Figure Dell'estasi
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMATRE Dipartimento di comunicazione e spettacolo (Di.co.spe) Figure dell’estasi. Dalla riflessione di Ejzenštejn alla Teoria della performance di Riccardo Panfili Scuola dottorale in “Culture della trasformazione della città e del territorio, sezione: il cinema nell’interrelazione con il teatro e le altre arti” XXI ciclo Tutor Prof.ssa Lucilla Albano SOMMARIO Introduzione .............................................................................. 1 1. Estasi ejzenštejniana ........................................................... 10 2. Per una teoria della ricezione ............................................... 33 2.1 Pathos e Gesamtkunstwerk .............................................................................................33 2.2 Intermezzo I: Grundproblem ............................................................................................47 3. Arte come procedimento ...................................................... 85 3.1 Šklovskij ed Ejzenštejn ....................................................................................................85 3.2 Intermezzo II: l’arte estatica di Skrjabin ......................................................................107 4. Ur-phänomen e Pars pro Toto ............................................. 133 5. Corpo dell’opera d’arte organica versus Corpo performativo158 5.1 Lo Stanislavskij di Ejzenštejn ........................................................................................158 5.2 Antropologia della performance .....................................................................................182 6. Coda : Estasi e modernità ................................................... 253 7. Appendice . Note per un tentativo di applicazione analitica della Teoria............................................................................ 261 7.1 Serghej Paradzanov: un cinema estatico .......................................................................261 7.2 Da Wagner a Murnau: variazioni sull’estasi ..................................................................273 A guisa di conclusione ........................................................... 289 BIBLIOGRAFIA ....................................................................... 295 FILMOGRAFIA ........................................................................ 309 1 Introduzione Il τόπος , il luogo dell’Introduzione – in quanto atto faticoso dell’introdurre – è sempre un luogo problematico da abitare, il cui arredamento implica la risoluzione di quesiti squisitamente retorici: si tratta di accompagnare – novelli Virgili – il lettore o il fruitore in media re , comunque nel cuore delle riflessioni che lo aspettano al varco. Ma se giungiamo al cuore delle questioni – o ne anticipiamo i tratti – siamo fuori dai confini dell’introdurre, catapultati già nell’acciottolato spossante della trattazione vera e propria. Sì. Un problema spinoso quello dell’Introduzione. Ha a che fare con lo stile. Perché l’atto del “ ducere in ”, del “condurre dentro” presuppone che non si è ancora entrati nel luogo deputato dell’evento: si è nel limbo, in un non-spazio ( ου - τόπος ) che è il tipico spazio (vuoto) dell’ ars rethorica pura, assoluta. La dimensione elettiva dell’Introduzione è quella u-topica della retorica. Si tratta propriamente dello spazio i cui confini sono stati tratteggiati da queste prime righe da noi composte ad hoc : il luogo vuoto (disabitato) – formato dalla membrana retorica – votato all’attesa di qualcosa che lo riempia. È molto più facile cogliere il senso – e con il senso la funzione – di un’Introduzione ad un lavoro altrui. Ma nell’introdurre un lavoro nostro, lo scrivente deve in un certo senso distaccarsi da se stesso, guardarsi dall’esterno, in un atteggiamento schizofrenico in cui si tenta di interpretare le proprie riflessioni. La difficoltà – e il disagio – di tale operazione è messa in rilievo dal filosofo italiano Costanzo Preve, che nell’introduzione ad un suo denso (e illuminante) studio sul pensiero di Marx scrive: “Quando un autore si introduce da solo […] sarebbe ridicolo che desse un’interpretazione di se stesso, e pretendesse trattarsi di una interpretazione autentica, anzi dell’unica possibile interpretazione autentica. L’interpretazione la dà sempre il lettore, e questo non può essere evitato neppure dagli autori più paranoici” 1. Quindi seguendo alla lettera l’indicazione di Preve, accantoniamo qualsivoglia tentativo retorico di auto-interpretazione, e passiamo direttamente, senza ulteriori 1 C. Preve, Marx inattuale. Eredità e prospettiva , pag. 7, Bollati boringhieri, Torino 2004. 2 giri di parole, ad offrire una stringata sinossi, uno schema rozzamente articolato dei principali passaggi teorici attraverso cui si snoda tale ricerca. Ovviamente tralasceremo i “ponti modulanti” (per usare un’espressione musicale), le riflessioni di passaggio che – a guisa di raccordo – uniscono e intrecciano i punti fondamentali che andiamo a schematizzare. 1) In primis il nucleo da cui prende avvio il nostro lavoro è dato dalla riflessione dell’ultimo Ejzenštejn, in particolare dai concetti irrelati di Estasi e Pathos – espressi soprattutto in modo organico nel volume La natura non indifferente . Abbiamo tentato di mettere a fuoco le contraddizioni inerenti alla formulazione ejzenštejniana del concetto di pathos: in quest’ottica ci siamo dilungati (ejzenštejnianamente!) nel tratteggiare una sorta di genealogia della teoria della ricezione spettatoriale, convulsamente elaborata da Ejzenštejn durante tutta la sua vita ( Intermezzo I ). Ci è servito per mettere in luce le radici da cui germina – come una pianta contraddittoria e frastagliata – il concetto stesso di pathos, elaborato nell’ultima parte della vita del regista. In secondo luogo si è trattato di dimostrare alcuni pregnanti punti di contatto esistenti tra il concetto di messa in scena del procedimento elaborato da Victor Šklovskij e alcuni aspetti della riflessione estetica ejzenštejniana, a partire dal processo di estasi dei codici linguistici per finire con le riflessioni sul colore. Nell’ottica di un arte che palesa i suoi stessi processi compositivi – e li rende tangibilmente percepibili allo spettatore – abbiamo preso ad analisi le riflessioni sviluppate da Ejzenštejn intorno alla musica di Alexander Skrjabin, considerata, dallo stesso Ejzenštejn, come modello aureo di messa in scena del procedimento e di arte organica che si basa sulla legalità interna dei fenomeni naturali (Intermezzo II ). 2) Abbiamo cercato di dimostrare -– tramite l’analisi del processo percettivo della pars-pro-toto e la conseguente dialettica tra Rappresentazione ( izobrazenie ) e Immagine ( obraz ) – come l’Estasi in realtà sia un “procedimento”, una “figura” centrale anche nel pensiero di Ejzenštejn precedente alla Natura non indifferente (e presente soprattutto, implicitamente, nelle riflessioni di Teoria generale del 3 montaggio : in realtà Ejzenštejn ne accenna già nelle Integrazioni all’Articolo di Stoccarda del 19292). 3) In particolar modo nella produzione teorica ejzenštejniana della metà degli anni ’30 – i due volumi La natura non indifferente e Teoria generale del montaggio, i saggi Montaggio 38 , Organicità e Immaginità e Il montaggio verticale – il corpo umano assurge a modello assoluto nella concezione di un’opera d’arte organica che si configura come corpo e organismo 3. Come cercheremo di dimostrare, non si tratta di un corpo neutro e generico (per usare categorie tratte dalla Antropologia della performance), bensì di un corpo estatico , in definitiva di un corpo performativo : sia esso il corpo dell’attore (con particolare riferimento all’attore stanislavskijano) o il corpo del mistico (con particolare riferimento agli “esercizi spirituali” di Ignacio di Loyola). Quindi, il modello dell’Estasi e dell’opera d’arte organica, sembra nascere da una profonda osservazione, da un accanito studio del corpo performativo, sia esso il corpo estatico del mistico, o, in misura maggiore, il corpo attoriale immerso nella fucina del “lavoro su di sé”. Detto in altri termini si tratta della puntuale comparazione tra il corpo dell’opera d’arte e il corpo estatico del performer. In questa direzione, come avremo occasione d’approfondire, Ejzenštejn (soprattutto in Teoria generale del montaggio ) ci offre uno studio puntuale della teoria e della pratica dell’attore in Stanislavskij: è noto l’interesse costante dimostrato da Ejzenštejn nei confronti del teatro e in particolar modo dell’arte dell’attore 4. 4) L’ultimo passaggio teorico consisterà, quindi, nell’approfondimento – sottolineiamo: già totalmente presente nella riflessione di Ejzenštejn – del 2 Cfr, il saggio Drammaturgia della forma cinematografica , il “capitolo ” Appunti per le integrazioni dell’articolo di Stoccarda : “Un esempio classico è quello della primavera. Da quadro impressionistico – della PRIMAVERA – essa si trasforma nel concetto profondamente tragico di una primavera contadina. Non-coincidenza con la struttura logica (automatismo intellettuale) […] Mettere in chiaro che estasi è ex-stasis”, in Il Montaggio , a cura di P. Montani, pag. 42, Marsilio, Venezia 1986. 3 Scrive Jacques Aumont: “«Organico»: il film è un corpo”, J. Aumont, Rileggere Ejzenštejn: il teorico lo scrittore , in S. M. Ejzenštejn, Il montaggio , pag. XXII, Marsilio, Venezia 1992. 4 Cfr. i saggi contenuti in Serghej M. Ejzenštejn, Il movimento espressivo, a cura di P. Montani, Marsilio, Venezia 1998. 4 confronto fra l’estasi performativa, l’ex-stasis conquistata dal