, (Era questa di lei sua cameriera): Or sappiati che la dama Marfisa Che non volse adoprar la sua persona Disse Marfisa: - Intendi il mio sermone: Ben da due leghe è longi alla Contra ad alcuno, per nulla mainera, Quando vedrai fuggir la nostra schiera, battaglia; Se quel non porta in capo la corona; E morto o preso lo re Galafrone, Alla ripa del fiume sopra a l'erba E per questo ne è gita alla rivera, E che atterrata fia la sua bandiera, Dormia ne l'ombra la dama superba. E sotto un pin dormendo se abandona; Alor me desta e mename il ronzone; Ma prima, nel smontar che fie' di sella, Nanzi a quel ponto non mi far parola, Queste parole disse a una donzella, Ché a vincer basta mia persona sola. -

I xvi 57. Dopo questo parlare il viso bello Colcasi al prato, e indosso ha l'armatura; E come fosse dentro ad un castello, Così dormiva alla ripa sicura. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xvii 58 I xvii 59. I xvii 60. Essendo gionti al gran fiume di Drada, Ai compagni se volse Fiordelisa Unde a voi tutti so ben racordare Videro un cavallier, che in dosso avia Dicendo: - S'io non fallo al mio pensiero, Che non entrati di giostra al periglio: Tutte arme a ponto, ed al fianco la E se io ramento ben questa divisa, Spacciànci pur de adrieto ritornare. spada: Quel che vedeti, non è un cavalliero, Credeti a me, che bene io vi consiglio: Una donzella il suo destrier tenìa; Anci una dama, nomata Marfisa, Se non ci ha visto, potremo campare, Però che alor montava in arcïone, Che in ogni parte, per ogni sentiero, Ma se adosso vi pone il fiero artiglio, Quella teniva il freno al suo ronzone. Quanto la terra può cercarsi a tondo, Morir conviensi con dolore amaro, Cosa più fera non si trova al mondo. Ché non si trova a sua possa riparo. - I xvii 61. Nb connessione con il contesto animale Ride Ranaldo di quelle parole, E del consiglio la dama ringraccia, Ma veder quella prova al tutto vôle; Prende la lancia, il forte scudo imbraccia. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza

I xvii 62. I xviii 4. I xviii 5. Marfisa riguardava il fio de Amone, Una grossa asta portava Marfisa Era il foco ordinato in tal maniera Che li sembrava ardito cavalliero; De osso e de nerbo, troppo smisurata; Che ardeva con romore e con gran vento; Già tien per guadagnato il suo Nel scudo azuro aveva per divisa Quando essa entrava alla battaglia fiera, ronzone, Una corona in tre parte spezzata; Più gran furor menava e più spavento; Ma sudar prima li farà mestiero. La cotta d'arme pure a quella guisa, Ogni malia che ha in dosso e ogni lamiera Fermosse l'uno e l'altro in su lo E la coperta tutta lavorata; Tutti eran fatti per incantamento; arcione E per cimer ne l'elmo, al sommo loco, Da capo a piedi per questa armatura Per trovarse assettato al scontro fiero; Un drago verde, che gettava foco. Era diffesa la dama e sicura. E già ciascuno il suo destrier voltava, Quando un messaggio in su il fiume arivava. Eneide, VII 785-8 Esso tra i primi vigoroso Turno Ipse inter primos praestanti corpore Turnus vibrasi in armi e tutto il capo ha sopra. vertitur arma tenens et toto vertice supra est. Il suo di tre criniere elmo crinito cui triplici crinita iuba galea alta Chimaeram una Chimera inalbera che soffia sustinet Aetnaeos efflantem faucibus ignis; fuochi etnei da le fauci e allor piú freme tam magis illa fremens et tristibus effera flammis e piú lampeggia furïosa quando quam magis effuso crudescunt sanguine pugnae. aspre le pugne piú corrono sangue. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

6. I xviii 7. I xviii 8. Fu il suo ronzone il più dismisurato Da l'altra parte il franco fio de Amone Gionse Ranaldo la dama diversa Che giamai producesse la natura: Con una lancia a meraviglia grossa In fronte a l'elmo, con molta tempesta; Era tutto rosigno e saginato, Vien furïoso, quel cor di leone, Sopra alle groppe adietro lo riversa, Con testa e coda ed ogni gamba scura; E proprio nella vista l'ha percossa; Tutta ne l'elmo gli intona la testa. Benché non fosse per arte affatato, Ma, come avesse gionto a un torrïone, Ora ha Marfisa pur sua lancia persa, Fu di gran possa e fiero oltra a misura. Non ha piegata Marfisa, né mossa. Perché se fraccassò sino alla resta; Sopra di questo la forte regina A tronchi ne andò l'asta con romore, In cento e sei battaglie era lei stata Con impeto se mosse e gran roina. Né restò pezzo de un palmo maggiore. Con quella lancia, e sempre era durata.

Dama Rovenza: Dama Rovenza nell’Inamoramento de Carlo Magno VII 42, 4-5: Per sì gran forza dice l’auttore Chi mai potrà contra sua potenza / diversa e grande che par una Rompe la lanza el possente signore torre Ma de suo piede non l’ebe mutata Parea una tore quela dama altana (6 16, 7-8, 17, 1-2) Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xvii 9. I xviii 10. I xviii 11. Ora se roppe al scontro furïoso: Venga un di voi, e lasciasi vedere, Mentre che la orgogliosa sì minaccia, Ben se ne meraviglia la donzella, E pigli a suo piacer questa diffesa, E vuol disfare il celo e il suo Macone, Ma più la ponge il crucio disdegnoso, Ch'io farò sua persona rimanere Ranaldo ad essa rivolta la faccia, Perché Ranaldo ancora è in su la sella. Qua giù riversa e nel prato distesa. Che era stato buon pezzo in stordigione, Chiama iniquo Macone e doloroso, Voi non voliti mia forza temere, E de gire a trovarla se procaccia; Cornuto e becco Trivigante appella: Perché là su non posso esser ascesa; Ma lei, che non stimava quel barone, - Ribaldi, - a lor dicea - per qual Ma, se io prendo il camino, io ve ne Quando contra di sé tornare il vide, cagione aviso, Altieramente disdignando ride. Tenete il cavalliero in su lo arcione? Tutti vi occido, ed ardo il paradiso. - Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xvii12. I xviii 13. I xviii 14. - Ora ché non fuggivi, sciagurato, Cotal parole usava quella altera; Lei per quel colpo nïente se muta, Mentre che ad altro il mio pensiero Il pro' Ranaldo risponde nïente. Ma un tal ne dette al cavalliero ardito, attese? Esso zanzar non vôl con quella fera, Che batter li fie' il mento alla barbuta: Forse hai diletto indi esser pigliato, Ma fa risposta col brando tagliente; Calla nel scudo, e tutto l'ha partito. Perché altrimente non trovi le spese? E, come fu con seco alla frontera, Maglia, né piastra, né sbergo lo aiuta, Ma, per mia fede! sei male incapato, Non pose indugia al suo ferir nïente, Ma crudelmente al fianco lo ha ferito. Ed al presente te dico palese, Ma sopra a l'elmo de Fusberta mena: Quando Ranaldo sente il sangue ch'esce, Come io te avrò tutt'arme dispogliate, Marfisa non sentì quel colpo apena. L'ira, l'orgoglio e l'animo gli cresce. Via cacciarotte a suon di bastonate. - Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xvii15. I xviii 16. I xviii Mai non fo gionto a così fatto caso, E sopra al braccio manco la percosse, 17. Come or se trova, il sir de Sì che li fece abandonar la briglia. Perché ancora esso già non stava a bada, Montealbano. Molto de ciò la dama se commosse, Anci li rispondeva di bon gioco; Getta via il scudo che li era rimaso, E prese del gran colpo meraviglia; Ora se incontra l'una a l'altra spada, E furïoso mena ad ambe mano: Sopra alle staffe presto redricciosse E quelle, gionte, se avamparno a foco. Benché il partito vide aspro e Tutta nel viso per furor vermiglia, Tagliente è ben ciascuna, e par che rada, malvaso, Ed un gran colpo a quel tempo Ma fie' l'ultima prova questo loco; Non ha paura quel baron soprano; menava, Fusberta come un legno l'altra afferra, Ma con tal furia un colpo a due man Quando Ranaldo l'altro radoppiava. Più de un gran palmo ne gettò per terra. serra, Che tutto il scudo li gettò per terra, Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xvii18. I xviii 19. I xviii 20. Quando Marfisa vide che troncata Menò Marfisa un colpo con tempesta, Quando essa vide la sua spada in terra, Era la ponta di sua spada fina, Credendo averlo còlto alla scoperta; Non fu ruina al mondo mai cotale; Che prima fu da lei tanto stimata, Se lo giongeva la botta rubesta, Il suo destrier con ambi sproni afferra, Rimena colpi de molta ruina Era sua vita nel tutto deserta. Urta Ranaldo a furia di cingiale, Sopra Ranaldo, come disperata; Lui, che ha la vista a meraviglia presta, E col viso avampato un pugno serra: Ma lui, che del scrimire ha la dottrina, Da basso se ricolse con Fusberta, Dal lato manco il gionse nel guanziale, Con l'occhio aperto al suo ferire E gionse il colpo nella destra mano, E lo percosse con tanta possanza, attende, Sì che cader li fece il brando al piano. Che assai minor fu il scontro de la lanza. E ben se guarda e da lei se diffende. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xviii 21. I xviii 22. I xviii 23. Io di tal botta assai me maraviglio, Perse ogni sentimento il cavalliero, Marfisa de stupore alciò le ciglia, Ma come io dico, lo scrive Turpino; Benché restasse fermo in su la sella. Quando vide il destrier sì presto gire; Fuor delle orecchie uscia il sangue Or lo portò correndo il suo destriero, Ritorna adrieto e il suo brando repiglia, vermiglio, Né mai gionger lo puote la donzella, E poi di novo se il pose a seguire; Per naso e bocca a quel baron tapino. Ché quel ne andava via tanto legiero, Ma già longe è Ranaldo a meraviglia, Campar lo fece dal mortal periglio Che per li fiori e per l'erba novella E come prima venne a resentire, Lo elmo afatato che fo de Mambrino; Nulla ne rompe il delicato pede; Verso Marfisa volta con gran fretta, Ché se un altro elmo in testa se Non che si senta, ma apena si vede. Voluntaroso a far la sua vendetta. trovava, Longe dal busto il capo li gettava. Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xviii 24. I xviii 25. E' se sentia di sangue pien la faccia, Così dicendo il principe animoso Ed a se stesso se lo improperava, Stringe Fusberta, il suo tagliente Dicendo: “Ove vorrai che mai se brando, saccia E vien contra a Marfisa forïoso. La tua codarda prova, anima prava? Ora voglio tornar al conte Orlando, Ecco una feminella che te caccia! Or che direbbe il gran conte di Brava, Se me vedesse qua nel campo stare Contro una dama e non poter durare?” Marfisa l’amazzone – presentazione – sua forza (I xvii)

I xviii 32, 7-8 I xviii 33. Ma presso al fiume è guerra de altra Già combattuto avian tutto quel I xviii 34. guisa giorno, Da l'altra parte è Marfisa turbata Tra il pro' Ranaldo e la forte Marfisa. Né l'un, né l'altro n'ha ponto avanzato. Assai più de Ranaldo nella vista, Non ha Ranaldo pezzo de arme E non vorrebbe al mondo esser mai nata, intorno, Poi che in tant'ore il baron non acquista. Che non sia rotto e in più parte Spezzato ha il scudo e la spata troncata, fiaccato. Tutta ha dolente la persona e pista, Mor di vergogna e pargli aver gran Benché le membre non abbia tagliate; scorno, Non gettan sangue per l'arme affatate. E sé del tutto tien vituperato, Poi che una dama lo conduce a danza, E più li perde assai che non avanza. Marfisa l’amazzone – una contro molti (I xvii)

I xix 43. I xix 44. I xix 45. E la battaglia fiera Ecco venire Oberto da il Leone Essa, come un cingial tra can mastini, riguardava, E il forte re Ballan, che alora è gionto, Che intorno se ragira furïoso, E chi meglio de il brando se martella; E il re Adrïano e il franco Chiarïone, E nel fronte superbo adriccia e crini, E l'uno e l'altro prodo iudicava, Che tutti quanti arivano ad un ponto: E fa la schiuma al dente sanguinoso; Ma più forte stimava la donzella. Ciascadun segue lo re Galafrone. Sembrano un foco gli occhi piccolini, Ecco Antifor de terra se levava Tre re, tre cavallier, come io vi conto, Alcia le sete e senza alcun riposo E saliva ben presto in su la sella, Ne vanno adosso alla dama pregiata, La fiera testa fulminando mena; E seco è Galafron col brando in mano: Che già con era attaccata. Chi più se gli avicina, ha magior pena: Verso Marfisa ratti se ne vano. Marfisa l’amazzone – una contro molti (I xvii) Eneide X 707-18 I xix 45. E come quel cinghial giú da le vette ac velut ille canum morsu de montibus altis Essa, come un cingial tra can mastini, cacciato da' canini ceffi, dopo actus aper, multos Vesulus quem pinifer Che intorno se ragira furïoso, molti anni che il pinifero Monviso annos E nel fronte superbo adriccia e crini, defendit multosque palus Laurentia silva e la palude laurentina il cinse, E fa la schiuma al dente sanguinoso; ne' canneti pasciuto, or tra le reti pascit harundinea, postquam inter retia Sembrano un foco gli occhi piccolini, s'arresta fremebondo e tutto irsuto; ventum est, Alcia le sete e senza alcun riposo né osando alcuno d'appressar, di lungi substitit infremuitque ferox et inhorruit La fiera testa fulminando mena; mandano i colpi e le sicure grida; armos, Chi più se gli avicina, ha magior pena: nec cuiquam irasci propiusve accedere cosí quelli che in giusta ira Mezenzio hanno, hanno orrore di venirgli a fronte; virtus, sed iaculis tutisque procul clamoribus l'investono lontan di strali e d'urli; impavido esso e in ogni parte vòlto Marfisa – cinghiale instant; digrigna, e scrolla da le schiene i dardi. Come Mezenzio, re degli Etruschi ille autem impavidus partis cunctatur in di Cere, noto per la sua empietà e omnis (traduzione di G. Albini) per la sua crudeltà dentibus infrendens et tergo decutit hastas: Marfisa l’amazzone – una contro molti (I xvii)

I xix 45. Tes. I 37 Ipolita, poi le proferte intese, 39 che facesse colei per lo suo regno, Essa, come un cingial tra can mastini, sanza dimoro i porti fé guarnire, in dubbio da qual parte quivi vegna Che intorno se ragira furïoso, e le miglior del regno alle difese Teseo, o con che arte overo ingegno; E nel fronte superbo adriccia e crini, sanza nessuno indugio fece gire; onde a gire in ciascuna non disdegna, E fa la schiuma al dente sanguinoso; e in tal guisa armò il suo paese, né di pregar che ciascheduna al segno Sembrano un foco gli occhi piccolini, ch'assai sicura poteva dormire, di quel c'ha imposto ben ferma si tegna; Alcia le sete e senza alcun riposo se soverchio di gente oltre pensata però che, s'a tal punto son vincenti, La fiera testa fulminando mena; non fosse, come fu, su quello entrata. più non cal lor curar mai d'altre genti. Chi più se gli avicina, ha magior pena: 38 Né altramenti il cinghiar c'ha sentiti nel bosco i can fremire e' cacciatori, i denti batte e rugghia e gli spediti Marfisa – cinghiale sentieri a sua salute cerca e, pe' romori Come Mezenzio, re degli Etruschi ch'egli ha in qua in là in giù e 'n su uditi, di Cere, noto per la sua empietà e non sa qua' vie per lui si sien migliori, per la sua crudeltà ma ora in giù e ora in su correndo, fino al bisogno, incerto, va fuggendo

Marfisa-cinghiale, come Ippolita nel Teseida di Boccaccio Marfisa l’amazzone – una contro molti (I xvii)

I xix 45. Orlando XVIII 13 Essa, come un cingial tra can mastini, Non altrimenti el gran cignar che sente Che intorno se ragira furïoso, Per lo bosco e cacciatori co’ lor mastini E nel fronte superbo adriccia e crini, E rugge e batte forte dente con dente E fa la schiuma al dente sanguinoso; E de fugire cercando e confini Sembrano un foco gli occhi piccolini, Non sa quale via più solinga di gente Alcia le sete e senza alcun riposo Sia a lui, sempre ricciando i crini, La fiera testa fulminando mena; In su in giù, in qua in là correndo Chi più se gli avicina, ha magior pena: Vanno per lo diserto tuttora fuggendo Marfisa l’amazzone – una contro molti – passaggio di campo di Rinaldo I xix 46. Non altramente quella dama altiera I xix 47. I xix 48. De dritti e de riversi oltra misura Al pro' Ranaldo, che stava a guardare, Così dicendo la crudel donzella Facea battaglia sì crudele e fiera, Par che la dama riceva gran torto, Dà tra coloro e tocca il franco Oberto, Che a più de un par de lor pose paura. Ed a lei disse: - Io te voglio aiutare, E tutto l'elmo in capo li flagella; Già più de trenta sono in una schiera, Se ben dovessi teco esserne morto. - Gionse nel scudo, e in tal modo l'ha aperto, Lei contra a tutti combattendo dura; Quando Marfisa lo sente arivare, Che da due bande il fe' cader di sella. Crescono ogniora e già son più de Ne prese alta baldanza e gran Non valse al re Ballano essere esperto: cento: conforto, Marfisa con la man l'elmo gli afferra, Contra a questi altri va con ardimento. Ed a lui disse: - Cavallier iocondo, Leval di arcione e tral contra alla terra. Poi che sei meco, più non stimo il NB in molti contro una, come Rovenza mondo. - Marfisa l’amazzone – una contro molti – passaggio di campo di Rinaldo I xix 46. Non altramente quella dama altiera I xix 47. I xix 48. De dritti e de riversi oltra misura Al pro' Ranaldo, che stava a guardare, Così dicendo la crudel donzella Facea battaglia sì crudele e fiera, Par che la dama riceva gran torto, Dà tra coloro e tocca il franco Oberto, Che a più de un par de lor pose paura. Ed a lei disse: - Io te voglio aiutare, E tutto l'elmo in capo li flagella; Già più de trenta sono in una schiera, Se ben dovessi teco esserne morto. - Gionse nel scudo, e in tal modo l'ha aperto, Lei contra a tutti combattendo dura; Quando Marfisa lo sente arivare, Che da due bande il fe' cader di sella. Crescono ogniora e già son più de Ne prese alta baldanza e gran Non valse al re Ballano essere esperto: cento: conforto, Marfisa con la man l'elmo gli afferra, Contra a questi altri va con ardimento. Ed a lui disse: - Cavallier iocondo, Leval di arcione e tral contra alla terra. Poi che sei meco, più non stimo il NB in molti contro una, come Rovenza mondo. - Marfisa l’amazzone – giudizio su

I xx 43. I xx 44. I xx 45. E giù tornando, a Ranaldo parlava E quella dama Angelica se appella, Primo Gradasso voglio disertare, Dicendo: - Cavalliero, in quel girone Che ha ben contrario il nome a sua natura, Che è re del gran paese Siricano; Stavvi una meretrice iniqua e prava, Perché è di fede e di pietà ribella. Poi Agricane vado a ritrovare, Piena di frode e de incantazïone; Onde io destino mettere ogni cura Che tutta Tartaria porta per mano. Ma quel che è peggio ed ancor più Che non campi né 'l re né la donzella, Sin in Ponente mi conviene andare, m'agrava, Che pur son chiusi dentro a quelle mura; E disfarò la Franza e Carlo Mano; Un re vi sta, che non ha paragone Poi che disfatto avrò la rocca a tondo, Nanti a quel tempo levarmi di dosso De tradimenti, inganni e di mal fele: Vo' pigliar guerra contra a tutto il mondo. Maglia né usbergo né piastra non posso. Trufaldino è nomato quel crudele. Marfisa l’amazzone – giudizio su Angelica

I xx 46. I xx 47. I xx 48. Ché fatto ho sacramento a Trivigante Per tal parole intese il fio de Amone Voi la maniera sapeti e la guisa, Non dispogliarme mai di questo arnese Che Angelica è la dentro e Trufaldino; Però qua non la voglio replicare. Insin che le provincie tutte quante, E in vero al mondo non ha due persone Ora rispose il principe a Marfisa: E castelle e citade non ho prese; Ché più presto volesse a suo domìno. - Con teco son contento dimorare Sì che, barone, tuoteme davante, Al re ben portava odio per ragione, E star sotto tua insegna e tua divisa, O prometti esser meco a queste offese, Alla dama non già, per Dio divino! Sin che abbi Trufaldino a conquistare; Ché chiaramente e palese te dico: Perché essa amava lui più che 'l suo core; Ma già più oltra il partito non piglio, Chi non è meco, quello è mio nemico. - Ma incanto era cagion di tanto errore. Ché il loco e il tempo mi darà consiglio. - Marfisa l’amazzone – confronto Marfisa-Angelica

I xxvii 59. I xxvii 60. I xxvii 61. Lei senza l'elmo el viso non nasconde: Angelica a costei già non somiglia, Questa ne andava con Orlando a mano, Non fu veduta mai cosa più bella. Che era assai più gentile e delicata: Come poco di sopra io ve ho contato; Rivolto al capo avea le chiome bionde, Candido ha il viso e la bocca vermiglia, E quella col segnor de Montealbano, E gli occhi vivi assai più ch'una stella; Suave guardatura ed affatata, Che incontra gli venìa da l'altro lato, A sua beltate ogni cosa risponde: Tal che a ciascun mirando il cor gli empigliaCon l'arme in dosso sopra Rabicano.: Destra ne gli atti, ed ardita favella, La chioma bionda al capo rivoltata, Torindo e il duca disarmato, Brunetta alquanto e grande di persona: Un parlar tanto dolce e mansueto, Prasildo e Iroldo pien di vigoria, Turpin la vide, e ciò di lei ragiona. Ch'ogni tristo pensier tornava lieto. Fanno a Ranaldo onore e compagnia. Marfisa l’amazzone – Marfisa (e Orlando) scornati II xi 3. II xi 1, 5-8 Ed io cantando a ricontar ritorno E lei, che a meraviglia era superba, Superbia, asprezza La bella istoria, e voglio seguitare Sì come già più volte aveti inteso, (acerba), rabbia, animo Ove io lasciai Marfisa sopra al piano, L'avea seguito in quel gran prato de erba acceso continuano ad Che è posta in caccia dietro allo Africano: Già da sei giorni, ed anco non l'ha preso; essere i punti principali del Onde di sdegno la donzella acerba personaggio di Marfisa. II xi 2. Se consumava ne l'animo acceso, NB Marfisa Dietro a quel ladro, io dico, de Brunello, Poi che con tante beffe e tanto scorno all’inseguimento esce Che già dal re Agramante fu mandato Li agira il capo quel giottone intorno. inavvertitamente dallo Per involar de Angelica lo annello; spazio epico Ma lui più fie' che non fu comandato, Perché un destriero il falso ribaldello NB azione di Brunello: ruba quegli oggetti che erano stati custoditi, De sotto a avea levato, desiderati, usati come dispositivi magici à avanzamento della situazione Ed a Marfisa di man tolse il brando; narrativa (per i personaggi, per il narratore) So che sapeti il tutto, e come, e quando. Brunello il ladro II iii 41. II iii 39. Come fu dentro, vidde zoie tante Il re de Fiessa, che è tutto canuto, E tante lame d'ôr, come io contai; Disse: - Segnor, io voglio un poco uscire, Ben se augura in suo core esser gigante E spero che Macon mi doni aiuto: Per poter via di quel portare assai. Un mio servente ti vuo' fare odire. - Poi che fu gionto al tribunale avante, Già lungo tempo non fu ritenuto, Disse: - Segnore, io non posserò mai, E fece un ribaldello entro venire, Sin che con l'arte, inganni, o con ingegno Che altri sì presto non fu mai di mano; Io non acquisti il promettuto regno. Brunello ha nome quel ladro soprano. 40. Egli è ben piccioletto di persona, Ma di malicia a meraviglia pieno, E sempre in calmo e per zergo ragiona: Lungo è da cinque palmi, o poco meno, E la sua voce par corno che suona; Nel dire e nel robbare è senza freno. Va sol di notte, e il dì non è veduto, Curti ha i capelli, ed è negro e ricciuto. Brunello il ladro e Margutte il mezzo gigante

42. Lo annello io l'averò ben senza errore, E presto il portaraggio in tua masone; Ma ben ti prego che in cosa maggiore Ti piaccia poi di me far parangone. Tuor la luna dal cel giù mi dà il core, E robbare al demonio il suo forcone, E per sprezar la gente cristïana Robberò il Papa e 'l suon de la campana. - NB misura iperbolica e paradossale del vanto di Brunello

II iii 43. Il re se meraviglia ne la mente Veggendo un piccolin tanto sicuro; Lui ne va per dormire incontinente, Che poi gli piace de vegiare al scuro. Non se ne avide alcun di quella gente Che molte zoie dispiccò del muro. Ben se lamenta di sua poca lena; Tante ne ha adosso, che le porta apena. Brunello il ladro e Margutte il mezzo gigante Orlando innamorato II iii 40. Egli è ben piccioletto di persona, XVIII 112 Orlando innamorato II iii 42. Ma di malicia a meraviglia pieno, Giunto Morgante un dì in su 'n un Lo annello io l'averò ben senza errore, E sempre in calmo e per zergo ragiona: crocicchio, E presto il portaraggio in tua masone; Lungo è da cinque palmi, o poco meno, uscito d'una valle in un gran bosco, Ma ben ti prego che in cosa maggiore E la sua voce par corno che suona; vide venir di lungi, per ispicchio, Ti piaccia poi di me far parangone. Nel dire e nel robbare è senza freno. un uom che in volto parea tutto fosco. Tuor la luna dal cel giù mi dà il core, Va sol di notte, e il dì non è veduto, Dètte del capo del battaglio un picchio E robbare al demonio il suo forcone, Curti ha i capelli, ed è negro e ricciuto. in terra, e disse: “Costui non conosco”; E per sprezar la gente cristïana e posesi a sedere in su 'n un sasso, Robberò il Papa e 'l suon de la campana. - Orlando innamorato II iii 41. tanto che questo capitòe al passo. Orlando innamorato II iii 43. Come fu dentro, vidde zoie tante Morgante XVIII 112 Il re se meraviglia ne la mente E tante lame d'ôr, come io contai; Morgante guata le sue membra tutte Veggendo un piccolin tanto sicuro; Ben se augura in suo core esser gigante più e più volte dal capo alle piante, Lui ne va per dormire incontinente, Per poter via di quel portare assai. che gli pareano strane, orride e brutte: Che poi gli piace de vegiare al scuro. Poi che fu gionto al tribunale avante, - Dimmi il tuo nome, - dicea - vïandante. Non se ne avide alcun di quella gente Disse: - Segnore, io non posserò mai, Colui rispose: - Il mio nome è Margutte; Che molte zoie dispiccò del muro. Sin che con l'arte, inganni, o con ingegno ed ebbi voglia anco io d'esser gigante, Ben se lamenta di sua poca lena; Io non acquisti il promettuto regno. poi mi penti' quando al mezzo fu' giunto: Tante ne ha adosso, che le porta apena. vedi che sette braccia sono appunto. - Margutte il ladro

Morgante XVIII 115 Morgante XVIII 117 Rispose allor Margutte: - A dirtel tosto, ed Apollin debbe essere il farnetico, io non credo più al nero ch'a l'azzurro, e Trivigante forse la tregenda. ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto; La fede è fatta come fa il solletico: e credo alcuna volta anco nel burro, per discrezion mi credo che tu intenda. nella cervogia, e quando io n'ho, nel mosto, Or tu potresti dir ch'io fussi eretico: e molto più nell'aspro che il mangurro; acciò che invan parola non ci spenda, ma sopra tutto nel buon vino ho fede, vedrai che la mia schiatta non traligna e credo che sia salvo chi gli crede; e ch'io non son terren da porvi vigna. Mitere: «mitra», copricapo che si Morgante XVIII 116 Morgante XVIII 116 metteva in testa ai condannati a pene e credo nella torta e nel tortello: Or queste son tre virtù cardinale, infamanti. «da papi» perché avevano l'uno è la madre e l'altro è il suo figliuolo; la gola e 'l culo e 'l dado, ch'io t'ho detto; la punta arrotondata come quella dei e 'l vero paternostro è il fegatello, odi la quarta, ch'è la principale, papi. Granate altro distintivo e posson esser tre, due ed un solo, acciò che ben si sgoccioli il barletto: infamante. e diriva dal fegato almen quello. non vi bisogna uncin né porre scale E perch'io vorrei ber con un ghiacciuolo, dove con mano aggiungo, ti prometto; se Macometto il mosto vieta e biasima, e mitere da papi ho già portate, credo che sia il sogno o la fantasima; col segno in testa, e drieto le granate. Margutte il ladro

Succhi: strumenti per bucare, sorta di Morgante XVIII 133 Morgante XVIII 135 trapani a mano E trapani e paletti e lime sorde Io ho scopato già forse un pollaio; e succhi d'ogni fatta e grimaldelli s' tu mi vedessi stendere un bucato, e levane: strumenti simili al paletto, e scale o vuoi di legno o vuoi di corde, diresti che non è donna o massaio per aprire e sconficcare e levane e calcetti di feltrelli che l'abbi così presto rassettato: che fanno, quand'io vo, ch'ognuno assorde, s'io dovessi spiccar, Morgante, il maio, e calcetti di feltrelli: calzature di feltro lavoro di mia man puliti e belli; io rubo sempre dove io sono usato; per non fare rumore quando si e fuoco che per sé lume non rende, ch'io non istò a guardar più tuo che mio, cammina ma con lo sputo a mia posta s'accende. perch'ogni cosa al principio è di Dio. messo di contado del paiuolo: il funzionario che doveva Morgante XVIII 134 Morgante XVIII 136 sequestrare i beni dei debitori, S' tu mi vedessi in una chiesa solo, Ma innanzi ch'io rubassi di nascoso, anche fosse il paiolo (pentola) io son più vago di spogliar gli altari io fui prima alle strade malandrino: che 'l messo di contado del paiuolo; arei spogliato un santo il più famoso, stendere un bucato: rubare un bucato poi corro alla cassetta de' danari; se santi son nel Ciel, per un quattrino; steso ma sempre in sagrestia fo il primo volo, ma per istarmi in pace e in più riposo, e se v'è croce o calici, io gli ho cari, non volli poi più essere assassino; il maio: ramo verde che gli innamorati e' crucifissi scuopro tutti quanti, non che la voglia non vi fussi pronta, appendevano alla porta di casa nella poi vo spogliando le Nunziate e' santi. ma perché il furto spesso vi si sconta. festa di calendimaggio Brunello, Margutte, la poesia, la scrittura e la parodia papasso: sacerdote musulmano Morgante XVIII 118 Morgante XVIII 137 sonar la ribeca: strumento a corde Questa fede è come l'uom se l'arreca. Le virtù teologiche ci resta. Vuoi tu veder che fede sia la mia?, S'io so falsare un libro, Iddio tel dica: iccase farotti un fio : di un x ti farò un che nato son d'una monaca greca d'uno iccase farotti un fio, ch'a sesta y e d'un papasso in Bursia, là in Turchia. non si farebbe più bello a fatica; a sesta: con il compasso E nel principio sonar la ribeca e traggone ogni carta, e poi con questa mi dilettai, perch'avea fantasia raccordo l'alfabeto e la rubrica, segno: il numero e la lettera che cantar di Troia e d'Ettore e d'Achille, e scambiere'ti, e non vedresti come, indicavano il fascicolo e la non una volta già, ma mille e mille. il titol, la coverta e 'l segno e 'l nome. progressione delle pagine, per aiutare nell’ordinamento dei Morgante XVIII 119 Orlando innamorato II iii 40. fascicoli di un libro (a1, a2, ecc.) Poi che m'increbbe il sonar la chitarra, Egli è ben piccioletto di persona, io cominciai a portar l'arco e 'l turcasso. Ma di malicia a meraviglia pieno, Un dì ch'io fe' nella moschea poi sciarra, E sempre in calmo e per zergo ragiona: e ch'io v'uccisi il mio vecchio papasso, Lungo è da cinque palmi, o poco meno, mi posi allato questa scimitarra E la sua voce par corno che suona; e cominciai pel mondo andare a spasso; Nel dire e nel robbare è senza freno. e per compagni ne menai con meco Va sol di notte, e il dì non è veduto, tutti i peccati o di turco o di greco; Curti ha i capelli, ed è negro e ricciuto Il Marguttino, la poesia, la scrittura e la parodia scuccobrino: buffone, giocoliere Morgante XXIV 91 Morgante XXIV 93 toma : fa capriole Disse Malgigi: - Aspetta un poco, Orlando, e suona una zampogna o zufolino, tìrati addrieto. - Orlando si scostava. ed accostossi a que' giganti, e tresca, la schiavonesca: ballo Allor Malgigi venìa disegnando e fa certi atti come scuccobrino carattere e sigilli, e preparava e intorno a lor la più strana moresca, le candarie e' pentaculi. Ma quando e spesso toma come un babbuïno vennon gli spirti ch'egli scongiurava, o come scimia fa la schiavonesca: Tabaccava: attirava, riscaldava tremò la terra come vento fossi sì che e' guardava questa maraviglia Sdrucciola: far sdrucciolare e l'aïr tutto in un punto turbossi. l'un campo e l'altro, e ritenea la briglia. Smoccola: toglie la parte bruciata Morgante XXIV 92 Morgante XXIV 94 sulla cima del lucignolo di un lume In questo in mezzo il prato hanno veduto A poco a poco questa filastroccola un uom che parea stran più che Margutte, questi giganti tabaccava e sdrucciola; Sdrucciola: fa sdrucciolare e zoppo e guercio e travolto e scrignuto, e quel fantin, come chi spesso smoccola, Coccola: testa e di gigante avea le membra tutte, si vede or sì or no come la lucciola, salvo che il capo era a doppio cornuto; sì che comincia a girar lor la coccola, Succiola: una castagna lessa saltella in qua e in là come le putte, ché non parea che gli stimi una succiola; Chiappola: trappola e scherza e ride e più giuochi fa quello ed ognun ride a veder questa chiappola, ch'un Fracurrado o un Arrigobello; quantunque ancor non s'intenda la trappola. Il Marguttino, la poesia, la scrittura e la parodia

Morgante XXIV 95 Morgante XXIV 97 Hai tu veduto il can con la cornacchia Guarda se vuole il Marguttin la baia: come spesso beffato indarno corre? e' va lor tra le gambe per dispetto, Ella si posa, e poi si lieva e gracchia: impronto più ch'una mosca culaia. così costor non si poteano apporre. Ecco apparire intanto un bel boschetto Dunque Malgigi ne trarrà la macchia! tondo, impaniato come una uccellaia, Ed ogni volta che gli volean porre non falsa illusïon, ma con effetto: le mani addosso, egli spariva o sguizza, le frasche natural, la pania e 'l vischio tal che i giganti scoppion per la stizza. e la civetta e gli schiamazzi e 'l fischio.

Morgante XXIV 96 trarrà la macchia : ne ricaverà il Ma come Antea questo vide, di botto massimo successo fra suo cor disse: “Que' giganti matti non intendon l'inganno che v'è sotto: questo è di Malagigi de' suoi tratti, che certo il mio disegno m'arà rotto”. Intanto colui pur facea certi atti, e per tentargli nella pazïenzia le chiappe squadernò con reverenzia. Il Marguttino, la poesia, la scrittura e la parodia papasso: sacerdote musulmano Morgante XXIV 98 sonar la ribeca: strumento a corde Il gigantin nel boschetto si tuffa come il tordo talvolta o altro uccello; iccase farotti un fio : di un x ti farò un poi gli dileggia e fa coppino e struffa, y e faceva con bocca e con l'anello. a sesta: con il compasso Questi giganti, irati per la buffa, come sparvier si chiuson drieto a quello; segno: il numero e la lettera che e in qua ed in là pel boschetto s'avvolsono, indicavano il fascicolo e la tanto che tutte le frasche raccolsono; progressione delle pagine, per aiutare nell’ordinamento dei fascicoli di un libro (a1, a2, ecc.) Morgante XXIV 99 e diventoron due gran cerracchioni co' rami intorno dal vento fiaccati. Or fate lima lima a' mocciconi che così tosto si sono impaniati! E' volevon menar pure i bastoni, ma non potean, ché sono avviluppati; gridavon forte con urla feroce, che tutto il campo stordiva alla voce. Marfisa l’amazzone – Marfisa (e Orlando) scornati

II xi 4. II xi 5. II xi 6. Perché, fuggendo e mostrando paura, Il conte Orlando, che stava da parte Fuggeva, spesso il capo rivoltando, Gli stava avanti e non si dilungava; E cognosciuta avea prima Marfisa, E truffava di lengua e delle ciglia. Ed or, voltando per quella pianura, Mirando l'atto, ed esso e Brandimarte Nel passar di traverso vidde Orlando, Spesso alle spalle ancor se gli trovava; Di quel giottone insieme fier' gran risa; E di torli qualcosa se assotiglia. E per mostrar di lei più poca cura, Ma la regina per forza o per arte L'occhio gli corse incontinenti al brando, La giuppa sopra al capo rivoltava, Pigliar pur vôl Brunello ad ogni guisa, Che fu già fatto con tal meraviglia E poi se alciava (intenditime bene) Per far de tanti oltraggi alfin vendetta: Da Falerina de Orgagna al giardino: Mostrando il nudo sotto dalle rene. E lui fuggendo sembra una saetta. Brando nel mondo mai fu tanto fino. Marfisa l’amazzone – Marfisa (e Orlando) scornati

II xi 7. II xi 9. II xi 10. Egli era bello e tutto lavorato Come la vita il conte l'avea caro, Benché Marfisa l'ha sempre seguito, D'oro e de perle e de diamanti intorno: Però lo prese prestamente in mano; Lui ne va via col corno e con la spata. Ben si serebbe il ladro disperato, Ma non valse a tenerlo alcun riparo, Quivi rimase il conte sbigotito, Se avuto non avesse il brando adorno. Tanto è malvaggio quel ladro Africano. Né sa come la cosa sia passata. Subitamente lo trasse da lato; E ben che aponto io non sappia dir chiaro Già de sua vista è quel ladro partito, Mai non se vidde al mondo maggior scorno, Come passasse il fatto in su quel piano, Con Marfisa alle spalle tutta fiata; Ché 'l ladro passa e crida al conte: - Ascolta, Pur vi concludo senza diceria Né lui, né Brandimarte ormai lo vede, Io torno per il corno a l'altra volta. - Che 'l ladro tolse il corno e fuggì via. Né lo posson seguir, ché sono a piede.

II xi 8. Del brando non se avidde alora il conte, Ma alla minaccia sol del corno attese. Quel corno de cui parlo, fu de Almonte, Che il trasse a uno elefante in suo paese, Poi lo perse morendo in Aspramonte (Sì come io credo che vi sia palese), Allor che Brigliadoro e Durindana Acquistò Orlando sopra alla fontana. in battaglia

II vi 56. II xi 61. Or se leva a sue spalle il crido fiero Il duca Naimo, che è saggio e prudente, Per l'altra gente che nel poggio appare, Come vede e nemici alla pianura, Io dico Naimo, Ottone e Belengiero, Fermò sopra del monte la sua gente, Che d'altra parte vengono arivare, E divisela in terzo per misura. Roberto de Asti e 'l conte di Lorena La schiera che venìa primeramente, Con Bradamante, che la schiera mena. Fu Bradiamante, ch'è senza paura; II vi 57. La figliola de Amon, quella rubesta, Avanti a gli altri vien quella donzella, Venìa spronando con la lancia a resta. E bene al suo german tutta assomiglia; Proprio assembra Ranaldo in su la sella, E di bellezza è piena a meraviglia. Costei mena la schiera a gran flagella; Ma Rodamonte, levando le ciglia, Gionta la gente vede in ogni lato, Che quasi intorno l'ha chiuso e serrato. Bradamante in battaglia

II vii 4. II vii 6. II vii 7. Sempre ferendo va quello africante Ma non di manco pur fo per cadere, Lei già rivolto ha il suo destrier coperto, Dritti e roversi, e cridando minaccia; Come io ve dissi, per quella incontrata, E torna adosso a quel saracin crudo. Egli ha i nemici di dietro e davante, Quando la dama che ha tanto potere Or fuor de schiera uscì il conte Roberto Ma lui col brando se fa ben far piaccia. Lo ferì al fianco con lancia arrestata; E ferì Rodamonte sopra il scudo, Ecco gionta alla zuffa Bradamante, Tutta la gente che l'ebbe a vedere, Ed Ansuardo de battaglia esperto, Quella donzella ch'è di bona raccia; Levò gran crido e voce smisurata; Egli sprona anco adosso a brando nudo; Come fùlgor del cielo, o ver saetta, Né già per questo al pagan se avicina, Onde la gente, che ha ripreso core, Ver Rodamonte la sua lancia assetta. Ma sol cridando aiuta la fantina. Tutta se mosse insieme a gran furore,

5. Dal lato manco il gionse nel traverso E passò il scudo questa dama ardita, E quasi a terra lo mandò riverso, Benché non fece a quel colpo ferita; Ché 'l saracin, che fu tanto diverso, Ed avea forza incredibile e infinita, Portava sempre alla battaglia indosso Un cor di serpe, mezo palmo grosso. Bradamante in battaglia

II vii 8. II vii 10. II vii 11. - Adosso! adosso! - ciascadun cridando, Onde rimase a terra la donzella, Rimase, com'io dico, Brandimante Con sassi e lancie e dardi oltra misura. Ché 'l suo destriero è in duo pezi partito. Col destrier morto adosso in su l'arena Rideva il saracin questo mirando, Adosso a gli altri il saracin martella; Tra quelle genti occise, che eran tante, Come colui che fu senza paura; Roberto, il conte de Asti, ebbe cernito: Che più morta che viva era con pena. Mena a traverso il furïoso brando, De un colpo il fende insino in su la sella. E Rodamonte, busto de gigante, E gionse proprio a loco di cintura Alor fu ciascaduno sbigotito, Col brando tutto il resto a morte mena; Quello Ansuardo, conte di Lorena, Mirando il colpo di tanta tempesta: Sempre alla folta in mezzo è il gran pagano, E morto a terra il pose con gran pena. Chi può fuggire, in quel campo non resta. E manda pezzi da ogni banda al piano.

II vii 9. 9. Mezo alla terra e mezo nell'arcione Rimase il busto di quel paladino: Non fu mai vista tal destruzïone. A Brandimante mena il saracino; Lei non accolse, ma gionse il ronzone, Che era coperto de usbergo acciarino; Non giova usbergo né piastra né maglia, Ché col e spalle a quel colpo li taglia. Bradamante in battaglia

II vii 8. II vii 10. II vii 11. - Adosso! adosso! - ciascadun cridando, Onde rimase a terra la donzella, Rimase, com'io dico, Brandimante Con sassi e lancie e dardi oltra misura. Ché 'l suo destriero è in duo pezi partito. Col destrier morto adosso in su l'arena Rideva il saracin questo mirando, Adosso a gli altri il saracin martella; Tra quelle genti occise, che eran tante, Come colui che fu senza paura; Roberto, il conte de Asti, ebbe cernito: Che più morta che viva era con pena. Mena a traverso il furïoso brando, De un colpo il fende insino in su la sella. E Rodamonte, busto de gigante, E gionse proprio a loco di cintura Alor fu ciascaduno sbigotito, Col brando tutto il resto a morte mena; Quello Ansuardo, conte di Lorena, Mirando il colpo di tanta tempesta: Sempre alla folta in mezzo è il gran pagano, E morto a terra il pose con gran pena. Chi può fuggire, in quel campo non resta. E manda pezzi da ogni banda al piano.

II vii 9. 9. Mezo alla terra e mezo nell'arcione Rimase il busto di quel paladino: Non fu mai vista tal destruzïone. A Brandimante mena il saracino; Lei non accolse, ma gionse il ronzone, Che era coperto de usbergo acciarino; Non giova usbergo né piastra né maglia, Ché col e spalle a quel colpo li taglia. Bradamante in battaglia

II xxv 14. II vii 18. II vii 19, 5-8. Avanti a gli altri la donzella fiera E mena in volta le schiere pagane, Costui veggendo il gran dalmaggio e il male Più de un'arcata va per la pianura, Facendo deleguare or quelle or queste; Che fea la dama per ogni sentiero, Tanto robesta e sì superba in ciera Ove ella corre, il segno vi rimane Con una lancia noderuta e grossa Che solo a riguardarla era paura; E fa le strate a tutti manifeste, A lei se afronta e dàgli alta percossa. Là quel stendardo e qua questa bandiera Che restan piene di piedi e di mane, II vii 20. Getta per terra, e de altro non ha cura Di gambe e busti e di braccie e di teste; Ma lei de arcion non se crolla nïente, Che di trovare al campo Rodamonte, E la sua gente, che alle spalle mena, E mena sopra a l'elmo a quel pagano, Ché del passato se ramenta l'onte, È di gran sangue caricata e piena. E calla il brando giù tra dente e dente; Quel cadde morto del destriero al piano. Quando ciò vidde la pagana gente, II vii 17. Ben vi so dir che a folta se ne vano, Questo abandona e mena ad Archidante Chi qua chi là fuggendo a più non posso; Ad ambe man, sì come era adirata, Ma sempre e Cristïan lor sono adosso. E ne la fronte li gionse davante: Per sua ventura se voltò la spata; E lui cadendo a su voltò le piante E rimase stordito ne la strata. La dama non ne cura e in terra il lassa, E ruïnando via tra gli altri passa.