IL MESSAGGERO VENETO 3 MAGGIO

dopo il voto di Mattia Pertoldi UDINE Si prenderà tutto il tempo necessario. Almeno tre settimane. Forse qualcosa in meno di un mese. Massimiliano Fedriga non ha fretta, alcuna, e nella predisposizione della sua prossima giunta vuole valutare ogni opzione sul tavolo prima di varare la squadra di governo che dovrà accompagnarlo nei prossimi cinque anni in Fvg.Il neo-presidente della Regione, ieri, ha cominciato a lavorare sui possibili nomi da inserire in giunta. Lo Statuto stabilisce che, compreso il governatore, l'esecutivo possa essere composto da al massimo dieci esponenti, di cui almeno tre donne. E questa è una prima certezza. La seconda riguarda la nomina - come promesso in campagna elettorale e confermato al momento dello spoglio - del forzista Riccardo Riccardi alla vicepresidenza, assieme al fatto che l'esecutivo sarà composto soltanto da non eletti. I consiglieri che vorranno entrare nella stanza dei bottoni, quindi, dovranno obbligatoriamente dimettersi. Detto questo si entra, a oggi, nel campo delle ipotesi e dei "si dice". Fedriga ieri ha spiegato che «all'interno della prossima giunta ci sarà una delega specifica per le disabilità» e che gli piacerebbe «crearne una all'agroalimentare così da unire l'agricoltura all'enogastronomia, perché penso possano essere un valore aggiunto dal punto di vista turistico ed economico per il Fvg».E in questo caso il toto-assessori quota come possibile, anche se non ancora certo, Attilio Vuga, ex sindaco di Cividale, esponente di ProgettoFvg e "sponsorizzato" da Giuseppe Ferruccio Saro. Nella civica-sorpresa di queste elezioni, inoltre, sarebbero in gioco anche il leader della stessa, cioè quel Sergio Bini che pare puntare alle Attività Produttive e Mauro Di Bert. L'ex sindaco di Pavia di Udine ha "doppiato" quanto a preferenze Bini, ha dalla sua l'esperienza amministrativa e tecnica da segretario generale nei Comuni, ma potrebbe non volersi dimettere e rinunciare alla sicurezza del posto da consigliere. Senza dimenticare come paia difficile, per quanto non impossibile, che il 6,3% (risultato comunque straordinario) raccolto dalla civica possa valere più di un assessore visto che Fedriga non applicherà il manuale Cencelli, ma un minimo di rispetto per le quote di consenso ottenuto, così come per la territorialità, dovrà comunque essere rispettato.Un discorso, questo, che se vale per ProgettoFvg, calza a pennello per Fratelli d'Italia. I patrioti, con il loro 5,5%, potrebbero doversi "accontentare" di un solo assessore. Chi ambisce, da sempre, a questo ruolo è il segretario regionale Fabio Scoccimarro - vorrebbe la delega allo Sport e non essendosi candidato non dovrebbe nemmeno dimettersi -, ma in campagna elettorale il sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani ha più volte chiesto a Fedriga un occhio di riguardo per il suo pupillo Alessandro Basso il quale, però, avrebbe il "problema", visto il risultato ottenuto a Pordenone, di dover lasciare lo scranno di piazza Oberdan. E allora, nella Destra Tagliamento, attenzione a Dusy Marcolin che, tra l'altro, avrebbe pure il vantaggio di riempire uno slot di quota rosa.Passando a , gli azzurri - secondo partito della coalizione - avranno la vicepresidenza e puntano, o almeno sperano di ottenere, ad almeno altri due posti in giunta. Uno di questi, tuttavia, potrebbe essere "scambiato" con la poltrona di presidente del Consiglio regionale che pare cucita su misura per Ettore Romoli - per quanto così facendo il gruppo berlusconiano perderebbe un voto in Aula - e comunque pare assodato che a Sandra Savino verrà chiesto di trovare una donna. In calo, vistoso, invece le possibilità che in giunta possa entrarci il pordenonese Cesare Bertoia, dopo il non lusinghiero risultato elettorale, così come Mara Piccin causa spada di Damocle dell'inchiesta legata a "spese pazze". E se resta da capire il margine di manovra dell'ultimo partito della coalizione, cioè Autonomia responsabile - ci spera Alessandro Colautti nonostante la mancata elezione, ma Renzo Tondo sembrerebbe puntare su Giulia Manzan -, è chiaro a tutti come i panni del leone, in giunta, li vestirà la Lega.La logica razionale, in questo caso, direbbe che in pole position ci sarebbero almeno tre nomi: Barbara Zilli, unica consigliera riconfermata del Carroccio, Stefano Mazzolini, grazie alle oltre 4 mila preferenze raccolte a Tolmezzo, e Mauro Bordin, primo degli eletti a Udine. Tutti, però, dovrebbero accettare di dimettersi e, a ieri, non parevano avere proprio tutta questa volontà di abbandonare il Consiglio. Altri nomi? Sempre tra gli eletti attenzione a un fedelissimo di Fedriga come Pierpaolo Roberti - più propenso a entrare nell'esecutivo senza il "paracadute" dell'Aula -, al segretario della Destra Tagliamento Stefano Zannier (capace di raccogliere oltre 2 mila preferenze), all'ex assessore provinciale di Udine Leonardo Barberio e, come donna, a Maddalena Spagnolo, mentre qualcuno, inoltre, fa pure il nome dell'ex sindaco di Marano Graziano Pizzimenti. Si vedrà. In fondo siamo soltanto all'inizio delle trattative. E Fedriga deve ancora sedersi attorno a un tavolo, assieme agli alleati, per trovare la quadratura del cerchio. Si è dato almeno tre settimane e ha tutto il tempo del mondo. Perchè in fondo conta il risultato finale. E come insegna la politica recente del Fvg, la fretta è sempre nemica del bene.

l'intervista

Feltrin: il M5s ha perso voti perché non conosce le regole di Maurizio Cescon UDINE Un candidato presidente «poco noto», un rifugio nell'astensione, un'avversione dell'elettorato del Nord a un partito identificato come troppo meridionalista e anche una conoscenza sommaria delle regole, in particolare quella che non assegna alla lista il voto dato solo al leader. Ma il politologo e sociologo Paolo Feltrin non giudica disastroso l'esito, per il Movimento Cinque Stelle, del voto di domenica in Friuli Venezia Giulia. «In realtà il M5s - spiega - ha preso circa il 12 per cento, cioè i voti ottenuti dal candidato alla presidenza, non il 7 per cento della lista. Quello è il dato politico su cui fare le valutazioni. Rispetto al 4 marzo il partito ha perso circa la metà dei consensi, non i due terzi. Il voto di protesta contro il Governo nazionale è rimasto a casa. E hanno giocato un ruolo anche le preferenze, utilizzate pochissimo dai militanti grillini. La politica dei due forni di Di Maio, invece, secondo me non ha influito».Il professor Feltrin analizza a 360 gradi la consultazione che ha visto il trionfo di Massimiliano Fedriga. E secondo lui la Lega ha sì vinto, ma non ha "cannibalizzato" la coalizione di centrodestra. «Il risultato leghista è in linea con quello delle Politiche - afferma -. È il primo partito della coalizione, ma gli equilibri con Forza Italia non sono peggiorati. Salvini è trainante, ma non asso pigliatutto. Se sommiamo le varie liste di centro e le rapportiamo alla Lega, vediamo che il Carroccio vince 35 a 22, non 50 a 10». E il ruolo di Fedriga? «Ha superato l'esame da valido politico - sostiene il docente - grazie all'esperienza accumulata a Roma dove, in cuor suo, avrebbe sperato di restare, anche se non lo ammetterà mai, nemmeno sotto tortura. Ma i presidenti di Regione non hanno una gran bella vita, c'è tanto lavoro da sbrigare e tante incombenze da risolvere. Adesso dovrà dimostrare di poter affrontare la prova amministrativa. Gli esami, è il caso di dire, non finiscono mai».E veniamo al Partito democratico, che sostanzialmente ha retto l'urto del vento contrario. «Bolzonello ha fatto un miracolo - sostiene Feltrin -, si sapeva in partenza che avrebbe perso. Tutti si aspettavano però un tracollo del Pd, come è avvenuto in Molise, invece ha dimostrato di poter tenere. E la coalizione ha raggiunto più del 26 per cento, con dentro anche la sinistra di Leu, non è una cosa di poco conto, non è un risultato scontato. È una base da cui ripartire? Mah, il Friuli Venezia Giulia è un caso un po' curioso. In tutte le elezioni regionali ha sempre cambiato pelle, alternando ogni volta gli schieramenti al governo. Non sappiamo ovviamente chi ci sarà a palazzo Chigi tra 5 anni, nè se il clima attorno al centrodestra, oggi molto favorevole, sarà simile o contrario nel 2023. Se il giudizio su Fedriga fosse così così e il centrodestra non godesse dei favori della gente, anche in Friuli potrebbe rivincere il centrosinistra».Secondo il professore la sorpresa maggiore delle elezioni del 29 aprile è stato il risultato della lista Progetto Fvg di Sergio Bini, mentre per Cecotti il giudizio è in chiaroscuro. «A me ha stupito moltissimo Bini più che Cecotti - osserva -, soprattutto perchè i voti presi da Bini sono spendibili all'interno del centrodestra, mentre quelli di Cecotti sono semplice testimonianza. È un 4 per cento privo di capacità estensiva, una sorta di "zoccolino" duro dell'autonomismo, ma nulla di più. Va dato atto a Cecotti che comunque è sempre difficile prendere voti, anche l'1 per cento, però sarebbe stato più interessante vederlo dentro una coalizione». Infine le ripercussioni del voto friulano a Roma. «Sì può avere un significato nazionale - conclude Feltrin -, anche se mi sarei aspettato un'interpretazione della Lega meno negativa nei confronti del centrosinistra. Il Nord ha fatto capire che non ne vuole sapere dei Cinque Stelle, la Lega dovrebbe guardare con attenzione al Pd. E finora non lo sta facendo».

Oggi la proclamazione dei consiglieri. Sperano Bandelli e Sette Un solo seggio a Tondo, beffato dalla tutela della minoranza Il duo Bini-Giacomelli attende il via libera dall'Ufficio elettorale di Mattia Pertoldi UDINE L'Ufficio elettorale regionale, dopo due giorni di verifiche assieme ai rappresentanti delle forze politiche che hanno prese parte alle consultazioni di domenica, ufficializzerà soltanto oggi l'elenco dei consiglieri che, nei prossimi cinque anni, siederanno a piazza Oberdan, oltre a proclamare - ma in questo caso parliamo davvero di una formalità burocratica - il nuovo presidente del Fvg, Massimiliano Fedriga.L'attesa, per quanto stando alle ultime informazioni e ai calcoli dei movimenti non dovrebbero esserci (molto teoricamente) sorprese dell'ultimo minuto, è legata, essenzialmente, a due posizioni interne al centrodestra e che portano a ProgettoFvg e Fratelli d'Italia. In discussione non c'è il numero di seggi attribuito alle due forze su scala regionale - a quota, rispettivamente, tre e due -, bensì la loro distribuzione geografica legata ai complicati, e bizantini, meccanismi di calcolo dei resti. Stando a quando appreso, ufficiosamente, in questi giorni, a ProgettoFvg spetterebbero due eletti nella circoscrizione di Udine e uno in quella di Pordenone. Nella Destra Tagliamento, quindi, verrà eletto l'ex sindaco di Fiume Veneto Christian Vaccher, che ha beffato sul filo di lana il primo cittadino di Cavasso Nuovo Emanuele Zanon, mentre a Udine toccherebbe anche a Sergio Bini, oltre al primo della lista Mauro Di Bert.Il problema è che, secondo alcune teorie, in realtà la spartizione reale per la civica assegnerebbe un seggio in meno nel collegio di Udine, compensato da un eletto in provincia di Trieste. Se fosse vero, ma come accennato le chance paiono essere minoritarie, Bini dovrebbe rinunciare al suo scranno a piazza Oberdan in favore dell'ex leader di Un'altra Regione Franco Bandelli. Il tutto nonostante l'imprenditore friulano abbia raccolto mille e 332 preferenze, di fatto il doppio delle 659 di Bandelli. Non soltanto, però, perché siccome la legge regionale prevede come Udine elegga 18 consiglieri e Trieste 9, l'eventuale mancanza di un seggio in Friuli e l'eccesso nella Venezia Giulia verrebbe compensato all'interno del centrodestra.Dove? Stando sempre ai meccanismi di riparto dei resti, andando a pescare nel bacino di Fratelli d'Italia. E in questo caso a perdere l'elezione sarebbe il triestino Claudio Giacomelli in favore di Lanfranco Sette, ex assessore provinciale di Udine e candidato sindaco dei patrioti lo scorso anno a Latisana. Quozienti, resti, interi e migliori posizionamenti che spiegano il perché l'Ufficio elettorale regionale non abbia, ancora, definito tutto nei dettagli, ma abbia deciso di attendere fino a oggi per completare il mosaico dei 49 componenti del parlamentino di piazza Oberdan.La legge elettorale, come accennato, è parecchio complicata, ma è analizzandola nel dettaglio che si trova anche la soluzione del "caso" Autonomia responsabile. Renzo Tondo, infatti, lunedì sera aveva, di fatto, contestato l'attribuzione dei seggi pubblicati sul sito della Regione sostenendo che il suo movimento avesse diritto non a un solo eletto, bensì a due in base ai calcoli effettuati dagli esperti. Ora, algebricamente, l'ex governatore avrebbe ragione se non fosse scattata la cosiddetta clausola di "garanzia per le minoranze" contenuta nella legge elettorale del Fvg. Questa dice, espressamente, come, nel caso in cui dalle verifiche dell'Ufficio elettorale regionale risulti che il gruppo o i gruppi di lista non collegati al candidato eletto presidente e arrivato secondo abbiano ottenuto un numero di seggi (e quindi di voti) inferiore al 40%, scatti, appunto, questa forma di tutela che porta in soglia minima le minoranze.E siccome, per la prima volta nella storia dell'elezione diretta del governatore, il gruppo di liste a supporto di un candidato - Fedriga - hanno superato anche il premio di maggioranza del 60% - arrivando al 62,73% -, e in una spartizione proporzionale avrebbero quindi avuto diritto a 30 seggi, superando il massimo consentito di 29, è scattato il taglio di un eletto. Sacrificando il peggior risultato ottenuto nel calcolo dei resti. Quindi un consigliere di Autonomia responsabile che, parlallelamente, è andato a favore del M5s, passato così dai tre eletti previsti inizialmente ai quattro finali. Una beffa, autentica, e sicuramente dura da accettare.

Poche preferenze Di Bernando lascia la guida di Venzone

Si è dimesso il sindaco di Venzone. Deluso dal risultato elettorale, Fabio Di Bernardo ha rassegnato le dimissioni.Il primo cittadino ha protocollato la lettera ieri: tre righe non di più. Di Bernardo, il sindaco che ha trasformato la cittadella medievale nel borgo più bello d'Italia, candidato alle Regionali con la lista dei Cittadini, si aspettava una risposta diversa dalle 109 preferenze ottenute nel suo Comune. Complessivamente, nel Collegio di Tolmezzo, ha ricevuto 240 voti posizionandosi dietro all'ex sindaco di Forni Avoltri, Emanuele Ferrari (661). Questo sembra essere stato il motivo che l'ha spinto a lasciare.

L'ex presidente: «La scelta di non ricandidarmi probabilmente non ha pagato» Spitaleri gioca in difesa, Russo la attacca. E Bassolino contesta le sue ambizioni Il ritorno di Serracchiani mette in imbarazzo il Pd di Mattia Pertoldi UDINE La ferita subita domenica è troppo fresca, aperta e sanguinante per non lasciare strascichi e non avvicinare, a ogni dichiarazione pubblica, il Pd sempre più vicino a quella resa dei conti inevitabile in un partito che, da tre anni a questa parte, in Fvg prende soltanto schiaffi, sonori, senza la capacità di reagire elettoralmente.E così succede che la partecipazione televisiva a "Otto e mezzo" dell'ex presidente , il giorno successivo allo spoglio in cui i cittadini del Fvg hanno bocciato cinque anni di legislatura di centrosinistra, con la coalizione che ha chiuso oltre 30 punti dietro al centrodestra, scateni un autentico putiferio. Sì, perché l'ex governatrice - al di là dei titoli di giornale - a precisa domanda di Lilli Gruber sulle motivazioni del tracollo elettorale ha sostenuto, per la prima volta dal 2013, di «dover fare autocritica per quello che è successo» considerato che «ho scelto di non ricandidarmi e probabilmente questo non ha pagato anche rispetto al lavoro che avevo fatto in cinque anni». Non soltanto, visto che, poi, Serracchiani ha aggiunto di aver «fatto delle riforme molto profonde, una delle quali è la sanità e quando si tocca la salute dei cittadini è molto delicato» e ha detto di aver «probabilmente sbagliato il metodo» con cui sono state realizzate.Apriti cielo. Non tanto perché, a urne chiuse, l'ex presidente ha ammesso come le critiche avanzate in questi anni sul metodo con cui ha gestito le principali scelte dell'amministrazione fossero, almeno parzialmente, corrette e motivate. Ma perché in tanti, e bastava seguire le discussioni sui social di militanti e elettori dem per intuirlo, hanno letto in quelle parole una frecciata a Sergio Bolzonello. Così, prima è dovuta intervenire Serracchiani stessa con una nota in cui ha spiegato di «essere convinta che nessun altro candidato, me inclusa, al posto suo (di Bolzonello ndr) sarebbe riuscito a fare meglio di lui» e poi, in versione pompiere, Salvatore Spitaleri. «Chi mi conosce sa quanto sia stato "dialettico" il mio rapporto con Serracchiani - ha detto il segretario Fvg -, prima nella sua veste di segretaria regionale e poi come presidente. In questa campagna per le Regionali, devo dare atto che Serracchiani si è messa a disposizione, anche quando abbiamo scelto alcune linee di discontinuità, che sicuramente un presidente uscente può non gradire, Serracchiani ha sostenuto con lealtà il Pd e Bolzonello».Tutto chiarito, quindi? Mica tanto. Quelle frasi hanno infatti riattizzato il fuoco delle polemiche da parte di chi, in questi anni, non ha mai lesinato accuse sull'operato della giunta uscente e dell'ex governatrice. Come, primo fra tutti, Francesco Russo che dopo non essere stato ricandidato alle Politiche è sceso in campo alle Regionali e con una campagna elettorale di (quasi) totale discontinuità rispetto alla linea del Pd degli ultimi cinque anni ha portato a casa 4 mila 368 preferenze risultando il consigliere più votato della Regione. Una quota determinante per consentire al Pd di chiudere, nel collegio di Trieste, con un delta di maggiore consenso (+3%, cioè 605 voti) rispetto al 2013. Un'area, questa, in decisa controtendenza in un paniere che ha visto il partito, in cinque anni, perdere il 31% dei consensi a Udine (l'equivalente di 12 mila 164 voti), il 37% a Pordenone (10 mila 595), la stessa quota a Gorizia (5 mila 555), e addirittura il 42% a Tolmezzo (3 mila e 48).«Per pura cortesia tralascio il giudizio sulle parole di Serracchiani a "Otto e mezzo" - ha detto Russo -, ma ricordo che, a scrutinio completato, ha sostenuto come l'opposizione sarà doverosa e utile per riallacciare il rapporto con la gente. E allora mi chiedo dove sia stata in questi 5 anni e perché non abbia mai ascoltato la nostra base quando governava. Io ho avuto il coraggio di ammettere che il problema del Pd nazionale è e che, in Fvg, le scelte degli ultimi anni ci avrebbero portato a una sconfitta dovuta non alla qualità di Bolzonello, nonostante si sia staccato tardivamente da Serracchiani, ma a riforme invise alla maggioranza della regione». Come se non bastasse, inoltre, oggi c'è la direzione nazionale del Pd. Serracchiani l'ha definita come un'occasione che può rappresentare «il colpo mortale che una classe dirigente darà non soltanto al proprio partito, ma a una comunità di persone, oppure un'occasione di rilancio» e non ha escluso la possibilità di candidarsi alla segreteria nazionale, Ricevendo in questo caso - via twitter - da Antonio Bassolino una severa stroncatura. «La Lega trionfa, il centrosinistra perde un'altra Regione - ha scritto - e Serracchiani non esclude di candidarsi a segretaria del Pd: per completare l'opera, si immagina».

L’analisi

Non temo Grillo in sé, ma Grillo in me. E Debora Serracchiani è il grillismo che c'è in Matteo Renzi, la coscienza giustizialista dell'ex sindaco di Firenze che in questi anni è affiorata per interposta ex governatrice del Friuli. Se c'è da chiedere le dimissioni di qualcuno, lei è pronta con il suo generatore automatico di "passi indietro". Se c'è un'indagine da commentare, lei fa tintinnare le manette. Se c'è una questione morale da sollevare, lei dichiara. Se c'è da schierarsi per l'arresto di qualcuno, la Serracchiani estrae il mandato. Se c'è da candidarsi a qualcosa, lei si candida.Adesso, a pochi giorni dalla sconfitta del centrosinistra in Friuli Venezia Giulia, incredibilmente spacciata dal Pd come un risultato importante, l'ex numero due di Renzi al Largo del Nazareno dice di essere pronta a presentarsi alle primarie: «Se ci sono le condizioni, non mi sottrarrò», ha detto a Otto e Mezzo. L'ex governatrice non è mai soddisfatta del posto che occupa. Da parlamentare europea si candidò alla guida della Regione, da governatrice uscente si è candidata al Parlamento. Dal Parlamento adesso si potrebbe candidare alla guida di un partito. Porte girevoli, istituzionali e politiche. D'altronde, dopo il celebre intervento del 2009 che la rese famosa (e per il quale deve ringraziare Jawed Karim, Chad Hurley e Steve Chen: i tre fondatori di YouTube), Serracchiani ha fatto in tempo a essere renziana, anti-renziana e poi di nuovo renziana, cambiando posizione come il commissario Ociumielov de "Il Camaleonte" di Anton Cechov. Nel racconto, l'orefice Chrjukin viene morso da un cane e il commissario, intervenuto sulla scena del crimine, deve decidere il da farsi. Quando sembra che il cane sia di proprietà del generale Zigalov, Ociumielov lo tratta con gentilezza e minimizza l'accaduto: «Forse che può arrivarti al dito? È piccolo, e tu guarda lì che uomo grande e grosso sei! Tu probabilmente ti sei graffiato il dito con un chiodino, e poi t'è venuta in testa l'idea di spillar quattrini». Quando invece pare che il cane sia un randagio qualunque, si fa largo l'idea di sopprimere la povera bestia: «Tu, Chrjukin, hai patito un danno e non lasciar questa faccenda così... È necessario dare una lezione!". Ecco, Serracchiani-Ociumielov da qualche settimana dice di essersi affrancata dal renzismo. Non è stata ascoltata da Renzi quando era vice-segretaria del Pd, ha spiegato. «In una comunità ci deve essere anche qualcuno che dica al leader che le cose non vanno bene o che le cose non si fanno in quel modo. E non è giusto che quando lo si fa, si venga messi da parte». Non è la prima volta che Serracchiani "rompe" con Renzi e magari accadrà di nuovo.Il problema, per parafrasare Nanni Moretti, è che con questo tipo di dirigenti il Pd non vincerà mai. Ma sono cose poco interessanti, a quanto pare. L'importante è che tutto sia possibile in quest'epoca in cui è tutto davvero possibile. Senza senso del limite.

Sulle infrastrutture la prima importante partita della legislatura Aeroporti, porto e A4: alla prova l'asse con Zaia di Maurizio Cescon UDINE Autostrada, porti di Trieste e Venezia, aeroporto. Il risiko delle infrastrutture è la partita più importante che il neo presidente Massimiliano Fedriga dovrà affrontare da qui ai prossimi mesi. E su questo delicatissimo terreno, che comporta un intreccio tra finanza, visioni del futuro, occupazione, assetti territoriali, alleanze, economia, si capirà subito se l'asse con Zaia, il governatore del Veneto, è un qualcosa di concreto o se si sia trattato di marketing a semplice uso e consumo elettorale.Il sasso lo ha lanciato lo stesso Zaia, in un'intervista al Corriere. «Partiamo dall'aeroporto di Ronchi dei Legionari - ha dichiarato il presidente veneto - . Premesso che la Regione non fa parte della compagine azionaria di Save (la società che gestisce gli scali di Venezia, Treviso, Verona e Brescia, ndr), noi tifiamo, attendendo l'esito della gara in corso, perchè Venezia e Trieste procedano insieme». Un'indicazione che più chiara di così non si può. Una sollecitazione a Save, se proprio dovesse essercene bisogno, a giocare la partita. Da parte del vertice della società, bocche cucite. Il presidente Enrico Marchi il primo maggio ha tagliato il nastro dell'ennesimo volo in partenza dal Marco Polo, quello intercontinentale per Seul, in Corea del Sud. E intanto sulla gara europea per Ronchi medita. Qualche settimana fa aveva detto che «vogliamo vedere tutte le carte», opzione che sicuramente ha esercitato, «prima di decidere». Ma con una "spinta" così autorevole come quella di Zaia, adesso sarà quasi impossibile non provarci. Sul fronte di casa silenzio assoluto: si opera nella massima riservatezza. Fedriga ha già avuto dei contatti informali con il presidente dell'Aeroporto Antonio Marano, segno che la cessione di una quota di minoranza (il 45%) è un affare su cui non si possono fare spallucce. I nomi di chi parteciperà al bando per diventare partner privato della Regione Friuli Venezia Giulia, si sapranno il 6 giugno, quando saranno aperte le buste. Si sa che c'è interesse, sono diversi i player nazionali e internazionali che hanno avuto accesso al data room per visionare le "carte" riservate dell'Aeroporto di Ronchi. Ma i nomi appunto li sapremo tra poco più di un mese. Certo, fanno osservare i bene informati, se Save dovesse partecipare, è chiaro che potrebbe partire in pole position per l'assegnazione definitiva. Save ha in mano aerei e destinazioni in tutto il mondo con due scali, Venezia e Treviso, che "scoppiano", Ronchi dal canto suo può offrire un'infrastruttura pronta e attrezzata, grazie agli importanti lavori realizzati in questi ultimi due anni, in primis il Polo intermodale. Ecco che allora il "matrimonio dell'aria" potrebbe essere più vicino del previsto.Ma la partita con il Veneto si gioca anche su porti e autostrada. Zaia, nella stessa intervista al Corriere, annuncia che anche per quanto riguarda la terza corsia dell'A4 cambierà più di qualcosa. «Fedriga sarà in grado - annuncia il presidente del Veneto - di rivitalizzare l'intero progetto della terza corsia. E senza veti e contrapposizioni politiche, considerato che di Autovie Venete la nostra regione è socio, sono certo che faremo un bel lavoro». Cosa voglia dire «rivitalizzare l'intero progetto», visto che le basi sono state gettate e i cantieri tra Portogruaro e Palmanova sono attivi, al momento non è dato sapere, ma staremo a vedere. Sul fronte di Autovie è in ballo anche la concessione di 30 anni, dopo la nascita della Newco pubblica: un nodo che, prima di essere sciolto, dovrà passare il vaglio dell'Unione europea.Infine il porto e la collaborazione tra Venezia e Trieste, nel sistema dell'Adriatico orientale. Un asse, quello tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, tutto da costruire. E a riprova di quanto la partita sia strategica, l'incontro di ieri tra il presidente Fedriga e Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità. Un manager, D'Agostino, che in pochi anni ha saputo rivoltare come un calzino il sistema regionale dei porti, ridando slancio a Trieste e rivitalizzando pure Monfalcone e l'Aussa Corno. Alle porte c'è il confronto con Venezia, in quel caso potrà davvero pesare l'asse Zaia-Fedriga.

SINISTRA ITALIANA

Duro attacco di Duriavig «OpenFvg fallimentare» UDINE «Potevamo essere smentiti dalle urne, invece i risultati delle Regionali hanno confermato che la nostra analisi era corretta. Un centrosinistra uguale a se stesso, rappresentato dalla candidatura di Sergio Bolzonello, vice di Debora Serracchiani, non soltanto era perdente, ma era quanto di più lontano volessero gli stessi elettori del centrosinistra».Così Marco Duriavig, segretario regionale di Sinistra Italiana commenta l'esito del voto. «I numeri che escono dalle urne sono senza pietà - continua -: il candidato del centrosinistra viene più che doppiato da Massimiliano Fedriga e perde, rispetto al 2013, 12 punti percentuali (107 mila 147 voti); il gruppo di liste nel suo insieme perde, dal 2013, il 13% (45 mila 330) e il Pd il 9% (30 mila 757). Questo significa che, a livello regionale, sia il Pd che la sua coalizione, perdono molto di più di quanto avessero fatto alle Politiche dove si era fermata al 6% per il Pd e al 4,5% per la sua coalizione. È chiaro pertanto che il tema non è solo il vento della destra che soffia in tutta Europa, come si ostina a dire chi guarda solo fuori da casa sua, ma le politiche sbagliate fatte in questi 5 anni di governo Serracchiani».Per Duriavig «anche il piccolo e disperato tentativo di puntellare a sinistra la coalizione del Pd con la lista OpenFvg, sostenuta da consiglieri e assessori della maggioranza e da una parte di Mdp, non ha ridotto il crollo del consenso. Troppi pochi voti, pescati sempre nello stesso stanco elettorato del centrosinistra, hanno contribuito alla coalizione con solo il 2,78% dei voti, il peggiore risultato mai ottenuto da una lista alla sinistra del Pd dal 1996, come ci ricorda l'Istituto Cattaneo. Eppure a leggere le prime dichiarazioni di Bolzonello sembra che tutta sia andato come previsto. Anzi, meglio del previsto».

il governatore veneto «Il Friuli è uscito dal Medioevo per entrare nel Rinascimento» Dice che « in termini di pathos questa vittoria l'ho vissuta come fosse mia. Max (Fedriga, ndr) è un amico e a lui vanno i più affettuosi auguri di buon lavoro». Sono le parole di Luca Zaia in un'intervista rilasciata ai quotidiani veneti Mattino di Padova, Tribuna di Treviso e Nuova Venezia. «Sono felice per il Friuli che esce dal Medioevo - ha aggiunto il governatore - ed entra a pieno titolo nel Rinascimento come il Veneto e la Lombardia. Il baricentro della politica si sta spostando al Nord e il nuovo asse Trieste-Venezia-Milano-Genova sarà decisivo per la partita dell'autonomia messa in moto con il referendum del 22 ottobre 2017. L'asse delle regioni del Nord si dovrà misurare sull'immigrazione e sull'economia ma in primis dovrà affrontare il big bang istituzionale con la riforma del federalismo: la nuova assemblea costituente parte dalle regioni e Roma deve capire che l'aria è cambiata e spero che la trattativa M5S-Pd venga subito fermata».

«Per Fontanini Udine è stata una scelta di ripiego, non potrà nemmeno votare» Secca la replica: «Chiusa la Provincia voglio che la città torni capitale del Friuli» Parte la caccia agli esclusi Martines accende lo scontro di Cristian Rigo La caccia ai voti degli esclusi è cominciata. Oggi il candidato del centrodestra Pietro Fontanini incontra Stefano Salmè. Cosa che invece non farà il candidato del centrosinistra Vincenzo Martines: per lui il dialogo si ferma a Enrico Bertossi (che ieri ha radunato i suoi per valutare il da farsi), Andrea Valcic e Rosaria Capozzi del M5s. A questi Fontanini aggiunge anche Salmé e Luca Minestrelli di Casapound considerati invece troppo a destra dall'ex vicesindaco.Per quanto riguarda il M5s, al di là delle valutazioni del meetup udinese, è difficile immaginare che ci possa essere un apparentamento che non tenga conto delle trattative per il nuovo governo a livello nazionale. Per le civiche di Bertossi e il movimento autonomista di Valcic invece, in linea teorica, entrambe le strade sembrano percorribili, anche se in salita. Bertossi ha impostato la campagna attaccando senza riserve la scelta del centrodestra di puntare su Fontanini (e a un dato momento gli ha anche "contesto" la candidatura con l'appoggio di Fi), ma si è anche proposto come sostenitore del cambiamento criticando la futura giunta Martines, troppo simile a quella di Honsell considerato anche che molti assessori hanno fatto il pieno di preferenze a dimostrazione del fatto che evidentemente non hanno lavorato male e sarà quindi difficile per l'ex vicesindaco ignorare il volere dei cittadini espresso attraverso il voto. E in più, in caso di successo di Martines, per una questione di resti, Prima Udine avrebbe un solo consigliere comunale mentre in caso di vittoria di Fontanini i rappresentanti sarebbero due: oltre a Bertossi anche Giovanni Marsico.Tra Martines e Fontanini è iniziata una nuova partita. Il centrodestra ieri si è riunito e si è dato 48 ore di tempo per ascoltare i cinque candidati. Difficile però immaginare che il quadro di accordi e alleanze possa chiudersi per tutti in tempi così rapidi. E intanto ci ha pensato Martines ad alzare i toni: «Io sono udinese e qui risiedo da sempre e anche per questo ho deciso la mia candidatura. Dall'altra parte, invece, è la prima volta che si presenta un candidato sindaco che a Udine nemmeno risiede: è quindi curioso che Fontanini non potrà nemmeno votare per scegliere il sindaco della città che vuole amministrare e nella quale non vive, se vincerà avrà bisogno di qualche settimana per capire dov'è e cosa deve fare».E ancora: «Tutte le nostre liste hanno raccolto preferenze alte, dall'altra parte invece c'è stato un rispettabilissimo voto ideologico sulla Lega che però non è assolutamente connesso con le vicende della nostra città. Io, personalmente, da quando ho scelto di candidarmi mi sono dedicato esclusivamente a Udine. Quella di Fontanini, invece, è stata una scelta forzata: per una questione tecnica si è trovato come unica opzione quella di fare il candidato sindaco benché non fosse assolutamente la sua prima scelta. Questo dovrebbe far riflettere molto gli udinesi che devono decidere da chi essere amministrati».Accuse che Fontanini ha respinto al mittente: «Non penso che il criterio della residenza sia quello più importante, la mia famiglia ha avuto un'attività a Udine per tantissimi anni e se vogliamo fare una battuta potrei dire che io sono nato a Udine e lui a Trieste. Ma penso siano altre le cose che interessano agli udinesi. Io ho scelto di candidarmi perché, persa la provincia, ritengo che Udine debba tornare a essere il capoluogo del Friuli per dare voce a un territorio più vasto. Poi sono convinto che ci sia la necessità di cambiare. Le nostre città sono sempre più insicure, specialmente per le donne, come evidenziato anche dall'ultimo tentativo di stupro da parte di due nord-africani accaduto a Milano. Dobbiamo aumentare la presenza delle forze dell'ordine sulle strade e riportare la polizia locale sotto il diretto controllo del sindaco. A Udine, infatti, i pochi vigili (67, quando dovrebbero essere almeno 100) sono stati trasferiti all'Uti, non ci sono state nuove assunzioni e il territorio da controllare, che va da Pradamano fino a Pozzuolo-Campoformido, oltre l'intera città di Udine, è praticamente raddoppiato».

IL PICCOLO 3 MAGGIO

Prima grana per il governatore: malumori tra i consiglieri per le dimissioni obbligatorie imposte ai futuri assessori Il rebus della giunta tra ira degli eletti e "appetiti" interni di Diego D'Amelio TRIESTE Massimiliano Fedriga inizia a ragionare sulla composizione della giunta, ma sulla sua strada già si profilano i primi prevedibili ostacoli, a cominciare dai malumori degli eletti sulla volontà del neogovernatore di pretendere le dimissioni da parte dei consiglieri che saranno chiamati a comporre l'esecutivo. E se nessuno si espone a criticare apertamente la scelta del leader, sono molti dentro la stessa Lega e in Forza Italia a mugugnare. Rinunciare al posto in aula significa infatti legare il proprio destino alla volontà del presidente e restare senza rete di sicurezza in caso di ritiro delle deleghe. Fedriga resta tuttavia fermo: «Non si torna indietro, perché voglio assessori dediti al 100% alla causa. Chi vuole entrare in giunta fa una scelta». Ma tra gli eletti c'è chi mormora che la decisione sia legata alla volontà di esercitare un forte controllo sugli assessori. Sia quel che sia, il presidente comincerà oggi gli incontri con gli alleati per raccogliere indicazioni e umori. Scioglierà le riserve entro quindici giorni e a tutti farà sapere di considerare solo figure con competenze ben definite. Fedriga ha dichiarato più volte che non si affiderà ai bilancini da manuale Cencelli, ma si dovrà valutare se sarà in grado di tenere il punto davanti alle pretese dei singoli partiti. Il governatore per adesso si limita a dire di non volere una giunta di tecnici ma di mirare ad assoldare «assessori che abbiano visione politica ma non necessariamente tessera di partito». Come ciò si tradurrà in pratica, lo diranno le prossime settimane, durante le quali Fedriga sarà alle prese con incastri da mal di testa, dovendo far combaciare la sbandierata competenza, con appartenenza politica, rappresentanza di genere e territoriale. Criteri che serviranno a comporre il mosaico dei nove o dieci assessori che costituiranno la prossima giunta, che vedrà una preponderanza leghista e di uomini legati direttamente a Fedriga, cui si affiancherà con ogni probabilità un rappresentante a testa per Forza Italia, Fratelli d'Italia, Progetto Fvg e Autonomia responsabile. Nella Lega molti notano il riemergere di Federiga Seganti, già assessore ad Attività produttive e Turismo, tornata a militare in prima fila solo negli ultimi mesi. Lei nega, ma l'interesse per un incarico è evidente e aiuta non poco il fatto di essere donna, visto che in giunta l'elemento femminile dovrà avere una rappresentanza del 40%. Lo stesso dicasi per Barbara Zilli, capace di farsi eleggere sia nel collegio udinese sia in quello tolmezzino, fatto che la renderebbe ideale per l'assessorato alla Montagna. Sempre che abbia l'intenzione di dimettersi da consigliera: se così non fosse, ecco che potrebbe spalancarsi la nomina a capogruppo del battaglione leghista. A sperare in un ruolo nell'esecutivo, anche il triestino Pierpaolo Roberti (Sicurezza e Protezione civile), il friulano Mauro Bordin (Enti locali) e il pordenonese Stefano Zannier (Ambiente e Caccia). Ma anche qui la voglia di dimissioni è poca e lo stesso dicasi per Stefano Mazzolini, anche lui papabile per la Montagna e il Turismo o per il ruolo di capogruppo, trattandosi del leghista più votato. Nel caso dei berlusconiani, è già prenotata la poltrona del vicepresidente, che il governatore ha assicurato di voler affidare al friulano Riccardo Riccardi, cui potrebbero spettare deleghe pesanti: si parla di Infrastrutture o Sanità. Gli azzurri potrebbero inoltre vedersi riconoscere la presidenza del Consiglio regionale, per la quale è in pole position il goriziano Ettore Romoli, che per carriera, età e posizione autonoma all'interno di Forza Italia sembra l'elemento giusto per garantire equidistanza. Per lui ci sarebbe in alternativa l'assessorato al Bilancio, ma l'interessato preferisce la prima soluzione. Difficile per i berlusconiani fornire nomi femminili: la triestina Sandra Savino è ormai impegnata nel lavoro parlamentare, mentre la pordenonese Mara Piccin ha rapporti tesi con la Lega. Ed ecco allora pronte l'ex assessore regionale triestina Angela Brandi e la friulana Micaela Sette. In ballo anche l'ex sindaco di Tarvisio Renato Carlantoni (Montagna o Enti locali) e Piero Mauro Zanin, che si avvia tuttavia verso l'incarico di capogruppo. Fra gli altri partiti, Fratelli d'Italia spenderà per primo il nome del coordinatore Fabio Scoccimarro, che potrebbe ambire alle deleghe della Cultura e dello Sport, dopo aver rinunciato a una candidatura sicura per il parlamento e non essersi presentato alle regionali. Progetto Fvg punterà sul suo patron Sergio Bini, che potrebbe guardare alle Attività produttive, ma i numerosi appalti che la sua azienda di pulizie ha in piedi con enti pubblici sono un elemento di riflessione. Ecco allora che potrebbero spuntare i nomi di Mauro Di Bert o Attilio Vuga: il primo è segretario comunale e ha esperienza in fatto di Enti locali, il secondo è papabile per l'Agricoltura. Più difficile invece la strada di Ar, che con un solo eletto dovrà fare la voce grossa per far rispettare l'impegno per una rappresentanza in giunta.

Ieri presi contatti con gli uffici regionali e avviati i vertici con gli alleati per la formazione della squadra Annunciato l'avvio di un osservatorio sulla sanità e deleghe specifiche per disabilità e agroalimentare Oggi la proclamazione a Palazzo Prima seduta d'aula tra 20 giorni

TRIESTE Il nuovo presidente del Friuli Venezia Giulia sarà proclamato oggi. Massimiliano Fedriga verrà investito nel primo pomeriggio governatore della Regione, quando arriverà la comunicazione ufficiale da parte dell'Ufficio elettorale centrale. Sarà il diciannovesimo presidente dal 1964 a oggi, ultimo di una traiettoria cominciata con il democristiano Alfredo Berzani e arrivata fino alla democratica Debora Serracchiani. La designazione formale sarà il big bang da cui scaturiranno i numerosi adempimenti per avviare la legislatura, il cui primo obiettivo sarà formare la giunta entro gli ultimi giorni di maggio. Fedriga ha preso ieri contatto con gli uffici e si è confrontato col segretario del Consiglio regionale, Augusto Viola, sui tempi per la convocazione della prima riunione d'aula e sulle tappe per giungere alla piena assunzione dei poteri. Subito dopo la riunione, il leader del centrodestra ha annunciato, attraverso il suo primo comunicato da presidente, che nella prossima giunta «ci sarà una delega specifica per le disabilità. Mi piacerebbe inoltre crearne una all'agroalimentare così da unire l'agricoltura all'enogastronomia, perché penso possano essere un valore aggiunto dal punto di vista turistico ed economico». Il governatore non ha tralasciato un passaggio sulla riforma sanitaria, evidenziando l'intenzione di lavorare «prima di tutto partendo dall'ascolto, che reputo un punto fondamentale per la futura amministrazione. Non possiamo fare delle scelte sulla testa dei professionisti che lavorano nel comparto sanitario, ma dobbiamo farle insieme a loro. Serve un consiglio permanente sulla sanità al quale partecipano i professionisti di quel mondo, dal pubblico al privato».Sul piano più strettamente politico, Fedriga ha invece deciso di conservare il ruolo di segretario regionale della Lega, pur essendo in proroga dal settembre 2017 dopo il triennio di mandato cominciato dopo il commissariamento causato dai magri risultati elettorali del 2013 e dall'esplodere dell'inchiesta di "spese pazze". Venerdì il consiglio direttivo federale della Lega dovrebbe registrare la conferma di Fedriga da parte di Matteo Salvini, che forse attende di capire se nuove elezioni politiche verranno convocate a breve, con la necessità di poter contare su una macchina già rodata nei vari territori. Fedriga si limiterà dunque a nominare un vicesegretario facente funzioni, andandolo a pescare fra i tre vice attualmente in carica: la parlamentare Vannia Gava e i consiglieri regionali Mauro Bordin e Alberto Budai. Dopo la proclamazione di oggi, il neopresidente avrà venti giorni per convocare la prima seduta dell'aula. Fino a quel momento rimarrà in carica il Consiglio uscente. Nel corso della prima riunione, Fedriga presterà giuramento e con lui tutti gli eletti. Si designeranno inoltre il presidente del Consiglio e i due vice, oltre ai quattro componenti dell'Ufficio di presidenza. Per quanto riguarda i consiglieri, l'Ufficio elettorale è al lavoro da due giorni su possibili esclusioni e contestazioni: la proclamazione degli eletti dovrebbe avvenire domani, con tempi che la stessa burocrazia regionale riconosce piuttosto lunghi rispetto a uno spoglio concluso lunedì pomeriggio. La seconda seduta del Consiglio si terrà entro dieci giorni dalla prima e vedrà il presidente illustrare il programma di governo e presentare i membri della giunta. Entro altri dieci giorni, l'aula si ritroverà per la terza seduta, avviando il dibattito sul programma e concludendo con un voto di approvazione. Nell'arco di questi venti giorni, si compiranno una lunga serie di adempimenti: dichiarazione dell'appartenenza ai vari gruppi da parte dei consiglieri, costituzione della giunta per le elezioni che verificherà incompatibilità e ineleggibilità, creazione degli uffici di presidenza dei gruppi e insediamento della conferenza dei capigruppo, designazione dei membri delle sei commissioni e del comitato di controllo. L'obiettivo è concludere le operazioni entro il 10 giugno e far lavorare le commissioni prima della pausa estiva: i primi appuntamenti saranno l'approvazione del rendiconto 2017 e il varo dell'assestamento estivo, che può già contare su una quarantina di milioni frutto degli avanzi della gestione precedente. (d.d.a.)

Parla Elena Sartori, moglie di Fedriga. «Io formica, lui cicala» «Io first lady? Macché Apparire non mi piace» di Lilli Goriup TRIESTE «Non mi piace apparire, sono un po' in imbarazzo: preferisco stare dietro le quinte». Elena Sartori, moglie del neoeletto presidente della Regione Massimiliano Fedriga, è una persona riservata. A due giorni dal verdetto delle urne, però, decide di superare le remore e raccontare un po' di sé. Originaria del pordenonese, triestina d'adozione, referente regionale del Fondo ambiente italiano e mamma di due bimbi, da lunedì Elena è anche la "first lady" del Friuli Venezia Giulia. Anche se non ama questa definizione.Elena, Massimiliano è stato accolto in piazza Oberdan l'altro giorno da ali di folla i folla. Che effetto le fa l'improvvisa notorietà? Eravamo abituati a vederlo nelle tv nazionali ma ora girare con lui per strada è tutta un'altra cosa, perché le persone ci fermano ad ogni metro: è un po' più difficile da gestire. Non sono una che adora queste cose, non mi piace vivere sotto i riflettori: sono un po' in imbarazzo.Ci racconti qualcosa di lei: è triestina? Cosa fa nella vita?Sono nata a Sesto al Reghena, dove ho vissuto con mamma, papà e mia sorella minore fino agli anni dell'università: una vita normale. Poi sono uscita dal nucleo familiare per studiare, prima a Gorizia e poi a Trieste, dove ho trovato lavoro. Sono laureata in Relazioni pubbliche e specializzata in Marketing turistico e congressuale. Ho sempre lavorato nel campo in cui ho studiato, per mia fortuna. Ora sono la referente regionale del Fai: prima lavoravo per un'azienda che produceva laser medicali; ho cambiato perché, con la nascita dei bambini, mi serviva un lavoro che occupasse meno ore. Al Fai ho iniziato come volontaria, perché ambiente e cultura mi stanno a cuore: non c'è di meglio che riuscire a trasformare una passione in un lavoro, mi reputo una privilegiata.Quanti anni hanno i bambini? Giacomo quattro anni e Giovanni quattro mesi. Adesso sono in maternità: sono stati mesi di intenso lavoro sotto ogni punto di vista. La campagna elettorale è stata dura: ero sola giorno e notte. Abbiamo sofferto e lavorato tanto assieme: io per la famiglia, lui per la regione.Tra lei e Massimiliano la scintilla è scoccata grazie alla politica?No a farci avvicinare è stato il lavoro precedente di entrambi. Ci siamo conosciuti in una mensa aziendale in via Flavia, dove non si discuteva di politica ma di aspetti professionali e altre cose di cui parlano i ragazzi di venticinque anni. Ci ha presentati un'amica comune. Era l'inizio del 2008 e poco dopo - ci frequentavamo appena - mi ha fatto capire che si era candidato. Non è che capisca tanto di politica, preferisco non addentrarmici. Ne discutiamo giusto un po' a casa e ci consigliamo reciprocamente.È contenta di averlo qui a Trieste per i prossimi cinque anni o avrebbe preferito che Max facesse il ministro a Roma? Proprio perché non sono addentro a queste cose per me ovviamente è meglio che Massimiliano sia qui. Poi lo supporterò sempre in ciò che per lui è più importante. Non è che sia meglio qui oppure lì; quando c'è soddisfazione professionale, anche a casa il clima positivo si sente. Sono felice per lui, per noi.C'è una first lady cui, in un certo senso, vorrebbe ispirarsi? Me stessa, nel senso che mi sento una persona semplice, ed evito i riflettori. Mi vengono in mente Brigitte Macron o Melania Trump, ma non mi ci rispecchio per niente! Nemmeno in Michelle Obama: con lei forse ho qualche valore in comune, ma di certo non mi sento una first lady. Cerco di stare accanto a Massimiliano nel miglior modo possibile ma sono un po' timida.Il tweet di Elisa Isoardi che il venerdì sera stira le camicie di Matteo Salvini ha fatto il giro del web. Voi invece cosa fate nel weekend? Stiamo in famiglia, con i bambini: organizziamo cene a casa, oppure da amici, o ancora dai genitori, miei e di Massimiliano. La domenica, in cui stiamo tutti assieme, siamo più felici. Faccio tutte quelle cose che fanno le donne che hanno famiglia, insomma, ovvero tenere assieme quest'ultima con il lavoro. In questo momento sto mettendo a posto la terrazza: vorrei fare un pranzo all'aperto. Ma Giacomo sta svuotando i vasi di fiori e tirando terra in giro: dovrò rifare da capo. Mi piace fare attività all'aria aperta e avere la casa in ordine, cosa per cui Massimiliano è meno portato: lui si dedica più agli acquisti, io all'ordine; lui è la cicala e io la formica. Le piccole questioni domestiche sono le uniche per cui litighiamo».

Resa dei conti nel Pd Il recordman Russo attacca l'ala renziana

I partiti di Marco Ballico TRIESTE «Se a Roma il problema del Pd è Matteo Renzi, anche in Friuli Venezia Giulia ci sono persone che rappresentano il passato e vanno superate». Sono trascorse 48 ore dallo scrutinio, Francesco Russo guarda tutti dall'alto con 4.368 preferenze e non fatica a spingere per il cambio di passo: «Ce l'hanno chiesto gli elettori, non c'è tempo da perdere». L'ex senatore precisa di non candidarsi a nulla, «né a fare il capogruppo né alla segreteria regionale. Semplicemente mi assumo le responsabilità che mi hanno dato gli elettori». Siamo già alla resa dei conti? Russo dice di no, ma insiste sul passato e sulle persone da superare. E fa nomi e cognomi. «Ettore Rosato ha dimostrato che il ruolo giocato negli ultimi tempi è sovradimensionato rispetto al peso elettorale misurato con il voto ad Antonella Grim, che lui ha appoggiato. E Debora Serracchiani ha sbagliato a ritardare l'ufficialità della sua scelta romana. Sergio Bolzonello ci ha messo capacità e un alto profilo, ma non ha avuto il tempo per smarcarsi da un'eredità di giunta impossibile da difendere». C'è pure un intervento della presidente uscente a Otto e mezzo a far discutere. Intervistata da Lilli Gruber, Serracchiani ha fatto un'autocritica: «Ho scelto di non ricandidarmi e probabilmente questo non ha pagato anche rispetto al lavoro che avevo fatto nei cinque anni precedenti». E ancora: «Ho fatto riforme molto profonde, una delle quali è la riforma della sanità e quando si tocca la salute, per i cittadini è molto delicato. Ho avuto un'opposizione molto forte, che non ha guardato in faccia a nessuno nel raccontare le cose che potevano essere approfondite in modo diverso». Parole che Il Fatto Quotidiano interpreta con un titolo che mette in discussione la scelta di Bolzonello, ma in una nota a stretto giro la neo deputata precisa: «Ringrazio ancora Sergio per la generosa campagna elettorale. Sono convinta che nessun altro candidato, me inclusa, al posto suo sarebbe riuscito a fare meglio». A difesa di Serracchiani c'è subito Salvatore Spitaleri: «Chi mi conosce sa quanto sia stato "dialettico" il mio rapporto con chi è stata prima segretaria regionale e poi presidente. In questa campagna elettorale devo dare atto che Debora si è messa a disposizione, anche quando abbiamo scelto alcune linee di discontinuità, che sicuramente un presidente uscente può non gradire. Serracchiani ha sostenuto con lealtà il Pd e Bolzonello. Mi pare quindi pura spazzatura il tentativo del Fatto di seminare zizzania, per punirci delle perplessità sul loro cocco Di Maio e nei confronti dei 5S». Nessun dubbio anche per Russo: «Qualsiasi critica a Bolzonello dopo quello che è successo risulterebbe ingenerosa. Ma ora dobbiamo ripartire dal cambiamento e azzerare le cariche». E poi ci sono le cose da fare in Consiglio: mentre il sindaco di Palmanova Francesco Martines ripesca il nodo dell'incandidabilità dei sindaci, il consigliere triestino sollecita, con tanto di appello a Massimiliano Fedriga, un ddl per la doppia preferenza di genere viste le sole 7 donne elette su 49. Quanto al congresso, il dem più votato non contesta i tempi annunciati da Spitaleri - fine estate, inizio autunno -, ma invita a fare «prima possibile». Già ieri sera, in segreteria regionale c'è stata una prima valutazione del Pd sul voto. A fine maggio, fa sapere ancora Spitaleri, dopo l'insediamento in aula e il ballottaggio a Udine, si riunirà l'assemblea regionale. «Io resterò in carica come previsto fino al congresso - spiega il segretario -. I tempi saranno distesi, non si tratta di sostituire qualcuno o di riempire una casellina».

Lega senza freni In 5 anni i voti salgono del 345%

L'analisi di Marco Ballico TRIESTE Un solo vincitore: la Lega. E diversi sconfitti, con ferite più o meno grandi. La caccia ai distinguo è già partita, ma i numeri, al solito, non mentono. C'è un solo segno positivo da un'elezione regionale all'altra ed è quello del movimento che ha trascinato Massimiliano Fedriga alla vittoria di domenica scorsa. Un dato roboante: la Lega, in cinque anni, ha aumentato il suo consenso in Friuli Venezia Giulia del 345%. Sembrava morta la . È bastato togliere il Nord ed è stato un successone. Complici Matteo Salvini e un candidato che ha bucato il video un po' come aveva fatto Debora Serracchiani prima delle europee 2009. Quando l'europarlamentare dem batté Renzo Tondo per una manciata di voti, era il 2013, il Carroccio viaggiava poco sopra i 33 mila voti, 8,3% del totale, e tre consiglieri in piazza Oberdan: Claudio Volino, Mara Piccin e Barbara Zilli. Dopo la legislatura degli scandali - Edoaurd Ballaman, da presidente del Consiglio, inguaiato per i viaggi privati in auto blu, più d'un consigliere coinvolto nella "rimborsopoli" di Palazzo - era un esito soddisfacente per un partito che aveva perso il piglio delle origini ed era diventato casta. A Roma come a Trieste. E invece, sopravvissuto pure allo scioglimento del gruppo in regione causa espulsione di Piccin, poi transitata in Forza Italia, la Lega senza il Nord, con Fedriga segretario e Salvini più volte sul territorio, quasi fosse una seconda casa, ha stupito il 4 marzo e si è confermata il 29 aprile. I voti alle politiche sono stati quasi 178 mila, sufficienti per essere il primo partito e tenere dietro anche il Movimento 5 Stelle. I voti alle regionali sono scesi a 147 mila (calo inevitabile con 164 mila elettori in meno ai seggi e qualche voto dirottato sulla lista del presidente, Progetto Fvg di Sergio Bini), ma hanno fatto segnare il 34,9%, il miglior risultato di sempre, superiore perfino al 26,7% degli esordi alle regionali 1993 (26,7%, la Dc distanziata di 4 punti, il Pds di 17, 18 seggi su 60), quando ci furono tre giunte a insegna celtica: quelle di Pietro Fontanini, Alessandra Guerra e Sergio Cecotti. A confrontare le regionali 2013 con quelle 2018, il resto è un rosario di segni "meno". Chi perde più voti è il Pd: da 107.180 a 76.423, un calo di oltre 30 mila preferenze e quasi 9 punti percentuali (dal 26,8% al 18,1%). La differenza che passa tra il partito portante della coalizione che sostenne Debora Serracchiani e conquistò la Regione e la forza politica che rimane di riferimento a centrosinistra, ma che paga l'impopolarità di due riforme pilastro - sanità ed enti locali -, è l'addio anticipato della presidente uscente e la candidatura del suo vice, una continuità che ha tenuto lontano la sinistra non filogovernativa. Il vero flop è però quello grillino. Il M5s, che alla prima prova alle regionali aveva preso quasi 55 mila voti (il 13,8%), è sceso sotto quota 30 mila (7,1%), si è quasi dimezzato e con il suo candidato presidente non è mai stato in corsa nemmeno per il secondo posto, e dunque per l'ingresso in Consiglio. Alessandro Fraleoni Morgera non ha evidentemente scaldato l'elettorato, deluso dal perdurante stallo delle trattative romane e in buona parte assente ai seggi locali dopo la mobilitazione del 4 marzo. Un'altra grande delusa è Autonomia responsabile. La lista che fu di Tondo aspirante presidente ha smarrito da una tornata all'altra oltre 26 mila voti, passando dal 10,7% al 4% e da 4 seggi a uno. In particolare Ar ha perso il confronto con Progetto Fvg, la lista con la quale si è divisa l'abito civico e che ha piazzato due consiglieri in aula. Capitolo a parte quello di Fi. Gli azzurri, spaventati da previsioni che li davano sotto il 10% dopo il 10,7% delle politiche, sono saliti al 12,1%. Un dato che li ha fatti esultare, ma che segna comunque un arretramento di 22 mila voti in meno di due mesi ed è lontanissimo da quello del 2013, quando il Pdl superò le 80 mila preferenze e toccò il 20,1%. In calo anche i Cittadini (4 mila voti in meno nel quinquennio) e la sinistra. Sel, nel 2013, aveva messo insieme 17.757 voti, Open-Sinistra Fvg (con l'inserimento dell'ex sindaco di Udine Furio Honsell) si è fermata a 11.748 (dal 4,5% al 2,8%). E pure Slovenska Skupnost va all'ingiù: da 5.431 a 4.880. Guardando infine la fotografia tra 4 marzo e 29 aprile, senza dimenticare il peso dell'affluenza, non c'è un partito che sia cresciuto. Un'autentica catastrofe quella grillina: il M5s scende da 170 mila a 30 mila voti: quasi 140 mila croci sul simbolo a 5 Stelle sono evaporate molto in fretta.

La forza dei candidati supera quella delle liste le scelte TRIESTE Partiti e civiche del centrodestra, con il loro 62,7% complessivo, e la Lega al 35%, trascinano Massimiliano Fedriga. Ma il peso del candidato è indiscutibile. Il neo presidente della Regione conta 307.118 voti personali (57,1%), 42.349 in più di quelli (264.769) sommati dai simboli al suo sostegno: con la Lega anche Forza Italia, Fratelli d'Italia, Progetto Fvg e Autonomia responsabile. Di fatto Fedriga ha aggiunto il 16% al lavoro di squadra. Effetto evidentemente del voto disgiunto oltre che della mancata espressione di una preferenza di lista o personale da parte di non pochi elettori. Secondo il sistema elettorale, infatti, era possibile votare una lista e un candidato presidente non collegati tra loro, così come barrare il solo nome dell'aspirante capo della giunta. L'analisi è possibile naturalmente anche per i candidati sconfitti. Sergio Bolzonello, leader del centrosinistra, ha collezionato 144.361 consensi (26,8%) contro i 110.217 (26,1%) messi insieme da Pd, Cittadini, Open-Sinistra Fvg e Slovenska Skupnost. Lo scarto è di 34.144 preferenze, il 31% in più rispetto a quanto prodotto dalla coalizione. Pure Alessandro Fraleoni Morgera ha preso molti più voti di chi lo sosteneva, la lista del Movimento 5 Stelle. Nella partita dei presidenti, il ricercatore universitario ha toccato quota 62.775 voti (11,7%), mentre a segnare il simbolo pentastellato sono stati 29.810 votanti (7,1%). Fraleoni Morgera ha dunque inciso oltre la lista per 32.965 voti, più del doppio. Nulla di troppo diverso era del resto accaduto nel 2013, quando Saverio Galluccio aveva incassato 103.135 voti (19,2%) con il M5s fermo a 54.908 (13,7%). Il problema grillino, quello di non avere candidati che trascinano la lista, rimane irrisolto. A sommare le preferenze si arriva a 7.764: solo un elettore M5s su quattro ha scritto il nome di un candidato sulla scheda elettorale. A Udine tra l'altro, a causa della carenza di donne, il movimento ha presentato una lista con soli sette nomi sui diciotto a disposizione. Quanto a Sergio Cecotti, candidato del Patto per l'Autonomia, i voti al presidente sono 23.696 (4,4%), quelli alla lista 17.279 (4,1%). Il peso di Cecotti oltre la lista è dunque di 6.417 voti, pari al 37%. In questo caso, per quanto non incida più di tanto, c'è anche da tener conto del fatto che il Patto a Trieste non si è presentato, ma era comunque possibile scegliere Cecotti come governatore (nella circoscrizione triestina il professore della Sissa ha ottenuto 565 voti, 0,6%). Un ulteriore approfondimento può essere fatto, come per il M5s, sul valore delle preferenze. A scrivere il nome di un leghista sulla scheda sono stati 39.863 elettori, il 27% dell'elettorato che ha scelto quella lista. Molti di più, in proporzione, nel Pd: 37.007 su 76.423 il 48,4%. Vale a dire che quasi un elettore dem su due ha scelto anche la persona, non solo il simbolo. Ancora di più in Forza Italia. Le preferenze totali azzurre sono 30.795, il 60,5% dei 50.908 consenti ottenuti. Liste forti, dunque, quelle di dem e berlusconiani. Ma non sufficienti per ottenere un risultato tale da opporsi al vento della Lega, movimento che ha dominato pur con un numero inferiore di candidati in grado di conquistare preferenze. Non a caso non sono riusciti a centrare il seggio anche i forzisti Roberto Ceraolo, che pure ha preso 1.664 voti, Paolo Urbani (1.587), Renzo Francesconi (1.438), Igor Treleani (1.284), Pierluigi Molinaro (1.191), Marco Quai (1.085) e Loris Basso (1.068), mentre nel Pd non sono bastati 1.549 voti a Vittorino Boem, 1.185 a Carlo Candido, 1.224 a Stefano Ukmar, 1.192 a Sara Vito. Risultati personali eccellenti, ma che non sono serviti per il trend al ribasso dei due partiti. (m. b.)

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