ISSN 0258–0802. LITERATÛRA 2006 48 (4)

UN’INTRODUZIONE AL PETRARCHISMO CINQUECENTESCO

Arnaldo di Benedetto Turino universiteto profesorius

1. Fino ai primi decenni del Cinquecento, il Pet- A partire dalla fine del Quattrocento e nei rarca meglio conosciuto in Europa fu lo scrit- primi anni del Cinquecento, assistiamo però, tore latino. Fuori d’Italia, nel Trecento e nel in Italia, a un fenomeno nuovo. Osserviamo Quattrocento, Francesco Petrarca apparve sop- che i lirici quattrocenteschi che si esprimeva- rattutto l’autore di trattati spirituali o polemici, no in volgare finirono via via con l’uniformar- o l’autore di Epistulae latine raffinatissime, in si sempre più strettamente al modello formale prosa e in versi; come poeta, l’opera sua più dei Rerum vulgarium fragmenta. Caddero in apprezzata fu l’incompiuto poema Africa. disuso, nei poeti tardo-quattrocenteschi, alcu- In Italia, accanto all’ammirazione per l’au- ne forme metriche usate in quel secolo e est- tore latino, non mancò l’immediato apprezza- ranee a Petrarca; ciò è evidente, in particolare, mento anche per le sue opere in volgare: i Re- in alcune delle loro raccolte poetiche stampate rum vulgarium fragmenta (a partire dal XV nei primi anni del Cinquecento. Il sonetto (la secolo – e non dal XVI, come talvolta si affer- forma metrica di gran lunga più diffusa), la ma -, chiamati anche Canzoniere) e i Triump- canzone, l’ardua sestina lirica, il madrigale tre- hi. Il Petrarca volgare ebbe i primi imitatori centesco, la ballata, più di rado la frottola – già nel Trecento, e poi nel Quattrocento. An- queste tendono a imporsi come le quasi esclu- che fuori della letteratura, i suoi Triumphi die- sive forme metriche usate. Del secolo prece- dero vita a un genere pittorico coltivato nel XV dente, sopravvivono la terza rima, lirica e dis- secolo, i cui esempi più celebri sono forse i due corsiva (il metro del capitolo, dell’elegia), di trionfi dipinti da Piero della Francesca sul retro rado lo strambotto; e si aggiunge il nuovo mad- del dittico dei ritratti di Federico II da Monte- rigale “libero”. Sopravvivono i canti carnas- feltro e Battista Sforza (Firenze, Uffizi).1 cialeschi - metricamente, ballate -, spesso ano- nimi e destinati al canto dei cori mascherati 1 Il più recente reperimento in questo àmbito pittorico durante le feste del carnevale, e pertanto est- riguarda un affresco quattrocentesco di Casa Passi Preposulo, in via Porta Dipinta a Bergamo, scoperto ranei alla produzione lirica “alta”. pochi anni or sono in séguito a un restauro; si tratta d’un Il Petrarca volgare, e anzitutto quello del Trionfo della Castità. Poco noto è il bell’affresco di Villa Canzoniere, si viene affermando come il mo- Della Casa, presso Borgo San Lorenzo in Mugello (secondo una tradizione locale, vi sarebbe nato Giovanni dello per eccellenza dei lirici. Anche Giovanni Della Casa). Distinguo questi dipinti dalla prassi delle Aurelio Augurelli, maestro di (no- illustrazioni miniate, talvolta bellissime, che accom- me-chiave della canonizzazione cinquecentes- pagnavano i manoscritti dei Triumphi; prassi proseguita, nell’età della stampa, con pregevoli incisioni. ca del poeta aretino), e suo consulente nella

14 revisione dei primi due libri delle Prose della dello assoluto, o nettamente prevalente, va ri- volgar lingua, volle da parte sua attenersi al cordato il dibattito condotto nei primi decenni Petrarca volgare come all’unico suo modello. del XVI secolo sulla dignità e sui caratteri del- Un segno, fra i molti, dell’autorità conquistata la lingua letteraria italiana. Si colloca in qu- dalla poesia volgare di Petrarca all’inizio del est’àmbito il trattato che su tutti impose a lun- XVI secolo può essere visto anche nella cita- go le sue norme agli scrittori italiani: le Prose zione che solennemente sigilla il Principe di della volgar lingua, di Pietro Bembo, stese in Niccolò Machiavelli (1513, ma forse con ag- forma di dialogo e ambientate a Venezia nell’in- giunte e modifiche negli anni successivi). Nel verno del 1502, in casa di Carlo Bembo, fra- Principe noi riconosciamo anche un capola- tello dell’autore. Le Prose della volgar lingua, voro letterario; ma l’intento dell’autore, scri- il cui primo e secondo libro erano già pronti vendolo, fu anzitutto politico e precettivo. Eb- nel 1512, furono pubblicate nel 1525 (una suc- bene, il trattato si chiude con una citazione, cessiva edizione si ebbe nel 1538, e un’altra, d’intento esortativo, dalla canzone Italia mia postuma, nel 1549). Con esse Pietro Bembo di Petrarca (il cap. XXVI sarebbe forse, se- pose le fondamenta della nuova lingua lettera- condo qualche studioso, del 1517–18): ria valida per tutti gli scrittori italiani. In certo Virtù contro a furore modo, riprendeva e sviluppava il progetto prenderà l’arme, e fia el combatter corto; dell’incompiuto, e allora inedito ma ugualmente ché l’antico valore noto, De vulgari eloquentia (o, come si leg- nell’italici cor non è ancor morto. geva nel Cinquecento, eloquio) di Dante – certo richiamato nelle parole del titolo: della volgar E questo sonetto dello stesso Machiavelli, lingua -,2 che però si era limitato a trattare, ascrivibile forse al 1514, si potrebbe anche leg- come sottolineò per primo Alessandro Man- gere, con pochi ritocchi linguistici, in una del- zoni, della lingua del genere lirico, ed era con- le tante raccolte liriche individuali, o delle tan- cepito e scritto in diverso momento storico: te antologie «di diversi autori», post-bembia- prima cioè che lo stesso Dante e successiva- ne; né vi sfigurerebbe: mente e soprattutto gli altri due toscani, Pet- Se sanza a voi pensar solo un momento rarca e Boccaccio, si affermassero come i tre stessi, felice chiamerei quello anno: massimi autori “fondativi” della letteratura ita- parre’ mi lieve ogni mio greve affanno, liana. Dopo la loro affermazione e canonizza- s’i’ potessi mostrarvi il duol ch’i’ sento. zione, la poesia del Duecento, quella presente Se voi credessi, viverei contento al Dante del De vulgari eloquentia, parve aver le pene che’ vostri occhi ognor mi dànno; perso ogni mordente (si vedano le prime pagi- e questi boschi pur creduto l’hanno, stracchi già d’ascoltare il mio lamento. 2 Già Giovan Francesco Fortunio aveva pubblicato nel Di perdute ricchezze o di figliuolo, 1516 le Regole della volgar lingua. Analogamente, di stati o regni persi il fin si vede: nell’edizione da lui curata dei Rerum vulgarium fragmenta così d’ogni altra passïone e duolo. (1501), Bembo aveva reso il titolo latino con: Le cose volgari di Messer Francesco Petrarca (nell’appendice di O vita mia, ch’ogni miseria eccede! questo volume, Bembo espresse le prime avvisaglie del suo Ch’a voi pensar conviemmi e pianger solo, orientamento linguistico). Il De vulgari eloquentia fu edito né trovar al mio pianto o fine o fede. per la prima volta, nella traduzione di G. G. Trissino, nel 1529; lo stesso Trissino aveva avuto, in precedenza, un Accanto alla progressiva acquisizione della ruolo determinante nel diffondere lo scritto dantesco a produzione in volgare di Petrarca come mo- Firenze e a Roma.

15 ne del libro II delle Prose della volgar lingua, poeti (non solo i lirici) italiani che intendessero riecheggiate nel Petrarchista di Niccolò Fran- esprimersi in volgare. In Petrarca, scriveva an- co, peraltro più sbrigativo nel liquidare lo stes- che, perfettamente si contemperavano due va- so Dante), anche se non fu ignorata nel XVI lori stilistici, dei quali già avevano trattato Ci- secolo. Non lo fu da Bembo stesso, nei suoi cerone e Quintiliano: la gravità e la piacevo- esercizi lirici;3 e nemmeno dai suoi successo- lezza, ovvero la gravitas e la levitas. Nella scia ri, vista la larga fortuna che arrise all’edizione del trattato di Bembo, si giunse a sostenere dei Sonetti e canzoni di diversi antichi autori che Petrarca era l’Omero e il Virgilio della po- toscani, stampata in Firenze nel 1527 (è la co- esia volgare italiana – che era anche un modo siddetta Giuntina, o Ventisettana) e compren- per affermare la non inferiorità della lingua e dente testi di , Cino da Pistoia, della letteratura volgare rispetto agli antichi mo- Guido Cavalcanti, Dante da Maiano, Guittone delli. d’Arezzo e altri. Nella Biblioteca Nazionale Cen- A Dante non si dava, nelle Prose della vol- trale di Firenze se ne conserva un esemplare gar lingua, una uguale importanza, anche se postillato e segnato nientemeno che da Torqu- la sua opera non vi era rifiutata – lo stesso ato Tasso.4 Bembo aveva già curato, del resto, importanti Convinto della preminenza dello stile edizioni sia di Dante sia di Petrarca. È la nor- sull’oggetto – fino alla persuasione che con- ma alla quale finirono ben presto con l’atte- venisse tacere ciò che non poteva essere esp- nersi, nonostante alcune opposizioni (di parti- resso elegantemente -, ed estendendo al vol- colare rilievo e tenacia quella dei letterati tos- gare una dibattuta dottrina umanistica (quella cani e fiorentini, non disposti a rinunciare dell’imitazione d’un unico modello per la po- all’uso letterario della loro lingua viva), i poeti esia, Virgilio, e di un altro per la prosa, Cicero- lirici e quelli narrativi, e non solo loro: la lingua ne) da lui stesso ribadita nel 1512 rispondendo di Petrarca, con aperture a quella della Com- a una lettera di Giovanfrancesco Pico della Mi- media, e talvolta delle liriche, di Dante. Alcuni randola, Bembo indicò nel Canzoniere e nei luoghi d’un sonetto dello stesso Bembo, fra i Triumphi di Petrarca il modello linguistico e più celebri e imitati nel suo secolo, possono stilistico supremo a cui dovevano attenersi i esemplificare la direzione da lui indicata per la poesia; il sonetto è quello che inizia col verso: «Re degli altri, superbo e sacro monte». Com- 3 Lo schema della ballata Signor, quella pietà riprende posto probabilmente (secondo la congettura lo schema della ballata di Cino da Pistoia Madonna, la di Carlo Dionisotti)5 nel 1506, ma documen- pietate. La redazione pubblicata nel 1530 del sonetto Io, che già vago e sciolto contiene una frase: «Così m’hai tatamente rielaborato nei vv. 10–11, celebra il giunto […], Amore» (v. 12), che ricalca in parte: «Così passaggio, rievocato semplificando i reali mo- m’hai concio, Amore […]», della canzone di Dante Amor, vimenti, dell’autore da Ferrara (il «lito, a cui da che convien, v. 61 (vd. il commento di G. GORNI, in vicin cadde Fetonte») a Urbino («là dove bag- Poeti del Cinquecento, t. I, a cura di G. Gorni, M. Danzi e S. Longhi, Milano-Napoli, Ricciardi, 2001, 184 e 53); na il bel Metauro»), e forse la fine del suo amo- ma successivamente Bembo cancellò la traccia dantesca: re, quale che fosse, per Lucrezia Borgia sig- «Tal per te sono […], Amore». Bembo promosse inoltre nora di Ferrara («i miei pensieri sparti») fatta l’edizione del Novellino, pubblicato nel 1529 col nome di Carlo Gualteruzzi. qui coincidere col suo ingresso nella corte mar- 4 Una precedente raccolta a stampa di rime antiche fu quella di Canzoni di Dante, madrigali del detto, 5 madrigali di M. Cino e di M. Girardo Novello, Venezia, Vd. il suo commento, in P. BEMBO, Prose e rime, Guglielmo da Montefeltro, 1518. a cura di C. Dionisotti, Tori no, UTET, 1966, 524.

16 chigiana nobilmente idealizzata e stilizzata da frutto della combinazione di espressioni di Pet- Baldassarre Castiglione nel Cortegiano («do- rarca e di Dante. Il verbo risecando del v. 6 ve / valore e cortesia fanno soggiorno»): (nella redazione stampata nel 1530: resecando, che era un puro latinismo) non è in Petrarca; e Re degli altri, superbo e sacro monte, ch’Italia tutta imperïoso parti nella Commedia dantesca compare nella for- e per mille contrade e più comparti ma riflessiva e non latineggiante: si risega (Pur- le spalle, il fianco e l’una e l’altra fronte, gatorio, XIII, v. 2). È significativo che il pri- mo Vocabolario degli Accademici della Crus- de le mie voglie mal per me sì pronte ca, del 1612, accogliesse risegare, e non rise- vo risecando le non sane parti, e raccogliendo i miei pensieri sparti care né resecare. La coppia verbale, sintesi delle sul lito, a cui vicin cadeo Fetonte: virtù cavalleresche praticate nella corte urbi- nate di Guidubaldo da Montefeltro, valor e cor- per appoggiarli al tuo sinistro corno, tesia del v. 11, e anzi l’intero verso («valor e là dove bagna il bel Metauro, e dove cortesia fanno soggiorno»), rinvia a , valor e cortesia fanno soggiorno; XVI, v. 67: «cortesia e valor dì se dimora», e s’a prego mortal Febo si move, ma anche, più indirettamente, ai Rerum vul- tu sarai ‘l mio Parnaso, e ‘l crine intorno garium fragmenta, sonetto Qual donna, v. 2: ancor mi cingerai d’edere nove. «di senno, di valor, di cortesia». Nel suo com- Lo stesso avvio del sonetto bembesco ri- mento, Gugliemo Gorni osserva che e dove, calca e varia un verso di Petrarca, riferito al posto in fine di verso (v. 10), è dantismo; si fiume Po: «Re degli altri, superbo altero fiu- può aggiungere, a rincalzo, che in Inferno, me» (nel sonetto Po, ben puo’ tu); Bembo fa XIV, vv. 5, 7 e 9, e dove rima con nove e invece riferimento agli Appennini, il «sacro rimove (similmente, in Bembo: move e nove). monte» essendo identificabile col Catria, teat- ro del romitaggio di san Pier Damiani. Altri rie- 2. La riforma era attesa, e il letterato ve- cheggiamenti più sottili, e non passivi, si han- neziano seppe cogliere le aspirazioni del suo no nel corpo del componimento bembesco. Il tempo e formalizzarle. Nello stesso anno della termine monte rima con fronte e con pronte pubblicazione delle Prose della volgar lingua come nel sonetto petrarchesco Que’ che ‘n Te- uscì quello che divenne il più diffuso dei com- saglia; il sintagma i miei pensieri sparti rinvia menti cinquecenteschi al Canzoniere, dovuto a i miei pensieri sparsi del sonetto petraches- a Alessandro Vellutello. Le lingue letterarie qu- co Quand’io mi volgo indietro, in identica po- attrocentesche (il plurale è d’obbligo), policen- triche e ibride, apparvero ormai un «volgare sizione nel verso; e s’a prego mortal ricalca il uso tetro», come lo definì e condannò Ludo- petrarchesco e se prego mortale, anch’esso in vico Ariosto nell’Orlando furioso (XLVI, 15), identica posizione, del sonetto Ite, caldi sospi- esaltando la riforma bembesca: ri. E altro si dovrebbe addurre al riguardo. Ma nasce da un ricordo di Dante il verso: «de le […] là veggo Pietro mie voglie mal per me sì pronte» (Inferno, XII, Bembo, che ‘l puro e dolce idioma nostro, v. 66: «mal fu la voglia tua sempre sì tosta»). levato fuor del volgare uso tetro, E sacro monte, che chiude il v. 1, del pari in quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro rima con fronte, era già in Purgatorio, XIX, v. […]. 38: monte purificale in entrambi i casi; il pri- L’edizione definitiva del poema ariostesco, mo verso del sonetto bembesco è pertanto il dalla quale sono citati questi versi, è del 1532,

17 ed era stata preceduta dalle edizioni del 1516 e altro luogo nel quale prese forma il petrarchis- del 1521. Il poeta ferrarese aveva aderito da mo del secolo. Il significativo titolo di Sonetti ultimo, pur se con molta libertà, alla proposta e canzoni (soppiantato da Rime nell’edizione del letterato veneziano, e ne esaltava l’«esem- giolitina del 1552, curata da ) pio». L’esempio era la prassi stessa di scritto- non copre peraltro l’intero repertorio metrico re tenuta da Bembo. della raccolta, che comprende anche quattro In effetti, cinque anni dopo la prima edi- sestine, cinque madrigali e tre capitoli in terza zione delle Prose della volgar lingua (in mez- rima, ma riflette un uso editoriale del tempo; zo si era verificato quell’evento traumatico e, anche la citata raccolta di Sonetti e canzoni di almeno per l’Italia, epocale che fu il sacco di diversi antichi autori toscani non include solo Roma), furono pubblicate le sue Rime, com- sonetti e canzoni; e la parodia sacra dei Rerum poste in prima stesura anche molti anni prima; vulgarium fragmenta messa in atto nel Pet- e per questo il 1530 è convenzionalmente indi- rarca spirituale di Girolamo Malipiero (1538) cato come la data ufficiale della nascita del pet- figura divisa in due sezioni di sonetti e canzo- rarchismo cinquecentesco. Accanto a sonetti, ni, e quest’ultima dizione designa tutte le for- in netta prevalenza (101), canzoni (6), ballate me metriche petrarchesche diverse dal sonet- (2), madrigali (2), una sestina, il volume esibi- to. E Sonetti e canzoni era già il titolo posto da va un capitolo in terza rima (Amor è…) e uno Vellutello al Canzoniere nella sua edizione pet- strambotto (Qual meraviglia…): singolari ec- rarchesca del 1525. cezioni entro quel contesto, ma che consenti- Vivente, Sannazaro era ritenuto quasi un nu- rono appunto la loro sopravvivenza, sia pur ovo Petrarca; e non solo all’Arcadia, ma anche nettamente minoritaria, nell’àmbito della lirica ai Sonetti e canzoni arrise, in Italia, una larga cinquecentesca. Lo stesso Bembo volle sotto- fortuna protrattasi fino al XVIII secolo.6 An- lineare il distacco dalla lirica cortigiana di fine che Sannazaro fu elogiato da Ariosto nel poema Quattrocento facendosi obiettare, nel sonetto (XLVI, 17), ma come poeta in latino (con allu- Colei, che guerra (anteriore al 1510, ma non sione alle sue Eclogae piscatoriae): inclusa nella prima edizione delle Rime), da una colui che con lor viene e da’ più degni bellissima interlocutrice, dantesca «angelica be- ha tanto onor, mai più non conobbi io: atrice», e forse poetessa («cigno»): ma se me ne fur dati veri segni, è l’uom che di veder tanto desio, Per la via che ‘l gran Tosco amando corse Iacobo Sannazar, ch’alle Camene […] non ir; che ‘ndarno oggi si brama lasciar fa i monti ed abitar l’arene. la vena, che del suo bel lauro sorse.

È proprio l’imitazione di Petrarca ciò da 6 Anche in una delle sue liriche più celebri, cui la bella vuol dissuaderlo, e che viene però l’incompiuta canzone O del grand’Apennino, accanto ribadita dal poeta nei versi successivi. alle reminiscenze di Petrarca, Bembo, Della Casa e altri, non mancò di riecheggiare lievemente la Nello stesso 1530 furono pubblicati a Na- prima stanza della canzone di Sannazaro O fra tante poli, postumi ma presumibilmente già ordinati procelle: Fortuna in rima con cuna; la sottolineatura dall’autore, i Sonetti e canzoni del napoletano dell’ingiustizia della stessa Fortuna (Tasso: «l’ingiusta e ria»; Sannazaro: «l’ingiusta guerra»), e della sua cecità e allora ammiratissimo Iacopo Sannazaro, i qu- paradossalmente oculata (Tasso: «quella cruda / e cieca ali a loro volta mostravano un notevole, pur se dea, ch’è cieca e pur mi vede»; Sannazaro: «quasi già meno rigoroso di quello bembesco, adegua- d’esser cieca or si vergogni»). Ma diverse sono le situazioni. Sannazaro celebra l’inversione di rotta della mento linguistico e formale al modello del Can- Fortuna, già ostile e ora benigna nei confronti del signore zoniere; e in effetti la Napoli aragonese fu un a cui la lirica è indirizzata.

18 A buon conto, le liriche di Pietro Bembo, E tu (per dire il vero) n’hai condutti che ebbero altre due edizioni successive e ac- per la diritta, e, così morto, sei cresciute dall’autore nel 1535 e nel 1548 (qu- quasi un pedante di noi altri putti. est’ultima, postuma, curata da Carlo Gualte- Tanto ch’a le mie spese io giurarei ruzzi), godettero, per buona parte del secolo, che se non eri tu mastron di tutti, quale modello di scrittura, di un’autorità im- tutti sariemo stati Tebaldei. mensa, pari a quella di Petrarca. In esse era Il verso finale allude al ferrarese Antonio Te- l’esemplificazione, anzi l’esempio (per ripete- baldeo (1463–1537), già autorevole poeta re il termine di Ariosto), di ciò che era teoriz- dell’ambiente cortigiano settentrionale, del qua- zato nelle Prose della volgar lingua. Bembo le si diceva che, impressionato dalla lettura del- fu uno di quei personaggi che, senza possede- le rime di Bembo e di Sannazaro, facesse atto di re grandi e originali virtù artistiche o profondi- rinunzia alla poesia volgare, per darsi esclusiva- tà di pensiero, hanno il merito (come scrisse mente a quella latina. Vero o no che sia l’aned- ) di «aiutare le età a mettere doto, accadde che in breve tempo si verificò in luce il parto di cui sono gravide».7 Circa il una svolta definitiva, che fece liquidare tanta termine petrarchismo, va precisato che la pa- poesia precedente come «volgare uso tetro». rola petrarchista in Italia compare già, nel sen- Dieci anni dopo la sua morte, Tebaldeo poteva so di ammiratore e imitatore di Petrarca, e con essere citato con tanto disprezzo, quale sinoni- intento ironico, nel XVI secolo; lo usò ad mo di rozzezza stilistica. Del Quattrocento vol- esempio, nelle Pìstole volgari, nei Dialoghi, gare italiano, si continuarono a leggere, oltre al nella Priapea Niccolò Franco. Un dialogo inti- sempre ammirato Sannazaro, alcuni poeti tos- tolato Il petrarchista scrisse anche Ercole Gio- cani (Pulci, Poliziano); il poema dell’emiliano vannini. La parola entrò presto anche in altre Boiardo circolò grazie al Rifacimento di Fran- lingue europee. L’astratto petrarchismo risale cesco Berni, e soprattutto alla ben più fortunata invece alla storiografia ottocentesca. revisione linguistica di Lodovico Domenichi,8 In occasione della morte del letterato ve- mentre caddero nell’oblio le squisite liriche dei neziano (1547), proprio Niccolò Franco così suoi Amorum libri. Solo con Giovan Battista lo celebrò: Marino tornò a farsi vivo un più ampio interes- Bembo, a la morte tua dir si poria se anche per i poeti volgari del XV secolo. c’ha perduto San Marco il suo tesoro, e Roma quell’onore in concistoro, 8 ch’in mill’anni mai più non trovaria. La fortuna del Rifacimento di Berni fu soprattutto settecentesca, e durò fino al primo Ottocento; si formò Piangerne ogni poeta anche devria, all’interno del particolarissimo cinquecentismo della prima se dir si può che è morto il barbassoro, Arcadia. Vd. in proposito il mio L’«Orlando innamorato» di Francesco Berni, in Poesia e comportamento. Da senza lo qual, le ciancïette loro Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria, Edizioni schiuma sariano de la poesia. dell’Orso, 2002, 57–72. È pertanto errata l’affermazione di C. DIONISOTTI, Tradizione classica e volgarizzamenti, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, 139, sulla grande fortuna del Rifacimento 7 B. CROCE, La lirica cinquecentesca, in Poesia bernesco fin dal Cinquecento: «riuscì a togliere di mezzo popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana per quasi tre secoli […] il testo originario dell’Orlando dal tre al cinquecento, Bari, Laterza, 19574, 348. Vd. innamorato del Boiardo». Il passo di Dionisotti si legge, anche, di CROCE, Il Bembo, in Poeti e scrittori del citato con consenso, anche nella Storia della letteratura pieno e del tardo Rinascimento, vol. III, Bari, Laterza, italiana, diretta da E. Malato, vol. IV, Roma, Salerno 19702, 53–61. Editrice, 1996, 1145.

19 3. Il petrarchismo, scrisse un vecchio e Si dipinsero o disegnarono allora ritratti ide- grande studioso, Ferdinando Neri, «fu una ma- ali di Petrarca e persino di Laura. Il pellegri- niera letteraria, ed un linguaggio mondano».9 naggio ad Arquà e persino a Valchiusa divenne Fu in effetti anche un fatto di costume, nel una prassi non rara tra i letterati. Si disputò sul Cinquecento italiano, e in quanto tale irriso e luogo di nascita di Laura. E si stamparono edi- parodiato da poeti satirici, prosatori e comme- zioni in piccolo formato del Petrarca volgare. diografi del tempo – al petrarchismo si accom- Erano edizioni tascabili, i petrarchini, e most- pagnò un ininfluente ma pur significativo anti- rarsi «col petrarchino in mano», «con un pet- petrarchismo, che trovò espressione talvolta rarchino in mano» (per dirla con parole delle anche in dialetto (ma ci fu anche un petrar- Sei giornate di Pietro Aretino e d’una lettera chismo dialettale), e che peraltro accettava d’Annibal Caro) fu anche trendy; col petrar- l’esemplarità di Petrarca. Così uno degli inter- chino in mano spesso si lasciava vedere la cor- locutori del Dialogo della rettorica di Sperone tigiana veneziana Lucrezia Squarcia.11 Alla fi- Speroni, Antonio Brocardo, dichiarando il ri- ne del Settecento, anche Alfieri – portatore d’un pudio dei propri trascorsi di petrarchista di originalissimo e innovativo culto dell’antico po- scuola bembiana (e boccaccista in prosa) vol- eta, che poco aveva in comune con quello dei to a raccogliere rime e lessico e fraseologia petrarchisti cinquecenteschi e arcadici – amò del poeta e del narratore trecenteschi, nondi- viaggiare e cavalcare col petrarchino «in tas- meno affermava il proprio «continuo esser- ca», come appare da notazioni della Vita e del- citarsi nella lezzion del Petrarca (la qual cosa le lettere; in un’epoca nella quale era piuttosto per sé sola senza altro artificio può partorir di di moda esibire l’«orazietto», come lo stesso gran bene)». Insomma, un Petrarca da assi- Alfieri fece per qualche tempo, abbinandolo al milare, non un Petrarca ridotto a mero reper- petrarchino (Vita, IV, 4). Va sottolineato però torio. Inoltre, come osservò Paul Bachmann che, nell’Italia cinquecentesca, i petrarchini in un suo scritto su Gaspara Stampa, «le non circolavano solo in esemplari a stampa, a pétrarquisme, dont Bembo fut le principal ar- 12 tisan, est […], pour la génération qui sera cel- differenza di quanto talvolta si crede. le de Gaspara, le milieu naturel où s’enracine Personaggi del tempo vollero farsi ritrarre toute tentative poétique nouvelle. Et l’an- con una copia del Canzoniere, appunto, in ma- tipétrarquisme, lorsqu’il se manifeste, est en- no. È il caso del ritratto d’un giovane Uomo core, par la logique des contrastes, la conséqu- col petrarchino (collezione privata), opera del ence de cet état de fait».10 Parmigianino e della metà circa degli anni Ven- ti del XVI secolo; il personaggio stringe nelle mani un volumetto sulla cui copertina è scrit- 9 F. NERI, Le rime ultime di Gaspara Stampa, in Saggi di letteratura italiana francese inglese, Napoli, to: «FRANC. P.» «F. PETRARCHA» si legge Loffredo, 1936, 271. anche sul libro con cui Bernardino Licinio raf- 10 P. BACHMANN, À la rencontre de Gaspara figurò un giovane ventunenne nel 1528 (Mos- Stampa, in G. STAMPA, Poèmes, Traduction et présentation de Paul Bachmann, , Gallimard, 1991, ca, Museo Puskin); e «PETRARCA» è scritto 15. Circa il veneziano Brocardo, morto nel 1531 in sul piccolo libro stretto nella mano destra dalla giovane età (si disse, o così fece crede Pietro Aretino che ne trasse vanto e successivamente simulò di farne ammenda, a causa dei sonetti ingiuriosi scagliatigli contro dallo stesso Aretino), le sue poche e graziose liriche a noi 11 Vd. A. GRAF, Petrarchismo e antipetrarchismo, in pervenute non consentono di intendere quale alternativa Attraverso il Cinquecento, Torino, Chiantore, 1926, 23. egli opponesse in concreto all’orientamento propugnato 12 Vd., ad esempio, l’ottimo P. BURKE, Il Ri- da Bembo. Le ipotesi degli studiosi non sono mancate. nascimento, tr. it., , Il Mulino, 1990, 62.

20 prosperosa contessa di Valmerode, in un qu- di ferro e fuor di ghiaccio», così il colto pitto- adro dello stesso Licinio, eseguito nel 1546 (già re stesso la definì nel primo verso d’un sonet- a Gotha, Museo Ducale). Di Domenico Puligo to a lei indirizzato, giocando col cognome del- è quello che oggi è generalmente riconosciuto la donna. Anche la Battiferri esibisce un pic- come il ritratto della cantante e, a detta di Va- colo manoscritto del Canzoniere, aperto sui so- sari, «bellissima cortigiana» Barbara Fiorenti- netti, invero per nulla contigui nella raccolta, na (cioè Barbara Raffacani Salutati), amata an- Se voi poteste e I’ ò pregato Amor; un accos- che da Machiavelli, che le dedicò alcune liri- tamento certamente carico d’allusività. Un libro che, dipinto nel 1525–1527 circa e conserva- manoscritto regge nella mano destra anche il to presso una collezione privata di Lewes (Sus- dodicenne Lorenzo Lenzi raffigurato dallo stes- sex). La donna è raffigurata con uno spartito so Bronzino nel 1527 o 1528 (Milano, Castello di musica aperto sul tavolo; alla sua destra è Sforzesco); sulle due pagine sulle quali il libro un libro chiuso, e alla sua sinistra un petrar- è aperto si riconoscono un sonetto di Petrarca chino manoscritto aperto (agli inizi del Cinqu- e uno di Benedetto Varchi, amico del pittore e ecento, la stampa non aveva ancora soppian- autore di numerosi versi platonizzanti indiriz- tato in tutto il manoscritto, che allora era anzi zati a Lorenzo. Fuori d’Italia, il grande ritrat- ritenuto più elegante del libro stampato), sul tista Jean Clouet raffigurò nel 1530 circa un quale si legge la prima quartina del sonetto Gra- uomo con un piccolo volume chiuso nella ma- zie ch’a pochi, un chiaro omaggio – coi suoi no sinistra, sul quale si legge: «PETRARCA» accenni alla «rara vertù», alla «canuta men- (Windsor Castle, Royal Collection). Infine, a te», e ai «biondi capei» e all’«alta beltà divina» conferma dell’autorità di cui godette nel suo – alla levatura intellettuale e alla bellezza dell’at- secolo Pietro Bembo, il ritratto del fiorentino trice. Il dipinto di Puligo è contemporaneo o di Ugolino Martelli, opera anch’esso del Bronzi- pochissimo posteriore alla pubblicazione delle no (Berlino, Staatliche Museen), mostra il gio- Prose della volgar lingua; di pochi anni po- vanissimo e malaticcio letterato che tiene il seg- steriore è anche il bel ritratto d’Andrea del Sarto no con la mano destra su un’Iliade manosc- Dama col petrarchino, del 1528–1529 circa ritta aperta (sul tavolo è anche un Virgilio) e (Firenze, Uffizi): una graziosa giovane dal vi- poggia la sinistra su un libro chiuso sulla cui so tondeggiante e dalla chioma scura e un po’ costola si legge appunto il nome del letterato gonfia, la quale volge lo sguardo allo spettato- veneziano: forse, come si suppone, le sue Ri- re – forse la figliastra del pittore Maria del Ber- me.13 rettaio –, tiene aperta una copia manoscritta, in corsivo umanistico, del Canzoniere; vi si leg- 13 Vd. A. CECCHI, Ritratti a Firenze nel secondo gono i sonetti Ite, caldi sospiri e Le stelle, il Cinquecento, in Il ritratto. Gli artisti i modelli la memoria, cielo. In atteggiamento analogo, ma meno ag- a cura di G. Fossi, Firenze, Giunti, 1996, 125. Su questi ritratti vd. anche N. MACOLA, I ritratti col Petrarca, in graziato e più altero, fu algidamente ritratta di Le lingue del Petrarca, Atti del convegno (Udine, 27–28 profilo, trent’anni dopo, la poetessa Laura Bat- maggio 2003), a cura di A. Daniele, Udine, Forum, 2005, tiferri Ammannati da Agnolo Bronzino nel 1558 135–157; M. L. DOGLIO, Il sonetto 240 (e altri sonetti in ritratti), in «Atti e memorie dell’Accademia Galileiana circa (Firenze, Palazzo Vecchio). Ed è uno dei di Scienze, Lettere ed Arti già dei Ricovrati e Patavina», suoi capolavori, e fu celebrato in versi da An- vol. CXV (2002–2003), Parte III: Memorie della Classe ton Francesco Grazzini detto il Lasca; e com- di Scienze Morali, Lettere ed Arti, 411–429. Belle parole piaciuta se ne mostrò la stessa Battiferri in un sulla Dama col petrarchino di Andrea del Sarto si leggono in R. FEDI, Canzonieri e lirici del Cinquecento. II. La sonetto indirizzato A Bronzino. «Tutta dentro memoria della poesia, in La memoria della poesia.

21 Ma lo stesso verseggiare nella scia di Pet- già seguito con grande libertà da Sannazaro e rarca e di Bembo diventò in breve tempo un da Bembo. Vagamente, perché in realtà un pro- uso sociale diffuso e anche un modo per co- blema era, per i nuovi poeti, petrarcheggiare, municare. E soprattutto il sonetto, che fuori riuscendo pur sempre originali; imitare, intro- d’Italia ebbe talvolta la nomea di un difficile ducendo anche, però, situazioni e testure for- genere metrico, fu praticato da molti con faci- mali relativamente e minimamente nuove: nel lità. 1560 l’aristocratico campano, di Piedimonte Petrarca diventò per i lirici di buona parte Matese, Ludovico Paterno pubblicò una sua del Cinquecento – e non solo per i lirici – un ponderosa raccolta di liriche (quantitativamen- vero serbatoio di temi, di lessico, di fraseolo- te, quasi il triplo del Canzoniere) intitolandola gia, di rime, di soluzioni stilistiche. Rimari e Il nuovo Petrarca; e di quel titolo occorre sot- repertori lessicali – quelli a cui alludeva il Bro- tolineate entrambe le parole, sia il nome e mo- cardo del dialogo di S. Speroni – allora ap- dello Petrarca sia l’aggettivo nuovo. Vagamen- prontati e pubblicati agevolarono questa pras- te, però, anche perché quel tracciato era in si. Un vero «manuale per principianti», com’è realtà sfuggente già in importanti edizioni cin- stato definito,14 fu il Del modo di comporre in quecentesche del Canzoniere petrarchesco, versi nella lingua italiana di Girolamo Rus- ben diverse da quelle attuali, tutte scrupolosa- celli (1559), che peraltro provocò la messa a mente fondate sul codice Vaticano latino 3195, punto della Ruscelleide di Vincenzio Borghini. la cui rilevanza di redazione definitiva e in no- Non tutto in quei lirici era riconducibile a Pet- tevole parte autografa e per intero controllata rarca (e ciò vale persino per Bembo), ma non dal poeta fu indicata solo nel XIX secolo da si è mai dato, nella letteratura italiana, un altro Pierre de Nolhac (1886).15 caso simile a questo, di imitazione così diffu- Si osservi inoltre che la preferenza genera- sa e aderente. Il Canzoniere disegnava, nella le andò risolutamente al Canzoniere, e meno ai sua costruzione, la parabola di un solenne “ro- più medievali e allegorici Triumphi, che se mo- manzo” spirituale? Bene. Non mancò chi tentò di riprodurre, fosse pur vagamente o minima- 15 Molto significativo è il caso dell’edizione annotata mente (rinunciando ad esempio, per non dire di Alessandro Vellutello dei Sonetti e canzoni (cioè del altro, alla famosa bipartizione di rime in vita e Canzoniere), che furono da lui anche divisi in tre parti: rime in morte della donna, e talvolta persino rime in vita di Laura; rime in morte di lei; rime d’altro all’unicità dell’amore cantato), quel tracciato, argomento. Il tutto, preceduto dal sonetto introduttivo Voi ch’ascoltate. La prima parte iniziava col sonetto Era il giorno, e si chiudeva con la sestina A la dolce ombra. La seconda parte iniziava col sonetto Oimè il bel viso, e Canzonieri, lirici e libri di rime nel Rinascimento, Roma, terminava con la canzone Vergine bella. La terza parte Salerno Editrice, 1990, 68–70 (alle 79–80, un’analisi del iniziava con la canzone Italia mia, e si chiudeva col ritratto di Laura Battiferri del Bronzino). – Aggiungo che sonetto Sennuccio mio. È, ritengo, l’edizione cinque- non è un petrarchino, come talora s’è detto, quello su cui centesca più scompaginata del Canzoniere. E nella posa la mano destra Lucrezia Panciatichi in un altro tripartizione operata da Vellutello è forse da vedere il capolavoro del Bronzino (Firenze, Uffizi), ma un Uffiziolo primo e molto lontano precedente degli ordinamenti di della Vergine. È questo il quadro a cui è affidato un ruolo raccolte liriche che cominceranno ad aver vigore nel simbolico e che è descritto nel romanzo di Henry James secondo Cinquecento (G. B. Pigna, T. Tasso) e trion- The Wings of the Dove. feranno nell’età barocca: Rime d’amore, Rime d’en- 14 La definizione è di Alberto Caciolari, in Lirici comio, Rime sacre, e simili (talvolta, nel Seicento, con europei del Cinquecento. Ripensando la poesia del intitolazioni molto fantasiose). Cito dall’edizione: Il Petrarca, a cura di G. M. Anselmi, K. Elam, G. Forni, Petrarca con l’espositione d’Alessandro Vellutello…, In D. Monda, Milano, Rizzoli, 2004, 384. Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1558.

22 dello furono, lo furono soprattutto di lessico, fossero il frutto di errori del copista, e senz’al- di stilemi e di elocuzione. A buon conto, anche tro corresse con ne la terza spera e all’ora. i Triumphi ebbero qualche imitatore; fu il caso Anche la ricezione cinquecentesca di Petrarca appunto del Nuovo Petrarca di Paterno, la cui in Italia non sfuggì pertanto alla regola gene- quarta parte si ispirava dichiaratamente al po- rale: ogni ricezione è anche, in parte, un “tra- ema incompiuto del trecentista. Non manca- dimento”. rono raccolte di soli sonetti o madrigali, in nu- Il distacco da forme e generi caratteristici mero di cento, dove la cifra letterariamente ca- della letteratura in volgare del secolo prece- nonica suppliva a ogni traccia di romanzo spi- dente fu una caratteristica generale del Cinqu- rituale (i Cento sonetti d’Alessandro Piccolo- ecento italiano; si ebbero un’estensione e degli mini [1549] e di Antonfrancesco Rainerio adattamenti al volgare di orientamenti già pre- [1553], i Cento sonetti spirituali e morali di senti nella letteratura umanistica. I problemi Giovan Paolo Castaldini [1585], i Cento mad- teorici furono spesso trattati nella forma pla- rigali di Muzio Manfredi [1587]). Altra cifra tonica e ciceroniana del dialogo (come aveva canonica, ma a cui meno ci si attenne, fu il fatto, nel secolo precedente, un grande speri- cinquanta. Siffatto ossequio ai numeri non ave- mentatore come Leon Battista Alberti esponen- va alcun significato simbolico; come non lo do il suo modello di famiglia d’alto rango). Gli aveva avuto il principio formale che aveva re- storici guardarono agli antichi esempi latini. Nel golato gli Amorum libri di M. M. Boiardo: og- teatro in volgare, si affermarono la commedia nuno dei tre libri, composto da cinquanta so- e la tragedia classiciste, cioè modellate sugli netti e dieci componimenti d’altro metro, cin- esempi greci e latini, e caddero in discredito la que dei quali ballate. Un altro caso di palese sacra rappresentazione, le forme di teatro pro- dissoluzione del canzoniere come “romanzo” fano allora ispirato anch’esso ai modi della sacra spirituale fu quello, davvero singolare, del Pet- rappresentazione (si pensi, ad esempio, all’Or- rarca spirituale di Malipiero; parodia seria, se- feo di Poliziano, o al Cefalo di Niccolò da Cor- rissima dei Rerum vulgarium, ma dove l’in- reggio, o alle due commedie di Iacopo Nardi), sieme risultava diviso, come ho già anticipato, e il gliommero, genere teatrale napoletano affi- in due nuove parti, costruite sul fondamento ne alla frottola. Il prosimetro fin dal tardo Me- metrico: sonetti e canzoni. dioevo aveva guardato al De consolatione di Non solo. In materia di corretto uso lin- Boezio, ma ulteriori autorizzazioni trovò in Dan- guistico, persino Bembo non esitò, nelle Prose te, Boccaccio e soprattutto Sannazaro. Pur do- della volgar lingua, addirittura a correggere o po il grande successo dell’Orlando furioso di censurare gli stessi Boccaccio e Petrarca. Nel Ariosto, continuazione del quattrocentesco Or- III libro dell’opera, disapprovò l’uso dantesco lando innamorato (o Inamoramento de Orlan- e petrarchesco di avessi per la terza persona do) di Matteo Maria Boiardo, a secolo inoltra- singolare; sentenziò «fuori della toscana usan- to si aspirò a congedarsi dai modi del poema za», e quindi da evitare, forme presenti in Pet- cavalleresco per dare vita al «poema eroico» rarca, quali andassen, temprassen, addolcis- ostentatamente esemplato sull’epica antica. Nel sen, fossin, avessin; e pretese, in mala fede, poema L’Italia liberata da’ Gotti (1547) Gio- che nei versi «Ma ben ti prego che ‘n la terza van Giorgio Trissino, tentando di ricalcare da spera», del sonetto Sennuccio mio, e «il dì sesto vicino lo stile omerico, volle persino abbando- d’aprile in l’ora prima», del sonetto Tornami a nare l’ottava narrativa, la forma strofica dei mente, le espressioni ‘n la terza spera e in l’ora poemi cavallereschi, per l’endecasillabo sciol-

23 to, da lui reinventato quale preteso equivalente togallo, in Inghilterra, e ben più tardi in Ger- dell’antico esametro. Ma l’ottava narrativa sop- mania, dove il poeta trecentesco condivise il ravvisse, e l’endecasillabo sciolto divenne piut- successo con Giovan Battista Marino. E sti- tosto il metro del poema didascalico, e fu im- molò l’opera originale di poeti di qualità talvol- piegato in molte tragedie; non mancò, peral- ta più eccelsa di quella dei lirici italiani (parlare tro, almeno una sua rilevante ripresa epica con di semplici «influssi» in poesia e nelle arti è, in la traduzione in volgare dell’Eneide operata da linea di principio, sempre sbagliato). In Fran- Annibal Caro, la cui fortuna fu però settecen- cia, si volle anche cercare il sepolcro di Laura, tesca, non cinquecentesca. ad Avignone; e si credette d’averlo trovato, nel Non si ricorse ai modelli antichi per la liri- 1533. Artefice della presunta scoperta fu il raf- ca e la novellistica; ma, nella lirica, fra l’altro finatissimo poeta lionese Maurice Scève: cadde in disuso, come s’è accennato, una for- Nel millecinquecentotrentatrè, fu trovato in ma popolare come il toscano strambotto (ot- Avignone, per la molta diligenzia del molto dotto e tava d’endecasillabi, di schema rimico identi- virtuoso Messer Maurizio Sceva, in una sepoltura co a quello dell’ottava narrativa), già adottato antica d’una cappella della chiesa de’ frati Minori, anche dai poeti di corte. Ancora presente in una scatola di piombo chiusa con un filo di rame, Bembo, nel nuovo secolo esso tese a confon- dentro la quale era una membrana scrittovi il sot- dersi col polimorfo madrigale e con la «stan- toscritto sonetto e una medaglia con una figura d’una za» lirica. Dal Cinquecento – che pure san- Donna picciolissima da una banda e da l’altra nulla, zionò la definitiva marginalizzazione del latino con queste lettere attorno: M. L. M. I., le quai furo- come lingua letteraria – iniziò in Italia una spac- no dal medesimo Messer Sceva interpretate: catura totale fra poesia d’arte e poesia popola- MADONNA LAURA MORTA IACE; per li quali indizi e scritture è stato da molti con molta ragione re, come non accadde, ad esempio, in Spag- creduto che in quel luogo fusse sepolto il corpo di na. Per dirla con parole della Storia della let- quella Madonna Laura dal Petrarca amata. teratura italiana di Francesco De Sanctis: «Da ogni angolo d’Italia spuntavano sonetti e can- Anche Avignone diventò meta di pellegri- zoni. Le ballate, i rispetti, gli stornelli, le forme naggi letterari, e lo stesso re di Francia Fran- spigliate della poesia popolare, andarono a po- cesco I, trovandosi a passare per quella città, co a poco in disuso. Il petrarchismo invase rese omaggio al preteso sepolcro di Laura, e uomini e donne» (cap. XII). Si formò allora la «comandò che ei fusse e di marmi rifatto, e di comune lingua letteraria – distinta in prosasti- epitaffi in varie lingue ornato»; lo stesso sov- ca e poetica – che, sostanzialmente avallata rano compose un epitaffio, del quale trascrivo dall’Accademia della Crusca e pur via via ar- la seconda quartina: ricchita nello stesso Cinquecento (la lezione O gentill’Âme estant tant estimée, bembesca non fu mai accolta in ogni sua par- qui te pourra louer, qu’en se taisant? te), nell’età barocca e nel primo Settecento, Car la parole est tousjours réprimée, ebbe vigore in Italia fino alla metà del XVIII quand le subiet surmonte le disant.16 secolo. Culto di Petrarca, ma anche fortuna delle Fu soprattutto grazie al petrarchismo lirico Rime di Pietro Bembo (e dei lirici italiani del italiano, diffuso anche mediante alcune anto- logie allestite in Italia, che il culto del Petrarca 16 volgare si affermò nell’Europa occidentale: in Il Petrarca con nuove spositioni, In Lyone, Appresso Gulielmo Rouillio, 1574, [ 36–38]. Vd. anche F.-R. DE Francia anzitutto, ma anche in Spagna, in Por- CHATEAUBRIAND, Mémoires d’outre-tombe, XIV, 2.

24 tempo) e, insieme, dei suoi platonizzanti Aso- lo il grande poeta (i grandi poeti del Cinque- lani – fino, almeno, al celebre congedo di Mon- cento furono, in Italia, narratori in versi: Arios- taigne: «Laissons là Bembo et Équicola» (Es- to, Folengo, Tasso); e in molti casi sarebbe says, III, 5). Congedo dai trattati d’amore – il difficile distinguere una personalità dall’altra, cui successo era stato inseparabile da quello talora anche fra i migliori. Si potrebbe inoltre del petrarchismo – a vantaggio dell’amore sostenere che il culmine del petrarchismo ita- concreto: «Mon page fait l’amour et l’entend». liano non si ebbe fra le raccolte liriche del se- Il petrarchismo non fu solo una moda let- colo, ma nella Gerusalemme liberata di Tor- teraria e del costume, e i frutti che produsse quato Tasso. non vanno cercati unicamente tra i verseggia- Lo stesso Bembo, «scrittore tepido», co- tori del tempo. L’ammirazione per Petrarca me lo definì Ugo Foscolo nei Vestigi della sto- condusse, in Italia, a importanti commenti al ria del sonetto italiano (1815), ha momenti di Canzoniere; e a porsi il problema di una giusti- raffinata e non sottovalutabile astrazione, co- ficazione teorica del genere lirico, per la quale me in questo sonetto tardo, pubblicato nella nessun lume era giunto dall’antichità. Le ris- stampa del 1548: poste a quest’ultimo quesito furono varie: al- Sì levemente in ramo alpino fronda cuni negarono che la lirica fosse poesia (lo negò non è mossa dal vento o spica molle ancora Francis Bacon); altri sostennero che in colto e verde poggio o nebbia in colle fosse un genere misto di epica e di drammati- o vaga nel ciel nube e nel mar onda, ca; altri ancora, più felicemente, la inquadra- come sotto bel velo e treccia bionda rono entro la tradizionale dottrina platonico- in picciol tempo un cor si dona e tolle, aristotelica della mìmesis, asserendo che ac- e disvorrà quel che più ch’altro volle, canto alla mìmesi delle azioni era possibile an- e di speranze e di sospetti abonda. che una mìmesi delle passioni; e altri invece pretesero di farla rientrare nella dottrina della Gela, suda, chier pace e move guerra: nostra pena, Signor [= Amore], che noi legasti mìmesi delle azioni. a così grave e duro giogo in terra. 4. Se Pietro Bembo fu, come ho detto, un Se non che sofferenza ne donasti; grande letterato, un esperto foggiatore di versi con la qual chi le porte al dolor serra, 18 e fornitore di atteggiamenti e stilizzazioni lette- pur vive, e par che prova altra non basti. rari che fecero scuola, altri trovarono, pur at- Il più universalmente noto, se non altro di traverso l’imitazione di Petrarca, una lor via nome, dei lirici italiani cinquecenteschi (a par- più rilevata. Il petrarchismo fu, per dirla con te Torquato Tasso) è certamente Michelange- Francesco Flora, «una disciplina degnissima», lo Buonarroti, di soli cinque anni più giovane e certo «i mediocri che petrarcheggiarono sa- di Pietro Bembo. E che la fama del poeta sia rebbero stati ugualmente mediocri se avesse- anzitutto un riflesso di quella del grandissimo ro coltivato l’ideale della poesia popolaresca e artista figurativo è altrettanto certo. Anzitutto; della lingua vicina al mitico popolo».17 Non ma non soltanto. bisogna cercare fra i lirici italiani di quel seco- 18 Vd. il commento di C. DIONISOTTI, in P. BEMBO, Prose e rime, cit., 595. In questo volume, il curatore 17 F. FLORA, Storia della letteratura italiana, vol. II, riproduce l’edizione definitiva delle Rime del 1548; nei Milano, Mondadori, 1966 (ristampa della quindicesima citati Poeti del Cinquecento, Guglielmo Gorni riproduce edizione), 214. invece l’edizione del 1530.

25 Benedetto Varchi redasse, già nel 1547 testimonia lo stesso Berni nel celebre capitolo (1546 in stile fiorentino), una lezione, letta A Fra Bastian del Piombo, del 1534, nel qua- all’, sul suo sonetto Non le Michelangelo è elogiato, oltre che come pit- ha l’ottimo artista; la lezione fu pubblicata nel tore e scultore, come poeta platonizzante: 1549, e da allora, com’è stato detto, quel so- Ho visto qualche sua composizione: netto «ha costituito quasi il punto di partenza sono ignorante, e pur direi d’avelle d’ogni studio sull’arte del maestro, caricato lette tutte nel mezzo di Platone. via via dei significati che i vari orientamenti del gusto esigevano».19 Come scrittore in versi, Sì ch’egli è nuovo Apollo e nuovo Apelle: Michelangelo fu elogiato da altri contempora- tacete unquanco, pallide vïole, nei: Pietro Aretino, Francesco Berni, Donato e liquidi cristalli e fere snelle; Giannotti, Lodovico Dolce. Berni lo contrap- ei dice cose, e voi dite parole; pose al più vacuo petrarchismo. Ma la sua pro- così, moderni voi scarpellatori, duzione poetica, che include anche prove asc- e anche antichi, andate tutti al sole. rivibili al filone burlesco, ed è in massima par- Suoi madrigali furono musicati da compo- te «del tramonto, non dell’alba della [sua] vi- sitori contemporanei, e pubblicati con le loro ta»,20 ebbe per molto tempo circolazione qua- musiche: Bartolomeo Tromboncino vestì di no- si esclusivamente manoscritta e frammentaria te il madrigale Com’arò dunque ardire, e il (un progetto di parziale ordinamento, del 1542– fiammingo Giacomo Arcadelt i madrigali Spar- 1546 circa, non si sa se in vista della stampa o gendo il senso e Deh dimmi, Amor. Il capitolo di un riassetto privato, dovuto a Luigi Del Ric- in terza rima col quale rispose, da Roma, a cio, Giannotti e lo stesso Michelangelo, e com- quello di Berni fu pubblicato anonimo in ap- prendente rime dedicate a due donne – in una pendice a un’edizione delle rime burlesche del- delle quali si riconosce generalmente Vittoria Colonna -, non giunse mai in porto);21 come lo stesso Berni del 1538. Suoi testi furono ci- tati nei Dialogi de’ giorni che Dante consumò 19 U. BOSCO, «Non ha l’ottimo artista…», in Saggi sul nel cercare l’inferno e ‘l purgatorio di Donato Rinascimento italiano, Firenze, Le Monnier, 1970, 77. Giannotti; nella lezione di Varchi su Non ha 20 A. FARINELLI, Michelangelo poeta, in Michelan- gelo e Dante e altri brevi saggi, Milano-Roma, Bocca, l’ottimo artista è citato anche il madrigale Il 1918, 9. mio refugio; e la celebre quartina Grato m’è il 21 Su questo incompiuto canzoniere (se tale è), sonno fu pubblicata da Giorgio Vasari nelle due identificato per la prima volta da Carl Frey (281–293 dell’edizione citata qui, alla nota 30), vd. R. FEDI, Il edizioni delle sue Vite. Due sonetti furono rac- canzoniere (1546) di Michelangelo, in La memoria della colti da Dionigi Atanagi nel volume Rime di poesia, cit., 624–305, e «L’imagine vera». Vittoria diversi nobili poeti toscani (1565). Ma la pri- Colonna, Michelangelo e un’idea di canzoniere, in «Mo- dern Language Notes», CVII (1992), 46–73; ma raccolta a stampa di 137 sue poesie fu cu- L. GHIZZONI, Indagine sul “canzoniere” di Michelange- rata solo nel 1623 dal pronipote suo omoni- lo, in «Studi di filologia italiana», XLIX (1991), 167– mo, e lui stesso scrittore, il quale non esitò a 187; G. GORNI, Casi di filologia cinquecentesca: Tasso, Molza, Da Porto, Michelangelo, in Per Cesare Bozzetti. rivederne la lingua e lo stile, e persino a integ- Studi di letteratura e filologia italiana, a cura di S. Albonico, rare con versi di sua invenzione i pezzi incom- A. Comboni, G. Panizza, C. Vela, Milano, Fondazione piuti, e a correggere i luoghi teologicamente o Arnoldo e Alberto Mondadori, 1996, 425–442. Inoltre: C. SCARPATI, Michelangelo poeta dal “canzoniere” moralisticamente ormai inaccettabili (i versi alle rime spirituali, in Invenzione e scrittura. Saggi di composti per Tommaso Cavalieri diventarono letteratura italiana, Milano, Vita e Pensiero, 2005, 101– poesie rivolte a una destinataria femminile). So- 128. È molto singolare che il presunto canzoniere iniziasse con un madrigale (Il mio refugio…). lo nel 1863 si ebbe la prima e più ricca edizio-

26 ne condotta sugli originali, curata dal beneme- critico inglese John Addington Symonds, biog- rito Cesare Guasti; un’altra importante e più rafo dell’artista toscano e traduttore dei Com- accurata edizione fu pubblicata a Berlino da plete of Michelangelo Buonarroti and Carl Frey nel 1897.22 Un segno del prestigio Tommaso Campanella (1878); e Georg Sim- di cui anche la sua poesia è circondata, sop- mel. Nel Novecento, gli scrittori italiani Gio- rattutto dal primo Ottocento (nella sua Storia vanni Papini, Eugenio Montale, Vittorio Sere- della letteratura italiana, Girolamo Tirabos- ni, e il molto euforico Giovanni Testori. Un’opi- chi, trattando di Michelangelo artista figurati- nione del tutto positiva espresse un maestro vo, s’era limitato a riconoscergli che «per qu- del Modernismo, Ezra Pound, in uno dei suoi est’arte ancora [la poesia] avea egli ricevuta principali scritti critici, The Spirit of Roman- felice disposizion dalla natura»),23 è costituito ce. Rainer Maria Rilke, che rievocò con com- dall’interesse riversato su essa, nel corso del mozione nello Stundenbuch la lettura di Mi- tempo, anche da grandi poeti e grandi letterati chelangelo, tradusse alcuni sonetti; nel secon- e filosofi (per tacere degli importanti studiosi do Novecento, si cimentò come traduttore dei che da essa furono attratti). È vero che Gia- suoi componimenti anche il poeta italo-ameri- como Leopardi la escluse dalla sua Crestoma- cano Joseph Tusiani (1960). Nel luglio del zia italiana poetica (1828), e che a essa non 1950, a Zurigo, Thomas Mann lesse con tras- dedicò un rigo il maggior critico italiano del porto e rapidamente un’edizione bilingue di Ri- XIX secolo, Francesco De Sanctis. Ma di es- me scelte di Michelangelo Buonarroti, e in po- sa si fece traduttore William Wordsworth chi giorni scrisse, immediatamente dopo, a (1806); e due scritti su Michelangelo poeta – St. Moritz, l’importante saggio pubblicato nello positivi, pur se non privi di riserve – pubblicò stesso anno sulla rivista zurighese «Du» col Ugo Foscolo, nel 1822 e nel 1826 (del 1821 titolo, presumibilmente redazionale: Michelan- era l’edizione parigina delle Rime curata da Gio- gelo in seinen Dichtungen. Il saggio è oggi safatte Biagioli). The Poetry of Michelangelo noto col titolo voluto dall’autore: Die Erotik è l’argomento d’un saggio di Walter Pater, pub- Michelangelo’s. I diari del grande romanziere blicato in rivista nel 1871 e poi raccolto nel tedesco lasciano intravedere (in particolare, suo volume più influente: Studies in the Histo- sotto la data 20 luglio 1950) l’intreccio retros- ry of the (1873), oggi noto col tante di una sua improvvisa e fuggevole pas- titolo definitivo della seconda edizione (1877) sione omoerotica e della scoperta commossa The Renaissance: Studies in Art and Poetry. di quelle che chiama senz’altro le «confessio- Sulla poesia di Michelangelo scrissero, nel se- ni di Michelangelo». Nel saggio definisce le condo Ottocento, Camillo Boito, novelliere, e ammirate liriche dell’artista toscano «poesia allo apprezzato architetto e critico e teorico dell’ar- stato selvaggio: […] si tratta più degli sfoghi chitettura e del restauro architettonico; l’illustre di dolore, di amarezza, d’amore e di miseria d’un’anima grande, grandissima, la quale at- 22 Una nuova edizione critica, diversamente impostata, traverso la bellezza, tra le sofferenze, anela a fu curata da Enzo Noè Girardi (Bari, Laterza, 1960). Dio, che di vere e proprie poesie». Accosta il Eccellente è inoltre l’edizione delle Rime michelangio- lesche curata da M. Residori, Milano, Mondadori, 1998. rapporto intrattenuto da Michelangelo con Vit- Di GIRARDI, si vedano gli Studi su Michelangelo scrittore, toria Colonna a quello di Goethe con Charlotte Firenze, Olschki, 1974. von Stein; e sottolinea il «notevole influsso» 23 G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, che avrebbe esercitato la lirica michelangio- t. VII, Parte quarta, Venezia, senza stampatore, 1796, 1543. lesca su August von Platen, poeta apprezzatis-

27 simo da Mann, vissuto a lungo in Italia – e gabili difficoltà espressive; né Michelangelo anch’egli omosessuale, quale tendenzialmente era letterariamente uno sprovveduto (fra l’al- fu lo stesso scrittore di Lubecca. Un verso tro, aveva fama di conoscere a memoria la platonizzante di Platen è citato in altro luogo Commedia dantesca), come non lo erano in del saggio. Ma non meno significativo è il rie- genere gli artisti fiorentini del tempo, e con cheggiamanto segretamente allusivo di una fra- letterati fu in rapporti e corrispondenza, an- se del Tod in Venedig, là dove Aschenbach si che in versi. Inoltre, più che quella della con- ripeteva, con Platone, che l’amante è più divi- fessione, la componente predominante in lui no dell’amato perché in quello, e non in ques- è la meditazione (nei momenti minori, il gio- to, è il dio. (Sul saggio, un interessante cenno co intellettualistico), che ha potuto ricordare è anche nella lettera di Mann a Agnes E. Mey- a taluno i sonetti di Shakespeare, e persino i er del 30 agosto 1950). metafisici inglesi e John Donne. La sua po- Anche Pater riteneva che l’interesse di qu- esia appare peraltro lontana da quell’armonia elle poesie risiedesse «nel fatto di farci assis- ed equilibrio propri di Petrarca, e a cui aspi- tere a questa lotta: la lotta d’una passione de- ravano molti lirici cinquecenteschi. Suoni asp- solante, che anela a essere rassegnata e dolce ri, oscurità concettose, durezze, contorsioni, e pensosa come quella di Dante. È per via del riuscite talvolta non più che frammentarie o suo carattere occasionale e alla buona, che la epigrammatiche sono fra le sue caratteristi- sua poesia ci porta più vicino a lui, al suo spi- che. Cito alcuni versi d’un sonetto nel quale rito e al suo temperamento, di quanto non po- ritrae caricaturalmente sé stesso nell’atto di trebbe qualunque opera fatta solo per sostene- dipingere un soffitto, con allusione forse re una riputazione letteraria». Occasionale e all’immane fatica dell’impresa della volta del- alla buona, dunque, la poesia michelangioles- la Cappella Sistina (nel manoscritto, accanto ca; il giudizio del maestro di Oxford non la al sonetto è il disegno d’un pittore che, eretto riduce, come quello di Mann, a nobile e tor- e tendendo il braccio, delinea una figura su mentata confessione non artisticamente subli- un soffitto o una volta), e alle prolungate po- mata, ma ne sottolinea il carattere incòndito. sizioni contorte che il suo corpo doveva as- Lo stesso Michelangelo, nel capitolo col quale sumere: il ventre sembra essergli risalito per rispondeva a quello citato di Berni, dichiarava il torace fino a formare una sorta di gozzo modestamente: sotto il mento; la faccia è forzatamente pro- iettata verso l’alto e la nuca tocca la schiena; […] rosso diveng’assai, pensando a chi la mando [la risposta], il petto s’incurva sporgente come quello del- send’il mio [verso] non professo, goffo e grosso.24 le donne-uccelli, le arpie; sul viso gocciolano dal pennello i colori, rendendolo simile a un Vero è, invece, che le molte varianti con- pavimento policromo. Il sonetto sarebbe sta- servate dei suoi versi documentano un lavo- to quindi composto tra il 1508 e il 1512. Si è rio e un’incontentabilità rari, pur tra le inne- sottolineata la componente burchiellesca (non spinta però, come spesso accade nel poeta 24 Il capitolo fu scritto da Michelangelo fingendo che quattrocentesco, fino al grottesco nonsenso) a rispondere fosse Sebastiano del Piombo, al quale Berni presente nel componimento; ma elementi co- s’era indirizzato; ma questa dichiarazione di modestia non può riguardare che la sua stessa prassi versificatoria. mici della poesia fiorentina in voga nella gio- (Nella sua Vita di Sebastiano del Piombo, Giorgio Vasari vinezza di Michelangelo tornano anche in al- lo attribuì invece al pittore veneziano). tri suoi testi:

28 I’ ho già fatto un gozzo in questo stento, le», il sonetto è l’espressione d’un desiderio di come fa l’acqua a’ gatti [= contadini] in Lombardia, possesso carnale, o della sua finzione. o ver d’altro paese che si sia, Converrebbe tentar di scandire nel tempo i c’a forza ‘l ventre apicca sotto ‘l mento. temi e i modi della poesia di Michelangelo, sot- La barba al cielo, e-lla memoria [= nuca] sento tolineando anche la persistenza di alcuni. In in sullo scrigno [= gobba, schiena], e ‘l petto primis, la ricorrente concezione platonico-fi- fo d’arpia, ciniana del Bello (sottolineata, a suo modo, già e ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia da Francesco Berni), per cui mel fa, gocciando, un ricco pavimento. né Dio, suo grazia, mi si mostra altrove […]. più che ‘n alcun leggiadro e mortal velo; 26 Di un Michelangelo trentenne, probabilmen- e quel sol amo perch’in lui si specchia. te tra i suoi «primi» (come precisò il pronipo- Sono gli ultimi versi d’un sonetto compos- te), è anche quest’altro, che piacque a Bene- to per Tommaso Cavalieri, ed è proprio l’amore detto Croce, e nel quale è variato un antico per questo giovane ad ispirare a Michelangelo tema anacreontico ed ellenistico, forse conos- i suoi versi platonizzanti; nello stesso compo- ciuto dall’artista attraverso le riprese d’alcuni nimento si legge anche: lirici quattrocenteschi (Serafino Aquilano, Te- Questo [= l’anima] sol m’arde e questo m’innamora, baldeo): l’innamorato invidia i panni e gli og- non pur di fuora il tuo volto sereno. getti che coprono e stringono il corpo della bella: Si noti l’identificazione del Bello con Dio: il platonismo s’intreccia con una religiosità Quanto si gode, lieta e ben contesta persuasa, che diventa il motivo prevalente di fior sopr’a’ crin d’or d’una, grillanda, dell’ultima produzione poetica di Michelan- che l’altro inanzi l’uno all’altro manda, come ch’il primo sia a baciar la testa! gelo. Se già Savonarola aveva sottolieato la sostanza spirituale della stessa bellezza uma- Contenta è–tutto il giorno quella vesta na, accogliendo quanto da parte sua era ac- che serra ‘l petto e poi par che si spanda, coglibile del platonismo fiorentino coevo, al- e quel c’oro filato si domanda tre componenti savonaroliane si integrano con le guanc’e ‘l collo di toccar non resta. le dottrine valdesiane condivise da Vittoria Ma più lieto quel nastro par che goda, Colonna e dal suo circolo. Anteriori all’incon- dorato in punta, con sì fatte tempre tro con la vedova del marchese di Pescara che preme e tocca il petto ch’egli allaccia. sono questi versi (dal sonetto incompiuto Vi- E-lla schietta cintura che s’annoda vo al peccato): mi par dir seco: qui vo’ stringer sempre. mie ben dal ciel, mie mal da-mme m’è dato, Or che farebbon dunche la mie braccia?25 dal mie sciolto voler, di ch’io son privo, Composto quasi certamente alla fine del i quali furono censurati e modificati dal proni- 1507, questo testo è anteriore alla riforma bem- pote, che vi colse la vicinanza a dottrine teolo- besca. Un indizio ne è anche la dettagliata sen- giche definitivamente condannate (non anco- sualità che lo pervade; e se davvero, come vuo- ra, però, negli anni in cui l’artista scriveva i le G. Gorni, cintura designa «la zona vergina- suoi versi): la negazione del libero arbitrio e

25 Nel commento citato qui alla nota 1, 585. 26 Sonetto Per ritornar.

29 l’assolutezza e gratuità della redenzione divi- e qui si chiama amore. na.27 Né altro ha il gentil core Un dipinto ottocentesco di Cesare Maccari che l’innamori e arda, e che ‘l consigli, (Siena, Società di Esecutori di Pie Disposizio- c’un volto che negli occhi lor somigli. ni) raffigura Vittoria Colonna in meditazione Non intendo proporre un mio florilegio di su di un madrigale dedicatole da Michelange- poesie e frammenti michelangioleschi, come a lo.28 Ma destinatario dell’intensa lirica plato- suo modo intese fare circa settanta anni fa Gian- nizzante (era tra quelle raccolte per il progetto franco Contini,29 il che richiederebbe un trop- di stampa a cui ho fatto cenno), ostentata dal- po lungo discorso; e chiudo trascrivendo tre la mano sinistra della donna e chiaramente leg- testi degli ultimi anni. Sono sonetti religiosi e gibile, a partire da Carl Frey è invece general- di pentimento: mente ritenuto Tommaso Cavalieri; dell’equi- Giunto è già ‘l corso della vita mia voco è responsabile l’edizione del 1623: con tempestoso mar, per fragil barca, Gli occhi mie vaghi delle cose belle al comun porto, ov’a render si varca e l’alma insieme della suo salute conto e ragion d’ogni opra trista e pia. non hanno altra virtute Onde l’affettüosa fantasia c’ascenda al ciel, che mirar tutte quelle. che l’arte mi fece idol e monarca, Dalle più alte stelle conosco or ben com’era d’error carca, discende uno splendore e quel ch’a mal suo grado ogn’uom desia. che ‘l desir tira a quelle, Gli amorosi pensier, già vani e lieti, che fien or, s’a duo morte m’avicino? 27 Sulla religiosità di Michelangelo, vd. G. SPINI, Politicità di Michelangelo, in Atti del convegno di studi D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia. michelangioleschi, Firenze-Roma 1964, a cura di Né pinger né scolpir fie più che quieti G. Gronchi, Roma, Ateneo, 1966, 110–170; U. BOSCO, Michelangelo poeta, in Saggi sul Rinascimento, cit., l’anima, volta a quell’amor divino 68–82; G. SPINI, Per una lettura teologica di ch’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia. Michelangelo, in «Protestantesimo», XL (1989), 2–16; E. CAMPI, Michelangelo e Vittoria Colonna. Un dialogo Ritenuto già da Carl Frey il miglior sonetto artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino, e altri dell’artista toscano,30 in esso l’artista, che al- saggi di storia della Riforma, Torino, Claudiana, 1994; trove ha sottolineato la propria decadenza cor- M. BIANCO e V. ROMANI, Vittoria Colonna e Miche- porale (come nel capitolo I’ sto rinchiuso, langelo, nel catalogo Vittoria Colonna e Michelangelo, a cura di P. Ragionieri, Firenze, Mandragora, 2005, dov’è s’è descritto «dilombato, crepato, in- 143–164. La marchesa di Pescara donò a Michelangelo, franto e rotto»), sente vicina la morte fisica e nel 1540 o 1541, una raccolta di proprie rime spirituali; si teme per quella spirituale, e sembra ripudiare, tratta del Codice Vat. Lat. 11539, sul quale vd. E. CARUSI, non solo i trascorsi amorosi, ma persino l’ap- Un codice sconosciuto delle «Rime spirituali» di Vittoria Colonna, appartenuto forse a Michelangelo Buonarroti, in Atti del IV congresso nazionale di studi romani, a cura di C. Galassi Paluzzi, IV, Roma, Istituto di Studi Romani, 29 G. CONTINI, Una lettura su Michelangelo, in 1938, 231–241; C. SCARPATI, La rime spirituali di Esercizî di lettura, Torino, Einaudi, 1974, 242–258 Vittoria Colonna nel codice Vaticano donato a Miche- (stampato per la prima volta nel 1937, sulla «Rivista langelo, in Invenzione e scrittura, cit., 129–162. rosminiana», col titolo, più pregnante: Il senso delle 28 Una riproduzione del quadro è consultabile nel cose nella poesia di Michelangelo). catalogo della grande mostra viennese del 1997, Vittoria 30 Die Dichtungen des Michelagniolo Buonarroti, Colonna, Dichterin und Muse Michelangelos, a cura di herausgegeben und mit kritischen Apparate versehen von S. Ferino-Pagden, Wien, Kunsthistorisches Museum Dr. Carl Frey, Berlin, De Gruyter, 1964, 486 (ristampa Wien/Skira, 1997, 488. anastatica dell’ed. berlinese del 1897).

30 pagamento fornitogli in passato dall’esercizio Scarco d’un’importuna e greve salma, della pittura e della scultura.31 «L’arte e la morte Signor mie caro, e dal mondo disciolto, non va bene insieme», sentenzia un suo fram- qual fragil legno a te stanco rivolto mento coevo; e nel capitolo I’ sto rinchiuso, da l’orribil procella in dolce calma. aveva del pari ripudiato i propri versi amorosi, Le spine e ’ chiodi e l’una e l’altra palma i propri schizzi artistici e i «bambocci» da lui col tuo benigno umil pietoso volto figurati. prometton grazia di pentirsi molto, In quest’altro sonetto, tra i più antologiz- e speme di salute a la trist’alma. zati, oltre al sentimento della morte vicina e Non mirin co’ iustitia i tuo sant’occhi della propria fragilità, vi è un’invocazione d’ai- il mie passato, e ‘l gastigato orecchio; uto; giacché per Michelangelo, come osser- non tenda a quello il tuo braccio severo. vava Umberto Bosco, «senza l’aiuto diretto di Tuo sangue sol mie colpe lavi e tocchi, Dio non è possibile pentirsi, non è possibile e più abondi, quant’i’ son più vecchio, neppure pregare […]: l’abbandonata preghie- di pronta aita e di perdoni intero.33 ra è la nota suprema del [suo] canzoniere […], il punto di arrivo dell’anima stanca»:32 Ho ricordato i giudizi di illustri personalità sulla poesia di Michelangelo; voglio ora chiu- Carico d’anni e di peccati pieno dere questa breve trattazione trascrivendo qu- e col trist’uso radicato in fronte, vicin mi veggio a l’una e l’altra morte, ello di un grande e coltissimo critico d’arte, e parte ‘l cor nutrisco di veleno. che fu anche un notevole scrittore, il lituano- americano Bernard Berenson, che da Pater eb- Né propie forze ho, c’al bisogno sièno be la prima vera iniziazione all’arte: per cangiar vita, amor, costume o sorte, senza le tuo divine e chiare scorte, Bisognerebbe […] studiare se la forma del so- d’ogni fallace corso guida e freno. netto, in quel preciso periodo, al punto a cui era giunta attraverso lo sforzo dei petrarchisti, fosse Signor mie car, non basta che m’invogli tale da permettere l’espressione di quella ruvidità e c’aspiri al ciel sol perché l’alma sia, asperità che è nel fondo dell’animo di Michelangelo non come prima, di nulla, creata. (come la permetteva la scultura) e che non è una Anzi che del mortal la privi e spogli, forma di rozzezza o una prova d’ignoranza, ma prego m’ammezzi l’alta e erta via, l’essenziale della sua arte. Letterariamente, Miche- e fie più chiara e certa la tornata. langelo non era ignorante; si era nutrito di Petrarca, aveva vissuto nell’eco del Poliziano e dei Medici, e Scarco d’un’importuna è uno dei compo- l’entusiasmo della poesia l’aveva posseduto fin dai nimenti in cui più esplicita si esprime una spi- giovani anni. I sonetti son dei suoi anni più vecchi; ritualità condivisa col circolo di Vittoria Co- ma così sono le sue sculture meno finite: dalle molte lonna (il pentimento stesso e la salvazione co- Pietà al gruppo di Palestrina – se è suo. E dunque me doni di Dio, il «beneficio di Cristo»). Sin- nella scultura si vede la stessa ruvidità che nei suoi golare è il costrutto nominale della prima qu- versi; non è l’imperizia dello scrittore a renderli artina:

31 Un buon commento al sonetto Giunto è già ‘l corso 33 Un’analisi delle componenti teologiche del sonetto si legge in C. RYAN, The Poetry of Michelangelo. si legge in E. CAMPI, «Non vi si pensa quanto sangue An Introduction, London, The Athlone Press, 1998, costa!». Michelangelo, Vittoria Colonna e Bernardino 205–209. Ochino, in Michelangelo e Vittoria Colonna, cit., 32 U. BOSCO, Michelangelo poeta, cit., 75. 62–63.

31 duri, magari insoddisfacenti. Faccio domande, non della cui poesia lo stesso Momigliano diede in- espongo conclusioni; e vorrei che altri, con più ge- vece nella sua Storia una valutazione strana- nuino senso della letteratura italiana, rispondesse.34 mente sbrigativa e molto riduttiva, nettamente privilegiando il Galateo. 5. Ho indugiato sulla poesia di Michelange- Quattro sonetti dell’aristocratico cosenti- lo, anch’io suggestionato, come tanti suoi let- no Galeazzo di Tàrsia (1520 circa–1553 cir- tori, dal suo difficile e, nei momenti più deboli, ca), quinto barone di Belmonte, e fratello di un lambiccato fascino. Non per questo ritengo, altro verseggitore: Tiberio, furono pubblicati, come altri, che l’artista toscano sia il maggior postumi, nel XVI secolo: A voi de’ fondi e lirico italiano del Cinquecento. Anche a me S’affaticano invan, accolti nel 1585 in una mis- sembra anzi che il tentativo di stabilire chi sia cellanea di rime in onore di Giovanna Castrio- stato il «maggiore» dei lirici di quel secolo equi- ta Carrafa; e Chiaro e di vero onor e Roma, le 35 valga a mettersi su una strada sbagliata. Di palme tue stampati nelle Seste rime di Laura grandi poeti non ve ne furono, entro quell’àm- Terracina (1558). Solo nel 1617 il napoletano bito. Ma alcuni spiccano sul folto gruppo, e Giovambattista Basile, il maggior narratore del non sono pochissimi; di altri è possibile rinve- Barocco italiano, pubblicò col titolo di Rime nire, a una paziente lettura, decorosi compo- una sua raccolta di 34 sonetti, una canzone e nimenti – ed è il caso dello stesso Bembo, le un madrigale. Ristampe e nuove edizioni delle cui Rime sono, certo, “storicamente impor- liriche di Galeazzo si ebbero nel XVII e nel tanti” (e non dimentico le ironie di un Beren- XVIII secolo, e successivamente. Di partico- son e di un Roberto Longhi sugli artisti giudi- lare importanza è quella napoletana del 1758, cati “storicamente importanti”), ma dal rispet- comprendente la cifra canonica di cinquanta to artistico non sopravvalutabili. Nel secondo componimenti, e servita di base alla prima e Ottocento, molti avrebbero posto in cima il no- unica vera edizione critica.36 Va detto che, me di Gaspara Stampa, ingannati e sedotti dal- fino alla fine del XIX secolo, artefice di quel- la sua fama di amante appassionata e infelice. le rime fu ritenuto un altro Galeazzo di Tàr- L’autore di una delle più belle storie novecen- sia, vissuto fra Quattro e Cinquecento, terzo tesche della letteratura italiana, Attilio Momig- barone di Belmonte, e nonno del Galeazzo a liano, diede invece la palma a Galeazzo di Tàr- cui esse sono ora attribuite, a partire dall’edi- sia. Oggi più d’uno studioso italiano non esite- zione del Canzoniere (tale il titolo scelto) cu- rebbe a fare il nome di Giovanni Della Casa, rato da Francesco Bartelli nel 1888. Attribui- te, ma non senza incertezze; perché l’ombra del nonno, quale autore almeno in parte delle 34 U. MORRA, Colloqui con Berenson, Milano, Rime, continua, inquietandoli, ad aleggiare fra Garzanti, 1963, 154. In chiusa, ricordo lo scritto, di gli studiosi.37 grande finezza, di P. L. DE VECCHI, Studi sulla poesia di Michelangelo, in «Giornale storico della letteratura italiana», CXL (1963), 30–66 e 364–402. Un tentativo di stabilire delle corrispondenze tra il modo di lavorare 36 G. DI TARSIA, Rime, edizione critica a cura di del Michelangelo poeta e quello del Michelangelo scultore C. Bozzetti, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto fu fatto da Valerio Mariani; vd. il suo studio Poesia di Mondadori, 1980. Bozzeti pubblica in appendice quattro Michelanhelo, Roma, Fratelli Palombi, 1941. componimenti «rifiutati ed extravaganti» (177–192). 35 Vd. al riguardo anche B. CROCE, La «lirica» 37 Sulla questione, vd. da ultimo T. R. TOSCANO, cinquecentesca, in Poesia popolare e poesia d’arte. Studi Galeazzo di Tarsia: indizi per la riapertura di una pratica sulla poesia italiana dal tre al cinquecento, Bari, Laterza, archiviata, in L’enigma di Galeazzo di Tarsia, Napoli, 19574, 356–357. Loffredo, 2004, 11–66.

32 Un canzoniere, anche quello di Galeazzo, segno, foss’anche velleitario, d’un organico privo del rigore e delle motivazioni autentica- “romanzo” spirituale. mente petrarchesche, ma pur sempre canzo- La sua poesia, giudicata positivamente, ma, niere amoroso e talvolta platonizzante, dedica- al solito, in termini molto generici e retorici da to a più donne, racchiuso infatti, si dice, tra Girolamo Tiraboschi (le sue Rime «si annove- un sonetto proemiale e un sonetto conclusivo. rano giustamente tra quelle che per forza in- Ben diverso, quest’ultimo (ma non unico, nel sieme e per eleganza non han molte uguali»),38 quadro generale), anche si dice, dai più con- ebbe un estimatore anche in Foscolo, il quale sueti finali di pentimento; e in effetti non si nei Vestigi della storia del sonetto italiano ne apre ad alcuna, manierata o sincera, prospetti- sottolineò la vena schiva e spiritualmente aris- va o speranza ultraterrena e preghiera di soc- tocratica, riprendendo e volgendo a significa- corso (quella che pure chiudeva la sestina Co- zione più pregnante un’osservazione del lette- me nocchier). Giocato su traslati preziosi e at- rato ed erudito settecentesco Anton Federico tinti al mondo minerale, non nuovi ma caratte- Seghezzi: «scrisse poco, e per sé, e come uo- ristici delle sue Rime (viva selce, gelidi smal- mo che non sa né vuole imitare, e che insieme ti, saldi marmi, freddo sasso, bel marmo), in non affetta di battere nuove strade». Suoi ver- esso l’autore proclama la sua disperazione si lo stesso Foscolo riecheggiò nella prosa delle amorosa: Ultime lettere di Jacopo Ortis e nei Sepolcri. Naturalmente il Galeazzo del poeta italo-greco Viva selce, onde uscì la viva e pura fiamma che avrà vigor cenere farmi, era il nonno, terzo barone di Belmonte. e che d’asprezza incontro me più t’armi Il sonetto Bellezza è un raggio, d’ambizio- quanto Amor più m’accende e rassicura, ni “metafisiche”, ma pur sempre culminante nell’iperbole d’un discorso amoroso (si veda- quando fia che pietade o mia ventura no gli ultimi due versi), merita di non essere de l’usato rigor sì ti disarmi che i tuoi gelidi smalti e saldi marmi confuso nella massa dei versi platonizzanti del vestan nuova e più bella altra natura? tempo: O felice colui che freddo sasso, Bellezza è un raggio che dal primo bene onde avesser poi fin gli aspri martiri, deriva, e in le sembianze si comparte: ebbe tosto a mirar tenero e molle! voci, linee, color comprende e parte e ciò che piace altrui pinge e contiene. Io, perché intorno a più bel marmo, ahi lasso, adopri ingegno, stil, pianti e sospiri, Ne’ sensi e poi ne gl’intelletti viene pur di mollirlo in parte il Ciel mi toglie. e mostra in un forme divise e sparte; pasce e non sazia, e cria di parte in parte (Viva selce e bel marmo alludono al cog- di sé desire e di letizia spene. nome della donna a cui sonetto è rivolto: Vit- Falde fiorite ond’orïente luce, toria Colonna, e – con gelidi smalti e saldi oro, perle, rubin, smeraldi ed ostro, marmi – alla sua crudeltà e indifferenza. La onda tranquilla, alto fulgor di stelle, prima terzina allude al mito di Pigmalione). Ma è davvero questo il progettato sigillo del chioma di sole e l’altre cose belle presunto canzoniere? E davvero le Rime cos- son di lei picciol’ombra; ma dal vostro tituiscono un canzoniere? Che si possano in- real sembiante a noi sola traluce. dividuare nella raccolta alcuni gruppi di liri- 38 G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, che, non equivale certo a riconoscervi il di- t. VII, Parte terza, cit., 1125.

33 Un’immagine come questa (dal sonetto Vide ta formazione umanistica, e come loro fu au- vil pastorel) può richiamare alla mente il ri- tore esperto in volgare e in latino, in prosa e in cordo d’un celebre dipinto di Giorgione con- versi. I suoi componimenti poetici latini spic- servato a Dresda, quasi schizzo preparatorio: cano nella produzione del suo secolo. Proprio la formazione umanistica mancò invece a molti Io voi quando vedrò, pregio del cielo, ignuda folgorar su l’erba fresca […]? dei verseggiatori e prosatori volgari del Cinqu- ecento inoltrato. Difficilmente un Pietro Areti- La predilezione per gli emblemi, le metafo- no, ignaro di greco e di latino (e interessato re e i paragoni eleganti e talvolta insoliti trovò sostenitore dell’utilità delle traduzioni in vol- una delle sue espressioni più felici nell’unico gare), pur con la sua spregiudicata intelligenza madrigale pervenutoci: e brillantezza di scrittura, avrebbe potuto così Palma leggiadra e viva, clamorosamente e autorevolmente affermar- fondata in chiaro e lucido diamante, si, come lui ottenne, in diverso contesto. E che tocchi ‘l ciel con l’auree cime sante, certamente sarebbe stata impossibile una così se cotanto sei schiva fitta presenza di poetesse, per lo più ignare sia della vista d’indegno e basso amante del greco sia del latino (del tutto eccezionale e celartene brami, fu il caso della protestante e dottissima Olim- da me non torcer lo splendor de’ rami: pia Morata, scrittrice in volgare e latino e co- ché nel celeste verde noscitrice, come pochi tra gli stessi dotti, del occhio frale e terren tosto si perde; greco). In un carme latino indirizzato appunto ma se altronde riluce, quasi in limpido corpo eterna luce, a «Bembus pater», Della Casa professò inve- nel cor ti veggio ove per sé rinverde. ce la propria aspirazione a conseguire il plauso di pochi intenditori: «Laudentur vulgo, signen- Altrove il poeta paragona il proprio amore tur et indice: verum / Hectoris exemplo (ut me- infelice e perdurante alla cipolla, la quale non morat, dum scenica ludit, / Ennius) optarim muore e manda fuori i germogli anche se tolta potius de classe proborum / contingat nobis dalla terra. Il termine cipolla era ovviamente rarus laudator […]». Gli ultimi poeti italiani di interdetto al codice lirico del secolo, e l’autore qualche rilievo che sapessero muoversi con ricorre a una perifrasi: «lagrimosa pianta». Lui pari maestria nei due àmbiti, volgare e latino, stesso sottolinea l’insolito accostamento, lon- furono Francesco Maria Molza e, appunto, lui, tano da quelli, in lui usuali, al mondo minerale: Della Casa; nell’età successiva, rari e insigni- Te, lagrimosa pianta, sembra Amore, ficanti furono i versi latini del grande e dotto benché altrove i miei mal sien gemme e scogli… Torquato Tasso.39 Alla poesia di Galeazzo di Tàrsia è stata tal- A Benedetto Croce si deve la bellissima de- 40 volta accostata (a partire dal XVIII secolo) qu- finizione di «travagliato “stilista”», che sin- ella del fiorentino Giovanni Della Casa, per la tetizza una tradizione critica plurisecolare e be- comune ricerca della gravitas – più che della ne caratterizza la raffinata elaborazione formale levitas -, che rompeva così l’abbinamento dei delle rime di Della Casa, e che può essere pre- due registri raccomandato invece da Pietro sa a emblema di un aspetto generale della sua Bembo, e per un simile uso dell’enjambement. Come Bembo, ecclesiastico al pari di lui e col 39 Vd. i miei Sette piccoli studi sul Tasso lirico, in Con e quale intrattenne rapporti anche d’amicizia, e intorno a Torquato Tasso, Napoli, Liguori, 1996, 125–128. come Sannazaro, Della Casa ebbe un’accura- 40 Vd. B. CROCE, La lirica cinquecentesca, cit., 378.

34 attività di scrittore: l’incontentabilità, che gli imprimer le plus de force tout à la fois à l’ex- fece lasciare inedita, e in alcuni casi incom- pression, à la pensée et au sentiment; celui qui, piuta, buona parte della sua produzione in vol- après le Dante et avant Alfieri, a le mieux indi- gare e in latino. Ciò non toglie che alcuni suoi qué le style et l’harmonie du vers tragique».42 scritti circolassero manoscritti, e la sua fama Nei Vestigi della storia del sonetto italiano, di scrittore si consolidasse. Marcantonio Fla- Ugo Foscolo citò e commentò il sonetto O Son- mini elogiò in un carme latino pubblicato nel no, il quale con parziale originalità (l’insonnia 1548 il suo trattato inedito De officiis inter non è dovuta a pene d’amore) riprendeva un potentiores et tenuiores amicos (fu pubblicato antico e diffusissimo tema; di lui così scrisse: per la prima volta nel 1559, postumo e in tra- Uscì, se non il primo, certo il più ardito, fuor duzione italiana non dellacasiana); e pochi an- della turba de’ tanti petrarcheschi d’allora, e si ni prima, nel 1546, Bembo gli aveva rivolto il fece altro stile. Il merito della sua poesia consiste sonetto Casa, in cui le virtuti, poi posto in principalmente nel collocare le parole e spezzare chiusura della prima sezione della versione de- la melodia de’ versi con tale ingegnosa spezzatura, finitiva delle sue Rime: era una sorta di inves- da far risultare l’effetto che i maestri di musica titura, come generalmente si riconosce, da par- ottengono dalle dissonanze, e i pittori dall’ombre te dello scrittore più anziano. E Della Casa ri- assai risentite. corderà, compiaciuto, gli elogi di Bembo e di Commenti eruditi alle sue Rime furono al- Flamini nel carme latino Ad Germanos (1555). lestiti nel Seicento e nel Settecento. Dopo un La raccolta delle sue Rime, come l’opera periodo di svalutazione nel corso del XIX se- che rese proverbiale il suo nome in Europa, il colo, lo stesso Croce rilevò in esse come Galateo, fu pubblicata postuma nel 1558. I un’«ombra» di grandezza poetica.43 suoi componimenti poetici furono ben presto In omaggio al giovane Tasso, che su di es- oggetto di «lezioni» accademiche e di «esami- so tenne la sua lezione del 1570 circa all’Ac- nazioni» o richiami critici nel XVI e nel XVII cademia di Ferrara, nella quale mostrò di ap- secolo (di una lezione fu autore Torquato Tas- prezzare soprattutto gli squisiti e magniloqu- so, il quale con Della Casa si misurò lungo enti artifici formali del poeta toscano, trascri- tutto l’arco della sua carriera di poeta e di let- vo un sonetto religioso, di pentimento e con- terato); apprezzatissimi, ancora in età arcadi- versione, fra i più noti e antologizzati. Esso ca, da Giovanni Mario Crescimbeni, Giovan sigillava la stampa del 1558 delle Rime, e fu Battista Vico, Gian Vincenzo Gravina, e Anton incluso da nella Crestoma- Federico Seghezzi, autore dell’importante ope- zia italiana poetica: retta critica Il Tasso, dialogo sopra lo stile di Monsignore della Casa e il modo d’imitarlo.41 Questa vita mortal, che ‘n una o ‘n due brevi e notturne ore trapassa, oscura Nella sua Histoire littéraire d’Italie, Pierre-Lou- e fredda, involto avea fin qui la pura is Ginguené scrisse fra l’altro che Della Casa parte di me ne l’atre nubi sue. fu «celui des poëtes du XVI siècle qui a su

41 Fu pubblicato per la prima volta, anonimamente, 42 P.-L. GINGUENÉ, Histoire littéraire d’Italie, t. IX, nel 1728. Circa la paternità di Seghezzi, vd. il mio Per un Milan, Giusti, 1821, 292. anonimo in meno, in «Giornale storico della letteratura 43 B. CROCE, La «lirica» cinquecentesca, cit., 383. italiana», CLXXI (1994), 600–602. In precedenza, lo Ancora Arturo Graf così giudicava le rime dellacasiane: scritto di Seghezzi era ritenuto opera d’autore del XVI «non pajono veramente gran cosa» (nel suo Petrarchismo secolo. ed antipetrarchismo, cit., 8).

35 Or a mirar le grazie tante tue Ettore Bonora (1947) e di Walter Binni (1951), prendo, ché frutti e fior, gelo e arsura, ai quali seguì lo scritto complessivo Della Ca- e sì dolce del ciel legge e misura, sa, uomo pubblico e scrittore (1953) di Lan- eterno Dio, tuo magistero fue; franco Caretti.46 Altri se ne sono aggiunti, di anzi ‘l dolce aer puro e questa luce chiara, che ‘l mondo a gli occhi nostri scopre, 46 E. BONORA, Le «Rime» di Giovanni Della Casa, in traesti tu d’abissi oscuri e misti: Retorica e invenzione, Milano, Rizzoli, 1970, 107–127; W. BINNI, Giovanni Della Casa, in Critici e poeti dal e tutto quel che ‘n terra o ‘n ciel riluce Cinquecento al Novecento, Firenze, La Nuova Italia, di tenebre era chiuso, e tu l’apristi; 1951, 17–31; L. CARETTI, Della Casa, uomo pubblico e scrittore, in Antichi e moderni. Studi di letteratura e ‘l giorno e ‘l sol de le tue man sono opre. italiana, Torino, Einaudi, 1976, 135–150. Un certo peso ebbe, in Italia, anche il successivo Giovanni Della Casa Alla desolata lentezza della prima quartina poeta di Luigi Baldacci (in Il petrarchismo italiano nel segue la vitalità ritrovata nell’ammirazione Cinquecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957, 181–268; dell’universo creato da Dio (seconda quarti- seconda ed., Padova, Liviana, 1974, 171–247). Di E. BONORA è importante anche, nello stesso volume na). Ammirazione che trabocca e si allarga nelle Retorica e invenzione, 91–106, lo scritto Interpretazione due terzine, scandita nelle formulazioni gran- del petrarchismo. Altri studi generali sul petrarchismo diose e fluenti dei versi che le concludono: italiano e europeo: oltre al citato L. BALDACCI, Il petrar- chismo italiano, A. GRAF, Petrarchismo e antipetrar- …traesti tu d’abissi oscuri e misti chismo, in Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888, 1–86; T. W. ELWERT, Bembismo, poesia latina e […] petrarchismo dialettale, in Studi di letteratura veneziana, e ‘l giorno e ‘l sol delle tue man son opre.44 Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1958, 147–175; D. ALONSO, La poesia di Petrarca e il Nessun lirico italiano del Cinquecento è sta- petrarchismo (Mondo estetico della pluralità), in Saggio di metodi e limiti stilistici, tr. it., Bologna, Il Mulino, to, in tempi recenti, avventurato come Gio- 1965, 305–358; L. FORSTER, The Icy Fire. Five Studies vanni Della Casa. Roberto Fedi ha curato la in European Petrarchism, Cambridge, Cambridge Uni- prima edizione critica delle sue Rime nel 1978 versity Press, 1969; G. HOFFMEISTER, Petrarkistische (Roma, Salerno Editrice), corredandola inol- Lyrik, Stuttgart, Metzler und Poeschel, 1973; C. MUTI- NI, Un capitolo di storia della cultura: il petrarchismo, tre di un accurato commento. Giuliano Tan- in L’autore e l’opera. Saggi sulla letteratura del Cin- turli e Stefano Carrai ne hanno procurato, nel quecento, Roma, Bulzoni, 1973, 158–190; G. BELLO- 2001 e nel 2003 (Parma, Fondazione Bembo/ NI, Il petrarchismo delle «Bizzarre rime» del Calmo tra imitazione e poesia, in AA.VV., Petrarca, Venezia e il Veneto, Guanda; e Torino, Einaudi), preziose edizioni, a cura di G. Padoan, Firenze, Olschki, 1976, 271–314; diversamente impostate, che definirei semic- R. FEDI, La memoria della poesia, cit.; A. QUONDAM, ritiche, e ampiamente commentate. La nuova Il naso di Laura, Modena, Panini, 1991; K. W. HEM- PFER, Per una definizione del petrarchismo, in Testi e fortuna del poeta toscano, definito anche da contesti. Saggi post-ermeneutici sul Cinquecento, tr. it., Carlo Dionisotti il «maggior poeta italiano Napoli, Liguori, 1998, 147–776; F. BREVINI, nell’età compresa fra quella dell’Ariosto e qu- Petrarchismo e antipetrarchismo in dialetto, in La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, I, 45 ella del Tasso», prese slancio nel secondo Milano, Mondadori, 1999, 561–672; K. STIERLE, Fran- dopoguerra, con gli importanti studi critici di cesco Petrarca. Ein Intellektueller im Europa des 14. Jahrhunderts, München-Wien, Carl Hanser Verlag, 2003, 775–779. Circoscritta agli ultimi decenni è la pressoché 44 Un’eccellente analisi stilistica di questo sonetto si perfetta Petrarkismus-Bibliographie. 1972–2000, Herausgegeben von K. W. Hempfer, G. Regn, S. Scheffel, legge in M. FUBINI, Metrica e poesia, Milano, Feltrinelli, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2005 (il termine 19702, 54–57. petrarchismo vi è inteso in senso lato). Un’ottima anto- 45 C. DIONISOTTI, La letteratura italiana nell’età logia panoramica del petrarchismo europeo è: Lirici eu- del concilio di Trento, in Geografia e storia della ropei del Cinquecento. Ripensando la poesia del letteratura italiana, cit., 195. Petrarca, cit.

36 Adriano Seroni, di Roberto Fedi, di Giuseppi- talmente nuovo che Ludovico Ariosto avvertì na Stella Galbiati, di Ulrich Schulz-Buschhaus, il bisogno di registrarlo nell’Orlando furioso di Silvia Longhi, ecc. Non intendo se Dioni- del 1532 (canto XXXVII). Rivolgendosi alle sotti, con quel suo giudizio, volesse affermare donne, il poeta ferrarese dichiarò che ormai che Della Casa è il maggior poeta fra Ariosto e non avevano più bisogno di poeti (maschi) che Tasso; forse no, perché fra i due si colloca il le glorificassero, perché la gloria potevano dar- Baldus di Teofilo Folengo. Io resto dell’avvi- sela da sé: so che non si possa neanche sostenere, per Ed oltre a questi [poeti] ed altri ch’oggi avete, quanta stima meriti, che il prelato toscano sia che v’hanno dato gloria e ve la dànno, senz’altro il maggiore dei petrarchisti, fra i qu- voi per voi stesse dar ve la potete; ali, ripeto, non sono grandi poeti, ma poeti di poi che molte, lasciando l’ago e ‘l panno, spicco, sì. son con le Muse a spegnersi la sete Un altro inevitabile nome è quello di Luigi al fonte d’Aganippe andate, e vanno; Tansillo, celebrato come un maestro dai lette- e ne ritornan tai che l’opra vostra rati meridionali del XVII secolo. E non solo è più bisogno a noi, ch’a voi la vostra. lui. Come già ho accennato, il Cinquecento fu Se chi sian queste, e di ciascuna voglio inoltre, in Italia, l’epoca delle donne poetesse, render buon conto, e degno pregio darle, in quel tempo più numerose che in ogni altra bisognerà ch’io verghi più d’un foglio, nazione in Europa (la Francia, ad esempio, eb- e ch’oggi il canto mio d’altro non parle: be l’eccellente Louise Labé, che pubblicò le e s’a lodarne cinque o sei ne toglio, proprie liriche nel 1555, pochi mesi dopo l’us- io potrei l’altre offendere e sdegnare. cita delle Rime di Gaspara Stampa e forse in- Che farò dunque? Ho da tacer d’ognuna, coraggiata proprio da quel volume).47 E poiché o pur fra tante sceglierne sol una? quella fu anche l’età nella quale la stampa e Scelta e glorificata da Ariosto fu Vittoria l’editoria si affermarono alla grande, e si eb- Colonna, che a sua volta ispirò numerosi versi bero molte raccolte poetiche collettive, nel 1559 di suoi contemporanei, compreso il Berni Lodovico Domenichi non mancò di pubblicarne dell’Orlando innamorato. Erano anche versi una, a Lucca, dedicata esclusivamente a com- amorosi, ma occorre avere presente che, in posizioni di mano femminile: Rime diverse quel contesto, dichiarare il proprio amore spi- d’alcune nobilissime e virtuosissime donne. rituale per un’alta dama non equivaleva affatto Come sottolineava Girolamo Tiraboschi, «niu- a farle in quel modo la corte o a esprimere un na cosa ci fa maggiormente conoscere qual vero innamoramento; era in genere un atto fosse il comune entusiasmo in Italia per lo stu- d’omaggio e di adulazione, un panegirico indi- dio della volgar Poesia, quanto il vedere le più retto. All’interno delle corti, comporre versi di nobili dame rivolte a coltivarla con sommo ar- quel tenore per l’amante di un potente minist- dore, di niuna cosa maggiormente pregiarsi qu- ro poteva addirittura equivalere a rendere anto del titolo di poetesse».48 Il fenomeno fu omaggio non solo alla donna, ma allo stesso ministro. 47 Secondo P. BACHMANN, À la rencontre de Oltre a quello della Colonna (la cui amicizia Gaspara Stampa, cit., 22n., la pubblicazione delle Rime della Stampa avrebbe forse deciso la poetessa di Lione a con Michelangelo fu celebrata in alcuni quadri dar fuori le proprie (in testa alle quali figurava un sonetto di artisti italiani del XIX secolo, e un cui busto in volgare italiano). marmoreo, opera di Pietro Galli, fu allora ac- 48 G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, colto nella Protomoteca Capitolina di Roma t. VII, Parte terza, cit., 1150.

37 custode della memoria dei grandi; ma le cui ta amica di Collaltino», riprese l’immagine della Rime, raccolte e stampate più volte, fra il 1538 donna dolente e innamoratissima, che ebbe cor- e il 1586, avevano conosciuto alla fine del se- so per circa due secoli, e fu demolita dalla criti- colo XVI e nel secolo successivo una sorta di ca positivista nel primo Novecento. interdizione, forse dovuta a motivi dottrinali), Nelle sue Rime, pubblicate postume, nel molti sarebbero i nomi di poetesse da ricorda- 1554, con una lettera dedicatoria a Giovanni re: Veronica Gambara, Laura Terracina, Chai- Della Casa della sorella di Gaspara, Cassan- ra Matraini, Isabella Morra, Laura Battiferri, dra, si cantano due distinti amori: quello per il moglie dello scultore e architetto Bartolomeo conte Collaltino di Collalto (lui stesso verseg- Ammannati, l’attrice Vincenza Armani, Aure- giatore) e quello, successivo, per un Bartolo- lia Roverella, le “cortigiane oneste” Tullia meo Zen, patrizio. Colta e in rapporti con im- d’Aragona e Veronica Franco (menzionata, qu- portanti letterati del tempo (poeta fu anche il est’ultima, nel Journal de voyage en Italie par fratello minore Baldassarre – e anche un per- la Suisse et l’Allemagne di Montaigne)… Di sonaggio minore del Fuoco ha il suo stesso Gaspara Stampa è rimasta celebre, in Italia, la nome), fu apprezzata anche da Giacomo Leo- rievocazione che ne fa il personaggio di Fos- pardi, il quale ne incluse un sonetto nella sua ca, detta «la Foscarina», nella seconda parte Crestomazia italiana poetica. Probabilmente del romanzo di Gabriele d’Annunzio Il fuoco. fu, anche lei, una “cortigiana onesta”. Questo La donna (trasposizione dell’attrice Eleonora sonetto, memore d’un capitolo in terza rima di Duse), che in parte identifica il proprio desti- Ludovico Ariosto e forse d’una elegia di Pro- no di amante infelice con quello dell’antica po- perzio, celebra una notte d’amore. Amore non etessa veneta, così esclama, indirizzandosi al platonico, e lontano da quello cantato nei Re- più giovane amante Stelio Èffrena: rum vulgarium fragmenta; ma qui esaltato in termini indiretti e allusivi. Come si vede, il lin- – Dolce e terribile sorte quella di Gaspara Stam- pa! Conoscete le sue Rime? Sì, le vidi un giorno su guaggio petrarchesco poteva veicolare conte- la vostra tavola. Miscuglio di gelo e di ardore. Di nuti di diversa natura: tratto in tratto la sua passione mortale, a traverso O notte, a me più chiara e più beata il petrarchismo del cardinal Bembo, getta qualche che i più beati giorni ed i più chiari, bel grido. Io so di lei un verso magnifico: notte degna da’ primi e da’ più rari Vivere ardendo e non sentire il male! ingegni esser, non pur da me, lodata; – Vi ricordare, Stelio, – disse la Foscarina con tu de le gioie mie sola sei stata quel sorriso inestinguibile che le dava la sembianza fida ministra; tu tutti gli amari di una sonnambula – vi ricordate del sonetto che de la mia vita hai fatto dolci e cari, incomincia: resomi in braccio lui che m’ha legata. Signore, io so che in me non son più viva, Sol mi mancò che non divenni allora e veggo ormai ch’ancor in voi son morta…? la fortunata Alcmena, a cui stè tanto più de l’usato a ritornar l’Aurora. E racconta anche d’avere interpretato, ap- pena quattordicenne, il ruolo della protagonista Pur così bene io non potrò mai tanto «in una vecchia tragedia romantica intitolata dir di te, notte candida, ch’ancora da la materia non sia vinto il canto. Gaspara Stampa». D’Annunzio, che in un altro punto del romanzo definisce la poetessa cinqu- Anche questo è dedicato al conte di Collal- ecentesca la «Saffo Veneziana» e la «sventura- to, e lo rievoca, lontano, in situazioni diverse:

38 la caccia, la guerra, gli studi, nelle piccole in- quelli noti agli eruditi settecenteschi e ottocen- combenze della vita quotidiana: teschi. L’intento di costruire un canzoniere è inducibile dalla presenza d’un probabile sonet- «Or sopra il forte e veloce destriero», io dico meco, «segue lepre o cerva to proemiale e di un sonetto e due canzoni di il mio bel Sole, or rapida caterva pentimento. Nel sonetto qui proposto, la po- d’uccelli con falconi e con sparviero. etessa varia il motivo, ritornante nella sua pic- cola raccolta, dell’avversa Fortuna che la tie- Or assal con lo spiedo il cignal fiero, ne segregata in un paese orrido, altrove quali- quando animoso il suo venir osserva; or a l’opre di Marte, or di Minerva, ficato come vili ed orride contrate, denigrato 51 rivolge l’alto e saggio suo pensiero. sito, dumi, selve erme ed oscure, e ora con- notato coi colori dell’inferno dantesco (valle Or mangia, or dorme, or leva ed or ragiona, inferna rinvia a Purgatorio, I, v. 45). Il verbo or vagheggia il suo Colle, or con l’umana ruinare, presente al participio passato nel v. 2, sua maniera trattiene ogni persona». è dantesco, ma non petrarchesco (nei Rerum Così, Signor, bench’io vi sia lontana, vulgarium, risponde all’appello solo il sostan- sì fattamente Amor mi punge e sprona, tivo ruina); ma ruinati sassi sembra riecheg- ch’ogni vostr’opra m’è presente e piana. giare la prosa dell’Arcadia sannazariana: «fra Chiudo questa minima e insoddisfacente an- ruinati sassi».52 Spicca inoltre un termine, as- tologia, che non intende affatto esibire rari pezzi sente sia in Dante sia in Petrarca, e presente da me stimati i più preziosi della gioielleria pet- invece in alcune egloghe dell’Arcadia di San- rarchista, con un sonetto della lucana Isabella nazaro: ulule “allocchi”. Bastino questi pochi Morra, o di Morra, la cui vicenda infelicissima cenni per indicare la libertà linguistica di Isa- e truculenta – quasi inveramento e variante di bella. Negli «ignudi spirti di virtute e cassi» leggende popolari come quella della Baronessa (ignudi… e cassi è una dittologia aggettivale di Carini, o della novella decameroniana di Li- sinonimica, già presente in Petrarca e altri) sono sabetta di Messina -49 fu ricostruita e narrata riconoscibili i rozzi abitanti della valle, quasi e resa nota soprattutto e meglio che da ogni dannati dei gironi infernali, dei quali anche nel- altro da Benedetto Croce.50 Di lei ci sono giunti la canzone Poscia che al bel desir si lamenta- tredici componimenti (una canzone, in due di- no i rudi, grossolani costumi (con termini che verse redazioni), trasmessi da raccolte cinqu- inevitabilmente richiamano alla mente dei let- ecentesche e del primo Seicento: dieci sonetti tori italiani la «gente / zotica, vil» delle Ricor- e tre canzoni. Pezzi superstiti d’un insieme cer- danze di Leopardi; mentre altri luogi della can- to più consistente. Il nome di Isabella era fra zone di Isabella ricordano alcuni momenti del Tasso lirico, il quale poté conoscere le rime della giovane aristocratica, diffuse postume da 49 Come osserva G. B. BRONZINI, Il caso della alcune antologie): poetessa di Valsinni, in AAVV. Isabella Morra e la Basilicata, Atti del convegno organizzato dal Comune di Valsinni, 11–12 maggio 1975, Matera, Liantonio, 1981, 155–157. Vd. inoltre M. A. GRIGNANI, Introduzione a 51 Nei sonetti I fieri assalti e D’un alto monte, e nelle I. MORRA, Rime, a cura di M. A. Grignani, Roma, Salerno canzoni Poscia che al bel desir e Quel che gli giorni (in Editrice, 2000, 11. quest’ultima, però, i luoghi inameni diventano condizione 50 B. CROCE, Isabella di Morra e Diego Sandoval de al distacco dagli allettamenti terreni). Castro, in Vite di avventure, di fede e di passione, Milano, 52 Per quest’ultimo riscontro, vd. il commento della Adelphi, 1989, 299–334. GRIGNANI, nell’ed. cit., 60.

39 […] fra questi dumi, («[…] le finte apparenze, e ‘l ballo, e ‘l suono, fra questi aspri costumi / chiesti dal tempo e da l’antica usanza, / a che di gente irrazional, priva d’ingegno così da voi vietati sono?»), e contestando a […]. suo modo la dottrina luterana del de servo ar- Questo è il sonetto: bitrio da lui accolta: Non fôra santità, fôra arroganza Ecco ch’una altra volta, o valle inferna, tôrre il libero arbitrio, il maggior dono o fiume alpestre, o ruinati sassi, che Dio ne dié ne la primera stanza. o ignudi spirti di virtute e cassi, udrete il pianto e la mia doglia eterna. Nello stesso Varchi la poesia amorosa si Ogni monte udirammi, ogni caverna, traveste in alcuni sonetti secondo modi pasto- ovunqu’io arresti, ovunqu’io mova i passi; rali. ché Fortuna, che mai salda non stassi, Prende spunto talora dagli antichi il non cresce ogn’or il mio mal, ogn’or l’eterna. bembiano Giovan Giorgio Trissino: un suo ser- Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte, ventese è “imitazione” del celebre carme o fere, o sassi, o orride ruine, d’Orazio Donec gratus eram tibi, che larga for- o selve incolte, o solitarie grotte, tuna ebbe nell’Italia del Cinquecento. Trissino contribuì inoltre, con la sua stessa poesia, a ulule, e voi del mal nostro indovine, perpetuare la memoria di forme della poesia piangete meco a voci alte interrotte del XIII secolo. (Omaggio involontario a qu- il mio più d’altro miserando fine. esto aspetto del suo poetare, un suo sonetto 6. I lirici petrarchisti non cantarono solo figura come opera di Guittone d’Arezzo nel d’amore, come mostra la stessa Isabella Mor- volume dei Sonetti e canzoni di diversi antichi ra. Temi politici, oltre che amorosi, caratteriz- autori toscani del 1527; e più tardi, nel 1553, zano la produzione di Giovanni Guidiccioni e ben sei suoi sonetti furono attribuiti a Buonac- 53 quella di . Temi religiosi sono in corso da Montemagno). Si ebbero anche, quella dello stesso Guidiccioni: un sonetto elo- dopo i precedenti quattrocenteschi, alcuni ten- gia il predicatore Bernardino Ochino, più tardi tativi di trovare equivalenti volgari dei metri condannato come eretico. Fermenti religiosi greci e latini; è quella che, dopo le ben più fe- eterodossi, ma non ancora esplicitamente e de- lici prove di Giosue Carducci, in Italia viene finitivamente bollati come eretici dalle autorità anche chiamata la metrica o poesia «barbara». ecclesiastiche, sono nelle rime di Benedetto Var- Si vollero proporre modelli antichi anche per chi. Rime spirituali composero Vittoria Co- la lirica, fin nella sua metrica. L’esperimento, lonna e il predicatore veneziano Gabriel Fiam- in sé cervellotico ma pur significativo (dirlo ma. E vi fu il travestimento «spirituale» del «rivoluzionario» è decisamente troppo), e con- canzoniere di Petrarca operato da Girolamo segnato al volume Versi e regole de la nuova Malipiero: il già ricordato Petrarca spirituale, poesia toscana (1539), non fu peraltro sterile, dove, si legge nell’interno, il poeta trecentes- se più tardi ispirò alcuni momenti dell’energi- co è «divenuto teologo e spirituale per grazia ca e rude poesia di Tommaso Campanella, il di Dio e studio di Frate Ieronimo Malipiero Mi- 53 noritano». A Ochino indirizzò uno scherzoso Circa la seconda attribuzione, vd. R. SPONGANO, Sei sonetti di Buonaccorso da Montemagno da restituire sonetto Tullia d’Aragona, rimproverandogli a Gian Giorgio Trissino, in «La rassegna della letteratura l’eccessivo rigore di costumi da lui predicato italiana», LX (1956), 299–305.

40 maggior lirico del Seicento italiano, e ancora tenza di un vero genere letterario, ripreso an- le amene strofe saffiche e alcaiche e soprat- che dal figlio Torquato e dai rimatori dell’età tutto gli endecasillabi catulliani di Paolo Rolli. barocca. Promotore della raccolta della «nuova poesia Se esperienze come queste ultime non so- toscana» del 1539 fu Claudio Tolomei, autore no riconducibili al petrarchismo in senso stret- anche di sonetti pastorali, d’impronta umanis- to, anzi di proposito se ne staccano, ciò non tica, dove l’amore cantato non è spirituale («là toglie che almeno la riforma linguistica pro- dove Iella mia da me fu vinta, / dove io colsi di mossa dalle Prose della volgar lingua sia av- lei la prima rosa», sonetto Gelidi fonti), e do- vertibile anche in esse. (Una divertente difesa ve sono ricalcati persino i modi degli antichi dell’ode in volgare, dell’endecasillabo sciolto, paraklausíthyra; senese, pianse in efficaci versi nonché dell’elegia in terza rima, è nel Petrar- l’assedio e la presa della sua città nel 1555 ad chista di N. Franco, dove questi metri sono opera delle truppe imperiali e medicee. Con me- attribuiti a fantomatici inediti dello stesso Pet- no estremismo dei verseggiatori della «nova rarca). Il poeta del Canzoniere è pur sempre poesia toscana», Bernardo Tasso – autore di l’autore più presente nel tessuto linguistico delle sonetti, canzoni e elegie in terza rima – inventò Rime di Trissino, ad esempio. Un petrarchis- alcune strofe formate da settenari e endecasil- mo parodistico, ma tutt’altro che inquadrabile labi rimati, che a suo avviso dovevano sugge- all’insegna dell’antipetrarchismo, è inoltre ris- rire almeno il ricordo dei metri lirici antichi, e contrabile nei Cantici di Fidenzio dell’aristoc- anzitutto di quelli di Orazio; e almeno una delle ratico vicentino Camillo Scroffa, stampati per sue invenzioni strofiche ebbe grande e stabile la prima volta a Padova anteriormente al 1562, fortuna in Spagna, dove prese il nome di lira e successivamente, a Reggio Emilia, nella nu- (strofa di cinque versi, costituita dalla succes- ova e importante edizione del 1562. Noi sap- sione di settenario, endecasillabo, due settena- piamo che all’origine della raccolta era l’inten- ri, endecasillabo; con rime: aBabB). Per questi to di mettere in ridicolo un noto insegnante esperimenti l’etichetta «petrarchismo» è certo padovano, attribuendogli un amore per un gio- inadeguata, perché mostrano l’intento di muo- vane discepolo, Camillo (il nome stesso dall’au- versi fuori dell’unico, o di gran lunga preva- tore dei Cantici), e facendolo esprimere in un lente, modello trecentesco. Spunti l’antica po- linguaggio che è un misto di lessico e fraseo- esia latina aveva offerto già a Petraca e a Bem- logia italiana e latina e latineggiante e greciz- bo, il che autorizzava a proseguire sulla loro zante. La satira del «pedante», e del linguaggio strada. Ma un Bernardo Tasso, pur sbiadito artificioso con cui effettivamente era solito esp- artefice, cercò di adeguare (più di quanto non rimersi durante le lezioni, fu una costante della gli accadesse nei suoi poemi narrativi) la lirica letteratura e del teatro comico cinquecentes- al teatro e ad altri generi letterari del tempo, chi, a partire dal Pedante di Francesco Belo ricollegandola ai modelli antichi. Un’altra sua (1529), passando per Pietro Aretino, e giun- caratteristica è il largo uso del sonetto votivo, gendo fino all’unica commedia scritta da Gior- equivalente volgare degli antichi epigrammi vo- dano Bruno.54 Scroffa ben conosceva inoltre tivi (ma secondo alcuni trattatisti di poetica del la singolarissima, aristocratica Hypnerotoma- tempo, intenti a cercare illusorie derivazioni del- le moderne forme metriche da quelle antiche, 54 Sulla diffusa satira del pedante nel XVI secolo si il sonetto sarebbe disceso appunto dall’epig- può vedere la rassegna di A. GRAF, Il pedante, in Attraverso ramma), che con Bernardo acquista la consis- il Cinquecento, cit., 137–179.

41 chia Poliphili (1499, ristampata nel 1545), a gianti come auscultate o intemperantia si alter- cui fa esplicito riferimento un sonetto dei Can- nano a forme in volgare, «in lingua etrusca», e tici. Il poeta si muove fuori della riforma lin- a inserti latini (auribus arrectis, lanista “eccita- guistica promossa dalle Prose della volgar lin- tore, tormentatore”, ut aequum est). Sarebbe gua. Quali che fossero i propositi iniziali, fuorviante leggere questo componimento, e al- Scroffa, da vero artista, costruì in realtà, coi tri della medesima raccolta, come un documento versi attribuiti al suo Fidenzio Glottocrisio, un antipetrarchista e come una mera irrisione del personaggio più patetico che ridicolo, e, nella gergo dei pedanti. Come scrisse Benedetto Cro- sua ingenuità, accattivante. La stessa parodia ce, il personaggio di Fidenzio è «un pedante che di Petrarca e di quanti petrarcheggiavano non non si è potuto sottrarre alle saette di Amore, e è negativa.55 Si legga il sonetto introduttivo: geme la sua tormentosa passione come un mes- ser Francesco Petrarca che sia passato attra- Voi ch’auribus arrectis auscultate in lingua etrusca il fremito e il rumore verso lo stile del Polifilo; ma con quanta timi- de’ miei sospiri pieni di stupore, dezza, con quanta verecondia, con quanto smar- forse d’intemperantia m’accusate. rimento di povera creatura piagata!».56 Un “petrarchismo”, quello di Scroffa, im- Se vedeste l’eximia alta beltate prevedibile e originalissimo. Anche le vie della de l’acerbo lanista del mio core, non sol dareste venia al nostro errore, poesia sono infinite. Certo sarebbe riduttivo ma di me havreste, ut aequum est, pietate. vedere nei Cantici, come accadeva un tempo, semplicemente l’avvio della tradizione di quel- Hei mihi, io veggio bene apertamente la che viene chiamata la «poesia pedantesca», ch’a la mia dignità non si conviene cioè di quella poesia, come scriveva Girolamo perditamente amare, et n’erubesco; Tiraboschi, «composta in lingua italiana, ma ma la beltà antedicta mi ritiene mista affettatamente di ridicoli latinismi». Il qu- con tal violentia che continuamente ale Tiraboschi, che spesso non aveva letto i opto uscir di prigion, et mai non esco. testi di cui trattava (come non aveva visto i È evidente la ripresa del sonetto d’esordio dipinti intorno a cui forniva la sue notizie), di di Petrarca: «Voi ch’ascoltate in rime sparse il Scroffa non seppe dire altro che: suono / di quei sospiri ond’io nudriva ‘l co- diede l’esempio di questo nuovo genere di poesia re…», dal quale sono prelevati termini e sintag- [la «pedantesca»], di cui l’Italia avrebbe potuto mi, e le rime in –ore e in –ente. Forme latineg- senza suo danno rimaner priva.57 Invece i Cantici di Fidenzio meritano d’es- 55 Vd. in proposito il mio Sulla parodia (Parodia sere distinti dai componimenti di prosecutori e negativa e parodia positiva), in Poesia e comportamento. imitatori; nei suoi limiti, Scroffa fu un vero e Da Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria, originale poeta. Edizioni dell’Orso, 2002, 9–16. Affinità col caso di Scroffa presenta un filone parodistico della poesia dialettale del XVI secolo: quello che Manlio Cortelazzo 56 B. CROCE, Gli «Endecasillabi» di Essione Partico in un suo breve intervento così definisce: «una imitazione e la poesia di Fidenzio, in Nuovi saggi sulla letteratura allegra [di Petrarca] con ampi margini di creazione italiana del seicento, Bari, Laterza, 1968, 78. Vd. inoltre, autonoma, ma sempre con un linguaggio poco adatto alla dello stesso CROCE, La «Hypnerotomachia Poliphili», poesia d’arte vera e propria» (le ultime parole rischiano in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, di apparire oscure, per eccesso di brevità); vd. vol. III, cit., 46. M. CORTELAZZO, Antipetrarchismo dialettale, in Le 57 G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, lingue del Petrarca, cit., 133. t. VII, Parte terza, cit., 1159.

42 7. Ritengo che leggere il petrarchismo ita- volta si sostiene, sottoporre il fenomeno a una liano del Cinquecento come «sistema» imper- valutazione «estetica». Così bassa è da ritene- sonale, esortando a vedervi non più che l’attu- re la qualità dei loro prodotti? Non è un capo- azione d’una poetica della «ripetizione», lavoro; ma davvero non merita un’attenta let- dell’adeguamento ai modelli o al modello, o pri- tura questo sonetto composto forse a Raven- vilegiare su tutto o esclusivamente l’interpre- na, dopo aver visto il sepolcro di Dante, dal tazione sociologica del fenomeno, sia un mo- fiorentino Gabriele Simeoni – non certo il pri- do per tornare alle condanne e al disprezzo del mo nome che venga alla mente quando si par- secondo Settecento e dell’Ottocento – a qu- la di petrarchismo?: ando, ad esempio, il grande De Sanctis non Spirto divin, di cui la bella Flora riusciva a vedere in esso che «la corruzione or loda quel che già teneva a vile, del Petrarca», e negli stessi momenti più stan- la pura fede tua, l’opra sottile chi e manierati del poeta trecentesco la prima che lei di gloria e te di vita onora; manifestazione di «petrarchismo». L’intento di ecco me, lasso, a te simile ancora chi ora così argomenta è tutt’altro, ovviamen- nel cercar nova patria e mutar stile, te; e la presa di distanza dalle condanne e dal ch’invidia ogni alma nobile e gentile disprezzo d’un tempo sembra un obbligo. E ci così persegue insino a l’ultim’ora. si affanna a spiegare – quasi si trattasse di pit- tori russi di icone – che, più aderente era la Dogliamci insieme: tu di grembo a Giove, qui in questo viver io noioso e duro, somiglianza, più si era persuasi, in quell’età, dove in pregio è miglior chi peggio è nato; della riuscita del gioco, o addirittura d’esser diventati partecipi della gloria del modello; o e facciam fede al secolo futuro, che individuare le trasformazioni e le compo- tu qui con l’ossa, io con la vita altrove, nenti sociali che propiziano e condizionano il ch’uom di virtù poco alla patria è grato. fenomeno, o vedere in esso, semplicisticamen- Fra i petrarchisti, «imitare» non equivalse te, null’altro che un aspetto della sociabilité, affatto a «rubbare il Petrarca», come maligna- sarebbe ciò che davvero importa. Ma un pet- mente scrisse Niccolò Franco nelle Pìstole vo- rarchismo così presentato riesce al culmine gari (1539). Certo non fra i migliori. Il con- della noia. È un insieme di cadaveri per nulla cetto umanistico di imitatio, il cicerionanismo «squisiti» (per dirla coi vecchi surrealisti). O, a cui si ricollegava Pietro Bembo, implicava – nel linguaggio di G. G. Belli: cadaveri de morti. occorre dirlo? – ben altro che mera ripetizione E allora: lasciate che i morti seppelliscano i lo- e scopiazzatura. L’antica letteratura latina si ro morti, verrebbe da raccomandare con John modellò interamente sulle opere e sui generi di Dewey, per nulla tenero nei confronti di certa quella greca; eppure nessuno oserebbe ripete- storiografia. A mio avviso, esistono invece nel re i pregiudizi ottocenteschi sulla sua scarsa petrarchismo alcune personalità capaci di in- originalità. Vale la metafora dell’Apologia di traprendere, pur sempre al suo interno, un li- Annibal Caro contro L. Castelvetro: «Imitar mitato discorso meno anonimo di altri. E se lui [Petrarca] vuol dire che si deve portar la non sempre si potesse parlare di riconoscibili persona e le gambe come egli fece; e non por- personalità, vi sarebbero nondimeno singoli ri- re i piedi nelle sue stesse pedate». Queste pa- sultati, singoli pezzi degni di un’intelligente sim- role nascevano da un’occasione specifica: lo patia. Per questo non mi sembra affatto «in- scrittore marchigiano replicava infatti alle cen- generoso» e addirittura «improprio», come tal- sure grettamente malevole che Castelvetro ave-

43 va mosso alla sua canzone, ben altrimenti de- Di Costanzo. (Una forma assai simile aveva molibile, Venite a l’ombra de’ gran gigli d’oro. assunto la strofa del serventese nel Trecento). Ma la loro portata andava al di là di quell’oc- Varrebbe la pena di riconsiderare inoltre – casione. Nel petrarchismo cinquecentesco è purché non diventi la lapide commemorativa osservabile un’attuazione molto particolare di una fossa comune, come accade sovente (certo complicata, come ho detto, dalla ques- nell’uso delle categorie storico-letterarie – una tione linguistica allora attuale) d’un principio vecchia proposta di Cesare Segre,60 e vedere perenne della vita della poesia, dell’arte e di in Bembo (a lui Segre abbinava il più tardo e ogni attività intellettuale, così teorizzato ad parzialmente combaciante Lionardo Salviati) il esempio da John Dewey: promotore d’un «manierismo» letterario affi- ne e coevo al primo manierismo pittorico tos- […] non vi è stato grande artista delle lettere che non abbia tratto alimento dalle opere dei maestri cano, poi sanzionato da Vasari nelle Vite (1550, del dramma, della poesia e della eloquenza. Questa con netto privilegiamento di Michelangelo; e dipendenza dalla tradizione non è una peculiarità 1568, con la messa al vertice di Raffaello, ac- che appartenga soltanto all’arte. Il ricercatore canto a Michelangelo): quello del Pontormo e scientifico, il filosofo, il tecnico derivano anch’essi del Rosso Fiorentino, e di Domenico Becca- la loro sostanza dalla corrente della cultura. Ques- fumi. Tale concetto di manierismo sarebbe solo ta dipendenza è un fattore essenziale nella visione in parte coincidente con quelli, ben più noti, di originale e nella espressione creativa. Il guaio per Arnold Hauser (che pure parlava per l’Italia, l’imitatore accademico non consiste nel fatto che in senso lato, di «petrarchismo» letterario), di egli dipende da una tradizione, ma dal fatto che Gustav René Hocke, di Hans Sedlmayr, di Giu- questa non è penetrata nel suo spirito; nella strut- liano Briganti, di Georg Weise – approfondi- tura dei suoi stessi modi di vedere e di fare.58 menti, estensioni e variazioni delle indicazioni Hugo Friedrich, opportunamente rilevan- fornite da Max Dvorák e da Ernst Robert Cur- do la sommarietà del concetto di petrarchis- tius. Lo stesso edonismo linguistico, di cui tratta mo – un concetto «non ingiusto ma insuffi- Segre analizzando la prosa del secolo, è ciente» -, ha sottolineato anche i «nuovi espe- anch’esso una componente del petrarchismo, rimenti artistici» messi in atto in quell’àmbito: «l’espressiva scomposizione dei versi nella po- esia di Giovanni Della Casa», o «le audacie fi- 60 C. SEGRE, Edonismo linguistico nel Cinquecento, gurative di Luigi Tansillo», o «le fratture sin- in Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa tattiche di Galeazzo di Tarsia», e la presenza di italiana, Milano, Feltrinelli, 1963, 356. Naturalmente Segre non dimentica che «in letteratura s’aggiungeva, 59 temi non previsti dal modello trecentesco. alle direttive di un gusto estetico, la necessità di In Gaspara Stampa troviamo anche la strofa consolidare l’affermazione nazionale del toscano per la saffica, assente dai Rerum vulgarium: tre en- quale in quegli anni erano stati sparati gli ultimi colpi vittoriosi». Com’è noto, la posizione del Salviati maturo, decasillabi e un quinario, fra loro rimati, e con lontana dal fiorentinismo, non coincideva in tutto neanche rima interna al terzo verso. La strofa saffica, con quella di Pietro Bembo, riconoscendo egli un valore senza rima interna, è presente anche in Angelo esemplare anche alla lingua dei testi toscani non letterari del Trecento. Un collegamento fra petrarchismo e manierismo opera anche H. FRIEDRICH, Epoche della lirica italiana, vol. II, cit., 5 e 6. Per la poesia, in 58 J. DEWEY, Arte come esperienza, tr. it., Scandicci, particolare, di Michelangelo e il manierismo, vd. i cenni La Nuova Italia, 1995, 306. di M. BARATTO, La poesia di Michelangelo, in 59 H. FRIEDRICH, Epoche della lirica italiana, tr. MICHELANGELO, Rime, a cura di M. Residori, Milano, it., vol. II, Milano, Mursia, 1975, 4. Mondadori, 1998, XX–XXII.

44 ora più ora meno accentuata; ed è una com- mann a proposito della Stampa, ma il suo dis- ponente del manierismo figurativo.61 Per il corso vale non solo per lei: Pontormo e il Rosso, il modello michelangio- sans le magistère littéraire que Pietro Bembo exerça, lesco funse da incentivo e propulsore, e lo stes- au premier chef, à Venise même, dans les années de so deve dirsi di Raffaello e raffaelleschi per il jeunesse de Gaspara, celle-ci n’eût peut-être ja- senese Beccafumi (il che vale anche per Giu- mais commencé d’exister en tant que poète.62 lio Romano, d’altra provenienza geografica). Condizione alla loro arte, i cui èsiti furono lon- 62 P. BACHMANN, À la rencontre de Gaspara tani da quelli dei modelli, non limitazione im- Stampa, cit., 16. Sul concetto di manierismo valgono poverente. Come scrisse ancora Paul Bach- naturalmente le riserve di E. GOMBRICH, Riflessioni sulla storia della cultura, in Custodi della memoria. Tributi ad interpreti della nostra tradizione culturale, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1985, 18–19; ID., La storia sociale 61 Vd. il sempreverde M. MARANGONI, Saper vedere. dell’arte, in Sentieri verso l’arte, tr. it., Milano, Leonardo Come si guarda un’opera d’arte, Milano, Garzanti, 1971, Arte, 1997, 374–375. In generale, Gombrich si definisce vol. I, 119; e vol. II, 265–281. un non-collettivista; posizione che volentirei condivido.

ÁVADAS Á XVI AMÞIAUS PETRARKIZMÀ

Arnaldo Di Benedetto Santrauka

Publikuodamas savo traktatà ,,Liaudies kalbos raðtai“ kurio autoritetas tuo metu buvo ne menkesnis, átaka (Prose della volgar lingua, 1525) ir Eilës (Rime, 1530) kalbos, formos ir tematikos plotmëje buvo ypaè lemia- Pietro Bembo iðkëlë Francesco Petrarcos italiðkàjà ma raðantiems poezijà italiðkai. Dël to antrojoje XVIII poezijà kaip tobuliausià pavyzdá bei kanonà kitiems a. pusëje italø literatai petrarkizmu ëmë vis labiau Italijos poetams. Nuo tol Petrarcos poetinis modelis bodëtis, laikydami já grynu pedantizmu ir mëgdþioji- netrikdomai vieðpatavo iki pat XVIII amþiaus vidurio. mu; ðis dygëjimasis truko iki pat XIX a. pabaigos. Svarbià vietà savo traktate ,,Liaudies kalbos raðtai“ Ðiandien tokio poþiûrio jau seniai atsisakyta. Tarp XVI Bembo skyrë ir Dantei, taèiau ji vis dëlto buvo tik a. Italijos lyrikø petrarkistø didþiø poetø nebuvo, ta- antraeilë, palyginti su Rerum vulgarium fragmenta au- èiau vis dëlto netrûko ádomiø asmenybiø, vertø atskiro toriaus Petrarcos iðaukðtinimu. dëmesio ir gilesnio tyrinëjimo. Todël negalima pritarti To padarinys – kelis deðimtmeèius italiðkoje litera- tiems, kurie minëtà kultûros fenomenà laiko beveidþiu tûros tradicijoje vieðpatavo vadinamasis ,,petrarkizmas“ bei schemiðku ir teigia, kad já tyrinëjant pakanka so- – kultûros reiðkinys, pasklidæs á kitas Europos ðalis ir ciologinio susisteminimo. davæs ten originaliø vaisiø. Petrarcos, kaip ir Bembo,

Gauta 2006-02-10 Autoriaus adresas: Priimta publikuoti 2006-02-23 Università degli Studi di Torino Via S. Ottavio 20, I-10124, Torino, Italia El. paðtas: [email protected]

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