I Socialisti Italiani E La Questione Mediorientale (1948-1987)

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I Socialisti Italiani E La Questione Mediorientale (1948-1987) UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ROMA TRE Dottorato di ricerca in “Storia dell’Italia contemporanea: politica, territorio, società” Ciclo XX Francesca Pacifici I SOCIALISTI ITALIANI E LA QUESTIONE MEDIORIENTALE (1948-1987) Tutor Ch.mo Prof. Franco Rizzi Coordinatore del Dottorato di ricerca Ch.mo Prof. Mario Belardinelli Indice Introduzione pag. 2 Capitolo primo Il mondo e la questione palestinese. L’OLP nel contesto internazionale 1.1.La nascita dell’OLP e la sua affermazione internazionale pag. 17 1.2.L’OLP e il mondo arabo pag. 48 1.3.La politica mediorientale degli Stati Uniti pag. 64 1.4.La politica dell’Unione Sovietica in Medio Oriente pag. 87 1.5.L’Europa occidentale e la regione mediorientale pag. 107 Capitolo secondo I socialisti italiani e la questione mediorientale 2.1. Dai primi interessamenti al movimento sionista alla crisi di Suez pag. 126 2.2. Il sostegno allo Stato di Israele pag. 161 2.3. La scoperta delle ragioni dei palestinesi pag. 186 Capitolo terzo Il PSI di Craxi e la questione mediorientale 3.1. Gli anni della segreteria Craxi pag. 216 3.2. Un nuovo decennio e nuovi orientamenti del PSI per la questione mediorientale pag. 247 3.3. Gli anni del governo Craxi pag. 285 3.4. La testimonianza di Antonio Badini, Consigliere diplomatico del governo Craxi pag. 312 Bibliografia pag. 328 2 Introduzione La tesi propone una lettura delle posizioni del Partito Socialista Italiano nei confronti della questione mediorientale dalla nascita dello Stato di Israele fino agli anni del governo di Bettino Craxi. La lettura degli orientamenti dei socialisti per il conflitto arabo-israeliano ha affrontato diverse variabili ed è stata dunque inserita in un quadro di riferimento più ampio, che comprende sia le dinamiche interne italiane e gli sviluppi del PSI, sia la dimensione degli equilibri regionali in Medio Oriente, sia le oscillazioni degli schemi delle influenze nel sistema internazionale. Proprio in virtù dell’inserimento dell’analisi entro un panorama internazionale, e dunque nel sistema degli sviluppi del confronto bipolare, l’ipotesi di lettura su cui si fonda questo lavoro è che sul conflitto arabo-israeliano il PSI si sia posizionato in maniera autonoma rispetto alle logiche imposte dalla Guerra Fredda. Questa chiave interpretativa si mostra senz’altro valida fino alla metà degli anni Settanta: prima di allora, dopo le posizioni filosovietiche nel periodo post bellico, la politica estera del partito si attestò per un lungo periodo, dopo il 1956, su una scelta di campo solo tiepidamente atlantista, ma molto più neutralista, europeista e «universalista» 1. Ma l’ipotesi interpretativa si mostra ancora più valida negli anni della segreteria di Bettino Craxi, soprattutto quando il PSI arrivò alla Presidenza del Consiglio e l’Italia strutturò una politica mediterranea 1 «(…) legate cioè all’istituzionalismo giuridico (Nazioni Unite e agenzie collegate)», C. M. Santoro, L’Italia e il Mediterraneo. Questioni di politica estera , Franco Angeli, Milano, p. 113. 3 molto attiva. Fu proprio la politica mediorientale, durante il governo Craxi, a rappresentare il settore in cui venne materializzato il principio di affrancamento dall’egemonia delle superpotenze: il leader socialista dimostrò che era possibile coniugare l’atlantismo con una certa autonomia d’azione, e, anziché essere soltanto subalterni alle politiche decise a Washington, l’Italia poteva ricavare un raggio d’azione indipendente per perseguire i propri interessi nazionali. Le scelte filo- occidentali del governo a guida socialista, cominciate con l’appoggio del PSI al governo Cossiga per l’installazione degli euromissili, e culminate nel marzo 1985, quando Craxi parlò davanti al Congresso americano, furono uno strumento utilizzato per accreditarsi a Washington e procurarsi spazi di autonomia. Dal 1983 al 1987, in effetti, un singolare raggio d’azione si dispiegò per la politica estera italiana. L’esempio più convincente di questa indipendenza fu l’attività tessuta da Bettino Craxi e dal Ministro degli Esteri Andreotti per contribuire alla costruzione del processo di pace in Medio Oriente, operazione diplomatica condotta attraverso una politica non sempre in linea con la sensibilità statunitense, a partire dal fatto che il principale interlocutore del governo fu l’OLP di Arafat, organizzazione che in quegli anni l’amministrazione Reagan non fu disposta a riconoscere come rappresentante legittimo del popolo palestinese. La politica del governo a guida socialista fu indirizzata dunque a perseguire, prima di ogni altro obiettivo, gli interessi specifici dell’Italia, ovvero il progetto di costruire per l’Italia un ruolo da potenza regionale nel Mediterraneo, creando i presupposti necessari per impiantare rapporti economici e commerciali con una regione di vitale interesse per la 4 penisola, come insegnò la crisi energetica dopo la guerra dello Yom Kippur nel 1973. La scelta di trattare questo tema deriva da più di una constatazione: la prima è il riscontro dell’importanza che per il Partito socialista italiano ebbero la questione del sionismo e il rapporto con lo Stato di Israele, la seconda è l’attenzione sempre mostrata nei confronti della questione mediorientale, a livello di teoria politica prima e di attivismo poi, quando Craxi fu al governo, e la terza motivazione parte dal tentativo di spiegare l’evoluzione delle posizioni del partito nei confronti del conflitto arabo-israeliano. Il lavoro è stato suddiviso in tre parti. Nel primo capitolo viene proposta una ricostruzione storica della lotta palestinese per l’autodeterminazione e per la costruzione di uno Stato indipendente, attraverso una lettura incentrata sulle relazioni internazionali che, Al-Fatah prima e l’OLP dopo, impostarono all’estero con i governi, con le forze politiche straniere e con gli altri movimenti di liberazione come necessario strumento di lotta. Inserire dunque in questa sede un’analisi simile non mira tanto alla semplice ricostruzione storica, quanto invece a mostrare il profondo interesse che aveva l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, impegnata da sempre a diffondere le proprie ragioni ovunque fosse stato possibile, ad instaurare rapporti esterni come obiettivo strategico per la ricerca di un sostegno alla propria causa. In questo orizzonte di riferimento si inseriscono le argomentazioni principali della ricerca, che si propone di indagare la posizione del Partito Socialista Italiano nei confronti del conflitto arabo-israeliano, 5 partendo dal presupposto che, nonostante il costante interessamento del PSI per la questione mediorientale, nato con l’appoggio allo Stato di Israele e trasformatosi alla fine degli anni Settanta in sostegno aperto alla causa politica palestinese, fu solo con Craxi che il partito agì attivamente nel contesto mediorientale. Prima, infatti, l’OLP di Yasser Arafat ebbe sostanzialmente il Partito comunista italiano come punto di riferimento per l’Italia, ma negli anni Ottanta il PSI avviò la costruzione di un rapporto di amicizia e collaborazione con i rappresentanti del popolo palestinese: Craxi e Arafat, anche con la mediazione del rappresentante dell’OLP in Italia, Nemer Hammad, misero in piedi una linea di dialogo diretto niente affatto scontata, che negli anni del governo raggiunse il momento culminate. Nessun governo europeo si espose così con l’organizzazione di Arafat, e gli Stati Uniti consideravano all’epoca l’OLP un’organizzazione di terroristi, ciò nonostante il leader socialista fu mosso dalla certezza politica che la pace potesse essere raggiunta solo attraverso il coinvolgimento dei rappresentanti del popolo palestinese. E lavorò per rendere credibile l’organizzazione. L’altra ragione che ci ha spinto a proporre la storia del movimento di lotta palestinese in questo primo capitolo è nata dal tentativo di mostrare anche la sostanziale autonomia della forza politica palestinese rispetto alle influenze delle due superpotenze. Le dinamiche della questione mediorientale trascendono, per molti aspetti, l’impostazione dei blocchi contrapposti della Guerra Fredda, e, dato che lo stesso discorso vale per le posizioni assunte dal partito socialista nelle vicende mediorientali, e per gli sviluppi successivi 6 della politica estera del governo Craxi, la ricostruzione delle vicende internazionali dell’OLP ci aiuta a concludere che la contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica non possa essere sufficiente a spiegare e dimostrare le evoluzioni degli eventi delle diverse regioni del mondo. La convinzione di fondo è dunque che la storia di una specifica regione del mondo, a partire dal secondo dopoguerra, sia il risultato di una complessa interazione tra dimensioni e livelli politici che si intersecano e si influenzano senza prevalere gli uni sugli altri, producendo dunque, per ogni contesto, dinamiche sempre singolari. Dal punto di vista della politica mediorientale del PSI, la cultura politica specifica del partito prima, e poi il perseguimento degli interessi specifici dell’Italia negli anni del governo Craxi, con l’apice della crisi di Sigonella, possono essere sufficienti elementi a supporto di questa tesi; se si guarda invece al Medio Oriente, come verrà mostrato in questo primo capitolo, l’appartenenza ad una delle due sfere d’influenza, ebbe sempre un carattere militare, difensivo e geopolitico, ma non ebbe ricadute concrete sui sistemi e sulle strutture socio-culturali dei vari paesi 2. Il secondo capitolo entra nel cuore della tesi, e affronta il tema dell’atteggiamento dei socialisti italiani nei confronti della questione mediorientale
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