La Figura Di Eugenio Cefis

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La Figura Di Eugenio Cefis La figura di Eugenio Cefis Da Wikipedia - Eugenio Cefis (Cividale del Friuli, 21 luglio 1921 – Lugano, 28 maggio 2004) è stato un dirigente d’azienda e imprenditore italiano. Fu consigliere dell’AGIP, presidente dell’ENI e presidente della Montedison. Nel 1963 venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, massimo riconoscimento della Repubblica Italiana. Per il suo ruolo nella loggia massonica P2 e i forti sospetti avanzati da Mauro de Mauro e Pier Paolo Pasolini su un suo coinvolgimento nell’attentato a Enrico Mattei, cui succedette come Presidente dell’ENI, è una delle figure più controverse dell’ambiente imprenditoriale italiano. All'età di quindici anni si iscrisse all'Accademia Militare di Modena. Proveniente dalla carriera militare, durante la Resistenza fu vice comandante della Divisione Valtoce con il soprannome «Alberto». Fu tra i fondatori della Repubblica dell'Ossola. In quegli anni conobbe Enrico Mattei, che affiancò nell'attività di ristrutturazione dell'AGIP e, in seguito, nella fondazione dell'ENI. Alla morte di Mattei, occorsa in un attentato aereo nel 1962, divenne presidente dell'ENI Marcello Boldrini; Cefis gli succedette alla guida dell'ente petrolifero nel 1967. Secondo alcune voci della cultura italiana, Cefis avrebbe avuto tuttavia un ruolo oscuro nella morte di Enrico Mattei. Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino) lo descrisse come un nemico che tramava nell'ombra per ottenere la presidenza dell'ENI e neutralizzare la politica fortemente indipendente di Mattei: è la tesi espressa nel volume intitolato Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente , Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972. Il libro di Steimetz fu subito ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo completamente dalla circolazione. In questo senso, Cefis avrebbe agito come rappresentante di poteri che volevano ricondurre la politica energetica italiana in orbita atlantica, con un comportamento coerente con i dettami delle multinazionali angloamericane del petrolio. Godette dell'appoggio di Amintore Fanfani e dei leader DC del Triveneto. In campo finanziario, seppe come ottenere la fiducia di Enrico Cuccia, il banchiere al vertice di Mediobanca. L'istituto di via Filodrammatici vantava dei crediti di difficile riscossione nei confronti della Montedison, il colosso chimico nato nel 1966 dalla fusione della Montecatini con l'ex azienda elettrica Edison. Cefis trovò il modo di aiutare Cuccia, iniziando segretamente a comprare azioni della Montedison con i soldi dell'Eni e i dovuti appoggi politici a Roma. Cominciò così la sua scalata al gigante chimico, che si concluse nel 1971, quando Cefis abbandonò l'ENI e divenne presidente della stessa Montedison. Questa mossa sollevò molte polemiche: egli infatti aveva utilizzato il denaro dell'ENI (cioè denaro pubblico) per diventare presidente di una società privata. Cefis progettò di fare della chimica un settore competitivo a livello internazionale sulla base di due considerazioni: a) le enormi potenzialità legate alla petrolchimica; b) la precisa convinzione dell'esistenza in Italia dello spazio per un solo grande operatore. Ma si rese ben presto conto che il governo, tramite le Partecipazioni statali, voleva entrare anche nella chimica e non gli avrebbe lasciato le mani libere. Dopo aver respinto una scalata alla Montedison condotta dalla "sua" ENI e da Nino Rovelli, appoggiati da Giulio Andreotti, decise che era il momento di attuare quella strategia che egli rivelerà alcuni anni più tardi in una delle sue rare interviste: "Non si può fare industria senza l'aiuto della politica e un giornale può servire da moneta di scambio". Cefis instaurò così un braccio di ferro con Gianni Agnelli, che non aveva nessun tipo di feeling con Fanfani ed era padrone de La Stampa di Torino, oltre ad essere nella proprietà del Corriere della Sera. Nel 1974 lo scontro ebbe come teatro la presidenza di Confindustria. L'Avvocato fece il nome del repubblicano Bruno Visentini, Cefis replicò con quello di Ernesto Cianci . Dopo un gioco di veti incrociati, alla fine si arrivò a un compromesso: Agnelli presidente e Cefis vicepresidente. L'intesa riguardò anche i giornali: Cefis ebbe via libera per Il Messaggero (il quotidiano più venduto di Roma), Agnelli ottenne che La Gazzetta del Popolo non desse più fastidio alla Stampa (infatti verrà chiusa nel giro di pochi anni) e in cambio acconsentì che la Rizzoli acquistasse il Corriere. A metà degli anni settanta il suo potere era enorme. Nel 1977 Cefis lasciò improvvisamente la scena pubblica per ritirarsi a vita privata in Svizzera e gestire il suo patrimonio, stimato allora in cento miliardi di lire. Dal Corriere della Sera - Se si nomina Enrico Mattei il primo nome che viene in mente subito dopo è Eugenio Cefis. Ma mentre ancora di recente la pubblicistica sul primo è di una ricchezza incredibile e continuano ad uscire o ad essere annunciati libri e lavori sulla sua figura, di quello che è stato prima il suo più stretto collaboratore e poi il suo successore alla testa dell' Eni si sa tutto sommato ancora poco. È un caso in cui gli interrogativi, o se vogliamo le leggende, prevalgono. È una figura ancora avvolta nel mistero e gli storici avranno il loro da fare per venire a capo di alcuni quesiti rimasti insoluti. Cefis è scomparso due anni fa a 82 anni e una delle disposizioni che ha lasciato alla segretaria e assistente che lo ha seguito per una vita, Franca Micheli, è stata quella di distruggere il suo ricco archivio privato. La ricerca della massima privacy è stato del resto per il successore di Mattei un chiodo fisso tanto da far sua la battuta di un altro gelosissimo custode dei suoi segreti, Enrico Cuccia, che amava dire: «Non fa niente se un manager va a caccia di donne, guai però se parla con i giornalisti». Ho conosciuto Eugenio Cefis nel 2002 e mi è capitato di incontrarlo diverse volte nel suo studio di Lugano o in quello milanese di via Chiossetto. Sono stati lunghi colloqui ai quali ha partecipato un ex manager Eni, l' ingegner Camillo D' Amelio, a cui Cefis era rimasto legato sia dal punto di vista professionale che umano. Le lunghe discussioni che avemmo con Cefis sugli anni della vita partigiana, sulla nascita dell' Eni e il rapporto con le Sette Sorelle, sulla scalata della Montedison e i rapporti con Cuccia furono condensati poi in un progetto di lunga intervista che spaziava da Mattei fino agli anni dell' Italia berlusconiana. Il testo fu a lungo rivisto dallo stesso Cefis sempre con la fattiva collaborazione dell' ingegner D' Amelio. Per volere dell' anziano manager solo una parte dell' intervista sarebbe dovuta uscire con lui ancora in vita, la seconda mi disse «la pubblichi solo quando io sarò morto». Così è stato e sul Corriere della Sera del 6 e 7 dicembre 2002 uscirono in due puntate i ricordi di Eugenio Cefis su Mattei. La seconda parte dell' intervista è inedita e ve la proponiamo in due puntate. Per onestà va detto subito che non ci sono scoop o rivelazioni sensazionali, si tratta però sicuramente di un documento che può essere utile per chi vorrà scrivere la storia di un' epoca del nostro capitalismo. Del resto la figura di Cefis ha alimentato le ricostruzioni e la fantasia del giornalismo economico. Nasce con lui la definizione di «razza padrona» e in fondo è stato proprio l' ex comandante partigiano ad essere individuato come il primo dei poteri forti, una personalità all' intreccio tra economia e politica capace di condizionare gli assetti del Paese. A Lugano Cefis si era trasferito nel 1977 quando, sorprendendo tutti, si dimise da presidente della Montedison a soli 56 anni e tornò a fare l' imprenditore, in Canada e in Italia dedicandosi molto alla casa d' aste Finarte che amava molto. Fino all' ultimo conservò forte il senso del comando che gli era stato inculcato dall' esperienza partigiana quando i partigiani bianchi arrivavano a contendersi a fucilate con i rossi di Cino Moscatelli i lanci aerei yankee. «Lavorando fianco a fianco con i militari americani capii che solo uno sprovveduto come Mussolini poteva mettersi in guerra contro l' America», ebbe a dire raccontando la vita sulle montagne in attesa dei rifornimenti di armi (ma anche di cioccolata e persino di preservativi), che venivano lanciati con il paracadute. «Una volta un quadrimotore calò addirittura una macchina da scrivere richiesta da loro comandante ed ogni settimana arrivava, lanciata sempre con il paracadute, la posta dagli Usa». In montagna nasce il rapporto con Mattei e così, finita la guerra, «fondammo con il 50 per cento ciascuno una società in comune, una piccola azienda chimica che produceva materie plastiche e lavorava l' urea. Fu Cefis, nome di battaglia Alberto, a presentargli (a Cefis veniva da dire «mettergli a disposizione») uno dei politici più brillanti che l' Italia abbia avuto, Giovanni Marcora, il cui nome di battaglia da partigiano non a caso era Albertino. «Quando morì Ezio Vanoni, Mattei rimase scoperto politicamente. Allora partendo dal niente Marcora fondò la corrente della Base. Aveva in ogni comune una persona fidata per il tesseramento. E la Dc di Milano si trovò che la Base era diventata maggioranza». Mattei volle coinvolgere Cefis nell' avventura Eni. «Mi chiese: "Mi puoi dare una mano per seguire almeno alcune attività Snam?". Nel frattempo Enrico era stato convinto dall' ingegner Zanmatti della certezza che a Cortemaggiore ci fosse del gas metano». Ma oltre a reclutare persone a lui vicine il presidente dell' Eni seppe porsi in maniera adeguata e professionale il compito di formare una nuova classe dirigente, i mitici corsisti Eni. «L' amministratore delegato Mincato è uno di quelli - ricordava Cefis -. Lo vedi da come si muove, ha lo stampino dei corsisti di Mattei». Non sempre però le idee di Cefis e Mattei collimavano, per esempio sulla chimica.
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