La Provincia Di Alessandria, Situata Nel Piemonte
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APPUNTI PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA NELLA PROVINCIA DI ALESSANDRIA (*) La provincia di Alessandria, situata nel Piemonte sud-orien- tale, confina ad ovest con la provincia di Asti, a nord-ovest con quella di Torino, a nord con il Vercellese, ad est con le provincie di Pavia e di Piacenza e a sud con quelle di Genova e di Savona. Tutta la zona centrale e settentrionale della provincia è coperta da colline a dolce declivio che degradano lentamente nella pianura compresa fra Alessandria, Novi Ligure e Tortona ed in quella che si estende sulla destra del fiume Po, da Casale a Valenza. Nel set tore meridionale, invece, i rilievi collinari costituiscono i primi contrafforti dell’Appennino ligure-alessandrino che si estende da Acqui a Tortona, tagliato dalle valli della Bormida di Spigno, del- l’Erro, dell’Orba, dello Stura, del Lemme, dello Scrivia, del Bùr bera, del Grue e del Curone. Attraverso alcune di queste valli (Bor mida, Erro, Stura, Lemme e Scrivia) passano le rotabili e le ferrovie che congiungono la Liguria al Piemonte ed alla Lombardia. Le cime più alte dell’Appennino ligure-alessandrino si trovano tutte all’incirca sul confine regionale: Bric del Gorrei (829 m.), monte Colma (836 m.), monte Poggio (1081 m.), monte Tobbio (1092 m.), monte delle Figne (117 2 m.), monte Lecco (1072 m.), monte Porale (835 m.), monte Antola (1598 m.), monte Carmo (1642 m.), monte Chiappo (1698 m.), monte Ebro (170 1 m.) e monte Giarolo (1473 m.). A i margini del settore appenninico si trovano le città di Acqui (16.000 abitanti), Ovada (9.000), Novi Ligure (22.000) e Tortona (23.000); Alessandria (82.000) è posta al centro della provincia; Casale (37.000) presso il confine col Vercellese ed il Pavese, sul lembo orientale del sistema collinare del Basso Monferrato, e V a lenza (13.000) sul Po, tra Casale ed Alessandria. (*) L ’autore del presente studio ha vinto, con una tesi di laurea sulla Resistenza nell’Alessandrino, il primo premio in un concorso per un’opera di storia sulla lotta di Liberazione nella provincia di Alessandria, bandito dai Comune di Alessandria, daH'Amministrazione Provinciale, dal Comitato Provinciale Difesa Valori della Resi stenza e da vari comuni della Provincia. Il saggio che segue contiene un’esposizione originale della materia del lavoro, che sarà pubblicato tra breve a cura del Comitato Promotore del Premio. Giampaolo Pansa I. - Dal marzo 1943 a ll’8 se t t e m b r e a) - Gli scioperi di marzo. Scarse furono le ripercussioni in provincia. Ad Alessandria il 16 marzo si verificarono brevi sospen- sioni del lavoro alla Borsalino ed alla Soc. Mino. Nel Casalese, nella seconda metà del mese, si ebbero scioperi parziali a Morano sul Po, fra gli operai del cementificio della Soc. Marchino. Nei primissimi giorni di aprile scioperarono gli operai della M .I.V .A . di Acqui. Il grado di concentrazione industriale dell’Alessandrino è piuttosto basso. A l momento degli scioperi, all’interno delle aziende il lavoro di penetrazione politica da parte antifascista era ancora pochissimo sviluppato: gli stessi comunisti potevano contare solo su poche cellule di fabbrica, isolate e non in grado di guidare alcun movi mento. Anche le ragioni economiche delle agitazioni erano meno avvertite: la maggiore integrazione fra città e campagna esistente nei piccoli centri di provincia e l’origine contadina di molti operai alessandrini contribuivano, infatti, a far sentire in misura minore la gravità del problema alimentare e l’insufficienza dei «alari. b) - Il 25 luglio e l’armistizio. La fine del regime venne salu tata con gioia in tutta la provincia. Nessuna violenza contro gli esponenti del P.N.F. Le autorità militari e di polizia continuarono a mostrarsi ostili agli avversari del fascismo. Il 26 luglio i carabi nieri impedivano ai 1200 operai della Borsalino di unirsi alle co lonne dei manifestanti e arrestavano i loro delegati. In Alessandria numerosi antifascisti vennero tradotti alle carceri come « faziosi perturbatori dell’ordine pubblico ». I partiti d’opposizione ripresero l’attività. I comunisti furono gli unici a stabilire una rete di colle gamento fra tutti i centri della Provincia; P.S.I.U.P., P. d’A., D. C. e liberali erano invece poco organizzati e si limitarono a raccogliere adesioni individuali nell’ambito ristretto dei politici del periodo prefascista. Ad Alessandria i cinque partiti diedero vita ad un comitato antifascista unitario: si trattava di un organo poco più che simbolico, dalla composizione instabile, pressoché inattivo. Identiche caratteristiche presentavano i comitati costituiti a Tor tona, Casale e Valenza. A ll’inizio di settembre la situazione si andò aggravando. Il ter ritorio della provincia era chiuso a sud-est da tre divisioni germa niche: la 94a e la 76% provenienti dalla Francia, che controllavano il Genovesato e le rotabili della vai Scrivia, e la 65% giunta dalla Germania, che si era attestata nel Vogherese. Di fronte a queste Appunti per una storia della Resistenza nella provincia di Alessandria 5 forze stavano, in provincia, alcuni reggimenti del genio, della fan- teria e dell’artiglieria, per un complesso di circa 10.000 uomini: i reparti italiani erano frazionati in numerosi centri e non tutti si trovavano in piena efficienza. I comitati di Alessandria e Tortona offrirono inutilmente l’aiuto dei civili ai comandi locali. Tra il 9 e il io settembre la provincia cadde in mano al nemico: i presidi di Casale e di Acqui capitolarono di fronte a piccole pattuglie germa- niche; ad Alessandria due tentativi di resistenza, alla caserma Val- frè ed alla Cittadella, vennero rapidamente stroncati; a Novi Ligure, il i° Regg. Genio Minatori si sciolse senza che i tedeschi dovessero intervenire. Solo a Tortona, al Comando d’Aviazione ed alla ca serma Passalacqua, gruppi isolati di soldati tentarono una disperata resistenza ma vennero presto sopraffatti. II. - Dal 9 S E T T E M B R E 1943 AL GENNAIO 1944 a) - / primi comitati di resistenza. AH’indomani dell’armistizio, disfatto l’esercito e crollata l’intera struttura politica del paese, gli antifascisti si trovarono di fronte alla grave responsabilità di orga nizzare da soli la resistenza al nemico. L ’Alessandrino, per le sue caratteristiche sociali e per le sue tradizioni politiche (decisamente orientate a sinistra, soprattutto nel Valenzano e nell’Ovadese) avrebbe potuto rappresentare un discreto campo d’azione per le forze d’opposizione. Gli anni della dittatura, però, non erano pas sati invano e sarebbe stato necessario il trauma della lotta partigiana per risvegliare completamente ogni energia e determinare quell’ac cordo fra le correnti politiche e la grande massa della popolazione che avrebbe portato la lotta di liberazione ad assumere dimensioni e carattere di guerra nazionale. ' I gruppi d’opposizione, trasformatisi in comitati di resistenza, iniziarono l’attività in un ambiente dominato dall’incertezza, dalla sfiducia e dalla paura. Gli stessi gruppi antifascisti si trovavano in una situazione non facile, tormentati all’interno dalle divergenze fra « attesisti » ed elementi decisi ad agire e non ancora in grado di impegnarsi in un vasto lavoro di incitamento e di preparazione alla lotta. Un’effettiva volontà di resistenza tuttavia esisteva e si manifestò concretamente. Ad Alessandria, alla fine di settembre, venne costituito l’organismo che avrebbe funzionato, sia pure con poca efficacia, come C.L.N . provinciale. Lo componevano elemen ti dei cinque partiti principali, ma gli unici ad essere attivi sin dal 6 Giampaolo Pansa l’inizio furono i comunisti e gli azionisti. I primi organizzarono un piccolo gruppo di gappisti ed alcune squadre cittadine per il ricu pero di materiale bellico, e svolsero nel contempo una cauta propa ganda che ebbe un primo risultato alla fine di ottobre con la par tenza per il Cuneese di una decina di giovani alessandrini. Gli azio nisti costituirono nelle vicinanze di Alessandria tre centri di rac colta di militari sbandati ed allacciarono contatti con ufficiali del l’esercito per spingerli alla lotta. Assieme al capoluogo si mossero anche i circondari. Nei centri maggiori della provincia (a Tortona, Casale, Ovada, Novi Ligure, Acqui e Valenza), tra il settembre ed il novembre, si costituirono altri comitati di resistenza. La loro composizione era eterogenea e solo i comunisti erano presenti ovunque. In ogni località vennero ricuperate armi e furono aiutati i soldati italiani sbandati e i pri gionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento di Valenza, Chivasso, Gavi e da quelli situati sul versante ligure dell’Appen- nino. A Casale, elementi di sinistra riuscirono ad armare un pic colo gruppo di uomini che in ottobre partì per la vai d’Aosta. b) - Le prime bande partigiane sull’Appennino ligure'dlessan- drino. Un sostanziale passo avanti verso un razionale coordinamento dei tentativi dei singoli gruppi venne compiuto tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre grazie all’incontro fra i comitati di resistenza dell’Alessandrino meridionale e i comunisti genovesi. Questi ultimi stavano da tempo esaminando la possibilità di costituire nuclei par tigiani sul settore appenninico che sorge all’immediato entroterra della costa ligure, da Genova a Savona. La zona non poteva offrire ai « ribelli » le condizioni di sicurezza delle vallate alpine ma le bande avrebbero avuto ampie possibilità d’azione poiché attraverso l’Appennino ligure-alessandrino passavano i canali logistici delle truppe tedesche dislocate sulla Riviera. Il Triumvirato Insurrezio nale per la Liguria (il così detto « Triangolo Militare ») aveva ela borato in proposito un piano preciso. Gli uomini sarebbero stati ini zialmente convogliati in territorio alessandrino, sul settore montano compreso tra la vai Stura e la vai Scrivia (indicato con il termine convenzionale di « 3* zona ») e, una volta inquadrati, armati ed addestrati, sarebbero defluiti ad ovest, in direzione del Sassello e dell’alto Acquese e ad est, oltre la vai Scrivia, sul versante setten trionale dell’Antola.