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Convegno SISP 2015 Sezione 9: “Elezioni e comportamento di voto” Panel 9.1: “Le primarie per la selezione dei candidati regionali”

Le primarie per la Regione : il Centrosinistra sfida il “suo” presidente uscente

di Sara Mengucci – Università di Pavia ([email protected]) e Alessandro Testa – Università “La Sapienza” di Roma ([email protected])

Introduzione. Lo stato dell’arte: undici anni di primarie regionali (2005-2015)

a) Il progressivo sviluppo delle primarie nel centrosinistra e i primi esperimenti degli altri

Osannate oppure contestate dal mondo politico, giornalistico e accademico, e ancora alla ricerca della propria consacrazione definitiva, le elezioni primarie in Italia – e in particolare quelle semi-aperte ai cittadini-elettori (oltre che, spesso, ai 16enni e agli stranieri regolarmente residenti) che sottoscrivano una dichiarazione di sostegno e un impegno di voto alle elezioni generali – hanno festeggiato recentemente il decimo anniversario da quel primo pioneristico scontro in cui l’allora esponente di Rifondazione comunista strappò a sorpresa al “margheritino” (sostenuto anche dai Ds) la candidatura del centrosinistra alla presidenza della Regione Puglia. Da allora molte cose sono cambiate, ma le primarie, sia pure conoscendo alti e bassi, si sono ormai affermate come uno – anzi il principale, secondo lo statuto del Partito democratico – strumento di selezione dei candidati del centrosinistra a cariche istituzionali monocratiche1. Utilizzato anche, per estensione e con formula alquanto originale, per l’elezione degli organi direttivi nazionali e regionali del Pd2, a partire dalla sua stessa fondazione nel 2007. Come vedremo, proprio la nascita del Partito democratico ha dato l’impulso decisivo per consolidare il ricorso alle primarie, che sono così passate da una fase iniziale di tipo «mitologico» – in particolare quelle di Vendola e di Prodi nel 2005 – ad una più moderna e consolidata, che potremmo definire «rituale» (C&LS 2015 : 6). Del resto, la necessità per i partiti – in drammatica crisi di fiducia – di cercare di aumentare la democrazia intrapartitica coinvolgendo di più e meglio gli elettori-simpatizzanti nelle proprie scelte, ha fatto sì che negli ultimi tempi siano stati tentati anche alcuni esperimenti che si spingono oltre questo primo corpus ormai consolidato: appartengono infatti alla grande famiglia delle primarie aperte le insolite “parlamentarie” con cui il centrosinistra ha scelto buona parte degli attuali parlamentari nel dicembre 2012 e le poche occasioni in cui il centrodestra ha finora affidato ai suoi sostenitori la scelta dei propri candidati a sindaco3. Sono da

1 Presidente del Consiglio dei Ministri (fermo restando il potere di nomina nelle mani del Presidente della Repubblica, come garantitogli dall’articolo 92 della Costituzione), presidente di Regione e di Provincia (fino alle riforme Monti e Delrio che le hanno prima svuotate di competenze e poi dotate di organi elettivi di secondo grado), sindaci. 2 In realtà, per entrambi i livelli, il meccanismo selettivo si svolge in tre fasi: inizialmente – per evitare un’eccessiva frammentazione – i soli iscritti al Pd, attraverso i consueti meccanismi congressuali, determinano la terna dei candidati ammessi al voto popolare, che a quel punto iniziano la loro campagna elettorale per conquistare nei gazebo il voto - numericamente preponderante - dei simpatizzanti, che eleggono direttamente l’Assemblea nazionale o regionale del partito. Questa, in sede di prima convocazione elegge un suo presidente, che per prima cosa verifica se uno dei contendenti ha raggiunto la maggioranza assoluta dei delegati (e quindi dei suffragi) e in tal caso ne ratifica l’elezione senza procedere ad ulteriori votazioni. In caso contrario, chiede ai delegati di procedere ad un ballottaggio tra i due aspiranti leader che hanno raccolto i maggiori consensi. Si tratta di una procedura poco nota perché finora la sua applicazione non è mai stata necessaria a livello nazionale, ma solo in alcune assemblee regionali del Pd. (Pasquino- Venturino, 2014) 3 A rompere il ghiaccio è stata Frosinone, il 29 gennaio 2012: appena 2.704 selettori hanno scelto tra il vincitore e gli altri quattro candidati. Molto più partecipate (oltre 17mila votanti) le primarie per il di Lecce, che

1 considerare invece primarie chiuse le periodiche selezioni online dei propri candidati a tutti i livelli da parte del Movimento Cinque stelle e, nel centrodestra, l’elezione di Matteo Salvini a segretario “federale” della nel dicembre del 20134.

b) Le primarie regionali: una crescita quantitativa ciclo dopo ciclo

Stante la ricorrenza del già citato decennale, la nostra ricerca si concentrerà sulle primarie regionali, in particolare su quelle tenutesi il 1° marzo 2015 nelle Marche, e costituisce un modulo di un più ampio progetto di analisi proposto per l’occasione dallo standing group Candidate and Leader Selection. Per introdurre il tema sarà utile ricordare come finora solo il centrosinistra abbia organizzato primarie a livello regionale, con un ritmo crescente nel tempo:

Tabella 1 – Undici anni di primarie regionali (2005-2015)

Anno Elezioni regionali5 Precedute da % primarie Csx6 2005 14 1 7,1% 2006 2 1 50% 2007 / / / 2008 3 0 0% 2009 1 0 0% 2010 13 3 23,1% 2011 1 1 100% 2012 1 0 0% 2013 5 2 40% 2014 5 47 80% 2015 7 5 71,4% Totale 52 17 32,7%

Se però si raggruppano le elezioni regionali in cicli quinquennali (di durata cioè pari alle rispettive legislature)8 il progressivo consolidamento della diffusione delle primarie come metodo selettivo appare più evidente:

si sono svolte un mese più tardi e che sono state vinte dal sindaco in carica Paolo Perrone, che ha così ottenuto la ricandidatura. 4 In quell’occasione hanno potuto partecipare al voto tutti gli iscritti alla Lega da almeno un anno. I votanti sono stati 10.221: di questi 8.162 (pari all’81,7%) ha scelto Matteo Salvini. Solo 1.833 voti (un modesto 18,3%) per lo storico fondatore Umberto Bossi, che tentava di recuperare la guida del partito dopo essere stato costretto a lasciarla pochi mesi prima in seguito allo scandalo dell’utilizzo a fini personali dei fondi del partito da parte dei suoi familiari e del suo entourage. 5 Per omogeneità di analisi si terrà conto solo di 18 Regioni, escludendo Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, la cui vita politica è fortemente condizionata dai partiti autonomisti locali (a cui si aggiunge, nel TAA, una complessa architettura istituzionale fondata essenzialmente sulle Province autonome di Trento e Bolzano). 6 Il centrodestra non ha ancora effettuato primarie per la selezione dei propri candidati alle elezioni regionali. Il Movimento 5 stelle utilizza invece abitualmente primarie chiuse online, riservate agli iscritti con un’anzianità minima di alcuni anni. 7 Ma in Sardegna la vincitrice delle primarie, Francesca Barracciu, ha poi rinunciato alla candidatura in seguito al suo coinvolgimento in un inchiesta giudiziaria per malversazione nei rimborsi spese, aperta a carico di numerosi consiglieri regionali.

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Tabella 2 – I cicli delle primarie regionali (2005-2015)

Ciclo Elezioni regionali Precedute da % primarie Csx 2001-20059 18 1 5,6% (solo 2005) (14) (1) (7,1%) 2006-2010 19 4 21,1% 2011-2015 19 12 63,2% Totale 56 17 30,4%

c) Primarie regionali ed elezioni anticipate

Proviamo ora a verificare, empiricamente, se la scelta del Centrosinistra di scegliere il proprio candidato alle regionali possa stata in qualche modo condizionata, o comunque influenzata da alcuni fattori specifici. Iniziamo con l’eventualità di elezioni anticipate, messe a confronto con i casi di scioglimento naturale delle consiliature:

Tabella 3 – Primarie regionali/elezioni a scadenza regolare

Ciclo Elezioni regionali Precedute da % a scadenza regolare primarie Csx 2005 14 1 7,1% 2006-2010 17 4 23,5% 2011-2015 11 8 72,7% Totale 42 13 31,0%

Tabella 4 – Primarie regionali/elezioni anticipate

Ciclo Elezioni regionali Precedute da % anticipate primarie Csx 2005 0 / / 2006-2010 2 0 0% 2011-2015 8 4 50% Totale 10 4 40%

8 Ovviamente la scelta del “taglio” del quinquennio non è del tutto neutrale, ma abbiamo già dimostrato con la tabella 1 l’andamento comunque mediamente crescente del fenomeno. In ogni caso, logica vorrebbe che il quinquennio iniziasse o terminasse con l’anno (2005, 2010, 2015) in cui nonostante i numerosi scioglimenti anticipati degli ultimi tempi ancora si concentra la maggior parte delle elezioni regionali. Trovandoci nel 2015, abbiamo pertanto scelto di utilizzarlo come conclusione di un ciclo e di andare poi conseguentemente a ritroso. 9 Per omogeneità dei dati (cfr. nota precedente) abbiamo qui introdotto nell’analisi statistica anche le elezioni regionali in Sicilia e in Molise del 2001 (rese necessarie dall’annullamento di quelle del 2000 da parte del TAR di Campobasso per irregolarità formali), le elezioni in Friuli-Venezia Giulia del 2003 e quelle in Sardegna del 2004. Di conseguenza il totale delle elezioni regionali nel periodo di riferimento di questa tabella sale da 52 a 56 e ciò determina un abbassamento della percentuale complessiva di elezioni regionali precedute da primarie.

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Dalle due tabelle si conferma in primis, la tendenza al progressivo aumento dell’utilizzo delle elezioni primarie da parte del centrosinistra negli ultimi anni già evidenziata nelle tabelle 1 e 2. Ma soprattutto si nota come questo incremento appaia per così dire «frenato» nei casi di scioglimento anticipato della consiliatura, con sole 4 primarie su 10 casi (40%). Ciò non sorprende, in quanto l’organizzazione delle primarie richiede tempi medio/lunghi, che non sempre sono concessi da un evento traumatico – endogeno o esogeno10 – che porti la Regione al voto anticipato rispetto alla scadenza naturale. Non inganni, infine, la media finale più bassa fatta riscontrare nella tabella 3 relativa alle consiliature concluse regolarmente (31%): il dato è infatti fortemente influenzato dalle elezioni del 2005, le prime in cui le primarie vennero sperimentate, nella sola Puglia di Nichi Vendola e Francesco Boccia11.

d) Primarie regionali e maggioranza uscente, con o senza incumbency

Per finire, analizziamo invece la propensione del centrosinistra a utilizzare le primarie per scegliere il proprio candidato presidente in tre casi distinti: • Quando ha vinto le elezioni precedenti e ricandida il presidente in carica (incumbent); • Quando ha vinto le elezioni precedenti ma non ricandida il presidente in carica; • Quando parte dall’opposizione;

Tabella 5 – Presidente incumbent di Csx ricandidato

Ciclo Elezioni Maggioranza di cui Precedute da Percentuale regionali uscente Csx presidente Csx primarie Csx incumbent 2005 14 6 4 0 0% 2006-2010 19 14 9 2 22,2% 2011-2015 19 7 2 0 0% Totale 52 27 15 2 13,3%

10 Per eventi endogeni intendiamo le dimissioni del presidente in carica (oppure, ma fortunatamente ciò non si è mai verificato, la sua morte o impedimento permanente) ovvero un voto di sfiducia del Consiglio regionale che porti al suo stesso scioglimento in base al principio simul stabunt, simul cadent. Un evento endogeno è invece l’annullamento delle elezioni per irregolarità formali da parte del TAR (Molise 2001 e 2006, Piemonte 2010). 11 Iniziando la rilevazione dal 2006, infatti, il dato salirebbe al 42,9% (con 12 primarie su 28 elezioni “regolari”) mentre quello delle primarie in caso di elezioni anticipate resterebbe fermo al 40%.

4 Tabella 6 – Presidente di Csx non ricandidato

Ciclo Elezioni Maggioranza di cui open Precedute da Percentuale regionali uscente Csx chair per il primarie Csx Csx12 2005 14 6 2 0 0% 2006-2010 19 14 5 1 20% 2011-2015 19 7 5 5 100% Totale 52 27 12 6 50%

Tabella 7 – Presidente uscente di Cdx

Ciclo Elezioni regionali Maggioranza Precedute da Percentuale uscente Cdx primarie Csx 2005 14 8 1 12,5& 2006-2010 19 5 1 20% 2011-2015 19 12 7 58,3% Totale 52 25 9 36%

Da questa rapida analisi scorporata emerge, in maniera un po’ sorprendente, come il centrosinistra abbia utilizzato le primarie come strumento di selezione dei suoi candidati in misura maggiore in quelle Regioni dove doveva difendere la precedente vittoria (se non addirittura una tradizione consolidata), ma non intendeva – spesso per la regola interna che vieta un terzo mandato – o non poteva (di solito per dimissioni seguite a scandali giudiziari) ricandidare il/la presidente uscente. Solo al secondo posto troviamo invece le Regioni detenute dal centrodestra, quelle in cui teoricamente ci si sarebbe aspettati un maggior ricorso, da parte del centrosinistra, al tentativo di mobilitare, attraverso il «popolo delle primarie13» il maggior numero di forze sociali possibili per cercare di creare un consenso tale da poter superare i limiti che avevano portato alla sconfitta nella tornata elettorale precedente. In fondo a questa speciale classifica troviamo infine, com’era prevedibile, le Regioni con presidente incumbent di centrosinistra, che appena in 2 occasioni su 15 (pari al 13,3%14) sono stati costretti ad affrontare alcuni esponenti della propria coalizione – tra l’altro battendoli in entrambi i casi – per riconquistare la nomination del centrosinistra alle elezioni generali e quindi il diritto di difendere la propria presidenza dagli avversari politici veri e propri. La sfida preliminare interna contro i propri stessi incumbent è una prassi comunemente accettata (anche se con differenze notevoli a seconda del tipo di elezione) negli Stati Uniti15, terra d’origine e

12 Compresa la primaria Marche 2015, dove il ‘governatore’ uscente, , si è ricandidato ma non più con il centrosinistra. 13 Vedi Glossario (C&LS 2015 : 53). 14 Una percentuale appena inferiore, l’11,1% si è registrata invece dal 2008 al 2014 a livello comunale, con 81 sindaci di centrosinistra su 729 che hanno dovuto affrontare le primarie (vinte in 51 casi e perse nei restanti 30) per cercare di ottenere la ricandidatura da parte del proprio schieramento. 15 E’ infatti raro che un Presidente in carica debba affrontare avversari interni per ottenere la nomination all’unica ricandidatura, che la costituzione federale gli consentirebbe (l’ultima volta accadde nel 1980 con il democratico Jimmy Carter, che riuscì a respingere l’attacco di Ted Kennedy ma poi fu sconfitto alle elezioni generali dal repubblicano Ronald Reagan). Il fenomeno è invece più diffuso tra i governatori e tra i membri del Congresso federale e delle legislature statali (grazie all’uso generalizzato a tutti i livelli del collegio uninominale). Ma, anche in caso di ricandidatura uncontested, vengono in ogni caso effettuate delle primarie di partito dal risultato scontato, per legittimare e ufficializzare la nomination.

5 tuttora di massimo utilizzo delle primarie. In Italia invece è stata introdotta solo recentemente dall’articolo 18.5 dello statuto del Partito democratico.

e) Il formato delle primarie regionali

Un ultimo sguardo al formato delle primarie regionali: a parte tre casi di maggiore affollamento, quasi tutte hanno visto scendere in campo solamente due o tre candidati. Il formato di gran lunga prevalente – grazie soprattutto alle regole “antiframmentazione” stabilite dal Pd – è quello con tre candidati, utilizzato nel 52,9% dei casi:

Tabella 8 – Il formato delle primarie regionali

Candidati/primarie 2 3 4 5 Totale regionali Valore assoluto 5 9 1 2 17 % 29,4% 52,9% 5,9% 11,8% 100%

6 1. Le Marche alla fine del secondo mandato di Gian Mario Spacca

1.1. Analisi delle caratteristiche politiche (e partitiche) del contesto regionale marchigiano

1.1.1 - Un centrosinistra imbattuto da vent’anni

Anche se durante la ‘Prima Repubblica’ le Marche non facevano strettamente parte delle “regioni rosse”16, lo diventano di fatto a partire dal 1995, in virtù di due novità politicamente molto rilevanti: a) la recente dissoluzione del sistema dei partiti nati nel dopoguerra, e in particolare della Democrazia cristiana, a lungo egemone nelle Marche; b) l’introduzione dell’elezione diretta17 del presidente della Regione, dotato di una sua maggioranza in Consiglio regionale18. Da allora il centrosinistra marchigiano – che nel tempo si è allargato al centro, anche a costo di rinunciare a una parte della sinistra più radicale – ha saputo formare una coalizione politico-sociale che a livello regionale è tuttora imbattuta, con cinque vittorie in altrettante elezioni.

Tabella 9 – Risultati elezioni Regione Marche 1995-2015

1995 2000 2005 2010 2015 Candidato Csx Vito Vito Gian Mario Gian Mario Luca (voti/%) D’Ambrosio D’Ambrosio Spacca Spacca Ceriscioli 486.631 429.288 499.381 409.823 251.050 (41,07%) (51,56%) (49,92%) (57,76%) (53,17%) Miglior perdente Stefano Maurizio Francesco Erminio Giovanni (area politica, Bastianoni Bertucci Massi Marinelli Maggi voti/%) (Cdx) (Cdx) (Cdx) (Cdx) (Mov. 5 Stelle) 367.030 380.116 333.181 306.075 133.178 (21,78%) (38,89%) (44,20%) (38,54%) (39,71%) Margine elettorale19 12,67 5,72 19,22 13,46 19,29

1.1.2 - La giravolta del “governatore” (che) Spacca l’opposizione

Abbiamo visto nell’Introduzione come a livello regionale il centrosinistra tenda ad organizzare più frequentemente primarie per la scelta del proprio candidato presidente nei casi in cui deve difendere la vittoria nelle precedenti elezioni ma senza voler o poter schierare direttamente il “governatore” uscente. Un caso particolare di incumbency si è invece verificato quest'anno nelle Marche. Dopo essersi visto rifiutare dal

16 Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, governate – spesso con percentuali “bulgare”, soprattutto in Comuni e Province, dove il dominio era iniziato già nel dopoguerra – dal Partito comunista italiano (Pci). 17 Anche se formalmente ciò avverrà soltanto a partire dal 2000, dopo la riforma costituzionale operata dalla legge cost. 1/1999. Nelle elezioni del 1995 gli elettori potevano soltanto «indicare» il proprio candidato preferito (il cui nome era scritto sulla scheda elettorale), che in caso di vittoria sarebbe poi stato formalmente eletto durante la prima seduta del nuovo Consiglio regionale. 18 Garantita dalla legge 43/1995, meglio conosciuta come “legge Tatarella” o Tatarellum, parafrasando la nota definizione del prof. Giovanni Sartori circa la legge elettorale nazionale allora in voga. 19 Indicatore che misura la differenza in percentuale fra il vincitore ed il secondo classificato. A livello nazionale il valore più basso è stato finora il 9,3 a vantaggio di su nelle primarie 2012 e quello più alto lo stratosferico 62,9 inferto nel 2007 da Walter Veltroni a Rosy Bindi nell’elezione diretta del primo segretario del Pd.

7 Pd una nuova candidatura – in base alla regola interna relativa al divieto di terzo mandato – il presidente in carica Gian Mario Spacca20 ha infatti lasciato la coalizione di centrosinistra e si è appellato direttamente agli elettori, proponendosi alla guida di una coalizione centrista guidata dalla sua lista civica “” e appoggiata anche da e da una parte del mondo cattolico. Alla prova dei fatti, però, tale “giravolta” non ha danneggiato il centrosinistra – che come vedremo tra poco ha risolto i suoi contrasti interni ricorrendo alle primarie – e ha invece frantumato il centrodestra: Fratelli d'Italia e Lega Nord hanno rifiutato di appoggiare un candidato a cui avevano fatto opposizione in Consiglio regionale negli ultimi dieci anni e ne hanno presentato un altro, Francesco Acquaroli.

1.1.3 - Le origini del divorzio tra Spacca e il centrosinistra

La frattura tra Gian Mario Spacca e la coalizione di centrosinistra ha però radici lontane: a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 il “governatore” in carica e il presidente del Consiglio regionale Vittoriano Solazzi – entrambi con un passato politico nelle fila della Margherita e prima ancora nella Democrazia cristiana – escono dal Partito democratico e fondano l'associazione politico-culturale “Marche 2020”. Spacca – che pure assicurava che la sua nuova iniziativa politica non sarebbe mai diventata un partito – riteneva strategico costituire, insieme ad un gruppo di fuoriusciti dal Pd (tra cui Solazzi21), una lista civica che lo rappresentasse e che potesse assumere la leadership dello schieramento di centrosinistra, bypassando quindi il principale ostacolo alla sua ricandidatura: la regola interna che nega un terzo mandato ai presidenti di Regione e che aveva già aperto nel partito la lotta per la successione. Spacca sperava quindi, con l’appoggio del Pd nazionale, di potersi offrire anche nel 2015 come sintesi aggregante delle varie anime della coalizione di centrosinistra. Lo scenario cambia radicalmente in seguito al grande successo del Pd alle elezioni europee del 2014, quando ottiene il 45,5% e torna ad essere il primo partito della regione, doppiando il Movimento 5 stelle che scende al 24,5%.22 A fronte di tali risultati, diventa quindi evidente l’impossibilità per il Pd di cedere il candidato presidente alla Regione alla nuova formazione centrista di Spacca, che non potrebbe quindi nemmeno aspirare a una delega “da esterno”. In questo contesto Marche 2020 matura pertanto l’idea di sganciarsi definitivamente dalla coalizione di centrosinistra e di allearsi con il centrodestra. A troncare definitivamente ogni speranza del “governatore” in carica di poter in ogni caso strappare in extremis una eventuale ricandidatura alla guida del centrosinistra arriva poi all’inizio del 2015 l’inchiesta della Procura di sulle “spese pazze” (cioè non inerenti all'attività dei gruppi o non documentate) contestate a molti consiglieri regionali fra il 2008 e il 2012: a cavallo quindi dei due mandati di Spacca alla presidenza della Regione. Tra i 66 indagati per reati, che vanno dal concorso in peculato alla truffa nell’utilizzo dei fondi destinati ai gruppi consiliari, ci sono anche Spacca e Solazzi. In particolare il “governatore”, nella sua qualità

20 Eletto per la prima volta nel 2005 e riconfermato nel 2010. In precedenza era stato vicepresidente della regione (2000- 2005) e prima ancora assessore alle attività produttive. Esponente dell'area cattolica moderata del centrosinistra, ne ha seguito le evoluzioni politiche aderendo prima alla Margherita (2001) poi al PD (2007). 21 Solazzi inizia la sua carriera politica nel 1995 con i Popolari, per i quali nel 2001 diventa sindaco di Mondolfo (PU). Successivamente aderisce con tutto il partito alla Margherita e assume un ruolo di primo piano nel gruppo provinciale, finché nel 2007 viene eletto coordinatore regionale per le Marche. 22 Alle elezioni politiche del 2013, infatti, nel voto delle Marche per la Camera di deputati il centrosinistra era stato clamorosamente battuto dal Movimento 5 stelle, anche come coalizione: 32,1% contro 31,1% (il solo Pd si era fermato al 27,7%). A livello nazionale (e nel voto marchigiano per il Senato) ciò era avvenuto solamente nel confronto diretto M5S- Pd, senza contare l’apporto degli alleati Sel e Centro democratico.

8 di presidente del monogruppo ‘L’Unione per le Marche’ deve rispondere dell’utilizzo di 15.445,23 euro utilizzati per spese postali, di redazione, di stampa e diffusione manifesti, nonché di ristorazione. In totale le spese contestate ammontano a 1,2 milioni di euro: va da sé come lo scandalo abbia influito molto negativamente sull’immagine della classe politica marchigiana, con 61 consiglieri ed ex consiglieri indagati23, di cui 23 che hanno svolto la funzione di capogruppo. In risposta a questo diffuso malaffare, nasce all’interno del Pd marchigiano la necessità di dare un forte segnale di cambiamento rispetto alla classe dirigente che ha governato la Regione nel decennio precedente. Inizia così la faticosa ricerca di un nuovo candidato alla presidenza.

1.2. Analisi dell’introduzione delle primarie nella regione. Il Pd alla ricerca di un candidato

1.2.1 - La travagliata elezione di Francesco Comi a segretario regionale

A questo punto è necessario fare un passo indietro e tornare al febbraio del 2014, quando gli elettori marchigiani del Pd sono stati chiamati a scegliere “direttamente” il proprio segretario regionale24. Per la prima volta infatti si preannunciava un congresso dall'esito non scontato, all'interno del quale la tradizionale suddivisione in correnti si intrecciava con le divisioni politiche tra le province. Inizialmente lo scontro sembrava profilarsi tra Francesco Comi, consigliere regionale renziano25 e Valerio Lucciarini, sindaco di Offida (AP): entrambi provenienti dalla scuola Pci-Pds-Ds ed entrambi contrari ad una terza candidatura di Spacca. A sostegno della candidatura di Lucciarini c'era una parte del Pd pesarese, con il sindaco Luca Ceriscioli e il suo futuro successore Matteo Ricci, ed una parte del sud delle Marche con i parlamentari Paolo Petrini e Luciano Agostini. Alla fine però l’inedita alleanza “nord-sud”26 non trova l’accordo su Lucciarini, a cui viene preferito proprio Ceriscioli. La candidatura dell’allora sindaco uscente di Pesaro – in scadenza di secondo mandato a maggio – è però rigettata dalla commissione nazionale del Pd proprio in quanto Ceriscioli è ancora formalmente in carica e quindi incompatibile in base allo statuto del partito27. A contendersi l’elezione “diretta” a segretario regionale del Pd Marche rimangono pertanto soltanto Francesco Comi e Luca Fioretti, sindaco di Monsano (AN), che si presenta per l'area Civati. Ma il “caso Ceriscioli” aveva lacerato profondamente il partito: a sostegno della sua candidatura si era schierato parte dell’establishment politico regionale, compresi i segretari delle federazioni di Pesaro e Ascoli, insieme ad alcuni parlamentari del Pd (Fabbri, Agostini e Lodolini). Il risultato è una partecipazione bassissima: ai gazebo si recano infatti appena 11.983 persone, addirittura meno dei 12.632 iscritti al partito. Il dato risalta ancora di più se lo si confronta con i 93.126 marchigiani che l’8

23 A cui vanno aggiunti cinque funzionari del Consiglio regionale addetti alla rendicontazione dei gruppi. 24 A differenza di quanto accadde con Pier Luigi Bersani nel 2009, infatti, l’elezione di Matteo Renzi a segretario nazionale del Pd non è stata accompagnata anche dal contestuale rinnovo dei 21 segretari e delle 21 assemblee regionali (Trento e Bolzano hanno organismi separati), che è avvenuto pochi mesi dopo. 25 Originario di Tolentino (MC), dove entra in Consiglio comunale a metà degli anni ’90, diventa prima segretario della Sinistra giovanile nella provincia di Macerata e poi segretario locale del Pds-Ds. Nel 2004 entra in Consiglio regionale grazie a un subentro e viene poi riconfermato nel 2005 e nel 2010. In aula viene eletto prima vicepresidente del Consiglio regionale (2009-2010) e poi presidente della commissione Sanità (2010-2015). Nel 2012 perde le elezioni comunali a sindaco di Tolentino, che passa al centrodestra, ma in base alla legge ottiene la rielezione automatica in Consiglio comunale. Nel 2015 il Pd, in base alla regola interna del divieto di terzo mandato, non lo ricandida in Consiglio regionale. 26 I primi due presidenti eletti (o provvisoriamente soltanto “indicati”, come abbiamo già visto) direttamente dai cittadini provenivano infatti da Ancona e provincia: Vito D’Ambrosio (1995-2005), magistrato abruzzese che però ha svolto la maggior parte della sua carriera nel capoluogo delle Marche, e Gian Mario Spacca (2005-2005), di Fabriano. 27 La commissione nazionale del Pd non ha però applicato la stessa norma a , sindaco di anche lui in scadenza di mandato nella stessa data, a cui fu consentito di candidarsi a segretario regionale del Pd Puglia. Forte di questa incongruenza Ceriscioli ha tentato inutilmente di fare ricorso, inizialmente accolto dalla commissione elettorale regionale - che aveva sospeso la convocazione delle primarie, di cui erano già stati fissati data e regolamento – ma poi respinto a livello nazionale.

9 dicembre 2013 avevano partecipato all’elezione diretta del segretario nazionale Matteo Renzi, e con i 9.501 selettori alle ultime primarie chiuse (riservate agli iscritti) organizzate dal Pd Marche per scegliere i suoi cinque segretari provinciali. A urne aperte, come previsto, Comi ottiene una facile vittoria, con 9.004 voti (il 77,16%) rispetto ai 2.666 voti (22,84%) di Fioretti.

1.2.2 - Il tentativo di ricucire lo strappo: verso le primarie per il candidato presidente

Per evitare l’ipotesi di un nuovo congresso, ventilata dallo schieramento a favore di Ceriscioli – maggioritario nel Pd marchigiano – e soprattutto per cercare di evitare le tradizionali primarie aperte di coalizione, il nuovo segretario regionale propone, senza successo, di affidare la scelta di un ticket candidato presidente del centrosinistra e “candidato” vicepresidente ad una convenzione28 di dirigenti del partito e membri dell’Assemblea regionale, i quali avrebbero potuto indicare liberamente i propri favoriti, senza candidature né campagna elettorale (write-in ballot). L’insolita proposta scatena un vero e proprio putiferio, soprattutto nella componente Ceriscioli, che accusa Comi di comportamento non neutrale29. Al fine di ricompattare il partito marchigiano prova ad intervenire anche il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini, ma nonostante questo la segreteria regionale continua ad essere orientata verso la ricerca di una doppia candidatura, presidente e vice, «che potesse esprimere competenza, esperienza e rinnovamento». A scalfire la sua resistenza arriva a gennaio 2015 il manifesto “Primarie adesso” del Pd cittadino di Ancona – un’iniziativa pubblica guidata dallo stesso sindaco Valeria Mancinelli – che accusa Comi di voler escludere gli elettori da una selezione così importante. Le primarie vengono considerate dai cento illustri firmatari non solo un importantissimo strumento democratico di partecipazione, ma anche una possibilità pratica di superare il periodo di impasse politica che durava già da alcuni mesi. Alla fine, data l’impossibilità di giungere ad una candidatura unitaria – nel frattempo erano tramontate sia l’ipotesi della senatrice Camilla Fabbri (proposta in ticket con Comi), sia quella dello stesso Comi che quella dell'ex assessore al Bilancio Pietro Marcolini – la direzione regionale decide di organizzare primarie di coalizione per individuare il candidato presidente alle ormai incombenti elezioni regionali.

28 Sulla falsariga del precedente di Agazio Loiero in Calabria nel 2005, scelto come candidato presidente del centrosinistra da una Convenzione che però era stata aperta anche alle associazioni, oltre che ai grandi elettori di partito. 29 In una dichiarazione firmata anche da Lucciarini, il grande escluso del 2014 scrive «Nel panorama politico nazionale non esistono consultazioni con seggi per le votazioni ma queste, in quanto tali, sono delle modalità di confronto fatte proprio per evitare che si arrivi ad un voto».

10 2) Le primarie open chair marchigiane: un successo di partecipazione per il centrosinistra

2.1. Analisi del caso: le primarie (tardive) del 1° marzo

2.1.1 - Le Marche, terra di primarie

Pur essendo stati chiamati per la prima volta al voto per una primaria regionale, il 1° marzo 2015 i selettori marchigiani di centrosinistra non potevano certo dirsi inesperti del loro meccanismo. A livello nazionale c’erano già stati due precedenti in senso proprio (2005 e 2012) e ben tre “elezioni dirette del segretario e dell’Assemblea nazionale del Pd” (2007, 2009 e 2013): diverse concettualmente, ma svolte alla stessa maniera. Senza contare che nel 2007 e nel 2009 si votò contestualmente anche per “eleggere direttamente il segretario e l’Assemblea regionale”. A livello provinciale e comunale, poi, fin dalla sua fondazione30 il Pd – spesso insieme agli alleati di centrosinistra – ha organizzato numerose primarie locali, in tutte e cinque le province. Il censimento di Candidate & Leader Selection (2015) annovera infatti 4 primarie provinciali (Ancona 2007, Ascoli 2008 e Fermo, sia 2008 che 200931) e 37 primarie comunali32. Tra queste spiccano le tre consultazioni di Ancona (2006, 2009 e 2013), le due di Ascoli Piceno (2008 e 2014) e Macerata (2010 e 2015) e la prima di Pesaro (2014). Tra i 24 comuni marchigiani sopra i 15.000 abitanti, fino ad oggi il centrosinistra non ha mai selezionato i propri candidati a sindaco mediante primarie soltanto a Fermo (unico capoluogo di provincia), Porto Sant’Elpidio (FM), Castelfidardo (AN), Sant’Elpidio a Mare (FM), Grottammare (AP), Corridonia (MC) e Vallefoglia (PU).

2.1.2 - I tre candidati

Pur avendo le Marche una tradizione moderata – il primo presidente eletto della Regione (D’Ambrosio) era un magistrato indipendente, il secondo (Spacca) un cattolico – alle primarie del 1° marzo 2015 si presentano tre candidati provenienti tutti dall’area della sinistra comunista. I due favoriti – Ceriscioli e Marcolini – appartengono al Pd e provengono dalla componente Pds-Ds, mentre l’outsider Donini si presenta per l’Italia dei Valori, ma la vistosa chioma rosso fuoco e il nome di battaglia Ninel (anagramma bifronte di Lenin) non lasciano spazio a molti dubbi circa la sua formazione politica nel Pci. La presenza di tre candidati pone le Marche perfettamente in linea con la tendenza nazionale, che, come abbiamo visto nell’Introduzione, privilegia questo formato in oltre la metà dei casi.

a) Luca Ceriscioli

Pesarese di 49 anni e laureato in matematica, dal 1991 al 2000 ha insegnato in diversi istituti superiori. Negli anni ’90 è prima segretario comunale del Pds e poi, dal 1995 presidente di Circoscrizione33. Dal 2000 al 2004 è assessore comunale ai Lavori pubblici e dal 2004 al 2014 viene eletto sindaco di Pesaro per due mandati. Alle primarie presenta la sua candidatura come “sindaco delle Marche”, cercando di incarnare una proposta di cambiamento rispetto alla vecchia classe dirigente regionale, tanto più necessaria dopo gli scandali dei rimborsi spese gonfiati ai consiglieri uscenti, anche del Pd. Tre le parole chiave: trasparenza, sobrietà e cambiamento, ma non mancano anche approfondimenti sulla tutela della salute e il lavoro. Durante la

30 Ma in alcuni casi anche prima, organizzate dai Democratici di sinistra (ad esempio, Ancona 2006). 31 La prima ha visto contrapposti due candidati del solo Pd. Il vincitore, Renzo Offidani, ha poi dovuto affrontare, perdendo, i candidati del resto della coalizione. L’insolita formula non ha però danneggiato il centrosinistra dato che il vincitore della “finale”, Fabrizio Cesetti, esponente di sinistra, ha poi trionfato anche alle elezioni generali ed è stato eletto presidente della Provincia di Fermo. 32 A cui, per completezza, bisogna aggiungere l’unica primaria organizzata finora nelle Marche dal centrodestra: a Fabriano nella primavera del 2012, una settimana dopo quella analoga del centrosinistra. 33 Dalla loro istituzione nel 1976 fino alla riforma del 2009-2010 – che le ha drasticamente ridotte, limitandole ai Comuni con popolazione superiore ai 250mila abitanti – le Circoscrizioni di decentramento comunale sono state presenti obbligatoriamente in tutti i capoluoghi di provincia e in modo facoltativo negli altri Comuni sopra i 30mila abitanti.

11 campagna elettorale l’ex sindaco di Pesaro manifesta più volte la sua vicinanza agli enti locali, che troppo spesso hanno percepito la Regione come un ente sostanzialmente distaccato dalle necessità dell’amministrare quotidiano. In testa ai suoi sostenitori troviamo ovviamente il vice presidente nazionale del Pd e nuovo sindaco di Pesaro Matteo Ricci, insieme a una larghissima fetta del partito pesarese, storica roccaforte della sinistra marchigiana. La coalizione che sosteneva Ceriscioli comprendeva poi il sindaco di Ancona Valeria Mancinelli e, in rappresentanza del sud della regione, i parlamentari Paolo Petrini (di Fermo) e Luciano Agostini (di Ascoli).

b) Pietro Marcolini

Maceratese, 62 anni, laureato in scienze politiche e con 35 anni di esperienza al servizio delle Marche, sia come dirigente che come politico-amministratore. La sua carriera politica inizia nel 1980 nel Pci, con la doppia elezione a consigliere regionale (carica che terrà fino al 1990) e comunale a Macerata. Inizia poi una carriera direttiva che lo porterà alla guida di vari dipartimenti regionali. E’ assessore regionale al Bilancio nelle due giunte di Gian Mario Spacca, che nel 2005-2010 gli affida anche i Trasporti e nel 2010-2015 la Cultura. Attualmente insegna Economia politica ed Economia sanitaria all’università di Urbino. I tre temi principali sui quali Marcolini ha impostato la sua campagna elettorale sono stati l’occupazione giovanile, il rilancio del territorio e la sanità, puntando principalmente sulla sua esperienza amministrativa.34 Altri temi significativi del suo programma sono stati la sicurezza urbana – concepita come un bene pubblico da tutelare contrastando la criminalità – il valore della sostenibilità e della qualità della vita. Marcolini era appoggiato dal vicepresidente della Regione Antonio Canzian, con gli assessori Marco Luchetti, Almerino Mezzolani e il consigliere Gianluca Busilacchi. A livello nazionale era sostenuto anche dai parlamentari Alessia Morani, Irene Manzi, Mario Morgoni e Piergiorgio Carrescia. Con Marcolini anche esponenti della corrente Area dem35 oltre che del mondo della cultura e dell'economia. La forza della sua candidatura risiedeva dunque nella sua autorevolezza, competenza, esperienza e affidabilità, che il superassessore contrapponeva al mantra del cambiamento proposto dal collega di partito Ceriscioli.

c) Ninel Donini

Completa la terna dei candidati l’unica donna: la 67enne psicologa di Cagli (PU) Ninel Donini, ex insegnante di lettere e responsabile regionale per l’organizzazione dell’Italia dei Valori, ultimo approdo di una lunga esperienza politica e amministrativa. Consigliere provinciale per il Pci dal 1975 al 1990, dal 1978 al 1980 è stata anche assessore provinciale alla Sanità. Dal 1995 al 2000 è stata consigliere regionale per il Pds-Ds. Temi forti della sua campagna il lavoro, la formazione e le nuove povertà, con una forte attenzione alle politiche di genere: in particolare la legge 19436 – a suo dire in gran parte inattuata, a cominciare dalla scarse risorse destinati ai consultori – e la legge elettorale regionale, nella quale non è stata introdotta la “doppia preferenza di genere”. Alle primarie otterrà un risultato insignificante37, a sottolineare come la competizione fosse fondamentalmente interna al Pd, poi si candiderà alle elezioni regionali alla testa della lista civica Uniti per le Marche (ambientalisti e riformisti), ma non sarà eletta.

34 Durante il mandato da assessore si è impegnato particolarmente per garantire la tenuta dei conti pubblici della Regione, e in particolare l’equilibrio finanziario della sanità marchigiana: due ambiti nei quali le Marche hanno mantenuto negli ultimi anni una notevole stabilità, a differenza di molte altre Regioni.

35 Quella che ha come punto di riferimento nazionale il ministro (ed ex segretario nazionale “supplente”) Dario Fransceschini. 36 Con la legge 194/1978 lo Stato, le Regioni e gli enti locali sono impegnati a garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile: la legge prevede le norme per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria di gravidanza. L’interesse verso la legge 194 nasceva dalla tendenza negli ultimi anni ad una maggiore obiezione di coscienza da parte del personale sanitario regionale. 37 Cfr. infra, par. 2.3.1.

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2.2. Inclusività del selettorato e partecipazione

2.1.2 - Le regole

Le primarie, semi-aperte e di coalizione, sono state convocate per domenica 1° marzo, dalle 8 alle 22, e si sono svolte a turno unico, quindi senza bisogno di una soglia minima per essere proclamato vincitore. Il loro Regolamento (Pd Marche ed altri, 2015) è stato condiviso dal Partito democratico – previa consultazione della propria Assemblea regionale – con gli alleati della coalizione di centrosinistra: Italia dei Valori, Partito Socialista italiano, Federazione dei Verdi, Centro democratico, Partito popolare per l’Italia, Unione dei democratici cristiani e di centro (Udc)38. Come di consueto, si è trattato di un regolamento molto inclusivo, ma che ha comunque distinto le modalità di accesso al voto fra due categorie di selettori: a) i cittadini-elettori italiani «titolari del diritto di voto per le elezioni regionali» potevano presentarsi direttamente al seggio elettorale corrispondente al proprio indirizzo, muniti di documento di identità e tessera elettorale. b) gli italiani minorenni che avessero compiuto 16 anni il giorno delle primarie e gli stranieri39 di almeno 16 anni e dotati di regolare permesso di soggiorno potevano invece essere ammessi anch’essi al voto, ma solamente mediante preregistrazione con alcuni giorni di anticipo (lo hanno fatto complessivamente 671 persone). Ciò ha favorito l’inclusività, ma allo tempo ha svolto una funzione preventiva nei confronti del possibile verificarsi di episodi sospetti, come già visto in alcune primarie – normalmente a livello comunale – nelle regioni del Sud40. Il Regolamento per lo svolgimento delle elezioni primarie Marche 2015 prevedeva l’esclusione dalla partecipazione al voto solamente per coloro che ricoprivano incarichi in partiti o movimenti politici avversi al centrosinistra, o che ne fossero notoriamente esponenti. A tutti gli ammessi a far parte del selettorato è stato poi chiesto di versare un contributo di due euro e, soprattutto, di sottoscrivere il documento “Linee guida del centrosinistra per le Marche” a sostegno della coalizione di centrosinistra, impegnandosi a votarla e a sostenere chiunque avesse vinto la competizione interna. Fermo restando l’accorgimento di imporre l’obbligo di preregistrazione a chiunque – italiano di 16-17 anni o straniero legalmente residente – fosse privo della tessera elettorale, la ratio del regolamento per le primarie marchigiane 2015 del centrosinistra è stata comunque improntata ad una grande apertura e ha prodotto un alto livello di inclusività del selettorato, in media con la tendenza nazionale generale. Da rilevare infine come la possibilità di votare offerta ai ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni, pur risultando alla prova dei fatti abbastanza contenuta quantitativamente, abbia comunque contribuito a ringiovanire il selettorato, che come rilevato nel rapporto C&LS 2015 tende generalmente ad avere un’età

38 Che all’epoca doveva ancora sciogliere il nodo della possibile alleanza-fusione con il Nuovo Centrodestra (Ncd) e intendeva provare a giocarsi la partita delle primarie. A differenza del Pd e degli altri quattro alleati, i due partiti cattolici non hanno comunque fatto parte degli organi collegiali di controllo: il Comitato per le primarie Marche 2015 (composto dai cinque segretari regionali, che hanno poi nominato il Collegio regionale dei garanti), e l’Ufficio tecnico amministrativo regionale (Utar), composto da 5 esponenti del Pd e da uno ciascuno per i quattro partiti minori. 39 Definiti genericamente «migranti», includendo evidentemente in questo termine anche i cittadini di altri stati-membri dell’Unione europea e gli studenti stranieri in Erasmus. 40 In alcuni casi, soprattutto nelle regioni meridionali (celebre il caso di Napoli nel 2011) il risultato delle primarie cittadine è stato contestato e successivamente annullato dagli organismi di controllo dei livelli superiori a causa di forti irregolarità. Molte di queste erano dovute al massiccio (e sospetto) improvviso afflusso in alcune sezioni di “plotoni” di immigrati, per lo più asiatici. Il fenomeno si è però verificato, con minore virulenza, anche ad altre latitudini: per esempio a Roma, nel 2013, ha fatto scalpore la denuncia di una militante del Pd circa il sospetto massiccio afflusso di cittadini dell’est Europa di etnia rom in una sezione del quartiere Trullo durante lo svolgimento delle primarie di coalizione per scegliere i candidati a sindaco e a presidente di Municipio (versione romana della Circoscrizione). Più recentemente, sospetti sono stati avanzati anche dal candidato sconfitto Sergio Cofferati sulla regolarità delle primarie per la Regione Liguria.

13 media leggermente inferiore a quella dell’elettorato del centrosinistra, notoriamente composto in gran parte da persone anziane e adulte. A margine, riportiamo anche le ferree regole di sobrietà imposte ai candidati: «La campagna elettorale dovrà essere impostata secondo criteri di rigore, sobrietà e rendicontazione e il limite massimo di spesa è fissato in venticinquemila euro, inclusa la prestazione di servizi. È, inoltre vietato il ricorso, come forme di pubblicità, a spot tv, redazionali tv, spot radio, manifesti 6×3 e 4×3, pannelli pubblicitari temporanei, manifesti su spazi privati luminosi, pubblicità sui mezzi pubblici di trasporto. Vietata poi ogni forma di propaganda invasiva, lesiva dell’ambiente e del decoro urbano, così come per tutto il periodo antecedente alle primarie è fatto divieto di pubblicare e diffondere sondaggi. È invece ammessa l’affissione in luoghi pubblici di manifesti o locandine diretti a promuovere la candidatura o le iniziative ad essa connesse».

2.1.3 – La partecipazione

Nonostante l'attenzione mediatica nazionale fosse tutta puntata sulle consultazioni in Campania41, che si sono svolte lo stesso giorno42, la partecipazione al voto è stata eccezionalmente elevata. In una regione di 1,5 milioni di abitanti si sono infatti recati ai seggi oltre 40mila selettori – il doppio delle previsioni della vigilia – e le primarie si sono svolte ovunque in un clima di grande correttezza, con pochissime contestazioni (solo ad Ascoli Piceno un paio di noti sostenitori di liste del centrodestra sono stati allontanati dai seggi) nonostante i comitati elettorali si siano mobilitati fino all'ultimo minuto per tentare di convincere gli indecisi. Vedremo più avanti però (cfr. par 3.2.1), come nonostante il grande successo di partecipazione alle primarie per il centrosinistra, alle successive elezioni generali – che pure sono state vinte dallo schieramento progressista – non abbia fatto seguito una grande affluenza ai seggi, calata addirittura per la prima volta sotto al 50%. Dal momento che, a differenza di quanto avviene per le elezioni generali, per le primarie non esiste un elenco degli aventi diritto al voto complessivi e di conseguenza non è possibile calcolare esattamente il tasso di affluenza “ai gazebo”, è prassi consolidata stimarne la partecipazione – che per l’appunto esprime un concetto diverso – mettendo a confronto il numero dei selettori con quello dei voti raccolti successivamente alle elezioni generali dal candidato presidente risultato vincitore. Nella fattispecie, nella scorsa primavera il candidato presidente del centrosinistra per la Regione Marche, Luca Ceriscioli, ha raccolto 251.050 voti, dopo essere stato scelto da 43.596 selettori complessivi43, con un tasso di partecipazione44 pari al 17,4 (C&LS 2015 : 33). Come sempre, il margine di indeterminazione è dato anche dal fatto che non è ovviamente possibile sapere quanti di quei 43mila – in particolare i sostenitori dei due candidati sconfitti – si siano poi dimostrati selettori fedeli45 e abbiano effettivamente rispettato l’impegno preventivo di votare per Ceriscioli alle elezioni generali. La partecipazione non è stata uniforme nelle cinque province: in valori assoluti il dato maggiore si è riscontrato a Pesaro-Urbino – che aveva ben due candidati in gara46 – con 12.242 votanti. Seguono l’“alleata” di Ceriscioli Ascoli Piceno (9.436) e Macerata – terra d’origine di Marcolini – con 9.371. Probabilmente a causa della mancanza di un proprio candidato la partecipazione è stata invece sorprendentemente bassa (appena 8.744 persone) nel capoluogo regionale, Ancona, che precede soltanto la piccola Fermo (3.803). Analizzando però il tasso di partecipazione per provincia (tabella 10) si vede come la performance più alta sia stata raggiunta ad Ascoli Piceno, che pure non aveva un proprio candidato, con un sorprendente 28,6%.

41 Vinte dal sindaco decaduto di , del Pd, nonostante le polemiche – prima e dopo il voto – legate alla sua possibile sospensione automatica in caso di vittoria alle elezioni generali a causa di una condanna penale in primo grado per abuso d’ufficio, come previsto dal d.lgs. 235/2012, attuativo della specifica delega conferita al Governo dalla “legge Severino” (legge 190/2012). 42 E’ probabile che la scarsa visibilità mediatica sia stata una delle cause principali che ha limitato a 671 il numero dei preregistrati in tutta la regione. 43 Tale cifra, lo ripetiamo per chiarezza, comprende tutti coloro che si sono recati ai gazebo il 1° marzo 2015, sia che abbiano votato per Ceriscioli, per Marcolini, per la Donini ovvero che abbiano inserito una scheda bianca o nulla. 44 Rapporto tra il numero dei selettori che hanno partecipato complessivamente alle primarie e quello dei voti raccolti dal vincitore in qualità di candidato presidente alle successive elezioni generali. 45 Il comportamento opposto è tipico del selettore defezionista, disposto a votare per il candidato di uno schieramento solo se sarà il proprio favorito a vincere le primarie (C&LS 2015 : 54). 46 Anche se, come vedremo, la partecipazione di Ninel Donini è stata poco più che simbolica.

14 Seguono, quasi appaiate, le due province più coinvolte direttamente: Macerata (20,4%) e Pesaro (19,4%). Molto distaccate Fermo (13,9%) e soprattutto Ancona con un modestissimo 10,7%, anche se poi alle elezioni generali, con i suoi oltre 80mila voti, la provincia del capoluogo contribuirà da sola per un terzo all’elezione di Luca Ceriscioli a presidente della Regione Marche.

Tabella 10 – Tasso di partecipazione alle primarie Marche 2015

Ancona Pesaro Macerata Ascoli Fermo Totale e Urbino Piceno Marche Votanti alle 8.744 12.242 9.371 9.436 3.803 43.596 primarie Voti Ceriscioli 81.624 63.034 46.014 33.004 27.374 251.050 alle elezioni generali Tasso di 10,7% 19,4% 20,4% 28,6% 13,9% 17,4% partecipazione

Il boom della partecipazione ad Ascoli può essere forse spiegato con la tradizionale grande capacità di mobilitazione in quella provincia del Pd e dei partiti che lo hanno preceduto: il deciso sostegno dei leader locali a Ceriscioli avrebbe così favorito un maggior afflusso ai gazebo (anche se ad urne aperte si vedrà che la scelta dei vertici è stata condivisa solo da poco più della metà della base, una parte della quale forse è andata a votare proprio per contestarla). La performance di Macerata, invece, è probabilmente dovuta a due fattori: in primis all’essere il bacino elettorale di Marcolini, ma anche all’election day che ha accorpato le primarie regionali a quelle per il candidato sindaco del capoluogo. Mobilitazione del Pd provinciale ancora più efficace nella Pesaro di Ceriscioli, dove non si svolgevano altre competizioni. Del resto, nella provincia più settentrionale delle Marche le primarie, e poi le elezioni, del 2015 sono state considerate un’occasione di riscatto dopo decenni di frustrazione, durante i quali la “rossa” Pesaro è stata considerata quasi un pezzo di Romagna fuori confine da una politica regionale a lungo moderata e poi – anche dopo la svolta degli anni ’90 – dominata comunque, come abbiamo già visto, dal “centralismo anconetano” delle giunte D’Ambrosio e Spacca. Quanto all’atarassia dimostrata dagli anconetani di centrosinistra, possiamo ipotizzare che la loro scarsa partecipazione alle primarie sia stata dovuta ad una divisione interna al Pd tra sostenitori e avversari del sindaco Valeria Mancinelli (che fin dall’inizio ha appoggiato Ceriscioli), ma soprattutto alla mancanza di interesse per due candidati – per non parlare dell’outsider Donini – considerati ambedue lontani dalla realtà politica della provincia capoluogo, che quindi non ha ritenuto importante esprimere una sua preferenza. Ciò sembrerebbe confermato dagli scarsi investimenti in comunicazione fatti dal Pd locale, e ancor di più dal fatto che, come vedremo nel paragrafo 3, alle elezioni generali Ancona si dimostrerà invece la provincia con la maggiore partecipazione al voto. In sostanza, l’insediamento locale dei candidati ha influito positivamente – a Pesaro (e “per procura” anche ad Ascoli) per Ceriscioli e a Macerata per Marcolini – facendo contare molto il fattore personale, ovvero la capacità dei singoli candidati di mobilitare il voto dei cittadini. Nel processo di personalizzazione della politica, già in atto da tempo, la personalità del leader riesce quindi a mobilitare i propri sostenitori e a definire le scelte di voto degli elettori (Calise, 2010). Del resto, è già stato dimostrato da tempo come una maggiore competitività tra i candidati possa contribuire ad alzare i livelli di partecipazione (Baldini e Pappalardo, 2004): ciò vale per i selettori ancora di più che per gli elettori.

2.3. Risultati e analisi della competitività

2.3.1 – L’alleanza fra il nord e il sud delle Marche consegna la vittoria a Ceriscioli

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La sfida è stata molto combattuta ed è stata vinta di stretta misura dal democratico Luca Ceriscioli con 22.761 voti, pari al 52,53%. Al secondo posto l’altro esponente del Pd Pietro Marcolini (19.984 voti, che corrispondono al 46,11%), mentre è arrivata staccatissima la candidata dell’Idv Ninel Donini, ferma all’1,53% con appena 589 voti. Il vincitore ha quindi ottenuto la maggioranza assoluta, come è successo finora in tutte le altre primarie regionali che si sono svolte con meno di quattro candidati47. Ceriscioli ha prevalso di stretta misura nelle province del sud (Ascoli Piceno e Fermo), ma ha costruito il successo soprattutto nella sua Pesaro, dove ha inferto a Marcolini un distacco di oltre 5.500 voti. L’assessore uscente ha potuto recuperarne solo la metà vincendo ad Ancona48 e, con un margine più ampio, nel proprio bacino elettorale di riferimento, Macerata49.

Tabella 11 – Risultati elezioni primarie Marche 2015

Candidati Ancona Pesaro Macerata Ascoli Fermo e Urbino Piceno Luca Ceriscioli 3.872 8.796 3.121 5.041 1.931

Pietro Marcolini 4.660 3.157 6.069 4.295 1.803 Ninel Donini 169 223 110 44 43 Vantaggio voti +5.639 +746 +848 (% win Ceriscioli) (win 71,87%) (win 53,74%) (win 51,13%) Vantaggio voti +788 +2.948 (% win Marcolini) (win 53,57%) (win 65,26%)

L’alleanza nord-sud a favore di Ceriscioli, nata già nel 2014 quanto l’allora sindaco di Pesaro aveva tentato senza fortuna di conquistare la segreteria regionale, si è quindi concretizzata un anno più tardi incoronandolo candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Marche.

2.3.2 – Analisi della competitività

Se, come abbiamo visto, stabilire il tasso di partecipazione di una primaria presenta il problema di come identificare il denominatore, cercare di stabilirne il tasso di competitività è ancora meno intuitivo. In mancanza di una formula univocamente accettata, esistono vari indici, che tengono in considerazione diversi parametri, come il numero dei candidati, il numero dei candidati effettivi, calcolato secondo l’indice di Laakso e Taagepera (Laakso-Taagepera, 1979), la distanza in voti e così via. Per semplicità, in questo paper esamineremo solo i due indicatori più utilizzati: il già citato margine elettorale e l’indice di competitività di Kenig (Kenig 2008), mettendo a confronto il dato della primaria marchigiana dello scorso marzo con la media di tutte le 17 primarie regionali svolte finora dal centrosinistra. Abbiamo già visto nel paragrafo 2.3.1 come la competizione si sia svolta de facto tra i soli due esponenti del Partito democratico e che il distacco tra di loro, anche se netto, sia stato piuttosto contenuto (52,5% contro 46,1%): questo ci dà un margine elettorale di 6,4. Si tratta di un valore molto basso, il terzo più basso in undici anni di primarie regionali50 (C&LS 2015 : 35).

47 Al contrario, questo non è mai accaduto nelle tre primarie regionali che si sono svolte con 4 o 5 candidati, dove si è verificato un evidente effetto dispersione: Molise 2011, Basilicata 2013 e Sardegna 2013. 48 Marcolini vince nel capoluogo, a Fabriano (la cittadina di cui è originario Gian Mario Spacca) e a Jesi. Tra i centri importanti, Ceriscioli arriva primo solo a Senigallia. 49 Nonostante la “quinta colonna” pro-Ceriscioli organizzata dall’ex assessore alle Attività economiche Sara Giannini, nella sua provincia Marcolini ha potuto contare infatti fin da subito sull’appoggio del segretario regionale Francesco Comi e di tutti gli assessori uscenti (in particolare Canzian e Lucchetti). 50 Tra le 17 primarie regionali svoltesi finora il record – difficilmente battibile – del margine elettorale più stretto fra vincitore e miglior perdente spetta allo 0,7 (45,3% contro 44,6%) del successo di in Basilicata nel 2013. Al

16 Non si cada però nell’errore di considerare di per sé tale valore sufficiente a farci considerare altamente competitive le primarie regionali marchigiane: il più complesso indice di Kenig51 ci dà infatti come risultato 0,68: un valore elevato, ma sotto la media delle 17 primarie regionali, che è pari invece a 0,76 (C&LS 2015 : 35- 36).

Tabella 12 – Indici di competitività primarie Marche 2015

Margine elettorale Indice di Kenig Marche 2015 6,4 0,68 Media primarie regionali 19,4 0,76

secondo posto il 2,2 dell’ormai storico primo confronto in Puglia tra Nichi Vendola (51,1%) e Francesco Boccia (48,9%) nel 2005. All’estremo opposto troviamo invece il 37,1 fatto registrare in Veneto alla fine del 2014 da Alessandra Moretti (66,4% contro 29,3%). 51 L’indice di competitività di Kenig (che varia tra 0 e 1) si ottiene dividendo il numero effettivo dei candidati – calcolato in base ai parametri di Laakso e Taagepera – per il numero dei candidati in gara.

17 3. L’impatto delle primarie sulle elezioni regionali

3.1. Verso il voto di maggio

3.1.1 – Cinque candidati, un solo presidente

Alle elezioni regionali del 31 maggio 2015 si sfidano ben cinque candidati: Luca Ceriscioli, vincitore delle primarie della coalizione di centrosinistra (appoggiato da Pd, ‘Uniti per le Marche’52 e Popolari Marche-Udc); il presidente uscente Gian Mario Spacca (che stavolta corre per Forza Italia, Marche 2020-Area popolare53 e una coppia di liste ‘Democrazia cristiana’); il candidato del Movimento Cinque stelle Giovanni Maggi (detto Gianni e selezionato, come sempre, mediante una votazione in rete riservata agli iscritti senior); l’outsider di centrodestra Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia ma appoggiato anche dalla Lega Nord; e infine Edoardo Mentrasti, già coordinatore di Sel, che si presenta per il cartello ‘Altre Marche-sinistra unita’54. A livello territoriale, la provincia più rappresentata è quella di Ancona, con ben tre candidati: Spacca è di Fabriano, mentre Maggi e Mentrasti vengono dal capoluogo. Ceriscioli, come abbiamo già detto, viene da Pesaro, mentre l’ultimo candidato, Acquaroli è (dal 2014) sindaco di Picena (MC). Il sud della regione (Ascoli Piceno e Fermo) non ha invece espresso alcun candidato, nemmeno di bandiera55.

3.1.2 – I temi della campagna elettorale

La spinta propulsiva (oltre che la notorietà) assegnata a Luca Ceriscioli dalla sua vittoria alle primarie del centrosinistra – tanto più in una Regione dove lo schieramento progressista aveva sempre vinto – ne facevano automaticamente il grande favorito (frontrunner). Va però a suo merito (e al Pd in genere) aver saputo ricucire in fretta con l’area che aveva appoggiato lo sconfitto Marcolini ed essersi presentato alle elezioni generali con una grande electability, alla testa di una coalizione compatta e politicamente omogenea. Né nei confronti dell’ex sindaco di Pesaro, che non era mai stato consigliere regionale, potevano avere molto effetto i prevedibili e ripetuti attacchi a testa bassa del Movimento 5 stelle e di Fratelli d’Italia-Lega Nord – rivolti principalmente contro Spacca e il Pd – in merito allo scandalo dei fondi (male) utilizzati dai gruppi nelle due consiliature precedenti: un tema comunque impossibile da ignorare, sia per la sua intrinseca importanza, sia per la coincidenza temporale che ha portato la Procura di Ancona a svolgere gli ultimi interrogatori di garanzia proprio durante la campagna elettorale. Ma è il tema del lavoro – o meglio, della sua mancanza – ad imporsi rapidamente al centro della campagna elettorale, che si svolge al termine di un biennio di crisi in cui le Marche hanno subito una forte deindustrializzazione, che poi a caduta ha interessato tutta l’economia regionale con la perdita complessiva di oltre 25mila occupati56, e con il caso Whirlpool57 ancora drammaticamente aperto. Tutti e cinque i candidati mettono in cima al proprio programma le loro proposte per cercare di uscire dalla crisi, ma è indubbio che la questione sociale, unita alla questione morale – ancora più insopportabile in tempi di crisi – abbia gonfiato le vele delle opposizioni, in particolare di quelle che apparivano all’elettorato più estranee al tradizionale establishment regionale marchigiano: Movimento 5 stelle e Lega nord, che da parte sua

52 Cartello elettorale che comprendeva i partiti minori tradizionalmente di centrosinistra: Italia dei Valori, Partito Socialista italiano, Federazione dei Verdi, Centro democratico, Riformisti, Scelta civica e Popolari per l’Italia. 53 Che includeva anche il Nuovo Centrodestra e quella parte dell’Udc che non aveva condiviso la scelta di appoggiare Ceriscioli. 54 La lista era composta da un’alleanza fra Sel, Rifondazione comunista, Partito Comunista italiano, L’altra Europa con Tsipras. Sul tradizionale continuum si collocava a sinistra del (e apertamente avversa al) Pd. 55 Anche se, come abbiamo già visto, il Pd di Ascoli si è schierato fortemente con Ceriscioli, tanto che a marzo era riuscito a portare ai gazebo quasi tre su dieci dei suoi futuri elettori. 56 Secondo Cna e Confartigianato, il crollo più grave sarebbe avvenuto nel 2013, con la perdita di 19mila posti di lavoro. Un calo più contenuto (-7mila) si sarebbe invece avuto, in base ai dati del ministero del Lavoro e di Unioncamere, nel 2014. 57 L’ex Indesit del gruppo Merloni, produttrice di elettrodomestici e considerata per decenni l’azienda più importante delle Marche, fino alla crisi che l’ha portata prima ad essere venduta alla multinazionale Whirlpool e poi nuovamente a rischio chiusura dello storico stabilimento di Fabriano (AN), fino al recente accordo mediato dal Governo nazionale.

18 sfruttava abilmente anche il “traino” nazionale del nuovo giovane leader Matteo Salvini, replicando in campagna elettorale i suoi continui attacchi sul tema dell’immigrazione e dei profughi, cercando così di fare presa sull’elettorato conservatore più moderato, rimasto spaesato dall’inattesa candidatura da parte del proprio schieramento dell’ex capo del centrosinistra Gian Mario Spacca.

3.2. Affluenza e risultati

3.2.1 – L’affluenza alle urne: per la prima volta scende sotto il 50%

Nonostante l’ampia scelta, il 31 marzo molti cittadini marchigiani preferiscono astenersi. L’affluenza finale alle urne è infatti pari appena al 49,8%: il dato più basso di sempre, con ben tredici punti in meno rispetto alle elezioni del 2010, quando aveva votato il 62,8% degli elettori marchigiani. Su questo dato - in linea con la tendenza nazionale, ed in particolare con quella delle altre sei Regioni chiamate al voto nella stessa data – hanno inciso probabilmente i ripetuti scandali emersi negli ultimi anni sulla gestione dei rimborsi ai gruppi e ai consiglieri regionali, che hanno molto sminuito il prestigio dell’ente intermedio fra lo Stato centrale e i Comuni.

Tabella 13 – Affluenza alle urne elezioni regionali Marche 2015

Ancona Pesaro Macerata Ascoli Fermo Totale e Urbino Piceno Marche Elezioni 2015 51,5% 50,6% 47,2% 47,4% 51,5% 49,8% Elezioni 2010 63,5% 64,2% 61,9% 61,4% 61,1% 62,8% Differenza -12% -13,6% -14,7% -14% -9,6% - 13%

Come si vede dalla tabella 13, a livello provinciale il crollo dell’affluenza è abbastanza uniforme, senza grandi scostamenti dalla media regionale del -13%. Tuttavia va segnalato il sorpasso in discesa di Fermo, che perde meno di tutte (-9,6%) e da ultima con il 61,1% di votanti nel 2010, si ritrova adesso addirittura (quasi) prima a pari merito con Ancona58, che a sua volta è l’unica altra provincia a contenere sotto la media regionale la propria perdita di votanti. In una posizione intermedia troviamo Pesaro, che sia pure di poco si mantiene sopra il 50%, mentre in fondo alla classifica ci sono Ascoli e Macerata, che perde quasi quindici punti percentuali e fa segnare il nuovo record negativo con il 47,2%.

3.2.2 – I risultati: Ceriscioli presidente, secondo il M5S, Spacca addirittura quarto

Anche se con il dato assoluto e percentuale più basso di sempre – dovuti alla bassa affluenza e sopratutto al nuovo assetto tripolare assunto dal sistema politico italiano a partire dalle elezioni politiche del febbraio 2013 – l’attesa vittoria di Luca Ceriscioli arriva puntuale e nettissima: l’ex sindaco di Pesaro ottiene infatti 251.050 voti, pari al 41,7%. Il successo è completato dal superamento della soglia minima del 40%, necessario – in virtù delle modifiche alla legge elettorale effettuate poco prima della fine della consiliatura precedente – per ottenere un premio di maggioranza (previsto a scaglioni) che assicuri governabilità e stabilità al vincitore. Al centrosinistra spettano così 18 consiglieri su 30, più lo stesso presidente eletto. Alle spalle del vincitore, sorprende l’ottimo secondo posto del candidato del Movimento 5 stelle Gianni Maggi (21,8%), che si giova della spaccatura del centrodestra in due tronconi e se li lascia entrambi alle spalle in un format di competizione tutt’altro che facile per un partito che rifiuta ogni possibile alleanza. Terzo, con il 19% arriva il candidato di “quasi-destra” Francesco Acquaroli, che vince di gran lunga il “derby” con il “governatore” uscente Gian Mario Spacca, appena quarto con un modesto 14,2%,, che non riesce

58 Si tratta in realtà di un effetto dell’arrotondamento, fatto per semplicità espositiva, ad una sola cifra decimale. Aggiungendone una seconda, l’affluenza diventerebbe Ancona 51,54% e Fermo 51,46%.

19 neppure ad essere rieletto in Consiglio e lascia così in maniera ingloriosa, dopo quasi vent’anni, la politica regionale. Staccatissimo, come previsto, il candidato della sinistra radicale Edoardo Mentrasti, che sfiora il 4%.

Tabella 14 – Risultati candidati presidenti e coalizioni elezioni regionali Marche 2015

Ceriscioli Maggi Acquaroli Spacca Mentrasti Totale Marche Candidato 251.050 133.178 116.048 86.848 24.212 611.336 presidente (41,07%) (21,78%) (18,98%) (14,21%) (3,96%) 100% (voti e %) Coalizione 231.143 100.202 103.603 75.321 20.266 530.535 (voti e %) (43,6%) (18,9%) (19,5%) (14,2%) (3,8%) 100% Seggi 18+1 5 4 3 0 30

Il confronto tra i voti raccolti dai cinque candidati consiglieri e dalle coalizioni che li sostenevano mette però in luce anche altri elementi: a) La maggiore fiducia dei cittadini nei confronti dei candidati presidenti che non nei partiti: solo l’86,8% di chi ha votato per uno dei “fantastici cinque” ha infatti espresso anche un voto di lista, con una perdita secca di oltre 80mila consensi. b) Contrariamente alla tradizione generale del centrosinistra, è in controtendenza il neoeletto presidente Luca Ceriscioli, che ha raccolto 20mila voti in meno rispetto a quelli delle liste che lo appoggiavano. c) Il fenomeno riguarda invece – e in misura maggiore che per ogni altro – il semisconosciuto grillino Gianni Maggi, che ottiene 33mila voti in più (un quarto dei suoi consensi) rispetto alla lista del Movimento 5 stelle, che si ferma invece sotto il 19% e viene superata dalla coalizione di “quasi-destra” Lega-Fratelli d’Italia, che ha sua volta ottiene mezzo punto percentuale in più del proprio candidato Francesco Acquaroli. d) L’unica corrispondenza perfetta tra candidato presidente e coalizione è quella tra Gian Mario Spacca e i centristi, che – pur con la differenza in valori assoluti dovuta a quanto affermato al punto “a” – hanno ottenuto entrambi il 14,2%. e) leggerissimo bonus, infine (+0,2%) per Edoardo Mentrasti rispetto al cartello di sinistra ‘Altre Marche’.

20 Tabella 15 – Risultati per provincia candidati presidenti regionali Marche 2015

Ceriscioli Maggi Acquaroli Spacca Mentrasti Totale Ancona 81.624 44.003 33.321 24.060 10.976 193.984 (voti e %) (42,08) (22,68%) (17,18%) (12,40%) (5,66%) (100%) Pesaro-Urbino 63.034 33.051 25.784 17.355 3.676 142.900 (voti e %) (44,11%) (23,13%) (18,04%) (12,14%) (2,57%) (100%) Macerata 46.014 23.799 29.962 19.481 4.262 123.518 (voti e %) (37,25%) (19,27%) (24,26%) (15,77%) (3,45%) (100%) Ascoli Piceno 33.004 18.161 15.014 12.665 2.417 81.261 (voti e %) (40,61%) (22,35%) (18,48%) (15,59%) (2,97%) (100%) Fermo 27.374 14.164 11.967 13.287 2.881 69.673 (voti e %) (39,29%) (20,33%) (17,18%) (19,07%) (4,14%) (100%) Totale Marche 251.050 133.178 116.048 86.848 24.212 611.336 (41,7%) (21,78%) (18,98%) (14,21%) (3,96%) 100%

Infine, il dato disaggregato per provincia – relativo ai soli voti per i candidati presidenti – mette in luce che: a) Ceriscioli vince ovunque, ma è comunque sempre sotto la maggioranza assoluta, con un (prevedibile) picco nella sua Pesaro (44,11%) e uno, minore, ad Ancona (42,08%). b) Maggi è secondo ovunque – anche per lui le province migliori sono Pesaro e Ancona – tranne che a Macerata, dove viene sorpassato da Acquaroli. c) Acquaroli ottiene un picco nella sua Macerata, dove arriva secondo, mentre nel resto della regione è allineato uniformemente sul 17-18%. d) Spacca è ovunque quarto e strappa un terzo posto solo nella piccola Fermo: davvero troppo poco per chi sperava in una riconferma a “governatore”. e) Mentrasti ha un picco solo nella sua Ancona e va invece malissimo nella “rossa” Pesaro, dove probabilmente deve essersi verificato un travaso di voti a favore di Ceriscioli.

3.3. Relazione tra partecipazione alle primarie e competitività con performance elettorali

3.3.1 – Partecipazione alle primarie e performance elettorali

a) analisi diacronica sulle Marche

Trattandosi di un debutto non è facile analizzare il rapporto tra la partecipazione alle primarie marchigiane del 1° marzo e le successive performance alle elezioni generali del vincitore Luca Ceriscioli. Nella tabella 16 proviamo a mettere a confronto il tasso di partecipazione nella competizione vinta da Ceriscioli con il dato scorporato per le sole Marche delle due primarie nazionali fin qui disputate:

21 Tabella 16 – Tasso di partecipazione alle primarie nelle Marche 2005-2015

Tipo di selezione Primaria nazionale Primaria nazionale Primaria regionale 2005 2012 2015 Voti validi59 133.331 91.871 43.334 Vincitore Prodi Bersani Ceriscioli Elezioni di Camera 2006 Camera 2013 Marche 2015 riferimento60 Voti candidato Csx61 564.333 288.202 251.050 (55,22%) (31,06%) (41,07%) Tasso di 23,6 31,9 17,3 partecipazione Esito delle elezioni Vinte Semi-vinte62 Vinte

La prima cosa che salta all’occhio è che, pur con un’affluenza al minimo storico sotto il 50%, i 251mila voti ottenuti da Ceriscioli non sono molti di meno rispetto ai 288mila ottenuti dalla coalizione ‘Italia Bene Comune’ guidata dal vincitore delle ultime primarie nazionali vere e proprie, Pier Luigi Bersani, alle elezioni politiche del 24 febbraio 2013. Notiamo poi come il 17,3 del 1° marzo sia il tasso di partecipazione più basso mai riscontrato nelle Marche, a testimonianza del fatto che l’effetto mobilitazione dei candidati nazionali è stato finora sempre molto più forte di quello – pur maggiore delle attese – fatto riscontrare dai candidati di questa inedita primaria regionale. Avendo però a disposizione tre sole occorrenze, per di più disomogenee nel format e a cui sono seguite sempre delle vittorie (o meglio, “due vittorie e mezzo”), non troviamo alcuno spunto per proseguire l’analisi alla ricerca di eventuali correlazioni.

b) analisi sulle 17 primarie regionali

Proviamo allora ad utilizzare il metodo della comparazione e ad analizzare l’andamento del tasso di partecipazione in tutte le primarie regionali svoltesi finora. Nella tabella 17 riportiamo i dati raccolti dal più volte citato rapporto “Dieci anni di primarie regionali” (C&LS 2015: 30 : 37)

59 Abbiamo utilizzato il dato dei voti validi in quanto per le selezioni nazionali non sempre era disponibile, a livello regionale, il numero complessivo dei votanti, comprensivo anche delle schede bianche e nulle (che alle primarie sono comunque un fenomeno trascurabile). 60 Per le primarie nazionali il riferimento è costituito dal voto per la Camera dei deputati alle successive elezioni politiche. 61 Naturalmente, anche quando si tratta di elezioni nazionali, il confronto viene effettuato con i soli votanti nella circoscrizione Marche. 62 E’ nota la definizione dello stesso Bersani, che disse di essere «arrivato primo senza vincere». E’ comunque innegabile, come la realtà dei governi Letta e poi Renzi sta dimostrando, che nella XVII Legislatura non sarebbe possibile, nemmeno in via ipotetica, la formazione di maggioranze senza il centrosinistra.

22 Tabella 17 – Tasso di partecipazione alle primarie regionali 2005-2015

Primaria Anno Vincitore Selettori Voti al Tasso di Esito regionale candidato partecipazione elezioni presidente elez. gen. Basilicata 2013 Pittella 57.793 148.696 38,9 Win Liguria 2015 Paita 55.150 183.272 30,1 Lost Calabria 2010 Loiero 98.828 342.773 28,8 Lost Calabria 2014 Oliverio 131.022 489.559 26,8 Win Molise 2011 Frattura 18.648 87.637 21,3 Lost (Win)63 Umbria 2010 Marini 54.680 257.458 21,2 Win Puglia 2010 Vendola 204.512 1.036.638 19.7 Win Sardegna 2013 Barracciu 52.084 289.573 18,0 / (Win)64 Marche 2015 Ceriscioli 43.592 251.050 17,4 Win Sicilia 2005 Borsellino 186.478 1.078.259 17,3 Lost Puglia 2014 Emiliano 135.336 793.831 17,0 Win 2015 De Luca 164.537 987.651 16,7 Win Abruzzo 2014 D’Alfonso 40.293 319.887 12,6 Win Emilia- 2014 Bonaccini 58.119 615.723 9,4 Win Romagna Veneto 2014 Moretti 39.770 503.147 7,9 Lost Lombardia 2012 Ambrosoli 150.604 2.194.169 6,9 Lost Puglia 2005 Vendola 79.296 1.165.536 6,8 Win

Anche qui si nota subito come il “pionere” delle primarie regionali Nichi Vendola detenga ben due record: quello della primaria con più selettori in valore assoluto (Puglia 2010, oltre 200mila persone) e quello – negativo ma motivato dal debutto assoluto – del tasso di partecipazione più basso (Puglia 2005). La primaria Marche 2015 si trova in una posizione intermedia, e la tabella non ci aiuta a cogliere alcuna correlazione significativa; ci limitiamo a registrare una distribuzione di sconfitte che sembra – con la sola eccezione della Sicilia 2005 – polarizzarsi agli estremi, quasi come se una partecipazione troppo elevata o troppo scarsa alle primarie (in medio stat virtus, avrebbero detto gli antichi Romani) potesse poi danneggiare la causa del centrosinistra alle elezioni generali. Naturalmente non intendiamo avanzare alcuna ipotesi del genere: ci siamo semplicemente limitati a osservare e commentare i dati a disposizione: è del tutto probabile infatti che fra alcuni anni il l’aumentato numero delle primarie regionali porterà ad una distribuzione diversa (e forse ad una dispersione ancora maggiore).

3.3.2 – Competitività delle primarie e performance elettorali

Ancora più impervia è la strada che si troverebbe ad affrontare chi si mettesse alla ricerca di una qualsivoglia correlazione tra la competitività delle primarie e la successiva performance del vincitore alle elezioni generali.

63 Abbiamo già visto nell’Introduzione che in Molise le elezioni regionali del 2011 (come era già successo in precedenza) sono state annullate per irregolarità formali nella presentazione delle liste. Di conseguenza sono state ripetute nel 2013 e i due schieramenti principali hanno presentato gli stessi candidati di due anni prima. 64 In Sardegna la nominee Francesca Barracciu ha poi rinunciato alla candidatura in quanto coinvolta nello scandalo dei rimborsi non dovuti ai consiglieri regionali. Per il centrosinistra alle elezioni generali ha quindi corso (e vinto) Francesco Pigliaru.

23 Verosimilmente, infatti, l’eventuale successo del candidato selezionato dipenderà in gran parte da ben altri fattori, quali la tradizione politica del territorio, la legge elettorale, la qualità, quantità e collocazione politica degli avversari, e così via. A titolo di esempio, riprendiamo lo stesso metodo utilizzato poc’anzi e riportiamo nuovamente – in ordine rispettivamente di margine elettorale e di indice di Kenig – i dati presentati dal rapporto “Dieci anni di primarie regionali” (C&LS 2015).

Tabella 18 – Margine elettorale alle primarie regionali 2005-2015

Primaria Anno Vincitore % % miglior Margine Esito regionale vincitore perdente elettorale elezioni Basilicata 2013 Pittella 45,3 44,6 0,7 Win Puglia 2005 Vendola 51,1 48,9 2,2 Win Marche 2015 Ceriscioli 52,5 46,1 6,4 Win Campania 2015 De Luca 50,7 43,8 6,9 Win Liguria 2015 Paita 53,1 45,6 7,5 Lost Umbria 2010 Marini 54,3 45,7 8,6 Win Molise 2011 Frattura 39,4 29,4 10,0 Lost (Win)65 Sardegna 2013 Barracciu 44,3 32,6 11,7 / (Win)66 Calabria 2014 Oliverio 54,0 42,1 11,9 Win Calabria 2010 Loiero 53,8 39,6 14,2 Lost Emilia- 2014 Bonaccini 60,9 39,1 21,8 Win Romagna Puglia 2014 Emiliano 57,2 31,4 25,8 Win Sicilia 2005 Borsellino 66,9 33,2 33,7 Lost Puglia 2010 Vendola 67,2 32,8 34,4 Win Lombardia 2012 Ambrosoli 57,7 23,2 34,5 Lost Veneto 2014 Moretti 66,4 29,3 37,1 Lost Abruzzo 2014 D’Alfonso 76,4 13,4 63,0 Win

Analizzando la tabella, l’analisi incrociata del margine elettorale sembrerebbe suggerire, perlomeno, una correlazione positiva tra primarie regionali con i primi due contendenti giunti sul filo di lana e una successiva affermazione del vincitore anche alle successive elezioni generali. Le Marche, che come abbiamo già detto possono vantare il terzo margine elettorale più stretto di sempre non fanno eccezione. Ma alla luce dei risultati dal 5° posto – la Liguria della beffata Raffaella Paita – in giù, con vittorie e sconfitte distribuite senza alcun ordine apparente, anche la minima correlazione “individuata” poc’anzi appare davvero troppo debole e non sufficientemente dimostrata.

65 Vedi nota 63. 66 Vedi nota 64.

24 Tabella 19 – Indice di Kenig alle primarie regionali 2005-2015

Primaria Anno Vincitore % % miglior Indice di Esito regionale vincitore perdente Kenig elezioni Puglia 2005 Vendola 51,1 48,9 0,99 Win Umbria 2010 Marini 54,3 45,7 0,99 Win Emilia- 2014 Bonaccini 60,9 39,1 0,95 Win Romagna Sicilia 2005 Borsellino 66,9 33,2 0,90 Lost Puglia 2010 Vendola 67,2 32,8 0,89 Win Lombardia 2012 Ambrosoli 57,7 23,2 0,79 Lost Puglia 2014 Emiliano 57,2 31,4 0,76 Win Calabria 2010 Loiero 53,8 39,6 0,74 Lost Campania 2015 De Luca 50,7 43,8 0,74 Win Calabria 2014 Oliverio 54,0 42,1 0,71 Win Molise 2011 Frattura 39,4 29,4 0,69 Lost (Win)67 Marche 2015 Ceriscioli 52,5 46,1 0,68 Win Liguria 2015 Paita 53,1 45,6 0,68 Lost Veneto 2014 Moretti 66,4 29,3 0,63 Lost Sardegna 2013 Barracciu 44,3 32,6 0,62 / (Win)68 Basilicata 2013 Pittella 45,3 44,6 0,61 Win Abruzzo 2014 D’Alfonso 76,4 13,4 0,55 Win

Lo stesso ragionamento, a fortiori, vale anche se si prende in considerazione l’indice di competitività di Kenig: qui la pseudo-correlazione positiva si interrompe infatti già dopo tre occorrenze, dopo le quali la distribuzione appare del tutto casuale. Tanto più che le Marche – dove il centrosinistra ha vinto – si trovano nella parte medio-bassa della classifica con 0,68: lo stesso valore della Liguria, dove il berlusconiano ha battuto la vincitrice delle primarie, Raffaella Paita.

67 Vedi nota 63. 68 Vedi nota 64.

25 Conclusioni

La primarie regionali Marche 2015 (e le successive elezioni generali) offrono, a nostro giudizio, diverse chiavi di lettura. Ad uno sguardo superficiale potrebbero sembrare infatti un esempio da manuale: con una grande partecipazione popolare, tre candidati politicamente abbastanza omogenei – anche se i due principali si contrapponevano nettamente sul continuum cambiamento/continuità – Con regole chiare e ben definite (si pensi all’obbligo di preregistrazione per chiunque, minorenne o straniero, non fosse dotato di tessera elettorale), una campagna elettorale leale e senza attacchi personali, e infine con una buona capacità di recupero da parte del nominee Luca Ceriscioli della componente sconfitta, che alle elezioni generali non ha dato vita a liste di disturbo69 e ha sostenuto lealmente la sua candidatura70. Una lettura più approfondita del “making of” delle primarie, quale quella che abbiamo cercato di offrire in questo paper, dovrebbe però aver messo in luce anche che «le primarie non sono un pranzo di gala» (secondo un’altra celebre massima di Pier Luigi Bersani). E tantomeno lo è la fase in cui si decide se convocarle oppure no. Non inganni infatti l’apparente sobrietà con cui è stata vissuta la campagna elettorale per le primarie: la vera spaccatura interna si era consumata infatti molto prima, e si era conclusa solo dopo diversi mesi con la capitolazione del segretario regionale Comi (che però ha rinunciato a candidarsi, mandando avanti il conterraneo Marcolini). I dati della partecipazione che abbiamo ampiamente analizzato e presentato evidenziano poi una seconda spaccatura trasversale (potemmo dire “territoriale”) interna al Pd, con una provincia capoluogo, Ancona, improvvisamente privata di un suo punto di riferimento dopo vent’anni e che per questo motivo si disinteressa delle primarie, salvo poi ripresentarsi compattamente alle urne alle elezioni generali, consegnando al pesarese Ceriscioli un terzo della sua vittoria. Proprio le elezioni del 31 maggio presentano infine altre peculiarità: innanzitutto l’inedita “giravolta” del presidente uscente Gian Mario Spacca, la cui svolta neocentrista non è stata però gradita da alcun tipo di elettore: né da quelli vecchi, che hanno riconfermato al potere il centrosinistra, né da quelli potenzialmente nuovi, che gli hanno preferito il grillino Gianni Maggi e perfino il campione della “quasi-destra” Francesco Acquaroli. C’è poi da notare il crollo dell’affluenza sotto il 50%: segno di una massiccia disaffezione dei cittadini dalla politica e in particolare da quella regionale: ente da sempre considerato “lontano e burocratico”, la cui già scarsa popolarità è stata messa ancora più a dura prova dai ripetuti scandali relativi alla cattiva (e a volte penalmente rilevante) gestione dei propri fondi da parte dei consiglieri regionali. Interessa alla nostra analisi notare come in questa occasione nemmeno l’introduzione delle primarie da parte del centrosinistra e lo stesso Movimento 5 stelle71 – due novità politiche estremamente diverse tra di loro ma che cercano entrambe (ciascuna a suo modo) di arginare il fenomeno dell’astensionismo e di riportare i cittadini ad occuparsi della cosa pubblica – sembrano aver davvero funzionato come antidoto. Vedremo nei prossimi anni se a tale scopo avranno più successo le buone pratiche – idee, progetti, struttura amministrativa e classe dirigente al passo coi tempi, nuovo modo di governare coinvolgendo i sindaci e gli stessi cittadini – promesse in campagna elettorale dal neopresidente Ceriscioli, che naturalmente ora è chiamato a realizzarle davvero pena il doverne rendere conto fra cinque anni ai propri elettori e forse prima ancora ai propri selettori. Rimanendo in argomento, l’altra scommessa a cui assisteremo è quella delle primarie, e la conseguente possibile trasformazione delle realtà politiche, anche marchigiane, in “partiti elettorali”. Da una parte c’è l’opzione “all’americana”, che – pur non priva, nella sua lunghissima tradizione, della capacità di grandi slanci ideali – significa spesso pragmaticamente, soprattutto lontano dai riflettori della grande politica nazionale, la concentrazione del consenso attorno a poche figure carismatiche, dotate non di rado di una vera e propria machine elettorale personale. L’opzione più vicina allo spirito originale delle primarie è però proprio

69 Si pensi, per confronto, a quanto accaduto nelle stesse settimane in Liguria, dove la lista del fuoriuscito Pastorino (spalleggiato dallo stesso sconfitto Cofferati) ha indubbiamente favorito la sconfitta della nominee Raffaella Paita. 70 Ci riferiamo ovviamente alla componente che faceva capo al principale sconfitto Pietro Marcolini e non all’outsider Ninel Donini, che come abbiamo già visto ha tentato anche – sempre con poca fortuna – la carta della successiva candidatura indipendente. 71 Di cui abbiamo evidenziato il dato di lista molto più basso (addirittura un quarto dei consensi in meno) rispetto al consenso personale del candidato Maggi.

26 quella opposta: aprire le porte delle smoked filled rooms72 e costringere i leader a rinunciare al monopolio della scelta delle candidature (compresa la propria), facendo sì che i partiti mettano in gioco ruolo e identità nella sfida per il governo, attraverso l’apertura costante ai propri elettori-simpatizzanti e all’opinione pubblica in genere. Primarie intese, dunque, come lo strumento ideale per favorire tale processo, che è costituito da consultazioni rigorose e ben regolamentate, capaci di coinvolgere i cittadini anche al di là degli steccati culturali tradizionali (Fabbrini, 2011).

72 Le stanze, piene di fumo, in cui i boss politici dell’Ottocento americano decidevano segretamente le candidature.

27 Bibliografia

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