La Pappa di Armando* Germano Celant

a memoria è un paesaggio dove i personaggi attraver- Lsano la scena, moltiplicando le immagini. Un luogo discontinuo e labile, attraversato da vuoti che spingono i tempi a confondersi e a presentarsi con un ritmo irregolare. Pertanto anche i miei ricordi di Armando Testa soffrono di discontinuità e quasi di incoerenza, perché affondano in un periodo dislocato oltre quaranta anni fa. Tuttavia la ricerca da compiere è per un altro ordine che renda la possibile percezione di un fram- mento di identità, quel- lo attraversato insieme, anche per pochi istanti e momenti, periodi e luoghi. Il primo aggan- cio con Armando data intorno al 1965, quando la mia avventura, di te- orico e di storico, è già legata da qualche anno al clima culturale e ar- tistico di Torino. Qui incontro le figure di un raggruppamento che non è ancora struttura- to, né riunito, ma che Fig. 22. «Parete», copertina, comprende innanzitutto ottobre 1964.

63 personaggi come Gian Enzo Sperone e Luciano Pistoi - con la ricchezza della loro informazione sulle ricerche in- ternazionali, da Jackson Pollock a Robert Rauschenberg, da Wols a Jean Fautrier e Francis Bacon - come nazionali, da a e Carla Accardi, da Piero Manzoni a e . Una quotidianità con un alto livello dello sguardo che si accom- pagna alla frequentazione immediatamente successiva di Alighiero Boetti e Michelangelo Pistoletto, di , di Giovanni Anselmo e dei giovanissimi Gilberto Zorio e Giuseppe Penone. In questo clima di scambi fuori della quotidianità, quanto dell’universo artistico tradizionale, si colloca una visita in corso Quintino Sella n. 56, nella pa- lazzina dello studio pubblicitario di Armando, che, come creativo, con le sue immagini, si sentiva pienamente in re- lazione e in sintonia con un pensiero invischiato nell’ogget- to quotidiano, tipico di una metodologia neodada e pop. In particolare era attratto dagli effetti di collisione casuale Fig. 23. «Caballero e Carmencita», 1965. e sorprendente tra le cose: una tipica procedura capace di sorprendere per gli accoppiamenti e le intese. Un’uscita Carmencita, personaggi «di cartone», con pistola e trecce, dalla istanza unitaria dell’oggetto, che arrivava a coniugarsi che erano emblemi di un’entità «non fissabile», quella di in qualcosa d’altro che mi risultò immediatamente conge- un investimento immaginario e fantastico in cui il pubbli- niale, perché il mio training di storico, dovuto a Eugenio co televisivo poteva riflettersi (fig. 23). Tali corpi estranei Battisti, torinese, era proprio basato sulla funzione interpre- alla vita normale corrispondevano tuttavia a un cambio di tativa delle pratiche diverse e minori, quanto degli intrecci segno che, come gli artisti che frequentavo, tendeva a una inediti, dove a contare era la discontinuità. Aperto a un ridistribuzione dei ruoli immaginari in questo caso della sentire che poteva quindi essere anche relativo a un lin- pubblicità. Era un modo di far sentire l’immagine, in ma- guaggio «altro», dopo aver studiato le riviste come la «Pare- niera sensuale e fisica, che amplificava l’energia del sogget- te» dove Armando si era fatto fotografare con un cucchiaio to, come il suo manifesto per i costumi da bagno Beatrix in bocca alla maniera del bambino degli Alimenti Sasso, (1965), che, con estrema soddisfazione di Armando, solle- sono andato nei sotterranei dello studio pubblicitario e ho citò il comportamento del consumatore che in strada strap- avuto modo di vedere i primi esperimenti cinematografi- pò o lacerò i manifesti, cercando di trovare, sotto la striscia ci sulla relazione «amorosa» tra il Caballero Misterioso e nera che copriva il seno della modella, una sua «appari-

64 65 zione» reale. È da quel mo- mento che ho iniziato un dialogo, diretto e indiretto, sulla «teatralità» totalmente grafica di Armando, tanto da poter contare, nel mio ar- chivio e nella mia collezio- ne, serigrafie su seta, come la «Gallina tipografica» (1965) (fig. 24) e il «Cane strabico» (1967) (fig. 25), Fig. 24. «Gallina tipografica», oppure greeting card, come Fig. 26. «La poltrona», 1978. 1965. «Finger in the Egg» (1973), «La poltrona» (1978) (fig. sua ritrosità - Armando mi rivelò molto tardi i suoi sogni 26) e «Gli amanti» (1985), oltre a un modellino di Papal- visivi - ci siamo trovati un territorio comune, quello di un’e- la (fig. 27), ma sopra ogni cosa ho condotto, quando era spressività che non rinviava ad alcuna finalizzazione o uso. possibile, in tutte le occasioni dei nostri incontri a Torino, Un procedere germinativo interno e auto dissolvente in cui Milano, Parigi e New York, una ricerca di consonanza contava solo il desiderio puro di comunicare. Su questa raffinata e complice con il suo porsi dinanzi all’arte. Cosa passione dove l’immagine non specula sull’uso, solo per intendo? Nella metamorfosi del suo fare che ha compreso suggerire una possibile rottura, ci siamo spesso incontrati, marchi e prodotti «artisti- anche in presenza di Gemma, per scambiare impressioni, ci», come i marchi del Ca- anche con una certa ironia, sulle ultime «dislo- cazioni» stello di Rivoli (1986) e del artistiche che succedevano a New York. Salone del Libro di Torino Gli incontri, spesso casuali, perché av- (1988), quanto oggetti di venivano a volte attraversando West design, basati sull’irruzione Broadway o sui marciapiedi di un surreale nelle cose, come la museo, indicavano una curiosità «Sedia con matita» (1972) libera, senza tensioni funzionali. (fig. 28), e «Sedia Antro- Le motivazioni erano infatti sin- pomorfa» (1976) (fig. 29), cere, quelle che ci spingevano ad la pluralità del suo linguag- «acquisire», con metodi diversi e gio è arrivata a includere la intensità parallele, le informazioni Fig. 25. «Cane strabico», 1967. pittura. Qui, seppur con la in cui ognuno poteva riconoscersi. Fig. 27. «Papalla», 1966.

66 67