Non Tutti Sanno Che
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www.carabinieri.it Non tutti sanno che... ERITREA (I Carabinieri in Eritrea) La presenza italiana in Africa si può far risalire al 15 novembre 1865, data in cui la società ligure di navigazione "Rubattino" stipulò con i sultani Ibrahim ed Hassàn il primo contratto, ispirato dal Governo, per l'acquisto della baia di Assab in Dancalia (Etiopia), da utilizzare quale base di appoggio sul Mar Rosso per le sue navi dirette in Oriente. Successivi acquisti aumentarono il territorio della società mercantile sino ad un'ampiezza di 36 miglia per 2 - 6 miglia di profondità oltre alle isole prospicienti la baia stessa (1880). Nel 1882 il Governo italiano assunse il possesso diretto di quelle località e nel maggio 1883 inviò ad Assab un piccolo nucleo di 4 carabinieri agli ordini del maresciallo Enrico Cavedagni, per istituirvi una Stazione a tutela dei traffico commerciale. Il sottufficiale si servì anche dei basci-bozuk (denominazione turca di indigeni arruolati) da cui ebbero origine i futuri Zaptiè (v. Assab). Dopo che la Francia impose il suo protettorato alla Tunisia (1881) e l'Inghilterra all'Egitto (1882), l'Italia s'indusse a concepire una più estesa penetrazione nell'entroterra etiopico, sollecitata anche dal favore dell'Inghilterra stessa che vedeva di buon occhio l'espansione italiana nel Mar Rosso piuttosto che nel Mediterraneo e che sperava, indirettamente, in un aiuto per domare la rivolta scoppiata nel Sudan ad opera dei Dervisci seguaci del Mahdi (gennaio 1885). Il 5 febbraio 1885 un piccolo corpo di spedizione, composto da 800 bersaglieri e 100 marinai al comando del colonnello Tancredi Saletta, sbarcò in Eritrea sulla spiaggia di Massaua, donde l'occupazione fu rapidamente estesa ai centri di Arafali, Moricullo, Saati e Uà-a. Del contingente facevano parte 10 carabinieri agli ordini del tenente Antonio Amari di S. Adriano, che in prosieguo furono portati a 73 uomini, i quali costituirono un reparto organico denominato "Sezione Carabinieri d'Africa". Nel gennaio 1887 ras Alula, governatore di Asmara, ingiunse a nome del Negus (imperatore) d'Etiopia, Giovanni II, l'evacuazione da parte italiana dei villaggi di Saati e Uà-a; alla risposta negativa seguì l'inizio delle ostilità con un vano attacco indigeno a Saati. Ma il 26 gennaio di quell'anno a Dogali fu sorpresa ed annientata una colonna di 500 italiani guidati dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis, in marcia di spostamento da Moncullo a Saati. L'insuccesso militare determinò una situazione critica e richiese notevoli sforzi operativi, anche all'Arma in fase di organizzazione, per supplire con lo scarso personale a disposizione alle operazioni di servizio e difesa. Il 1° luglio successivo, con l'atteso arrivo di nuovi elementi dalla madrepatria, l'originaria Sezione Carabinieri divenne "Compagnia Carabinieri d'Africa" stanziata a Massaua, forte di tre ufficiali subalterni e 93 sottufficiali e militari di truppa al comando del capitano Antonio Boj, Due dei subalterni furono quindi distaccati uno a Moncullo e l'altro ad Arkico. Nel novembre 1887 sbarcarono in Eritrea 13.000 soldati agli ordini del generale Asinari di S. Marzano, che nel 1888 ripresero le operazioni militari con pieno successo, allargando la zona d'occupazione. Fu quindi necessario aumentare l'efficienza organica della Compagnia Carabinieri, per cui il 15 ottobre dello stesso anno vennero arruolati nel reparto dell'Arma due plotoni di zaptiè di 25 uomini ciascuno, tratti dalla popolazione indigena. La campagna ebbe termine allorché il ras dello Scioa, Menelik, poté succedere, con l'aiuto italiano, a Giovanni II ucciso dai Dervisci. Il nuovo Negus firmò il 2 maggio 1889 il trattato di Uccialli, con il quale accettava il protettorato dell'Italia acconsentendo all'occupazione dell'Asmara e riconoscendo il possesso dei territori compresi tra il Sudan, l'Etiopia, la Somalia francese ed il Mar Rosso, che nel 1890 furono organizzati dal Governo Crispi in Colonia Eritrea. Nello stesso periodo all'Arma fu affidato l'intero servizio di pubblica sicurezza nella regione, svolto sino allora in collaborazione con un corpo di polizia indigeno dipendente dalla delegazione di P.S. di Massaua, contemporaneamente soppressi. Già dal 1890 le scorrerie dei Dervisci del Califfo Zeki Tamel sulla frontiera etiopica avevano costretto le truppe italiane ad intervenire contro di essi, fornendo all'Inghilterra quell'aiuto che essa stessa aveva auspicato appoggiando l'Italia nell'impresa africana. La situazione divenne però improvvisamente critica allorché il Negus Menelik, consolidato il suo potere e non avendo più bisogno dell'appoggio italiano, il 27 febbraio 1893 denunciò il trattato di Uccialli spingendo contro gli italiani il suo grande feudatario Mangascià, ras del Tigrai. Nei disegni del monarca tale manovra aveva lo scopo di tenere impegnate le truppe italiane, mentre egli si accingeva ad organizzare le proprie forze per sferrare poi un più vasto attacco contro i territori controllati dall'Italia. Per garantire la sicurezza dell'Eritrea, il Governo italiano inviò in Africa il generale Oreste Baratieri che iniziò le operazioni sul confine occidentale cacciando i Dervisci dal villaggio di Agordat ed occupando Cassala, importante mercato centrale di una vasta regione. Frattanto dal 1° luglio 1894, per effetto di un nuovo ordinamento dei servizi civili e militari nella colonia, l'organico della Compagnia Carabinieri venne così ristrutturato: 1 capitano comandante, 3 ufficiali subalterni, 23 sottufficiali e 57 carabinieri; la forza del reparto zaptiè comprese: 1 "sciurn-basci" 4 "buluk- basci" e 90 militari di truppa. Il servizio territoriale risultò articolato su 3 Sezioni (Massaua, Asmara, Cheren) e 14 Stazioni. Nel dicembre 1894 il generale Baratieri spostò le sue truppe alla frontiera meridionale rivolgendosi contro i tigrini di ras Mangascià ed il 28 dello stesso mese entrò in Adua capitale del Tigrai. Il 12 gennaio 1895 gl'indigeni tentarono un'azione offensiva sconfinando da Sud in Eritrea, ma il comandante italiano, ritiratosi da Adua, passò il fiume Mareb e manovrò per attaccare di fianco gli uomini di Mangascià. Il mattino del 13 gennaio, nella località di Coatit, avvenne lo scontro caratterizzato da un improvviso cambiamento del fronte da parte italiana, da Est a Nord, per contrastare un riuscito aggiornamento nemico. Il combattimento infuriò per tutta la giornata riprendendo poi il 14 seguente sino a notte. I tigrini dovettero abbandonare le posizioni e ritirarsi sul villaggio di Senafé. Ma il giorno 15 successivo il generale Baratieri, con una marcia forzata di 40 km., riagganciò il nemico attaccandolo con due Battaglioni alle ali e con il fuoco rapido d'artiglieria al centro. Sorpreso dal violento quanto inatteso attacco, ras Mangascià fu costretto alla fuga lasciando un ingente bottino e perdendo circa 2000 uomini. Ai combattimenti presero parte anche i militari dell'Arma e zaptiè; in particolare si distinsero il capitano dei Carabinieri Federico Craveri (v.), comandante di una Compagnia di milizia mobile indigena, ed il sottotenente Felice Wuiliermoz, addetto alla stessa Compagnia, i quali seppero amalgamare e dirigere sotto il fuoco nemico elementi indigeni sconosciuti tra loro e senza alcuna esperienza di servizio. Il proseguimento della controffensiva italiana verso l'Etiopia condusse il 25 marzo 1895 all'occupazione di Adigrat, capoluogo dell'Agarnè, ove ras Mangascià si era rifugiato. Le ostilità fra le truppe italiane ed i tigrini avevano dato tempo al Negus Menelik, come era nei suoi piani, di prepararsi alla guerra. A metà ottobre 1895, egli partì infatti dallo Scioa con oltre 100.000 uomini avanzando verso il Tigrai per restaurarvi il potere di Mangascià. Gli etiopi procedevano divisi in due colonne delle quali una, a Nord dei lago Ascianghi, composta da 30.000 indigeni al comando di ras Maconen governatore dell'Harrar, l'altra, a Sud, forte di circa 80.000 scioani condotti dallo stesso Menelik. La difesa italiana si appoggiava su tre centri fortificati: Amba Alagi, Makallè, Adigrat, con un totale di circa 10.000 uomini. La mattina del 7 dicembre gli etiopi di Maconnen, cui si erano aggiunti i contingenti dei ras Oliè, Micaèl, Alula e Mangascià, investirono la posizione dell'Amba Alagi tenuta dalle truppe del maggiore Pietro Toselli. Gli italiani resistettero sino alle ore 13 in attesa dei rinforzi del generale Arimondi, poi l'enorme disparità di forze ebbe ragione dell'eroismo dei difensori. Il 9 seguente torme di cavalleria scioana, avanguardie dei Negus, apparvero davanti alle ridotte di Makallè difese dagli uomini dei maggiore Giuseppe Galliano; il fortino venne assediato. Per tutto il mese di dicembre i combattimenti si limitarono ad azioni di disturbo. Il 7 gennaio 1896 le colonne nemiche iniziarono il primo assalto in forze, cui ne seguirono altri sino al 22 successivo, giorno in cui il presidio fu costretto ad evacuare il fortino. Gli indigeni, ammirati per il valore dei difensori, concessero loro l'onore delle armi. Tutti i carabinieri della Stazione di Makallè presero parte alla difesa del forte ed in particolare furono impiegati in missioni di collegamento e con ricognizioni attraverso le linee nemiche. In tali specifici servizi si distinsero il vice brigadiere Francesco Arca, il quale con grave rischio tentò di superare il cerchio nemico per recapitare un plico urgente al generale Baratieri, ed il carabiniere Giuseppe Evangelisti quale porta ordini delle posizioni italiane avanzate. Ambedue i militari vennero decorati di Medaglia d'Argento al Valor Militare. Un cenno a parte merita l'azione del carabiniere Eugenio Bianchi il quale, uscito allo scoperto, durante un combattimento, per recuperare un cannoncino da montagna franato fuori dalla postazione, si caricò il pezzo sulle spalle e con esso risalì il pendio sino alla ridotta sotto il fuoco nemico, riuscendo poi a rimettere l'arma in batteria. Anche il carabiniere Bianchi, per questo eroico episodio, fu decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare. Approfittando dell'offensiva scioana contro le truppe italiane nel Tigrai, 6000 Dervisci mahdisti guidati dall'emiro Ahmed Fadil il 22 febbraio 1896 investirono l'importante centro commerciale di Cassala, sul confine occidentale eritreo, ponendovi assedio.