Onomastico Di Re Ferdinando
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ALFREDO RONCUZZI Vita e tempi del CARDINALE RUFFO a cura di Pier Giorgio Bartoli 2017 ALFREDO RONCUZZI Vita e tempi del CARDINALE FABRIZIO RUFFO di BAGNARA CALABRA a cura di Pier Giorgio Bartoli Alfredo Roncuzzi nacque a San Pietro in Vincoli il 27 dicembre del 1905 da Ernesto e Palmina Giorgini. I suoi genitori, nel gennaio del 1900 emigrarono in Argentina, ma ammalatosi gravemente il padre, nel 1905 dovettero ritornare in Romagna dove questi morì nel 1907. Con il denaro guadagnato là, la madre aprì un gran negozio a San Pietro in Vincoli dove si vendevano dai tessuti ai mobili. Alfredo, crescendo senza padre, diventava sempre più discolo e la madre lo mandò a Forlimpopoli in un convitto ed in questa località frequentò le scuole elementari. Si narra che, quando ritornava a casa per le vacanze o i fine settimana (viaggiando sul famoso tramway Meldola-Ravenna, che aveva una fermata presso il ponte sul Ronco vicino a Gambellara), venisse allontanato dai suoi coetanei a causa della sua prepotenza, tanto che la madre si accordò con un poveruomo padre di molti figli affinché, dietro compenso, gli lasciasse un ragazzo per fare da compagno di giochi ad Alfredo. Dopo poco tempo questo ragazzo scappò e disse al padre: “Fasì quel ch’avlì, amazim pu, mo da quel chi lè an gni vegh piò”. A Forlì frequentò la Scuola Tecnica dove ebbe per insegnante di lettere Maria Martinez, moglie di Aldo Spallicci. In seguito, a Ravenna, frequentò l’Istituto Tecnico Ginanni sezione Agrimensura (Geometra), seguendo gli stessi studi del conterraneo farmacista e compositore Bruto Carioli, col cui diploma si poteva accedere all’Università. Frequentò infatti la facoltà di Farmacia prima a Bologna poi a Firenze e si laureò a Pisa il 28/10/1927. I soldi non gli mancavano e così pure donne e motori: ebbe anche un’Harley Davidson, ma venne la crisi del 1929 che per lui non fu finanziaria, ma mistica. Lo troviamo infatti nel Convento di Camaldoli dal 1930 al 1933 come aiuto farmacista, ma soprattutto dove fece scuola ai giovani aspiranti alla vita di monastero. Pensò di pronunciare i voti, ma poi capì che non era la sua vita e si trasferì, farmacista, a Roma. Qui nel 1934 s’incontrò con la madre che lo convinse a sposare una sua ex commessa: Vanda Cicognani. Il matrimonio fu celebrato il 19 maggio 1934 a Roma nella parrocchia di S. Eusebio. Nel ‘37 partì volontario per la guerra di Spagna arruolato nei ‘requetè’ Carlisti, sacrificando la sua professione e tutti i suoi interessi “por el ideal religioso y combativo”. Anche la Seconda Guerra Mondiale lo vide alle armi, ma per la derattizzazione di Roma. Per dimostrare di non essere stato legato al regime fu poi partigiano nel Lazio con le Brigate Bianche, ma rifiutò, per iscritto, sia le decorazioni sia la pensione per non avere legami con associazioni di sinistra. Ancora per pochi anni fece il farmacista, ma sempre maniacalmente ligio alla perfezione, ebbe timore di commettere errori nelle preparazioni galeniche; pertanto verso la fine del 1946 passò definitivamente agli interessi letterari. Fu direttore di collane religiose e di pensiero e del mensile culturale “Il Commentario”, collaborò a “L’Osservatore Romano” e ad altre riviste e giornali di impostazione dottrinale utilizzando anche lo pseudonimo “Renato” che era il nome di battesimo e col quale voleva chiamarlo sua madre. Si dedicò ad un assiduo lavoro in campo educativo e scrisse anche due romanzi e alcuni lavori teatrali. Ad ottant’anni, in compagnia della moglie che per tutta la vita lo aveva assecondato sempre e comunque, ritornò definitivamente in Romagna dove visse per otto anni a San Pietro in Vincoli presso i cognati e qui continuò a scrivere e pubblicare volumi. Dal 1993 fino alla morte avvenuta il 31 luglio 1999 fu ospite al Centro Betania di Marina Romea. A Bologna, la nipote Laura Spadoni ha allestito un piccolo reliquiario con le opere ed i cimeli dello zio e si è prodigata per la pubblicazione di questa opera inedita in cui l’autore si immedesima nella personalità del Ruffo. III Contatti romagnoli del Cardinale Ruffo (a proposito di Papa Pio VI Angelo Braschi) Il farmacista Alfredo Roncuzzi fu un romagnolo atipico, classe 1905, che partì volontario per la guerra di Spagna arruolato nei Requeté, organizzazione paramilitare cattolica che combatteva al fianco di Franco. La parola Requeté ha il significato di soldato spagnolo Carlista e deriva da una battuta tra il generale Zumalacàrregui († 1835) e i suoi ufficiali: «Todo bien?» «Requetebien!» (arcibenone). Il Carlismo fu un movimento politico ultraconservatore che si prefiggeva un’alternativa al ramo Borbone sul trono di Spagna. Là Alfredo si immedesimò nella personalità di Fabrizio Ruffo di Calabria, quel cardinale che nel 1799, a capo dei briganti calabresi, combatté gli “anticristo” napoleonici. Fu su questo personaggio che conversero per un certo tempo le sue ricerche storiche quando, seguendo i parenti acquisiti (era cognato degli Spadoni, i re della farina) a Roma, poi a Napoli e a Messina, nel 1946 abbandonò le preparazioni galeniche per dedicarsi agli interessi letterari. In quelle città ebbe facilmente modo di scandagliare i locali archivi storici e scoprire che Ruffo (entrato in seminario a quattro anni) aveva avuto per precettore e poi per grande amico, anche se c’erano ventisette anni di differenza d’età, Angelo Braschi, il cesenate che nel 1775 diventò Pio VI, e di questo Papa ci regala vividi episodi biografici. Angelo Onofrio Melchiorre Natale Giovanni Antonio nacque a Cesena il 27 dicembre 1717, primogenito del conte Marco Aurelio Tommaso Braschi e della contessa Anna Teresa Bandi. Avviato alla carriera ecclesiastica, a diciotto anni conseguì il dottorato Utroque Jure a Cesena, poi a Ferrara completò gli studi giuridici sotto la guida dello zio cardinale Giovanni Carlo Bandi che era avvocato consulente del Cardinal Legato di Ferrara Tommaso Ruffo, lo zio di Fabrizio. Nel 1740 Angelo va a Roma seguendo il cardinale Tommaso Ruffo, prima come segretario personale, poi come uditore, cioè come suo rappresentante per le diocesi di Ostia e Velletri. Nello stesso anno ha potuto prender parte, discretamente, al Conclave da cui uscì papa il cardinal Prospero Lambertini col nome di Benedetto XIV. Soffre di pene d’amore. Perché non sposarsi? Lo potrebbe ancora. Ma padre Leonardo da Porto Maurizio lo sconvolge con una profezia predicendogli qualcosa di paurosamente grande: un posto a cui non si giunge col matrimonio. Padre Leonardo ha fama di santo ma Angelo non può spegnere il cuore di colpo e rimane equidistante dagli occhi della fidanzata e dalla profezia. Attende la vocazione: la nomina a segretario del Papa gli fa scegliere definitivamente la vita sacerdotale. Tanta acqua passa sotto i ponti del Tevere, muore Benedetto XIV e gli succede Clemente XIII. Monsignor Angelo Braschi diventa Referendario della Segnatura, Uditore civile del Camerlengo, Uditore del nipote del Papa e Tesoriere. In pratica è responsabile di quattro ministeri: guerra, marina, interni e finanza. Ha appena cominciato a fare un po’ d’ordine, e quindi procurarsi l’inimicizia di parecchi personaggi, che il Papa muore. Dopo tre mesi di Conclave, nel 1769, viene eletto Clemente XIV, frate Ganganelli famoso predicatore, ma ad Angelo non piace e continua a non piacergli, anche se nel 1773 lo nomina cardinale. L’anno dopo il Papa muore e solo il 15 febbraio 1775, al 265° scrutinio, si avvera la predizione di Padre Leonardo: Angelo Braschi è Papa col nome di Pio VI. Sarà l’ultimo Papa “rinascimentale e nepotista”. Rinnovò l’assetto dei musei Vaticani, portò a compimento quello Pio-Clementino, fece erigere gli obelischi al Quirinale, a Trinità dei Monti e a Montecitorio, rinnovò la sacrestia della basilica vaticana, ma adottò i figli della sorella Giulia e del marchese Onesti facendogli assumere il cognome Braschi-Onesti per far continuare il casato. IV Ci guadagnò anche la Romagna perché il Papa autorizzò il cugino Scipione Zanelli a costruire il Canale Naviglio per collegare Faenza al mare tramite il Po di Primaro. Questo fu inaugurato da Pio VI il 29 maggio 1782 quando era di ritorno da un viaggio a Vienna, dove era inutilmente andato per convincere l’imperatore Giuseppe II a revocare certe leggi anti ecclesiastiche. Si era in pieno illuminismo e la chiesa era vittima di un ostile isolamento promosso dai sovrani europei per limitarne le prerogative. Papa Braschi ce la mise tutta per difendere il cristianesimo dagli attacchi degli illuministi, ma Roma era una città cosmopolita a cui affluivano ospiti da tutto il mondo, di tutte le opinioni e i costumi. Si presentò anche la più indesiderata ospite, quella che i romani chiamarono la Repubblica per ridere. Ma ci fu da piangere. Nel 1796 Napoleone invase l’Italia depredando casse pubbliche e private, requisiva beni d’ogni genere nelle campagne, faceva sfogar la truppaglia sulle popolazioni inermi, asportava da musei e chiese tesori e opere artistiche per la valorizzazione del Museo Nazionale di Parigi. Preso il settentrione, puntò le armi contro lo Stato Pontificio: caddero Bologna, Ferrara, Imola e Faenza. Lugo, in luglio, insorse eroicamente per due giorni, ma poi subì saccheggio, rapina e la morte di sessantasei lughesi. Ravenna, invece, ebbe un trattamento speciale grazie al “collaborazionismo” dell’Arcivescovo Codronchi che disse ai suoi preti: «Giurate, giurate tutto quello che vi si chiede, salva la religione cattolica». Poi scrive di questo a Pio VI che risponde: «…non potiamo disapprovare che Ella abbia prestato il giuramento jugulatorio…». L’esercito pontificio, del quale Marco Fantuzzi era commissario generale per le truppe della Romagna, fu sconfitto definitivamente il 10 febbraio 1797 dopo l’ultima resistenza al passo del Furlo. I francesi, proclamata la Repubblica, fecero prigioniero il Papa, lo condussero prima a Siena, poi a Firenze e infine in Francia, rinchiudendolo nella fortezza di Valence, a sud di Lione.