Tom Krause, Barítono Irwin Gage, Pianoforte in Collaborazione Con L'unione Musicale Di Torino

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Tom Krause, Barítono Irwin Gage, Pianoforte in Collaborazione Con L'unione Musicale Di Torino Tom Krause, barítono Irwin Gage, pianoforte In collaborazione con l’Unione Musicale di Torino Nato a Helsinki, Tom Krause ha compiuto la propria prepara­ zione artistica all’ Accademia Musicale di Vienna, tornando poi nella sua città natale nel 1957 in occasione del debutto, avvenu­ to con un concerto liederistico. Avviata nel 1959 la collabora­ zione con l’Opera di Berlino, nel 1962 è entrato a far parte dell’ Opera di Stato di Amburgo e nel 1967 ha compiuto una tour­ née negli Stati Uniti culminata con un’esibizione al Metropoli­ tan di New York. Del 1968 è l’interpretazione del “ Don Giovanni” di Mozart al Festival di Salisburgo, che gli è valsa l’affermazione a livello europeo e l’inizio della carriera che lo ha portato nei maggiori teatri e festival internazionali. Impegna­ to, inoltre, in campo discografico (ha al suo attivo oltre 50 inci­ sioni) e radio - televisivo, negli ultimi tempi Tom Krause è particolarmente interessato alla divulgazione del repertorio lie­ deristico. Irwin Gage è nato negli Stati Uniti, a Cleveland. Compiuti gli studi in pianoforte, letteratura e musicologia presso le Univer­ sità di Yale e del Michigan, si è poi trasferito a Vienna per fre­ quentare l’Accademia di Musica e Arti Figurative, dove ha seguito i corsi di Erik Werba. Intensa è la sua attività in veste di accompagnatore di prestigiosi cantanti, nel corso della quale ha collaborato, tra gli altri, con Hermann Prey, Christa Lud­ wig, Jessye Norman, Dietrich Fischer - Diskau e Peter Schreier. Molteplici anche i suoi impegni nel campo della didattica, che vanno dai corsi di specializzazione per insegnanti alla formazione di interpreti liederistici, scopo quest’ultimo, per il quale nel 1979 ha istituito un’ apposita classe presso il Conservatorio di Zurigo. Franz Schubert (1797-1828) l An die Musik D. 547 > 7 Ganymed D. 544 Wanderers Nachtlied D. 224 da “ Die Winterreise” D. 911 1 Der Lindenbaum j fo Der Musensohn D. 764 Richard Strauss (1864-1949) ¿Breit’ über mein Haupt, op. 19 n. 3 G^VAch, weh mir unglückhaftem, Mann, op. 21 n. 4 t ('¿Morgen, op. 27 n. 4 4i£Allerseelen, op. 10 n. 8 SwRuhe, meine Seele, op. 27 n. 1 /¿’ Zueignung, op. 10 n. 1 Jan Sibelius (1865-1957) fl Demanten pa marssnön f li Den första kyssen ?l^Vilse 4 WTeodora ^TtVaren flyktar hastigt Modest Musorgskij (1839-1881) ' Canti e danze della morte: Ninna nanna Serenata Trepak Il generale Non cessa di stupirci la sordità di Johann Wolfgang Goethe verso i grandi musicisti che misero in musica i suoi versi; fu crudele per Beethoven, forse solo amara per Schubert, assuefatto a con­ siderarsi marginale. Peraltro la natura di Schubert, in apparen­ za così levigata ma a ben considerare velata di impressionanti turbamenti, inquietudini, nere coscienze, non poteva non esse­ re irresistibilmente attratta da Goethe, altra natura d’artista sot­ tilmente iridato; la consapevolezza della predilezione va comunque più in là: “non si può negare che il genio poetico di Goethe ha contribuito molto al successo ” dice il compositore dopo una esecuzione felice. La resa perfetta e di una superiore semplicità dei Lieder su testi di Goethe divide con il poeta an­ che l’estetico desiderio di misurare il presente con la misura eterna degli antichi: così è la pregnante e frivola simmetria del Figlio delle Muse, così la corrispondenza fra contenuto e musica in Ga- nymed - necessariamente un po’ paludata, forse meno felice che nello stupendo Schwager Kronos - che non è affatto descrizione pittorica con nebbie e uccelletti ma più, è come se la musica vo­ lesse nominare la cosa stessa, secondo uno spasmo ben noto: il traforarsi dell’ accompagnamento irregolare dopo l’anelito ad un panico abbraccio, l’accordo sull’invocazione wohinl, e non si finirebbe. L’inverosimile forza espressiva diventa enorme nel Wanderers Nachtlied (Canto notturno del viandante), che into­ nato come un semplice canto popolare dallo Zelter, sì stimato da Goethe, diventa in Schubert l’impietrita dolcezza del distac­ co, si noti, tutto in tonalità maggiore. Fuori dal mondo goethiano il Lindenbaum (Il tiglio), dal ciclo Die Winterreise (Viaggio d’inverno), entrò immediatamente nel patrimonio culturale imperituro del popolo tedesco, per quella tenera e intima melodia che risulta - e lo fu fra gli impervi Lie­ der del ciclo al primo ascolto, per gli amici di Schubert - imme­ diatamente indimenticabile. La dilatata sollecitazione del ritornello si attua definitivamente in quei casi in cui, nel finale, una nuova idea musicale viene ad allargare improvvisamente i confini o inaspettatamente a colmarli, come anche in An die Mu­ sile, su testo dell’amico Schober. Certo, in confronto con la schubertiana capacità di cogliere in poche note il respiro del mondo, la estroversa munificenza so­ nora di Richard Strauss può apparire sospetta e pletorica: non ancora calata nel dubbio linguistico dell’ avanguardia storica, ap­ parentemente immune dalla temperie tardoromantica più sof­ ferente, e diversamente corrotta - appunto nel verso del sontuoso, del rutilante - fu a lungo tacciata di fasto superficiale e facil­ mente accattivante. Se ci si accosta invece alla musica di Strauss senza itinerari precostituiti e intenzioni, allora lo splendore non sottoposto a vaglio morale si rivela per ottima fattura, la ridon­ danza essendo a volte un’ottima qualità del retore. Nei Lieder come nelle opere si rintraccia un denso itinerario che molto dice sul mestiere di questo artista del primo ’900 ma ancora fin de siècle; nella prima raccolta op. 10 c’è ancora un’osservanza brahmsiana, ma tanto più effusiva, come nel delizioso Zuei- gnung, dolcemente perorante, o ne\V Allerseelen impregnato di sentimentalismo. Non molto si discosta l’ op. 19, in cui Breit iiber mein Haupt opera però rispetto a quel sentimentalismo una certa chiarificazione, decantazione. La prima raccolta che veramente introduce Strauss ad una più vasta e meritata rinomanza come liederista è l’ op. 27, che contiene alcuni dei suoi Lieder più riu­ sciti: Ruhe meìne seele con quel pesante e vischioso addugiare in rassegnazione di pesanti accordi pianistici e l’ovvio accento - ozioso trovarlo pedante - posto sull’aggettivo “ wild” , selvag­ gio, riferito alle tempeste dell’ anima; altro è il perfetto Morgen, cui un preludio e un postludio incorniciano - e agognano l’or­ chestra - la luce della spiaggia vagheggiata e il canto se ne inebria. Più giovane di Richard Strauss di nove anni, più di lui soprav­ vissuto a se stesso, è Jan Sibelius, compositore finlandese ap­ partenente in realtà ad una minoranza svedese; la sua personale osservanza tonale, il suo concetto di forma, un po’ fuori del tem­ po quando non ai margini dell’impero, lo portarono ad abdica­ re alla composizione trent’ anni circa prima della morte, intorno all’inizio degli anni trenta, nel pieno di un’attività di relativo successo non solo nazionale. Personaggio strano, Sibelius, se­ gnato da bizzarrie e repentini mutamenti d’umore nel carattere come nella musica, che è fatta di ossessive felici ripetizioni e ac­ costamenti, un modo lapidario di avvicinare soffici frammenti e brusche cesure; appariva un “ capriccioso colosso”, “ violen­ temente appassionato ” , “ un vichingo che non conoscesse esi­ tazioni né tenerezza e neppure un barlume di umorismo”. La sua proclamata naturalità - ma quanti paralleli più a Nord di un altro “ naturale” da lui amato, Bruckner - dovrebbe tro­ varsi a proprio agio nel Lied, in realtà meglio rappresentato in Finlandia da Kilpinen; fu forse, come per altre cose, un’ adesio­ ne di circostanza e forse una ricerca di immediato pubblico. I testi da lui scelti sono perlopiù di lingua svedese: il poeta Rune- berg, di una corrente romantica un po’ sentimentale e leziosa, che corrisponde comunque ad un suo certo sentimento del mon­ do: il Varen flyktar hastigt, scritto nel 1891, è una aneddotica variante del “ chi vuol esser lieto sia” , con il “ compianto” in tonalità minore e la risposta in maggiore su simile e diversa li­ nea melodica. La ripetizione testimonia una sostanziale sempli­ cità senza ricorso al folklore, i progetti descrittivi più ambiziosi - come nel Denfòrsta kyssen - ma la scelta è di una prevedibile ingenuità senza vergogna, com’è la “ rozza verginità dei canti runici” (Tammaro). Il senso della natura di Sibelius - che tra­ spare perennemente dai diari - è precisamente quello del Deman­ ten pa marssnòn (Il diamante sulla neve di marzo), semplicemente strofico, che fa capire come i suoi Lieder piacessero ad un altro liederista un po’ periferico rispetto ai grandi esiti del genere, Brahms. Infine Teodora ne è il contraltare, incursione in un mon­ do sensuale e cromatico raro, anche per l’instabile sensibilità ar­ monica del compositore. Non è peregrino vedere in queste romanze di Musorgskji - che tali sono i Canti e danze della morte, più che Lieder, per l’as­ sunto drammatico che il compositore focalizzò insieme con il poeta Kutusov, all’epoca suo convivente oltre che amico - una corrispondenza autobiografica, un pensare, che taluno vuole os­ sessivo, alla morte: morti due intimi amici negli ultimi due an­ ni, il pittore Hartmann dei Quadri di un ’esposizione e Nadezda Opocinina, il più profondo dei suoi legami affettivi, e sciolto il Gruppo dei Cinque nello stesso anno 1875, cosa che fu vissu­ ta dalla tormentosa sensibilità di Musorgskij non come il natu­ rale divergere di strade, ma come un tradimento alla causa, di cui lui fu personale interprete per la ricerca di materico e grezzo realismo nell’espressione dell’anima russa. Musorgskij ottenne dal poeta quella struttura di introduzione seguita dal monologo della morte sotto diversi ruoli che è co­ mune alle quattro liriche - solo nella prima, Ninna nanna, la se­ conda parte è in realtà un dialogo fra la madre e la morte -; le varianti fra il testo musicato dal compositore e quello pubblica­ to autonomamente dal poeta ci precisano la volontà espressiva di Musorgskij.
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