MIMESIS / CINERGIE

n. 10

Collana diretta da Roy Menarini

Comitato Scientifico: Simone Arcagni (Università degli Studi di Palermo) Mariagrazia Fanchi (Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano) Luisella Farinotti (IULM – Milano) Leonardo Gandini (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) Vinzenz Hediger (Goethe Universität – Frankfurt am Main) Guglielmo Pescatore (Università di Bologna) Leonardo Quaresima (Università degli Studi di Udine) Dario Tomasi (Università degli Studi di Torino) www.cinergie.it

IL VIDEOGIOCO IN ITALIA Storie, rappresentazioni, contesti

a cura di Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone

MIMESIS Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di:

Le diciture [Fig.] all’interno dei singoli contributi rimandano all’inserto iconogra- fico al termine del volume. Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari.

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected]

Collana: Cinergie, n. 10 Isbn: 9788857552224

© 2020 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 INDICE

Prefazione di Peppino Ortoleva 11

Introduzione. Il videogioco e l’Italia: direzioni e prospettive di studio, ricerca e produzione di Marco B. Carbone, Riccardo Fassone 21

STORIE

Una preistoria del videogioco italiano di Riccardo Fassone 41

L’Italia del Simulmondo. Caratteri nazionali e transnazionali dell’industria italiana del videogioco di Marco B. Carbone 53

“I Nomi Sui Giochi”: Il Ruolo del Cracking nell’Industria Videoludica Italiana (1980-1990) di Simone Tosoni, Matteo Tarantino, Andrea Pachetti 83

Da Zzap! alle app: Riflessioni sul giornalismo videoludico in Italia di Felice Addeo, Mattia Barra, Felice Di Giuseppe 103 RAPPRESENTAZIONI

Siete in un paese meraviglioso. La guida simulata nell’Italia di Forza Horizon 2 di Matteo Bittanti 129

I limiti Immaginari del Videogioco Nazionale. L’Italia di Assassin’s Creed di Ivan Girina 149

Cartoline dall’Italia. Analisi iconografica delle Rappresentazioni del Belpaese nel picchiaduro 2D giapponese di Michael Castronuovo 167

It’s-a-me, Mario! Fenomenologia di un idraulico italico di Marco B. Carbone 185

Sulla queerness di : Sovvertire i generi e gli orientamenti nel contesto italiano di Dalila Forni 203

CONTESTI

Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco in Italia:Lo stato dell’industria nel quinquennio 2015-2019 di Gianluca Balla 219

I Videogiochi Indipendenti in Italia: Significati, Narrative, Reti di Paolo Ruffino 235

Gli esport in Italia, tra vecchio e nuovo di Enrico Gandolfi 251 I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero di Francesco Toniolo 269

Nel mezzo del periglioso tragitto. Istituzionalizzazione e riconoscimento accademico della cultura del videogioco in Italia di Federico Giordano 283

Note biobibliografiche 297

Immagini 303

Indice analitico 327

A Fortunato Lopis

Peppino Ortoleva PREFAZIONE

Questo libro analizza e discute l’affermazione e i mutamenti dei videogiochi nell’ottica di un caso nazionale, quello del no- stro paese, e nel corso del periodo compreso tra gli anni Settan- ta, il decennio che ha visto l’emergere di questa nuova forma di comunicazione e di ludicità, e il presente. Ci mostra come si sia radicato nella società italiana un processo storico globale: quel- lo che ha fatto dei videogame, fenomeno agli inizi relativamente artigianale, uno dei settori più considerevoli dell’industria cul- turale, secondo solo a Hollywood per le dimensioni economi- che, e talmente influente sul piano del costume da condizionare profondamente i comportamenti di intere generazioni. E ci fa comprendere come l’avvento della videoludica in Italia abbia assunto in parte caratteri specifici e distinti rispetto a quanto avvenuto in altri paesi, quelli più largamente studiati dalle ri- cerche del nuovo, ma già ricco, settore dei game studies. I saggi che fanno parte del libro curato da Marco Benoît Carbone e Ric- cardo Fassone indagano quest’evoluzione locale nel suo conte- sto planetario, e questo fenomeno globale nelle sue peculiarità locali, da una notevole varietà di punti di vista: tra questi la dinamica dell’emergere e affermarsi del fenomeno, le specifiche logiche che hanno caratterizzato la produzione e della distribu- zione dei videogame nel nostro paese, lo stato degli studi in ma- teria; e dedicano anche spazio al ruolo del tutto particolare che nell’immaginazione videoludica mondiale ha assunto l’Italia, o meglio alcuni luoghi e stereotipi del nostro paese. Nel suo in- sieme, quindi, il libro si colloca all’incrocio tra i game studies e la più generale storia dei media, aprendosi anche verso quell’a- rea ancora incipiente, e magmatica, che è lo studio storico del gioco e della sua evoluzione. 12 Il videogioco in Italia

Un cambio di paradigma

È una convergenza di chiavi interpretative, questa, di cui si sen- te da tempo il bisogno, ma che è relativamente rara in questo cam- po di studi: capace di contestualizzare in ambiti più ampi lo studio dei videogame (in contrasto alla tendenza tuttora prevalente a trat- tarli come universo separato), capace di cogliere l’occasione offerta dalla videoludica per dare impulso allo studio di una serie di feno- meni storici fin qui sottovalutati, ma che vanno al di là di questo ambito specifico. E disposta a dare finalmente ai videogiochi lo spazio che meritano nello studio storico della comunicazione. Il loro avvento ha infatti segnato una svolta importante, credo si possa senz’altro dire un vero e proprio cambio di paradigma, nell’evoluzione complessiva dei media: un passaggio che però è stato a lungo sottovalutato, per il cooperare di fatto dei pregiudizi che condizionano lo sguardo di chi a questo mondo è esterno, con la tendenza di chi più se ne occupa a guardarlo come una realtà se- parata. L’uso dell’espressione “cambio di paradigma” può sembrare ardito, ma cercherò di dimostrare, sia pure nello spazio limitato di una prefazione, che è la sola definizione adeguata. E credo che solo prendendo in piena considerazione la novità radicale rappresenta- ta dal nascere e dal rapido quanto inatteso radicarsi dei videogio- chi si possa fondare una seria ricerca storica sul tema e sulle sue connessioni con altri aspetti della storia del tardo Novecento e dei primi anni Duemila: una ricerca della quale questo volume indica alcuni percorsi possibili.

In che cosa consiste questa novità, questo “cambio” storico? Pri- ma di tutto non dobbiamo dimenticare che proprio con i videogio- chi si è affermata, ed è entrata negli usi fino ad apparire ovvia, quella interattività che oggi diamo per scontata in gran parte dei media esistenti. Molti tendono a considerarla una conseguenze tra le più evidenti della “rivoluzione digitale”, ma si è manifestata molto pri- ma che la stessa parola “digitale” si radicasse nell’uso comune, anzi prima che il mondo si familiarizzasse con le macchine versatili e interattive dette computer: appunto a partire dell’universo videolu- dico negli anni Settanta-Ottanta, fatta propria inizialmente da una generazione per poi diffondersi presso un pubblico più ampio. Sono stati proprio i videogame, anche nelle loro forme più primordiali P. Ortoleva - Prefazione 13 e quindi fin dalle loro prime sperimentazioni, a portare con sé un modello di rapporto tra gli esseri umani e i mezzi che non appa- riva neppure lontanamente pensabile per canali più tradizionali, dal libro al cinema, e neppure per la televisione, al di là di qual- che prima osservazione che si cominciava a fare sul come il tele- comando stesse incidendo sulle abitudini. Se i videogiochi si sono presentati già da allora come un invito a inter-agire prima che per le tecnologie che li sorreggevano è stato proprio per le loro caratteri- stiche, appunto, ludiche: in quanto con il loro avvento all’insieme di piattaforma+schermo è stato da subito attribuito un ruolo pluri- mo, di compagno di giochi e avversario, di arbitro e giocattolo, un ruolo che andava oltre l’idea tradizionale di medium come semplice tramite per il passaggio di contenuti. In altri termini, è proprio il modello “giocoso” di relazione tra la persona e l’oggetto che ha reso normale, anzi, inevitabile il pensare i rapporti umani-macchine in termini di azione-retroazione, e ha favorito l’affermarsi di un prota- gonismo individuale nel rapporto con gli strumenti. Le conseguen- ze di questo cambio di paradigma introdotto dalla videoludica si sa- rebbero poi fatte sentire nei decenni successivi in tutto il sistema dei media: dall’introduzione nel cinema e nella televisione di formule basate sul coinvolgimento in prima persona (e spesso esplicitamen- te ludico) dello spettatore, alla sperimentazione di possibili aspetti di interattività negli stessi libri cartacei. Del resto, come questo libro documenta bene, i primi video- giochi non solo hanno preceduto la diffusione di massa dell’in- formatica, ma hanno contribuito decisivamente a promuoverla. Nella prima metà degli anni Ottanta sono state proprio le “inutili” applicazioni ludiche a convincere un’avanguardia di crescenti di- mensioni ad avvicinarsi a quella che molti chiamavano “microin- formatica”, assai più di quelle applicazioni “utili” sulle quali i pro- duttori puntavano. In effetti, mentre la promozione pubblicitaria dei primi home computer faceva pensare soprattutto a un aiuto all’economia domestica, da utilizzare per tenere i conti della spesa o per schedare libri e ricette, erano i giochi (diffusi nel nostro pae- se in particolare attraverso il canale umile e onnipresente delle edi- cole) a dare senso all’acquisto degli apparecchi Vic 20 o Amstrad, e a incentivare in molte famiglie la collaborazione tra padri e figli per impossessarsi di tecnologie che apparivano ancora esoteriche. Fu proprio l’impiego apparentemente frivolo di quelle macchine 14 Il videogioco in Italia a metterne in evidenza prima, e meglio di tutti gli altri, le poten- zialità e la novità; e ad aprire la strada al passaggio dai computer “domestici” a quelli personali. Contrariamente a un celebre titolo di “Newsweek” del febbraio 1982 (Home Is Where the Computer Is) non era, già allora, la casa il punto di riferimento dell’informatica, ma piuttosto le persone, i soggetti. E che cosa rende protagonista il soggetto più del giocare? Tanto più se lo fa con la macchina e contro la macchina. E poi sarebbe stato il succedersi di nuovi titoli offerti, legittimi o “piratati”, in negozio o ancora (nel caso italiano) in edicola, a impedire la noia che troppo facilmente consuma l’in- teresse per i nuovi gadget e porta ad abbandonarli. Certo, a parti- re dal 1983-84, proprio mentre i personal computer cominciavano il percorso che li avrebbe trasformati nella macchina-chiave del nostro tempo, si sarebbe aperta una fase diversa e cominciarono ad affermarsi le piattaforme esclusivamente videoludiche di Sega, – queste ultime anche grazie a un personaggio “italianis- simo”, chiamato Super Mario – e, poi, di . Ma il gioco sarebbe rimasto comunque uno degli usi privilegiati dei via via più potenti apparecchi, desktop poi laptop, facendo uso sistematicamente del- la loro, via via crescente, potenza di calcolo. E il diffondersi dei te- lefoni cellulari sarebbe stato accompagnato, a partire dal 1997, da giochi semplici e assai simili a quelli della videoludica delle origi- ni, fino alla nascita nel 2007 di quella forma di computer chiamata smartphone, il cui uso principale, dopo il telefonare e il messag- giare, è sempre stato quello ludico. Una storia dell’informatica che non ponga al centro solo gli sviluppi tecnici, e che ragioni sulle forme, i modi, le motivazioni della sua penetrazione, non può non tenere conto di questo ruolo, possiamo ben dire di cavallo di Troia, che la ludicità ha avuto per vari decenni nella penetrazione del- le tecnologie interattive e informatiche. Del resto, se è vero che il gioco è uno dei principali strumenti evolutivi dell’essere umano, risorsa essenziale di adattamento e apprendimento, non ci dob- biamo stupire che una rivoluzione tecnica e cognitiva ininterrotta come quella informatica abbia fatto leva sul gioco per affermarsi e per farsi accogliere nelle sue successive evoluzioni. Un altro elemento di novità e di radicalità sta nel fatto che sem- pre a partire dai videogiochi, già negli anni Settanta e Ottanta, si imposero con una rapidità impressionante nomi e titoli prima sconosciuti. Se alla fine degli anni Ottanta c’era chi calcolava che P. Ortoleva - Prefazione 15

Super Mario (ancora lui) fosse l’unico prodotto culturale venduto più della Bibbia, è in quello stesso mercato che presero vita alcune start up nate dall’oggi al domani, aprendo la strada a modelli di bu- siness inattesi, fondati proprio sul carattere globale delle vendite e anche sull’accelerarsi del ciclo dell’affermazione e scomparsa di titoli man mano nuovi. C’è poi un altro aspetto, forse il meno evidente, per cui l’affer- marsi dei videogame ha rappresentato un passaggio cruciale nella storia della comunicazione. A partire dalle origini settecentesche dell’editoria moderna tra i media e la ludicità si può ricostruire una lunga e intricata storia di avvicinamenti e allontanamenti, di rapporti apparentemente difficili (se si crede alla convenzione per cui i mass media vorrebbero un pubblico rigidamente “passivo” e quindi poco interessato all’inter-azione che è tipica invece di chi gioca) ma che, se si vanno a esplorare più in profondità i meccani- smi che effettivamente generano l’attrazione e la curiosità, dimo- strano un’evidente complementarietà. La storia di questi rapporti è ancora in gran parte da ricostruire. Se ne trovano le prime tracce nella componente ludica-enigmistica che caratterizza alcuni dei generi di maggior successo, a cominciare dal poliziesco, e senza la quale non si spiegherebbe il successo duraturo dei gialli: una componente che i critici letterari tendono a considerare deterio- re e secondaria, ma che sorregge la relazione fra il testo e il let- tore, spingendolo non solo a seguire una storia, ma a forgiarsi in mente le possibili soluzioni del mistero. Si manifesta anche, sia pure in apparentemente più marginale, nel bisogno antico della stampa di massa di offrire al suo pubblico pagine non in- formative ma ludiche, a cominciare dalle parole incrociate. Dalla fine dell’Ottocento trova un’affermazione di immensa popolarità negli sport-spettacolo, che devono la loro attrattiva alla divisione dei compiti tra il piacere appunto ludico del pubblico e il lavoro pagato e contrattualizzato dei “giocatori” e che sono stati tra i mas- simi promotori dei media moderni, dalla stampa (specializzata e non) alla radio e alla televisione. Per arrivare poi alla nascita di una vera e propria editoria ludica, che vende giochi (a cominciare dal Monopoli della Parker Brothers negli anni tra le due guerre) con le modalità produttive e distributive proprie del libro. L’affermarsi dei videogiochi ha rappresentato un approdo decisivo, anche per le dimensioni del mercato, di questo gioco di avvicinamenti e al- 16 Il videogioco in Italia lontanamenti: potremmo dire, scherzando ma non troppo, di que- sto lungo e reciproco corteggiamento. Con i videogame la ludicità ha fatto da apripista a un nuovo sistema dei media, e si sono intrec- ciate diverse delle linee di incontro tra gioco e comunicazione che avevano accompagnato i due secoli precedenti: una nuova editoria ludica ha imparato a distribuire secondo i modelli propri del gior- nale (le edicole!) e del libro programmi che spesso si richiamavano e si richiamano proprio agli sport di massa, e che in generale fanno perno sull’identificazione tra chi gioca e i suoi “rappresentanti” nel campo immaginario dell’azione, mentre il giallo e la sua evoluzio- ne propria del secondo Novecento, il noir, hanno fornito ambienti, atmosfere, topoi. D’altra parte l’uso delle tecnologie versatili per eccellenza, quel- le informatiche, ha dato luogo non solo a (tanti) nuovi giochi, ma anche a forme nuove e inattese del giocare, segnate dalla presenza di una macchina che non è semplice strumento ma assume nella ludicità un insieme di ruoli, dal darci la possibilità di giocare “da soli” senza esserlo mai veramente, all’imporre le regole del gioco con un’inesorabilità superiore a quella di qualsiasi arbitro. Lo studio sto- rico dei videogiochi si sta cominciando ad aprire, e ancora una volta ne troviamo direttrici importanti in questo volume, anche all’analisi di questa nuova tappa della relazione tra media e ludicità, che si è innestata in ciascun paese nelle specifiche tradizioni nazionali del gioco (come qui è documentato dal ruolo del calcio nella videolu- dica italiana), e che d’altra parte ha introdotto con il tempo sempre nuove modalità del giocare, fino alle formecasual degli ultimi quin- dici anni: che ancora una volta si sono dimostrate pionieristiche nei confronti di una tendenza destinata poi a diffondersi in un ambito più ampio, quella a dotare i propri cellulari di una varietà di “appli- cazioni” o app per gli usi più vari, utili o di svago.

Un campo di studi troppo a lungo separato

Il cambio di paradigma che ho descritto fin qui dovrebbe risul- tare evidente a chiunque osservi con un po’ di attenzione la di- namica storica dei media, oltre che quella dei giochi. Eppure ha tardato a essere compreso, e tuttora è solo in parte oggetto di di- scussioni e riflessioni. Anche da questo punto di vista, il volume P. Ortoleva - Prefazione 17 che il lettore ha tra le mani, con la sua attenzione programmatica ai contesti e alla storia, anzi a una pluralità di scorci narrativi, ci offre diverse novità significative. Ma vale la pena di capire perché il ruolo dei videogiochi nella dinamica della comunicazione sia stato spesso sottovalutato. Possiamo parlare di una tendenza diffusa a confinare il fenome- no, a isolarlo dagli altri processi storici: una tendenza sulla quale a lungo si sono reciprocamente sostenuti gli studi storici e sociologici dei media da un lato, e gli stessi game studies dall’altro. Dalle origini e per vari decenni, fino ad arrivare a oggi, i videogiochi sono sta- ti trattati dalle rappresentazioni giornalistiche e da molti studiosi come una realtà relativamente marginale che interessava solo un segmento, certo numericamente importante ma demograficamente limitato, di pubblico. Ristretto prima di tutto per età e almeno nella fase iniziale anche per sesso: per cui la sua capacità d’influenzare l’intero sistema dei media non appariva facile da riconoscere. Hanno avuto comunque il loro peso anche i pregiudizi negativi che hanno accompagnato l’affermazione della videoludica, fino a ingenerare un clima di moral panic che non si è del tutto sopito, semmai è stato in parte trasferito verso altre innovazioni, in par- ticolare i social network. La tendenza a vedere le forme di comu- nicazione predilette dagli adolescenti come potenzialmente pato- gene e patologiche, generatrici di comportamenti incontrollati e violenti, se non addirittura di mali fisici (l’epilessia...) ha in realtà una lunga storia: senza risalire all’Ottocento o anche prima basterà ricordare, anche lasciando da parte le ripetute crociate contro i fu- metti, le inchieste condotte negli anni tra le due guerre sugli effetti negativi che sui giovani, sui movie made children, sarebbero stati prodotti dal cinema. La “decima musa”, oggi largamente ricono- sciuta come uno dei patrimoni estetici dell’umanità, veniva allora descritta come generatrice di impulsi irrazionali e aggressivi (e di epilessia!) esattamente come sarebbe accaduto poi per i videogio- chi. Il fatto che i videogame siano stati a lungo oggetto di preoccu- pazioni e condanne, e racchiusi da un confinamento etico e sociale oltre che conoscitivo, è quindi l’approdo, non l’ultimo, di un pro- cesso di lunga durata: quello per cui i media man mano emergenti e il fascino da loro esercitato sulle giovani generazioni ha creato via via più allarme sociale che attenzione critica, e ciascuno di essi è diventato oggetto di studio sistematico solo sul lungo periodo. 18 Il videogioco in Italia

Nel caso dei videogiochi questa tendenza al confinamento ha anche due ulteriori motivi. Il primo sta nel fatto che hanno avuto a lungo le caratteristiche di un consumo più specificamente ado- lescente di altri, basato sulla dimestichezza con strumenti tecnici estranei ai più anziani. Se non si possono capire i videogame senza giocarli, questa è stata a lungo, di per sé, causa di scarsa attenzione e comprensione per chi dominava il mondo degli studi. Il secondo sta nel semplice fatto che si tratta appunto di giochi, un oggetto misterioso per le metodologie dominanti nelle humanities. Pro- prio in quanto giochi sono stati a lungo percepiti, e tuttora da mol- ti lo sono, come difficili da mettere a fuoco con le categorie che si sono tramandate dalla critica letteraria a quella cinematografica e poi (ma con molto ritardo) allo studio della televisione. E poi, for- se, proprio il cambio di paradigma che i videogame portano con sé ha contribuito a mantenerli ai margini delle linee principali della ricerca sulla comunicazione. Come accade spesso, del resto, con i cambi di paradigma. Va detto d’altra parte che nel costituirsi in filone autonomo di ricerca gli stessi game studies non hanno contribuito molto, nella loro fase iniziale, a fare dialogare la riflessione sul loro oggetto con quella più generale sui media e su quella storia sociale e cultura- le della contemporaneità di cui la storia della comunicazione non può non essere parte. Anzi. Questo filone di studi ha rivendicato e in parte ancora rivendica una sua specificità e autonomia, e questo è comprensibile ed è stato in una prima fase anche utile, per evita- re di imporre sul suo oggetto concetti nati per oggetti totalmente diversi; ma è stato troppo condizionato dalle passioni personali e anche dall’appartenenza generazionale, anche se per fortuna que- sto secondo aspetto sta diventando meno rilevante, man mano che le generazioni “senza videogiochi” si allontanano dal centro della scena. Di fatto quindi i game studies hanno sempre rischiato di restare un campo troppo separato e confinato, con una forte componente identitaria, invece di porsi come non solo come componente, ma anche sfida, nel campo più generale della storia dei media, e di- rei più in generale della storia contemporanea, da cui la storia dei media non può e non deve dissociarsi. L’aprirsi di questo filone di ricerche alle relazioni tra il loro oggetto e contesti più ampi, storici e geografici, è quindi un segno di maturazione. P. Ortoleva - Prefazione 19

Viaggi in Italia

Proprio per capire il cambio di paradigma rappresentato dai vi- deogiochi, e allargare lo sguardo degli studiosi, la ricerca su un caso specifico, e un caso diverso da quello americano o da quel- lo giapponese che si presentano come dominanti nell’industria quanto nella letteratura scientifica, è di particolare interesse. An- che perché è evidente, come dimostrano le ricerche incluse in que- sto volume, in particolare nella prima parte, che un aspetto essen- ziale di questo cambio di paradigma sta anche nella ridefinizione dei rapporti centro-periferia. L’affermarsi della videoludica, per arcade ma anche per termi- nali connessi al televisore, poi per computer e per piattaforme pro- prie, è stato un processo globale, ma le mediazioni nazionali sono state cruciali: sul piano della continuità e discontinuità con forme ludiche precedenti, su quello della distribuzione e della ri-distri- buzione (anche illegale), su quello dei contenuti e della connessio- ne con le tradizioni ludiche nazionali. Possiamo parlare dell’“Italia dei videogiochi”, in effetti, in due sensi diversi ma non del tutto separabili: il modo in cui i videogame si sono radicati e continuano a operare, anche sul piano industriale, nel nostro paese; e il modo in cui prodotti elaborati in ogni parte del mondo hanno giocato e giocano con l’immagine dell’Italia, con i suoi luoghi celebri e con le sue rappresentazioni anche corrive. Era ora che a tutti questi temi si dedicassero ricerche insieme rigorose e leggibili.

Marco B. Carbone, Riccardo Fassone INTRODUZIONE Il videogioco e l’Italia: direzioni e prospettive di studio, ricerca e produzione

Questo volume si propone come la prima raccolta di studi sul gioco elettronico incentrata sul contesto italiano della produzione e del consumo, sulle narrazioni nazionali dell’industria e del me- dium e sulle rappresentazioni dell’Italia nei prodotti nazionali ed esteri. Si tratta di una raccolta interdisciplinare e critica, che si of- fre come strumento essenziale per inaugurare uno studio del vide- ogioco in Italia al crocevia tra la dimensione nazionale e domestica dell’industria, del consumo e delle narrazioni del gioco elettronico e il più ampio contesto transnazionale e globalizzato delle ecologie mediali in cui ha preso forma e si sviluppa il medium.

In termini generali, il contesto italiano si distingue per una par- ticolare forma di strabismo. Da un lato, l’Italia è – come ormai la maggior parte delle nazioni occidentali – un paese di giocatori. Il rapporto sul mercato dei videogiochi pubblicato da AESVI (2018) riporta un giro d’affari complessivo di quasi 1,7 miliardi di Euro e un numero di giocatori che supera i sedici milioni. Inoltre, la cre- scente rilevanza dei discorsi sociali sul videogioco e la penetrazio- ne di questo medium nell’agenda delle ricerche accademiche sem- brano testimoniare di un humus culturale in espansione1. D’altra

1 Tra le iniziative più importanti si segnalano almeno la rivista internazio- nale “GAME. The Italian Journal of Game Studies” (www.gamejournal.it), tra le prime riviste al mondo di game studies, ed espressione di ricercatori con base in Italia e all’estero; l’organizzazione presso l’Università di Torino nel 2018 di DiGRA, il convegno della Digital Games Research Association (www.digra.org), che ogni anno vede la partecipazione di circa trecento studiosi da tutto il mondo; le conferenze della sezione italiana di DiGRA (www.digraitalia.org), tenutesi finora, a partire dal 2017, alla IULM di Mi- lano, al Museo del Videogioco VIGAMUS a Roma, all’Università di Pa- lermo presso il Sicilia Queer Film Festival e all’Università di Torino. Tra le collane accademiche si rimanda almeno a Ludologica, curata da Matteo 22 Il videogioco in Italia parte, l’Italia rimane un paese relativamente marginale nell’ambi- to della produzione. Sebbene il territorio nazionale ospiti alcune realtà affermate (Milestone, 34 Big Things), le sedi distaccate delle principali aziende multinazionali (ad esempio Ubisoft), e un no- tevole fermento indie, i videogiochi prodotti in Italia faticano a competere – per numero e diffusione – con quelli prodotti negli altri paesi europei, negli Stati Uniti, e in Giappone.

Tuttavia, l’Italia conserva un ruolo prominente nelle narrazioni dei videogiochi in senso lato. Dalla messa in gioco dello spaghet- ti western operata dalla serie Red Dead (2004-) [Fig. 1], all’omag- gio alle icone filmiche di Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans (2017) [Fig. 2], fino all’italianità parodica di Mario, la più nota icona videoludica, recentemente “tornato a casa” con Mario + Rabbids: Kingdom Battle (2017) [Fig. 3], sviluppato in larga parte in Italia per conto della francese Ubisoft, il videogioco in Italia (o sull’Italia) si dà come un oggetto degno di attenzione e scrutinio a molteplici livelli: industriale, finanziario, mediatico, sociocultura- le, iconografico.

Questa raccolta si propone di colmare una lacuna media-sto- riografica riguardante lo sviluppo del videogioco in Italia, eal contempo di cogliere l’occasione per la ridefinizione di una piatta- forma di studio interdisciplinare che si confronti con un medium di crescente rilevanza non solo per i settori professionali e per la ricerca, ma anche per l’esperienza quotidiana di milioni di persone nel nostro paese. In questo senso, l’obiettivo di questo volume è analizzare le specificità del contesto italiano per quanto riguarda la ricezione del medium e il suo consumo da parte di audience e opinione pubblica, mappare lo sviluppo delle industrie nazionali nel confronto con i modelli esteri, discutere le narrazioni del mez- zo operate dai pubblici, dall’industria, dalla stampa, e dall’acca- demia. Ci si propone, insomma, di studiare il videogioco a partire da una prospettiva nazionale e, in alcuni casi, locale, ma che sia in grado allo stesso tempo di far dialogare questo campo di studio con i panorami transnazionali e globali.

Bittanti per Unicopli a partire dal 2007. Sul videogioco in Italia si vedano Gandolfi (2015), Fassone (2016), Gandolfi/Carbone (2019). M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 23

Contemplare una prospettiva regionale-nazionale appare dunque indispensabile per comprendere e situare storicamente la dimensione del medium in Italia in un’ottica tanto di analisi storiografica e socioculturale quanto di lettura delle dinamiche in- dustriali contemporanee. È possibile ipotizzare che occuparsi di videogiochi in Italia equivalga a tentare di colmare una lacuna ne- gli studi internazionali rispetto a un contesto che, nelle narrazioni dominanti, è per lo più stato inteso finora come marginale. D’altro canto, se una prospettiva storica può aiutare a capire i processi fi- nanziari, industriali e socioculturali di un paese che si caratterizza tradizionalmente soprattutto come mercato di consumo, non è del resto trascurabile, come ricordano molti dei contributi di questo volume, anche l’importanza della dimensione della ricezione dei testi e di come essa rappresenti una storia del gioco consumato in Italia, al pari di quella dei giochi prodotti in Italia. Infine, si pone la questione di discutere la notevole rilevanza dell’Italia come oriz- zonte iconografico e culturale per i videogiochi prodotti all’estero. Si pensi, in questo senso, a esempi come Assassin’s Creed II (2009 [Fig. 4]), che deriva larga parte del proprio atout culturale dall’am- bientazione rinascimentale italiana.

È questo, del resto, un momento in cui si osserva una istituzio- nalizzazione progressiva del videogioco in Italia, attraverso corsi di laurea dedicati, singoli corsi o laboratori allocati nei program- mi più tradizionali, e altre forme di divulgazione che vanno dai festival dei fan alle passerelle dell’industria nostrana, dal museo del videogioco VIGAMUS di Roma e dall’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna ai progetti amatoriali di preservazione della critica specializzata2. In particolare nei contesti accademi- ci, il videogioco in Italia è generalmente assimilato al paradig- ma tecnologico dei “nuovi” media3, in cui confluiscono più ampi studi sulle tecnologie digitali, sulla gamification e sui social net-

2 Si segnalano almeno iniziative come Edicola 8bit (edicola8bit.com), pro- getto di preservazione bottom-up dei videogiochi distribuiti in edicola negli anni Ottanta, e Retroedicola Videoludica (retroedicola.com), http:// www.retroedicola.com/, emeroteca dedita alla salvaguardia fisica e digita- lizzata delle riviste videoludiche italiane ed estere. 3 Sulla problematicità della nozione di “nuovi” media si vedano Levinson (2009) e Natale (2019). 24 Il videogioco in Italia work. I videogiochi, in maniera forse problematica, hanno po- tuto persino assumere il ruolo salvifico di medium innovativo che può fungere da attrattore di investimenti – simbolici e ma- teriali, ad esempio attraverso il turismo – e da promotore del pa- trimonio culturale e paesaggistico del paese. L’impatto effettivo di tali iniziative resta interamente da dimostrare: restano infatti del tutto irrisolti nodi infrastrutturali ed endemici la cui porta- ta è innanzitutto politica. E persino l’assunto ideologico di tali operazione si sottopone a scrutinio: l’idealizzazione di un’Italia storico-turistica sembra implicare, in molti casi, una forma di romantico mediterraneismo4. Tali iniziative restano comunque sintomi significativi di un interesse nei confronti del mezzo che anche in Italia si fa via via più strutturato e in grado di fare brec- cia in alcuni settori produttivi e istituzionali.

Mai come in questo momento si attesta dunque la necessità di osservare il videogioco in Italia da tutte queste prospettive, adottando tuttavia uno sguardo analitico e critico, in grado di contestualizzare o problematizzare gli slanci celebrativi, le nar- razioni mitiche, e le semplificazioni che spesso accompagnano gli investimenti materiali, culturali, o emotivi di chi si occupa di videogioco a diversi livelli. Tali narrazioni, infatti, celebrano il videogioco operando un rovesciamento in senso positivo della ricezione culturale negativa che ne ha a lungo caratterizzato la lettura in senso riduzionista – il videogioco come medium este- ticamente sterile e culturalmente insignificante – quando non apertamente allarmista5.

I contributi presenti in questo volume, al contrario, prendono atto del fatto che alcuni di questi pregiudizi sul mezzo sono stati superati e in molti casi sostituiti da una relativa normalizzazio- ne sociale delle pratiche di gioco. L’obiettivo dei contributi non è dunque celebrare l’importanza del medium in Italia o i risultati delle aziende, dei prodotti o degli addetti ai lavori, ma compren-

4 Per la nozione di mediterraneismo si deve partire da Herzfeld (1984 e 1987). Per una recente e approfondita disamina sul concetto si rimanda a Tedesco (2018). 5 Su questo tema si vedano Carbone/Ruffino (2012) e Kowert/Quandt (2015). M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 25 dere gli sviluppi e le problematiche storiche, rappresentative, e socioculturali legate alla produzione, distribuzione, e ricezione del videogioco nel nostro paese. Non si tratta, tuttavia, di oppor- re una presunta oggettività della prassi scientifica alla produzione “vernacolare” circa il videogioco6, ma di sgombrare il campo da un vizio di impostazione che tende a rovesciare una pluridecennale storia di pregiudizi culturali e forme di panico mediatico in forme di esaltazione romantica, di produzione di improbabili manifesti estetici, di spasmodica ricerca di nobilitazione: afflati che, seppur comprensibili, si rivelano intellettualmente inservibili.

L’obiettivo di questo volume non è quello di offrire delle rispo- ste complete ed esaurienti a un campo di tale complessità, e sono senz’altro molti gli ambiti lasciati scoperti; lo scopo è, piuttosto, quello di costituire una piattaforma da cui lavori futuri continue- ranno a svilupparsi, contribuendo a uno studio critico, autori- flessivo e analitico del videogioco in Italia, che possa rappresen- tare il nucleo di una tradizione storica e teoretica e che si ponga altresì in maniera dialogica rispetto a un approccio orientato al fare. Il resto di questa introduzione presenta gli studi contenuti in questa raccolta, a partire da un inquadramento dei singoli sag- gi in prospettive d’insieme più ampie che possono rappresentare un punto di ingresso per la formazione di un campo di analisi interdisciplinare.

Storie

Sebbene la storiografia del videogioco abbia negli ultimi anni assunto notevole rilevanza nel più ampio campo dei game stu- dies, in molti casi i lavori di ricapitolazione storica reiterano un approccio perlopiù focalizzato su Stati Uniti, Giappone ed Europa, nonché teso a privilegiare una scholarship anglocentrica, che ten- de a escludere centri di produzione considerati marginali7. Diversi

6 Su giocatori, fan e storiografia si veda la raccolta edita da Swalwell, Ndalia- nis e Stuckey (2017). 7 Il problema è segnalato da Švelch (2013). Per un approccio volto a illustrare le produzioni nazionali in un’ottica globale si veda la raccolta curata da Wolf (2015). 26 Il videogioco in Italia studi recenti hanno sottolineato questo cono d’ombra nel lavoro storiografico sul videogioco e contribuito a costruire una storia in- clusiva e corale, che includa il lavoro di soggetti tradizionalmente marginalizzati e rifletta sulla rilevanza di contesti geografici altri, dalla Cecoslovacchia comunista (Švelch 2018) all’America Lati- na (Penix-Tadsen 2016). I contributi presentati in questa sezione costituiscono un primo tentativo di lavoro unitario e per quanto possibile accurato sulla storia del videogioco in Italia. Sebbene i capitoli rispondano a domande di ricerca diverse e adottino me- todologie legate a discipline tra loro complementari, è possibile intuire in filigrana il dipanarsi della storia – discontinua e acciden- tata – della produzione videoludica nel nostro paese.

Adottando il paradigma dell’archeologia dei media, Fassone dimostra che è possibile ipotizzare una storia del videogioco che inizia prima del videogioco. Fassone, infatti, evidenzia una serie di continuità tra l’industria dell’intrattenimento da bar – flipper e altre macchine elettromeccaniche – e la nascente industria del videogioco concentrandosi sul caso della Zaccaria, un’azienda pro- duttrice di flipper di Bologna. In questa cornice, il videogioco è dunque spogliato della propria essenzialità tecnologica e riportato a un più ampio novero di pratiche sociali, culturali e spaziali che disegnano ambiti di prossimità tra gioco elettronico e i passatempi elettromeccanici novecenteschi.

Carbone postula l’impossibilità di comprendere il videogioco italiano senza uscire dall’Italia o, meglio, senza affrontare la com- plessità degli interscambi commerciali, culturali e simbolici che caratterizzano un contesto che sfugge ai confini nazionali. Il vide- ogioco, per Carbone, è parte di un sistema mediale complesso, che include oggetti di uso comune come il televisore, che si inscrive nel più ampio processo di domesticazione del computer e che non può sottrarsi a dinamiche transnazionali di circolazione di tecno- logie, prodotti e pratiche. Carbone analizza in questa prospettiva il caso di Simulmondo, la prima azienda produttrice di videogiochi in Italia a formulare una visione del videogioco in una prospettiva fortemente nazionale e a dovere confrontarsi con i mercati e i pub- blici esteri con una serie di traduzioni di varia natura nel processo di esportazione dei propri prodotti. M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 27

Tosoni, Tarantino e Pachetti si concentrano sul ruolo deter- minante che la pirateria, nella forma specifica del cracking, ebbe negli anni Ottanta nella diffusione di una cultura del videogioco nazionale. A fronte dell’inefficacia delle reti di distribuzione -uf ficiali – che raggiungevano per lo più i grandi centri e spesso in modi farraginosi – un sottobosco di pirati e cracker avvia in questo periodo operazioni di acquisizione, traduzione, e ridistribuzione di videogiochi internazionali attraverso il canale, ben più capilla- re, delle edicole. Il lavoro di Tosoni, Tarantino e Pachetti analizza tanto le implicazioni socioculturali di queste pratiche in relazio- ne alla formazione di una cultura del videogioco italiana, quanto i rapporti tra produzione culturale e assetti e paradigmi legali in merito alla pirateria, facendo luce su una serie di pratiche consi- derate marginali ma in molti casi profondamente significative nel contesto italiano.

Addeo, Barra e di Giuseppe mettono a fuoco il ruolo della stam- pa specializzata nel farsi area originaria di catalizzazione del di- scorso sul videogioco in Italia, come avvenuto in altri paesi. In particolare, gli autori rintracciano nella storia della stampa spe- cializzata i processi di formazione di un idioletto comune e di cre- denze e narrazioni condivise nell’alveo della cultura del videogioco in Italia. In questo senso, l’articolo analizza il ruolo di mediazione e traduzione che la critica videoludica svolge nel contesto italia- no, in particolare negli anni Ottanta, generando discorsi nazionali specifici, che intraprendono tuttavia un inevitabile dialogo con la produzione discorsiva globale.

Questa sezione del volume offre dunque una ricapitolazione storica della nascita e dello sviluppo del videogioco in Italia, ri- lanciando tuttavia una serie di questioni che saranno centrali per lo sviluppo di una storiografia nazionale rispetto a questo me- dium. Da un lato, il lavoro storiografico è legato in modo indis- solubile alla conservazione. Gli sforzi archivistici di istituzioni come il VIGAMUS di Roma8 o l’Archivio videoludico di Bologna9 contribuiscono, seppure spesso con limiti strutturali e metodo-

8 http://www.vigamus.com. 9 http://www.cinetecadibologna.it/archivi-non-film/videoludico. 28 Il videogioco in Italia logie non sempre sviluppate e comunicate in termini critici o riflessivi10, a rendere accessibili supporti e materiali a rischio di obsolescenza. È tuttavia necessario non solo introdurre criteri scientifici e professionali, ma anche mappare e conservare, per quanto possibile, reperti di minore stabilità materiale: le storie delle comunità di giocatori, il lavoro dei pirati, le produzioni culturali spesso effimere dei fan. In questo senso la raccolta di testimonianze orali sembra essere una delle priorità degli stori- ci del videogioco. In secondo luogo i contributi sottolineano la necessità di smarcarsi da narrazioni storiche deterministe, che si fondano su tropi storiografici (“il lento cammino”, “l’epoca d’o- ro”) che incanalano la ricostruzione in retoriche ora celebrative, ora vittimistiche. Infine, emerge dai contributi una necessità di collocare la storiografia sul gioco all’interno della più vasta pra- tica della storia dei media. In questo senso occorre sviluppare un approccio che non consista né in una specificità isolata né in una interstizialità forzata, nel tentativo di evitare tanto collocamenti subalterni quanto controproducenti e forzati isolamenti.

Rappresentazioni

Questo volume non aspira soltanto a ricostruire la produzione di videogiochi in Italia, ma opera anche un lavoro di analisi rela- tivo ai videogiochi sull’Italia, o ai videogiochi in cui l’Italia è pre- sente in forme rappresentative significative. Questa distinzione può essere utile tanto sul piano storico, per comprendere il doppio piano dello sviluppo delle industrie italiane e delle immagini do- minanti dell’Italia nei prodotti dei paesi esteri – che tendono a pri- vilegiare immagini essenzializzate dell’Italia a partire da momenti storici tradizionalmente rilevanti come il Rinascimento – quanto sul piano dell’istituzionalizzazione dei videogiochi, nel momento cioè in cui viene auspicato che i videogiochi siano chiamati con di- verse richieste a rappresentare l’Italia. Quando le rappresentazioni

10 Tali progetti riflettono ancora, in tale senso, delle influenze di una fase storiografica pionieristica ma largamente nostalgica e incline allaludofilia , una fase che Huhtamo (2005) definisce la “chronicle era”, importante ma incline a una sottovalutazione dell’importanza dei metodi specialistici, strutturati e autoriflessivi, della storiografia e delle archeologie dei media. M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 29 dell’Italia sono anche quelle dei videogiochi prodotti in Italia, esse sono avvenute prevalentemente come riproposizione di elementi della cultura pop e di altre industrie creative e dell’intrattenimento o dello sport, più spesso che nella forma di riproduzioni di eventi storici ed elementi ambientali. Tali rappresentazioni sono legate strettamente ai pubblici di destinazione e ai mercati di riferimento e possono generare diverse strategie e forme di ricezione attuate in forma più o meno consapevole.

Il capitolo di Bittanti analizza la rappresentazione del paesag- gio italiano, declinato in genere in forme bucoliche o esotiche, nei simulatori di guida. Per Bittanti, l’analisi di questo paesag- gio in continuo movimento, costituito da una teoria di villaggi Potëmkin digitali, ha una doppia funzione. Da un lato questa forma di essenzializzazione di tratti estetici e paesaggistici che si vogliono specificamente italiani rivela, in trasparenza, una se- rie di assunti culturali che riguardano la rappresentazione e la rappresentabilità dell’Italia in prodotti pensati per un pubblico globale. Dall’altro, lo scollamento tra l’Italia digitale e l’attualità del paese lascia spazio a riflessioni circa la rilevanza e l’efficacia politica di pratiche simulative inevitabilmente intrecciate con una controparte reale.

Il lavoro di Ivan Girina si occupa di precisare e delimitare la nozione di nazionalità in relazione al videogioco italiano. Que- sta operazione implica, per l’autore, una specifica rilevanza non soltanto dei giochi prodotti in Italia, ma anche di quelli che intessono con l’Italia rapporti complessi di rappresentazione, essenzializzazione, negoziazione culturale. Il capitolo di Giri- na muove a partire da un approccio comparatistico, che usa gli studi sulle nozioni di nazione e stato-nazione applicate all’in- dustria cinematografica per tracciare identità e divergenze con il videogioco. Girina articola nozioni centrali nel dibattito sul- la storia nazionale dei media come egemonia e nazionalismo “soft”, dimostrando l’applicabilità di tali costrutti teorici anche al videogioco.

Castronuovo presenta il caso dell’Italia nel contesto dei co- siddetti picchiaduro giapponesi, in cui diversi fenomeni semi- 30 Il videogioco in Italia otici determinano la sintesi o giustapposizione di elementi che costruiscono dei quadri stereotipici che rimandano a tradizioni occidentaliste e all’esotizzazione dell’Italia in prospettiva giap- ponese. Tali processi sono stati lungamente esplorati nelle inda- gini storiche e sociologiche degli sguardi reciproci tra Giappone e Italia sotto la scorta della categoria dell’occidentalismo. Castro- nuovo si concentra su un genere storicamente costruito intorno a pratiche di inventariato culturale, in cui combattenti e location sembrano ricalcare immancabilmente rappresentazioni stereoti- piche di immaginari nazionali o etnici, ricostruendo i processi di estrazione e compressione di tratti ipotizzati come caratteristici della “italianità”.

Carbone riflette sulla ambigua etnicità di Mario, una delle più conosciute icone del videogioco globale, che conserva tratti di un’italianità parodica o essenzializzata, secondo una formulazione incline a bonari stereotipi mediterraneisti. Lo studio di Carbone traccia linee genealogiche che conducono all’idraulico italo-ame- ricano a partire da alcune tradizioni iconografiche e rappresen- tative declinate, tra il Giappone e gli Stati Uniti, sulla scorta di una amplificazione di alcuni tratti di un supposto carattere italo- americano. Tuttavia, come dimostra Carbone, la rappresentazione etnica di Mario risponde anche a criteri di appetibilità globale, di branding e di progressiva associazione a narrazioni di una generi- ca italianità, nonché di adattamento del personaggio al design dei giochi e ai loro mercati di ricezione.

L’intervento di Forni si concentra sulla diffusione in Italia diThe Sims (2000-), una serie di videogiochi che consente agli utenti una ampia personalizzazione delle identità di genere dei personaggi virtuali in senso inclusivo, non-eteronormativo e non cis-gender. Forni fa notare come i giochi di questa serie abbiano anticipato di fatto la legislazione vigente in Italia sul piano del riconoscimento delle unioni civili, agendo come un fattore di sensibilizzazione e di rappresentazione delle identità non-normate prima che l’or- dinamento legale operasse in tal senso. La prospettiva di Forni, dunque, sembra ricalcare i presupposti dell’intervento di Bittanti, in cui la simulazione diviene una lente attraverso cui leggere la contemporaneità. M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 31

I capitoli di questa sezione sottolineano, dunque, come l’Ita- lia costituisca un bacino rappresentativo di notevole influenza nella produzione globale di videogiochi. Questa constatazione, e il lavoro su occidentalismo ed esotismo operato dai capitoli qui pubblicati, aprono diversi scenari possibili per la ricerca sui temi della rappresentazione di un presunto carattere nazionale. Da un lato queste considerazioni si interfacciano con le nozioni del soft power, del national branding, del made in Italy e della promo- zione del territorio e del patrimonio culturale. Se il soft power dell’Italia è quello di un paese dalla vocazione turistica in ragione del suo patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico, al- lora l’immagine dell’Italia e del suo patrimonio prodotta da testi esteri e nazionali può convergere sul piano della riconoscibili- tà intra- e internazionale (come nel caso di Assassin’s Creed II e della sua ricostruzione creativa di determinate ambientazioni storiche). Una prima strategia può essere quella dell’attrattiva internazionale di luoghi storici tipici del turismo, come quelli della serie di Assassin’s Creed II, dunque una cannibalizzazione del patrimonio in una logica di sfruttamento commerciale del settore dell’intrattenimento, o dell’attrattiva internazionale di un brand o di un personaggio italiano, come i giochi con la licenza ufficiale di Valentino Rossi (Valentino Rossi: The Game, 2016), o la comparsa di scooter che ricordano quelli prodotti dalla Piaggio in alcuni prodotti della serie giapponese di Super Mario (Super Mario Odyssey, 2017) e relativo merchandise, in abbinamento alla italianità del personaggio. Una seconda prospettiva opera in senso inverso, postulando un beneficio sul territorio attraverso il medium digitale e la sua pervasività come presupposto di una logica della promozione dei luoghi e del marketing territoriale. Tale è la logica di progetti che mettono liberamente a disposizio- ne dei produttori versioni digitalizzate del patrimonio italiano all’interno di una retorica di una ricaduta vantaggiosa sul terri- torio, che prenderebbe la forma di un incremento nel turismo e antidoto per lo spopolamento dei centri periferici. Tale assunto è tuttavia discutibile per motivi di ordine politico ed economico. Da un lato, operazioni di questo genere sono raramente accom- pagnate da un ragionamento sulla distribuzione della ricchezza eventualmente prodotta da un ipotetico incremento del turismo a seguito della rappresentazione di un luogo in un videogioco, e, 32 Il videogioco in Italia di converso, non individuano potenziali ricadute negative per la popolazione residente. Dall’altro, l’efficacia economica di opera- zioni di questo genere resta in larga parte indimostrata e si fonda su casi – come quello citato di Assassin’s Creed – legati a località di enorme attrattività turistica.

Contesti

L’ sezione del volume si occupa della complessa rete di attori, industrie, e pratiche che si muovono attorno al videogio- co italiano. Dalla crescente rilevanza degli esport alla costruzione di una ludicità di secondo livello e spettatoriale attraverso i play- through su YouTube, dalle idiosincrasie culturali ed economiche della produzione indipendente alle specificità della pipeline indu- striale italiana, questa sezione aspira a ricostruire i contesti abitati dal videogioco. Gli autori di questa sezione conclusiva, insomma, si occupano della produzione e della ricezione dei videogiochi in Italia oltre al paragioco e al metagioco analizzati nelle prime due.

Balla discute le peculiarità della produzione videoludica in Ita- lia nel periodo recente, soffermandosi sul piano della produzio- ne e del workflow come momento di pianificazione e design del prodotto. In particolare, il capitolo di Balla mette in relazione le aspirazioni e le culture produttive dell’industria videoludica italia- na – analizzata attraverso alcuni casi specifici – con quelle di altre industrie mediali, sottolineando come queste siano influenzate tanto da contingenze infrastrutturali quanto da specifiche auto- narrazioni dell’industria.

Paolo Ruffino si concentra sui videogiochi indipendenti pro- dotti in Italia, soffermandosi sulla reiterazione di definizioni che provengono da un ambito sovralocale e contribuiscono a dargli forma. Ruffino affronta, da un lato, la complessa rete di tassonomie, distinzioni, e definizioni nella quale si inscrive il concetto di e ne riconduce dinamiche e paradossi al contesto italiano. Il capitolo mette a tema l’operato delle entità culturali che sostengono e promuovono il videogioco indipen- dente. Luoghi di divulgazione critica, festival e convention co- M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 33 stituiscono per Ruffino siti di costruzione e raffinamento dell’i- dentità indie italiana.

Il capitolo di Gandolfi descrive il funzionamento e le specificità del panorama degli esport in Italia. Il testo prende le mosse da una ricostruzione storica del fenomeno, messo a confronto con lo sviluppo delle pratiche esportive nel contesto globale. In questo senso, Gandolfi ravvisa una convergenza tra il panorama italiano e quello internazionale nella marcata crescita di interesse, finan- ziamenti, e rilevanza sociale e culturale che gli esport hanno avuto nell’ultimo decennio. In seconda battuta, l’autore offre una serie di considerazioni sulla natura interstiziale del fenomeno degli esport in Italia, situati a metà strada tra le culture videoludiche propria- mente dette e il coacervo di culture sportive che caratterizza il no- stro paese.

Toniolo offre una panoramica sull’ecosistema di YouTube in Italia, mettendo a fuoco il ruolo e le competenze degli YouTuber italiani che si occupano di videogiochi. In particolare, Toniolo si concentra sugli stili comunicativi, sui manierismi, e sugli og- getti di interesse degli YouTuber italiani in una prospettiva sto- riografica. Toniolo ipotizza una periodizzazione tripartita per l’ecosistema di YouTube in Italia e offre una disamina diacronica dell’emersione e dell’affermazione di tali figure di mediazione tra industria e pubblico, tra produzione e consumo. Toniolo si sof- ferma inoltre sulle peculiari forme dello stardom degli YouTuber, che oltre ad assolvere al citato ruolo di facilitatori di un dialogo tra produttori e consumatori divengono in molti casi personaggi popolari e riconosciuti.

L’articolo di Giordano, infine, aspira a mappare lo stato degli studi sul videogioco in Italia e della penetrazione di tale campo disciplinare nelle università nazionali. Giordano disegna uno sce- nario in cui il videogioco è spesso accolto come oggetto di studio negli ambiti umanistici e delle scienze sociali, integrandosi in cur- ricula legati allo studio del cinema, dei media digitali, dei processi culturali in senso lato. Giordano nota inoltre l’affermarsi di nume- rose scuole professionalizzanti, che mirano a formare profili spen- dibili all’interno dell’industria del videogioco globale. L’articolo 34 Il videogioco in Italia di Giordano testimonia, dunque, di una progressiva affermazio- ne degli studi sul videogioco nell’accademia italiana, che sembra destinata a recuperare lo svantaggio accumulato rispetto ad altri contesti nazionali nell’accogliere i game studies come disciplina legittima tanto per la ricerca quanto per la didattica.

Conclusioni

Alla luce di questi contributi, emerge la necessità di affronta- re il videogioco in Italia come un medium implicato in molteplici forme rappresentative, ecologie mediali, culture della produzio- ne e pratiche di consumo, di creatività e di performance. In molti casi emergono situazioni complesse dal punto di vista dell’analisi e degli scenari che disegnano, spesso imbrigliate in logiche binarie che affrontano il videogioco a partire da uno di due poli: la sua irrilevanza sociale e culturale o, al contrario, la sua eccezionalità tecnologica.

Emerge dunque la necessità di operare un quadro comune di studio e ricerca, a partire da contesti specifici come “GAME. The Italian Journal of Game Studies” o la sezione italiana di DiGRA (Digital Games Research Association), per la fondazione di una letteratura specialistica che punti alla ulteriore normalizzazione dello studio dei giochi non solo nell’ambito insulare dei game stu- dies, ma in settori come gli studi mediologici e sociologici, gli ap- procci interpretativi, critici e di teoria culturale, le scienze storio- grafiche, dell’educazione e della formazione e i metodi etnografici di indagine sociale. Tali discussioni potrebbero idealmente avvenire in un contesto in cui lo studio accademico del gioco è distinto e indipendente dalla sua applicabilità o dai suoi criteri più strettamente tecnici, professionali e industriali, ma non per questo non chiamato a un dialogo produttivo con il fronte della produzione.

Questo volume si propone dunque di aprire un campo di studi e di ricerche sul videogioco in Italia, prendendo atto della neces- sità e dell’urgenza di affrontare il gioco elettronico nel contesto nazionale. L’obiettivo di questa raccolta è quello di fornire una M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 35 serie di strumenti per l’analisi dei discorsi e delle pratiche speci- ficamente nazionali intorno al videogioco, cercando di sopperire ai limiti empirici di tale ricerca (la difficoltà o impossibilità di reperimento dei materiali, la parzialità dei dati, ecc.) attraverso una impostazione metodologica il più possibile interdisciplinare e multifocale.

Molto rimane, tuttavia, da fare. Una mappatura completa su dati di vendita e di consumo, ad esempio, potrebbe offrire spunti per riflessioni più circostanziate; un lavoro maggiormente sinergi- co con chi si occupa di storia contemporanea in Italia potrebbe in- serire la storia del videogioco nel più ampio affresco delle pratiche sociali, culturali, e politiche che caratterizzano gli ultimi quattro decenni di storia nazionale; una più minuta analisi locale potreb- be rivelare disparità e asimmetrie regionali, demografiche, di clas- se, genere ed etnia nel consumo e nella produzione (oltre che nei settori della critica e dell’accademia) in diverse aree del paese.

Questo volume è dunque un’apertura verso un campo di stu- di che riteniamo strategico nel contesto italiano e un auspicio per una maggiore sinergia interdisciplinare intorno allo studio del vi- deogioco, un oggetto mediale le cui complessità e specificità e il cui complesso rapporto con paradigmi nazionali e globali merita- no l’interesse di molteplici branche dell’accademia.

Bibliografia

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STORIE

Riccardo Fassone UNA PREISTORIA DEL VIDEOGIOCO ITALIANO

Una storia continuista del videogioco italiano

Questo saggio si inserisce nel contesto di un più ampio pro- getto di ricerca, dedicato alla ricostruzione storica e all’analisi critica delle vicende dell’industria videoludica italiana. Sebbene la storia di dispositivi di intrattenimento pubblico pre-digitali (e in alcuni casi pre-elettronici) come i flipper possa sembrare marginale rispetto alle finalità e ai presupposti di tale progetto, la tesi che sosterrò è che in molti casi non sia possibile condur- re ricerca storica circa il videogioco in assenza di un più ampio sguardo diacronico sulla ludicità elettromeccanica. In altre paro- le, in questo contributo tenterò di ricollocare l’oggetto principale della mia ricerca – la storia di un’industria che si potrebbe pensa- re tecnologicamente orientata – all’interno di una più comples- sa genealogia ludo-storica. Nel caso specifico, nell’approcciarmi a ricostruire la storia della produzione di videogiochi arcade in Italia – una serie di vicende che incrociano pirateria e cloni, aspi- razioni globali e logistica locale, sale giochi in località turistiche e archivi informali – ho constatato che la maggior parte dei miei informatori1 e, latamente, dei contatti che avevo costruito ave- vano operato, in forme più o meno professionalizzate, nell’am- bito dell’intrattenimento elettromeccanico (in particolare nella produzione, distribuzione, riparazione di flipper) e che, in virtù di questa convergenza, tendevano ad associare all’ambiente della sala giochi una serie composita di dispositivi digitali, elettronici ed elettromeccanici.

1 L’autore desidera ringraziare sinceramente chi ha prestato il proprio tem- po per questa ricerca. In particolare, per la stesura di questo articolo, sono state essenziali le testimonianze di Natale Zaccaria e Federico Croci. 42 Il videogioco in Italia

Questo presupposto storiografico non è certamente inedito per chi si occupa di ricostruire la traiettoria dei giochi arcade. Una storia continuista di questi dispositivi, in cui macchine di- gitali, elettroniche, ed elettromeccaniche coesistono in virtù di una serie di protocolli di utilizzo comuni è sostenuta dalle tesi media-archeologiche di studiosi come Erkki Huhtamo (2005), che, sulla scorta, ad esempio, della cosiddetta new film history (Elsaesser 2004), ricostruiscono traiettorie diacroniche che han- no origine a partire dal tardo XIX Secolo. Questo contributo si fonda su tali premesse teoriche nel tentativo di trascendere il determinismo digitale che in alcuni casi dà sostanza alle rico- struzioni storiografiche relative al videogioco, mettendo in luce una serie di continuità tra le pratiche produttive dell’industria del flipper e quella del videogioco arcade in Italia a partire dai tardi anni Settanta. Il capitolo si articolerà dunque lungo una doppia traiettoria. In prima istanza presenterò il caso della Zaccaria, la più impor- tante azienda italiana produttrice di flipper tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Questa sezione utilizza, oltre a una serie di fonti documentali relative alle pratiche industriali e ai discorsi culturali relativi al flipper in Italia, un’intervista realizzata con Natale Zaccaria, uno dei tre fratelli fondatori dell’azienda2. La seconda parte del saggio articolerà, a partire dal caso Zaccaria, una riflessione storico/teorica sulle continuità relative alla pro- duzione e alla ricezione di flipper e videogiochi arcade [Fig. 5] in Italia. In questo senso, questo capitolo mira a ricostruire le vicende di un comparto produttivo piuttosto negletto negli stu- di sui media e, allo stesso tempo, ad articolare una posizione storiografica di natura continuista rispetto allo studio del vide- ogioco, nella convinzione che “there can be no ‘proper history’ which is not at the same time a philosophy of history” (White 1973, p. XI).

2 L’intervista telefonica è stata svolta il 22 luglio 2018. La ricostruzione della storia dell’azienda e di alcune pratiche produttive si intende desunta dalla testimonianza di Zaccaria. R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 43

Un metodo per la storia della produzione

Prima di approfondire il caso della Zaccaria, è necessario espor- re brevemente gli assunti metodologici che danno forma alla mia ricerca sul videogioco italiano. Questo capitolo, così come il più ampio progetto di ricerca nel quale si inserisce, rappresenta un tentativo di ricostruire una storia della produzione videoludica na- zionale. In questo senso, il mio metodo deriva dagli studi di larga scala sulle industrie mediali (Hesmondhalgh 2013), che propon- gono un’analisi diacronica del modificarsi delle forme e dei modi di produzione e delle ricadute che questi cambiamenti hanno sui percorsi di ricezione. Tuttavia, l’utilizzo di interviste storiografi- che con operatori del settore, collezionisti e archivisti, è in molti casi volto alla ricostruzione di quella che Caldwell (2008) definisce “production culture”, ovvero quell’assemblaggio idiosincratico di best practice, credenze, tradizioni più o meno consolidate, ope- razioni logistiche, messo in azione da un particolare settore pro- duttivo in un particolare momento storico. Lo studio delle prati- che di singoli operatori o di gruppi di operatori in un determinato settore industriale permette di legare, almeno speculativamente, i prodotti derivanti dall’industria culturale del videogioco in Italia non solo all’assetto economico che li ha generati, ma anche al più intangibile milieu culturale entro il quale questi sono stati pensati e realizzati. Poiché la maggior parte delle aziende di cui mi occupo in questa circostanza sono fallite, non posso utilizzare il metodo etnografico proposto da Caldwell; tuttavia questo capitolo costi- tuisce un tentativo di ricostruire diacronicamente una porzione di storia dei media attraverso testimonianze relative alle norme culturali vigenti entro determinati settori delle industrie culturali italiane. Come cercherò di argomentare in seguito, è proprio que- sta attenzione alla produzione a permettermi di tracciare un colle- gamento tra l’industria del flipper e quella del videogioco. Quella che ipotizzo è, dunque, una storia della produzione che fa leva – oltre che sui tradizionali metodi della storiografia dei me- dia come lo spoglio di riviste, l’analisi di oggetti e dispositivi, e il lavoro su fonti secondarie – sulla raccolta di testimonianze circa i metodi, le prassi e le credenze che davano forma al comparto pro- duttivo dell’intrattenimento da sala giochi. La necessità di lavorare su campioni di informatori necessariamente piuttosto ristretti – 44 Il videogioco in Italia viste le dimensioni dell’industria del videogioco italiana nel pe- riodo preso in considerazione – mi ha condotto ad adottare una doppia ulteriore disposizione metodologica. Da un lato, questo contributo è, almeno parzialmente, in debito con la tradizione sto- riografica della microstoria ginzburgiana (Ginzburg 1976, 1994). A fronte di un orizzonte necessariamente limitato, ho deciso di con- centrarmi sulle testimonianze di singoli informatori, che mi per- mettessero di costruire la piccola storia del flipper italiano come figura che emerge dallo sfondo della grande storia della produzio- ne mediale del secolo scorso. In questo senso, traggo dall’opera di Ginzburg l’idea che si possa lavorare su “[l’]analisi ravvicinata di una documentazione circoscritta, legata a un individuo altrimenti ignoto” (Ginzburg 1994, p. 521), tentando però, a partire dalla mi- crostoria offertami da Natale Zaccaria, di dire qualcosa di più sulla storia, forse meno “micro-”, del videogioco italiano3. La seconda disposizione storiografica che assumo nella stesura di questo testo è quella offerta da Siegfried Zielinski (2006) attraverso il concet- to di anarcheologia, una pratica storiografica che produce attiva- mente e deliberatamente narrazioni anticanoniche, occupandosi di oggetti e personaggi laterali, secondari, non istituzionali e lo fa tentando per quanto possibile di resistere a tentazioni sistematiz- zanti e tassonomizzanti. In questo senso, la prevalenza di pratiche di pirateria e copia in larga parte illegali nel contesto dell’industria italiana4 permette di costruire una narrazione anarcheologica che riabilita oggetti marginali e derivativi, costruendo così quella che Zielinski (2006, p. 7) descrive come “a variantology of the media”.

Zaccaria, una preistoria del videogioco italiano

Questo scritto muove dunque da un assunto storiografico che colloca il videogioco in continuità con altre forme di gioco che lo

3 Questa forma di generalizzazione – pur cauta – di un’indagine microsto- rica, è in parziale contraddizione con il lavoro di Ginzburg, che tende a evitare processi di tipo sineddotico. Tuttavia, nel caso in esame qui, alcune generalizzazioni sono favorite dalle dimensioni piuttosto ridotte del com- parto produttivo analizzato. 4 Ho offerto una lettura più ampia dei fenomeni di pirateria in Italia, con- dotta a partire dalla nozione di anarcheologia, in Fassone 2017. R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 45 precedono. Come sottolineato in precedenza, si tratta di un’intu- izione già articolata da Erkki Huhtamo, che tuttavia fonda que- sta continuità genealogica sugli usi sociali e le pratiche spaziali; per Huhtamo videogiochi arcade e altre forme di intrattenimento elettromeccanico condividono per lungo tempo modi e luoghi di utilizzo. Il mio obiettivo è integrare tale proposta con alcune note di carattere produttivo, utilizzando il caso della Zaccaria come esempio di una evidente continuità nelle pratiche industriali di produzione di flipper e videogiochi arcade. Nel 1963 i fratelli Natale, Marino e Franco Zaccaria aprono un bar a Bologna. Una delle stanze del locale ospita una selezione di flipper americani a disposizione degli avventori. Natale, che all’e- poca stava studiando per diventare meccanico, e che si definisce dotato di una mentalità al contempo tecnica e creativa, inizia a interessarsi al funzionamento delle macchine presenti nel bar di famiglia, analizzandone la complessa architettura elettromeccani- ca e deducendo quali pezzi fossero necessari in caso di manuten- zione. Nel 1964, meno di un anno dopo l’apertura del bar, grazie all’interesse di Natale per i flipper, gli Zaccaria avviano una piccola attività di riparazione e, occasionalmente, noleggio di macchine elettromeccaniche. Tra il 1966 e il 1967 le operazioni relative ai flipper si svolgono nella casa di campagna della famiglia Zaccaria, mentre le mogli dei tre fratelli gestiscono il bar. Nel tardo 1967 gli Zaccaria iniziano a modificare macchine americane, sulle quali operano vere e proprie operazioni di “rebrand” per i propri clienti locali. Nel 1973 la Zaccaria diventa un’impresa a tutti gli effetti e i tre fratelli trasferiscono le operazioni in un capannone adibito a fabbrica per iniziare a – nelle parole di Natale – “costruire i flip- per da zero”. Con questa espressione Zaccaria intende la pratica di design di nuovi meccanismi5 – diversa dalla modifica di mec- canismi d’importazione – che, di conseguenza, porta l’azienda a potenziare o, in molti casi, attivare una complessa rete produttiva comprendente grafici, produttori di parti e pezzi di ricambio, ve- trai, ecc. I tre fratelli rimangono a capo dell’azienda, con Natale nelle vesti di direttore artistico e progettista principale, e Franco e Marino a dirigere le operazioni di comunicazione e logistica. Il

5 Alcuni di questi meccanismi originali saranno addirittura oggetto di bre- vetto da parte di Zaccaria. 46 Il videogioco in Italia

1978 è un anno centrale per la Zaccaria. Sei mesi dopo aver assi- stito alla dimostrazione di un flipper elettronico a una fiera, i tre fratelli producono Winter Sports, il primo flipper Zaccaria basato su tecnologia solid state. Significativamente, nello stesso anno, dopo aver assunto un gruppo di giovani game designer l’azienda distribuisce The Invaders – evidentemente ispirato a Space Inva- ders (Taito 1978) –, primo di una serie di videogiochi a marchio Zaccaria6. Questa doppia linea di produzione sarebbe rimasta at- tiva fino al 1984, anno in cui i tre fratelli avrebbero dichiarato ban- carotta. Nel momento di massima fortuna economica, intorno al 1981, la Zaccaria – che aveva avviato massicce operazioni di export in Europa orientale, Germania, Australia e addirittura Stati Uniti – impiegava oltre duecento lavoratori. Questa breve storia della Zaccaria ricostruisce il carattere al con- tempo eccezionale ed esemplare dell’azienda nel contesto dell’in- dustria italiana dell’intrattenimento elettromeccanico, elettronico e digitale. Da un lato, la Zaccaria è un esempio della continuità produttiva a cavallo di diversi paradigmi tecnologici: il passaggio da elettromeccanico a elettronico e, a lato, da flipper a videogioco, che avviene intorno alla fine degli anni Settanta implica modifiche solo parziali ai modi e agli strumenti di produzione. La Zaccaria non fu l’unica azienda ad attraversare questa transizione. La Si- pem/Sidam di Torino, ad esempio, iniziò a produrre videogiochi dopo aver realizzato, nel corso degli anni Settanta, una varietà di oggetti, dai tavoli da biliardino alle cabine per fototessere. Si tratta di una circostanza piuttosto comune nel contesto produtti- vo italiano e, in questo senso, è possibile avanzare due ipotesi. Da un lato aziende come Zaccaria e Sipem/Sidam avevano una cono- scenza approfondita del mercato complessivo dell’arcade. Prodotti come flipper, tavoli da biliardino, videogiochi, venivano venduti in larga parte agli stessi esercenti, che li utilizzavano per arredare sale giochi, bar, e altri luoghi pubblici. In questi termini l’assunto di Huhtamo per cui esisterebbe una continuità di modi e luoghi di fruizione trova sostanza nella constatazione questa era garantita da pratiche produttive e commerciali che vedevano produttori e rivenditori trattare oggetti tecnologicamente diversi in modo so-

6 Tra gli altri videogiochi Zaccaria, ricordiamo Quasar (1980) e Laser Battle (1981, Lazarian per il mercato USA) R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 47 stanzialmente analogo. La seconda ragione di tale continuità è la presenza di una significativa rete di professioni e settori industriali periferici rispetto allo sviluppo di macchine da intrattenimento, che, tuttavia fungevano da supporto per quest’ultimo. Produttori di cabinati, vetrai, distributori di parti di ricambio, ma anche illu- stratori, concept artist e grafici lavoravano in modo fluido a cavallo della realizzazione di flipper, videogiochi, e altre macchine ibride. Tuttavia, Zaccaria rappresenta anche un’eccezione nel contesto italiano, se non altro per la scala economica e finanziaria delle sue operazioni. Se, in linea generale, l’industria videoludica italiana è storicamente caratterizzata da instabilità economica, volatilità, e marginalità (Barca/Salvador 2012), la Zaccaria si presenta, almeno nel periodo a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, come un’azienda relativamente solida e, cosa non meno significativa, capace di intessere legami virtuosi con il mercato internazionale.

Locale/globale, legale/illegale

La Zaccaria è dunque una dimostrazione significativa del com- plesso intreccio di pratiche produttive, industriali, e culturali che disegnano una continuità tra produzione di flipper e videogiochi nei tardi anni Settanta. A partire dalla vicenda di Zaccaria è dun- que possibile ipotizzare fondatamente una versione continuista della storia del videogioco italiano. Flipper e videogiochi cabinati condividevano certamente luoghi di fruizione e ambienti sociali. Coesistevano in sale giochi e bar, uno accanto all’altro ed erano utilizzati dai giocatori senza soluzione di continuità. Queste due forme di intrattenimento pubblico dunque condividevano in lar- ga parte quelli che Gitelman (2006) definisce protocolli mediali: modi di interazione, ricezione culturale e sociale, comportamen- ti attesi da parte dei giocatori e sollecitati dal design delle mac- chine. Tuttavia, come detto, questa convergenza sembra derivare in larga parte da un assetto industriale complessivo – fatto di at- tori come Zaccaria e di una serie di professionisti e aziende ancil- lari – sostanzialmente agnostico dal punto di vista tecnologico, pronto cioè a produrre l’uno e l’altro gioco senza particolari trau- mi alla struttura produttiva complessiva. Nel caso della Zaccaria ci troviamo di fronte a una rete di attori che collaborano in modo 48 Il videogioco in Italia continuativo con l’azienda dei fratelli. Ad esempio, la Zaccaria la- vorò a stretto contatto con Rimondini, un vetraio di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, oltre che con un notevole nume- ro di falegnami della zona. Un intreccio di rapporti che delinea una fitta rete iperlocale7, che tuttavia consentiva aperture verso l’estero. È il caso, ad esempio, del rapporto ultra-decennale che lega gli Zaccaria a David Wilcox, un illustratore inglese che con- tribuì alla realizzazione di molte grafiche dei giochi dell’azien- da. Questi attori, insieme a molti altri, avrebbero accompagnato Zaccaria nella transizione – evidentemente piuttosto morbida e mai definitiva– da flipper a videogioco. La seconda ragione di questa continuità è più propriamente anarcheologica ed è da ricercarsi in quella che può essere definita una cultura della pirateria che innerva la produzione di flipper e videogiochi in Italia8. I primi produttori italiani di flipper spes- so si limitavano a rimarchiare giochi americani, o addirittura ita- liani. È il caso di Horror, un clone di Space Shuttle (1980) della Zaccaria, prodotto dalla Pinball Shop di Bologna plausibilmente nel 19859. In altri casi, i flipper italiani erano veri e propri assem- blaggi idiosincratici di materiali recuperati in modo più o meno fortunoso. Questa pratica produttiva, in particolare, era utilizzata dalla Midcoin di Napoli, che, a partire dalle parti di flipper demo- liti, costruiva altre macchine elettromeccaniche. Come detto, an- che i produttori di videogiochi italiani, almeno fino all’inizio degli anni Novanta, adottarono pratiche di pirateria in modo massiccio e continuativo. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, le sale giochi ospitavano quantità ingenti di cloni non au- torizzati di giochi stranieri. La nota causa Atari e Bertolino contro Sidam, che vedeva l’azienda americana, con il distributore italiano Bertolino, parte lesa per pirateria da parte della torinese Sidam, e che si concluse con la condanna di Sidam, non cambiò in modo radicale la situazione (Introvigne 1983). Pirateria, riassemblaggio, e produzione di cloni erano pratiche comuni e per certi versi nor-

7 Sul rapportro tra produzione videoludica e la nozione di reti iperlocali si veda Švelch, 2018. 8 Si veda il contributo di Tosoni, Tarantino, Pachetti in questo volume. 9 La datazione probabile, condivisa dall’autore di questo capitolo, si deve all’anonimo estensore della scheda di Horror sull’Internet Pinball Database. R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 49 malizzate – poiché scarsamente normate – tanto per le macchine elettromeccaniche quanto per quelle elettroniche e digitali. Infine, la continuità tra la produzione di flipper e quella di giochi arcade può essere rilevata in una peculiare tensione, che interessa entrambi i campi, tra aspetti locali o, come visto, iperlocali, e pro- iezioni globali. Come detto, la Zaccaria si appoggiava su una rete di collaboratori individuati sul territorio bolognese per la produzione di lastre di vetro e cabine in legno, ma utilizzava professionisti inter- nazionali per la realizzazione di grafiche e illustrazioni. Questo dua- lismo è rintracciabile anche in altre pratiche industriali coeve, ad esempio la produzione di macchine – flipper o videogiochi – ibride, che contenevano schede originali provenienti dall’estero all’interno di strutture in legno costruite in Italia10. Come afferma Federico Cro- ci, direttore di Tilt, il museo italiano del flipper:

sebbene ci fosse un florido mercato di produzione di schede copiate, in realtà in molti altri casi la scheda all’interno era originale, o co- struita su licenza; era solo il mobile ad essere generico. Questo per- ché farsi spedire dall’estero una cassa di schede originali e costruire in Italia il mobile, era infinitamente più economico in quegli anni che non acquistare tutto il gioco ed importarlo in Italia, tra dazi, dogane, ecc.11

Si verificava, tuttavia, anche un processo inverso. Molti pro- duttori di macchine arcade tentarono – con fortune alterne – di conquistare i mercati esteri, in alcuni casi occultando la propria provenienza. Ragioni sociali esotiche come Mr. Game – seconda incarnazione di Zaccaria – Europlay (Quarto Inferiore, Bologna) e Model Racing (Ancona) testimoniano la volontà di queste aziende di operare all’interno di un mercato percepito come globale. Que- sta tensione tra modi di produzione locali e aspirazioni globali avrebbe dato forma in modo significativo anche alla produzione di videogiochi domestici nell’Italia degli anni Ottanta12.

10 Sui flipper americani destinati al mercato italiano, si veda Croci, 2004. 11 L’intervita con Federico Croci si è svolta in due tempi. La prima parte è sta- ta condotta in persona, a Bologna, il 20 luglio 2016. La seconda via e-mail, tra luglio e ottobre 2018. 12 Si veda a questo proposito il capitolo di Marco Benoît Carbone in questo volume. 50 Il videogioco in Italia

Conclusioni

La larga maggioranza delle storie del videogioco si fonda su un implicito assunto di discontinuità tecnologica, eleggendo a ogget- to della ricostruzione una forma di ludicità implementata in una macchina informatica. Tuttavia, come dimostrato in altri ambiti della storia dei media13, accostarsi a una ricostruzione storica di pratiche sociali e culturali da un lato e, come nel caso di questo articolo, di assetti industriali e culture della produzione dall’altro, permette di problematizzare l’appiattimento sul digitale riscon- trabile in alcune pratiche storiografiche legate al videogioco. In questo senso la storia della Zaccaria, un’azienda che produce flipper, videogiochi, e macchine ibride, collocata in un contesto di pacifica coesistenza tra diverse tecnologie, mette in crisi le nar- razioni rivoluzionarie riguardanti l’avvvicendarsi di ere del vide- ogioco, consentendo di osservare transizioni più sfumate e com- plesse, che chiamano in causa pratiche industriali lecite e illecite, come la pirateria, tensioni tra locale e globale, e l’intricata rete di attori gravitanti intorno alla produzione di macchine per l’intrat- tenimento pubblico.

Bibliografia

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13 Si veda, ad esempio, il lavoro sul suono di Ernst 2016. R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 51

Ernst, W. 2016 Sonic Time Machines: Explicit Sound, Sirenic Voices, and Implicit Soni- city, Amsterdam University Press, Amsterdam.

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Ludografia

Horror [Flipper], Pinball Shop, Italia, 1985. Laser Battle [Arcade], Zaccaria, Italia, 1981. Quasar [Arcade], Zaccaria, Italia, 1980. Space Invaders [Arcade], Taito, Giappone, 1978. Space Shuttle [Flipper], Zaccaria, Italia, 1980. The Invaders [Arcade], Zaccaria, Italia, 1978. Winter Sports [Flipper], Zaccaria, Italia, 1978.. Marco Benoît Carbone L’ITALIA DEL SIMULMONDO Caratteri nazionali e transnazionali dell’industria italiana del videogioco

Nel 1991, la software house italiana Simulmondo produce Mille- miglia. Nel simulatore, ispirato alle storiche competizioni di gran- fondo, la giocatrice attraversa la Penisola impersonando corrido- ri come Nuvolari e Biondetti [Fig. 7 e Fig. 8]. Nello stesso anno, Simulmondo pubblica I Play 3D Soccer [Fig. 9], ispirato ai club di calcio italiani ed europei. Il 1992 è la volta di Dylan Dog: Gli Uccisori, basato sul celebre personaggio Bonelli [Fig. 10]. Esami- nando questi prodotti1, accomunati da temi e rappresentazioni della cultura nazionale, questo studio propone un modello di ana- lisi storiografica della produzione del videogioco in Italia e degli aspetti di “italianità” riflessi o rappresentati nei videogiochi, alla luce del successo commerciale e critico riscosso nel nostro paese e di alcune resistenze incontrate sui mercati esteri, soffermandosi su alcune evidenze provenienti da quello anglosassone. La ricerca sulle produzioni videoludiche nazionali si è sposta- ta da un’enfasi sulle storie dominanti, incentrate soprattuto sui prodotti dei mercati degli Stati Uniti e del Giappone, a una pro- gressiva considerazione dei più complessi e variegati transiti di produzione e consumo operanti al livello regionale (Liboriussen/ Martin 2016), nazionale (Wolf 2015) e transnazionale (Consalvo 2016), e di prospettive critiche e postcoloniali (Mukherjee 2017; Švelch 2019). Tali ricerche hanno sottolineato la necessità di storie in grado di coniugare prospettive globali e planetarie sulla circola- zione dei giochi e analisi di più specifici contesti di produzione e consumo. Riguardo alle storie del videogioco in Italia, studi come Gandolfi (2015) e Gandolfi/Carbone (2020) caratterizzano il no- stro paese come mercato prevalentemente di consumo di prodotti

1 Sono stati testati i prodotti compilati per i sistemi Amiga. Versioni di que- sti titoli sono disponibili anche su C64, MS-DOS e Atari ST. 54 Il videogioco in Italia esteri, mentre Fassone e Nosenzo (2016) collocano l’insorgenza di aziende italiane nelle congiunture delle industrie creative nazio- nali. L’analisi di I Play, MilleMiglia e di Dylan Dog: gli Uccisori qui intrapresa propone un approccio volto a situare uno studio del vi- deogioco in Italia al crocevia tra le specificità produttive e culturali del contesto nazionale e i flussi di merci e simboli operanti su un piano transnazionale. La tesi proposta è che le logiche e i presupposti di produzione e gli orizzonti di aspettative dei pubblici, indotti dagli sposta- menti sistematici di tecnologie, linguaggi e prodotti, non siano interamente contenibili sul piano di una analisi strettamente na- zionale dei media, e che una storiografia e geografia critica del gioco elettronico in Italia come medium vadano dunque affron- tate prendendo in esame elementi definibili in un senso anche sovranazionale2. In questa prospettiva, lo studio discute la storia di Simulmondo come un episodio di professionalizzazione del settore dei giochi elettronici in Italia, prima di allora largamente amatoriale3, in un mercato dominato da forze multinazionali e aspettative fortemen- te influenzate da modelli globali e pan-europei4. Il saggio indaga poi come le narrazioni e rappresentazioni dei giochi di Simulmon- do presentino una forte connotazione di “italianità”, costruita con

2 Cfr. Appadurai (1990) e Gilroy (1993) sulla dimensione trans-nazionale degli scambi fisici e simbolici di un mondo dalle molteplici interconnessioni; ri- spetto al cinema cfr. Higson (1989), Kinder (1993), Crofts (1998), Bergfelder (2005); rispetto al contesto geopolitico asiatico Cfr. Iwabuchi (2002); sui gio- chi Consalvo (2006; 2016). Distinta da una concezione inter-nazionale, una prospettiva trans-nazionale indica la porosità, i prestiti e le ibridazioni di tali flussi, senza rifuggere dalle specificità nazionali e regionali; sulle diffe- renze tra una visione complessa del tardo capitalismo e una vecchia visione della globalizzazione come forma unilaterale di imperialismo cfr. Carroll (2012); rispetto a studi di area, postcoloniali e diasporici cfr. Higbee e Hwi Lim (2010). Sulle geografie dei media Cfr. Ortoleva (1996, p. 185). 3 Sulle culture della programmazione in altri paesi cfr. Donovan (2015), Jør- gensen/ Sandqvist/Sotamaa (2017) e Swalwell (2012). Sull’Italia Gandolfi (2015), Fassone (2016 e in questo volume), Carbone (2017). 4 Nei primi Novanta in Italia il successo delle console da gioco dedicate ame- ricane e giapponesi è frenato dagli home computer europei e americani, favoriti anche dal software pirata (cfr. in questo volume Tosoni/Tarantino/ Pachetti), anche se i due mercati sono strettamente legati da contratti di licensing e porting (cfr. Fassone 2016). M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 55 sinergie con i brand di industrie creative e istituzioni affermate (i fumetti Bonelli, la fondazione Millemiglia), e si sofferma su come una tale politica di brand sia impiegata come strategia di distin- zione sul mercato. Lo studio presenta Simulmondo come azienda dal carattere nazionale e pan-regionale, in quanto favorisce la for- mazione di un quadro di professionisti a partire da un sottobosco amatoriale, ma anche legata alla dimensione sovra-locale dei pub- blici a cui si propone, dei prodotti con cui compete e delle proget- tualità che impiega per tentare di espandersi al di fuori dai confini del mercato italiano. Il saggio presenta una analisi testuale e intertestuale del de- sign e degli elementi tematici di I Play, Millemiglia e Dylan Dog (pubblicati nello stesso periodo, e accomunati da un design del brand che li lega a temi popolari in Italia), oltre che di altri elemen- ti para- e peritestuali (manuali, annunci pubblicitari)5. A questi elementi si affiancano uno studio della ricezione critica dei testi presso la stampa nazionale e internazionale dell’epoca e interviste originali a produttori e designer6. La prima sezione si concentra sugli elementi di specificità dell’industria italiana alla luce dei pro- dotti importati da altri paesi. La seconda sezione si sofferma sul design e le narrazioni tematiche e di branding dei testi. La terza parte affronta la ricezione dei prodotti e le strategie di export di Simulmondo. Lo studio si concentra su un numero limitato di casi e su un contesto storico specifico, ma i nessi in esso esplorati tra produzione e ricezione dei giochi, nonché tra narrazioni e rappre- sentazioni dei temi della cultura nazionale in senso “nazionalisti- co” o “cosmopolita”, si possono estendere ad altri casi della storia del videogioco, nella considerazione delle specificità storiche e dei contesti ed ecologie mediali dei singoli casi7.

5 Cfr. Genette (1997). 6 L’Autore ringrazia in particolare Francesco Carlà (Simulmondo, Finan- za World), Antonio Farina (Idea/Graffiti, Milestone, Reludo) e Riccardo Cangini () per le interviste concessegli nel 2017. I riferimenti sucessivi sono a tali interviste. 7 La storia di Simulmondo può servire a problematizzare l’approccio ai giochi elettronici in Italia, stimolando un passaggio da una iniziale fase storiografica di stampo amatoriale, celebrativo e cronachistico a una pro- fessionale e critica (cfr. Hutahmo, 2005, p. 4; Carbone/Fassone in questo volume). 56 Il videogioco in Italia

Dalla stanza da letto alla casa di produzione

Nel 1987 Francesco Carla, uno studioso e giornalista motivato da un forte interesse per il gioco elettronico, pubblica sulla rivi- sta McMicrocomputer un annuncio destinato agli appassionati di tutta Italia interessati a diventare professionisti del settore8. Dalle risposte all’annuncio emergerà a Bologna Simulmondo, probabil- mente la prima software house italiana interamente dedita allo sviluppo di videogiochi (Fassone/Nosenzo 2016, p. 153)9. Carlà co- ordina team di sviluppo di tre-quattro persone che si mettono al lavoro su home computer come i sistemi Commodore 64 e Amiga. Millemiglia, I Play 3D Soccer e Dylan Dog vedono tutti la luce su Amiga; il primo viene prodotto anche per Commodore 64 e MS DOS, il terzo anche per Atari ST10. Simulmondo e la maggior par- te delle software house europee producono prevalentemente per home computer, piuttosto che per i sistemi prodotti da multina- zionali nipponiche come Nintendo e Sega. Gli home computer si sono imposti in Europa grazie a centri di produzione e distribu- zione locali che hanno fatto da barriera di accesso ai competitor giapponesi (Donovan 2015, p. 583), e sono liberi dai protocolli di sviluppo e dalle esose licenze d’uso degli esportatori di oltreoce- ano. La prossimità geoculturale tra i paesi europei facilita poi gli interscambi tra tecnologie, linguaggi di programmazione e merca-

8 Carlà è giornalista musicale e studioso di tecnologia e cinema. Pioniere del giornalismo videoludico in Italia con la rubrica Play World su MCmi- crocomputer, si avvicina alla produzione come studioso e critico. Future ricerche si concentreranno su come Carlà metta in campo, nella sua nar- razione di Simulmondo, conoscenze e mitologie autoriali del regista e del produttore mutuate dalla storia del cinema. Cfr. la storia dei videogiochi scritta da Carlà (1993). 9 Secondo Carlà, all’appello rispondono in centinaia. Come notano Fassone/ Nosenzo (2015, p. 153), Simulmondo emerge da un variegato ecosistema amatoriale popolato da “programmatori e pirati” in un mercato di adat- tamenti, localizzazioni e varianti più o meno illecite (Fassone 2016); cfr. Tosoni/Tarantino/Pachetti in questo volume. 10 Quando Simulmondo apre i battenti il mercato dei giochi elettronici, emerso negli anni Settanta in America a seguito di sperimentazioni tec- nologiche, è già globalizzato. Giochi prodotti negli Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e Europa continentale hanno colonizzato gli spazi pubblici e domestici. Cfr. Wolf (2015, p. 4). Sull’Italia cfr. Gandolfi (2015, p. 307). M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 57 ti limitrofi11. Per Simulmondo, queste piattaforme rappresentano il biglietto di ingresso principale per la produzione sul mercato italiano. Tuttavia, la domanda è creata soprattutto da prodotti pro- venienti da altri paesi: il software proviene da aziende giapponesi, americane e europee, soprattutto francesi e inglesi. Le condizio- ni in cui Simulmondo inizia a produrre videogiochi in Italia sono sono dunque fortemente determinate da transiti tecnologici, eco- nomici e sociali di un mercato interconnesso12, in cui le dinamiche geografiche dei media si conformano a specifici contesti mentre, come vedremo, contribuiscono anche a plasmarne delle specificità (Ortoleva 1996, p. 187). In questo contesto, Simulmondo si distingue per una produzio- ne fortemente legata a un contesto nazionale, seppure rispondente agli imperativi di un mercato dal respiro ben più ampio. Lo scou- ting di Simulmondo, che favorisce la transizione tra una costel- lazione di realtà amatoriali e programmatori a una realtà di pro- duzione professionale, è, da un lato, una operazione nazionale, o ancora pan-regionale, perché raduna programmatori da varie parti d’Italia13. Carlà parte dall’esigenza di promuovere un “videogioco all’italiana” alla stregua del cinema italiano famoso nel mondo14. Tale carattere è riflesso nella scelta dei temi: perlopiù simulazioni sportive e, in una fase successiva, giochi tratti da fumetti, su licen- za di importanti produttori come Bonelli. D’altro canto, la ragione d’essere di Simulmondo è implicitamente transnazionale: l’azien- da produce per elaboratori e con linguaggi di programmazione

11 Anche in Italia, programmatori si riuniscono intorno a piattaforme di sviluppo come i sistemi Commodore, generando una sottocultura euro- americana di fan, hacker e cracker (cfr. Swalwell/Stuckey/Ndalianis 2017; in questo volume, Tosoni/Tarantino/Pachetti). 12 Un simile approccio affronta tanto i caratteri globalizzati degli interscam- bi che le loro articolazioni regionali. Cfr. Bassetti (2015, p. 95-97) sul “glo- calismo” come concetto correlato. 13 Simulmondo ha sede a Bologna, città di vivace sperimentazione artistica. A Carlà rispondono soprattutto programmatori del Nord Italia, riflettendo asimmetrie strutturali, come i redditi più bassi al Centro e Sud Italia e la più scarsa alfabetizzazione informatica. Un’altra disparità strutturale è legata alla assenza di donne, dovuta a asimmetrie di genere sistemiche (dall’istruzione formale alle narrazioni sociali del medium). Su videogio- chi e genere si parta da Shaw (2014); su genere e Italia Cfr. Passerini (1996). 14 Carlà si riferisce più volte nelle interviste agli spaghetti western di Leone e Corbucci. 58 Il videogioco in Italia provenienti dall’estero, rifacendosi a design globalmente ricono- scibili e pensati per le aspettative di giocatori nazionali abituati a giochi circolanti internazionalmente. La strategia di Carlà come produttore consiste nell’affidare a dei team di sviluppo dei concept capaci di legare un brand o un tema di richiamo a un design consolidato o promettente15. Dylan Dog: Gli Uccisori impianta il brand Bonelli sulle formule di action game dell’epoca, i cui antesignani più illustri sono Shinobi (1987), Rol- ling Thunder (1986) e Michael Jackson’s Moonwalker (1990). Coevi su home computer sono Gods (1991) e il rivoluzionario Another World (1991). Gli Uccisori tenta di adattare l’orrore a fumetti degli albi di Dylan Dog in un sistema di gioco che mescola esplorazio- ne, combattimento e elementi narrativi. Nel caso di Millemiglia, l’idea è quella di ricreare le storiche corse di granfondo attraverso un design di successi internazionali come Outrun (1986), Cha- seHQ (1987) e Crazy Cars (1987).16 Millemiglia ricalca le ambizio- ni di velocità e di realismo del genere, puntando soprattutto sulla ricostruzione storica. In parte diverso il caso di Play 3D Soccer, che capitalizza su un interesse di lungo termine per il calcio sui mercati europei, ma si distingue per un design innovativo, in cui il giocatore condivide la prospettiva del calciatore. Un’analisi del design dei prodotti dimostra, in accordo con alcuni assunti della analisi transnazionale dei media del periodo (Higson, 1989) che l’economia e la circolazione dei beni nel settore sono legati a una forte componente di internazionalizzazione. Millemiglia, I Play 3D Soccer e Dylan Dog sono prodotti in un contesto culturale ita- liano, ma devono partire da formule e temi ben riconoscibili da un pubblico che consuma prodotti provenienti da altri paesi. Negli stessi anni altre aziende attive in Italia, come Idea, Ge- nias e Trecision, impiegano strategie simili: Lupo Alberto e Cat- tivik (Idea Software 1990, 1992) adattano i personaggi degli albi a fumetti a generi resi noti da Super Mario Bros (1983) o Creatures (1990); i giochi sportivi prodotti in italia includono Over the Net

15 Nel corso delle interviste Carlà fa spesso riferimento alla sua figura di produttore-mentore che cura il gioco dalla ideazione alla promozione, co- ordinando il lavoro come “un David Selznick nel cinema o un Phil Spector nella musica”. 16 Crazy Cars 2 introduce una mappa di navigazione che sembra ispirare Mil- lemiglia, oltre a licenze ufficiali, come quella di Mercedes Benz. M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 59

(1990) di Genias/Dardari Bros e Dribbling: Calcio Serie A (Idea, 1992); Profezia (Trecision, 1991) è ambientato in Abruzzo e com- bina elementi di paesaggio locali con formule horror internazio- nalmente diffuse. Queste costanti possono essere elevate a tropi ricorrenti delle produzioni italiane di questo periodo: molti giochi presentano temi locali, ma si basano su generi internazionalmente consolidati17. Come fa notare Gandolfi (2015, p. 307), le produzio- ni italiane ruotano intorno a brand, altri media, e pratiche sociali diffuse come fumetti, sport e automobilismo. Non si tratta di di- namiche esclusive del contesto italiano: questi procedimenti ga- rantiscono, anche in altri paesi, il transfert di temi e a volte anche di maestranze e legittimazione culturale18. Sono piuttosto in ope- ra dei processi di adattamento di modelli di design globalmente diffusi per dei mercati locali. I prodotti esteri consumati in Italia sono in effetti già una cultura dei giocatori italiani, fungendo da modelli per le produzioni nostrane. Simulmondo si distingue da altre aziende19 per la produzione più ampia20, per una enfasi sistematica e ambiziosa sul proprio brand e per la capacità di ottenere l’attenzione dei mass media, in tempi in cui – come riferito da Carlà – “la tv generalista, i gior- nali e le riviste mainstream davano grande visibilità ed erano irraggiungibili dai produttori e distributori di videogiochi ita- liani”. Sue sono le sinergie intermediali e partnership più frut- tuose, consolidate con importanti operatori nel settore dei fu- metti e dell’automobilismo, come Bonelli Editore e la fondazione

17 In questo contesto, la sinergia è tra generi affermati e il valore aggiunto di licenze commerciali riconoscibili dal pubblico nazionale. Come dichiara nelle interviste da Antonio Farina (Graffiti/Idea, Milestone, Re-Ludo), il produttore è un tuttofare, che si occupa del concept e della direzione di un team: Farina si forma sullo ZX Spectrum e passa alla produzione artistica. 18 Processi simili si riscontrano in molte industrie dal successo globale: Aoya- ma/Izushi (2003, p. 243) spiegano il successo di quelle giapponesi sulla scorta di un circolo virtuoso tra i settori dell’animazione e della consumer electronics, con una sommatoria di competenze e competitività e conco- mitante sviluppo di sinergie transnazionali con filiali e partner all’estero. Cfr. anche Consalvo (2016). 19 Tali software house operano con specifici approcci, meritevoli di futuri e più estesi studi e ricerche. 20 A titolo esemplificativo, Genias è attiva tra il 1989 e il 1993 e Idea Software tra il 1990 e il 1992; entrambe pubblicano circa 15 prodotti principali; negli stessi anni Simulmondo ne produce almeno una trentina. 60 Il videogioco in Italia

Millemiglia. Non solo, dunque, Simulmondo si distingue dalle costellazioni amatoriali che la precedono (Gandolfi 2015, p. 307; Fassone/Nosenzo 2016; Carbone 2018), ma imprime forse con maggiore forza il proprio segno rispetto ad altre realtà produttive del periodo in ragione della sua intensa attività di harnessing di risorse, della scala ampia della produzione e di una marcata poli- tica di etichetta e di consistenza stilistica del brand, che accom- pagna prodotti anche molto diversi tra loro.21

Calcio, machine e fumetti

In un contesto dominato commercialmente e sovradeterminato al livello delle aspettative da prodotti stranieri, I Play, Millemiglia e Gli Uccisori rappresentano alcuni esempi di una caratterizza- zione fortemente orientata al mercato domestico. Al contempo, Simulmondo esibisce aspetti di italianità pensati in senso distin- tivo per il mercato estero. Carlà stringe accordi di distribuzione in paesi come Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Grecia. La visione produttiva e di branding ricorda quella della britanni- ca , che si distingue come etichetta di distribuzione dal forte richiamo estetico in un mercato pan-europeo22. La strategia di proiezione in Europa di Simulmondo risuona con quella che Higson (1989) ha discusso come la costruzione di un carattere e una soggettività nazionale riconoscibili all’interno di un sistema di significazione transnazionale23. Simulmondo prova ad auto-

21 Simulmondo, facendo fede al suo nome, produce numerose simulazioni, pre- sto organizzate in serie, come quella chiamata “I Play” (che, secondo Carlà, anticiperebbe l’intuizione dello i di Apple), oltre agli adattamenti da fumetti. 22 Simulmondo opera in un mercato pan-europeo di produzioni, interscam- bi, contratti di distribuzione e licenze i cui prodotti in Italia trovavano de- stinazione privilegiata nelle edicole e nei negozi di elettronica (o persino, a volte, di elettrodomestici). Diversi i giochi per le console e le produzioni giapponesi, che arrivano nei negozi di giocattoli e, come precisa Carlà, rappresentavano un settore di produzione dalle condizioni contrattuali proibitive e limitanti per molte software house europee. La storiografia amatoriale in Italia ha spesso semplificato tali processi, presentando con- fronti fuorvianti tra queste due aree (così in Cirica, 2015). 23 Cfr. anche Gundle (2018) e Tremblay (2011) su industrie creative e strategie distintive di branding. M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 61 caratterizzarsi almeno in parte per un tentativo di costruzione e branding della propria italianità. Il logo dell’azienda ideato da Carlà e firmato dal designer ebolidista Massimo Iosa Ghini, con il mondo circondato da un atomo rotante [Fig. 6], riflette tanto un carattere italiano quanto un’idea di internazionalismo: lo sguar- do dall’Italia di Simulmondo tenta ad allinearsi in un certo senso anche con un ipotetico sguardo sull’Italia24. Tutti i casi discussi in questo saggio vengono distribuiti all’e- stero con manuali in più lingue che esibiscono il carattere italia- no della software house. Millemiglia presenta in forma giocabile le edizioni della competizione che vanno dal 1927 al 1933, offren- do ambientazioni come “la pianura padana con le terribili strade alberate […], i tornanti dell’Appennino toscano, con il tremendo Passo della Futa dove Nuvolari superò Varzi, il giro di boa a Roma e il Mare Adriatico e ancora le nebbie del Veneto della Lombardia e l’arrivo a Brescia” (Carlà, 1991). Fonti storiche e giornalistiche ap- paiono nei menu e durante il gioco oltre che sul manuale del gioco. Carlà riferisce che:

Un po’ di tempo fa stavo pensando ai miti italici più recenti di mag- giore presa nel mondo. […] mi veniva in mente la Ferrari e le auto- mobili da corsa e sportive degli anni ruggenti, le Maserati, le Alfa Romeo, le Lamborghini. […] Così pensai che un teatro ideale per un simulatore sportivo davvero e leggendariamente italiano doveva es- sere quello delle 1000 Miglia. E allora iniziai il duro lavoro di trattati- ve e di organizzazione che ha portato ad ottenere la licenza esclusiva del mitico marchio. (Carlà, 1991)25

Realizzato in collaborazione con la società Millemiglia di Brescia, il racer di Carlà “italianizza” la componente tematico-paesaggisti- ca che contraddistingueva giochi di corse precedenti. Out Run era

24 Il logo rimanda ovviamente anche alla riflessione di Carlà sul Simulmon- do come metafora della smaterializzazione, della simulazione e della rappresentazione. 25 Sullo stesso numero di “MCmicrocomputer”, a pagina 266, una pubblicità presenta 1000 Miglia in un pastiche di giornali d’epoca come il Daily Mir- ror, la Gazzetta dello Sport e l’Auto e blurb dalla stampa nazionale (“su queste strade simulate corrono le mitiche: FERRARI, ALFA ROMEO, LAN- CIA, BMW, MERCEDES, PEUGEOT, CITROEN, JAGUAR, ASTON MAR- TIN, SAAB”). 62 Il videogioco in Italia stato prodotto in Giappone ed esotizzava il paesaggio Europeo, la dimensione cosmopolitana della Formula 1 e la musica pop occiden- tale. Il francese Crazy Cars era invece ambientato in uno stereotipo del road movie americano26. Millemiglia proietta la costante della ricerca esotico-eterotopica27 del racer da un piano spaziale a quello temporale, lavorando su un effetto storico-nostalgico dall’interno della storia d’Italia. La Millemiglia ispira un prodotto, nelle parole di Carlà, “diverso dalle attuali simulazioni motoristiche”, come le più inflazionate corse di Formula 1 (Carlà 1991)28. Anche se nello scar- no panorama di Millemiglia poco lascerebbe intendere di trovarsi in Italia, l’apparato storico-documentale proietta con successo il gio- catore in una potente cartolina. Millemiglia inaugura a tutti gli ef- fetti un approccio che combina la doppia ambizione di un realismo simulativo (inteso come simulazione di un sistema fisico) e di un verismo rappresentativo (inteso come verosimiglianza storico-geo- grafica) che si sarebbe realizzata più tardi in grossifranchise sportivi come ForzaMotorsport, Gran Turismo o nell’italiano MotoGP29. Nel caso de Gli Uccisori, l’operazione consiste nel ripropor- re l’esperienza dell’omonimo albo a fumetti. Le schermate ri- chiamano esplicitamente le marche editoriali di Dylan Dog

26 Il designer Yu Suzuki sceglie di ambientare Out Run in Europa perché il paesaggio americano era “troppo grande e vuoto” per la production design dell’epoca, e decide di visitare in BMW con il suo team posti come Franco- forte, Monaco, Roma, le Alpi e la costiera francese, Firenze e Milano (Ro- binson 2015). La serie Crazy Cars è invece ambientata in Utah, Colorado, Nuovo Messico e Arizona, omaggiando per converso quei grandi spazi del continente che Lowenthal (1975) e Bowden (1975) hanno indicato come l’elemento paesaggistico e a-storico delle narrazioni mitiche dell’America, vista come terra di libertà dalla vecchia, satura, opprimente Europa urba- na. Sull’Italia nei cfr. Bittanti in questo volume. 27 Cfr. M. Foucault (1984) sull’eterotopia come luogo-del-mondo- e narrazio- ne-del-luogo simultaneamente mitica e topografica, distinta dall’utopia per il suo diverso rapporto timico e simbolico con il reale. 28 Simulmondo produce anche F.1 Manager (1990), Formula 1 3D e F.1 Mana- ger II (1991). Il primo avrebbe dovuto attirare distributor esteri in ragione di un percepito esotismo (tuttavia non si perverrà ad accordi per conver- sioni su console). 29 Millemiglia anticipa la documentazione storica di produzioni più recenti e complesse come Gran Turismo Sport (2017). Come riferito all’Autore da Antonio Farina, la competizione con i grandi publisher richiederà a partire dalla metà dei Novanta team di sviluppo e capitali sempre più ingenti (in Italia, si vedano serie come Superbike (2006-2012) e MotoGP (2007-2019). M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 63 e la confezione include un mini albo inedito, Il Ritorno degli Uccisori30. È solo l’inizio di una strategia di branding più am- pia. Seguiranno presto altri giochi ispirati a Dylan Dog, incluse l’avventura grafica Attraverso lo Specchio (1992) e una serie di videogiochi a episodi distribuiti nelle edicole settimanalmente. La prima sarà distribuita anche all’estero, mentre con i secondi ha il via quello che Gandolfi (2015, p. 316) definisce il fenomeno degli “interactive comics”, che dagli accordi con Bonelli porterà a quelli con Astorina per (1993) e licenze estere come L’Uomo Ragno31. Nel caso di I Play, i mondiali di calcio di Italia ‘90 avevano visto il susseguirsi di un numero elevato di giochi a tema sul pa- norama europeo32. I giochi di calcio occupavano spesso i piani alti delle classifiche europee, seguendo un trend protrattosi per decenni33. I Play 3D Soccer tenta di innovare sul piano del design: se un best-seller come Kick Off (1989) evocava lo sport senza un elemento realistico, I Play si distingue per una dichiarata ricerca della simulazione e per il tentativo di comunicare la propria ita- lianità. Questo assunto sembra confermato da Carlà, che riferisce di avere puntato a creare un caso intorno al titolo34. Ma anche,

30 Tra gli omaggi ai fumetti si annovera un grande poster di Andrea Pazienza sullo sfondo di una stanza del gioco. 31 Interactive comic sono anche Lupo Alberto, Cattivik e Sturmtruppen (Idea Software). Con Simulmondo, però, Carlà intuisce il potenziale del canale distributivo delle edicole, assecondandone il modello ad alta frequen- za per imbastire un piano di produzione intensivo: da 1.000/1.500 punti vendita si passerà a oltre 35.000 destinazioni (sulle edicole come luogo di distribuzione privilegiato di riviste e raccolte di giochi, nonché per lo svi- luppo della critica videoludica, cfr. Kirkpatrick (2012) e Addeo/Barra/Di Giuseppe in questo volume). In Italia i fumetti Bonelli hanno un enorme fatturato e il progetto di Simulmondo ha successo (cfr. Gandolfi 2015, p. 316n), anche se il carico di lavoro per i team di sviluppo si rivelerà eccessi- vo, determinando un progressivo declino dell’originalità dei prodotti. 32 Di Simulmondo era già Italy ‘90 Soccer (1989); a questo seguirà, tra gli altri, I Play Football Champ nel 1991. Come nota “Amiga Action”, n. 22 (Jul 1991, p. 74 – http://amr.abime.net/review_6096), negli anni a cavallo dei mon- diali di Italia ‘90 i giochi di calcio “escono praticamente al ritmo di uno al mese”. 33 Cfr. Gandolfi (2015, p. 311) sui giochi di calcio nelle classifiche italiane di vendita. 34 Carlà, che riferisce di essere l’“unico appassionato e studioso di calcio” del team, mette al lavoro su I Play “i migliori”. La grafica è affidata a Riccardo 64 Il videogioco in Italia come si vedrà, dalle recensioni estere, che si soffermano sulla scelta dei club italiani. A operare sembra quasi una narrazione internalizzata da Simulmondo, che, ligia al luogo comune35, con- ferma l’Italia come un paese dalla forte tradizione calcistica.36 Nel complesso, I Play, Gli Uccisori e Millemiglia rivelano temi della cultura popolare nazionale e evidenziano diverse strate- gie tecnico-produttive e estetiche, dal cavalcare la popolarità dei giochi di calcio e dei fumetti come Dylan Dog e dalle operazioni crossmediali con i giochi venduti in edicola al recupero nostalgico della Millemiglia. Un aspetto di rilievo è però, come anticipato, che questi prodotti sono pensati per essere distribuiti all’estero. Carlà cura contratti di distribuzione e royalties in vari paesi, predispo- nendo confezioni e manuali in più lingue, la spedizione di copie destinate alla stampa e, in alcuni casi, il marketing37. Se da un lato la peculiarità di Simulmondo va compresa in relazione all’assetto delle industrie e alla ecologia mediale nostrana38, il tentativo di esportazione di temi e brand percepiti come coerenti con il made in Italy opera ancora una volta in accordo con i molteplici livelli, materiali e simbolici, che legano le aziende nazionali alla circola- zione transnazionale dei prodotti. Carlà è consapevole dei transi- ti europei dei prodotti, e il suo progetto imprenditoriale tenta di invertire delle asimmetrie dominanti che vedono l’Italia perlopiù come paese di consumo39.

Cangini e il coding a Mario Bruscella. I personaggi del gioco sono realizzati in 2D con un metodo di billboarding (sovrapposti a un campo 3D). 35 L’idea di una narrazione basata su una gerarchia sovralocale di valori è sta- ta affrontata come estensione di una critica orientalista nel campo degli studi etnografici da M. Herzfeld (2004); tale formulazione è compatibile con l’idea di cinema nazionale come narrazione fondata su un criterio di- stintivo (Higson 1989). 36 Cfr. l’interessante articolo di Le Monde sul perché l’Italia non sia “mai dive- nuta campione del mondo dei videogiochi di calcio (Audureau 2017). 37 La scelta di dotare il retro delle confezioni con testo in più lingue è dovuta alle esigenze di ottimizzazione della stampa e distribuzione sul mercato internazionale. 38 Emblematico è in tal senso il ricorso di Simulmondo alle edicole per la distribuzione settimanale degli interactive comic (Gandolfi 2015, p. 316). Cfr. Bittanti (2016) e Cappai (2017) sui caratteri transmediali dei Dylan Dog di Simulmondo e sulla loro serialità in chiave narratologica. 39 Simulmondo non è l’unica azienda italiana del periodo a provare a espor- tare in altri paesi: software house come Idea e Genias producono simili M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 65

Come riferisce Antonio Farina, il mercato italiano si caratteriz- zava anche per la grande quantità di localizzazioni e adattamenti di prodotti esteri40. Se studi come Consalvo (2006) hanno insi- stito su come i transiti tra paesi diversi abbiano contribuito alla formazione e allo sviluppo di pubblici globalizzati41, altri, come Liboriussen e Martin (2016), hanno posto enfasi sulle dimensioni regionali delle culture del gioco. Tali prospettive sono combinabi- li: un modello alla Consalvo consente di evitare essenzializzazioni culturali, riconoscendo come transiti sovranazionali di elementi confluiscano nel determinare standard, aspettative ed espressioni che sfuggono a una dimensione puramente nazionale; un combi- nato approccio ‘regionalista’ consente al contempo una determi- nazione più granulare e specifica di determinati scacchieri socio- culturali o geopolitici e delle loro particolari asimmetrie42.

Dylan Dog, who?

Resta da affrontare un’analisi della ricezione critica e dei pubbli- ci di altri paesi della “italianità” di I Play, Gli Uccisori e Millemiglia e, dunque, sul successo delle strategie di Carlà43. In questo sag- gio la scelta ricade sulla ricezione dei giochi su riviste dell’epoca italiane e anglosassoni, per ragioni di convenienza metodologica, documentale e storiografica. In Inghilterra si sviluppa un campo di stampa specialistica ampio e ancora oggi di facile reperibilità,

tentativi (Auletta 1992, p. 97). Come riferito da Antonio Farina all’autore, Idea nasce dall’esperienza di un distributore e localizzatore italiano che si dota di un team creativo per tentare l’accesso a mercati inter/nazionali. 40 È questo il caso di Dribbling, un prodotto rilevato in licenza da uno svi- luppatore inglese e re-skinned (localmente ri-tematizzato), per il mercato italiano. 41 Cfr. Consalvo (2006) sul look pan-asiatico di Final Fantasy, né interamente giapponese, né occidentale, risultante in un ibrido di elementi fantastici ed elementi esotici di varie culture. 42 Sulle asimmetrie dei flussi transnazionali cfr. Šisler/Švelch/Šlerka (2017). 43 Secondo Carlà, al picco della sua produzione Simulmondo avrebbe do- minato il mercato italiano, con una presenza massiccia nelle classifiche di vendite. Tali dati non sono ancora supportati da evidenze misurabili; secondo Carlà, dati di Fabbri Editore indicano più di 200.000 copie per alcuni titoli, oltre alla base di copertura di circa 42.000 edicole nazionali. 66 Il videogioco in Italia che consente un confronto relativamente agevole con quella no- strana44. Il mercato anglosassone è infine in stretto rapporto con i mercati continentali europei, sui quali opera una influenza domi- nante: è perlopiù l’Italia a importare testi e modelli dall’Inghilter- ra, il che consente di contestualizzare il modo in cui Simulmondo si misura con la competizione di oltremanica. Se non è possibile quantificare qui con esattezza il successo commerciale e distributivo dei prodotti Simulmondo all’este- ro45, la strategia di branding e i prodotti si dimostrano fallimen- tari presso la critica anglosassone, da un lato scontrandosi con gli standard imposti dalla concorrenza internazionale, dall’altro incappando in cortocircuiti di ricezione che prendono la forma di aspettative mal riposte o pregiudizi culturali. Emblematica è la ricezione di Millemiglia. Il prodotto è lodato dalla rivista The Games Machine italia (dove campeggia anche una pubblicità della Simulmondo) per la “splendida presentazione”, il “reali- smo esemplare” e un “sistema tridimensionale […] impeccabile” (Reynaud 1991, p. 72)46. Molto diverso il giudizio della britanni- ca Amiga Magazine UK, che lo definisce come una operazione nostalgica, mascherata da autenticità storica, pensata per qual- che fan italiano ma “dalla dubbia attrattiva per chiunque altro” (Bielby 1992, pp. 78-79)47. Millemiglia è percepito dal recensore

44 Ivi incluse molte riviste, oggi di relativa reperibilità, che vengono localiz- zate in Italia e influenzeranno la formazione di una stampa nazionale. Cfr. Addeo/Barra/Di Giuseppe in questo volume. 45 Secondo Carlà, la serie di Dylan Dog per le edicole poteva superare le 100.000 copie in circolazione; Time Runners, distribuita più avanti da Rizzoli (in mercato protetto con royalties) avrebbe superato le 200.000 unità al lancio, arrivando a contare trenta uscite in otto lingue e distribuite internazionalmente. 46 I limiti di spazio costringono questa ricerca a procedere a campione e sen- za pretese di esaustività, avvalendosi di progetti come archive.org; anche così si può ipotizzare che i riscontri di Simulmondo sulle riviste europee dell’epoca siano molto sporadici e limitati. In Italia è perlopiù The Games Machine a offrire ampi spazi all’azienda; coverage è rintracciabile anche su Computer and Video Games Italia, mentre appare nulla la presenza su Game Power, Super e Mega Console, dedicate alle console da gioco, e il cui pubblico di riferimento è largamente estraneo agli home computer, secon- do una già discussa segmentazione del mercato. 47 Qui e infra, traduzioni dell’Autore. M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 67 come “lento, artato” e “very, very foreign”48. Le recensioni sono perlopiù impietose e presentano Millemiglia come un clone len- to e “alieno” di Chase HQ. Iniziano dunque a emergere alcuni limiti delle operazioni di Simulmondo. Da un lato una discrasia tra progettualità e effettiva capacità di misurarsi con standard di design competitivi. Dall’altro il ricorso a narrazioni e temi la cui appetibilità sovranazionale non è scommessa che garantisce successo. La deludente ricezione critica sulle riviste inglesi è da attribuire dunque tanto a problemi di design (si pensi al coevo, più convincente Lotus, 1991) che a fattori di percepita estraneità culturale49. La ricezione di Dylan Dog reitera le problematiche di Mille- miglia. Amiga Computing lo introduce con un tono apertamente canzonatorio, rimarcando la fama inconsistente di un personag- gio percepito dagli inglesi sin dal nome come ridicolo, in netta contraddizione con le aspettative riposte da Simulmondo rispet- to ai mercati internazionali (Whitehead 1992, p. 96). La recen- sione si sofferma sullo scarto tra la veste ben curata e un design “inefficace”, con un controllo “lento e privo di mordente”. I limiti nella realizzazione emergono anche per Amiga Power, che trova i comandi “orribilmente lenti” e la narrazione “pacchiana” (Pelley 1992, pp. 75-76)50. Entrambe le riviste rimarcano poi che Dylan Dog, “apparentemente la star numero uno dei fumetti italiani” (Jarrat 1992), è in realtà un assoluto sconosciuto, e che il gioco di conseguenza è “strano ed estraneo” (Pelley 1992). Si riconfer- mano insomma i limiti già riscontrati da Millemiglia sulla stam- pa estera, mentre avanza la sensazione che molti dei meriti su quella nazionale siano dovuti in larga parte al talento di Carlà nel concertare il marketing e intrattenere rapporti di vicinanza

48 Traduzione dell’Autore. Jarrat (1992, p. 64) parla di “carrette sgangherate”. Per Carlà il prodotto finì per apparire “menovintage e più old style”. 49 Non si intende qui pervenire a un giudizio critico sui prodotti, ma com- prendere gli esiti e le possibili cause di operazioni di branding rispetto a particolari contesti. Il piano del marketing non è trascurabile: come ri- ferito da Carlà all’Autore, Simulmondo risentì anche della mancanza di rapporti diretti con le riviste straniere. 50 Anche Amiga Format ironizza su Dog che pare “alla ricerca delle chiavi della macchina”. La versione per C64 riceve invece un ottimo trattamento (Osborne 1992). 68 Il videogioco in Italia con i giornalisti51. L’edizione italiana di TGM, dove campeggia- no spesso pubblicità a tutta pagina della software house, premia Millemiglia glissando interamente sui difetti del prodotto (Galla- rini 1991, p. 12)52. Più complessa è la ricezione di I Play 3D soccer. Su The Games Machine italiana, il recensore lo premia come “uno dei miglio- ri giochi di calcio” e puntualizza che non lo sta premiando “per campanilismo” (TGM 1992, pp. 59). La stampa estera riproduce solo in parte questo giudizio. La recensione più lusinghiera (87%) è quella di The One, che accompagna le immagini del gioco con la caption “That’s you right there” e ne parla come del primo vero simulatore di calcio in grado di distinguersi dalla formula di suc- cesso, ma dallo scarso realismo, di Kick Off (Nesbitt 1991, p 69). Amiga Format reitera un giudizio simile. Entrambe le riviste si soffermano sul carattere di “italianità” del gioco, espresso dalla presenza dei club italiani, da un manuale dalla pessima tradu- zione e, infine, dal rimarcare come il calcio sia stato inventato in Inghilterra (O’ Connor 1992, p. 78). Altri giudizi sono più critici. Amiga Action loda la sperimentazione della prospettiva in 3D in- torno al giocatore, ma ritiene il gioco confusionario e ostico, in quanto questi sarebbe costretto a inseguire perennemente il pal- lone. Amiga Power lo ritiene coraggioso, ma inferiore ai design tradizionali dei giochi di calcio (Pelley 1991, p. 1984)53. Nel com- plesso, I Play è percepito come un prodotto dalla veste attraente ma con poca sostanza (Merret 1991, 109)54. Come per Gli Uccisori,

51 Sul carattere intermediale cfr. Bittanti (2016) e Cappai (2017). Per aspet- tare una rimediazione metalinguistica del fumetto bisognerà attendere Comix Zone (1995). Qui ci si limita a ipotizzare che Simulmondo ri- senta dei limiti tecnici dei suoi team, beneficiando soprattutto della capacità di Carlà di ideare, coordinare e promuovere adattamenti da licenze di richiamo. 52 The Games Machine dedica molte attenzioni all’industria italiana (TGM 1992, pp. 43-44). È difficile non notare una certa parzialità nel giudizio della critica e nel suo sorvolare su molti difetti dei prodotti. Nel corso delle interviste Carlà stesso pone spesso enfasi sulla necessità di situare anche le riviste di critica e dunque la ricezione dei giochi in una prospettiva attenta alle relazioni con i produttori e distributori. 53 Un trattamento ancora più critico è riservato a Football Champ (Jarratt 1992, p. 220). 54 Ciononostante, Carlà riferisce di un ottimo riscontro in Scandinavia e Fran- cia, oltre che in Spagna, Israele, Grecia e oltre cortina (prima e dopo il Muro). M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 69 la ricezione estera mette in luce i difetti che su cui la più accomo- dante stampa italiana decide di glissare. Nel complesso, i giochi di Simulmondo in Inghilterra riscuo- tono scarso successo critico per via di una percepita arretratezza tecnica o sulla scorta di uno scetticismo pregresso rispetto ai loro temi. Dal punto di vista dei simboli e delle narrazioni, Simulmon- do è forse, del resto, più nazional-popolare, cioè legata a un im- maginario rappresentativo italiano di ampia diffusione locale, che cosmopolita, ovvero orientata su rappresentazioni di più facile riconoscibilità sovranazionale.55 Come nota Higson (1989, p. 38) nel campo degli studi filmici, una cinematografia nazionale rico- noscibile in un sistema internazionale si fonda su un principio di mutua alterità: il cinema inglese è tale in quanto non è occidenta- le, italiano, o tedesco, secondo un gioco concettuale di differenze e identità. Da questo punto di vista, Simulmondo intuisce speci- ficità e gusti del mercato domestico56; tuttavia, viene a mancare un orizzonte di aspettative forte per i pubblici anglofoni. Il prere- quisito di narrazioni immediatamente riconoscibili si rovescia in alcuni casi in narrazioni incomprensibili, o di scarsa attrattiva, per i pubblici non italiani57. L’insuccesso di Simulmondo in trasferta è però dovuto anche a limiti finanziari, tecnici e strutturali. Pur effettuando un salto tra la dimensione amatoriale e quella professionale, Simulmondo rimane in qualche modo invischiata in un modello di “cottage in- dustry” semi-artigianale dal punto di vista delle condizioni di la- voro e del livello di competitività delle maestranze. Il personale e lo stesso Carlà devono occasionalmente ottemperare a molteplici mansioni, incluse quelle amministrative e logistiche, arrivando, in un caso, anche a produrre, impacchettare o spedire di persona i

55 Come nota Antonio Farina a proposito di Lupo Alberto (Idea 1991), sapere che il fumetto italiano non sarà mai riconoscibile all’estero implicava affi- darsi ancora di più alla qualità del design. Cfr. Consalvo (2012, p. 200) sul consumo transnazionale. Cfr. Ortoleva (1996, p. 193) sulle articolazioni tra le geografie dei contenuti e quelle della produzione. 56 Come notano Aoyama e Izushi (2003, p. 428), un vantaggio dei produttori locali è quello di conoscere le preferenze del mercato domestico. 57 Spetterà a ricerche future una disamina più ampia della distribuzione e ricezione internazionale di Simulmondo. 70 Il videogioco in Italia dischetti dei giochi58. La relativa assenza di una filiera affermata e strutturata, unita alle pressioni della mole di lavoro in continua crescita, rappresentano un forte freno alle ambizioni dell’azien- da. Il profilo del marketing di Simulmondo, come è notato dalla stampa dell’epoca, è spesso più di un passo avanti rispetto ai risul- tati dei giochi59. Gli Uccisori è farraginoso, con collisioni impreci- se e un ritmo lento e asfissiante. Come operazione intermediale, è un tie-in che si limita a beneficiare di un brand affermato. Un confronto particolarmente impietoso può essere fatto con il coe- vo Another World (1991) di Éric Chahi che, oltralpe, nello stesso periodo, sviluppa col sostegno di Delphine Software un proprio linguaggio di programmazione, lavora sul piano della messa in scena dell’animazione e pubblica un prodotto d’avanguardia. Tra Another World e il risultato del team assoldato da Carlà si situa un abisso di design60. E se i limiti di I Play ne frenano il tentativo di in- novare, è ampia è la distanza tra Millemiglia, dal design ambizioso ma frustrante, e i più divertenti ed efficaci titoli di altre serie, come la britannica Lotus Esprit Turbo Challenge (1991). Il confronto con l’Inghilterra può essere nuovamente utile: negli anni Ottanta importanti sinergie tra il governo, i settori della te- lecomunicazione e produttori come Sinclair e Acorn avevano dato un forte impulso alla computer literacy. Scuole e università offrono tecnologia e corsi che formeranno generazioni di futuri imprendi- tori e designer e che renderanno i prodotti inglesi competitivi sul mercato globale. Manca invece all’Italia un precoce circolo virtuo- so fondato su una convergenza tra conoscenza tecnica e abilità in- gegneristiche, tra competenze e un mercato di capitali, e tra indu-

58 È quello di F1 Manager per Commodore 64. Al picco di Simulmondo, Carlà arriva a impiegare fino a 200 persone, coordinando e supervisionando una elevata quantità di team piccoli-medi di sviluppo. 59 Per rispettare le uscite mensili Carlà impone ai team di lavoro dei tempi di realizzazione irrealistici, condannandoli a produrre giochi in alcuni casi percepiti da giocatori e critica come al di sotto delle aspettative. 60 Diverso è Dylan Dog: Through the Looking Glass (1992), una avventura gra- fica dal design riuscito, con una interfaccia originale e temi più riconoscibili da audience internazionali (i riferimenti sono a Howard Phillips Lovecraft, Edgar Allan Poe e Isaac Asimov). Carlà assolda team diversi: è attento osser- vatore dell’industria, partecipa a convegni sulle avventure grafiche e incon- tra designer come D. Glen di LucasArts (Gallarini/Reynaud 1991). M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 71 strie dell’elettronica e creative61. Manca altresì ciò che si sviluppa in Francia, cioè una percepita prossimità del videogioco al domi- nio dell’arte, in grado di legittimare sul piano discorsivo e culturale le iniziative industriali. Questo e altri fattori possono spiegare ciò che gli storici del videogioco hanno battezzato il French touch, il carattere linguisticamente ed esteticamente innovativo di molti giochi francesi prodotti in quegli anni62. In assenza di questo accumulo congiunto di know-how tecni- co63, economico (sotto forma di investimenti continui nel design) e simbolico (sotto forma di riconoscimento culturale), i program- matori italiani si muovono spesso da autodidatti, ricalcando idee di design già esistenti o sopperendo a colpi di inventiva e creati- vità a limiti tecnici ed economici. Negli anni in cui Simulmondo programma per Commodore 64 e Amiga, questi sistemi possono già considerarsi obsolescenti. I giochi italiani sono in ritardo sui trend e si modellano su generi e soluzioni perlopiù esausti. I li- miti di Simulmondo (e di altre case italiane) riguardano dunque fattori intersezionali complessi, che determinano la lamentata in- terstizialità dell’industria videoludica italiana discussa in Fassone e Nosenzo (2016), la sua scollatura rispetto ai leader globali e il carattere relativamente derivativo di alcuni prodotti. Attori commerciali come Simulmondo, che si sviluppano in una industria relativamente meno strutturata o standardizzata, faticano a imporsi sui mercati delle prime per ragioni strutturali. Se nel 1991 le giocatrici italiane si intrattengono con Lotus Pro Turbo Challenge e Another World (ma anche Lemmings, F-Zero, Super Mario World e Monkey Island 2), è più difficile che quelli del Regno Unito, francesi, giapponesi o americani apprezzino Millemiglia o I Play 3D Soccer. Come è stato fatto notare a proposito del cinema, il fatto che Hol- lywood non abbia operato in un sistema di potere equo ne spiega il carattere storicamente dominante al livello globale e il fatto che si possa considerare in alcuni paesi una forma naturalizzata della

61 Cfr. Aoyama/Izushi (2003) sulla convergenza di diversi settori produttivi in Giappone. In Italia si evince una scollatura tra una produzione di hardware inizialmente competitiva (fino al declino di Olivetti–cfr. Gandolfi 2015, p. 316) e le sue applicazioni ludiche, perlopiù consistenti in adattamenti e importazioni di temi e idee. 62 Sul French touch cfr. Blanchet (2015, p. 180). 63 Cfr. Aoyama/Izushi 2003, p. 404. 72 Il videogioco in Italia cultura nazionale: i prodotti di altre culture filmiche diventano “im- plicitamente Hollywood”, secondo un dominio espresso “in termini di estetica e di design” (Higson 1989, p. 39)64. Trasponendo il discor- so sul piano dei giochi digitali, si può vedere come Simulmondo si confronti con la competizione in condizioni di asimmetria operanti al livello tanto economico e finanziario che sul piano tecnologico e simbolico-culturale, competendo con prodotti che sono o ven- gono percepiti di volta in volta come più avanzati tecnicamente o più comprensibili e familiari.65 Questo non vuol dire, tuttavia, che Simulmondo non abbia segnato un episodio storicamente determi- nante in Italia66. Da questo punto di vista sarebbe difficile metter- ne in dubbio la rilevanza sul piano domestico, mentre i tentativi di espandersi su altri mercati testimoniano un tentativo ambizioso di confrontarsi con forti barriere all’accesso67.

Conclusioni

Questo articolo, partendo dall’analisi di alcuni prodotti Simul- mondo e della loro ricezione, ha tracciato un resoconto parziale della storia dell’azienda, offrendosi come esempio di analisi storio- grafica del videogioco italiano. I casi di I Play, Millemiglia e Dylan Dog dimostrano che un modello nazionale di analisi del medium

64 Negli anni successivi, nota Gandolfi (2015, p. 307), un termine di paragone sono i “picchiaduro”, sulla scorta del successo globale del capofila Street Fighter II (1992). Cfr. su questi temi i saggi di Castronuovo e Girina in que- sto volume. 65 Rispetto a una nozione di imperialismo culturale che oppone dominato e dominante o periferia e centro, una visione transnazionale critica cattura asimmetrie finanziarie e simboliche in maniera più flessibile e meno pre- scrittiva, a partire da una analisi empirica dei contesti e delle contradditto- rietà che emergono tra imposizione e ibridazione culturale. 66 Difficile negare il successo di Simulmondo in Italia. Secondo TGM (1993, pp. 43-44), Gli Uccisori viene allegato ai sistemi Amiga 600 in vendita nei negozi. L’eredità storiografica di Simulmondo tra pubblici e fan italiani re- sta invece intrappolata tra un atteggiamento di critica e dissacrante ironia (cfr. “exvideogiocatore”, 2017) e uno di difesa a spada tratta della produzio- ne nazionale in quanto tale (“Parliamo di videogiochi”, 2017). In un tale vuoto metodologico brancola Cirica (2015). 67 Studi a venire si soffermeranno sulla attività di esportazione di Simulmon- do, per esempio in Spagna e Grecia. M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 73 in Italia va, da un lato, espanso per comprendere i transiti trans- nazionali attraverso cui i giochi elettronici arrivano e si affermano in Italia come testi e pratiche sociali e, dall’altro, reso più granu- lare, per dare conto delle specificità legate alle dinamiche di pro- fessionalizzazione nel contesto italiano e di specifiche ecologie mediali. La storia di Simulmondo si presenta in senso più ampio come un tentativo unico di costruzione di una identità “naziona- le” del videogioco, seppure problematizzata dalla constatazione storica dell’impossibilità di concepire una tale dimensione se non all’interno di interscambi transnazionali di tecnologie, linguaggi e prodotti. Simulmondo è altresì destinata, quasi per converso, a scontrarsi con fattori finanziari e culturali che fanno da barriera al posizionamento internazionale della software house, invalidando una sua abbozzata strategia di distinzione oltre il contesto stretta- mente nazionale. Sul piano produttivo e finanziario, la necessità di investimenti sempre maggiori, di team di sviluppo più grandi e specializzati, di design originali e modelli di produzione sofisticati e innovativi co- stringeranno negli anni successivi la maggior parte dei produttori per home computer europei a trasformarsi o essere assorbite in re- altà più grandi per non scomparire68. Simulmondo siglerà progetti di collaborazione importanti con grossi gruppi editoriali in quanto provider di servizi ludico-telematici69, ma la competizione la ren- derà marginale nella produzione di giochi anche sul mercato do- mestico. Simulmondo si distingue dunque storicamente non solo, come è stato fatto notare, dalle esperienze pregresse dei bedroom coder, ma anche, negli anni a seguire, da futuri standard e modelli di produzione che ne sanciranno il declino: a imporsi in questa nuova fase saranno nuove aziende, come Milestone e le sedi locali di multinazionali come Ubisoft70.

68 Nel Regno Unito, studi storici come Psygnosis, DMA Design e Ultimate sono progressivamente marginalizzati dai grossi competitor internaziona- li e falliscono o sono assorbiti da conglomerati industriali. Tali processi sono alla base della trasformazione di Simulmondo in service provider in Italia dalla metà dei Novanta (Gandolfi/Carbone 2020). 69 Ciò che oggi verrebbe definito come gamification (cfr Fuchs/Fizek/Ruffi- no/Schrape 2014). 70 Cfr. Gandolfi/Carbone (2020). Come nota Gandolfi (2015, p. 39), Elec- tronic Arts è la prima multinazionale videoludica in Italia, seguita da UbiSoft nel 1998. 74 Il videogioco in Italia

Queste considerazioni operano anche dal punto di vista delle rappresentazioni e delle narrazioni. Laddove i temi di Millemiglia e Dylan Dog operavano tramite sinergie di successo con le industrie creative sul piano nazionale, tali strategie si sarebbero rivelate inef- ficaci sul piano del branding all’estero. Questi processi non sono esclusivi della industria italiana, ma si possono osservare anche in industrie locali in Inghilterra e in altri paesi già dai primi anni Ot- tanta. In quegli anni, l’adattamento dei giochi elettronici a contesti specifici genera processi di distinzione culturale che possono però rivelarsi idiosincratici e poco efficaci al di fuori di specifiche con- sonanze nazionali71. Anche sotto questo aspetto, le multinazionali e le aziende che prendono piede in Italia dopo Simulmondo e sono proiettate su un mercato pan-europeo proporranno strategie tema- tiche e di branding meno specificamente nazionali e maggiormente cosmopolitane di quelle di Dylan Dog e Millemiglia. In questo senso la storia di Simulmondo è specifica, ma i pro- cessi qui analizzati sono applicabili concettualmente ad altri testi e contesti storici. Il confronto con i testi provenienti dall’estero ha continuato a impostare aspettative e paragoni. Al contempo, il rapporto tra piani di riconoscibilità e commerciabilità locali e sovralocali può essere assunto a modello interpretativo per com- prendere le tensioni tra specificità nazionali (o nazionalistiche) e cosmopolitismo negli immaginari dei prodotti videoludici. L’idea che i giochi dell’epoca riflettano idiosincrasie dei mercati locali va, in ogni caso, contestualizzata. Questo studio non si occupa che di una piccola frazione della vasta produzione di Simulmondo, e non può occuparsi in maniera esaustiva di altri attori e competitor attivi in Italia negli stessi anni. Ulteriori ricerche sull’industria del videogioco in Italia si soffermeranno sulla misura in cui gli stan- dard, i linguaggi e i temi dei prodotti destinati ai mercati nazionali e transnazionali possano determinare o influenzare le aspettative di consumo dei propri pubblici, oltre che sui processi di soppres- sione e neutralizzazione, o di adattamento selettivo, di narrazioni culturalmente situate e distintive.

71 Cfr. Donovan (2015, p. 581-584) su come i prodotti britannici perdono pro- gressivamente caratteri e riferimenti nazionali (per esempio, lo sciopero generale dei minatori del 1984-85 di Wanted: Monty Mole, 1984) quando iniziano a puntare a un mercato internazionale. M.B. Carbone - L’Italia del Simulmondo 75

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Simone Tosoni, Matteo Tarantino, Andrea Pachetti “I NOMI SUI GIOCHI” Il Ruolo del Cracking nell’Industria Videoludica Italiana (1980-1990)

La riflessione storico-sociologica sulla prima fase di diffusione di massa del videogioco (1977-1983) ha preso forma a partire dalla ricostruzione dei percorsi che hanno portato un limitato nume- ro di produttori, in schiacciante maggioranza anglosassoni (Do- novan 2010, Kent 2010) e giapponesi (Consalvo 2006, Picard 2013, Kohler 2016), a costruire e dominare un nuovo comparto sovrana- zionale dell’industria culturale. Che si tratti del settore arcade, di quello delle console o di quello del software per home computer, la storia sociale del videogioco è infatti ripercorsa innanzitutto come storia dei grandi produttori di hardware e software: a essere messe a fuoco sono in particolare le culture della produzione, gli assetti produttivi e distributivi, e le strategie di mercato che hanno segnato l’ascesa, e spesso il declino, dei grandi player (Williams 2002, Wolf 2008, Zackariasson, Wilson 2010). Tale linea di ricerca è integrata dall’analisi dell’utenza che ha caratterizzato i contesti nazionali di tali player: in questo caso, si focalizza sulle tipologie socio-anagrafiche delle prime generazioni di giocatori (in parti- colare americani), ma anche sulle forme di fruizione del prodotto videoludico (Herz 1997), e sul rapporto tra videogioco e culture nazionali (Consalvo 2007). Più di recente, una seconda linea di indagine – che Bjarke Li- boriussen e Paul Martin includono nella nuova fase disciplinare dei Regional Game Studies (2016) – ha iniziato a complessificare tale quadro di riferimento, ricostruendo storiografie alternative a quella anglosassone e giapponese. Si tratta di una serie di studi che estendono l’analisi storico-sociologica alle specificità dei sin- goli contesti nazionali, tanto dal punto di vista delle forme di ri- cezione del prodotto videoludico (cfr. ad esempio Ng 2006, sulla ricezione di alcuni prodotti videoludici giapponesi a Hong Kong), quanto da quello dei suoi assetti produttivi-distributivi (cfr. ad 84 Il videogioco in Italia esempio Cao e Downing 2008, sul ruolo di stato e mercato nel- la costituzione di un comparto produttivo nazionale in Cina). In particolare, sembrano prendere forma quattro principali aree di ricerca: l’analisi dei comparti produttivi locali, con particolare attenzione per i casi che abbiano saputo ritagliarsi un ruolo, per quanto secondario, nell’arena transnazionale; l’analisi delle forme di distribuzione e circolazione locale del prodotto videoludico, sia di tipo formale che informale; l’analisi del rapporto tra videogioco e culture (e industrie culturali) locali; l’analisi delle specificità del- le utenze e delle forme di fruizione e consumo locali. Erdal Yilmaz e Kursat Cagiltay hanno ad esempio tracciato le linee principali della storia dei giochi digitali in Turchia, evidenziando l’originali- tà dei percorsi che hanno ricongiunto il paese al mercato globale del videogioco (2005); Jaroslav Švelch (2013) ha mostrato come in Cecoslovacchia lo sviluppo hobbistico di videogame abbia avuto obiettivi che andavano al di là dell’intrattenimento, spaziando dal- la dimostrazione delle abilità di coding fino all’articolazione di un discorso politico sul regime; infine Ulf Sandqvist (2012) ha rico- struito le traiettorie che hanno portato al prendere forma di un comparto produttivo nazionale in Svezia. Nonostante questo nuovo interesse per contesti diversi da quello americano e giapponese, il caso italiano resta però quasi del tutto inesplorato (fra le eccezioni Fassone 2016, 2017). Ep- pure, la fase iniziale della diffusione di massa del videogioco in Italia presenta specificità che meriterebbero una ben più siste- matica esplorazione, quali “una marcata deregolamentazione della tutela della proprietà intellettuale, (...) [la] sperimentazio- ne di canali distributivi particolari, come l’edicola, (...) una forte vocazione artigianale, sostanzialmente incapace di evolvere in un vero comparto industriale, (...) una produzione a vocazione localistica che metterà in gioco gli immaginari dell’industria cul- turale nazionale, e in particolare del fumetto” (Tarantino/Tosoni 2017). Nel presente intervento, intendiamo proseguire il lavoro di esplorazione appena citato concentrandoci sul primo di tali aspetti: la centralità di diverse forme di elusione del copyright nella diffusione del videogioco, connessa a una tendenziale as- senza di protezione legislativa del diritto d’autore sul software, che ha caratterizzato il contesto Italiano (e molti contesti euro- pei) fino agli anni ‘90. In particolare, ci focalizzeremo sul cra- S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 85 cking: l’insieme di pratiche tese a rimuovere i dispositivi di prote- zione introdotti a livello hardware o software dal produttore per impedire la copia di un programma informatico (Reunanen 2014, p. 1). Includiamo nel cracking anche l’alterazione dell’aspetto o di alcune dinamiche di funzionamento di un videogioco al fine di occultarne l’origine (dalla sostituzione del titolo anche nelle schermate in game e dai ritocchi alla grafica, fino a operazioni più complesse come il disassemblaggio di un videogioco in livelli autonomi distribuiti singolarmente). Tali operazioni sono infatti funzionali alla distribuzione commerciale del software in regime di elusione del copyright, al pari della rimozione tecnica dei si- stemi di protezione. Ai fini di questa esplorazione, escludiamo invece dal cracking vero e proprio le pratiche di pura esecuzione di strategie di rimozione delle protezioni elaborate da terzi. È il caso ad esempio dell’esecuzione da parte degli utenti di listati volti alla rimozione della protezione di un gioco pubblicati da riviste specializzate: un fenomeno descritto da Lekkas (2014) per il contesto greco e che, come vedremo, interessa anche il nostro paese. Ai fini di questo capitolo, il cracker vero e proprio è iden- tificabile unicamente nell’autore di quei listati. L’esplorazione che proponiamo intende anche contribuire a un recente filone di studi che mira ad approfondire la comples- sità e ambiguità del ruolo della pirateria in mercati residuali: se da una parte infatti la pirateria contribuisce in modo rilevante a determinare la marginalità di tali mercati, dall’altra costituisce spesso il canale pressoché unico per il reperimento di prodotti non altrimenti distribuiti (cfr. in particolare Alberts/Oldenziel 2014). Inoltre, e spesso in continuità con la cosiddetta “demo- scene” (Reunanen, Wasiak/Botz 2015), il coinvolgimento nelle pratiche di pirataggio del software rappresenta per molti coder una rilevante palestra per l’appropriazione e lo scambio di com- petenze tecniche altrimenti difficilmente acquisibili. Nell’ambi- to di tale filone di studi, la letteratura del cracking insiste nel delineare un suo processo di evoluzione e strutturazione tipica- mente subculturale, che vede i praticanti riuniti in comunità che emergono a partire dall’hobbismo informatico e dai computer club. Con il passaggio all’home computing, il fenomeno si de- clina in “scene” nazionali e transnazionali, analoghe a quelle di altre sottoculture: i cracker si costituiscono in gruppi o crews, 86 Il videogioco in Italia dotati di proprie firme iconiche e testuali in competizione per visibilità e prestigio. In tal senso, Reunanen, Wasiak e Botz (2015) hanno esaminato in particolare le pratiche di intestazione della “sprotezione” di giochi attraverso l’introduzione di grafiche in apertura dei giochi stessi, note come “demo” – una pratica che secondo gli autori darà vita a sua volta in una scena subculturale autonoma, la citata demoscene, a seguito di una repressione più marcata del cracking messa in atto da alcuni Paesi. In questo sen- so, il cracking viene concettualmente sussunto all’interno della più ampia scena transnazionale dell’hacking e interpretato come una delle sue declinazioni, incluse narrative romantiche delle ra- gioni dell’agire legate a caratteri di gratuità e bene comune. Una volta sprotetto, infatti, il software può essere copiato in linea di principio infinite volte, e reso così disponibile anche in contesti per cui l’accesso risulterebbe problematico per ragioni di costi o di mancata distribuzione, come ad esempio la Grecia degli anni ‘80 (Lekkas 2014) o i Paesi del blocco sovietico (Jaki 2014, Wa- siak 2014). Tali ricostruzioni, sebbene accurate da un punto di vista storico (lo strutturarsi di una scena subculturale transna- zionale legata al cracking risulta storicamente incontrovertibi- le; più difficile stabilire la sua incidenza sul totale delle pratiche di cracking videoludico), tendono a trascurare la disamina degli aspetti economici e giuridici legati a queste pratiche. In questo senso, il presente capitolo intende utilizzare il caso italiano per esplorare criticamente alcuni degli assunti di questa letteratura. L’esplorazione che proponiamo si fonda su una combinazione di fonti secondarie e primarie. Per quanto riguarda le fonti secon- darie, si è operata un’analisi delle riviste del settore pubblicate du- rante il periodo in esame (N=60). Congiuntamente, si è proceduto all’analisi di interviste a operatori del settore e a cracker attivi tra anni ‘80 e ‘90 (N=16) pubblicate in anni recenti. Sono stati inoltre consultati database di file ROM per emulatori di giochi arcade, che riportano informazioni sulle versioni bootleg utili alla rico- struzione del cracking arcade. Dal punto di vista delle fonti prima- rie, il lavoro è stato integrato da interviste in profondità a testimo- ni privilegiati operanti a diverso titolo nell’ambito del cracking e della distribuzione di videogiochi: nello specifico, tre cracker attivi negli anni ‘80 e un negoziante/distributore. S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 87

Il Cracking videoludico in Italia: 1980-1990

La storia del cracking può essere periodizzata in fasi scandite dal susseguirsi delle piattaforme hardware su cui la pratica princi- palmente si esercita. Le sue origini sono in genere ricondotte alla prima diffusione di software per il mercato domestico: per quanto riguarda il caso americano, ad esempio, la comunità cracker appa- re aver preso forma inizialmente attorno a Apple II, arrivando ad avere già una rivista dedicata nei primissimi anni ‘80 (Hardcore Computing). In Italia il fenomeno ottiene visibilità solo più tardi, attorno ai prodotti dell’americana Commodore (Vic 20, e soprat- tutto Commodore 64) e dell’inglese Sinclair (ZX81 e Spectrum). In realtà, nonostante la figura del cracker sia ancora socialmen- te sconosciuta, pratiche di cracking si registrano già molto prima della fase dell’home computing, ove la letteratura l’ha finora cir- coscritta: esse costituiscono una parte rilevante del business del videogioco arcade, ossia operato a gettone. La storia del cracking negli anni della prima diffusione di massa del videogioco in Italia appare dunque periodizzata in tre fasi: alla fase degli arcade, che risultano centrali per il cracking fino almeno al 1983, ne segue una seconda che vede la centralità degli home computer a 8 bit (C64 e Spectrum, con netta predominanza del Commodore nella seconda metà degli anni ‘80). Anche questa fase presenta in Italia una segnata specificità rispetto ad altri contesti: l’enorme diffusione della pirateria videoludica rende infatti dispo- nibile sul mercato una grande quantità di software a prezzi irrisori. Ne deriva una coda lunghissima del successo commerciale delle macchine a 8 bit, che si estende per l’intero arco degli anni ‘80 – quando ormai, a livello internazionale, esse stavano esaurendo il loro ciclo di vita. Come conseguenza, la terza fase, quella degli home computer a 16 bit (in sostanza legata al Commodore Amiga e, in misura assai minore, all’Atari ST) risulta in Italia piuttosto breve, schiacciata tra tale coda lunga e l’avvento delle console a 32 bit (quali la Sony Playstation) e dei personal computer compatibili con il sistema operativo MS-DOS, che domineranno la scena a par- tire dalla metà degli anni ‘90. La scansione di tali fasi non è ovvia- mente da considerarsi mai netta: ciò che si registra è piuttosto uno spostamento graduale e progressivo del core business dei circuiti pirata, di cui le pratiche di cracking risultano parte integrante. 88 Il videogioco in Italia

La fase arcade

In Italia, tali circuiti risultano già compiutamente strutturati e organizzati fin dalla fine degli anni Settanta, quando si registra il boom del mercato arcade. Come conseguenza, nel nostro paese la dialettica fra protezione e cracking si manifesta in forme compiute ancor prima della diffusione degli home computer. In questi casi la protezione è tesa a impedire il cosiddetto dumping (ossia la lettura e il riversamento) del codice binario del gioco, immagazzinato dal produttore in appositi componenti della circuiteria, tipicamente memorie ROM. Tramite il dumping, il codice di un arcade può es- sere infatti ricaricato su altri componenti, modificato e rivenduto o noleggiato agli esercenti di sale gioco a costi inferiori rispetto a quelli di mercato. Per limitare tale pratica le case produttrici iniziano con gli anni ‘80 ad articolare differenti strategie, quali il controllo durante l’esecuzione del gioco della presenza di compo- nenti specifici sulla scheda madre (quali il chip Slapstic prodotto da Atari fra il 1984 e il 1990, o microprocessori dedicati progettati per eseguire alcune specifiche funzioni) o la crittazione del codice stesso, con le relative chiavi di decrittazione immagazzinate in al- tri componenti della scheda madre. In questo contesto, il cracker (ma tale termine non è ancora d’uso corrente nel nostro paese) emerge come figura in grado, attraverso strategie software e har- dware basate sul reverse engineering, di sproteggere il gioco con- sentendone la copia. Allo stesso tempo, avendo accesso al codice macchina, il cracker di giochi arcade può operarvi delle modifiche, creando così bootleg1, ossia versioni alternative, e ovviamente non autorizzate, del gioco stesso. Fra le pratiche di cui si ha traccia ab- biamo la modifica del titolo, la rimozione delle informazioni di copyright, la traduzione, ma anche l’adattamento ad hardware diversi dall’originale (in modo da consentire all’esercente di far gi- rare un gioco su un cabinato già in suo possesso) e modifiche alla struttura e al funzionamento del gioco orientate ad aumentarne la desiderabilità (come nel caso dell’aumento del numero di livelli).

1 Del celebre Pac-Man – prodotto dalla giapponese Namco nel 1982 – si re- gistrano ad esempio almeno sei bootleg illegali con modifiche sostanziali. Questi vanno da Joyman, che modifica l’aspetto del protagonista, dei nemici e del labirinto, a Pacman (Galaxian Hardware), modificato per girare sui ca- binati del più vecchio gioco Galaxian, prodotto sempre da Namco nel 1980. S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 89

Il contesto in cui in Italia tali pratiche si esercitano è princi- palmente quello dell’ampia filiera produttiva dedicata all’assem- blaggio dei cabinati che è andata rapidamente prendendo forma a cavallo tra anni Settanta e anni Ottanta. Già nel 1981, infatti, le “fabbriche che costruiscono videogiochi” (Corso /Lucrezi 1982) in Italia sono oltre 70, con “un fatturato di circa 90 miliardi di cui 60 per l’esportazione”. Tale sforzo produttivo risponde all’esigenza di grandi e piccoli distributori di abbattere gli alti costi di importa- zione degli ingombranti cabinati da America e Giappone. Questi sono piuttosto assemblati in situ, una volta che le schede che con- tengono il software di gioco vero e proprio sono state acquistate sul mercato o prodotte su licenza. La debole tutela del copyright che caratterizza in questa fase il nostro paese (la Legge 633 allora in vigore risaliva al 1941), e il sostanziale disinteresse dei grandi produttori stranieri a fare valere in sede legale i propri diritti, apre però, all’interno della galassia di imprese dedite all’assemblaggio, un ampio spazio a operazioni di intervento sul software a parti- re dalla rimozione dei sistemi di copia. Si tratta tanto di pratiche non autorizzate come la traduzione linguistica non ufficiale del prodotto o il suo adattamento a dispositivi hardware differenti dall’originale, quanto di forme di pirateria vera propria: è il caso in particolare della copia su memorie EPROM (‘Erasable Program- mable Read-Only Memory’, ossia memorie non-volatili riscrivibili elettricamente) del software contenuto nelle schede gioco e della sua redistribuzione, o della sua modifica – al fine di discostarsi dall’originale – per la produzione di bootleg veri e propri. Le copie contraffatte sono poi montate sui cabinati e vendute o noleggia- te a bar e sale gioco a prezzi più contenuti rispetto agli originali. Nonostante non sia possibile stimare con precisione il peso di tali pratiche sul complessivo mercato italiano arcade, gli operatori del settore concordano nell’indicarne l’assoluta rilevanza – se non la preponderanza – fino alla prima metà degli anni ‘80. Di fatto, il mercato rimarrà non normato fino al 1983, anno in cui ha avvio la sua progressiva normalizzazione. A cambiare radicalmente lo scenario è una sentenza del 1983 del Tribunale di Torino, che opponeva Atari, con il suo distributore ufficiale F.lli Bertolino SRL, all’azienda Sidam. Già in precedenza, nel 1982, il Tribunale di Milano aveva analizzato la fattispecie di concorrenza sleale per imitazione servile in ambito videoludico: 90 Il videogioco in Italia tuttavia in quella circostanza al videogioco non era stata ritenuta applicabile la tutela del copyright per le opere d’ingegno a caratte- re creativo. Tale parere viene ribaltato dal Tribunale di Torino, nel- la cui sentenza i prodotti di Sidam Asterock (1979) [Fig. 11], Missile Storm (1980) e Magic Worm (1980) furono effettivamente ricono- sciuti come bootleg di Asteroids (1979), Missile Command (1980) e Centipede (1980) di Atari. La sentenza attribuirà al videogioco un carattere assimilabile a quello di opera cinematografica esten- dendo così a esso le medesime forme di tutela legislativa – e darà luogo a una progressiva normalizzazione del mercato coin-op: la stessa Sidam, con il nome di Sipem, prenderà a distribuire giochi su regolare licenza. (Tarantino e Tosoni 2017).

La fase home

Il progressivo enforcing della tutela del copyright andrà così re- stringendo – anche se mai chiudendo del tutto – lo spazio per la rimozione della protezione e la copia del software videoludico da cabinato. Tale processo non segna però la perdita di centralità delle pratiche di cracking nella diffusione del videogioco in Italia: ciò cui si assiste è semmai uno spostamento dell’area centrale di intervento agli home computer a 8 bit, il cui successo commerciale in Italia ha un boom proprio in questi anni. Tale successo sarà a lungo so- stenuto proprio dall’ampia disponibilità di videogame a prezzo ri- dottissimo o nullo. È anzi proprio in questi anni che la figura del cracker viene riconosciuta, in Italia, come figura sociale autonoma, e distinta dalla più generale figura del pirata cui, nella fase arcade, si assimilava indistintamente tanto chi si occupavano di eliminare le protezioni della copia, quanto chi rivestiva altri ruoli nelle eco- nomie del software non originale, come la gestione dei contatti, la distribuzione e vendita. Tale riconoscimento si registra tanto nella stampa tecnica specializzata quanto in quella più divulgativa sui vi- deogiochi. Entrambe, infatti, prendono una posizione netta contro la pirateria ma risultano più oscillanti nell’inquadrare la figura del cracker. Da una parte, tale figura è stigmatizzata come elemento car- dine nelle economie illegali di distribuzione del videogioco (e, più in generale, del software). Dall’altra se ne valorizza il ruolo di “libero ricercatore”, votato a conseguire – e socializzare – una conoscenza S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 91 profonda del funzionamento della macchina e competenze tecni- che avanzate. Per quanto riguarda la stampa specializzata, costitui- sce un buon esempio la rivista Commodore Computer Club, che nel corso degli anni matura una sua identità originale come punto di riferimento per la comunità dei programmatori del Commodore 64 (e non dei semplici fruitori di videogiochi). Se da una parte infatti la rivista stigmatizza con articoli puntuali e specifici chi sprotegge il software per fini commerciali, dall’altra offre approfondimenti su come è possibile effettuare il cracking dei videogiochi, nonostante la segnalazione che le informazioni fornite siano da ritenersi “pura- mente didattiche”. Per quanto riguarda le riviste di videogiochi, ne è invece esempio il vivace dibattito ospitato nel 1987 sulle pagine della posta dei lettori della rivista Zzap!, ove si registrano per altro alcune tra le prime occorrenze del termine cracking e suoi derivati (anche in forme errate, come “crakkare”, oppure “crachers”), che sostitui- scono progressivamente i neologismi italiani, come “sproteggere” e “sprotettori”, fino ad allora in uso per indicare la pratica. In realtà, l’atteggiamento ambiguo delle riviste rispecchia la na- tura dualistica del fenomeno del cracking in questi anni, che appa- re fluttuare di continuo tra il desiderio “accademico” di compren- dere il funzionamento della protezione dei programmi, e obiettivi assai più prosaici, di natura prettamente economica:

Io ero sostanzialmente un appassionato di computer, mi affascinava- no le tecniche di programmazione: volevo capire come funzionava il codice, volevo modificarlo, e questo spesso implicava sproteggerlo. Anche il modo in cui funzionano i sistemi di protezione mi affasci- nava. Ad un certo punto ho trovato il modo di farmi pagare, e bene, per fare quello che mi piaceva. [cracker, 47]

In Italia, esso importa anche alcune delle marche subculturali che già caratterizzano il fenomeno in contesti europei, con i quali i cra- cker nostrani hanno relazioni di scambio. Wasiak (2012) segnala ad esempio come la subcultura del cracking in Europa sia iniziata nel 1983 in Germania Ovest attraverso la creazione di due gruppi: Ger- man Cracking Service e JEDI. Questi hanno un’influenza diretta e non marginale anche nella formazione della cracking scene italiana, dato che il German Cracking Service inizia l’esportazione nel nostro paese 92 Il videogioco in Italia di videogiochi copiati attraverso un contatto locale, che si ritrova ad essere un vero e proprio hub a cui il mercato italiano in espansione at- tinge. Allo stesso modo, il cracker più noto in Italia nella prima parte degli anni ‘80, noto con l’handle o nickname 2703, mutua da alcuni componenti del gruppo JEDI la tecnica di creazione del proprio nome d’arte, ottenuto combinando il giorno e mese di nascita. Lo strutturarsi di circuiti di cracker alternativi rispetto a quelli della pirateria per home computer resta tema da indagare: ai fini del pre- sente intervento, va segnalato piuttosto come i principali cracker at- tivi nel contesto italiano siano fin da subito saldamente inseriti nel commercio illegale o semilegale del videogioco, e come costituiscano anzi un nodo fondamentale della sua filiera. Si tratta di una ristretta serie di soggetti geograficamente dispersi e con limitati contatti re- ciproci: questo manipolo alimentava una vasta filiera di pirati sparsi per l’intera Italia, che però si limitavano a una funzione di passaggio e copia del materiale, con scarse conoscenze di programmazione e di hardware. I principali cracker risultano il gruppo milanese di 2703, i gruppi Fantasoft di Livorno, SAL di Roma, cui si somma l’attività di un gruppo con base a Torino il cui ricordo, e nome, sono tuttavia sbia- diti nel tempo. A questi vanno aggiunti tutti coloro che si occupavano esclusivamente di cracking di prodotti da edicola (cfr. infra) come i soggetti noti con gli handle ATP e JoJo, e i cracker anonimi che lavora- vano per editori come Logica 2000. Rispetto alla fase arcade, quella home presenta così elementi di continuità ma anche specificità proprie. I caratteri fondamentali delle pratiche principali di cracking – rimozione della protezione e modifica/dissimulazione – appaiono sostanzialmente stabili anche in relazione al mercato del software domestico. Come già le loro con- troparti arcade, le case produttrici rispondono alla copia clandestina facendo ricorso a una pluralità di metodi di protezione. Alcuni di que- sti ereditano strategie già rodate, quale il controllo della presenza di appositi dispositivi hardware collegati al terminale in cui il software viene eseguito – i cosiddetti dongle. Altri invece risultano specifici del settore. Da una parte, si ricorre infatti a tecniche di registrazione non- standard del software sul supporto, tali da renderne la copia lineare impraticabile: è il caso ad esempio del sistema PirateSlayer utilizzato da Electronic Arts per alcuni suoi giochi per Commodore 64. Dall’al- tra, si introduce la richiesta da parte del software di informazioni da reperirsi tramite dispositivi fisici non elettronici inclusi nella confe- S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 93 zione del gioco: ne sono esempi i riferimenti al manuale di gioco, i co- dici generati tramite ruote combinatorie, o ancora di codici generati tramite la sovrapposizione allo schermo di visori con lenti filtranti, come nel caso del sistema Lenslok. Per quanto riguarda la modifica/ dissimulazione, anche il cracker di home software produce variazio- ni e modifiche, ri-titolandolo, traducendo, o introducendo variazioni opzionali (i cosiddetti trainer) attivabili dai giocatori per rendere più semplice il completamento del gioco. Permane però una differenza di scala significativa: nel settore domestico il cracking viene praticato con frequenza enormemente superiore all’arcade. Ciò tanto in virtù di una maggiore frequenza di rilascio di prodotti sul mercato, ma anche per via della riduzio- ne sostanziale dei costi dell’operazione di copia e di modifica. Ne risulta una vera e propria esplosione della domanda di cracking sia su scala globale, che nel nostro contesto nazionale. Qui, ancora una volta grazie a ambiguità legislative e a una assai scarsa attività di controllo, la figura del cracker risulta assumere un ruolo fondamentale per due diverse reti distributive su grande sca- la. La prima è quella che ha come anello finale il piccolo venditore al minuto, rappresentato da non solo da negozianti di elettronica e informatica, ma anche di giocattoli, di ottica, o di fotografia. I negozi interamente dedicati all’informatica o quelli che hanno un angolo in cui si effettua vendita di software sono infatti, negli anni ‘80, ancora in numero piuttosto esiguo. Non solo: la loro capacità di approvvigionamento risulta limitata da una struttura distribu- tiva che, fino alla metà degli anni ‘90, rimane embrionale per i gio- chi destinati agli home computer:

Devi capire che allora [negli anni ‘80] per il mercato computer non è che ci fossero i distributori come oggi [quali ad esempio] la Leader, Halifax… non c’era niente. I distributori erano dilettanti. Quindi uno si metteva in negozio solo quei 10-15 giochi [originali] che sapeva avrebbero venduto a Natale, che qui da noi vuol dire [i giochi di cal- cio]. La maggior parte di quello che usciva in America o in Inghilter- ra da noi non arrivava, se non tramite i pirati. [Negoziante, 55]

All’interno di questa struttura distributiva, il gioco sprotetto dal cracker viene venduto a distributori locali che offrono ai negozian- 94 Il videogioco in Italia ti soluzioni differenziate di acquisto, fra cui abbonamenti che for- niscono accesso a un certo numero di giochi, da recuperare in loco previo pagamento di un canone mensile. Al negoziante spetta il compito di produrre da questi master le copie per i propri clienti.

Andavo a Milano una volta al mese circa, pagavo credo centomila lire al mese e potevo scegliere da un catalogo dei giochi, poi mi riportavo i dischetti al negozio. [Negoziante, 55]

Tale forma di pirateria in-store risulta prendere piede massiccia- mente solo con l’affermarsi del floppy disk come supporto princi- pale al videogioco per home computer: il supporto cassetta risulta infatti molto lento da copiare in assenza di hardware professiona- le, obbligando il negoziante a un notevole sforzo per ottemperare alle richieste. I pochi minuti richiesti dalla copia di floppy disk consentono invece una scala più ampia di operazioni. In questa situazione di debolezza dei negozi specializzati, ad acquisire un ruolo determinante nella distribuzione Italiana sono le edicole, ovvero la seconda rete di distribuzione cui sopra si faceva riferimento. Le edicole sono infatti presenti nel paese in numero di alcune decine di migliaia e distribuite capillarmente sull’intero territorio nazionale, andando a coprire sia le grandi città sia i piccoli centri. Si tratta di un canale ben conosciuto dal pubblico giovane, già acquirente presso questi esercizi di prodotti come fumetti periodici, album di figurine e riviste tematiche. Già nel 1985 numerosi player affollano il mercato edicola dal punto di vista della distribuzione di giochi sprotetti: fra esse, SIPE di Mi- lano, Editions Fermont di Milano, Logica 2000 di Milano, Pub- blirome di Roma, Edizioni Foglia di Cremona e altre ancora. Tali realtà non possiedono soltanto la struttura distributiva capilla- re che manca ai negozianti, ma anche la capacità di produzione industriale di supporti: in questo caso, principalmente cassette. Grazie a tali capacità, esse possono distribuire ogni mese miglia- ia di copie di compilation contenenti mediamente dai cinque ai dieci videogiochi per gli home computer di maggior successo, mutuando la loro struttura dalle compilation pirata su audiocas- setta con le canzoni della hit-parade. Tale struttura distributiva richiede una considerevole disponibilità di prodotti per alimen- tare la cadenza di uscite, che conduce all’arruolamento in pianta S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 95 stabile di cracker. Per questi si apre così la possibilità di rapporti di collaborazione stabili nel tempo e molto ben retribuiti, ben diversi da quelli irregolari intrattenuti con i distributori da nego- zio. Ad essi si chiede, da un lato, di recuperare di volta in volta le novità che escono sul mercato inglese e americano; dall’altro, di attingere al patrimonio storico di quanto uscito negli anni pre- cedenti e ancora sconosciuto al mercato locale: si tratta di un importante ruolo di gatekeeping del prodotto videoludico nel mercato italiano. Una volta ottenuto il gioco, il cracker italiano opera i due tipi di interventi sul software già descritti: anzitutto, se necessario, esegue la rimozione della protezione, che consente la successiva duplicazione. In secondo luogo, esegue la modifica di elementi del software. Tali modifiche possono anzitutto essere cosmetiche, come la traduzione in italiano di elementi dell’in- terfaccia o la modifica del titolo del gioco, che ha anche il fine di confondere eventuali controlli. Il problema della traduzione non ufficiale del videogioco risulta per altro determinante nel definire le tipologie di gioco distribuite: si tende infatti a favorire i generi action, shooter e platform a scapito di simulazioni e avventure testuali, in cui la quantità di testo da tradurre e implementare in italiano richiede considerevole lavoro. Un secondo tipo di mo- difiche è relativo al bilanciamento del gioco; a questa tipologia sono riconducibili la modifica del livello di difficoltà o l’inclusio- ne di trainer opzionali. Infine, e questa è una novità del cracking da edicola rispetto a quello per negozi o per arcade, i cracker che lavorano per i distributori da edicola frequentemente operano modifiche strutturali, ossia relative all’organizzazione interna del gioco. Tipicamente, soprattutto in fase matura dell’industria della pirateria da edicola, quando la competizione fra editori e la quantità di uscite rendono difficile un adeguato approvvigio- namento di novità, i giochi vengono spacchettati dai cracker in singoli livelli eseguibili in modo indipendente, offerti mese dopo mese all’interno delle compilation: in tal modo un singolo gioco può essere distribuito in diverse uscite. Operate queste modifi- che, il cracker viene retribuito direttamente dall’editore, per un compenso che diversi intervistati ricordano come considerevole, soprattutto in relazione alla loro giovane età. Dal punto di vista della costruzione di relazioni professionali, il reclutamento avviene in un primo momento attraverso contat- 96 Il videogioco in Italia ti diretti e segnalazioni all’interno delle reti amicali e scolastico/ universitarie:

Io non parlerei di subcultura, ma neanche di un gruppo di persone. Semplicemente io lavoravo per un editore da edicola, cui aveva pas- sato il mio contatto un mio amico, perché sapeva che loro cercavano e io ero bravo con il computer: fine. Non avevo nessun rapporto con nessun altro, a parte forse un altro cracker di Milano che mi passava qualche lavoro quando lui ne aveva troppo. Sapevo chi erano gli altri come lo sapevano tutti: dai nomi sui giochi. [Cracker A, 47]

Dalla prima metà degli anni ‘80 si consolida infatti la pratica di includere informazioni di contatto, quali numeri di telefono o caselle postali, nelle introduzioni dei giochi, al fine di stabilire contatti professionali con privati, negozianti e società di distribu- zione di software: una pratica che evolverà poi nella formazione di BBS dedicate, accessibili via modem. Anche le riviste specializ- zate di informatica e di videogiochi sono utilizzate per la diffusio- ne dei contatti, a conferma del ruolo ambiguo da queste giocato nei confronti del fenomeno. Nonostante l’aperta stigmatizzazio- ne della pirateria, esse offrono spesso una sezione “annunci” nei quali si possono fondare club per lo “scambio” dei programmi e per la ricerca di nuovi contatti. Alcune riviste arrivano addirittura a ospitare vere e proprie pubblicità dei principali gruppi cracker, come ad esempio MC Microcomputer, che accoglie tra gli annunci commerciali a pagamento pubblicità di F4CG e ICS, i due princi- pali gruppi di cracker per Commodore 64 che si contenderanno il primato sulla scena fino ai primi anni ‘90.

Sensazionale! La FLY SOFT, NICS & MARKUS hanno fondato l’ITA- LIAN CRACKING SERVICE! L’ICS è l’unico servizio software Ami- ga & 64 che importa direttamente da HTL, BS1, BST, ma soprattut- to… ICS è esclusivista italiano AXXESS via Modem! Spedizioni sett. quind. mensili. Disponibili anche manuali e hardware (...) F4CG per ampliamento proprio organico cerca esperti linguaggio macchi- na, disegno e musica per Commodore 64 e Amiga. Sezione novità dall’Europa e America. [p. 288] Le riviste specializzate giocano infine un ruolo importante anche S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 97 per la costruzione di un sapere specialistico di alto livello riguardo all’hardware del proprio home computer di riferimento e del sof- tware che ci gira sopra: in particolare esse forniscono approfondi- menti su singoli argomenti specifici, che si affiancano alla ricerca di testi specialistici di riferimento disponibili unicamente in lingua inglese. Per quanto riguarda il Commodore 64, risultano ricercati in modo particolare alcuni libri e opuscoli proposti da piccolissimi edi- tori statunitensi, che venivano considerati all’epoca vere e proprie “bibbie” della pirateria, come i due volumi di T.N. Simstad Program Protection Manual for the C64 usciti tra il 1984 e il 1985, conosciuti in Italia anche come “Phantom”: il riferimento a tali testi come fon- damentali strumenti formativi è nettamente preponderante, nelle fonti primarie e secondarie da noi considerate, rispetto alla circola- zione orizzontale dei saperi descritta dalla lettura sull’hacking. Tale scenario resterà invariato fino agli anni ‘90: la breve fase degli home computer a 16 bit sembra infatti semplicemente affiancarsi a quella dei computer a 8 bit, senza dar vita a forme specifiche della pratica del cracking, e senza inaugurarne un nuovo ruolo nel setto- re videoludico italiano. Nel decennio successivo, al contrario, la si- tuazione muterà radicalmente, e la scena cracker italiana finirà con riallinearsi a quella europea. Il fenomeno della pirateria da edicola giungerà infatti a termine in seguito all’entrata in vigore di specifi- che leggi sulla protezione del software. Le attività di cracking vere e proprie si sposteranno su PC e, in modo ancor più rilevante, sulle console di seconda generazione attraverso la messa a punto di chip di modifica hardware. Grazie alle BBS internazionali e all’avvento di Internet, i contatti nella scena assumeranno un respiro globale, con la circolazione di cracker italiani in crew straniere, e viceversa. Paralle- lamente, anche i cracker italiani complessificheranno la realizzazio- ne delle proprie intro, che assumeranno la forma di demo hardware vere e proprie, da fruire in maniera del tutto autonoma rispetto al prodotto videoludico. Diverse crew reinventeranno la propria iden- tità in quella di demo group, partecipando con le loro produzione al circuito delle competizioni internazionali. Parallelamente, molti di coloro che erano stati attivi nel cracking “normalizzeranno” la propria attività indirizzandosi verso forme legali di lavoro. Così come aveva- no messo a disposizione le proprie competenze tecniche a editori e distributori pirata, le metteranno ora a disposizione di aziende im- pegnate soprattutto nel campo della sicurezza informatica, ma an- 98 Il videogioco in Italia che in quello della programmazione di videogiochi. Entreranno così ufficialmente nell’industria, in linea con quanto andava avvenendo anche in alti paesi, dove importanti software house si formeranno a partire dall’esperienza nelle scene cracking o demo, come ad esempio l’inglese Team 17 o la Thalion Software tedesca. Come ricorda uno dei programmatori italiani di videogiochi intervistati già nel 1991 da Fa- bio Rossi in occasione di una tavola rotonda tenuta sulle pagine della rivista Computer + Video Giochi, quella del cracking “è stata un’ottima scuola. La documentazione ufficiale per un programmatore è sempre troppo poca e poco aggiornata, quindi conviene ‘entrare’ nei giochi”.

Conclusioni

Quella che abbiamo presentato non è che una prima ricognizione del ruolo giocato dal cracking nella prima fase di diffusione di massa del videogioco in Italia. La comprensibile ritrosia ad essere intervista- ti dei soggetti allora attivi nel settore – e oggi affermati professioni- sti nell’informatica, nella docenza o nella ricerca – rende infatti assai complesso ricostruire le dinamiche del cracking attraverso la testimo- nianza diretta dei suoi protagonisti: da questo punto di vista, ulteriore ricerca è senza dubbio necessaria per una comprensione più soddi- sfacente del fenomeno. Ad ogni modo, le fonti primarie da noi effet- tivamente raggiunte, assieme a quelle secondarie consultate, fanno emergere il cracker come un professionista impiegato in una catena del valore illegale ampiamente tollerata, e tesa a appropriarsi di giochi da rivendersi sottocosto a esercenti compiacenti (tanto per l’hardware quanto per il software), o da distribuirsi in edicola attraverso pubbli- cazioni regolarmente registrate. Nel panorama videoludico del no- stro paese, il cracker gioca così un ruolo tanto centrale quanto ambi- valente: da una parte, infatti, esso effettivamente ovvia ai limiti di un mercato per molti versi residuale per i grandi player internazionali, rendendo disponibili titoli che altrimenti non avrebbero trovato altra forma di distribuzione. Nel far ciò, assume anche il ruolo di gateke- eper, ricercando e selezionando i nuovi titoli da “importare”, o quelli meno recenti da recuperare al mercato italiano2. Inoltre, operando la traduzione di tutto o alcune parti del gioco, consente l’abbassamen-

2 Tale operazione di gatekeeping acquisisce in retrospettiva anche un valore ar- S. Tosoni, M. Tarantino, A. Pachetti - “I nomi sui giochi” 99 to delle barriere linguistiche d’accesso. Parallelamente però, deprez- zando la merce videogame e saturando il mercato italiano, il cracker contribuisce a perpetuarne la marginalità, scoraggiando investimenti importanti non solo nei settori della distribuzione e della localizza- zione, ma anche nella produzione originale di videogiochi. Come si è detto, il sistema della pirateria cui il cracker è organico finirà addirit- tura per ritardare l’aggiornamento tecnologico delle macchine da gio- co diffuse nel nostro paese, contribuendo in modo rilevante alla coda lunga del successo dei computer a 8 bit. Infine, la figura del cracker che abbiamo tratteggiato nella nostra esplorazione – quella appunto di un professionista organico a diverse forme di impresa dedite all’ille- cita distribuzione commerciale del videogioco – si discosta da quella descritta dalla letteratura sul tema, più orientata a metterne in luce le forme di appartenenza subculturale. Più che negare la validità di tali descrizioni, e l’esistenza di forme di cracking estranee ai circuiti della pirateria – tema che esulava dagli obiettivi del nostro intervento – era nostra intenzione gettare una prima luce sul ruolo giocato dal cracker nel dare forme al panorama videoludico italiano: tema lasciato am- piamente inesplorato dalla letteratura di rifermento.

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Premessa

Il presente contributo ha lo scopo di avviare un percorso di ri- flessione e di ricerca sullo sviluppo della stampa e della critica dei videogame in Italia, alla luce di alcune trasformazioni delle ecolo- gie dei media nel corso degli ultimi decenni e ponendo enfasi sulle dinamiche di professionalizzazione dei giornalisti videoludici nel nostro paese. Il saggio propone una sintetica ricognizione storica dell’edito- ria videoludica in Italia e l’illustrazione dei risultati di una ricer- ca empirica, svolta con un approccio qualitativo, che ha previsto una serie di interviste originali con un gruppo di giornalisti e re- dattori provenienti dal settore dell’informazione videoludica nel nostro Paese. La review della letteratura sul ruolo del giornalismo videoludico (cfr. tra gli altri: Consalvo 2007; Newman 2008; Bogost 2015; Hei- neman 2015; Kirkpatrick 2015; Thabet 2015; Swalwell et al. 2017) mostra come questo abbia assolto, nel corso del tempo, tre funzio- ni: informativa, ovvero presentare agli appassionati novità e pro- dotti; valutativa, vale a dire indicare ai propri pubblici i prodotti rivenuti maggiormente validi e meritevoli; formativa, ossia coin- volgere il pubblico in un discorso sul medium che predisponeva il riconoscimento delle potenzialità espressive di quest’ultimo. Questa triplice funzione era assolta in pieno dalle riviste di vide- ogiochi che hanno prosperato nelle edicole degli anni Ottanta e Novanta: nell’epoca precedente a Internet, infatti, tali mezzi erano l’unico modo con cui i videogiocatori potevano informarsi. Ed è così che, in modo lento ma progressivo, si è avviato un processo di riconoscimento di un ambito del giornalismo specializzato e 104 Il videogioco in Italia delle professionalità ad esso connesso, di un’audience, quella dei videogiocatori, e di una coscienza, sia sociale che culturale, ad essa connessa: “Da un punto di vista storico, l’identità del videogioca- tore è stata costruita dalle riviste dei videogiochi degli anni ‘80” (Swalwell et al. 2017, p. 5)1. Con l’avvento di YouTube e dello streaming online, nuove dina- miche informative, conseguenza di mutate ecologie dei media, si sono affiancate a quelle consolidatesi nel corso degli anni nell’am- bito dell’editoria videoludica. L’introduzione di nuove e più veloci modalità di fruizione dei contenuti, grazie a piattaforme come Go- ogle e YouTube e ai social media, fa sì che il giocatore nativo digita- le rivolga la sua attenzione più ai canali online che alle riviste car- tacee, che compartecipano di un più ampio ridimensionamento del settore della stampa cartacea. La cultura videoludica delle più recenti generazioni, quelle dell’epoca dei social network, sembra plasmata soprattutto da YouTuber e influencer, figure che spesso provengono da mondi non sempre strettamente attigui a quello dei videogiochi, secondo processi di intermedialità, e perlopiù le- gati a un più ampio proliferare di contenuti amatoriali, prodotti da utenti non associabili a precedenti caratterizzazioni in senso professionale del giornalismo su stampa2. Il prevalere del digitale sulla stampa e quello degli utenti dei social sui giornalisti tradizionali sono fenomeni lampanti e cor- relati: come illustrato da Mike Rose (2014) sulle pagine di Gama- sutra, il successo di un prodotto videoludico sembra andare di pari passo con la sua diffusione all’interno di canali dedicati allo streaming, decretando in questo modo una riduzione della rile- vanza della carta stampata. In Italia, lo studio di settore condotto da AESVI nel 2018 offre risultati in linea con le riflessioni di Rose: solo il 7% del campione usato dall’indagine usa le riviste cartacee

1 Le traduzioni delle citazioni provenienti da testi pubblicati solo in lingua inglese sono tutte ad opera degli autori. 2 Escludendo i Pro Gamers e i Let’s Players, profili che nascono e si formano all’interno del panorama videoludico online, un numero ingente di fol- lowers segue assiduamente i canali streaming a tema video games gestiti da celebrità provenienti dal mondo del cinema, della tv, della musica etc. https://www.ranker.com/list/best-celebrity-twitch-streamers/ranker- games?ref=also_ranked&pos=2&a=0&l=1155685<ype=n&g=2. Su questi temi Cfr. il contributo di Toniolo in questo volume. F. Addeo, M. Barra, F. Di Giuseppe - Da Zzap! alle app 105 come fonte di informazione mentre, ad esempio, l’82% preferisce i social media, i siti di informazione, generica o specializzata, i forum online, e infine le piattaforme streaming come Twitch, Dailymotion e YouTube. Sulla base di queste considerazioni, sarebbe lecito pensare che l’idea di editoria dei videogame tradizionalmente intesa e le pro- fessioni del giornalismo videoludico siano destinate a lasciare il campo a modalità di fruizione e di produzione dell’informazione videoludica maggiormente in linea con l’avvento del prosumeri- sm e dello user generated content. Tuttavia, nel mare magnum dei contenuti proposti, è possibile ravvisare l’esistenza di varie espe- rienze editoriali che operando tramite siti, blog e riviste cartacee, completano un panorama dell’informazione videoludica più tra- dizionalmente inquadrabile nelle logiche di professionalità. Nel complesso, questo panorama si rivela dunque vivace, composito e difficile da fissare in coordinate precise. Una tale varietà nel pano- rama informativo videoludico è probabilmente il riflesso dell’at- tuale ecologia mediale. Allo stesso tempo, la crescita esponenziale del mercato dei giochi (dovuta in parte alla maggiore accessibilità di dispositivi come smartphone e dunque a una diffusione capilla- re di potenziali macchine da gioco) e al proliferare dei testi ludici nelle culture pop (l’immaginario dei giochi è ormai in una relazio- ne di sostanziale reciprocità di influenze con quello di altri media e delle altre arti), consentono di affermare che esistano molteplici declinazioni e sfaccettature di quelle che oggi vengono definitega - ming cultures (Hjort/Chan 2009; Fromme/Unger 2012; Swalwell et al. 2017) e, di conseguenza, molteplici modalità di informare e di narrare l’esperienza videoludica. Nel discutere le riviste cartacee e digitali a tema videoludico, questo studio vuole porre enfasi sulle relazioni tra il medium giornalistico, le nuove forme mediali che coinvolgono pubblici e spettatori e la formazione e il riconoscimento di specifiche au- dience. Il paradigma di spectacle/performance di Abercombie e Longhurst (1998) teorizza l’identità delle audience e il loro sta- tuto all’interno della società, immaginando che tale identità non si costruisca internamente al testo mediale preso in oggetto, ma del cosiddetto mediascape: il mondo globale dei media ad esso legato. In tal senso, le gaming culture non possono essere com- prese senza considerare il ruolo degli addetti ai lavori. Parafra- 106 Il videogioco in Italia sando Bourdieu (1993), la stampa ha giocato un ruolo importan- te nel trasmettere le competenze e i valori che erano essenziali allo sviluppo delle arti moderne (nel caso specifico il sociologo si riferisce alla pittura e alla letteratura). I pubblici di riferimento dovevano forgiarsi attraverso essa come pratica creativa in grado di distaccarsi gradualmente dalle “istituzioni autorevoli” premo- derne, al fine di stabilire una propria autonomia di pensiero cri- tico. Spostando questa riflessione nell’ambito dei game studies, Mia Consalvo mette in risalto l’importanza del giornalismo vi- deoludico nel processo di formazione e riconoscimento di una gaming culture:

Essere membro di una game culture significa molto più che giocare ai videogame, magari facendolo anche molto bene. È conoscere le date di uscita dei videogame e i loro segreti, e trasmettere queste in- formazioni agli altri. Si tratta di avere opinioni su quali riviste di vi- deogame siano le migliori e quali siano i migliori siti per i walkthrou- gh (2007, p. 18).

Su questa falsariga anche Kirkpatrick (2015) che, attraverso l’a- nalisi di alcuni magazine diffusi nel Regno Unito dal 1981 al 1995, ha mostrato come la stampa videoludica di quegli anni abbia con- tribuito in maniera decisiva a formare e consolidare il medium nella cultura di massa di quel paese e, in senso più ampio, tra le comunità transnazionali dei giocatori:

Quando si parla della nascita del gaming, gli anni ‘80 potrebbero sembrare un riferimento temporale troppo tardivo per fissare l’ini- zio di questa pratica, ma in realtà […] non è così. Sicuramente, la gente giocava con dispositivi di vario tipo prima del 1985, ma questo non significa che fossero impegnati in quella pratica culturale che ora riconosciamo come gaming. La gaming culture, che ha definito l’idea di videogioco come lo intendiamo è stata prodotta negli anni ottanta. Le riviste videoludiche dell’epoca costituiscono un impor- tante punto di vista sullo sviluppo della gaming culture (Kirkpatrick 2015, p.2).

Le interviste condotte nel corso di questa ricerca lasciano tra- sparire alcune similitudini tra il contesto inglese e quello italiano per quanto concerne il modo in cui il giornalismo videoludico si F. Addeo, M. Barra, F. Di Giuseppe - Da Zzap! alle app 107

è fatto portatore di una cultura del gaming. Rispetto allo studio condotto da Kirkpatrick (2015), l’obiettivo di questo lavoro è stato più circoscritto, pur prefiggendosi di gettare le basi per ulteriori indagini sul contesto italiano. Allo stesso tempo, questo studio si propone come una riflessione su come i cambiamenti degli ecosi- stemi mediali abbiano avuto un ruolo determinante, dagli albori del medium al giorno d’oggi, sui processi di professionalizzazio- ne dell’editoria videoludica nostrana e delle professioni ad essa legate.

L’editoria videoludica in Italia

Agli albori del medium, ovvero nei primi anni Settanta, in USA e in Europa non esisteva ancora un giornalismo videoludico pro- priamente inteso: le prime riviste a discutere di videogiochi erano quelle di informatica o di altri settori più o meno affini3, oppure si trattava di pubblicazioni dedicate ai distributori di cabinet arcade4, ed erano di fatto cataloghi, il più delle volte di importazione, in cui venivano solo presentate macchine pensate per le sale giochi. Una pubblicazione capace di distinguersi dai semplici cataloghi è stata l’americana Play Meter ideata nel 1974 da Ralph Lally (Wolf 2012, p. 493); la rivista offriva recensioni dei coin-op e indagini sul mer-

3 Francesco Carlà, uno dei pionieri del giornalismo videoludico italiano, in una intervista rilasciata a Retrogaming Planet, afferma: “scrivevo di vide- ogiochi molto prima di McMicrocomputer. Dal 1981 per Rockstar ed in seguito su Panorama e molte altre riviste. Insieme a Riccardo Albini siamo stati i primi a scrivere di videogiochi in Italia; a quei tempi nessuno li vede- va come un nuovo medium di comunicazione da studiare ed approfondire” (Grechi 2012). 4 Come scrive Alinovi (2011, p. 12), “la prima manifestazione di intratteni- mento elettronico interattivo capace di catalizzare l’interesse dell’opinione pubblica è quella dei cabinati da sala, conosciuti come coin-op[erated] (che devono il nome alla necessità di inserire un gettone, coin, per poter esse- re giocati)”; i coin-op sono pubblici, tentano di attirare i potenziali utenti con cabinati colorati e abbinati ai giochi (un “coinvolgimento sensoriale”) con il fine di indurli “a pagare – spesso d’impulso – la cifra necessaria per una o più partite (della durata media che varia dai due ai dieci minuti)”, di solito “in piedi, circondati da altri giocatori in attesa del proprio turno”. Come continua Alinovi (ibid.), dopo i giochi “infiniti” degli albori Space( Invaders, 1978; Pac-Man, 1980), dalla seconda metà degli anni ’80 i coin-op 108 Il videogioco in Italia cato e sull’industria videoludica. La vera spinta propulsiva nel settore editoriale fu data dalla com- mercializzazione dei primi home computer, calcolatori elettroni- ci versatili in grado di svolgere i più svariati compiti. Potenziali piattaforme di sperimentazione tecnologica (Turkle 1995), questi dispositivi si presentavano ai consumatori come dei prodotti dalle finalità plurime e al contempo indeterminate. Se da un lato veni- vano proposti come macchine utili per la contabilità e la logistica d’ufficio, d’altro canto, come puntualizzato da Haddon, non po- tevano risolversi interamente in una immagine utilitaristica, e al contempo “avevano una forte carica simbolica” (Haddon 1988, 17) come strumenti di esplorazione creativa. Questa “indeterminatez- za” nel chiarire cosa fosse e a cosa potesse servire un home com- puter si riflette nella eterogenea stampa di settore del tempo, che spaziava da semplice manualistica sull’uso dei calcolatori a piccole guide su come scrivere autonomamente dei semplici programmi, videogiochi compresi (Kirkpatrick 2015).5 Agli albori dell’editoria videoludica italiana, il panorama delle riviste nelle edicole era un riflesso di quanto avveniva nel mondo anglosassone: i videogiochi erano trattati come un prodotto elet- tronico e i giornalisti che se ne occupavano erano esperti di infor- matica e di tecnologia, per cui la narrazione attorno al medium era largamente di natura tecnica e manualistica. In Italia, tra le riviste più diffuse, spiccavano quelle edite dalla Jackson, le prime in grado di distinguersi dal calderone multi-tematico dettato dal trend del momento. Si deve proprio alla Jackson, e in particolare allo Studio Vit che ne curò la redazione, la pubblicazione della prima rivista italiana del settore, Videogiochi, uscita nelle edicole alla fine del 1982. Fino a quel momento era possibile informarsi sui videogame attraverso riviste dedicate all’elettronica, come Radiorama, BIT, MC MicroComputer, Micro & Personal Computer, oppure con- sultando brochure promozionali rinvenibili nelle confezioni dei PC, delle console o sui banchi dei negozi specializzati. Il modello Jackson, ispirato ai paradigmi editoriali statunitensi come Elec-

iniziano a offrire “schermate e filmati di congratulazioni, attivati in seguito al superamento di un determinato numero di livelli”, per consentire l’avvi- cendarsi degli utenti o l’inserimento di nuovi gettoni. Sui coin-op in Italia cfr. il capitolo di Fassone in questo volume. 5 Cfr. anche il saggio di Carbone su Simulmondo in questo volume. F. Addeo, M. Barra, F. Di Giuseppe - Da Zzap! alle app 109 tronic Games, trattava hardware e software con una impostazione prettamente tecnica, in larga parte ispirata ai manuali a corredo dei videogiochi. Tuttavia, la rivista non trascurava i giovani lettori, che potevano veder pubblicate domande, disegni e foto dei loro record nella rubrica Il posto della posta. A determinare un cambio di registro comunicativo sono però le recensioni dei prodotti giocabili. Da asettiche descrizioni delle caratteristiche tecniche e dei semplici obiettivi di un gioco, queste diventano dei racconti infarciti di aneddoti con uno stile creativo e informale. Più strutturata, ma secondo queste linee, sarà a partire dal 1986 Zzap! [Fig. 12 e Fig. 13], la controparte italiana, realizzata su licenza, del magazine inglese Zzap!64. L’edizione italiana era dedicata prevalentemente agli 8bit, i primi home computer ad aver goduto di un successo di massa, come il Commodore 64, lo ZX Spectrum, l’MSX e l’Amstrad6. L’ampio parco macchine trattato da Zzap! era un elemento originale e distintivo rispetto alla versione inglese, dedicata prevalentemente ai computer della Commodore. Con Zzap! il lettore usufruiva per la prima volta di una recensio- ne che, oltre ad una preponderante componente narrativa, la cor- redava di una dettagliata valutazione del gioco, espressa su una scala quantitativa da 0 a 100, usando parametri come Giocabilità, Grafica, Sonoro, Presentazione e Rapporto Qualità/Prezzo, il tutto corredato da un valore finale espresso in percentuale. Grazie anche a un tono spesso poco serioso e ad una marcata caratterizzazione dei redattori, che si presentano come dei personaggi di uno show a tema videoludico, Zzap! lasciava anche liberi i lettori di scatenare accese discussioni sulle pagine della rivista. Per tali motivi Zzap! potrebbe essere ritenuta come tra le prime riviste ad aver contri- buto alla creazione di una proto-community videoludica italiana. Il modello editoriale diffuso da Zzap!, con uno stile studiato per essere accattivante per un pubblico giovanile, contenuti ba- sati perlopiù su news e recensioni con valutazioni numeriche e un forte punto di contatto con i lettori rappresentato dall’ango- lo della posta, ispirerà numerose altre pubblicazioni. Tra di esse in Italia va senza dubbio ricordata The Games Machine, nata nel 1988 ed ancora presente sul mercato, di fatto una delle riviste più longeve al mondo.

6 Cfr. anche il contributo di Carbone su Simulmondo in questo volume. 110 Il videogioco in Italia

Superata una prima fase che ha luogo tra la metà degli anni Ot- tanta e l’inizio degli anni Novanta, il panorama editoriale delle riviste specializzate in videogiochi in Italia si espande e si compli- ca in conseguenza della crescita e della segmentazione del mer- cato dei videogiochi, che include quello degli home computer, i cui mercati di provenienza sono prevalentemente gli Stati Uniti e l’Europa, e delle console da gioco, che gravitano intorno a di- stributori di prodotti giapponesi e americani. Nel nostro Paese in quel preciso momento storico le edicole traboccano di riviste di videogame (si veda l’illustrazione a seguire), di qualità editoriale altalenante ma dai contenuti variegati, fondati sul rapporto con le aree merceologiche di riferimento, che vanno dai computer e alle console più diffusi in Italia, localizzate da distributori nostrani, ai mercati di importazione parallela.

Numero di riviste prettamente videoludiche presenti nelle edicole italiane (1983-2019). Fonte: elaborazione degli Autori sulla base di dati da database di riviste video- ludiche7.

7 Le informazioni sulle riviste di videogiochi sono state raccolte usando va- rie fonti, in particolare: Dizionario videogiochi: http://www.dizionariovideogiochi.it/doku.php?id =riviste_di_settore; Retroedicola: http://www.retroedicola.com/; Wikipe- dia (https://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Riviste_di_videogiochi_italiane). Nella costruzione del database su cui è stata effettuata l’analisi sono state considerate solo proposte editoriali professionali che trattavano pretta- mente di videogiochi. Pertanto, sono state escluse le riviste di elettronica, le riviste di informatica e quelle dedicate ad una specifica marca di home AA.VV. - Da Zzap! alle App 111

Le riviste italiane potevano dunque essere classificate grosso- modo in base al tipo di piattaforma a cui erano dedicate (si veda la tabella a seguire).

Piattaforma di riferimento v.a. Console 34 Home Computer / PC 19 Multipiattaforma 19 Totale 72

Piattaforma di riferimento delle riviste videoludiche italiane (1983-2019) Fonte: elaborazione degli Autori sulla base di dati da database di riviste videoludiche (cfr. nota 5).

Innanzitutto, c’erano pubblicazioni orientate quasi esclusiva- mente ai PC, come K, Zeta e Giochi per il mio Computer, nate di fatto come alternative alla già citata The Games Machine. Un’altra importante fetta del mercato era costituita dalle riviste che tratta- vano prettamente il mondo delle console, in primis ConsoleMa- nia, che riproponeva lo stile scanzonato di Zzap! adattandolo al mondo delle console ad 8 e 16 bit dell’epoca. Oltre ai periodici spe- cializzati in un’unica casa produttrice, come Nintendo – La Rivista Ufficiale o Playstation Magazine, sono da tenere in alta considera- zione anche le esperienze di MegaConsole e SuperConsole, dalle cui ceneri sorgeranno importanti riviste del settore. Infine, c’erano le riviste “multipiattaforma” che si occupavano indifferentemen- te di videogames per home computer e per console; tra queste, ci

computer. Inoltre, considerata la loro natura dubbia dal punto di vista legale e il loro scarso valore giornalistico, non sono state prese in conside- razione le riviste con giochi allegati su cassetta che popolavano le edicole negli anni Ottanta e Novanta. Inoltre, non sono state inserite le recenti pubblicazioni dedicate ad un singolo gioco, come Minecraft o Fortnite. Questi criteri di selezione hanno generato un database in cui attualmen- te sono presenti 72 riviste: un campione non esaustivo, ma che possiamo ritenere rappresentativo dell’evoluzione della stampa videoludica in Italia, considerando anche la presenza nel nostro database di tutte le riviste più autorevoli del settore. Desideriamo ringraziare i gestori dei siti da noi con- sultati per il meritorio ed insostituibile lavoro di conservazione e recupero della memoria videoludica. 112 Il videogioco in Italia sono alcuni lodevoli tentativi di riproporre in Italia progetti edito- riali vicini al mondo anglosassone: su tutte GameRepublic, ma so- prattutto Videogiochi e Game PRO, edizioni italiane di EDGE, una delle più autorevoli pubblicazioni di settore al mondo. Complice anche il boom economico e culturale della console Playstation, il periodo storico che va dalla metà degli anni ’90 alla prima metà dei 2000 può essere considerato un decennio di consolidamento dell’editoria e del giornalismo videoludico specializzato, in Italia come nel resto del mondo euro-americano8.

Tale panorama sarà però stravolto negli anni successivi da profonde trasformazioni tecnologiche e culturali a cui le riviste di videogiochi hanno faticato ad adeguarsi fino a giungere ad uno stato di crisi. In primis, la crisi è economica e legata alle trasformazioni del mercato legate alla diffusione di Internet e alla digitalizzazione dei contenuti, che costringono le riviste a approdare online, dove troveranno nuovi competitor. Matteo Bittanti, in un articolo del 2010 aggiunge anche ragioni di carat- tere editoriale, legate ad una visione del medium ancorata agli stereotipi del passato:

La tipica rivista di videogiochi è ancora oggi strutturata come una banale guida all’acquisto, per cui l’artefatto videogame viene consi- derato come mero prodotto di elettronica di consumo, semplice tec- nologia usa-e-getta e non come espressione artistica dotata di una propria dignità, come invece avviene per il cinema, la letteratura, la musica. […] La colpa non è necessariamente dei lettori, ma di chi ha definito le modalità stesse di discussione del videogame e che ha ogni interesse a lasciarle inalterate.

Secondo Bittanti, dunque, le riviste italiane hanno da sempre faticato a evolversi ulteriormente al di fuori da una logica di guida per l’acquisto. Questa mancata evoluzione stride con gli auspici di

8 “La recente espansione del giornalismo videoludico è stata in gran parte dovuta alla enorme crescita economica dell’industria dei videogiochi dalla fine degli anni ‘90; questo boom ha che ha trasformato i videogiochi da categoria di nicchia a mass media ritenuto sempre più degno della ampia copertura giornalistica destinata alla letteratura, al cinema e alla televisio- ne” (Wolf 2012, p. 337). AA.VV. - Da Zzap! alle App 113 addetti ai lavori di una evoluzione della critica in quanto settore in grado di affrancare il medium del videogioco da una semplice visione di consumo superficiale e di dotarlo di una riflessione di natura estetica e sociale. Alle riviste online si affiancheranno blogger e YouTuber, i quali, insieme ai social network e alle modalità di prosumerism domi- nanti, stravolgeranno le modalità dei discorsi intorno ai videogio- chi e renderanno la carta stampa marginale. Da un lato, riflette le evoluzioni tecnologiche e sociali occorse negli ultimi venti anni. In primis, le innovazioni tecnologiche e l’introduzione dei social media hanno creato una nuova ecologia mediale, in cui non tut- ti gli attori legati ai media tradizionali sono riusciti ad integrarsi con le nuove modalità comunicative: alcune storiche testate sono state costrette a chiudere o a frantumarsi trasversalmente nel nuo- vo ecosistema mediale (social media, canali video, siti, blog), ri- ducendo drasticamente la presenza nelle edicole e presentando nuove forme di infotainment, come le video-recensioni o le dirette nelle quali i lettori possono interagire in tempo reale con le reda- zioni. In parallelo, i videogiochi sono diventati appetibili per la stampa non di settore. Il videogame, divenuto fenomeno main- stream, attira sempre di più l’interesse della stampa generalista, sulle cui pagine aumentano contributi che trattano del medium in maniera non più “apocalittica” (Wolf 2012, p. 339), ovvero solo come occasione di scandalo e panico mediatico, come capitava di frequente nei decenni precedenti in cui era frequente l’associazio- ne tra la devianza giovanile e le pratiche videoludiche (Carbone/ Ruffino 2014, p. 9). Dunque, l’editoria videoludica ha visto i suoi spazi erodersi anche a causa della concorrenza di quella tradizio- nale, che, c’è da sottolineare, non ha visto mai di buon occhio il game journalism, considerandolo come una sorta di ufficio stam- pa con cui le software house riescono a garantirsi una campagna promozionale attraverso recensioni positive di giochi, talvolta di scarso o dubbio valore (Wolf 2012, p. 340). In conseguenza di tali trasformazioni, il modo di fare informa- zione videoludica appare radicalmente cambiato, ma la crisi dei modelli tradizionali e la moltiplicazione delle prospettive hanno al contempo generato un fermento e occasioni di dibattito intorno alla funzione stessa del giornalismo videoludico e sulla auspicabile funzione e attività della critica. Questo punto può essere affronta- 114 Il videogioco in Italia to guardando a quella che è stata a lungo l’attività principale delle riviste, la recensione. Quest’ultima era stata legata alla quantifica- zione di un videogame attraverso l’accoppiata “recensione + valu- tazione numerica”. Bittanti ritiene che questo modello formulaico sia stato un costante limite alla crescita della critica videoludica:

Nel recensire il game digitale la critica trascura le complesse reti so- ciali, culturali ed economiche che rendono possibile il suo manifestar- si. Comprendere il testo videoludico significa anche tenere conto del contesto nel quale emerge, considerare le dinamiche sociali che inne- sca. Prestare attenzione alle componenti culturali e politiche, senza feticizzare la technè e ridurre l’analisi a un “punteggio (2005, p.10).

Tali lamentazioni prendono luogo a partire dall’idea che il gior- nalismo possa e debba affiancare la sua funzione informativa a una osservazione più attenta sia alla narrazione dell’esperienza ludica che al suo aspetto culturale e sociale. Da questo punto di vista, le opinioni divergono. Secondo alcuni addetti ai lavori sia l’intero settore editoriale, sia la critica sarebbero sul punto di scomparire9; altri, come Chris Grant, ritengono che il game journalism sia ma- turato assieme al settore e che le attuali dinamiche di produzione e fruizione del medium videoludico non facciano che magnificare le opportunità per chi opera nel settore (Heineman 2015, pp. 153-155).

L’indagine qualitativa sui protagonisti dell’editoria videoludica

Sulla scorta delle riflessioni esposte nei paragrafi precedenti, è nata l’esigenza di comprendere quale fosse l’attuale stato dell’editoria videoludica nelle parole dei giornalisti che hanno animato e tuttora animano il settore, cercando nel dettaglio di comprendere come l’editoria videoludica e le figure lavorative che la animano stiano cambiando forma per adattarsi al nuovo ecosistema mediale. Un tratto comune delle riflessioni sullo stato del giornalismo videoludico in Italia è il ritenerlo un percorso giunto progressivamente a forme riconosciute di istituzionalizzazione e di professionalizzazione, come sottolineato da Accordi e Friginani:

9 Cfr. tra i tanti articoli sul tema Signorini (2016). AA.VV. - Da Zzap! alle App 115

Scrivere di videogiochi, così come in qualunque altro settore giorna- listico, rappresenta una vera e propria professione, sia che si tratti di stampa specializzata rivolta al pubblico di appassionati (consumer) o all’industria videoludica stessa (trade), sia che si tratti di stampa generalista che, proprio perché rivolta a un grande pubblico, deve rendere l’opera multimediale interattiva comprensibile e focalizzarsi sugli aspetti che più interessano il lettore qualunque (Accordi/Frigi- nani 2010, p. 107).

Per dare risposta a queste domande abbiamo optato per una ri- cerca di natura esplorativa che combina analisi storica e interviste e storie orali. La ricerca è basata su un metodo qualitativo, l’ap- proccio ermeneutico (Montesperelli 1998; Addeo e Montesperelli 2007; Montesperelli 2017), nel quale il criterio guida dell’indagine è la centralità del soggetto, con il ricercatore che assolve principal- mente ad una funzione maieutica10. Lo strumento di raccolta delle informazioni sono state inter- viste non direttive rivolte ad alcuni esponenti del giornalismo vi- deoludico italiano negli anni Ottanta e Novanta, la maggior par- te dei quali ancora in attività presso riviste cartacee o importanti portali web. Data la natura qualitativa della ricerca, la selezione degli intervistati non può ne vuole avere pretese di rappresenta- tività statistica, perciò è stata adottato una procedura di campio- namento a valanga (snowball). I giornalisti intervistati sono otto, hanno un’età compresa tra i 30 e i 45 anni e hanno attivamente partecipato alle attività redazionali di storiche riviste italiane, quali Zzap!, K, Zeta, Game Power, Giochi per il mio Computer, PSM, Nintendo – La Rivista Ufficiale, Xbox Magazine Ufficiale; inoltre, molti di loro hanno contributo alla nascita e allo svi-

10 L’approccio ermeneutico nella ricerca sociale è stato sviluppato negli anni Novanta e si configura come una modalità di approccio alle interviste non direttive attenta ad instaurare un dialogo paritario con l’intervistato e usan- do tecniche ermeneutiche di interpretazione dei trascritti. Nell’approccio ermeneutico il ricercatore conduce l’indagine “nel modo più flessibile e aperto possibile, adattandosi all’intervistato, al suo linguaggio verbale e non verbale e, soprattutto, al suo mondo della vita quotidiana. Il suo ruolo maieutico consiste nell’accrescere la conoscenza del soggetto intervistato su sé stesso e sull’ambiente che lo circonda, portandolo a ragionare su ar- gomenti che magari dava per scontati o ad esprimere opinioni su temi mai affrontati in precedenza” (Addeo/Montesperelli 2007, p. 42). 116 Il videogioco in Italia luppo di importanti siti come Alternative Reality, GamesRadar, NextGame, Multiplayer e IGN Italia.

Le interviste sono basate su una traccia di intervista flessibile e dinamica, le cui dimensioni principali includono:

Una dimensione anamnestica: informazioni sul percorso pro- fessionale e di vita degli intervistati.

Considerazioni sul settore: opinioni sullo stato attuale del setto- re e raffronto tra editoria videoludica tradizionale e online.

Nozioni sulla gaming culture: riflessioni sul ruolo della editoria videoludica nella formazione di una gaming culture in Italia.

Considerazioni sugli sviluppi futuri: previsioni sulle possibili evoluzioni della stampa e della critica videoludica.

Di seguito i risultati della campagna di interviste svolte dal 26 aprile al 10 maggio 2017 usando la piattaforma Skype. L’analisi dei trascritti delle interviste è avvenuta facendo ricorse ad alcune tecniche interpretative ermeneutiche, come il criterio di perti- nenza11 (Pozzato 2003) e il circolo esegetico-ermeneutico12 (Mon- tesperelli 1998; 2017); per preservare la privacy degli intervistati13, alla fine di ogni stralcio di intervista riportato nel testo viene in- dicato il numero progressivo dell’intervistato e la sua esperienza editoriale più significativa.

11 La pertinenza, intesa come criterio interpretativo, è la “capacità di cogliere gli elementi più rilevanti nella massa dei dettagli” (Pozzato 2003, p. 15). 12 Secondo questo criterio interpretativo, una singola parte di un testo, come un trascritto di una intervista, può essere interpretata solo in riferimento all’insieme, così come un insieme può essere compreso soltanto alla luce di ogni sua parte (Montesperelli 1998). Nell’ambito della ricerca sociale si ricorre a questo accorgimento perché per “capire le diverse parti di una vicenda narrata è importante per riconoscere gli schemi e i temi che con- nettono le diverse parti con il tutto” (Atkinson 2002, p. 102). 13 Nei report e nelle ricerche con approccio qualitativo è prassi comunicare agli intervistati che, per preservare la loro privacy, le interviste o stralci di AA.VV. - Da Zzap! alle App 117

L’editoria videoludica in Italia nelle parole dei protagonisti

L’analisi della dimensione anamnestica mostra come il percor- so professionale di un giornalista che si occupa di videogame sia strettamente connesso a quello personale, ai suoi interessi, alle dinamiche relazionali in famiglia e con gli amici. Soprattutto, è la passione la motivazione principale che ha spinto tutti gli inter- vistati verso un approdo editoriale, piuttosto che un’idea di for- mazione legata alla percezione di un percorso professionale ben strutturato. La passione nasce principalmente dall’interesse per la tecnologia o per altri prodotti mediali, ad esempio, i fumetti o il cinema. Da questa scintilla, come si evince in particolare dai seguenti brani, si sviluppa quella per l’informazione e la critica vi- deoludica, che diventano viatici per l’inserimento lavorativo come redattore in un settore fluido e poco strutturato:

La passione è iniziata da bambino […] un’epoca in cui i videogiochi erano una cosa nuovissima in generale. Per esempio, per spiegare a mia madre che volevo l’ATARI VCS 2600 ho dovuto disegnare un qualcosa per far capire proprio cosa fosse un videogioco: un sistema d’intrattenimento su cui su schermo compaiono delle cose che tu puoi modificare con degli input tramite un controller. Era una cosa a cui non era abituato nessuno, era raro che dei bambini avessero in casa delle cose del genere, anzi, si cominciava proprio in quegli anni, all’inizio degli anni ’80. Chiaramente i giochi esistevano già da tempo, ma non erano diffusi nelle case di tutti (Intervistato 1, “PSM”).

No, per me non è mai stato un lavoro da ufficio o un lavoro per il lavoro. Non ho mai conosciuto nessuno che facesse quello per lavoro e basta, ma tutti appassionati che hanno avuto modo di trasformare una passione in un lavoro. C’è da dire che, al di là del divertimento, è un lavoro impegnativo e oggi meno che mai pagato (Intervistato 2, “NextGame”).

esse saranno riportati eliminando ogni riferimento che possa dare qualche indizio sulla loro identità. Avendo comunicato questa nostra intenzione agli intervistati prima di effettuare l’intervista, abbiamo deciso di rimane- re coerenti con quanto detto agli intervistati e, quindi, di non riportarne i nomi negli stralci estratti dalle loro interviste. 118 Il videogioco in Italia

Il modello di formazione del giornalista videoludico in Italia prevede dunque il passaggio fondamentale dal ruolo di appassio- nati e lettori a quello di redattori per le riviste più amate e seguite. È stato questo il percorso di quasi tutti gli intervistati attivi già a partire dagli inizi degli anni Novanta, ovvero durante il boom delle riviste della stampa specializzata. Altri, invece, sono passati dall’essere utenti attivi sui forum internazionali, come NeoGAF, a realtà nascenti dell’editoria dei videogiochi sul web, oppure pas- sando dai newsgroup e le fanzine alle riviste vere e proprie. Il redattore-tipo è dunque un videogiocatore che ha approfon- dito la passione grazie alle riviste fino al punto da raggiungere un grado di conoscenza da esperto in materia. Una “passione infor- mata” che ha fatto da inaspettato trampolino di lancio per acce- dere a quella che sarebbe divenuta una professione, secondo dei criteri che non seguono una struttura professionale istituzionaliz- zata, ma degli iter a volte idiosincratici e casuali: la maggior parte degli intervistati, infatti, ha cominciato a lavorare nel settore per essersi trovati al posto giusto nel momento giusto. Come ad esem- pio alcuni intervistati che, in qualità di lettori di riviste storiche, hanno scritto alle redazioni candidandosi spontaneamente:

La mia passione per i videogiochi si è tramutata in lavoro perché se- guivo e leggevo le riviste cartacee e una volta acquistato un modem per accedere ad Internet nel 1995, in seguito a un fitto invio di email alla redazione di Game Power, ho chiesto esplicitamente di poter lavorare. La risposta fu, in modo inaspettato e piuttosto spontaneo, affermati- va. E così mi trovai, dopo un articolo di prova, ovvero la recensione di Pro Pinball The Web [1996, NdR] [per la prima PlayStation, a lavorare in redazione (Intervistato 4, “Nintendo – La Rivista Ufficiale”).

Un secondo aspetto che le interviste hanno consentito di ap- profondire è stato il modo in cui le trasformazioni mediali hanno avuto un impatto sulla propensione a diventare redattori e gior- nalistici videoludici. Nel valutare l’evoluzione dell’editoria dei vi- deogiochi, i pareri degli intervistati che erano già attivi nel gior- nalismo e nella critica appaiono piuttosto simili: il passaggio da editoria cartacea a web e da web a video è un semplice cambiamen- to nel modo di fare informazione e di fruirne. Il seguente stralcio ben esemplifica questa posizione: AA.VV. - Da Zzap! alle App 119

Ho vissuto la traslazione da carta a web da protagonista assoluto per- ché sono stato uno dei primi ad andare all’E3, per esempio, ed è cer- tamente un cambiamento enorme che ha influito anche sui metodi di lavoro: mi ricordo che andavo a coprire una fiera e, in tempo reale, utilizzavo il mio computer, mentre quelli delle riviste dovevano ri- elaborare il materiale […] Sicuramente più andiamo avanti e più ci sarà contenuto gratuito da poter sfruttare, e sempre meno ci sarà bisogno di avere persone autorevoli e dedicate. Ti faccio un esempio chiarissimo e lampante di un altro settore: se apri il sito della Gaz- zetta dello Sport e vedi i video che mettono, sono video rubati da canali YouTube che rubano con il telefonino il goal di Sky. La stessa cosa la sta facendo Gazza.net: sostanzialmente prende cose amato- riali dando un po’ di visibilità e in cambio hanno contenuto che loro non devono pagare. La rete ha reso democratiche le cose, ma alla fine è andato a discapito un po’ di tutti (Intervistato 4, “IGN”).

In questo senso, la rilevanza dell’editoria videoludica tradizio- nale sulla definizione di una coscienza sociale e culturale del vi- deogiocatore italiana viene riconosciuto dalla maggioranza degli intervistati che si formano sulla stampa specializzata tradizionale, anche se non sempre in modo assertivo e convinto. Infatti, preva- le l’idea che tale processo sia stato un processo più spontaneo e inconsapevole che eterodiretto. Tuttavia, ciò che mette tutti d’ac- cordo è riconoscere la rilevanza delle riviste degli anni Ottanta che hanno contribuito a costruire la gaming culture attraverso la crea- zione di un linguaggio e di un vocabolario necessari per descrivere l’esperienza di gioco:

Negli anni ’80 i redattori iniziavano a creare dei termini che anco- ra oggi utilizziamo come “gameplay”, “sparatutto”, “giochi di ruolo”, “picchiaduro”, “longevità”. Questo linguaggio che si è venuto a creare ha influenzato quello dei giocatori che tentavano di emulare i redat- tori. Mentre prima un giocatore non si poteva nemmeno definire tale, e non era capace nemmeno di descrivere la sua esperienza di gioco, si è arrivati al punto di svolta in cui il lettore/giocatore ne discute insieme al redattore, legge gli editoriali, si identifica nel pen- siero di un redattore o comunque interagisce con lui tramite email e commenti (Intervistato 5, “K”).

Sicuramente prima mancava un lessico per esprimere certi con- cetti perché in Italia non esistevano e, soprattutto, mancava la 120 Il videogioco in Italia

grammatica per decriptare delle esperienze del tutto nuove e que- sto è sicuramente vero, le riviste hanno fatto molto in questo caso. Non credo di aver contribuito attivamente perché sono comun- que arrivato un po’ dopo, al di là del fatto che non avrei avuto la capacità o la testa […] Non ho mai usato “cosmesi” in una recen- sione e se l’ho fatto, me ne vergogno profondamente e invece ho sempre cercato, non avendo un corso di studi classico alle spalle, di essere molto diretto sulle cose che dovevo dire (Intervistato 2, “NextGame”).

Tale prospettiva cambia quando si considerano le fasce di gior- nalisti, redattori e addetti al discorso sul videogioco appartenenti a generazioni successive, per i quali l’informazione online, inclusi mezzi come blog, YouTube e social network, è il modello principa- le di iniziazione e di produzione di contenuti. Nel guardare a tali cambiamenti, la maggior parte degli intervistati appartenenti alla fase del giornalismo cartaceo ha espresso pareri comunque favo- revoli alle opportunità offerte da tali modalità. Solo un intervista- to ha espresso una opinione totalmente negativa sul futuro della stampa videoludica, perché ritiene che le nuove modalità di con- divisione dei contenuti spostino l’attenzione dal momento critico a quello celebrativo e dal contenuto della recensione a quello del prodotto stesso.

La stampa specializzata è destinata a soccombere perché il milio- ne di utenti mensili che riesce a muovere un sito di videogiochi non è nettamente paragonabile economicamente ai numeri che fa uno youtuber famoso. I milioni di iscritti degli esponenti più famosi di YouTube seguono un determinato canale per il suo cre- atore, non per i contenuti che fornisce. L’informazione si sta spo- stando di nuovo verso la concezione televisiva, che con l’avvento di Internet e degli streaming sta tornando in voga, e gli spazi pub- blicitari più remunerativi saranno quelli degli youtuber. È finita anche l’epoca delle copie promozionali ai siti meno importanti, potranno esserci al massimo uno o due siti di riferimento con un modello di business sostenibile, il resto soccomberà (Intervistato 6, “Multiplayer.it”).

La maggior parte degli intervistati, tuttavia, non ha concepi- to l’evoluzione nel modo di fare informazione e critica nel sen- AA.VV. - Da Zzap! alle App 121 so apocalittico di una idea di “morte definitiva della critica”, in linea con quanto affermato da altri esponenti del settore (Hei- neman 2015), laddove quest’ultima sia equiparata alla editoria videoludica tradizionale. Resta comunque interessante consta- tare come gli sguardi sull’editoria videoludica del periodo delle riviste cartacee alternino i giudizi negativi di chi la equipara a un modello di consumo al riconoscimento di quelli che le con- siderano una forma di discussione messa in crisi dall’arrivo di nuove modalità, in questo caso ritenute una forma di degenera- zione della funzione del giornalista. Rimane la consapevolezza che l’editoria del videogioco sia cresciuta assieme al medium e alla sua audience dall’età media in progressivo aumento (Hei- neman 2015, p. 136), si sia cioè sviluppata in parallelo al mutare dei modelli mediali e seguendo i cambiamenti nei metodi di fruizione e dialogo dei gamer, e che il discorso sulla critica sia strettamente legato alla definizione della professionalizzazione o, per converso, amatorializzazione, di chi fa giornalismo, in specifici contesti storici e da prospettive diverse:

Al giorno d’oggi, il giornalismo videoludico ha a che fare con una serie di questioni che sembrano tipiche di un settore in via di maturazione […] ad esempio come rappresentare i vari interes- si e le opinioni diversificate di una base di utenti in espansione demografica, di come recensire certi titoli e di come mantenere l’interesse e la redditività in un’epoca in cui c’è un’abbondanza di contenuti gratuiti (molti dei quali di buona fattura) (Heineman, 2015, p. 136).

Il fatto che i modelli di discussione sui videogiochi siano oggi largamente ricalcati sul formato video, prevalentemente su piatta- forme come YouTube, altro non è in un certo senso che una nuova riproposizione della tradizionale funzione informativa, anche se l’indirizzamento verso un format di consumo visuale, con forme combinate di intrattenimento e informazione grazie alle dirette streaming, va visto alla luce dell’emergere di figure che popolano un continuum tra professionisti e dilettanti e hobbisti più variega- to e complesso e in cui produttori e consumatori possono tendere a coincidere. 122 Il videogioco in Italia

Conclusioni

L’analisi delle nostre interviste ha evidenziato il ruolo fondamen- tale dell’editoria cartacea degli anni Ottanta e Novanta nell’avviare un processo di evoluzione del medium videoludico che, seguendo di pari passo il corrispettivo percorso di maturazione personale de- gli attori del sistema mediale, ha contribuito a formare una gaming culture che esprime posizioni differenti e variegate, ma che ha, al contempo, creato i presupposti per un discorso sulle culture dei ga- mer su un piano nazionale. Secondo Mia Consalvo il giornalismo vi- deoludico, soprattutto quello degli inizi del medium, ha funzionato e funziona da “paratesto” per i videogiocatori:

Le riviste svolgono un ruolo specifico nella cultura del gioco e per il capitale ludico: insegnano al giocatore come giocare, cosa giocare e cosa c’è di nuovo (e non) nel mondo del gioco. In questo modo, funzionano come le riviste per adolescenti, istruendo il lettore su come assumere un certo ruolo o avere un determinato look (Consal- vo 2007, p. 22).

Heineman, riprendendo la Consalvo, aggiunge che l’idea di para- testo implica una profonda responsabilità per il game journalism:

Le riviste [videoludiche] possono alterare il significato dei giochi, espandendolo o fornendo nuove sfide interpretative a letture sedi- mentate, o addirittura possono plasmare le aspettative dei giocatori su cosa significhi giocare propriamente o impropriamente (Heine- man 2015, p. 157).

Il settore dell’editoria dei videogiochi si è, successivamente, tro- vato ad affrontare un periodo di profondo cambiamento dovuto ai cambiamenti dei modelli mediatici, con l’entrata in scena delle nuove dinamiche produttive e fruitive introdotte dal Web. Passan- do dalla carta al web, le figure chiave della critica e dell’informazio- ne videoludica hanno subito dei mutamenti. Le video-recensioni e le dirette streaming rappresentano lo stadio più recente dello sviluppo di un settore che appare nel complesso vivo, in quanto permane l’esigenza dei pubblici di strutturare discorsi intorno al videogioco, e al contempo attraverso da dibattiti volti a inquadrare le linee di intersezione tra professionalismo e svariate soggettività AA.VV. - Da Zzap! alle App 123 che si esprimono attraverso i mezzi di comunicazione e di circo- lazione dei prodotti videoludici. Nonostante la crisi delle riviste cartacee e il rischio paventato da alcuni di una eccessiva deviazio- ne dai canoni classici del giornalismo e della critica videoludica a causa di YouTuber e altri “non-esperti” del settore (Prax/Soler 2016), le pratiche di socializzazione e di creazione di una coscienza videoludica continueranno a generare dibattiti sulla necessità di pareri critici e informati con cui i pubblici possano rapportarsi, che si tratti di quelli di esperti redattori o di altri appassionati, se- condo modalità in continua evoluzione.14

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RAPPRESENTAZIONI

Matteo Bittanti SIETE IN UN PAESE MERAVIGLIOSO La guida simulata nell’Italia di Forza Horizon 2

La strada, dunque, è usata sempre meno per viaggiare e sempre più per svagarsi. (Marshall McLuhan 2001, p. 104)

Questo saggio esamina alcuni aspetti di Forza Horizon 2, un videogioco di corsa realizzato dallo studio britannico Play- ground Games1 in collaborazione con lo sviluppatore statuni- tense Turn 10 Studios e pubblicato nel 2014 da Microsoft Game Studios per le piattaforme Xbox. Seguendo l’esempio di Kiri Miller (2008) che ha esaminato Grand Theft Auto: San Andre- as attraverso un approccio auto etnografico, ho intrapreso una ricerca sul campo per decostruire le meccaniche e le logiche sottese al gameplay2. Forza Horizon è una variazione sul tema di Forza Motorsport, una serie di successo che ha debuttato nel 2005. A tutt’oggi sono stati pubblicati quattro capitoli, ambientati rispettivamente nello stato americano del Colorado, in Italia e Francia, Australia e In- ghilterra. Ciò che li accomuna è la natura aperta del gameplay, che consente agli utenti di percorrere a piacimento un immenso ter- ritorio, anziché competere esclusivamente sui circuiti e tracciati progettati dal designer. Il pretesto è partecipare all’Horizon Festi-

1 Il team include programmatori che hanno lavorato allo sviluppo di Project Gotham Racing, Driver, Colin McRae: Dirt, Colin McRae Rally, Race Driver: e , provenienti da studi come Black Rock, Slightly Mad, Bizar- re Creations e . 2 Per un’analisi più approfondita, cfr. Bittanti (2015a; 2015b). Una precedente iterazione di questo saggio è stato presentato nel corso della conferenza accademica DiGRA Italia: Made in Italy, nel 2017. Ringrazio Marco Benoît Carbone, Riccardo Fassone e Paolo Ruffino per i suggerimenti in fase di stesura. 130 Il videogioco in Italia val, una fittizia competizione che celebra “l’automobile, la cultura giovanile e la musica”, come afferma il Direttore Creativo di Play- ground Games, Ralph Fulton (Vg247.com, 2012). In uno dei numerosi filmati promozionali, il Community Ma- nager di Turn 10 Studios, Brian Ekberg, ha descritto Forza Horizon 2 come una “celebrazione della cultura motoristica”. Le sue parole trovano un’eco nelle affermazioni di vari producer che esaltano la “libertà di movimento” e “l’amore per l’automobile” (Ivi). Horizon riprende molte caratteristiche di Motorsport, tra cui un enorme catalogo di vetture disponibili; un proliferare di marchi e modelli; una colonna sonora pop, rock ed elettronica e un’enfasi quasi ossessiva per il “realismo”. Ma se nel contesto del game de- sign e del giornalismo videoludico questo termine si riferisce, nella maggior parte dei casi, al grado di affinità estetica tra la rappre- sentazione e la cosa rappresentata, nell’ambito dei game studies la situazione è molto più complessa. A questo proposito, è utile ri- chiamare la distinzione proposta da Alexander Galloway (2006) tra realismo3, ivi definito come “un’attenzione documentaristica alle lotte quotidiane degli emarginati, che conduce a una critica diretta alla politica sociale vigente” (p. 72) e realisticness, traducibile come realisticità. Sviluppando un’intuizione di Fredric Jameson, Gallo- way (2006, p. 73) definisce realisticness “la concezione ingenua, non-mediata o meramente riflettente di una costruzione e ricezione estetica”. Per Galloway, il concetto di realismo è indissolubilmente legato alla sfera politica e ideologica, laddove quello di realisticità all’estetica. Il realismo di Forza Horizon 2 – celebrato tanto dagli sviluppatori quanto dai giornalisti della stampa specializzata – è, in realtà, realisticness. Consiste infatti nell’accurata riproposizione in forma digitale delle caratteristiche tecniche (potenza, accelerazio- ne, cilindrata, velocità massima, etc.) delle vetture in commercio che circolano sulle strade (e fuori strada) di un’Italia da cartolina4. In queste pagine vorrei soffermarmi su alcuni aspetti della com- plessa relazione tra la realtà e la sua simulazione. Il videogame si colloca all’intersezione tra differenti estetiche e regimi visuali: da un lato rimedia5 alcune marche di stile del cinema e della televisio-

3 In originale, realism. 4 Sull’Italia “da cartolina” cfr. il saggio di Castronuovo in questo volume. 5 Sul concetto di rimediazione, cfr. Grusin/Bolter (2000). In questo conte- M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 131 ne, dall’altro propone un peculiare ordinamento topografico attra- verso una modellizzazione sintetica del reale, che a sua volta pre- suppone specifiche regole di funzionamento ed interazione. Nei racing game in particolare, la contemplazione del paesaggio è del tutto secondaria rispetto alla destrezza del giocatore nell’imporsi sugli avversari attraverso sfide basate sulla velocità e la destrezza. Detto altrimenti, l’imperativo del dinamismo subordina ogni altra attività, specie quelle che privilegiano momenti di stasi. Sul piano squisitamente ludico, il panorama è una distrazione che può con- durre alla distruzione. Per apprezzare gli scenari dell’Italia digitale occorre pertanto assumere il ruolo del passeggero, ovvero dell’os- servatore, affiancare virtualmente il pilota e godersi saliscendi e declivi, curve e rettilinei, vallate e colline, osservando quei dettagli che l’uomo al volante deve giocoforza ignorare. In breve, laddove il passeggero apprezza la geografia, il pilota si concentra sulla to- pografia. Il territorio che si dispiega di fronte all’occhio dello spet- tatore è essenzialmente simulacrale: è una copia priva di referente, un caleidoscopio vettoriale, un amalgama dinamico. Il pilota che vuole catturare un frammento di quel paesaggio che scorre via ve- loce deve ricorrere all’espediente del freeze-frame e dedicarsi alla fotoludica6, abdicare al proprio ruolo di guidatore ed assumere quello di fotografo7. Il racing game simula la guida nel mondo reale, e, nel con- tempo, la falsifica. Rappresenta un’espressione egemonica che legittima e promuove l’ideologia dell’automobilità – in inglese, automobility – che il sociologo britannico John Urry (2004, 2006) ha definito così:

sto, per rimediazione intendo la deliberata e consapevole appropriazione di convenzioni iconografiche, narrative e ideologiche di determinati me- dia da parte del videogioco. 6 Il gioco include un sofisticato editor diin-game photography il cui utilizzo da parte degli appassionati ha dato vita a un’affascinante pratica metaludi- ca, cfr. Bittanti (2015a). 7 Si noti che la pausa attivata dall’utente per “scattare” un’istantanea congela temporaneamente la realtà della simulazione nonché i pressanti e correla- ti imperativi della competizione motoristica, vanificando ogni pretesa di verosimiglianza e rammentandoci la natura artificiale della simulazione. Nel mondo concreto, infatti, il gesto fotografico non congela il mondo, ma reifica un istante del flusso spazio-temporale. Sul gesto fotografico, cfr. Flusser (2014, pp. 72-84). 132 Il videogioco in Italia

Un sistema non-lineare, autoformante e autopoietico, che si è svi- luppato a livello planetario e che include, automobili, automobilisti, strade, fornitori di petrolio e molti oggetti, tecnologie e simboli ine- diti [...], e che pur non essendo socialmente necessario o inevitabile, pare imprescindibile. (Urry 2004, p. 27)

Detto altrimenti, l’automobilità è un reticolo di relazioni che si sviluppano attorno all’automobile. Quest’ultima determina gli aspetti fondamentali dell’esperienza quotidiana: dalla struttura del territorio all’organizzazione sociale, dal sistema economico alla dimensione ecologica. In questo senso, l’automobilità è un dispositivo (Agamben 2005)8. Il sistema dell’automobilità descrit- to da Urry prevede sei componenti fondamentali che attraverso la loro combinazione, generano e riproducono il carattere spe- cifico di dominazione che essa esercita. Una prima componente di questo sistema è l’automobile in quanto oggetto del complesso manifatturiero nonché l’industria che la produce, a cui sono asso- ciati i relativi concetti di Fordismo e Post-Fordismo. In secondo luogo, l’automobile in quanto oggetto di consumo accompagna- to da un elaborato repertorio di segni e simboli, tra cui successo, carriera, velocità, sicurezza, desiderio sessuale, libertà, mascoli- nità. Il terzo aspetto concerne l’automobile considerata in quanto nesso significativo di relazioni tecniche e sociali, infrastrutturali e logistiche, architettoniche e urbanistiche, dalle stazioni di servi- zio ai motel, dalla costruzione delle strade ai servizi di assistenza. In quarto luogo, l’automobile in quanto forma predominante di mobilità semi-privata che subordina ogni altra forma di movimen- to10, condizionando la vita sociale e lavorativa degli individui. Il quinto aspetto concerne l’automobile in quanto espressione della cultura dominante che legittima i discorsi sulla cosiddetta bella vita, indicando i requisiti necessari per la cittadinanza mobile e fornendo un archivio di narrazioni che spaziano da E.M. Forster a Scott Fitzgerald, da John Steinbeck a Daphne du Maurier fino a J.G. Ballard9. Infine, l’automobile in quanto strumento tecnolo-

8 Sul tema della rappresentazione del racer cfr. anche il saggio di Carbone su Simulmondo in questo volume. 9 Giorgio Agamben definisce il dispositivo come “letteralmente qualunque cosa che abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, deter- minare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condot- M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 133 gico il cui impatto ambientale, industriale ed energetico prevede enormi costi a livello planetario: il trasporto motorizzato è diret- tamente responsabile per oltre un terzo delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e indirettamente responsabile per un nu- mero significativo di conflitti armati per l’approvvigionamento del greggio, diversi dei quali tutt’ora in corso10. Forza Horizon contribuisce alla costruzione dell’immaginario tecno-culturale della bella vita, legittimando l’ideologia dell’auto- mobilità: è parte integrante della retorica che supporta, promuove e celebra il veicolo a motore. Nello specifico, il videogioco fami- liarizza il giocatore con la logica del trasporto privato, ne sostie- ne i sottesi valori (individualismo, rigetto della collettività, auto- affermazione del singolo attraverso beni materiali, consumismo, competizione), rimuove oppure attenua le conseguenze negative nonché elimina – a livello dell’immaginario, del possibile, del vir- tuale – ogni alternativa, per esempio, un sistema di trasporti pub- blico efficiente, accessibile e sostenibile.automobilità L’ rappre- senta dunque un’ideologia totalizzante, una grande narrazione, nell’accezione di Lyotard (1979). Il videogioco spettacolarizza quel gesto monotono, ripetitivo, ottundente che è la guida: in questo senso, è una forma di spettacolo diffuso, espressione utilizzata da Guy Debord (1967) per definire la pubblicità nelle società tecnolo- gicamente più avanzate11. Non a caso, il modello iconografico di riferimento del racing game non è tanto il cinema – declinato come road movie – né la televisione quanto quella “forma autodistruttiva di pubblico diver- timento” (McLuhan, 2001, p. 214) altrimenti nota come pubblicità. I giochi di corsa, Horizon incluso, sono spot pubblicitari interatti- vi12 che celebrano alcuni aspetti della guida – la spettacolarità, l’eb-

te, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi.” (2005, pp. 21-22) 10 Per esempio, lo spostamento a piedi, in bicicletta, in treno. 11 Urry (2004, pp. 25-26; 2005, pp. 17-18). 12 Cfr. tesi 65: “Lo spettacolare diffuso accompagna l’abbondanza delle mer- ci, lo sviluppo non perturbato del capitalismo moderno. Qui ogni merce presa a sé è giustificata in nome della grandezza della produzione della to- talità degli oggetti, dei quali lo spettacolo è un catalogo apologetico. Sulla scena dello spettacolo unificato dell’economia abbondante si fanno avanti affermazioni inconciliabili; così come differenti merci-vedettes sostengo- no simultaneamente i loro progetti contraddittori di ordinamento della società, dove lo spettacolo delle automobili vuole una perfetta circolazione 134 Il videogioco in Italia brezza della velocità, il senso di onnipotenza – ignorandone deli- beratamente gli output, tra cui il traffico e il congestionamento, l’inquinamento, gli incidenti, i danni ambientali. Detto altrimenti, l’advertising e il racing game concorrono a promuovere l’ideologia dell’automobilità attraverso strategie retoriche di rappresentazio- ne selettiva. L’automobile virtuale, come quella pubblicitaria, non si usura. Monta gomme che non si forano mai. È equipaggiata con un motore indistruttibile. Soprattutto, non consuma benzina: non a caso, l’Italia di Forza Horizon 2 è completamente scevra di sta- zioni di rifornimento. I costi di manutenzione dell’infrastruttura stradale – che nel mondo reale sono sostenuti dalla collettività, attraverso tasse e pedaggi – qui sono omessi. Non ci sono ponti che crollano improvvisamente. Le strade videoludiche sono linde e ordinate, a differenza di quelle reali, i cui bordi sono guarniti di rifiuti, sacchetti e bottiglie di plastica13, lattine vuote, mozziconi di sigarette. Sulle strade videoludiche non ci s’imbatte nelle carcasse martoriate di incauti animali – cervi e procioni, cani e gatti, ratti e nutrie – stritolati dalle ruote possenti di un SUV. Le auto dei vide- ogiochi non richiedono il pagamento di un’assicurazione e di tasse di immatricolazione, ma sono tutte, de facto, fruibili in leasing14.

che distrugge i vecchi centri urbani, mentre lo spettacolo della città stessa ha bisogno dei quartieri-museo. Dunque il supposto appagamento, già problematico, che dovrebbe essere la prerogativa del consumo dell’insie- me viene immediatamente falsificato per il fatto che il consumatore reale può toccare direttamente solo una successione di frammenti di questa feli- cità mercantile, frammenti dai quali ogni volta è evidentemente assente la qualità attribuita all’insieme.” (Debord 2002, p. 67). 13 Prodotte dai medesimi soggetti industriali che operano nel settore del petrolio e, dunque, dell’automobilità. Un dato significativo è che l’Italia rappresenta il secondo mercato mondiale per il consumo di acqua imbot- tigliata dopo il Messico. Gli italiani consumano oltre otto miliardi di bot- tiglie di plastica all’anno e solo il 7% sono riciclate. Le altre finiscono nelle discariche abusive, nei campi, nei fossi o sono bruciate negli inceneritori. Fonte: Legambiente (2018). 14 Da oltre un decennio, le case automobilistiche usano i videogame come veicolo di marketing avanzato. Il caso paradigmatico è Toyota, che in col- laborazione con lo studio nipponico Polyphony Digital Inc. ha utilizzato Gran Turismo 6 come piattaforma di lancio – o meglio, vetrina – dei suoi nuovi modelli. Nel 2014, la casa nipponica ha presentato l’FT-1, una serie di concept car fruibili esclusivamente nella simulazione di corsa prodotta da Sony. Scaricabile via internet, L’FT-1 rappresenta un’anticipazione del rilancio della Supra, un veicolo la cui produzione si è interrotta nel 2002. M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 135

La strada è appannaggio esclusivo del mezzo a motore: non esisto- no pedoni o ciclisti. Il videogame sottrae momentaneamente il giocatore al proprio contesto sociale, economico e culturale e lo proietta in spazi ine- diti ma consueti, alternativi eppure familiari. Detto altrimenti, il racing game offre illusorie vie d’uscita al cul-de-sac della quo- tidianità motorizzata fatta da lunghe code e congestione, aria irrespirabile, spese continue (carburante, manutenzione, imma- tricolazione, tasse, tagliandi e sanzioni di ogni tipo) ed effetti collaterali (per esempio, le migliaia di pedoni investiti annual- mente sulle strisce da guidatori distratti) e così via. Gli elementi iconografici, tematici e ludici che lo caratterizzano sono al tem- po stesso noti (strade, vetture, incroci, edifici) e stranianti (stra- de vuote, vetture indistruttibili, scontri senza vittime, benzina infinita, assenza di inquinamento, natura incontaminata). Il ra- cing game, più di altri generi, produce una realtà perturbante15. La natura post-umana di questo videogioco è già ravvisabile a li- vello di copertina, che mostra una Lamborghini gialla in posa di fronte a una collina (toscana?): il mezzo è il messaggio. L’assenza di conducenti umani visibili anticipa l’era delle autovetture che si guidano da sole, ivi rappresentate dai fantasmatici drivatar16, piloti virtuali controllati dall’intelligenza artificiale che fanno le veci dei giocatori in carne ed ossa.

15 Nessuno possiede davvero un’automobile virtuale di Forza Horizon 2 nella misura in cui nessuno possiede davvero un videogioco. Al pari di ogni tipo di software – la fruizione videoludica richiede infatti la stipula- zione di un EULA, acronimo di End-User License Agreement, accordo di licenza con l’utente finale, ovvero il contratto tra il fornitore di un pro- gramma software e l’utilizzatore. L’EULA assegna la licenza di utilizzo del programma al consumatore nei termini stabiliti dal contratto stesso, ovvero dal produttore. L’utente non acquista un videogame, ma si limita a consumarlo e, per la transitiva, a farsi consumare. Ne consegue che un giocatore non acquista le auto virtuali dei giochi della serie Forza, ma tutt’al più le noleggia e, così facendo, accetta di farsi noleggiare, ovvero monitorare, in tempo reale, giacché ogni videogioco, come la maggior parte delle tecnologie digitali, è un sofisticato sistema di controllo, mo- nitoraggio e governance. 16 Su questi temi si vedano anche i saggi in questo volume di Castronuovo e Girina. 136 Il videogioco in Italia

Viaggio in Italia

Vorrei scrivere di questo viaggio, se ne fossi capace, solo per quel lettore che non si è mai mosso dal suo paese, dal- la sua cittadina se non per brevi viaggi nella sua provincia e sogna Capri, so- gna Ischia, come li ho sognati io, ragaz- zo. Ma mi occorrerebbe un libro perché non è successo niente. Sono successe solo quelle cose che appartengono solo alla vita, e muoiono dopo cinque minuti. (Pier Paolo Pasolini 2017 [1959], p. 56)

Forza Horizon 2 è ambientato in una fittizia Europa meridionale i cui contorni non corrispondono a configurazioni cartografiche rico- noscibili. Questo pastiche include elementi ascrivibili alla Toscana, alla riviera ligure, alla costiera amalfitana così come alla Provenza e alla Costa Azzurra. [Fig. 14, 15, 16]17 Forza Horizon 2 può causare ef- fetti di dissonanza cognitiva a un giocatore italiano. La commistione tra realtà e fantasia, vissuto e visto genera cortocircuiti a catena. Sotto la direzione di Seth Brown18, il team grafico di Playground Games ha disegnato scenari ispirati a località reali (per esempio, Nizza o Siste- ron, in Francia), ma anche al mediascape contemporaneo (cinema, fotografia e televisione, pubblicità e rotocalchi)19. La sezione italiana della mappa è un assemblage di pezzi del Piemonte, della Toscana, della Liguria e della Campania. La mappa prevede tre centri abitati principali – Castelletto, Montellino e San Giovanni – circondati da

17 Persino il continuum spazio-temporale è alterato: nel mondo di Horizon, una giornata ha una durata di quaranta minuti. Il sole sorge e tramonta in poco più di mezz’ora, lasciando spazio al bagliore della luna simulata. 18 A questo proposito, cfr. le riflessioni di Urry (2004, p. 30) sul fenomeno del fantasma nella macchina (ghost in the machine) che contraddistingue l’anonimato disumanizzante della guida in automobile. 19 Il team completo include, oltre a Brown, Gavin Bartlett, Derek Chapman, Gavin Clark, Grzegorz Wisniewski, Oliver Wright, Hayo Koekkoek, Ray Grinaway, Ole Groenbaek, Chris Trentham, Nic Millot, Ben Wilson, Has- san Abdallah, Nick Elliott, Luis Jimenez Garay, Drew Northcott, Jake Wo- odruff, Jon Morris, Nic Etheridge e Chris Downey. Fonte: Microsoft Corpo- ration (2014). M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 137 aree rurali e zone costiere. Si tratta di nonluoghi digitali, riconoscibi- li e irriconoscibili: Castelletto non corrisponde al quartiere residen- ziale di due chilometri quadrati situato sulle alture che sovrastano il centro storico di Genova e che s’incastra come un tetramino tra i quartieri Prè, Maddalena, Portoria e San Vincenzo a sud, Oregina a ovest e i quartieri della Val Bisagno San Fruttuoso, Marassi e Sta- glieno. Si tratta, semmai, di un’accurata replica di Amalfi, con tan- to di Duomo, che si lascia percorrere in lungo e in largo, dall’alto al basso, da destra a sinistra, anche contromano. Montagne scoscese incorniciano un insediamento di medie dimensioni che si affaccia baldanzoso sul mare, adornato da spiagge e ombrelloni, panchine e banchine, gelaterie e drogherie, tunnel e gallerie. Colpisce l’edili- zia fatiscente: s’incontrano infatti numerose palazzine abbandonate, monumenti al declino socio-architettonico dell’Italia del ventunesi- mo secolo, un paese che ha perso quasi cinque milioni di abitanti tra il 2006 e il 201620, emigrati all’estero in cerca di fortuna, esasperati per la perdurante crisi economica e un perdurante regime di austerità. Proseguendo il viaggio verso nord ci s’imbatte in Montellino, un villaggio di finzione modello Potemkin21, caratterizzato da alcune delle vedute più pittoresche di Forza Horizon 2, con mongolfiere che s’innalzano nel cielo ad intervalli regolari e fuochi d’artificio che illuminano la notte in cui tutte le vacche sono nere. Situato tra dolci colline e rigogliosi vigneti, Montellino esemplifica l’idilliaco campagnolo raffigurato dai pittori paesaggistici del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, un paesaggio che culmina con una lussuo- sa tenuta ai bordi di un lago: un pastorale interattivo, accessibile esclusivamente a bordo di un’automobile. Considerazioni analoghe valgono per San Giovanni, descritta dai designer di Playground Games come una cittadina “sospesa

20 Si potrebbe affermare che l’Italia videoludica di Forza Horizon 2 è frutto delle medesime strategie impiegate da Rockstar Games per creare la Mia- mi simulacrale di Grand Theft Auto: Vice City, Cfr. Bogost/Klainbaum, 2006, pp. 162-176). 21 Fonte: Fondazione Migrantes (2017). Il rapporto, accorpa, oltre ai dati dell’AIRE – Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, anche quelli dell’ISTAT sui trasferimenti di residenza per l’estero e la migrazione interna, quelli dell’INPS sulle pensioni, della Banca d’Italia sulle rimesse Dal 2006 al 2017, gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono aumentati del 60,1% passan- do da poco più di 3 milioni a quasi 5 milioni. Nell’ultimo anno, l’aumento è stato del 3,4%. 138 Il videogioco in Italia nel tempo”, sopravvissuta intatta per “centinaia, se non migliaia di anni,” il cui “lignaggio s’inscrive sulla pietra antica che forma i suoi edifici”22. Non è chiaro se il San Giovanni videoludico sia la controparte virtuale di Castel San Giovanni, un comune si- tuato nella provincia di Piacenza oppure del minuscolo Fornovo San Giovanni, che si trova a una ventina di chilometri da Ber- gamo. In ogni caso, si tratta di un borgo sufficientemente gene- rico nella sua italianità stereotipata modello Pasta Panzani23, da risultare parimenti noto e ignoto, prevedibile e spiazzante. A proposito di aspetti conturbanti, colpisce la totale assenza di fabbriche, capannoni, spazi commerciali moderni, shopping center, magazzini e stazioni di servizio, che invece formano il paesaggio più diffuso dell’Italia contemporanea. Percorrendo il Belpaese virtuale, una domanda sorge spontanea: consideran- do la sospetta carenza di fabbriche e centri di smistamento24, qual è il modello economico sotteso a questo nonluogo? Il tu- rismo? Il terziario? La malavita organizzata? Non ci sono porti commerciali che accolgono le tonnellate di merci prodotte da manodopera a bassissimo costo in Cina, nel Sud-Est Asiatico e in Sud-America. Questa Italia sembra essere stata risparmia- ta dalla globalizzazione. I camion a rimorchio che percorrono tangenziali e strade provinciali, a tutte le ore del giorno e della notte, qui sono rari, anzi rarissimi. Non scorgiamo neppure i corrieri di Amazon né gli schiavi del food delivery che conse- gnano cibo a cottimo per pochi centesimi. Colpisce, inoltre, l’assenza dei mezzi di trasporto pubblico: i bus sono sparuti, il traffico sporadico, anche se le fermate abbondano. Scorgiamo scooter di dimensioni e cilindrata variabile parcheggia- ti sui marciapiedi e di fronte alle ville di campagna. Ma sulle stra- de, il quattroruote domina incontrastato: la guida privata ha com- pletamente soppiantato quella pubblica. È il trionfo della logica neoliberista. In breve, la simulazione motorizzata celebra l’utopia, anzi, l’autopia25, ignorando quella distopia concreta che è, oggi, il

22 Sul rapporto tra i villaggi Potemkin e i media di telepresenza, cfr. Mano- vich (1995). 23 Cfr. https://www.forzamotorsport.net/en-US/games/fh2. 24 Cfr. Barthes (1970). 25 In realtà, Horizon 2 include una zona (post)industriale situata al centro dell’ipotetico triangolo i cui vertici corrispondono a Castelletto, Mon- M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 139

Belpaese. È una realtà fruibile esclusivamente attraverso il mez- zo motorizzato: è infatti impossibile scendere dal veicolo. L’uomo è, letteralmente, un’automobile26. I luoghi che non possono esse- re raggiunti dal quattroruote, de facto, non hanno alcuna valore nell’economia del gioco. Questa concezione dello spazio ricorda le riflessioni di Marc Augé (1995) circa la travolgente affermazione delle infrastrutture per il trasporto veloce (autostrade, stazioni di benzina, parcheggi) e dei mezzi di trasporto stessi come esempio paradigmatico dei cosiddetti nonluoghi che contraddistinguono la surmodernità. Nell’Italia di Forza Horizon 2 mancano gli ecomostri che affliggo- no la “cosa reale”. Le aberrazioni architettoniche e il junkspace sono stati infatti completamente rimossi, o meglio, dissimulati. In un pa- ese di vecchi/per vecchi27, caratterizzato da un tasso di natalità pros- simo allo zero28, colpisce l’aspetto degli abitanti digitali: giovinastri

tellino e San Giovanni, ma la dicitura è menzognera dato che una volta raggiunta la destinazione, non troviamo fabbriche, bensì capannoni dismessi e strutture abbandonate. Si tratta di uno spazio decisamente post-industriale, tra le rovine del Tardo Capitalismo, unico accenno alle conseguenze del libero mercato ivi riconfigurato come parco a tema per bolidi dai costi improponibili che si producono in spettacolari acrobazie e implausibili sgommate. 26 Il termine autopia è stato coniato da Reyner Banham (1971) per descrivere il sistema autostradale della città californiana, “un luogo unico ed onnicom- prensivo, un modo di pensare coerente, uno stile di vita autonomo” (p. 191). 27 Un aspetto che unisce, sul piano fenomenologico, l’atto della guida simu- lata a quella reale è l’ibridazione tra l’uomo e la macchina che le caratte- rizza. Come osserva Urry, “il guidatore-d’-auto è un assemblaggio ibrido di specifiche attività umane, macchine, strade, palazzi, segni e culture della mobilità” (2004, p. 26). Analogamente, il giocatore è, a tutti gli effetti, un cyborg che utilizza protesi e interfacce come surrogati ed estensioni dei propri sensi e organi, per agire all’interno di uno spazio virtuale la cui esi- stenza è resa possibile dalla complessa interazione di tecnologie materiali ed infrastrutture concrete. In secondo luogo, le due attività prevedono un soggetto che, in termini di prossemica e stimolazione sensoriale, pare in- distinguibile. La descrizione di Urry del conducente tipo – “posizionato su un confortevole anche se stringente sedile, circondato da fonti di infor- mazione microelettroniche, controlli e sorgenti di piacere” (Urry 2004, pp. 31-30) – potrebbe benissimo riferirsi a qualsiasi videogiocatore. 28 L’Italia ha il numero più alto di ultrasessantacinquenni in Europa. Fon- te: Eurostat (2014). Nel 2016, il numero di abitanti sopra i 65 anni è stato quantificato in tredici milioni e cinquecentomila. Fonte: Istat (2017). Nel 2016, per ogni 100 adolescenti, ci sono 161 ultra sessantacinquenni. Fonte: 140 Il videogioco in Italia in splendida forma, alti, magri, slanciati, per lo più bianchi, talvolta deformati dalle glitch, costantemente al telefonino, ma si tratta di phone così smart da essere praticamente invisibili. Non si scorgono né anziani in carrozzella né bambini in carrozzina, immigrati o men- dicanti, disabili o ambulanti. In ogni caso, la separazione tra pedoni e automobili è perentoria, manichea: i primi sono de facto protetti (imprigionati?) da barriere architettoniche come muretti, paletti e balaustre, mentre le seconde possono scorrazzare ovunque. Manca soprattutto l’onnipresente lordume, i rifiuti ai bordi del- le strade, nei fossi, sui marciapiedi, l’elemento più comune della quotidianità italiana. Non scorgiamo i sacchetti della pattumiera, le lattine vuote, le bottiglie di plastica, i preservativi usati che at- tendono speranzosi una raccolta che, come i Tartari di Buzzati, non si materializza. L’assenza del trash che si accumula ai bordi delle strade italiane, prodotto primario del trasporto automobili- stico, sconfessa ogni ambizione di realismo di Forza Horizon 2. La deliberata sospensione dell’incredulità fallisce clamorosamente il test dello sporco (im)possibile. Siete in un paese meraviglioso, sen- tenzia la compagnia autostradale italiana in una campagna pub- blicitaria autocelebrativa29. La realtà è ben diversa: le tangenziali, le strade di campagna e le stesse autostrade del Belpaese sono di- scariche a cielo aperto (De Vito, 2017)30. Attorno alle piste asfaltate si riversano enormi quantità di pat- tume che diventano parte integrante del panorama. L’arteria che collega l’aeroporto di Malpensa a Milano – la famigerata Strada Statale 336, detta anche Superstrada Malpensa 2000, che percorro frequentemente – è avvilente: i sacchi della pattumiera gettati da- gli automobilisti in corsa superano di gran lunga gli alberi. La pri- ma e l’ultima immagine dell’Italia che resta impressa nella mente di un visitatore è la sporcizia che circonda i manifesti pubblicitari di qualche brand di moda: in altre parole, il trash è l’essenza (ma- leodorante) del Belpaese. L’Italia di Forza Horizon 2 è finta perché è pulita. Quella vera è sporca e degradata. Sulle autostrade del desiderio videoludico si nota un’altra assen- za. Quella dell’italiano medio, il maschio motorizzato che minge

Il Sole 24 Ore/Istat (2016). 29 Cfr. Gagliardi (2016). 30 Cfr. http://www.autostrade.it/sei-in-un-paese-meraviglioso/index.html M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 141 regolarmente nelle piazzole di sosta, con un getto d’urina che in- zuppa il pattume, un gesto a metà tra l’esibizionismo e l’ignavia che le forze dell’ordine si ostinano a non sanzionare. L’uomo che libera la vescica ai bordi della strada impugnando la terga con in- vidiabile aplomb senza poi lavarsi le mani esemplifica lo squallore del lifestyle a quattro ruote del Belpaese. Sulle strade di campagna di Forza Horizon mancano inoltre le onnipresenti lavoratrici del sesso, importate dall’Europa dell’Est e dall’Africa, in attesa godo- tiana ai bordi delle strade tra i rifiuti. Minigonna di pelle, stivale e bottiglietta d’acqua, sotto la pioggia, sotto il sole, le lavoratrici del sesso sono vittime di una forma moderna di schiavitù che passa completamente inosservata pur essendo – o proprio perché – sotto gli occhi di tutti, a un metro dal finestrino. Talvolta, ci imbattiamo in momenti di inaspettato realismo. Pos- siamo infatti emulare il manager che schizza sul fallo motoristico marchiato Maserati/Audi/BMW a trecento all’ora, strizzando le luci con disprezzo a tre miglia di distanza dal target: fatemi strada, fate- mi strada, non ho tempo da perdere. Rigorosamente maschio, con i capelli crespi impomatati, la cravatta gialla su camicia blu, laureato in Bocconi, MBA a Londra, il CFO non si sfracella mai sul guard rail, ma procede la folle corsa sulla tangenziale della felicità per fare business, incrementare il market share, ottimizzare le risorse, intro- durre benchmark e applicare le best practices. L’italiano guida male, guida sporco, ignora il codice della strada, parcheggia come e dove gli pare: Forza Horizon 2 gli dà ragione. Non a caso il Belpaese è una delle nazioni europee con il più alto numero di incidenti stradali. Ma a differenza del videogioco, la guida avventata produce conse- guenze tangibili, spesso drammatiche, nel mondo reale. Che Forza Horizon 2 sia una mistificazione anziché una ripro- duzione realistica dell’Italia trova conferma nel deliberato silenzio in merito all’aria tossica che si respira quotidianamente. L’Orga- nizzazione Mondiale della Sanità ha reso noto, ormai da anni, che il Nord Italia presenta livelli di inquinamento dell’aria assoluta- mente inaccettabili31.

31 De Vito (2007) scrive che nella prima metà del 2017 l’Amsa ha individuato oltre 1.138 discariche abusive nella periferia di Milano, “dove ci sono quar- tieri poco illuminati, spazi poco frequentati e aree tendenti al degrado che facilitano il lavoro sporco di chi non si fa scrupoli a usare aree verdi o in- croci come pattumiere.” 142 Il videogioco in Italia

Secondo l’Agenzia Ambientale Europea32, solamente nel 2015 più di sessantamila italiani hanno perso la vita per malattie legate alla cattiva qualità dell’aria inalata (Il Sole 24 Ore, 2018). Tuttavia, nessu- no dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni ha intra- preso iniziative ragionate per contrastare il problema33. Ci si limita a manovre puramente simboliche, come quella di bloccare il traffico una o due volte all’anno nelle metropoli più inquinate (Milano, To- rino, Roma). L’inerzia della classe politica ci sta letteralmente soffo- cando. Le lobby dell’automobile e del petrolio, da decenni alla guida del Paese, non hanno alcun interesse a modificare lo status quo34. Al pari delle pubblicità delle automobili, Forza Horizon fornisce statistiche dettagliate di tutti gli autoveicoli disponibili, eccezion fatta per l’inquinamento che essi producono. In questo senso, il videogioco è un agente di disinformazione. Non intendo affermare che il video- gioco debba avere una funzione didattica. Ciò che mi preoccupa, in- vece, è che gli effetti di questo costante offuscamento non sono stati presi in considerazione da giocatori, giornalisti e studiosi. Gli unici ad aver colto le intrinseche contraddizioni del videogioco sono gli ar- tisti. Penso, in particolare a Eva e Franco Mattes, la cui installazione Colorless, odorless and tasteless (2011)35 spinge il videogioco nella di- mensione del realismo anziché in quella della realisticness. I Mattes hanno modificato un cabinato di Pole Position (1982) cosicché ogni volta che il giocatore preme il pedale dell’acceleratore, il gioco rilascia monossido di carbonio. Il titolo dell’opera – traducibile come senza colore, odore e sapore – allude alle caratteristiche del gas prodotto dal- le automobili. Secondo McLuhan, la funzione dell’artista è di metterci in guardia dallo shock sensoriale causato dalle tecnologie. Negli anni Settanta, il teorico canadese ha scritto che gli autentici artisti sono affascinati dai materiali più “banali”, “volgari”36 dell’immaginario col- lettivo, come i detriti e i rifiuti. Il monossido di carbonio è insieme un escremento intangibile del veicolo, ma anche l’effetto collaterale

32 Cfr. https://www.eea.europa.eu/themes/air/improving-europe-s-air-quality 33 Per informazioni, cfr. la mappa interattiva dell’inquinamento europeo su http://airindex.eea.europa.eu. 34 Cfr. Corona (2015), in particolare il quinto capitolo, Ambiente e ambienta- lismo nell’Italia contemporanea (pp. 110-132). 35 Cfr. Greco/Oddo (2016). 36 Per ulteriori informazioni, cfr. http://0100101110101101.org/colorless- odorless-and-tasteless M. Bittanti - Siete in un paese meraviglioso 143 di un’ideologia che esclude categoricamente ogni alternativa di tra- sporto. L’Italia occupa le ultime posizioni in Europa per quanto con- cerne l’occupazione giovanile37, il tasso di scolarizzazione superiore38, la diffusione di internet39 e, in generale, l’infrastruttura tecnologica. In compenso, detiene il record europeo per morti premature causate dalle esalazioni dei veicoli diesel40 e il numero di automobili pro ca- pite41, la quantità di incidenti e vittime della strada42, la persistenza del traffico e, soprattutto, inquinamentol’ 43: mentre numerosi paesi hanno annunciato il divieto di circolazione per i veicoli diesel, fornen- do sussidi per incentivare l’acquisto di auto elettriche, l’Italia è inerte. La stessa FIAT Chrysler, che negli stati americani della California e dell’Oregon è obbligata a produrre e commercializzare auto elettriche, in Italia fa orecchie da mercante. All’indomani della morte del CEO, Sergio Marchionne, i principali quotidiani hanno prodotto eulogie accorate e agiografie dettagliate, senza tuttavia menzionare l’enorme danno ambientale che l’azienda ha causato al Belpaese, in complicità con altri marchi automobilistici. Dobbiamo ringraziare FIAT se l’aria che si respira nel Belpaese contiene dosi massicce di particolato fine (Pm10 e Pm2,5)44, ozono, diossido di azoto e diossido di zolfo45. Tuttavia, giocando a Forza Horizon 2 questo aspetto distopico, anzi apocalittico, non emerge assolutamente.

37 McLuhan (1996, pp. 152, 178-179). 38 L’Italia vanta uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile in Europa: 37,2% nel 2016, dopo Grecia (47,7%, giugno 2016), Spagna (46,2%, 2015) e Croazia (43,8%, 2015). Fonte: Il Sole 24 Ore/Istat (2016). 39 L’Italia è penultima tra i Paesi dell’Unione per il numero di laureati. Fonte: Istat (2018). Inoltre, la percentuale della popolazione oltre i 65 anni che non ha completato l’istruzione secondaria è dell’83,1%, la terza più alta in Europa dopo il Portogallo (93,0%) e la Spagna (85,4%). Fonte: Eurostat (2014). 40 Cfr. Centro Economia Digitale (2018). 41 Cfr. Jonson et al (2017). 42 Nel 2016, secondo Eurostat, circolavano in Italia seicentoventicinque auto- mobili per mille abitanti. Solo il Lussemburgo ci supera con seicentoses- santadue veicoli per mille abitanti. Fonte: Eurostat (2018). 43 Fonte: Eurostat (2017). 44 Questo dato può essere verificato, in tempo reale, sulla mappa interattiva ospitata sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: http://maps. who.int/airpollution/. 45 Secondo Legambiente (2017) nel 2016, oltre 32 città italiane hanno fatto re- gistrare livelli di tossicità dell’aria largamente superiori ai limiti consentiti dalla legge per oltre cinquanta giorni. Le città più inquinate sono Torino (86 giorni), Frosinone (85 giorni), Milano e Venezia (73 giorni). 144 Il videogioco in Italia

La patria sì bella e perduta di Forza Horizon 2 non è solo uno spot pubblicitario, ma anche una cartolina interattiva. A questo proposi- to, non deve stupire la proliferazione di cremagliere con cartoncini turistici situate di fronte a negozi, hotel e boutique di questo mondo virtuale, come se i designer desiderassero enfatizzare la funzione es- senzialmente turistica della guida virtuale: l’Italia è ivi rappresentata come un mausoleo, un museo a cielo aperto da percorrere in lungo e il largo su mezzi altamente inquinanti. In questo senso, Forza Hori- zon 2 è l’erede spirituale del Grand Tour, il lungo viaggio nell’Europa continentale effettuato dai rampolli dell’aristocrazia europea a par- tire dal XVII secolo e destinato a perfezionare il loro sapere con par- tenza e arrivo in una medesima città. Poteva durare da pochi mesi fino a svariati anni e, solitamente, culminava con una visita in Italia (Black 2010). Una sessione a Horizon 2 conferma che il videogame è il pacchetto all-inclusive dei nuovi poveri – sempre più numerosi – che non possono permettersi un soggiorno in Toscana, sulla Costa Amalfitana, sulla Riviera ligure. In un mondo in cui le vacanze sono diventate un privilegio per turisti facoltosi, non ci resta che sognare pecore elettriche. La realtà virtuale dei videogiochi è il nuovo oppio dei popoli, una forma di controllo sociale per le masse anestetizzate e imbambolate dalle esalazioni dei tubi di scappamento. Allacciare le cinture di sicurezza non ci salverà dal crash: quello che serve, ur- gentemente, è un reset.

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Introduzione

Il presente saggio propone una riflessione teorica sul concetto di “videogioco nazionale,” a partire da un approccio comparatistico col cinema e in particolare dalla concettualizzazione del “cinema na- zionale”. La categoria del nazionale consente infatti di indagare la relazione tra le aspirazioni autoctone del videogioco italiano come prodotto – evidenti sia nella critica specialista che nella comunica- zione di enti pubblici e privati – e la realtà transnazionale e globale dell’industria e del mercato videoludico, documentata e celebrata all’interno dei medesimi contesti critici e regolatori1. Qui si propo- ne, attraverso una discussione di Assassin’s Creed II (2009) [Fig. 4] e altri esempi, una lettura del concetto di videogioco italiano attraver- so la sua dimensione testuale, ovvero del videogioco come oggetto identitario che rappresenta e racconta un paese. Da un lato, la na- zionalità del medium richiede lenti analitiche che ne attraversino i diversi livelli testuali ed extra-testuali. D’altra parte, la concettualiz- zazione nazionale del medium evidenzia quella che Andrew Higson (2000) definisce una “immaginazione limitante”. L’immaginazione del medium nazionale ritratta nei discorsi dell’industria e della cri- tica è infatti basata sulla rivendicazione d’italianità del videogioco in opposizione alle sue aspirazioni internazionali e stabilisce una prospettiva ideologica che ne sovrascrive le tensioni intra/extra-na- zionali. Ispirandosi all’influente lavoro di Benedict Anderson sulla nazione come realtà immaginata (1996), Higson (2000) punta l’at- tenzione sui confini che ne (de)limitano l’immaginazione. Il saggio dunque interroga il concetto di nazionalità in relazione al videogio- co per investigarne le possibilità e i limiti.

1 Cfr. su questo tema anche il saggio di Carbone in questo volume. 150 Il videogioco in Italia

Nel rapporto I Videogiochi in Italia nel 2018 rilasciato da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), il merca- to del videogioco in Italia viene definito “in salute” e in costante crescita (del 18.9% rispetto al 2017), generando un capitale di 1,7 miliardi e confermando il settore videoludico come centrale per lo sviluppo dell’industria culturale nazionale. Nonostante siano 16,3 milioni gli italiani che hanno utilizzato videogiochi nell’arco dell’anno, uno sguardo ai dati di vendita mostra l’apparente assen- za di prodotti nazionali: FIFA 19 (2018), Tom Clancy’s Rainbow Six Siege (2015), e Candy Crush Saga (2012) sono in vetta rispettiva- mente ai mercati console, PC e mobile. Il rapporto constata come il mercato videoludico sia “in continuo cambiamento”, con model- li di produzione e distribuzione dinamici e instabili2. L’instabilità del mercato e la sua crescita associata a nuove forme industriali sono elementi importanti in relazione al concetto del videogioco nazionale. In un altro rapporto prodotto da AESVI (2019b, p. 9) de- dicato alla realtà industriale italiana, questa viene descritta come “in consolidamento”, ma caratterizzata da “una potenzialità ine- spressa e ancora da esplorare per lo sviluppo economico del Paese”, con la capacità di “diventare un settore di punta dell’esportazione del Made in Italy all’estero”. Il rallentamento nella crescita dell’in- dustria italiana sarebbe dovuto in particolare alla tardiva attuazio- ne della legge cinema approvata nel 2016, la quale consentirebbe alle aziende italiane di attingere al Fondo per lo sviluppo degli In- vestimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo3. Quello della legge cine- ma è il primo punto di connessione tra la dimensione discorsiva videoludica e quella cinematografica esplorate in questo saggio, che guarda al concetto di “cinema nazionale” come paradigma adoperato per analizzare il complicato rapporto tra il videogioco e la nazione. Secondo il rapporto, ad ostacolare l’affermarsi del prodotto nostrano sarebbero la “strutturale carenza di risorse dei developer italiani e le difficoltà di creare relazioni tra gli studi di sviluppo e i soggetti internazionali” (AESVI 2019b, p. 55). Viene dunque sottolineata da una parte l’opportunità di fortificare il sup-

2 L’esplosione del mercato digitale, in crescita del 86% rispetto all’anno precedente, è un chiaro esempio dell’instabilità dei processi industriali in questo settore. 3 La legge del 14 novembre 2016, n. 220, recante “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” è informalmente chiamata “legge cinema”. I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 151 porto alla produzione nazionale e dall’altra – in modo apparente- mente contraddittorio – l’esigenza di attrarre compagnie straniere che sostengano una rete di scambi transnazionali. Il paradosso qui individuato è quello di un prodotto nazionale con aspirazioni internazionali. Tale paradosso è centrale, secondo Higson (1989), nella definizione di “nazionalità” associata a prodotti culturali. A definire la dimensione nazionale del medium è infatti la tensione culturale tra due luoghi simbolici: il concetto di home (la casa sim- bolica associata alla nazione), che produce un’identità collettiva e genera il “noi” nazionale, e l’away (l’altrove estero che rappresenta la diversità) attraverso cui viene individuato un “altro” funzionale alla definizione del “noi” nostrano (Higson 2000, p. 60).

La comparazione con il settore cinematografico diviene ancora più importante quando la questione della nazionalità del video- gioco viene inscritta all’interno di discorsi di turismo mediatico4. Il paradigma del cine-turismo è sempre più spesso evocato in re- lazione al videogioco per enfatizzarne il potenziale interattivo al fine di promuovere il territorio. Ad esempio, in una recente inter- vista (Fazio 2019), Fabio Viola (consulente italiano in materia di gamification) sottolinea la scarsa capacità delle istituzioni italiane di comprendere il potenziale comunicativo del videogioco per la promozione del territorio. L’articolo offre l’esempio di Assassin’s Creed II (2009), nel quale vengono rappresentate le città italiane di Venezia, Roma, Firenze e altre aree della Toscana tra cui Mon- teriggioni. In particolare, quest’ultima avrebbe visto un incremen- to del turismo grazie alla visibilità fornita dal gioco. Tale ipotesi è sostenuta da un’indagine condotta nel 2016 dall’amministrazione comunale di Montereggioni su un campione di 500 turisti, pubbli- cata sul sito ufficiale di IVIPRO (Italian Video Game Program), se- condo la quale l’11,4% dei visitatori sarebbero venuti a conoscenza del borgo toscano per la prima volta proprio attraverso i titoli della saga targata Ubisoft. Ancora una volta, viene evocato lo spettro cinematografico e l’importanza di film nazionali e internazionali

4 Gandolfi e Carbone (2020) rilevano la tendenza di prodotti come Assas- sin’s Creed ad utilizzare iconografie globalmente riconoscibili, come ad esempio il Rinascimento Italiano, dimostrando un progressivo interesse per la promozione del patrimonio culturale attraverso i giochi digitali. 152 Il videogioco in Italia

“da Vacanze Romane, La Dolce Vita, a New Moon della saga di Twi- light” per la promozione del paesaggio Italiano (Fazio 2019). Vie- ne conseguentemente proposta una teleologia dell’immaginario mediatico nazionale che si conclude col videogioco come nuovo oggetto di promozione identitaria, “così come lo è stato il cinema nel ventesimo secolo e i quadri e i libri ai tempi del Grand Tour di Goethe”; conclude Viola: “In fondo un videogiocatore non è altro che un viaggiatore senza limiti spazio-temporali.”

Il Videogioco Nazionale

Il concetto di “nazionalità” cinematografica (assieme alle cate- gorizzazioni di genere e autoriali) diviene un paradigma predomi- nante a partire dagli anni Cinquanta, col riemergere delle cinema- tografie nazionali europee e del cinema d’autore (Hjort/McKenzie 2000, p. 2). Di contro, la categoria del “nazionale” è solo recente- mente comparsa negli studi sul videogioco5. Mark Wolf (2015) nota un sottodimensionamento delle ludografie nazionali, in contrasto con l’attenzione dedicata alla produzione americana. Secondo Wolf tale carenza sarebbe almeno in parte imputabile all’anglo- centrismo dei game studies e della critica videoludica, come anche all’asimmetria infrastrutturale dell’industria del videogioco nel mondo. Lo stesso Wolf evoca lo spettro cinematografico, traccian- do un parallelismo con la posizione egemonica dell’industria hol- lywoodiana e della produzione televisiva americana, che avrebbe portato a forme di protezionismo delle industrie cinematografiche nazionali e alla creazione di strategie (finanziamenti e accordi) per la coproduzione di prodotti pan-europei.6 Al contempo, l’autore evidenzia il tessuto fondamentalmente transnazionale dell’indu- stria videoludica e come questo ostacoli – sia a livello produttivo che distributivo – l’emergere di realtà nazionali consolidate, facili- tando invece l’esistente egemonia delle aziende “globali” america- ne e l’esportazione dei loro prodotti (Wolf 2015, p. 7). Nonostante

5 Tra gli esempi di analisi del videogioco da una prospettiva nazionale si veda lo studio di Mia Consalvo (2016) sull’industria videoludica giapponese. 6 Sul tema del rapporto tra cinema europeo e quello hollywoodiano si veda il lavoro di Thomas Elsaesser (2005). I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 153 l’intento di mappare la nazionalità del videogioco, la categoria del “nazionale” non viene realmente interpellata, né definita, né tan- tomeno contestata, ma è invece implicita all’interno della dimen- sione “mondiale” evocata dal titolo del volume.

Il cinema e le sue teorie si sono invece confrontate sul concet- to di “nazionalità” del film a partire dagli anni Ottanta, quando la disciplina problematizza la categoria del cinema nazionale fino ad allora invocata sia in ambiti istituzionali che critici semplice- mente in opposizione a quella del cinema hollywodiano (Crofts 2000). Nel 1989 Andrew Higson (2002, p. 37) sottolinea la man- canza di riflessione attorno alla categoria del cinema nazionale, sino ad allora adottata in modo prescrittivo per la creazione di canoni e come strumento di “resistenza” culturale ed economia a fronte dell’onnipresente cinema Hollywoodiano. Sotto quest’otti- ca di resistenza, la categoria del cinema nazionale vive in parallelo a quella del genere cinematografico e sovrapponendosi in parte al cinema “d’arte” offerto al mercato internazionale in alternativa al prodotto commerciale americano. Tale strategia è quindi fondata su obbiettivi inconciliabili, in quanto espressione di una cultura locale che vuole avere rilievo e impatto a livello internazionale, ge- nerando il paradosso di un canone cinematografico che riconosce come “nazionali”, quei film di scarso rilievo domestico ma di suc- cesso nel circuito dei festival internazionali7.

Il riesame della categoria del nazionale negli studi di cinema prende spunto dalla più ampia analisi filosofica del concetto di na- zione nel lavoro di autori come Ernst Gellner e Benedict Ander- son, entrambi pubblicati nel 1983. Già nel 1953, Karl W. Deutch nota come “stato” (come apparato per l’organizzare sociale) e “na- zione” (come popolazione individuata all’interno di un territorio) siano legati da processi di comunicazione risultanti nel concetto di “nazionalità”. La nazionalità è dunque definita come un insieme di competenze organizzative dall’infrastruttura statale associate al senso di appartenenza del cittadino alla comunità nazionale. Se per Gellner i nazionalismi “inventano” le nazioni dove esse non esistono (1983, p. 11), sottolineandone il carattere sociale artificia-

7 Cf. Elsaesser, 1987. 154 Il videogioco in Italia le, per Anderson invece la nazione è una “comunità immagina- ta”, dando quindi particolare rilievo ai processi di comunicazione che trasformano comunità reali (le quali sono definite attraverso la prossimità geografica) in comunità immaginate (accomunate dalla narrazione di un passato mitico e di valori comuni). Di par- ticolare rilievo, nel lavoro di Gellner (1983), è la concezione mo- dernista della nazione come strumento di organizzazione per la produzione industriale, necessitante di una formazione omologa- ta e omologante. Lo stato nazionale risponde quindi all’esigenza, statale e industriale, di organizzare le masse in modo produttivo e di comunicare con esse attraverso una comunicazione di massa. La comunità dunque non è più “costituita” dagli individui ma bensì viene “comunicata” ad essi, attraverso riti ed eventi mediali. Sulla scia del lavoro di Anderson, Higson individua quattro retoriche che descrivono il modo in cui il cinema contribuisce ai processi di comunicazione del “nazionale”: una prospettiva di pro- duzione, e quindi di provenienza nazionale dei film; la prospettiva critica, che adotta criteri estetici per la definizione di un canone che possa rappresentare il nazionale nei circuiti di esibizione in- ternazionali; il consumo cinematografico dello spettatore nazio- nale, che quindi ne rappresenta i gusti; e infine, il livello testuale, che interroga i contenuti dei film e la nazionalità di ciò che viene rappresentato. In modo simile, la nazionalità del videogioco può essere produttivamente esaminata in relazione alle sue strategie di comunicazione. Il resto di questo saggio si concentra sul livello discorsivo testuale, secondo il quale il videogioco conterrebbe un potenziale culturale inesplorato, come esemplificato nei report di AESVI e nella critica che vedrebbe Assassin’s Creed come strumen- to di comunicazione del nazionale.

L’Italia del videogioco: la Firenze dell’Animus in Assassin’s Creed II

Il videogioco nazionale è spesso definito attraverso la sua -di mensione testuale, secondo la quale le iconografie e le narrazio- ni, ma anche le meccaniche e la giocabilità di alcuni videogiochi sarebbero in grado di veicolare aspetti della cultura nazionale e valorizzarne il patrimonio. In un saggio dedicato all’industria videoludica italiana, Enrico Gandolfi (2015) auspica l’emergere I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 155 di una consapevolezza del videogioco come oggetto culturale (si parla metaforicamente di un level up) e dell’avvento di un Made in Italy videoludico coeso. Secondo Gandolfi l’Italia avrebbe im- portante visibilità proprio attraverso il videogioco, particolarmen- te in termini di personaggi e paesaggi che popolano gli scenari delle produzioni internazionali (p. 305). La struttura modulare ed episodica dei videogiochi si presta infatti alla creazione di colla- ge paesaggistici in generi come i “picchiaduro” e i giochi di corse. Ne sono un esempio il porto di Genova in Street Fighter Alpha 2 (1996) [Fig. 20] e Piazza del Campo, a Siena, in Gran Turismo 5 (2010) [Fig. 17]8. Altri, come i giochi d’azione e di avventura, sono divisi e strutturati in diverse aree di gioco e giustificano la natura miscellanea delle ambientazioni attraverso le narrazioni itineranti dei loro protagonisti. Ad esempio, Il teatro La Fenice di Venezia fa da sfondo ad uno dei livelli più famosi in Tomb Raider 2 (1997) [Fig. 18]. L’italianità di questi giochi non è definita attraverso i loro processi di produzione, ma per il capitale culturale impiegato e rappresentato in questi testi. In particolare, la rappresentazione del paesaggio sembrerebbe contenere il potenziale per la promo- zione di un immaginario nazionale del gioco. In linea con questo approccio, il progetto IVIPRO (Italian Vi- deogame Program) fornisce una mappa dedicata alla presenza di location italiane nei videogiochi.9 A sponsorizzare il progetto sono principalmente le film commission regionali, la cui missio- ne è quella di incrementare la produzione audiovisiva sui territori locali, rafforzando ulteriormente la connessione tra cinema e vi- deogioco. Tra le destinazioni più popolari, compaiono il Lazio (54 titoli), il Veneto (44) e la Toscana (39), mentre tra le regioni meno virtualmente visitate ci sono le Marche (2), la Puglia e la Basilicata (3), confermando la visibilità di alcuni luoghi cristallizzati nell’i- conografia digitale italiana. Da questa osservazione emerge però anche un primo problema: quello di quale Italia sia rappresentata in questi testi, in quanto tale rappresentazione sembra replicare alcune delle asimmetrie geopolitiche che caratterizzano il territo- rio nazionale, stabilendo una gerarchia di visibilità socio-econo-

8 Cfr. su questo tema il saggio di Castruovo in questo volume, pp. 9 La “Mappa dei Giochi” di IVIPRO è consultabile all’indirizzo https://ivi- pro.it/it/italia-in-gioco/ 156 Il videogioco in Italia mica tra centro e periferia, generalmente reiterando immagini del paese già note ed escludendone delle altre. Il problema della visi- bilità sembra anticipato da IVIPRO che affianca a questa mappa un Database Narrativo contenente informazioni storiche e culturali su location italiane ancora inesplorate, ora navigabili attraverso una cartina geografica dell’Italia che offre schede con suggerimen- ti sui loro possibili impieghi videoludici10. Ad esempio, tra i punti d’interesse della Sardegna (rappresentata solo in 6 titoli) spicca il Carnevale di Mamoiada. La descrizione fornita nella scheda rical- ca topoi di antichità e tradizione radicati nell’immaginario stere- otipico sull’isola e che sono stati spesso strumento di mediazione di sardità in Italia e all’estero, particolarmente nel cinema11. Anche le informazioni contenute negli Spunti Videoludici rafforzano tale immaginario, inscrivendo la Sardegna all’interno di una tempora- lità astorica, o piuttosto “schizogenica” (Fabian 2014, p.viii) – “tra presente e passato”, la scheda – tipica di un’imagologia pre- moderna della Sardegna come luogo esotico. Propone infine l’im- piego delle maschere dei Mamuthones (costumi taurini caratteri- stici dell’area) come personaggi di un “picchiaduro folcloristico”12. Vengono quindi suggeriti una decontestualizzazione strumentale del carattere culturale della maschera barbaricina e il suo impiego stereotipico, in funzione di quella che Miglena Nikolchina (2017) definisce l’estetica “kalopica” del videogioco, ovvero la tendenza allo sviluppo di temporalità mitiche che assimilano il videogioco alla forma epica. La rappresentazione del videogioco nazionale, in sostanza, non solo rispecchia gerarchie di visibilità intrinseche all’organizzazio- ne geopolitica del paese, ma implica anche un processo di stereoti- pizzazione del locale che ne oscura la specificità storico-culturale. Higson (1989, p. 44) sottolinea come la “proclamazione” di un ci- nema nazionale dipenda sempre da un processo di colonizzazione interna, e quindi dall’appiattimento delle differenze che ostacola-

10 Il “Database Narrativo” di IVIPRO è consultabile all’indirizzo https://sto- rie.ivipro.it 11 Da Banditi a Orogoslo (De Seta, 1961) a Sonetaulla (Mereu, 2008) il rappor- to tra Sardegna e cinema è fondato sulla costante negoziazione di icono- grafie e stereotipi associate con il territorio. Cf. Floris e Girina, 2015. 12 La scheda relative al Carnevale di Mamoiada è reperibile al seguente indi- rizzo: https://storie.ivipro.it/db/il-carnevale-di-mamoiada/ I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 157 no la creazione di una base culturale comune. Secondo Douglas Dow (2013) invece, la decontestualizzazione di dettagli storici e la presenza di incongruenze non solo fanno parte dei processi appro- priativi e creativi del videogioco, ma sono in realtà funzionali alla creazione di un’estetica relazionale tra l’oggetto rappresentato e il suo simulacro virtuale. In questa prospettiva, le molteplici incon- gruenze architettoniche presenti in Assassin’s Creed II sarebbero a servizio di un processo di riconoscimento tra la città attuale e la sua simulazione storica. La Firenze rinascimentale del gioco è infatti innestata ad elementi architettonici risalenti a momenti storici successivi a quello del XV secolo che gli fa da sfondo, avvi- cinandola invece alla sua iconografia contemporanea. Per Dow, la virtualità della Firenze di Assassin’s Creed II potrebbe quindi ispi- rare una nuova ermeneutica del luogo storico come “simulacro” (Baudrillard 1993), in quanto rappresentazione artificiosa di un referente già originalmente artificiale. Assassin’s Creed II quindi faciliterebbe la comprensione di Firenze non come città storica, ma come spazio contemporaneo “immaginato”: come un collage di edifici appartenenti a stili ed epoche differenti, collocati gli uni accanto agli altri non secondo principi di fedeltà e coerenza sto- rica, ma secondo quelli di un oggetto estetico volto a creare una “impressione” del fenomeno storico13. In questo senso, Assassin’s Creed II favorirebbe una lettura cri- tica del patrimonio culturale storico come artefatto intrinseca- mente incoerente, frutto della costante negoziazione tra visioni del presente e del passato atta a simulare la percezione estetica intesa in una determinata epoca. Per estensione, potremmo dire che se il patrimonio culturale rappresentato nel videogioco par- tecipa alla “comunicazione” della cultura nazionale, il rifiuto di un paradigma storico e la presenza di intenzionali anacronismi e inconsistenze nella simulazione rivelano la natura artificiale del concetto stesso di nazionalità. In questo senso, la nazionalità del videogioco rivela la propria natura come simulacro tanto quanto la Firenze di Assassin’s Creed. L’attenzione rivolta alla coeren- za e al dettaglio dell’oggetto rappresentato rispecchia quella che

13 Dow (2013, p. 226) nota come già in epoca Rinascimentale, artisti e archi- tetti come Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi operassero spesso noncuranti di anacronismi e inconsistenze storiche. 158 Il videogioco in Italia

Adrienne Shaw (2015) definisce la “tirannia del realismo”. In que- sta prospettiva la qualità della rappresentazione videoludica è ge- neralmente valutata in base alla sua accuratezza (Uricchio 2005) o al suo grado di finzione (Elliot e Kapel 2013), ma comunque sempre in relazione alla fedeltà sensoriale rispetto al fenomeno rappresentato. Secondo Shaw tale feticismo sensoriale nasconde il valore politico del videogioco. La rappresentazione nel video- gioco, in quanto medium interattivo e “ergodico” (Aarseth 1997, p. 1), non può essere interrogata solamente sulla base delle im- magini da esso prodotte, ma deve invece essere analizzata attra- verso l’agency del giocatore, ovvero la sua capacità di influenzare e determinare il fenomeno rappresentato (Shaw 2015, p. 21)14. Di conseguenza, il potenziale del videogioco di comunicare la na- zione deve essere osservato non in relazione all’immagine che la rappresenta, ma alla sua giocabilità. Una simile tensione ideologica tra immagine e gioco attraversa la saga di Assassin’s Creed, in cui il protagonista Desmond Mi- les è rapito dalla multinazionale Abstergo e costretto ad entrare all’interno di un dispositivo per la realtà virtuale chiamato Ani- mus. Esso consente l’accesso alla memoria ancestrale contenuta nel DNA dell’utente, che eccede l’individuo e ne raccoglie gene- ticamente l’intera genealogia. Tale macchina virtualizza e rende navigabili le vite degli antenati dell’utente che la controlla. Il gio- co dunque si colloca su un piano metanarrativo e – come in una scatola cinese – l’esperienza distale di Desmond, il quale inabita il corpo dei propri avi per riviverne il passato, rispecchia quella del giocatore che prende possesso del protagonista per guidarlo attraverso gli episodi del gioco. La componente metacritica del gioco emerge allineando due livelli di interfacce: quella operata da Desmond nell’Animus, e l’interfaccia videoludica di Assassin’s Creed II utilizzata dal giocatore. Come l’Animus, Assassin’s Creed si presenta come un mero database storico, nascondendo la pro- pria veste ideologica sotto lo spettacolo del realismo sensoriale. Secondo Shaw infatti, l’Animus non è solo un’interfaccia di gio-

14 Con il termine “agency” si identifica la capacità del giocatore di compiere scelte e di apprezzarne l’impatto all’interno del mondo virtuale, influen- zando gli eventi rappresentati e determinandone le conseguenze. Cfr. Wardrip-Fruin et al., 2009. I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 159 co ma anche un’interfaccia storica, uno strumento che reifica la selezione dei fenomeni rappresentati (e quindi di quelli omessi) offuscandone l’aspetto ideologico. La selezione di ciascun episo- dio non è guidata da un principio narrativo-iconografico – come accade invece nel cinema – ma è piuttosto operata in relazione alla sua “giocabilità” (Shaw 2015, 13). L’interfaccia di gioco di As- sassin’s Creed, come quella dell’Animus, include solo gli elementi compatibili con i limiti materiali della macchina e con la strut- tura dell’esperienza progettata dal designer. Le interazioni con- cesse al giocatore sono finalizzate alla creazione di meccaniche di gioco e di loop di sfide e ricompense, i quali motivino la per- manenza del giocatore all’interno del mondo virtuale. Assassin’s Creed, e più in generale il medium videoludico, non producono delle rappresentazioni a servizio del fenomeno rappresentato (sia esso il patrimonio culturale, o il concetto di nazionalità ad esso connesso), bensì strumentalizzano quest’ultimo in funzio- ne della contingenza ludo-tecnologica che lo rappresenta. L’a- nalisi delle meccaniche di gioco meglio evidenzia il principio di giocabilità che ne governa l’apparato ideologico15. Alla base delle meccaniche di Assassin’s Creed si trovano infatti l’esplorazione e la navigazione degli ambienti combinate a momenti stealth (di azioni furtive nei quali al giocatore è richiesto di nascondersi o sottrarre degli oggetti senza allarmare il nemico) e di combatti- mento. Il potenziale culturale del videogioco nazionale, general- mente predicato sulla rappresentazione fornita di luoghi e og- getti di interesse per il paese, è qui subordinato alla sua capacità di fornire un ambiente giocabile. Come nei giochi di corsa, o nei picchiaduro, il paesaggio diventa quindi “sfondo” e viene defi- nito non tanto dal dettaglio fotografico quanto dalle possibilità d’interazione fornite16. L’ideologia di Assassin’s Creed dunque non è, come invece sostenuto da Dow (2013, p. 219), determinata dall’anacronistica presenza della facciata neogotica di Santa Cro- ce, ma piuttosto dalla meccanica della “arrampicata”, che rende il monumento interattivo e interamente scalabile, verticalizzando

15 Frans Mäyrä (2008, p. 18) descrive la struttura videoludica adottando un linguaggio metaforico che identifica le meccaniche di gioco come il suo “nucleo” (core) e l’impianto narrativo come un involucro (shell). 16 Cfr. ancora il saggio di Castronuovo in questo volume. 160 Il videogioco in Italia l’arena di gioco e aggiungendo un’ulteriore dimensione spetta- colare all’operazione di attraversamento dell’ambiente virtuale [Fig. 19]17. Il patrimonio culturale italiano, oltre a derivare da tra- dizioni storicizzate già parziali, selettive e variamente stereotipa- te, diventa parco giochi: esso è costituito non attorno alla comu- nicazione di un’identità nazionale intesa criticamente, bensì al suo consumo ludico.

Conclusioni: Assassin’s Creed e il videogioco come oggetto trans- nazionale

Secondo Anderson, intrinseco all’immaginario della nazione è il concetto di “limite”, che ne delinea i confini all’interno dei quali è inscritta la comunità nazionale. È infatti nella delimitazione tra interno e esterno che avviene il processo d’immaginazione della nazione: confini geopolitici, dogane, barriere linguistiche, limiti legislativi, frontiere culturali. Higson (2000) eredita la categoria del limite e la espande nel suo senso metaforico in relazione al cinema nazionale, come struttura concettuale che filtra – e quindi limita, a costo di offuscarla – i complessi processi di comunicazione dei me- dia. Per Higson, infatti, se da una parte la categoria del nazionale è utile alla definizione del rapporto tra organizzazione industria- le e struttura statale, dall’altra essa impedisce l’identificazione dei flussi economici e culturali transnazionali caratterizzanti la pro- duzione dei media. In modo simile al cinema, anche il videogio- co è un artefatto intrinsecamente transnazionale, non solo per la complessa filiera produttiva sottostante il suo sviluppo, che eccede dimensioni geografiche localizzate, articolandosi in una fitta rete di rapporti sussidiari globali, ma soprattutto per via dell’appara- to tecnologico che lo sottende: da una parte l’hardware, che viene ingegnerizzato e assemblato in diversi paesi (la manifattura delle giapponesi Playstation 4 e è parzialmente delo-

17 Per Dow (2013, p. 219) l’inserimento della facciata neogotica di Santa Croce nella Firenze rinascimentale costituisce un anacronismo in quanto risa- lente al Diciannovesimo secolo. Tuttavia, a caratterizzare la simulazione della basilica fiorentina non è l’anacronismo architettonico, ma bensì l’im- piego del sistema Havok per la fisica. I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 161 calizzata in Cina)18; dall’altra il software, stratificato, composto da linguaggi di programmazione utilizzati ovunque per la creazione di tool di sviluppo e motori grafici per videogiochi19. Ciò crea un re- gime produttivo del middleware – letteralmente il software che sta “nel mezzo” e che funziona da interfaccia tra le diverse istanze di produzione – che è adottato su scala globale e che genera una rete transnazionale di rapporti industriali. Tali strumenti, spesso per- cepiti come “neutri”, sono invece portatori di una carica ideologica che precede, e quindi sottende, il momento creativo e di design. Tuttavia, a differenza dell’ideologia, il software non necessita della mediazione istituzionale per la propria esecuzione, e si fa invece automaticamente procedura, eseguita dalla macchina che poi go- verna l’interazione dell’utente (Chun 2011, pp. 71-72). Se la natura transnazionale del videogioco è offuscata dalla reto- rica nazionale invocata da industria e critica, la carenza di consoli- date realtà di studio locali che si affianchino alla ricerca anglo-ame- ricana è compartecipe a questo processo. Il volume Video Games Around the World curato da Wolf, ad esempio, da una parte rin- traccia la “nazionalità” perduta dell’industria videoludica, mentre dall’altra promuove la sua dimensione “globale” – prominente nel titolo – rivelando quindi la propria natura di atlante del videogioco, che mappa la cultura e l’industria videoludica attraverso una sele- zione di paesi operata a partire da una prospettiva implicitamente anglo-centrica. Il volume, organizzato in trentanove voci che ana- lizzano altrettante realtà geografiche, fotografa in dettaglio le na- zioni europee e – solo in parte – asiatiche, affiancate da categorie opache come “l’Africa” e “il Mondo Arabo”, le quali richiedono di essere interrogate rispetto a pressanti questioni storiche e geopoli- tiche. Tale prospettiva può essere smantellata solo a partire da pro-

18 Apple, Microsoft, Sony e Nintendo sono infatti alcune tra le aziende pro- duttrici di hardware che delegano ancora oggi la manifattura dei propri prodotti al gruppo taiwanese Foxconn Technology. A sua volta, Foxconn sussidiarizza la propria produzione a mega-impianti nella provincia cinese dello Shenzhen, notoriamente coinvolti nel 2010 in uno scandalo riguar- dante suicidi di massa in parte connessi alle condizioni lavorative imposte dall’aziende 19 Un esempio della complessa nazionalità del prodotto videoludico è fornito dalla storia e dall’impiego del motore di sviluppo Unity, un motore grafico sviluppato dalla compagnia Unity Technologies, fondata in Danimarca nel 2004 e ora basata in California. 162 Il videogioco in Italia getti di ricerca decentralizzati che – come il presente volume – in- terroghino i processi ideologici sottendenti non solo la produzione e ricezione videoludica, ma anche il suo studio a partire dalla pro- blematizzazione delle proprie categorizzazioni geografiche. Tanto la categoria del “nazionale” quanto quella del “globale” generano dei limiti concettuali che, da un lato, non catturano la dinamicità dei flussi economico-culturali e, dall’altro, ignorano le implicazioni materiali delle industrie locali e la specificità delle relative pratiche culturali. In questo senso, la categoria del “regionale” è probabil- mente più adatta a mappare la realtà transnazionale dell’industria videoludica, rendendo conto della sua dimensione geografica ma al contempo eccedendo le arbitrarie delimitazioni degli spazi nazio- nali (Liboriussen e Martin 2016). È ancora attuale la prefazione di Marco d’Eramo alla traduzione italiana del volume di Anderson (1996, p. 7), nella quale viene evi- denziato come il concetto di nazione sia – ancora negli anni Novanta – un “orizzonte naturale della società e della politica”. L’inevitabilità della nazione come categoria socio-politica “naturale” si attenua di fronte alla consapevolezza della sua breve storia in quanto struttura appartenente alla modernità, preceduta per secoli da altre radical- mente diverse (comunità religiose, imperi, regioni, comuni, ecc.). D’Eramo ancora commenta: “Non ci accorgiamo che un modo ti- pico con cui la modernità produce il domani è quello di costituirsi uno ieri. Plasmare il nuovo inventando una tradizione” (in Ander- son 1996, p. 8). Il concetto di “nazionalità” sembra infatti, implici- tamente o esplicitamente, rievocato in modo ciclico come strumen- to di recupero identitario, ad esempio nella ricezione di Assassin’s Creed e nella retorica del videogioco come oggetto di promozione della nazione. Tuttavia, a un esame più attento, il gioco rivela il rap- porto complesso tra cultura e interfacce tecnologiche. Il potere di controllare il passato e di determinare il futuro sono temi ricorren- ti nella fantascienza. La preoccupazione per temporalità instabili e la necessità di manipolare (e riabitare) fenomeni del passato, che riscrivano il presente per poter plasmare il futuro, sono temi centra- li nella serie Ubisoft. L’Animus di Assassin’s Creed, che consente il viaggio temporale nel genoma dell’utente, materializza la metafora di Anderson “immaginando” un’identità basata sulla fabbricazione teleologica e sulla narrazione strumentale del passato. Il concetto di “videogioco nazionale” sembra dunque riflettere le interfacce che I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 163 lo compongono. Esso unisce, in modo strumentale, la realtà tec- nologica dell’artefatto videoludico e quella culturale dell’apparato ideologico nazionale, al fine di individuare le coordinate culturali di un passato “mitico” apparentemente andato perduto e che possa giustificarne il presente.

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Assassin’s Creed II [PS3], Ubisoft Montréal, Canada 2009. Candy Crush Saga [APPLE iOS], King, Malta 2012. FIFA 19 [Varie piattaforme], EA Vancouver, Canada 2018. Gran Turismo 5 [PS3], Polyphony Digital, Giappone 2010. Street Fighter Alpha 2 [Arcade], Capcom, Giappone 1996. Tomb Raider 2 [PS], Core Design, Regno Unito 1997. Tom Clancy’s Rainbow Six Siege [PC], Ubisoft Montreal, Canada 2015. Michael Castronuovo CARTOLINE DALL’ITALIA Analisi iconografica delle rappresentazioni del Belpaese nel picchiaduro 2D giapponese

Introduzione

Il genere videoludico dei picchiaduro, siano essi a scorrimento o a incontri, è spesso stato contraddistinto da una particolare at- tenzione alla caratterizzazione estetica, ravvisabile non solo nel design dei personaggi ma anche nella realizzazione degli ambienti che fanno da sfondo all’azione. La tendenza a prendere ispirazione da luoghi reali per gli stage di gioco ha contribuito alla rappre- sentazione dei personaggi ad essi associati, con il fine di produrre una batteria di combattenti differenziati per retroterra culturale e appartenenza etnica. Ma gli stessi ambienti, se analizzati confron- tandoli con le loro controparti reali, possono rivelare modi e filo- sofie di rappresentazione specifici rispetto al genere e alla cultura degli artisti che li hanno creati. Prendendo in esame le produzioni videoludiche giapponesi ap- partenenti al genere picchiaduro, e più in particolare quelle rea- lizzate nel decennio degli anni Novanta, si possono riscontrare molteplici casi in cui l’Italia viene utilizzata come stage di gioco, rappresentata sotto forma di background. La varietà degli esempi e soprattutto dei riferimenti geografici da cui questi videogiochi traggono ispirazione invita a riflettere sulle modalità con cui il Bel- paese viene ripensato e riprodotto in pixel, con la finalità di com- prendere sia le specificità figurative dei picchiaduro sia i processi di essenzializzazione (Hutchinson 2007, 2016) e vetrinizzazione (Co- deluppi 2007) che soggiacciono alla rappresentazione dell’Italia. Benché possano emergere interessanti risultati da un’analisi quantitativa della presenza di elementi italiani nei videogiochi appartenenti a questo genere – la cui tendenza generale si può prevedere già in questo contributo, con Venezia capofila delle città preferite come location digitali –, l’obiettivo di questo studio è di 168 Il videogioco in Italia avviare un’analisi iconografica che, secondo principi qualitativi, indaghi una serie di casi scelti che possa restituire un quadro circo- stanziato delle prassi di organizzazione degli spazi bidimensionali raffiguranti l’Italia. Tali casi di studio sono stati individuati nelle diverse itera- zioni di due serie picchiaduro giapponesi: The King of Fighters (SNK 1994 – in corso) e Street Fighter Alpha (conosciuta in Giappone come Street Fighter Zero) (1995-1998) di Capcom. Nonostante si affronteranno anche casi di picchiaduro a scorri- mento che non utilizzano riferimenti geografici, architettonici o scultorei precisi nella realizzazione dei loro background – che si riveleranno utili a comprendere processi generici di rappre- sentazione che operano secondo criteri quali la mediterraneità o la classicità degli ambienti digitali –, le due serie sopraccitate costituiscono un corpus che fonda la sua esemplarità innanzi- tutto nella varietà dei luoghi del Belpaese presi a modello – con una continuità unica nel genere, che testimonia strategie figu- rative non estemporanee ma programmi narrativi ben definiti di contestualizzazione del racconto che accompagna gli incon- tri attraverso gli stage in cui hanno luogo – e successivamente nella eterogeneità delle modalità di costruzione degli scenari, le quali danno dimostrazione di una differenziazione degli ap- procci alla rappresentazione delle ambientazione e permettono una prima, esplorativa, categorizzazione che riassuma le nor- me che possono regolare la spazialità bidimensionale tipica dei picchiaduro a incontri. Dall’analisi iconografica dei riferimenti geografici italiani (cit- tà, località, paesaggi naturali) e degli elementi artistici ad essi associati (architetture, statue, edifici) che The King of Fighters e Street Fighter Alpha, utilizzano come background per gli scontri tra i combattenti che compongono il loro parco personaggi, si possono individuare differenti forme di rappresentazione. Que- ste ultime corrispondono in linea di massima ai princìpi che ne guidano il design e che qui proporremo secondo una distinzione tripartita, che non intende essere una sistematizzazione neces- sariamente completa e onnicomprensiva, ma mira ad avviare una prima mappatura delle modalità fondamentali sulle quali si fon- dano le pratiche di rappresentazione degli stage bidimensionali dei picchiaduro. M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 169

Mediterraneità e Classicità

Prima di approfondire ogni singolo campione di rappresenta- zione dell’Italia nei videogiochi tra quelli selezionati come casi di studio e organizzati secondo tre categorie che riassumono i modi con cui si costruiscono gli scenari, sarà utile premettere due con- cetti intorno ai quali orbitano le strategie di rappresentazione dell’Italia, affiancando, o anche guidando, le strategie di rappre- sentazioni che descriveremo successivamente. In alcune circostanze, infatti, l’analisi iconografica delle - am bientazioni dichiaratamente italiane nei picchiaduro non rivela la presenza di riferimenti reali tradotti, più o meno fedelmente, in grafica bidimensionale. Si tratta di situazioni in cui il senso di italianità è veicolato diversamente, più in particolare attraverso la costruzione di spazi che restituiscono un’atmosfera ideale dell’I- talia fondata sostanzialmente su due attributi: quello di mediter- raneità e quello di classicità. Da una parte, infatti, questo modo di riprodurre istantanee del Belpaese a due dimensioni (nei casi specifici presi in esame, in pixel art1) si affida a tratti caratteristi- ci del territorio italiano, tramite una rappresentazione incentrata su elementi che si possono associare ad un generico concetto di mediterraneità: partendo dalla frequente presenza del mare che, stagliandosi sullo sfondo, viene associato ad architetture che ri- cordano vagamente quelle delle principali città portuali italiane o di idilliaci villaggi di pescatori del sud Italia, fino ad arrivare all’insieme di scelte estetiche come l’utilizzo di colori caldi e una messa in scena che spesso predilige un’ambientazione diurna, ca- ratterizzata da un cielo terso e da un clima sereno, come si vedrà negli esempi analizzati. Dall’altra parte, anche in assenza di riferi- menti artistici specifici e di luoghi precisi da riprodurre, la rappre- sentazione dell’Italia è comunque contraddistinta da una precisa connotazione estetica, che nei casi in questione si articola seguen- do un principio di classicità secondo cui vengono selezionati solo alcuni tratti dell’arte monumentale classica, poi impiegati come

1 Per quanto riguarda le tecniche con cui viene implementata questa par- ticolare grafica, con riferimento alla serieThe King of Fighters, si segnala https://kofaniv.snk-corp.co.jp/english/info/15th_anniv/2d_dot/art/in- dex.php. 170 Il videogioco in Italia motivi nella realizzazione di background composti ad esempio da colonnati e arcate reminiscenti degli anfiteatri romani, senza necessariamente esserne una copia diretta. Se, nelle occorrenze appena descritte, esistessero possibili riferimenti reali presi a mo- dello, questi ultimi o non sarebbero esplicitati oppure si potrebbe- ro solo ipotizzare, dato che a monte dell’atto di rappresentazione si compie un processo di essenzializzazione che riduce ai minimi termini qualsiasi legame figurativo immediato con il materiale da cui i graphic designer hanno tratto ispirazione. Al contempo, però, tale processo contribuisce alla comprensione dei criteri che rego- lano i modi in cui viene percepita e rappresentata l’italianità nel contesto giapponese dello sviluppo di videogiochi appartenenti al genere dei picchiaduro. Queste strategie di essenzializzazione delle ambientazioni fan- no assegnamento sulla natura fondamentalmente indicale degli elementi che le compongono. L’indicalità costituisce un principio secondo cui questi spazi privi di riferimenti espliciti si organiz- zano e grazie al quale gli sfondi si possono associare ad un deter- minato contesto (Fernandez-Vara 2011). Al mimetismo, di grado variabile, che caratterizza la rappresentazione delle tre categorie che approfondiremo successivamente, si sostituiscono processi di rappresentazione dell’italianità vincolati, come si è detto, ad una specifica connotazione degli ambienti che procede secondo prin- cipi estetici più astratti. I casi che adottano, per la realizzazione degli stage, generici princìpi di mediterraneità o di classicità che siano capaci di re- stituire un’ambientazione verosimilmente italiana – almeno se- condo l’immaginario degli sviluppatori giapponesi – richiedono un lavoro di speculazione che può solo procedere a tentativi per far emergere i riferimenti geografici impliciti. Infatti, per avere la certezza delle le fonti d’ispirazione da cui gli sviluppatori hanno attinto sarebbe necessaria una ricognizione di paratesti come do- cumenti di design o bozzetti che esplicitino chiaramente i riferi- menti, operazione non prevista nella metodologia di questo studio data l’assenza di strumenti che ne permettano il reperimento e la corretta traduzione. Tra questi casi lo stage italiano di The King of Fighters ’95, sviluppato da SNK per Neo Geo [Fig. 21], è un esempio interessante: il videogioco esibisce una rappresentazione dell’Ita- lia incentrata sostanzialmente su un’idea di mediterraneità veico- M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 171 lata principalmente attraverso il mare cristallino, attraversato dal ponte in legno su cui gli sfidanti si affrontano, e dagli edifici circo- stanti che ricordano architetture di località costiere del sud Italia. Nonostante si possa operare ugualmente un’analisi iconografica di carattere puramente speculativo – che porterebbe a pensare che la fonte d’ispirazione dello stage sia l’Isola di Levanzo, con i mulini delle saline di Trapani e la stessa città siciliana sullo sfondo–, in assenza di fonti certe a sostegno delle ipotesi proponibili rimane centrale il motivo della mediterraneità come principio guida della rappresentazione. Tra i picchiaduro che fanno uso di questi princìpi, però, si pos- sono trovare anche quelli a scorrimento, in linea di massima a cau- sa dell’incidenza maggiore che le limitazioni tecniche hanno sul design degli sfondi che, in questi casi, non sono più incorniciati ma, prevedendo il costante movimento del personaggio verso le aree successive del livello, tendono a ridurre le ambientazioni a moduli stilizzati che si ripetono con cadenza variabile in secondo piano. In questo senso l’utilizzo di elementi generici e ricorrenti, a cui si attribuisce un determinato carattere a seconda del luogo in cui si intende collocare l’azione di gioco, si rivela un modo efficace per implementare lo scrolling degli sfondi, tipico del sottogenere in questione, senza rinunciare all’obiettivo di rappresentare una precisa realtà geografica, benché filtrata da restrizioni tecniche e da processi di idealizzazione delle sue specificità2. Ad esempio, uno dei picchiaduro a scorrimento che rappresen- tano il Belpaese senza servirsi di riferimenti precisi o di strategia di riproduzione mimetica, ma adottando invece un criterio di clas- sicità nel design delle ambientazioni, è Double Dragon 3, prodot- to da Technos Japan per arcade nel 1990, che presenta uno stage italiano caratterizzato da architetture simili a quelle del Colosseo, le quali si ripetono sullo sfondo secondo moduli semplificati, e da generici colonnati inframezzati da statue di gusto classico uguali l’una all’altra [Fig. 20].

2 Non mancano i casi in cui i riferimenti sono ben distinguibili: lo stage italiano di Sengoku 3 (SNK, 2001), ambientato a Venezia, dove è ricono- scibile in lontananza il Campanile di San Marco, o quello di Final Fight 2 (Capcom, 1993), anch’esso ambientato a Venezia, lungo quella che sembra Riva degli Schiavoni e con all’orizzonte la figura della Basilica di Santa Ma- ria della Salute. 172 Il videogioco in Italia

Al di là delle categorizzazioni di massima che proporremo, sarà utile puntualizzare che si possono comunque riscontrare esempi di ambientazioni che mirano a porsi come una riproduzione accu- rata e dettagliata del soggetto preso a modello. Si tratta di casi in cui, secondo precise strategie di visualizzazione e messa in scena, viene adottato un principio di mimetismo assoluto che discipli- na le operazioni di rappresentazione digitale degli spazi. Tuttavia, questo metodo di rappresentazione deve inevitabilmente scon- trarsi con i limiti delle tecnologie utilizzate per la realizzazione degli sfondi e con i vincoli intrinsechi al genere videoludico del picchiaduro, incappando così in restrizioni che lo rendono parti- colarmente problematico e perlopiù inadatto alle finalità estetiche ed espressive associate ai background in questione.

Concentrazione

I concetti appena descritti sono però ancillari rispetto alla di- stinzione tripartita delle modalità secondo cui si regola la rappre- sentazione dei background dei picchiaduro di cui abbiamo accen- nato precedentemente. Si tratta, infatti, di tre categorie che sono naturalmente applicabili a qualsiasi caso di rappresentazione di luoghi geografici reali presi a riferimento per costruire ambienta- zioni bidimensionali fortemente caratterizzate e immediatamente riconoscibili, siano esse raffiguranti località italiane come nei casi che si affronteranno oppure appartenenti ad altri paesi. Si opererà ora una sistematizzazione esplorativa dei metodi che regolano la rappresentazione dell’Italia (ma non esclusivamente di essa) nel picchiaduro giapponese, procedendo con l’analisi icono- grafica dei casi di studio presi in considerazione in modo tale da applicare su esempi concreti i princìpi su cui si fondano le catego- rie prodotte e, contemporaneamente, scomporre ed esaminare i singoli elementi da cui i background sono formati. La prima di queste categorie, che corrisponde anche alla mo- dalità più diffusa di design degli sfondi a due dimensioni, è quella della concentrazione. Infatti, nei casi specifici, elementi spaziali separati da distanze fisiche nella realtà non trascurabili (anche e soprattutto in termini di rappresentazione visiva), ma assimilabi- li secondo un qualche criterio di appartenenza o identità (a una M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 173 città, a un quartiere, ecc.), vengono accostati e composti secondo strategie della verosimiglianza non dissimili da quelle impiegate nella composizione delle cartoline. È effettivamente la cartolina il progenitore di questo genere di rappresentazione, poiché essa condivide con lo stage del picchiaduro bidimensionale un’organiz- zazione dello spazio e dei suoi elementi circoscritta ad una cornice rettangolare e costretta all’interno di un’area in cui lo sguardo può muoversi solo limitatamente. Come la cartolina è vincolata ad una fruizione sincronica che impone la condensazione degli elementi da rappresentare in uno spazio ridotto e tende analogamente a re- stituire l’identità culturale, o perlomeno un certo senso di appar- tenenza, di un luogo in cui tutti, o la maggior parte, degli elementi caratteristici che lo definiscono sono sempre presenti3. Una componente rilevante del processo complessivo che porta i designer ad adottare determinate operazioni di concentrazione degli elementi spaziali è ovviamente di natura tecnologica4. Data la limitata quantità di spazio disponibile come background per un picchiaduro a incontri in due dimensioni (che comunque spesso prevede almeno una minima quantità di scrolling, ovvero di spo- stamento dell’inquadratura da destra verso sinistra e viceversa, a seconda del movimento in scena dei personaggi) sono necessari interventi di selezione e composizione che ritagliano, affiancano e giustappongono le diverse unità che andranno a definire l’ambien- te di sfondo. Una ragione secondaria ma non meno importante si può individuare nella tendenza di alcuni esponenti del genere videoludico in questione di restituire rappresentazioni di natura stereotipica dei personaggi (Hutchinson 2015) e degli ambienti, allo scopo di produrre precisi effetti di identificazione e immersio- ne nel giocatore. All’interno della categoria illustrata, si possono individuare di- versi esempi. Il primo di questi è The King of Fighters 2001, picchia-

3 Esistono siti web o singoli utenti su piattaforme di condivisione online che si dedicano alla raccolta e all’esibizione degli stage di gioco, spesso sottoforma di gif, confermando così la stretta associazione tra cartolina e sfondo. Tra i tanti, si riporta il link di uno dei più completi: https://imgur.com/gallery/GPlx4 4 Per un approfondimento sulle tecnologie utilizzate per il design degli ambienti bidimensionali, si consiglia questo interessante blog: http:// videogamesdensetsu.tumblr.com/post/180100803290/designing-2d- graphics-in-the-japanese-industry. 174 Il videogioco in Italia duro sviluppato originariamente per Neo Geo da Eolith e Brezza- Soft. Il videogioco, tra gli stage disponibili, ne propone anche uno italiano, chiaramente ambientato a Venezia [Fig. 22], anche se il nome della città non viene esplicitamente dichiarato nei titoli che precedono l’inizio dell’incontro. L’ambiente che fa da sfondo agli scontri tra i personaggi in questo stage è comunque inconfondi- bile: si tratta infatti del Ponte di Rialto, che, gremito di spettatori, troneggia alle spalle della strada che ospita lo scontro tra i combat- tenti. Ma il Gran Canale della Serenissima presenta interessanti, e contradditori, tratti: sebbene le gondole con a bordo i tifosi siano coerenti con il contesto rappresentato, in secondo piano rispetto al Ponte di Rialto emerge un’interessante incongruenza. Oltre di esso si può effettivamente scorgere Punta della Dogana, nella qua- le si staglia la grande cupola emisferica della Basilica di Santa Ma- ria della Salute e si può riconoscere il complesso della Dogana da Mar, di cui però è assente la scultura della Palla d’Oro, raffigurante due atlanti che sostengono una sfera in bronzo dorato su cui pog- gia la statua detta “Occasio”, situata in cima alla torre dell’edificio. La problematicità di questa rappresentazione sta nell’effettivo posizionamento di Punta della Dogana rispetto al Ponte di Rialto; infatti, attraverso quest’ultimo non si potrebbe intravedere dalla distanza, sul lato opposto, la prima, poiché essa costituisce il pun- to di congiunzione tra il Canal Grande in cui è situato il ponte, per l’appunto, e il Canale della Giudecca. In questo specifico caso si è dunque di fronte ad un esempio di sfondo realizzato secondo un criterio di concentrazione, che annulla distanze e posizioni per condensare in un’unica istantanea elementi caratteristici della lo- calità che si intende rappresentare, pur rispettando un certo livello di verosimiglianza nella resa grafica dei soggetti presi a modello. Il secondo caso di studio afferente alla categoria di concentra- zione è lo stage italiano presente nel titolo prodotto successiva- mente a quello appena preso in esame, ovvero The King of Fighters 2002, sviluppato ancora da Eolith in collaborazione con Playmo- re (successivamente conosciuta come Playmore SNK, e oggi solo SNK5), sempre per Neo Geo [Fig. 23]. Lo stage prevede che i due combattenti si affrontino su un ascensore, ai cui lati sventolano

5 Per un approfondimento sulle origini della celebre casa di sviluppo, si se- gnala la seguente intervista: http://shmuplations.com/snkorigins/ M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 175 bandiere tricolore, che lentamente procede verso l’alto, mentre alle loro spalle si sviluppa verticalmente la visione della Piazza dei Miracoli di Pisa. Lo sfondo però non consiste nell’intero com- plesso di edificazioni presenti nella piazza, difatti dai monumenti riprodotti sono assenti il Battistero di San Giovanni e il Campo Santo. Dunque, in secondo piano rispetto al terreno di scontro tra i combattenti del videogioco, si possono chiaramente riconoscere la Torre pendente, su cui campeggia uno striscione blu e bian- co che riporta l’acronimo della serie picchiaduro, e una parte del Duomo di Santa Maria Assunta, la cui sacralità è messa in discus- sione da un’insegna posta in cima ad esso che recita “Final. The King of Fighters”. Più precisamente, della cattedrale medievale è riprodotto nella sua verticalità solo il transetto di destra, rimuo- vendo dalla composizione la facciata e tutto il corpo centrale e ricreando così solo una piccolissima porzione della Piazza dei Mi- racoli, secondo un punto di vista che costituisce una precisa scelta formale nella rappresentazione dell’Italia proposta in questa ite- razione del videogioco. È questa prospettiva, leggermente schiac- ciata e parziale, che si configura come l’agente di concentrazione dei monumenti rappresentati, i quali nei loro dettagli sono co- munque riprodotti fedelmente – nei limiti consentiti dalla pixel art –, in nome di un mimetismo che si può realizzare solo costrin- gendo l’immagine all’interno di confini piuttosto restrittivi. Una prospettiva, questa, che risponde in ultima istanza alla volontà di costruire il background in verticale prevedendo un movimento dello sguardo obbligatoriamente ascendente, che possa percor- rere la Torre di Pisa lungo tutta la sua altezza, e, di conseguenza, evitando di sezionare quello che è a tutti gli effetti il soggetto cen- trale della rappresentazione. L’ultimo caso di sfondo realizzato seguendo un criterio di con- centrazione degli elementi di italianità si trova in King of Fighters XI, sviluppato nel 2005 da SNK Playmore per arcade. Lo stage, de- nominato “White Town” nel breve intermezzo che precede l’inizio dello scontro tra i combattenti, è costruito intorno soggetto cen- trale della composizione, che è la Basilica Concattedrale di Santa Maria dell’Assunzione di Ostuni. L’edificio però non è rappresen- tato nella sua totalità, ma in una prospettiva parziale che ne ri- produce in maniera esatta solamente i due terzi. La scelta di un tale punto di vista, però, non è del tutto casuale: è dovuta infatti 176 Il videogioco in Italia al riferimento fisico che, evidentemente, gli artisti del videogio- co hanno adottato nel momento in cui hanno deciso come ripro- durre la cattedrale. Il riferimento che giustifica questa prospettiva si può intravedere nello stage stesso: si tratta dell’arcata sotto la quale i combattenti si sfidano, che corrisponde, per la posizione rispetto alla cattedrale stessa, all’Arco Scoppa. In questo senso, la rappresentazione mantiene ancora un certo livello di fedeltà in confronto agli edifici reali e alla loro collocazione; una fedeltà che però viene minata da una serie di elementi accessori, utili proba- bilmente a rinforzare il senso di italianità dell’ambientazione e a attribuirle maggiore dinamicità, che non si riscontrano nella re- altà. Infatti, nella parte di sinistra dello stage è rappresentato un vicolo con le architetture a volta tipiche della città, la cui esistenza, però, non corrisponde alla configurazione reale degli edifici e delle vie presenti nell’area. Inoltre, nello stage, davanti alla Concatte- drale, passa una strada che, percorsa da veicoli differenti, taglia trasversalmente quella che dovrebbe essere Piazza Beato Giovanni Paolo II; la piazza, in verità, non è attraversata da una strada simi- le che incontra perpendicolarmente la via che porta dall’arco alla cattedrale. Si tratta quindi di elementi che non si rifanno a model- li specifici ma che servono a veicolare un più generico spirito del luogo e, contestualmente, il senso di italianità che lo permea. Ciò è permesso dalle operazioni di concentrazione che sottendono la rappresentazione di questa Ostuni virtuale, circoscritta e conden- sata all’interno della cornice dello stage.

Sovrapposizione

La seconda categoria, quella di sovrapposizione, riassume in sé tutti quegli esempi di scenari la cui realizzazione avviene attraver- so l’associazione di elementi che, secondo criteri di appartenen- za geografica e distanza fisica, in misura maggiore rispetto ai casi rintracciabili nella categoria precedente, risultano incoerenti tra di loro. Le ambientazioni risultato di queste pratiche tendenzial- mente intendono restituire un senso di italianità che pesca a piene mani nel bacino delle numerose opere artistiche, architettoniche e scultoree che definiscono il Belpaese, senza necessariamente aderire a un qualsivoglia principio di veridicità storica o geografica M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 177

(Wasp 2014). Si tratta di un’operazione di rappresentazione selet- tiva dell’Italia nei suoi elementi più immediatamente riconosci- bili (come detto, in particolare sculture ed edifici dall’architettura inconfondibile), che procede secondo strategie di associazione sincretica, in nome di un sentimento di italianità facilmente iden- tificabile anche se non strettamente fondato su riferimenti corri- spondenti alla realtà. Questo sincretismo, che genera nei picchia- duro iterazioni di un’Italia inverosimile, è in fondo presente anche negli esempi di rappresentazione attraverso concentrazione, ma, a differenza della categoria della sovrapposizione, in quei casi non intacca il senso di appartenenza ad una realtà geografica precisa (come ad esempio una città), ed è in qualche modo limitato nella sua applicazione, poiché ha effetto esclusivamente sulle distanze fisiche reali degli elementi di riferimento, che comunque condivi- dono sempre un determinato grado di pertinenza in relazione al luogo a cui vengono attribuiti. Le ragioni per cui viene adottato questo tipo di approccio nella realizzazione degli stage sono da individuare, similmente alla pri- ma categoria descritta, nelle necessità di fare economia dello spazio disponibile e, contestualmente, nelle specificità di genere preceden- temente citate. Ciò che però differenzia le operazioni di sovrappo- sizione da quelle di concentrazione, e che ha un peso sicuramente maggiore a confronto delle motivazioni precedenti, è la natura cul- turale delle scelte che guidano la creazione dei background. Gli ele- menti dello spazio, selezionati e successivamente rappresentati in pixel, appartengono infatti ad un certo immaginario, in questo caso quello degli sviluppatori giapponesi delle serie videoludiche prese in esame, che sostituisce la resa di un’Italia verosimile o realistica (Galloway 2004) con una visione idealizzata di un’Italia percepita, costituita da unità che non necessitano di collocazione per essere coerenti ma che producono senso (in questa circostanza il senso d’i- dentità tricolore) anche presi singolarmente, e che amplificano il loro messaggio di appartenenza se sovrapposti6.

6 In questo senso si fa riferimento a Miyake 2010. In particolare, si pensi al concetto di Italia come Occidente orientalizzato e al mito del Belpaese nei suoi aspetti premoderni, dall’antichità romana all’arte rinascimentale, fino ai paesaggi naturali che la caratterizzano. Invece, per un approfondimento legato più strettamente ai game studies in relazione al contesto giappone- se, si veda Consalvo 2016. 178 Il videogioco in Italia

Verranno presi ora in esame due esempi di background costruiti secondo un principio sincretico di sovrapposizione di elementi ap- partenenti a realtà geografiche differenti. Il primo di questi esempi è lo stage italiano di Street Fighter Alpha 2, sviluppato da Capcom per arcade nel 1996. Annunciato nella scena di intermezzo gene- ricamente come Italia, lo stage dovrebbe rappresentare il porto di Genova, dato che, anche in questo caso, è associato al personag- gio ricorrente di Rose, originaria per l’appunto di Genova. Benché, come si vedrà, l’ambientazione non abbia nessun elemento che ri- chiama direttamente il capoluogo ligure, dai documenti di design, in particolare dai bozzetti di preparazione consultabili negli extra della Street Fighter 30th Anniversary Collection (Capcom, 2018), emerge effettivamente che lo stage intenda essere ambientato di- chiaratamente a Genova. Questi artwork sono infatti accompagna- ti dalla dicitura (scritta in caratteri giapponesi, sia katakana che kanji), “Genova, Porto, Italia”7. Studiando attentamente lo sfondo, però, si possono riscontrare numerose incongruenze. Innanzitut- to, si possono chiaramente identificare all’orizzonte due edifici ve- neziani: sull’estrema destra, incorniciato dal colonnato, il Palazzo Ducale di Piazza San Marco, mentre alla sua sinistra si può intra- vedere quella che sembra a tutti gli effetti la Basilica di San Giorgio Maggiore, secondo un criterio di collocazione che annulla i riferi- menti geografici reali come accade per i casi della categoria di con- centrazione. Ma l’elemento più particolare della rappresentazione – la quale può contare anche sulle immancabili gondole ormeggiate – è la statua posizionata all’estrema sinistra dello stage. Un’attenta osservazione del suo aspetto rivela che si tratta della riproduzione stilizzata della statua di Dante Alighieri eretta in Piazza dei Signori a Verona, inserita nello sfondo probabilmente in nome della rico- noscibilità internazionale del sommo poeta e della sua italianità. Nonostante l’unico indizio che potrebbe far pensare a Genova sia lo sviluppo verticale delle case nella metà sinistra dello stage, che po- trebbe richiamare i rilievi tipici del territorio genovese, l’ambienta- zione è un coacervo di elementi contraddittori ed estranei al luogo di riferimento, sovrapposti e accomunati esclusivamente secondo

7 La dicitura riporta precisamente: “ジエノバ 港 イタリ”, che traslitterato si legge “Jenoba, Minato, Itari”, tradotto per l’appunto in “Genova, Porto, Italia” M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 179 un presupposto criterio di italianità, che manifesta un modo di in- tendere il paesaggio italiano come un luogo sincretico, in cui speci- ficità locali possono essere selezionate, essenzializzate e riadattate nell’istantanea dello stage di gioco. Il secondo caso di sfondo realizzato per sovrapposizione di ele- menti dall’appartenenza geografica differente non rientra all’in- terno delle due serie da cui sono stati selezionati gli esempi fin qui analizzati. La scelta di esaminare un videogioco facente parte di un’altra serie picchiaduro è dovuta fondamentalmente a una mo- tivazione: la dimostrazione dell’applicabilità delle categorie prece- dentemente descritte anche ad esempi non strettamente legati al bacino di casi di studio da cui si è attinto per operare la sistematiz- zazione di massima proposta. Il picchiaduro in questione è Fatal Fury 2, sviluppato da SNK per Neo Geo nel 1992. Lo stage italiano presente nel videogioco si può considerare come una panoramica su un’Italia bidimensionale rappresentata da alcuni dei suoi mo- numenti più distintivi. Infatti, lo stage è costituito da un battello in movimento su cui si affrontano i personaggi di gioco, che procede navigando su un canale (che, data la presenza di gondole, potreb- be avere come riferimento un canale di Venezia, magari proprio il Canal Grande) in un continuo e lento scorrimento da sinistra verso destra. Sullo sfondo dell’arena di combattimento si possono riconoscere, nell’ordine, il Ponte di Rialto, la Torre di Pisa, il Pa- lazzo Ducale di Venezia, l’ingresso su piazza Duomo della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano (che rappresenta una novità nella rappresentazione del Belpaese nel picchiaduro giapponese), e infi- ne il Colosseo. Una batteria di soggetti che, sovrapposti in una sin- gola ambientazione e privati della loro appartenenza geografica, vengono convogliati complessivamente nell’immagine sincretica di un’Italia da cartolina.

Citazione

La terza e ultima categoria individuata sondando le differenti modalità di rappresentazione adottate dai picchiaduro esaminati è quella della citazione. Sebbene i riferimenti ad ambientazione reali siano comunque sempre presenti e distinguibili, nei casi che rientrano all’interno di questa categoria essi sono sottoposti a un 180 Il videogioco in Italia processo di mediazione che avviene ancora prima della traduzione in pixel operata dagli sviluppatori del videogioco. Infatti, gli stage realizzati secondo questa modalità si affidano a immagini e mo- delli già prodotti in contesti mediali differenti, primo fra tutti il cinema. I background progettati seguendo criteri di citazione non attingono direttamente dall’insieme dei riferimenti geografici, ar- tistici o architettonici della realtà che intendono rappresentare, ma si rifanno ai riferimenti audiovisivi di quelle realtà che hanno già attraversato processi di mediazione all’interno del medium per cui sono stati realizzati. Si tratta dunque di rimediare – talvolta mantenendo un elevato livello di fedeltà rispetto al materiale ori- ginale, talvolta affidandosi a un design degli spazi che accenni o vagamenti richiami le immagini da cui si trae ispirazione – sce- nari che, tendenzialmente, abbiano già trovato un posto nell’im- maginario collettivo, contribuendo così all’efficacia della rappre- sentazione finale. È comunque doveroso notare come le strategie di citazione – non solo di prodotti cinematografici, ma anche di opere musicali e letterarie, serie e trasmissioni televisive, o anco- ra fumetti e racconti folkloristici –, sebbene si ritrovino con fre- quenza nella costruzione degli sfondi del picchiaduro e per esten- sione nei suoi elementi di corredo (come ad esempio musiche di background che hanno riferimenti musicali specifici o riprendono motivi con una determinata connotazione8), siano in larga parte applicate ai personaggi che compongono il parco combattenti del videogioco, i quali naturalmente costituiscono il primo strumento a disposizione degli sviluppatori per veicolare determinate rappre- sentazioni9. Basti pensare alla figura cinematografica del maestro di arti marziali di Bruce Lee (in tutte le sue iterazioni) e alle sue numerose incarnazioni riscontrabili in diverse serie picchiaduro giapponesi, dal Marshall Law (e figlio) diTekken , passando per Fei Long di Street Fighter, fino ad arrivare al Jan Lee di Dead or Ali- ve. Le operazioni di citazione sono dunque flessibili e applicabili a diversi aspetti del videogioco, ciononostante trovano nella pro-

8 Come ad esempio la traccia “Napolitan Blues” di The King of Fighters ‘94. 9 Si pensi a Vulcano Rosso della serie Street Fighter EX (Capcom 1996), personaggio italiano fortemente ispirato dallo stile della serie manga Le bizzarre avventure di JoJo di Hirohiko Araki. È interessante, tra l’altro, no- tare la nomenclatura del suo moveset, che include specifici riferimenti a monumenti e località italiane. M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 181 duzione degli sfondi terreno fertile per costruire continui giochi di rimandi e reinterpretazioni, fondandosi su un processo di rappre- sentazione della rappresentazione che si avvale di una figurazione preesistente e tendenzialmente già assimilata nell’immaginario collettivo dei giocatori, con lo scopo di rendere più incisivo il ri- chiamo agli spazi reali presi a riferimento dal modello citato. Passando agli esempi della categoria appena descritta, sono due i casi qui presi in esame che rientrano all’interno della modalità di rappresentazione per citazione. Il primo di essi appartiene a Stre- et Fighter Alpha, primo capitolo della serie Alpha sviluppato da Capcom nel 1995 per arcade. Nel titolo appare infatti un personag- gio italiano – Rose – a cui è associato uno stage con ambientazio- ne esplicitamente italiana. In questo esempio si può chiaramente riconoscere una sezione del Colosseo, che si staglia sullo sfondo immerso nei colori caldi di un tramonto. Quello che è interessante notare qui è la composizione del quadro nella sua interezza: l’ar- cata che incornicia i settori interni del Colosseo posti in secondo piano e tutta la messa in scena che si sviluppa verso la destra dello stage ricorda evidentemente una precisa ambientazione cinema- tografica. La composizione, infatti, ricalca puntualmente quella della scena finale del film L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occi- dente (The Way of the Dragon, Bruce Lee, 1972), nella quale il pro- tagonista Chen, interpretato da Bruce Lee, affronta in uno scontro mortale il campione di arti marziali e antagonista Colt, imperso- nato da Chuck Norris. Un indizio ulteriore a sostegno di questa tesi è la presenza dei gatti randagi che compaiono di tanto in tanto alle spalle dei personaggi virtuali, in un richiamo alle inquadrature dei gatti che intervallavano quelle dello scontro tra Chen e Colt nel film. Ciò che si riscontra in questo caso è la realizzazione di uno sfondo sia sulla base di un’associazione tematica (le arti marziali), sia sfruttando lo status di “cult” che il luogo dello scontro rappre- senta, in modo tale che la strategia di citazione adottata fosse ef- ficace nella restituzione di un’immagine dell’Italia coerente con il genere videoludico di riferimento. Il secondo esempio di rappresentazione per citazione è lo stage ita- liano di The King of Fighters ’94, primo capitolo della serie sviluppato da SNK per Neo Geo [Fig. 24]. A prima vista l’ambientazione ricreata sembra quella di una imprecisata zona di Venezia: il canale, le gon- dole con a bordo gli spettatori e le architetture tipiche che si susse- 182 Il videogioco in Italia guono all’orizzonte fanno pensare a una rappresentazione di caratte- re generico che poggia le sue basi sulla immediata riconoscibilità di tali elementi. In realtà nel background si annida un riferimento più particolare ad un’opera cinematografica di animazione uscita pochi anni prima del videogioco in questione. Si tratta, infatti, della citazio- ne di Porco Rosso (Kurenai no Buta, Hayao Miyazaki, 1992), anch’es- so ambientato in Italia, e più nello specifico della scena che vede il protagonista Marco Pagot e il rivale Donald Curtis affrontarsi in un duello aereo. Il luogo che fa da palcoscenico alla sfida aerea tra i due aviatori rappresenta la fonte d’ispirazione per lo stage del picchiadu- ro: la presenza delle bandiere e dei sostenitori in secondo piano rivela una certa affinità tra le immagini del film e quelle del videogioco. È lo stesso designer dello stage, il graphic director Mitsuo Kodama, che a scanso di equivoci conferma la citazione di Porco Rosso su cui si fon- da la realizzazione del background10, in linea con quello che è un tratto distintivo della sua produzione artistica, basti pensare alle citazioni di Akira (Katsuhiro Otomo, 1988) presenti nelle ambientazioni di The Last Resort e nello stesso The King of Fighters ’9411. Anche in questo caso, dunque, la ricostruzione scenica si appoggia ad immagini che hanno contribuito alla rappresentazione dell’Italia, catturandone e adattandone elementi specifici, sempre in linea con i limiti grafici e tecnologici del tempo, e riproponendo una messa in scena capace di veicolare in maniera simile quel senso di italianità espresso origina- riamente dall’opera citata.

Conclusioni

In conclusione, si è visto come i picchiaduro giapponesi presi in esame rivelino precise modalità di rappresentazione dell’Italia, ri- assunte nelle tre categorie di concentrazione, sovrapposizione e ci- tazione, le quali sono accompagnate da operazioni di ricostruzione mimetica in determinate circostanze, oppure sostituite da princìpi di mediterraneità e classicità della rappresentazione in altre. Sebbene la tassonomia qui proposta non miri a porsi come una sistematizza-

10 https://twitter.com/mitsumame1212/status/1042258265999007745 11 http://videogamesdensetsu.tumblr.com/post/180350176340/ from-air-duel-and-last-resort-to-the-king-of M. Castronuovo - Cartoline dall’Italia 183 zione onnicomprensiva e assoluta, essa risulta comunque applicabile anche a casi diversi da quelli delle due serie analizzate o da quelli che riproducono un’istantanea del Belpaese, pur rimanendo una catego- rizzazione strettamente legata al genere di riferimento e alle contin- genze tecnologiche in cui i picchiaduro nascono. L’analisi iconogra- fica degli esempi di stage italiani ha dimostrato come le strategie di essenzializzazione su cui si fonda la rappresentazione hanno come finalità la valorizzazione dei singoli elementi che veicolano il senso di italianità, i quali, decontestualizzati, ricollocati, interpretati o ide- alizzati, restituiscono l’immagine riconoscibile di un’Italia adattata alla cornice a due dimensioni dello stage videoludico.

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Filmografia

Akira (id. Katsuhiro Otomo 1988). L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente (The Way of the Dragon, Bruce Lee 1972). Porco Rosso (Kurenai no Buta, Hayao Miyazaki 1992) Marco Benoît Carbone IT’S-A ME, MARIO! Fenomenologia di un idraulico italico1

Introduzione

Per generazioni di giocatrici di tutto il mondo, Super Mario – il personaggio che ha prestato il nome e il volto a prodotti dal grande impatto storico e culturale, come Super Mario Bros. (Nintendo 1985) è un idraulico italiano. Se così fosse, Mario po- trebbe qualificarsi come uno degli italiani più noti al mondo, protagonista di un franchise videoludico che ha venduto centi- naia di milioni di copie2. Più precisamente, però, Super Mario è un italo-americano proveniente da Brooklyn, New York, come confermato a più riprese dall’azienda madre Nintendo, a parti- re da alcuni documenti ufficiali sul personaggio rilasciati negli anni Ottanta3. Inoltre, l’idraulico di Nintendo è un personaggio di finzione solo vagamente italico, caratterizzato da stereotipi talmente generici da essere a volta scambiato da pubblici di- versi come messicano o vagamente “latino”4. In questo senso, Mario è uno pseudo-italico, o persino un italoide, frutto di nar- razioni che hanno dato forma e voce al personaggio secondo un distillato generico di etnia arrivato a sedimentarsi attraver-

1 Questa ricerca è stata presentata alla conferenza internazionale DiGRA 2019, Kyoto, Giappone (6-10 agosto). L’autore desidera ringraziare Toshio Miyake, Marco Pellitteri e Federico Giordano per le fruttuose discussioni intorno alle bozze dell’articolo. 2 Le copie vendute del franchise supererebbero i 700 milioni. Cfr. https:// en.wikipedia.org/wiki/Mario_(franchise) 3 Cfr. Press The Buttons (2019). 4 Il termine indica generalmente una provenienza dalle Americhe cosiddet- te “Centrale” e “del Sud” secondo una prospettiva egemonica Euro-Ameri- cana, ed è distinto da marker storico-linguistici come “ispanico” o “italico”, anche se pubblici diversi possono tendere a con-fonderli: cfr. Quora (2019). 186 Il videogioco in Italia sando diversi filtri e contesti culturali, perlopiù attraverso un interscambio tra industrie culturali giapponesi e statunitensi5. Questa sintetica fenomenologia6 mariana si propone di tracciare una storia di Mario come personaggio e icona videoludica, concentrandosi su alcuni degli elementi attraverso i quali il personaggio è emerso come una narrazione ibrida e transnazionale di italicità. Il saggio si concentra su alcuni degli sguardi sulle culture italiane e italo-americane che hanno avuto luogo tra il Giappone e gli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni, esaminandone le rappresentazioni in giochi, film e prodotti d’animazione, oltre ad artwork, materiali promozionali e altri prodotti in cui il personaggio ha fatto la sua comparsa. Degli ulteriori elementi di ricerca consistono in analisi di storie orali sotto forma di interviste esistenti a designer e addetti ai lavori. Una analisi storica accompagna il lavoro, discutendo il modo i cui gli italiani siano stati rappresentati nelle industrie culturali giapponesi e statunitensi in fasi anteriori e concomitanti allo sviluppo del personaggio di Super Mario, iscrivendosi in mitologie e tradizioni iconografiche sulla “italianità” già diffuse in quei paesi. Lo studio esamina questi aspetti in relazione ad alcune scelte di design e di marketing dei prodotti del franchise e dei loro pubblici di destinazione nazionali e internazionali, limitandosi tuttavia a inquadrare solo alcune delle fasi essenziali della scrittura di un numero limitato di testi e privilegiando un aspetto storiografico7. Pur alla luce di alcune considerazioni sul design autoriale e industriale di Super Mario, lo studio si sofferma principalmente su alcune costanti e processi di accumulazione e mantenimento dei tratti rappresentazionali della “italianità” da una prospettiva critico-interpretativa rispetto ai luoghi comuni occidentalisti ad

5 Sono debitore a Marco Pellitteri per la discussione su Mario come italoide. L’italianità di Mario non è quella di un Alberto Sordi, né è riconducibile a quelle italo-americane di Frank Sinatra e James Gandolfini, e neppure a un personaggio immaginario come Rocky Balboa, collocandosi più ferma- mente a un grado zero della italicità. 6 Questo saggio è stato vagamente ispirato da Eco (2002). Cfr. anche Bon- giorno (2008). 7 Nel complesso, Mario è comparso in almeno 300 titoli ufficiali. Cfr. Super Mario Wiki, the Mario Encyclopedia, https://www.mariowiki.com/. M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 187 essa sottesi, seguendone lo sviluppo in senso diacronico8. Lo studio si concentra su tre fasi principali della scrittura del personaggio: la prima, che va da Donkey Kong (1981) a Super Ma- rio Bros. (1985), affronta la genesi della caratterizzazione italiana di Super Mario, in un contesto di dinamiche transnazionali aven- ti il fulcro tra Giappone e Stati Uniti. La seconda, che ha luogo tra la localizzazione statunitense di Super Mario Bros. (1983) e il gioco su licenza Mario Teaches Typing (1993), affronta il battesi- mo ufficiale di Super Mario come brooklinese, in concomitanza con la domesticazione culturale dei giochi Nintendo sul merca- to americano attraverso adattamenti e merchandising, e alla luce delle evoluzioni tecnologiche che hanno reso possibile dotare il personaggio di una voce italo-americana. La terza fase ha luogo tra Super Mario 64 (1996) e il recente Super Mario Odyssey (2018) e vede la definitiva consacrazione della italianità di Mario, avvenuta sulla scorta di una rinnovata popolarità del Made In Italy in Giap- pone negli anni Novanta e di una più recente canonizzazione del personaggio, attraverso il suo allineamento con una celebrazione nostalgica dell’America italo-americana degli anni Cinquanta e di possibili partnership industriali e di branding cross-media con aziende italiane come Piaggio.

‘Barbari pelosi’: Giappone e italianismi

Nel 1981 Shigeru Miyamoto – un promettente designer assunto di recente da Nintendo, una compagnia giapponese inizialmente dedita alla produzione di giocattoli, e che si stava affermando sul medium emergente dei giochi elettronici, sviluppa un nuovo pro- dotto. Nel 1981 viene pubblicato Donkey Kong, un videogioco in cui

8 Said (1979) ha utilizzato il termine orientalismo per definire le pratiche e discorsi che contribuiscono a forme di narrazione mitica ed essenzializzanti del cosiddetto “Oriente”, storicamente costruito dagli “occidentali” a partire dal presupposto che esista qualcosa come l’“Occidente”. Cfr. Miyake (2010; 2010b, pp. 1-2; 2014, pp. 35-36), su come storicamente l’occidentalismo non sia “un semplice Orientalismo rovesciato”, bensì “la condizione stessa della possibilità dell’Orientalismo”. L’autore è debitore con Toshio Miyake per le fruttuose discussioni sul tema. Cfr. Said (1979; 1993), Hall (1992, pp. 275-333), Young (2001), Sherry (2012, pp. 651-655), Coronil (1996). 188 Il videogioco in Italia

Jumpman, un falegname in salopette, tenta di salvare una donna presa ostaggio da un grosso scimmione. Il gioco premia Nintendo con un enorme successo commerciale, anche in America, paese in cui Nintendo punta a imporsi ed espandersi9. È in questo periodo che avviene, come riferisce Miyamoto, la genesi di Mario come per- sonaggio italico10. Il designer si trova negli Stati Uniti, in un gros- so deposito delle macchine a gettone di Donkey Kong – i cosiddetti coin-op delle sale giochi11 – quando assiste a una scena curiosa: nel mezzo di una riunione con il presidente di Nintendo dell’epoca, Mi- noru Arakawa, un uomo dall’accento italiano – il businessman ita- lo-americano Mario Segale (1934-2018)12 – irrompe nel magazzino per lamentarsi dell’affitto arretrato. Questo episodio determina la vulgata secondo cui l’italianità di Mario sarebbe riconducibile a una coincidenza: l’incontro fortuito con l’italo-americano avrebbe ispi- rato il designer e suggellato la sua fantasia vagamente psichedelica, trasformando Jumpman in Mario nel successivo Mario Bros. (1983). Notoriamente, tra le fonti iniziali di ispirazione di Donkey Kong13 si annoverano King Kong (RKO, USA 1933) e Popeye the Sailor14, men- tre le fattezze di Jumpman erano state determinate da limiti tecnolo- gici. Disegnare un volto era difficile a causa della limitata risoluzione grafica: i baffi e un cappello concorsero nel rendere il personaggio più riconoscibile ed espressivo15. La presenza di una ambientazione stilizzata – il cantiere di Donkey Kong – giustificò il ricorso a un fa- legname, dato che le bretelle sembravano una scelta efficace. Tanto il falegname Jumpman che gli idraulici Mario e Luigi rispondono dunque a ristrettezze tecniche trasformate in opportunità creative. Super Mario Bros. avrebbe poi reso Mario, un idraulico italiano in un mushroom kingdom pieno di tubi e fognature, popolato da funghi magici e tartarughe alate, more famous than Mickey Mouse16.

9 A seguito della pubblicazione del gioco, RKO cita Nintendo per un presun- to plagio di King Kong; la causa si conclude nel 1984 con la assoluzione di Nintendo. Cfr. Kent (2001). 10 Cfr. un’intervista a Miyamoto su Nintendo (2015). 11 Abbreviazione dell’inglese coin-operated, operato a moneta. 12 Cfr. D’Anastasio (2018). 13 Incluso il tropo narrativo patriarcale della damigella in pericolo, Shaw (2014). Cfr. anche il saggio di Dalila Forni contenuto in questo volume. 14 Popeye, creato da Elzie Crisler Segar, nasce nel 1929. 15 In Super Mario Bros., Mario ha una risoluzione di 16x12 pixel. 16 Cfr. un sondaggio cit. in Iwabuchi (2002, p. 30). M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 189

L’aspetto mediterraneista17 del personaggio, però – baffi, bretel- le, berretta – era già presente nel Jumpman a schermo e nell’art- work grafico che accompagnavano Donkey Kong [Fig. 25, 26]. Si rende necessario domandarsi se l’idea di un personaggio ita- liano possa essere stata predisposta culturalmente partendo da un’immagine dell’italianità già diffusa in Giappone. Il Jumpman di Donkey Kong, accostato ai volti degli Europei ritratti nell’arte giapponese moderna (di epoca moderna, dall’apertura agli scambi commerciali con l’Europa dal XIX secolo in avanti)18, rivela delle af- finità nell’esagerazione dei tratti dei personaggi, dalla esasperazio- ne della peluria facciale alla ipertrofia dei nasi [Fig. 27]. Jumpman, il prototipo di Mario, è coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin (“cinese peloso”), un epiteto offensivo rivolto agli abitanti della Cina maturato in epoca dell’imperialismo nipponico e riadattato in forma di stereotipo occidentalista (Miyake 2010b, p. 8). Immagi- ni degli italiani secondo la rappresentazione stereotipata dei baffi e del berretto a coppola erano moneta corrente anche in prodotti d’animazione dell’epoca (e, come vedremo, sono a loro volta im- portazione da un immaginario italico diffuso transnazionalmente dal cinema nazionale e italo-americano), dal Marco de Dagli Ap- pennini alle Ande di Isao Takahata (Nippon Animation 1977), la cui prima parte è ambientata a Genova e in cui i personaggi italiani hanno spesso barba e baffiFig. [ 28], al barbuto Padron Vitali di Remì, le sue avventure (Osamu Dezaki, TMS, Giappone, 1978). Il personaggio di Mario sembra corrispondere molto bene a una versione cartoonesca della narrazione della “occidentalità”, e più pre- cisamente della “mediterraneità”, vista come contraddittoriamente piacevole e spiacevole, ma sempre buffa e interessante. Come riferi- sce Toshio Miyake (2010b) a proposito della caratterizzazione degli italiani, questi ultimi erano intrappolati in una narrazione ambigua della differenza19. L’occidentalismo di matrice europea che intrappo-

17 Con il termine Mediterraneanism, Herzfeld (1987) si è riferito a una serie di costrutti storici formulati dal cosiddetto Occidente riguardanti i popoli mediterranei. I discorsi mediterraneisti possono rientrare in una assiolo- gia negativa o positiva, esterna o internalizzata, di primo o secondo grado (cfr. Tedesco 2017). 18 Dower (2010). 19 Miyake (2010b) stabilisce tre fasi storiche dei rapporti culturali tra le due nazioni e nota come le reciproche geografie immaginarie rivelino un’estra- 190 Il videogioco in Italia lava l’Italia in un discorso di arretratezza, e che la fissava in stereotipi tanto positivi quanto negativi (le origini nella Magna Grecia e nel Ri- nascimento, opposte ad una percepita arretratezza sociale, politica, tecnica in epoca moderna) aveva preso forma in Giappone in forme specifiche, mediate dagli stessi poteri euro-americani sin dai tempi dei Grand Tour20. Una percezione degli italiani rassicurante sul piano identitario giapponese, rappresentati come impulsivi e naïve, un trat- to che, come prosegue Miyake (2010b), li poneva al di fuori dal piano del confronto con la cultura e il potere autoctoni: gli italiani potevano essere pensati genericamente come zotici e provinciali, e la percepita inettitudine politica e sociale che discendeva da tali stereotipi impedi- va loro di apparire una forza antagonista come quella incarnata dagli americani. Gli italiani potevano riscuotere l’indulgenza o la simpatia dei giapponesi in ragione della nostalgia che il Giappone post-bellico nutriva per la propria cultura prima degli incontri e scontri con l’Oc- cidente e la modernità21. Mario si prefigura d’altronde come personaggio fiero e capace, con cui il giocatore avrebbe potuto immedesimarsi, seppure veden- dolo come diverso ed esotico, ma anche problematicamente dispet- toso e persino come antieroe. In Donkey Kong Jr. (1982), il giocatore impersona il figlio dello scimmione del gioco precedente, che Mario ha qui rapito per vendicarsi del torto subito, in un ruolo coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin e dello straniero mediterraneo. Una tale ricostruzione non intende, ovviamente, offrire una spiega- zione “autentica” del personaggio o rivendicarne le origini secondo un metodo storicamente deterministico. Tuttavia, lo sfondo socio- culturale in cui opera la scrittura del personaggio sembra illustrarne il carattere altrimenti gratuito dell’italianità, solitamente spiegato tramite il solo ricorso mitografico all’aneddoto di Segale22.

neità dell’Italia rispetto alla dialettica ideologica costruita in Giappone nei confronti della egemonia politica e percepita rivalità antropologica di pae- si come gli Stati Uniti e la Germania dopo il secondo conflitto. 20 Cfr. Agnew (1997), Chard (1999), Ceserani (2013), De Seta (2014), Carbo- ne (2017). 21 Cfr. Miyake (2010b) e Ching (1998). Un precipitato di bonari stereotipici storici sull’Italia è la serie Hetalia Axis Powers (gioco di parole con il ter- mine giapponese hetare, “inutile”) (Hidekaz Himaruya/Gentosha, Giap- pone, 2009-2010). Ringrazio Ivan Girina per la segnalazione. 22 Lo stesso aspetto iper-mediterraneo di Mario ricorda poi più le rappresen- tazioni working class statunitensi che il businessman Mario Segale Cfr. M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 191

Tu vuo’ fa’ l’italiano: Mario negli Stati Uniti

Il mercato videoludico più redditizio, quello degli Stati Uniti, aveva tenuto a battesimo la nascita dei videogiochi come fenome- no commerciale ed era importante per Nintendo almeno quanto quello domestico. Un personaggio ideale avrebbe dovuto evitare una caratterizzazione eccessivamente “orientale”, soddisfacendo un contesto internazionale. Super Mario Bros. coniuga così lo stile del fumetto e del cartoon occidentale con quello dei manga dome- stici, divenendone una sintesi. Come ha notato Consalvo (2006; 2016), l’estetica di molti prodotti videoludici giapponesi è il pro- dotto di una ibridazione tra modelli diversi, all’interno di un ri- sultante stile transnazionale. Questo processo, che si fonda sulla declinazione di una varietà di gradienti di de/nazionalizzazione dei contenuti e degli stili, è stato definito da Iwabuchi (2002) come parte integrante delle strategie di export delle industrie culturali giapponesi nel momento in cui si proiettavano sui mercati asiatici e euro-americani23. La ricezione di Mario in America sarebbe stata cruciale sia com- mercialmente che per la sua canonizzazione come italo-americano, attraverso fenomeni di popolarizzazione che trascendono il successo dei giochi. Negli anni successivi a Super Mario Bros. (1983), opera- zioni di sfruttamento commerciale del brand vedono Mario in spin- off di ogni tipo. Nel 1989 Nintendo licenzia Super Mario Bros. Super Show (DIC/Viacom 1989), una serie per adolescenti che combina e alterna la commedia televisiva allo show d’animazione. Lo show spie- ga come Mario e Luigi finiscano nel mondo fantastico del Mushro- om Kingdom attraverso un varco interdimensionale venutosi a creare nella loro vasca da bagno a Brooklyn, New York. Il Mario dello show è, insomma, brooklinese, un fiero e caciaresco italo-americano, dall’ac- cento prominente e ligio ai dettami dei luoghi comuni che lo vogliono ossessionato da pasta, pizza e dolci italiani [Fig. 29], secondo un im- maginario mediterraneista che è possibile rintracciare in documenta- ri pseudo-etnografici come Eating Macaroni in the Streets of Naples

la celebre foto Lunch atop a Skyscraper (1932), ritraente degli operai sulla vetta del Rockefeller Center, New York. 23 Cfr. Pellitteri (2008a; 2008b; 2011, pp. 61-65, 118-119); sulle sinergie, tramite character design, tra giochi e altri media cfr. Condry (2009). 192 Il videogioco in Italia

(1903) e divenuto iconografia filmica “italianista” col Totò Miseria e Nobiltà (M. Mattioli 1954) e il Sordi di Un americano a Roma (1954)24. La stessa caratterizzazione ricorre in parte nella serie animata The Ad- ventures of Super Mario Bros. 3 (DiC Animation/NBC, USA 1990), di poco successiva, e nel filmSuper Mario Bros. (Buena Vista, USA 1993). Il travagliato casting di quest’ultimo ruota intorno a attori associati o associabili a ruoli di italo-americani, come Dustin Hoffman, Dan- ny de Vito e James Belushi, fino alla scelta di Bob Hoskins. Questo processo di consacrazione di Mario nella cultura pop nazionale ave- va avuto avvio sin dalla localizzazione del manuale di gioco di Super Mario Bros. per il mercato americano, dove le tartarughe della versio- ne originaria venivano chiamate goombas, un termine associato allo slang italo-americano. Le influenze apocrife provenienti dalle industrie correlate ai gio- chi finiscono così per essere canonizzate nella ricezione di Mario: in un documento ufficiale di sviluppo del personaggio, distribuito in America, Mario viene definito come “brooklinese” di nascita e formazione25. Due titoli in particolare della serie Mario Teaches Typing26, che insegnano al giocatore abilità dattilografiche, svilup- pati fuori dal Giappone e pensati per piattaforme non esclusive di Nintendo, partecipano a questo processo. Tali spin-off di edu- tainment, che Nintendo licenzia alla americana Interplay, fungono da incubatori per lo sviluppo di un elemento importante: la voce parlante italo-americana di Mario. La caratterizzazione della voce di Mario in Mario Teaches Typing ricorda in parte quella del Super Mario Bros. Show. Tuttavia, essa è confinata ai titoli iniziali ed è solo ambiguamente italo-americana. Questa connotazione cambia con il seguito, Mario Teaches Typing 2 (1997), in cui la voce parlante viene affidata all’attore e doppia- tore Steve Martinet. Martinet interpreta Mario con un intercalare più acuto e fanciullesco, gioioso e ludico. È qui che lo storico vede forse per la prima volta il volto di Mario a pieno schermo, ricostru- ito come un cartoon di elementi poligonali, prorompere nell’ormai celebre cinguettio “it’s-a me, Mario!”.

24 Una disamina accurata della circolazione transnazionale di tali iconografie e dei loro possibili legami intertestuali e genealogici è da rimandare a futu- ri e più estesi studi. 25 Cfr. Harris (2015) e Press the Button (2014). 26 Adattamento della serie Mavis Beacon (1987-2019). M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 193

La storia di come Martinet sia diventato la voce di Mario è ben nota e, come quella di Mario Segale, viene spesso presentata in forma aneddotica e semi-mitica. Nel racconto di Martinet, l’atto- re si ritrova quasi per caso, su suggerimento di un conoscente, a una audizione di una grossa compagnia giapponese. Del tutto a digiuno di conoscenze di videogiochi, Martinet avrebbe realizza- to che un simile personaggio necessitava di una voce non adulta, improvvisandone così una in grado di suscitare gioia e spensiera- tezza nell’ascoltatrice. Dal punto di vista storico è però importan- te distinguere tra la narrazione mitica di Martinet e una analisi del suo contesto professionale e socioculturale. Seppure forse in- volontariamente convinto di improvvisare, Martinet attingeva in realtà al bagaglio culturale dei doppiatori e degli attori, tra i quali gli accenti italo-americani sono ben noti, dando seguito a modi bene attestati in cui i film (e i media in generale) perpetuavano le caratteristiche linguistiche degli inglesi italo-americani27. Come ricorda Lotardo (2010), i media hanno avuto un ruolo nell’orientare e perpetuare gli aspetti linguistici delle forme ora- li italo-americane attraverso le storie delle loro community negli States28. Un tipo di tali varietà linguistiche è il Wiseguy English, che riecheggia nella prima voce parlata di Mario. Questa è la voce di chi parla avendo vissuto prevalentemente o dalla nascita negli Stati Uniti, ed è quella di molti personaggi de Il Padrino (Coppola/ Ruddy per Paramount, USA 1972, dal romanzo di Mario Puzo del 1969). Tali accenti divennero un elemento di innumerevoli altri gangster movie. La seconda voce di Mario, quella di Martinet, ri- sponde a delle caratteristiche diverse, che la tesi di Bouchl sugli ac- centi italiani riconduce proprio a Super Mario; il cosiddetto Super Mario English (Bouchl 2015, p. 21) si rifà a una tradizione di italia- nismi diventati indicativi delle caratterizzazioni cartoonesche di personaggi “latini”; la variante suona come un insieme ipertrofico di diversi elementi: il ruolo della dentale vibrante r, la preponde-

27 Cfr. Machlin (1975); Herman e Herman (1997). Gli accenti stabiliscono una ri- conoscibilità immediata del personaggio, senza che essa debba essere asserita dal suo comportamento, ma possono implicare il rafforzamento di stereotipi linguistici (Tricarico 2014), culturali (Jackson 2014, p. 165) ed etnici che posso- no conformare i soggetti a narrazioni di cui internalizzano i valori; su cultura, linguaggio e potere cfr. Lippi-Green (1997) e Holliday (2010). 28 Cfr. Haller (1987) e Sindoni (2014). 194 Il videogioco in Italia ranza del rimo sillabato, l’intrusione sistematica della schwa (la vocale ‘a’ che si attacca nella locuzione it’s-a me, Mario!). Se Martinet finisce per optare per la seconda varietà, è probabil- mente perché percepisce che un personaggio nato per intrattenere e divertire avrebbe beneficiato di un simile costruzione di origine “tran- satlantica” della pronuncia mediterraneista/latineggiante29. Martinet opera per Mario quello che Brando fa per il Padrino attraverso l’uso del ritmo, ma con uno stile che ricorda più il Cage del Mandolino del Capitano Corelli (Studio Canal, Francia/UK/USA 2001). Il Mario gio- ioso e vagamente italico di Martinet è comprensibile da un pubblico globalizzato e di ogni età senza evocare immaginari problematici, dissociato come è dal rischio di caratterizzazioni indesiderabili come i gangster movie30. Mario, come recitava il suo design sheet america- no – “ha viaggiato troppo per essere intollerante”, men che meno un criminale31. Sia il volto che l’interpretazione di Martinet sono adottati ufficialmente anche in Super Mario 64, che vede la luce nello stesso anno di MTT2, sebbene si tratti di un prodotto di ben maggiore im- portanza storica, tecnologica, estetica e commerciale, e al quale si fa, di solito, risalire la genesi della voce parlante di Mario.

Tra Cool Japan e Made in Italy

La terza fase di questo studio sullo sviluppo di Mario corrisponde alla ulteriore canonizzazione degli elementi di italianità del perso- naggio. Questa fase origina a partire dagli anni Novanta, quando il triplicarsi del valore di scambio dello yen rispetto alla vecchia lira e il successo dei brand del made in Italy sul piano economico e simboli- co concorrono al cosiddetto “Italy boom” in Giappone del cibo, della moda e degli stili di vita del Belpaese (Miyake 2013, p. 100), proprio

29 Cfr. Blunt (1967) e Pagliai (1995; 2005). 30 La caricatura bambinesca della voce ben si abbina anche alle forme, ai colo- ri e alla silhouette di un personaggio composto da cerchi morbidi, con una forma neotenica del viso che ispira fiducia e serenità (cfr. Sloan, 2015). La generica italianità abbandona lo stereotipo crasso degli spin-offstatunitensi. Super Mario diventa un simulacro ideale che consente cose sovrannaturali in un mondo in cui ogni ostilità è superabile, non attraverso un corpo irrag- giungibile (né un sex symbol, né un atleta; né un supereroe né un semidio), ma attraverso un simulacro tanto irrealistico quanto rassicurante. 31 Cfr. Press the Buttons (2014). M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 195 mentre in Italia spopola la “J-culture” (animazione, fumetti, video- games) e il Giappone diviene il paese “orientale” più popolare32. Il fatto che l’Italia e l’italiano vengano progressivamente associati in Giappone alla coolness e al divertimento potrebbe avere lasciato un segno sulla progressiva italianizzazione di Mario nei giochi princi- pali prodotti da Nintendo a partire da quegli anni. Persino la pasta si fa strada in maniera sottile ma molto efficace nella caratterizzazione del personaggio: lasciato fermo per qualche secondo in Super Mario 64, Mario inizia a riposare. Dopo avere russato sonoramente per un paio di minuti, inizierà a parlare nel sonno, rivelando dolci sogni di un cibo italiano per antonomasia: “Ah, spaghetti. Ah, ravioli!”33. Il processo di italianizzazione dei Mario si accompagna in genera- le a una sua crescente “globalizzazione”, con un graduale abbandono dello stile giapponese di giochi come Super Mario Bros. 3 (1990) e Super Mario World (1991) e il graduale prevalere di ambientazioni e immaginari visivi urbani, inclusi aeroporti e destinazioni dall’im- maginario turistico, in franchise e titoli come Mario Kart 64 (1997), Mario Tennis (2000) e Mario Strikers (2005)34. La canonizzazione della sua italianità è, in parallelo, posta più in evidenza, soprattut- to nei recenti Super Mario Odyssey (2017) e Mario Kart 8 (2017). Il primo mette in scena un omaggio nostalgico alla cultura italo-ame- ricana attraverso la scena della celebrazione della città di New Donk City (calco di New York) [Fig. 31], che celebra Mario come brook- linese attraverso la performance del personaggio di Pauline (quasi emula di Nancy Sinatra) in una big band jazz in stile anni Cinquanta [Fig. 32]. Nel secondo, le giocatrici possono ottenere, tra i vari veico- li, uno scooter che ricorda a tutti gli effetti la Vespa della Piaggio (cfr. l’immagine di copertina di questo volume). Nel mentre, in Italia, una pubblicità della Piaggio presentava un personaggio travestito da Super Mario. Nel loro complesso, tali elementi sembrano suggerire possibili strategie di marketing e cross-branding in corso sulla scor- ta di icone e prodotti di richiamo internazionale del made in Italy35.

32 Cfr. Miyake (2014). Le immagini “da cartolina” dell’Italia si fanno strada in questo periodo nei videogiochi, da Roma in Mario is Missing (1993) alle immagini discusse da Castronuovo in questo volume. 33 Inizialmente solo nella versione americana, poi anche nella riedizione giapponese Shindou Super Mario 64 (1997). Cfr. Looygi (2019). 34 Cfr. Mario Kart 64 (1997) e Mario Kart Tour (2019) 35 Cfr. Molossi (1999). 196 Il videogioco in Italia

D’altro canto, Nintendo ha abbracciato l’italianità di Mario stan- do anche attenta a non sovraccaricarla o evocare argomenti contro- versi. Ogni riferimento alla mafia è sempre stato evitato con atten- zione, nonostante la genealogia di alcuni personaggi dell’universo del Mushroom Kingdom rechi ancora le vestigia di riferimenti po- tenzialmente problematici: è questo il caso dei goomba, i funghi malefici contrapposti a Mario, il cui nome è ricalcato su gumbà o cumpà, corruzione di compare o cumpari, che possono indicare, nella cultura italo-americana, l’amico di famiglia oppure lo sgherro mafioso o il malavitoso di quartiere36. Né Mario, anche se sogna la pasta, è davvero un appassionato di pizza (al contrario delle Tarta- rughe Ninja, anch’esse newyorkesi e, se non italiane, almeno battez- zate con i nomi delle icone del Rinascimento italiano). Nintendo si è assicurata che l’italianità di Mario contribuisse al design dei giochi senza diventare un impedimento per il design dei suoi prodotti. Il personaggio doveva restare versatile, riutilizzabile in situazioni dif- ferenti e sufficientemente neutrale37. Questa constatazione pragma- tica può fungere da antidoto a eventuali procedimenti culturalisti estremi, volti a spiegare dei testi in maniera deterministica, sulla base di più ampi e generici processi storici.

Conclusioni

Sebbene l’italianità di Mario non sia la ragione ultima di esisten- za del personaggio, questo resta forse un esempio di come degli sguardi globali sull’Italia e sull’italianità operino caratterizzando determinate marche linguistiche ed etniche in senso ipertrofico, all’interno di rappresentazioni e narrazioni occidentaliste e medi- terraneiste storicamente più ampie e bene attestate. Mario appare infatti, nel suo complesso, una costruzione culturale che rivela come interscambi stratificati di culture al livello transnazionale abbiano plasmato nel tempo un personaggio al contempo sufficientemente neutro e vagamente etnico, familiare ed esotico. Nel corso delle sue

36 Per approfondire si rimanda a De Carlo (2010), De Fina (2014), Lampos/ Pearson (2005). 37 Per esempio, in Paper Mario (2000-2017), Mario è muto e si esprime me- diante pantomima. M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 197 iterazioni, Mario continua gradualmente ad accumulare elementi e cliché vagamente mediterraneisti, restando una macchietta bonaria e, pur tuttavia, rivelando una certa implicazione in diffusi stereotipi e ventriloquizzazioni della “italianità” [Fig. 30]. La storia di Mario, anche solo quella della sua italianità e della sua ricezione in chiave rappresentativa e trans/nazionale, è troppo vasta per consentire a un breve articolo di occuparsene esaustiva- mente. Anche se questo studio ha tentato di suggerire una conte- stualizzazione storica di Mario attraverso diverse culture, esso si situa in parte nel territorio di ipotesi e corrispondenze ancora da verificare. Questo saggio ha comunque tentato di dimostrare come un campo di studi sui personaggi delle industrie culturali possa co- niugare considerazioni pragmatiche e di design con analisi di ma- trice storiografica e iconografica. La storia di Mario pare finora, nel suo complesso, quella di un peculiare ibrido italico che ha saputo diventare un colonizzatore, se non delle culture, degli schermi delle videogiocatrici di tutto il mondo. Tale è il suo successo che è persi- no concepibile che l’idraulico brooklinese di Nintendo rappresenti a tutti gli effetti un involontario promotore di una certa, vaga idea di italianità, o persino un potenziale ambasciatore dell’Italia nel mon- do, seppure del tutto sprovvisto (almeno finora) di passaporto.

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La serie di videogiochi The Sims (2000-) conta attualmente quat- tro titoli e decine di espansioni che, dal 2000 ad oggi, hanno regi- strato incassi record in Italia e nel mondo. The Sims è infatti un vi- deogioco popolare, che ha saputo appassionare anche giocatori non esperti o solitamente poco attratti dal mercato videoludico (Bittanti/ Flanagan 2003). Il gioco consiste nel simulare la vita di tutti i gior- ni in una casa, situata in un piccolo vicinato, in cui i videogiocatori possono costruire ed ammobiliare i propri ambienti, per poi portare avanti esperienze di vita basate sul raggiungimento del benessere del proprio o dei propri Sim (i personaggi), bilanciando bisogni fisici e sociali. La particolarità del gioco sta nel suo svolgersi nella dimen- sione dell’ordinario, del quotidiano: The Sims si basa sulla reitera- zione di atti banali, estremamente comuni (lavorare, preparare la cena, fare una doccia, stare al telefono con amici). Il “simulatore di abitudini” (Bittanti/Flanagan 2003) ha però il potere di stimolare chi gioca a una riflessione su temi quotidiani, quali le relazioni di coppia e l’identità sessuale e di genere. Questi temi possono essere infatti osservati da punti di vista nuovi e ancora avvertiti inusuali nel con- testo sociale contemporaneo. Sperimentare e decostruire il genere e l’orientamento a livello virtuale può portare a una presa di coscienza di sé tramite una simulazione in parte introspettiva e veicolata attra- verso il proprio alter- sim. In particolare, il successo del videogioco nel territorio italiano – e su un pubblico molto eterogeneo per genere ed età (Jansz/Avis/ Vosmeer 2010) – pone una questione rilevante: in un contesto po- litico, sociale e culturale che, dagli anni 2000 ad oggi, si è solo par- zialmente aperto alle differenze di genere ed LGBTQ, The Sims ha contribuito ad introdurre tali questioni ai giovani videogiocatori anni prima dell’effettiva discussione dei temi sopracitati a livello istituzionale e popolare. 204 Il videogioco in Italia

Il capitolo mira ad analizzare la serie di videogiochi The Sims in un’ottica queer1 e degli studi di genere, discutendola alla luce dello sviluppo dei diritti LGBTQ e della sensibilità di genere nel contesto italiano che va dai primi anni 2000 alla contemporaneità. Per esaminare The Sims in un’ottica diacronica, sono stati presi in considerazione i quattro capitoli principali del gioco, The Sims (2000), The Sims 2 (2004), The Sims 3 (2009) e The Sims 4 (2014). Sono stati quindi creati svariati personaggi all’interno dei quattro capitoli al fine di registrarne le caratteristiche e comprendere qua- li possibilità e limiti sono riservati dal punto di vista del genere e dell’orientamento sessuale. Le possibilità offerte dal gioco sono state quindi paragonate alle “reali” possibilità offerte nel contesto italiano, così da comprendere il divario tra realtà e simulazione.

Introduzione teorica

Il capitolo si basa sul presupposto che il genere sia “l’insieme dei processi, adattamenti, modalità di comportamento e di rapporti, con i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in pro- dotti dell’attività umana e organizza la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne, differenziandoli l’uno dall’altro” (Piccone Stella/Saraceno 1996, p. 7). Da un lato quindi il sesso come dato biologico, fisiologico, genetico; dall’altro il genere, ovvero l’inter- pretazione che una data cultura in un determinato tempo attribu- isce al maschile e al femminile, prediligendo solitamente un’ottica binaria che ad ogni identità conferisce ruoli sociali e familiari di- versi ed opposti. Lo studio partirà quindi dall’assunto della Gender Role Theory secondo cui la cultura di riferimento definisce le caratteristiche le- gate a femminilità e mascolinità, promuovendo delle norme e dei ruoli di genere socialmente accettati e condivisi (Shimanoff 2009, pp. 434-437). Il capitolo si rifarà di conseguenza al concetto di so- cializzazione di genere, ovvero l’apprendimento di specifici ruo- li e comportamenti considerati consoni al proprio sesso secondo

1 Con queer si intende un termine dal significato fluttuante, inteso general- mente come opposto a straight per indicare un’identità non conforme alle norme di genere e sessuali (cfr. Bernini 2017) D. Forni - Sulla queerness di The Sims 205 precisi standard culturali e sociali (Crespi 2008). L’apprendimento del genere è infatti influenzato da diversi fattori e contesti, tra cui la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, oltre alle rappresentazioni mediatiche, dal cinema alla letteratura, dalla televisione ai vide- ogiochi. I media in particolare agiscono in modo sotterraneo per costruire, insieme agli elementi sopraelencati, la concezione di cosa sia socialmente adeguato per un uomo o una donna (Grossi/ Ruspini 2007). Si rimanderà inoltre alle teorie queer, così da su- perare la dicotomia uomo-donna ed eterosessuale-omosessuale e considerare le molteplici identità possibili. Le teorie queer ri- fiutano infatti quelle classificazioni atte a incasellare l’identità in poli opposti e inconciliabili: le identità sono considerate fluide, mutevoli e sfuggenti alle etichette, destabilizzando così il binari- smo degli studi femministi e di genere precedenti (Bernini 2017; Diamond/Butterworth 2008, pp. 365–376). Per capire l’influenza dei media sulla percezione del genere, sono d’aiuto la Cultivation Theory di George Gerbner (1998, pp. 175–194) e la Cognitive Theory of Mass Communication di Albert Bandura (2001, pp. 265–299): entrambe ipotizzano che l’esposizione ai media sia in grado di di- storcere la percezione del mondo reale, influenzando, tra le altre, la concezione del genere e, dunque, i comportamenti di vita legati a femminilità e mascolinità, senza proporre sfumature intermedie tra i due poli. Si considereranno quindi i limiti e le potenzialità del video- gioco e la sua possibile influenza sui giocatori, con particolare attenzione alla dimensione culturale italiana, generalmente più arretrata rispetto alle dinamiche proposte dal gioco. The Sims in- fatti si è rivelato e continua a rivelarsi uno strumento utile nel sovvertire l’eteronormatività, ovvero la convinzione che l’etero- sessualità e le norme di genere maschili e femminili standard si- ano le uniche possibili, tanto da essere percepite come “naturali”. Inoltre, il gioco può rivalutare gli standard di femminilità e ma- scolinità, proponendo modelli variegati e più moderni rispetto al contesto sociale italiano, in cui è ancora necessario lavorare a po- litiche di sensibilizzazione riguardanti temi quali le pari oppor- tunità e i diritti LGBTQ. Il capitolo parte quindi dal presupposto che i videogiochi possano essere studiati come prodotti culturali in grado di sovvertire alcune ideologie per presentarne di nuove, proponendosi come strumenti educativi. The Sims può infatti 206 Il videogioco in Italia essere utilizzato dai videogiocatori come uno strumento di sov- versione: oltre a una lettura normativa, il gioco invita anche ad una rilettura queer che riconsideri genere e sessualità (Nardone 2007; 2015, pp. 215-230).

Oltre i confini di genere: l’avatar Queer

La serie di The Sims è caratterizzata da un grande potenziale di personalizzazione che permette al giocatore di creare un mondo a suo piacimento, non soltanto dal punto di vista estetico, ma anche per quanto riguarda i risvolti sociali, culturali ed etici (Sihvonen 2010, p. 171). La sezione Crea un Sim, prima “missione” del gioco, è una “cassetta degli attrezzi” che consente di personalizzare ogni dettaglio del proprio o dei propri personaggi. Nel primo episodio di The Sims (2000), la sezione permette di scegliere tra opzioni abbastanza limitate: il giocatore decide il nome e cognome del personaggio, l’età, il colore della pelle, il genere, alcuni tratti del- la personalità e alcuni elementi legati all’aspetto fisico. Ad ogni nuova uscita, la sezione Crea un Sim si raffina, offrendo sempre maggiori possibilità di personalizzazione visive e caratteriali. The Sims 4 (2014), l’ultimo capitolo, da questo punto di vista offriva inizialmente possibilità molto simili al precedente, ma nel 2016 sono stati introdotti cambiamenti significativi. Per prima cosa, è stato creato un menù “di genere” dove, oltre a scegliere il sesso bio- logico del Sim, il giocatore può sceglierne la corporatura (maschile o femminile). Inoltre, è possibile selezionare una preferenza nel vestiario al di là del genere/sesso biologico del Sim: ogni Sim può vestire abiti da uomo o da donna senza distinzioni, una possibilità che non era mai stata presentata in nessun capitolo del gioco [Fig. 33]. In aggiunta, il giocatore può scegliere se il personaggio potrà restare incinta/o oppure mettere incinta/o un altro Sim e decide- re come il Sim andrà in bagno, mescolando quindi caratteristiche appartenenti a generi diversi. Le opzioni qui elencate non sono permanenti, ma possono essere modificate in qualsiasi momento del gioco cliccando su un armadio: anche il sesso biologico di un Sim può essere facilmente cambiato, mettendo quindi in discus- sione non solo la fissità del genere, ma anche del sesso (Fung 2017, pp. 222- 237). D. Forni - Sulla queerness di The Sims 207

Nonostante molti fattori siano ancora strettamente legati al genere in un’ottica binaria – i vestiti e le corporature sono eti- chettate come da uomo o da donna, tanto in un’ottica cultura- le quanto biologica – il gioco riconsidera le norme di genere e mescola maschile e femminile lasciando aperte nuove opzioni di personalizzazione dell’avatar che decostruiscono l’identità ci- sgender, ovvero dell’individuo la cui identità di genere coincide con il sesso biologico. Si viene quindi a creare un’identità queer, difficile da incasellare, che sfugge alle etichette, in forte contra- sto con la fissità eteronormativa, dove maschile e femminile si configurano come due poli inconciliabili e nettamente differenti. Secondo Calvin Fung, il fatto che l’avatar abbia caratteristiche umane permette ai giocatori di creare un proprio simile o speri- mentare nuove vesti sempre rimanendo nella sfera del possibile, del reale. Le esperienze vissute nel gioco possono essere interio- rizzate in quanto verosimili e per la maggior parte aderenti alla vita quotidiana occidentale. Le opzioni queer, tuttavia, spalan- cano nuovi orizzonti per i giocatori italiani. In un paese in cui l’“allarme gender” suscita una sorta di “panico morale” (Marini- Maio 2015, p. ix-xii) nella sfera pubblica, negando ogni possibilità di ridiscussione dei canoni di genere al fine di conservare valori estremamente tradizionali, The Sims ha offerto negli anni alter- native aperte alle questioni di genere ed LGBTQ, offrendo nuove prospettive da sperimentare e simulare in prima persona.

Simulazione e performatività degli orientamenti sessuali

L’orientamento sessuale è uno dei pochi elementi che sfugge completamente alle opzioni proposte nella schermata Crea un Sim. L’orientamento sessuale non viene infatti classificato e di- venta quindi estremamente fluido e performabile: uno stesso Sim può avere relazioni ed esperienze con Sim di genere diverso (De Santis 2013, p. 121). Ogni Sim è quindi (potenzialmente) bi- sessuale: per “natura” i personaggi sono attratti in modo indif- ferenziato da uomini e donne, senza preferenze. Sarà quindi il giocatore a performare uno specifico orientamento, che resterà però estremamente mutevole durante l’intero corso del gioco (Sihvonen 2010, p. 180). 208 Il videogioco in Italia

Che un prodotto destinato al grande pubblico presenti la pos- sibilità di performare orientamenti non standard, e tra tutti un potenziale orientamento pan/bisessuale, è piuttosto innovativo: le rappresentazioni culturali e mediatiche solitamente incasel- lano i personaggi in orientamenti ben definiti, comuni e oppo- sti (etero – omo), spesso proponendo stereotipi e caricature (De Santis 2013). Nel gioco, i personaggi non eteronormativi non sono resi come macchiette (a meno che non sia il giocatore a vo- lerlo), ma svolgono le stesse attività degli altri Sim, senza alcuna differenza. In aggiunta, The Sims lascia alla giocatrice la libertà di performare anche stili di vita aromantici o asessuali: mentre l’amicizia è necessaria al benessere di un Sim e al suo bisogno di relazioni sociali, le relazioni fisiche e/o romantiche non risul- tano necessarie e possono essere evitate senza che la felicità del Sim ne sia influenzata. Per Consalvo è fondamentale che la scelta dell’orientamento ses- suale sia lasciata libera da vincoli. Così facendo, The Sims supera l’opposizione eterosessualità-omosessualità per proporre orienta- menti più ampi e identità queer o bi/pansessuali: la sessualità non è quindi innata e indiscutibile, ma fluida, in continua ridiscussio- ne (Consalvo 2003, p. 19). Come puntualizza Consalvo, le opzioni queer appaiono anche a giocatori non interessati alle tematiche LGBTQ: per esempio, facendo interagire due Sim uomini potrebbe apparire l’opzione Flirta o Abbraccio romantico. Allo stesso modo, generando casualmente un Sim potremmo avere personaggi che non rispettano gli standard di genere, come uomini che vestono abiti femminili. Dunque, pur portando avanti situazioni general- mente standardizzate, il gioco potrebbe in alcuni casi “ammiccare” ad una strada queer che reinterpreti l’eteronormatività proponen- do orientamenti sessuali o identità diverse. Queste opzioni impre- viste potrebbero portare a reazioni diverse: un giocatore omofobo potrebbe non gradire interazioni non canoniche tra i personaggi, ma le opzioni proposte dal gioco ricorderanno costantemente a chi gioca che l’eteronormatività non è la sola via possibile. Il gioco offre opzioni diversificate e “punzecchia” diversi tipi di videogiocatore: anche chi volesse totalmente giocare in un’ottica queer, si troverà a confrontarsi opzioni di stampo eterosessuale, a dimostrazione che le realtà possibili sono estremamente diversificate e nessuna deve essere lasciata da parte (Consalvo 2003, pp. 31 – 32). D. Forni - Sulla queerness di The Sims 209

Oltre la famiglia italiana: le famiglie sim

Una volta creati i personaggi, il nucleo familiare ideato dal giocatore deve essere trasferito in una casa per cominciare l’e- sperienza di gioco. Le famiglie possibili in The Sims 4 sono estremamente sfaccettate e offrono la possibilità a chi gioca di riconsiderare le strutture familiari tradizionali. La famiglia Sim è semplicemente composta da persone che vivono nella stessa uni- tà familiare, al di là di genere, etnia, età e legami relazionali. Il giocatore può quindi scegliere che tipo di nucleo creare, dal più tradizionale al più non convenzionale, senza che la struttura del gioco imponga delle regole. Per quanto riguarda i ruoli, il gioco non propone attività stan- dardizzate da un punto di vista di genere: le stesse attività possono essere sperimentate da uomini e donne nello stesso modo, dalla cucina al corteggiamento, dal lavoro al tempo libero (Consalvo 2003, p. 17). È il giocatore a prediligere una specifica cultura e del- le specifiche norme sociali di riferimento, ma di base i Sim non seguono ruoli di genere definiti. In un contesto, quello italiano, in cui i ruoli di genere si rivelano ancora tradizionali seppur in via di cambiamento, un gioco che propone dinamiche, interessi e possibilità di carriera indifferenziati offre sottili ma innovativi punti di vista a chi ne fa uso. Per esempio, nonostante nel contesto italiano la segregazione formativa e lavorativa suddivida ancora uomini e donne in percorsi di formazione e lavorativi ben diffe- renziati – solitamente carriere scientifiche per il maschile, uma- nistiche e legate alla cura o all’insegnamento per il femminile –, in The Sims non esiste segregazione formativa o lavorativa (Biemmi 2012; Ulivieri 2007). Allo stesso modo, se in Italia il “soffitto di cri- stallo” è ancora un ostacolo che impedisce alle donne di arrivare ai vertici della carriera, nel videogioco le promozioni lavorative non sono influenzate dal genere, ma dall’impegno del singolo Sim nel- la propria attività (Ulivieri 1995). Il videogioco non propone quin- di stereotipi e pregiudizi, a meno che non sia il videogiocatore o la videogiocatrice e simularli volontariamente. Considerando il matrimonio nel mondo Sim, va sottolineato che esso non ha alcun valore, se non come evento a cui parteci- pare e dove dare sfoggio dei propri abiti, delle proprie ricchezze e, ovviamente, della propria conquista amorosa. La convivenza com- 210 Il videogioco in Italia porta infatti gli stessi “diritti e doveri” del matrimonio. Per esem- pio, i conviventi possono adottare figli e condividono il capitale economico con il/la partner, a cui lasceranno i propri averi in caso di morte. I personaggi in ogni caso non necessitano di relazioni romantiche e, quando le hanno, non sembrano obbligatoriamente privilegiare relazioni a lungo termine o che portino al matrimonio. Inoltre, i Sim possono avere relazioni con più Sim e innamorarsi di più personaggi simultaneamente. Il gioco offre quindi un piccolo spaccato sulle relazioni poliamorose che coinvolgono più di due persone. Per esempio, i Sim possono innamorarsi di un numero di personaggi illimitato (Consalvo 2003, p. 18). In aggiunta, i Sim possono sposarsi quante volte desiderano e il divorzio non esiste: il matrimonio viene semplicemente annullato quando si decide di sposare un nuovo Sim. Consalvo afferma infatti che nel gioco il matrimonio e la convivenza hanno a che fare con la felicità, ma non implicano nulla di permanente (Consalvo 2003, p. 18). I primi episodi del gioco ponevano dei limiti di genere per quan- to riguardava il matrimonio: nel primo The Sims soltanto persone di sesso opposto possono sposarsi, pur essendo possibili relazioni d’amore tra persone dello stesso sesso. Siamo nel 2000 e diverse nazioni europee si stanno muovendo verso una maggiore libertà per le realtà LGBTQ: il Belgio legalizza la convivenza tra perso- ne dello stesso sesso (tutelata già dal 1989 in Danimarca, primo paese europeo), mentre da lì a poco i Paesi Bassi sarebbero stati i primi a legalizzare il matrimonio omosessuale (2001). In Italia, nonostante siano presentate alcune proposte di legge sulle unioni civili, queste sono ancora lontane: si sta infatti lavorando ad una legislazione che tuteli le persone LGBTQ discriminate sul posto di lavoro, ma il tema del matrimonio egualitario è ancora acerbo in una cultura non del tutto pronta all’integrazione e all’accettazione delle differenze. Rispetto al primo capitolo, in The Sims 2 (2004) per le coppie sa- me-sex appare l’opzione unione civile, ma la possibilità di sposarsi rimane limitata alle coppie composte da un uomo e una donna. La questione rimane tuttavia puramente formale: le modalità del flirt e di innamoramento sono le stesse, la proposta di matrimonio/ unione ha le stesse caratteristiche, e infine la festa nunziale risulta identica. Oltre alla differenza nominale, coppie di orientamenti e generi differenti sono considerate e rappresentate nello stesso D. Forni - Sulla queerness di The Sims 211 modo. Nel frattempo, in Europa, diversi paesi si sono aperti alle unioni civili, anche se soltanto Paesi Bassi e Belgio sono già pas- sati al matrimonio egualitario. Negli Stati Uniti, soltanto nel 2003 tutti gli stati considerano legale l’attività sessuale tra adulti con- senzienti al di là del sesso di appartenenza: fino al 2003, 13 stati americani consideravano la sodomia un reato punibile con il car- cere. In Italia, nonostante le proposte di legge presentate sul tema delle unioni same-sex siano sempre maggiori, di fatto nulla viene concretizzato: le relazioni bi/omosessuali sono ancora legalmente inesistenti e culturalmente percepite come controverse. La differenza nominale che aveva caratterizzatoThe Sims 2 si perde nel terzo capitolo (2009) e nel quarto (2014): qualsiasi coppia di due persone può sposarsi al di là del sesso/genere di appartenenza [Fig. 34 e Fig. 35]. L’amicizia, l’innamoramento, il fidanzamento e il matrimo- nio sono identici per coppie di qualsiasi genere e orientamento ses- suale. Il matrimonio egualitario arriva quindi formalmente nel mon- do sim nel 2009, quando in Europa cinque paesi hanno attuato una legislazione in merito: Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia e Svezia, mentre sempre più nazioni attuano leggi per tutelare le unioni civili. In Italia si ha un ulteriore timido tentativo di avvicinarsi all’argomen- to con la proposta di legge riguardante i DICO (Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi), causando un acceso dibattito tra i partiti politici, gli esponenti cattolici, le associazioni LGBTQ e l’opi- nione pubblica su una nuova forma di matrimonio. Di conseguenza, in un contesto non ancora aperto – sia dal punto di vista legislativo che culturale – a relazioni d’amore ufficializzate tra persone dello stesso sesso, chi gioca a The Sims ha la possibilità di venire a contatto con realtà inesplorate in modo naturale e in un contesto quotidiano che assimila realtà etero e omosessuali fondendole armonicamente. Quel che non viene accettato dalla società italiana, è già normalità, quotidianità, nel videogioco. I giocatori dovranno aspettare altri sette anni per veder realizzare il ddl Cirinnà e, dunque, la legalizzazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (Winkler/Strazio 2015; D’amico/Nardocci/Winkler 2014). Come nella vita reale, la storia d’amore tra due Sim può essere co- ronata dalla nascita o dall’adozione di un bambino, anche se questo passo non è necessario per portare avanti il gioco, così come non lo sono la convivenza e il matrimonio. Nel primo episodio, i Sim posso- no adottare un bambino ricevendo una telefonata che offre loro que- 212 Il videogioco in Italia sta possibilità. L’adozione diventa una scelta consapevole e ponderata dal secondo gioco, quando qualsiasi coppia, al di là dell’orientamento, può decidere di adottare un bambino [Fig. 36]. Le adozioni, un altro tema dibattuto in Italia, sono così percepite come ancora più naturali del matrimonio: una coppia di qualsiasi tipo può adottare dei bam- bini senza pregiudizi legati al genere o all’orientamento. Se molte na- zioni europee si sono adoperate a tutelare le adozioni al di là del sesso dei genitori, l’Italia anche in questo caso mostra tutt’oggi uno scenario arretrato: la stepchild adoption – l’adozione del figlio del/la partner – è stata eliminata dal ddl Cirinnà del 2016 e soltanto casi specifici di tribunali che hanno deciso di applicarla, pur restando ben lonta- ni dall’adozione in senso più ampio per le coppie dello stesso sesso (Marzano 2016). Anche in questo caso, i giocatori di The Sims, speri- mentando le possibilità offerte dal gioco, vengono a contatto con real- tà ben più avanzate rispetto al contesto italiano: non solo matrimoni e storie d’amore, ma anche famiglie arcobaleno simulate nella realtà più quotidiana possibile, quella della casa. Con le opzioni di genere nel menù Crea un Sim, l’ultimo episodio offre anche la possibilità di far nascere un bambino da coppie dello stesso sesso, andando oltre la questione delle adozioni. Risulta calzante la riflessione proposta da De Santis al riguardo:

Potremmo affermare che nel XXI secolo il panorama videoludico ri- specchia la legislazione di quei paesi che rappresentano un modello per la cultura lgbt, diventando altresì esempio di una società inte- grata, multiculturale e progredita. [..] The Sims incornicia dunque l’evoluzione, la forza e la tenacia della cultura lgbt che in questi anni ha progressivamente conquistato la propria libertà. (2013, p. 123)

Conclusioni: (ri)educare oltre il genere

The Sims è un gioco innovativo in quanto separa ed esplora i con- cetti di sesso, genere e sessualità, una conquista particolarmente moderna ed influente che potrebbe aprire gli occhi ai videogioca- tori su queste tematiche. Il gioco dà spazio a possibilità alternative ma realistiche; come evidenzia De Santis, “The Sims è uno specchio riflettente e insieme deformante della società del nuovo millennio” (De Santis, 2013, p. 122), una deformazione, un mutamento, per certi D. Forni - Sulla queerness di The Sims 213 versi positivo con lo sguardo verso il futuro, oltre le etichette e gli standard di genere attuali. Il gioco lascia infatti spazio alla perfor- matività e alla libera scelta per quanto riguarda la costruzione del genere e dell’orientamento sessuale, esplorando non soltanto le tradizionali dicotomie maschio-femmina ed eterosessuale-omoses- suale, ma anche quelle identità dalle sfumature più complesse. Chi gioca ha quindi da un lato la possibilità di creare qualcuno a lui o lei somigliante, dall’altro di tastare terreni solitamente percepiti come fuori dal comune, soprattutto nello scenario italiano, “trasgreden- do” le regole di genere socialmente accettate (Sihvonen 2010, p. 180). L’identità virtuale può essere dunque uno strumento indiretto per riflettere su se stessi e sull’altro senza pregiudizi e in un ambiente sicuro ed intimo quale la casa virtuale creata da chi gioca (Nardone 2015, p. 225). Citando nuovamente Consalvo:

Queste situazioni sollevano quesiti sulla fissità del sesso e dell’identità e su quanto le diverse sessualità possano essere costruite socialmente. La sessualità “tipicamente” occidentale viene svincolata da quasi tutte le convenzioni: il matrimonio non è per sempre, né monogamo; l’ete- rosessualità non è “innata” o “naturale”; i Sim possono essere asessuali o promiscui senza pregiudizi; e né l’omosessualità né la bisessualità sono mostrati come “devianti”. (Consalvo 2003, p. 29)2

Uno dei possibili limiti di The Sims risiede nel fatto che chi gioca deve consapevolmente sperimentare una realtà alternativa, mentre le opzioni inesplorate saranno solo parzialmente visibili. Un gio- catore che deciderà di mettere in scena un nucleo familiare tradi- zionale con ruoli di genere standard non potrà quindi scoprire le dinamiche alternative possibili nel gioco. Tuttavia, se il giocatore o la giocatrice lascerà “decidere” il gioco anche solo per pochi istanti, restando a guardare i propri Sim muoversi autonomamente, assiste- rà con tutta probabilità a pratiche non necessariamente tradizionali sia nella divisione del lavoro, sia per quanto riguarda le relazioni tra i personaggi. Una semplice opzione “abbraccio romantico” o un Sim che autonomamente flirta con un altro del proprio sesso porteranno chi gioca a sondare, almeno in parte, territori non canonici, andan- do a interpellare i concetti di identità e orientamento. Dunque, The

2 La traduzione è dell’autrice. 214 Il videogioco in Italia

Sims offre la possibilità di sperimentare senza forzare dei percorsi prestabiliti, andando incontro così a sensibilità diverse: il giocato- re può scegliere autonomamente come e quando intraprendere un percorso diversificato e sollecitare i concetti di genere e identità e abbracciando nuovi punti di vista. The Sims offre quindi modelli diversificati, egualitari e aperti che possono influenzare la socializzazione di genere. I videogame si of- frono infatti come un potente mezzo di educazione indiretta: grazie alla dimensione interattiva, il giocatore può simulare – e non solo ve- dere rappresentata – una realtà che disturba i canoni sociali della con- temporaneità italiana (Nardone 1996; 2015). Secondo Sihvonen infatti la simulazione non è mai “innocente”, ma propone sempre de modelli che in qualche modo si rifanno alla vita reale, deformando o sottoli- neando alcuni particolari aspetti. Una simulazione, pur collocando- si nell’immaginario, deve ancorarsi in qualche modo alla realtà e per questo può rivelarsi un metodo efficace per rivalutare la propria espe- rienza “vera” (Sihvonen 2010, pp. 158-159). Il videogioco si pone quin- di come uno spazio di libertà, sperimentazione e presa di coscienza immaginario ma verosimile al tempo stesso; un ambiente dove racco- gliere stimoli che incrinino quei costrutti culturali indiscussi e diano voce al caleidoscopio di identità che sono parte del reale.

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Gianluca Balla PRODUZIONE, FINANZIAMENTO E DISTRIBUZIONE DEL VIDEOGIOCO IN ITALIA: LO STATO DELL’INDUSTRIA NEL QUINQUENNIO 2015-2019

Contesto industriale e scopo della ricerca

Una percezione del panorama videoludico italiano di recente formulazione (Gandolfi 2015) è quella di un’industria caratteriz- zata da una marginalizzazione del prodotto e degli sviluppatori italiani rispetto allo scenario internazionale – nel contesto di un confronto con una visione di sviluppo economico equiparabile ai mercati dominanti – dovuta principalmente a fattori sociali ed economici (Wolf 2015, p. 305); una visione non dissimile da quanto descritto da Barca e Salvador (2012). Questi identificano un’industria composta da “una miriade di attori dalle dimensioni limitate’ costretti a “differenziare le proprie competenze fornendo servizi paralleli” (web developing, gamification, produzione di se- rious game, sviluppo di porzioni di software, animazioni 3D e CGI o advergame – la cosiddetta tipologia produttiva ibrida da service provider)1 al fine di sopravvivere (Barca e Salvador 2012, p. 188- 190). Alla luce di tali considerazioni e prendendo atto della caren- za di studi recenti che analizzino l’industria videoludica italiana2 da una prospettiva prettamente produttiva, lo scopo che assume questo contributo è quello di investigare i processi di sviluppo del videogioco in Italia nell’arco temporale dell’ultimo quinquennio (2015-2019), per delineare le specificità economiche, professio- nali, istituzionali del settore produttivo rispetto al panorama più ampio della produzione internazionale. Lo studio si focalizza in particolare sui workflow di produzione3 (i processi strutturali che

1 Cfr. anche Gandolfi (2015, p. 308). 2 Qui intesa come insieme di attività produttive nazionali di settore. 3 Per una definizione di workflow, si consiglia la lettura di da Silva et al. (2012). 220 Il videogioco in Italia vanno dal concept al post-release)4, le strategie di finanziamento adottate e il rapporto con i diversi distributori, nella logica della produzione di esperienze videoludiche in Italia. L’originalità dello studio risiede nell’identificare workflow e strategie di produzione e finanziamento di videogame italiani alla luce dei dibattiti attua- li sulle industrie internazionali e nazionali del videogioco e delle dicotomie tra grosse produzioni e case indipendenti, evidenzian- do, se possibile, tendenze in comune e specificità del fare produt- tivo in Italia. Di significativa importanza è anche la comprensione dei fenomeni che definiscono una produzione come “italiana” e se esistano elementi tematici, rappresentativi, gestionali e culturali che ne influenzino i processi di produzione. La ricerca prende in esame produzioni coeve per porre sullo stesso piano aziende che hanno storie e metodi produttivi diversi ma che si relazionano con le dinamiche contemporanee di finanziamento e distribu- zione caratterizzanti l’accesso ai mercati nazionali ed esteri. Il contributo si avvale di una analisi di alcuni prodotti dell’industria italiana (in particolare Mario + Rabbids Kingdom Battle, Ubisoft Milan e Ubisoft Paris 2017 [Fig. 3 e Fig. 37]; Gravel, Milestone 2018; Blind, Tiny Bull Studios 2018; Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans, Trinity Team 2017 [Fig. 2 e Fig. 38]), per investigarne la struttura produttiva, grazie anche a interviste agli sviluppatori – l’autore ha realizzato interviste originali come fonte di eviden- za primaria. La ricerca si conclude con una comparazione che ha lo scopo di delineare alcuni aspetti dello scenario di produzione contemporaneo in Italia e di identificare eventuali aspetti ricor- renti dal punto di vista economico, professionale, istituzionale e tematico. Nel confronto finale, viene inserito il caso di sussidiarie internazionali operanti in Italia, come Ubisoft Milan, per avere una panoramica più ampia dei processi industriali nazionali e sovranazionali5. Questa è da considerarsi come una ricerca par- ziale e in via di sviluppo che necessita di ulteriori investigazioni;

4 Kramarzewski e De Nucci (2018, p. 16-18) descrivono un ipotetico workflow di sviluppo per videogiochi, individuando una serie di fasi consequenziali quali il concept, la pre-produzione, la produzione, la post-produzione, il release e il post-release (per maggiori dettagli, si rimanda alla sezione Tra- ditional milestone structure). 5 Si veda Wolf (2015, p. 7) sull’influenza di succursali internazionali sull’in- dustria videoludica nazionale. G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 221 nello specifico, risulta necessario il contributo di aziende-medio- grandi, notoriamente restie a rilasciare informazioni sul proprio modello industriale. Per comprendere meglio quale sia lo spettro di aziende svilup- patrici operanti in Italia nel quinquennio 2015-2019, vengono di seguito presentati quattro studi attivi, presi a campione come rap- presentativi delle specifiche tipologie di impresa presenti sul ter- ritorio nazionale: l’azienda mainstream, l’indipendente che si so- stenta con commissioni business-to-business (B2B), il progetto di sviluppo accademico e il gruppo indipendente di sviluppo – rispet- tivamente Milestone, Tiny Bull Studios, LKA e Trinity Team. Que- ste sono quattro aziende che si distinguono significativamente per il prodotto videoludico da essi sviluppato, pur essendo tutte basate in Italia. Infatti, mentre Milestone si afferma come realtà impor- tante nel settore racing6, Tiny Bull Studios esplora l’esperienza VR con Blind (2018), LKA realizza walking simulator7 in prima perso- na e Trinity Team sviluppa picchiaduro a scorrimento. Nonostante queste aziende coprano un vasto spettro di prodotti videoludici nell’ambito industriale italiano, possono essere classificate in due macro-insiemi: Milestone può essere infatti considerato a tutti gli effetti uno sviluppatore AAA (o Triple-A), una sigla utilizzata nel settore videoludico per designare i prodotti di aziende medio- grandi e con ingenti budget di sviluppo e marketing8, mentre Tiny Bull Studios, LKA e Trinity Team sono considerate indipendenti9. All’interno di questa macro-divisione tra editori e indipendenti, operano più di un centinaio di aziende italiane più o meno grandi, le quali sviluppano un’ampia gamma di prodotti diversi tra loro per genere e design. Prendendo in esame le sopramenzionate, è possibile tracciare il profilo di una industria variegata, almeno per quanto riguarda i prodotti proposti e le biografie aziendali. Mile-

6 Cfr. Milestone, Chi Siamo, www.milestone.it, http://milestone.it/azienda/ chi-siamo. 7 Si veda la definizione di walking simulator data da Clark (2017). 8 Si veda la definizione di giochi AAA fornita da Mathews e Wearn (2016, p. 24-25). Per un approfondimento sull’industria Triple-A, si consigliano le letture di Maxime (2016) e Steinke (2014). 9 Si veda la definizione di giochi indie fornita da Mathews e Wearn (2016: 25-26). Per un approfondimento sull’industria indipendente, si consiglia la lettura di Boyd (2012). 222 Il videogioco in Italia stone nasce a Milano nel 1996 con il nome “Graffiti”, e rappresenta una importante realtà italiana nello sviluppo di videogiochi per console e PC nel settore del racing, sia su asfalto che off-road. Tra i titoli sviluppati ci sono la serie Screamer (1995-1997) e MotoGP ‘08 (2008) [Fig. 39], la serie Superbike (1999-2000) e i videogiochi uf- ficiali del (dal 2010), in collaborazione con publisher come Atari, , Capcom, Electronic Arts e Virgin. Nel 2018, Milestone rilascia Gravel, un gioco racing di corse automobilistiche off-road che richiede al team di sviluppo di passare al motore grafico Unreal Engine, abbandonando defi- nitivamente il motore grafico in-house per tutte le successive pro- duzioni dell’azienda. Tiny Bull Studios nasce a Torino nel 2011 – e viene ufficializzata due anni più tardi – per mano di Matteo Lana e Rocco Luigi Tartaglia. Questa casa indipendente realizza perlopiù giochi su commissione ma riesce a sviluppare nel 2018 Omen Exi- tio, per PC, e Blind, per PC e PS4. Blind è un thriller psicologico per realtà virtuale in cui il protagonista è non vedente e deve esplorare il mondo di gioco attorno a sé con l’ecolocalizzazione. L’intero vi- deogame è presentato in bianco e nero ed è supportato da audio bi- naurale. Il giocatore può generare onde sonore per scoprire per un breve periodo di tempo l’ambiente circostante, prima che questo scompaia nuovamente. I grammofoni e altri oggetti che produco- no suono diventano come fari di luce che propagano onde intorno a loro. La LKA è un gruppo indipendente di sviluppatori di video- giochi che ha prodotto The Town of Light [Fig. 40] come risultato di un progetto accademico curato da Luca Dalcò, docente universi- tario a Firenze e programmatore. The Town of Light è un’avventura psicologica in prima persona ambientata nell’ospedale psichiatrico di Volterra nel 194010 – la LKA sta attualmente lavorando a un’altra avventura grafica, che uscirà con il titolo diMartha is Dead. Trinity

10 Cedrone (2015) racconta la natura storica di The Town of Light: il gioco, disponibile su PC, PS4, Xbox e Nintendo Switch, si sviluppa nell’ospedale psichiatrico di Volterra e vede come protagonista una paziente dell’istitu- to, una sedicenne di nome Renée – gli stessi sviluppatori affermano che il gioco ha come riferimento eventi realmente accaduti. Lo scopo è quello di raccontare la condizione dei malati mentali in Italia prima della Legge Basaglia e riscoprire la memoria degli spazi, inserendo il giocatore in una realtà tutta italiana, come se il gioco fosse un romanzo storico privo di velleità documentaristiche. G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 223

Team è un piccolo gruppo di sviluppo indipendente che nasce nel 2015 a Bologna a seguito della Spaghetti Western Jam11. Il loro Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans è un omaggio ai film rea- lizzati negli anni Settanta e Ottanta dalla coppia di attori italiani Carlo Pedersoli (in arte Bud Spencer) e Mario Girotti (in arte Te- rence Hill). Il gioco è un picchiaduro a scorrimento orizzontale co- operativo o singolo giocatore con aggiunta di meccaniche platform e minigiochi, che prende spunto da classici del genere come Gol- den Axe (SEGA 1989) e Double Dragon (Techno Japan Corporation 1987). Si tratta di una evoluzione di Schiaffi&Fagioli, un demo gio- cabile per Windows e Macintosh pubblicato nell’Ottobre del 2015. La versione ufficiale è stata realizzata in circa un anno, a seguito di una campagna di raccolta fondi Kickstarter che è stata condotta tra l’Ottobre e il Dicembre del 2016 – il target base era di 130.000 Euro mentre il target raggiunto è stato di 212.000 Euro. La grafica è in pixel art. Dal Triple-A al progetto accademico indipendente, dalla MotoGP al picchiaduro stile Spaghetti Western, l’industria italiana vanta quindi una diversità significativa per tipologia di prodotto che contrasta con l’omogeneità delle strutture aziendali presenti sul territorio (piccole-medie imprese con un numero limitato di dipendenti). È di significativa importanza analizzare il numero di profes- sionisti operanti all’interno degli studi di sviluppo di videogiochi per comprendere meglio quali siano le strutture gestionali delle aziende nazionali. Una realtà come Milestone (più di 11 dipen- denti), escludendo sussidiarie internazionali operanti in Italia, rappresenta una rarità nel panorama industriale italiano dove i piccoli team di sviluppo (1-10 professionisti) rappresentano invece un’ampia fetta dell’industria videoludica. In un’intervista rilascia- ta su YouTube da Multiplayer.it (2018), Michele Caletti, R&D pro- grammer in Milestone per Gravel, asserisce che nell’azienda vi è un team di sviluppo per ogni titolo, e che quindi ogni team è indipen- dente dall’altro, come se ci fosse “una piccola software house den- tro la grande software house”, addirittura con spazi fisici separati per creare un senso di appartenenza al progetto. Questa situazione è impensabile per la maggior parte delle aziende italiane a causa delle scarse risorse a disposizione. Risulta sintomatico far presente

11 Cfr. Trinity Team, About us, www.trinityteamgames.com. 224 Il videogioco in Italia che, al tempo dell’intervista, gli interni a Milestone sono più di 200, senza considerare gli outsourcer12 ai quali vengono commis- sionate parti specifiche di sviluppo del videogioco (Multiplayer.it 2018). In base al quarto Censimento dei Game Developer Italiani realizzato da AESVI13 e prendente in esame 127 studi di sviluppo italiani, solo il 17% delle aziende intervistate dichiara di avere al proprio interno più di 11 addetti mentre il 35% delle imprese inter- vistate conta un massimo di due professionisti e il 47% degli studi ha tra i 3 e i 10 addetti (Armondi 2019). I team di sviluppo di video- giochi sono ciclicamente legati alla realizzazione di un prodotto e quindi vedono il numero dei professionisti gonfiarsi e restringersi, compatibilmente con la fase di lavorazione raggiunta.

La diffidenza nei nuovi IP e l’omogeneizzazione degli engine come fenomeni sovranazionali

Lo sviluppo di videogiochi in Italia nell’ultimo quinquennio si inserisce necessariamente in una logica di produzione e distribu- zione internazionale. La percepita carenza di publisher italiani ai quali affidarsi, come riferito da Anonimo14, e la permeabilità di di- stributori digitali multinazionali quali Steam – che nello specifi- co presenta limitate barriere di accesso al prodotto da distribuire, come riferito da Lana15 – pone gli sviluppatori italiani in un con-

12 Questi sono studi internazionali ai quali vengono delegati lavori specifi- ci come animazione 3D, character design e, più spesso, creazione di asset 3D che lo studio principale di sviluppo non può eseguire per mancanza di tempo. Non è raro che gli outsourcer si trovino in aree geografiche dove il costo del lavoro è più basso. 13 L’AESVI (oggi IIDEA) è “l’Associazione di categoria dell’industria dei vi- deogiochi che rappresenta i produttori di console, gli editori e gli svilup- patori di videogiochi operanti in Italia. L’Associazione nasce nel 2001 per iniziativa di un gruppo di publisher presenti sul territorio italiano con lo scopo di rappresentare, promuovere e tutelare gli interessi collettivi del settore presso le istituzioni.” Cfr. AESVI, www.aesvi.it, http://www.aesvi. it/cms/index.php?dir_pk=10. 14 L’intervistato (da qui in poi, Anonimo) è un Product Manager di una rile- vante società italiana specializzata nello sviluppo di videogiochi. L’intervi- sta è avvenuta l’11 giugno 2019. 15 L’intervistato, Matteo Lana (da qui in poi, Lana) è il fondatore di Tiny Bull Studios. Ha guidato lo sviluppo di molteplici progetti business-to- G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 225 fronto costante con un mercato sovranazionale saturo e sempre più complesso. L’industria videoludica italiana si inserisce quindi in un contesto internazionale dinamico e di forte competizione che la vede svantaggiata se si considerano fattori quali finanzia- menti disponibili e burocrazia legata alla gestione dell’azienda, in quanto non competitiva strutturalmente e mancante di supporti economici nazionali. Il quarto censimento dell’AESVI riporta a tal proposito:

Per quanto riguarda invece i fatti che hanno ostacolato la crescita del settore, pare che il principale limite sia la mancanza di risorse finan- ziarie. Inoltre, vi sono difficoltà nel reperire personale qualificato sul mercato del lavoro. Altri fattori che limitano lo sviluppo sono iden- tificati nel rischio troppo elevato dell’attività d’impresa, nella man- canza di una cultura commerciale adeguata e da un sistema fiscale e normativo non adeguato. (Armondi 2019)16

Gli elementi che ostacolano l’industria italiana sono conferma- ti da Lana, il quale vede nella mancanza di risorse finanziare (sia private che statali), l’assenza di personale qualificato che operi sul territorio nazionale e la carenza di un coordinamento del sistema educativo italiano17, le principali cause. Nel 2015, quattro anni prima della pubblicazione del censimento dell’AESVI, Gandolfi descriveva già uno scenario italiano negativo per un’industria italiana costi- tuita da produttori borderline afflitti da una mancanza di interesse nel medium da parte delle Istituzioni18. È interessante confrontare questo scenario con quello descritto da Kerr nel 2012 per l’industria videoludica in UK e Irlanda19. Nello specifico, Kerr riconosce nella crescita di publisher multinazionali un rischio per l’industria vide- oludica nazionale che si manifesta in una maggiore attenzione al costo del lavoro, allo skill gap, alla necessità di un supporto governa- tivo sostanziale e al bisogno di protezioni più efficaci per l’IP.

business nel settore gaming e dei due titoli prodotti da Tiny Bull Studios ovvero Blind (2018) e Omen Exitio: Plague (2018). L’intervista è avvenuta il 10 giugno 2019. 16 A conferma dei dati, si consiglia la lettura di Agi (2019). 17 Si veda anche Gandolfi (2015, p. 309). 18 Gandolfi (2015, p. 305). 19 A tal proposito, si invita alla lettura di Kerr (2012). 226 Il videogioco in Italia

La saturazione del mercato scoraggia le aziende produttrici di videogiochi dall’osare lo sviluppo di nuovi IP, suggerendo il riutilizzo sistematico di concept più sicuri che tranquillizzino gli investitori, di fatto appiattendo la proposta videoludica in favore di maggiori garanzie di ritorno economico (come riferi- to da Anonimo). Verna20 riconosce che l’utilizzo di un IP con- solidato in Italia facilita il finanziamento dello sviluppo di un videogioco, come è successo per Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans, il quale ha goduto di una positiva campagna di crowdfunding su Kickstarter proprio perché supportato da un vasto numero di appassionati. Altra difficoltà che un’azienda dei videogiochi deve affrontare, è quella di sostentare il proprio organico durante la creazione di un videogioco che utilizzi un nuovo IP, perché difficilmente questo genererà finanziamenti legati al crowdfunding, prevendite ecc. Infatti, raramente i gio- catori investiranno risorse in un prodotto che non conoscono o che non sia già popolare su altri media. Lana, per esempio, osserva che durante le fasi di lavorazione di Blind (quasi inte- ramente finanziato con i soldi dell’azienda e slegato da ogni IP preesistente), il team di sviluppo ha dovuto dedicarsi a progetti B2B per mantenersi, di fatto rallentando significativamente lo sviluppo del videogioco. Al termine della produzione, la Tiny Bull Studios ha deciso di dedicarsi interamente al business-to- business per un periodo consistente, al fine di stabilizzare la situazione economica dell’azienda. Senza un finanziatore rile- vante o un successo che giustifichi i costi di produzione, Lana definisce questa come una tra le poche vie percorribili per dare linfa vitale all’azienda e al successivo sviluppo di un altro gioco indipendente. Il censimento dell’AESVI riporta:

L’autofinanziamento rimane la forma di sostentamento per eccel- lenza degli studi di sviluppo italiani. L’88% dei rispondenti dichiara, infatti, di ricorrere a risorse proprie per finanziare la propria attività. Cresce, però, il supporto dei publisher, che fornisce un’integrazione all’autofinanziamento al 21% delle aziende contro il 17% della rileva- zione precedente. Di minore importanza il contributo derivante da

20 L’intervistato (d’ora in poi, Verna) è un programmatore e amministratore di Trinity Team che ha sviluppato il gioco Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans (2017). L’intervista è avvenuta il 19 giugno 2019. G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 227

piattaforme di fundraising (10%), private equity (9%), finanziamenti pubblici (6%), istituti bancari (6%) e venture capital (3%). (Armondi 2019)

Questo è in linea con quanto rilevato per esempio nel Regno Unito dall’associazione UKIE (2019) e, più in generale, sul territorio europeo e nordamericano dal report del GDC (2018)21. Considerato quanto ac- cennato per i nuovi IP e alla luce dei risultati del quarto censimento dell’AESVI, si deduce che la maggior parte degli studi italiani sia co- stretta a produzioni complementari per poter assicurare auto finan- ziamenti volti allo sviluppo del videogioco che vogliono realizzare. A questo si aggiunge l’insicurezza di un mercato di ardua lettura dove l’incertezza nel totalizzare vendite, necessarie a giustificarne lo svi- luppo, pende come una spada di Damocle sull’industria videoludica. In un contesto di internazionalizzazione del prodotto – ma non necessariamente delle condizioni di sviluppo dell’azienda produt- trice – il fattore tecnologico e quello creativo sembrano contrastare l’insorgere di una cultura nazionale identificativa della produzio- ne di videogiochi. Lo sviluppo di motori grafici quali Unreal En- gine o Unity per esempio, costringe sempre più aziende italiane a adottare tali sistemi e ad abbandonare i propri motori grafici in- house, non avendo le risorse necessarie per sviluppare motori gra- fici altrettanto potenti e competitivi – come di fatto è avvenuto per Milestone durante la lavorazione di Gravel (Multiplayer.it 2018). Il passaggio a queste tecnologie è praticamente obbligato se si vuole avere accesso a feature quali condizioni fisiche (metereologiche, di collisione con il terreno ecc.) che il giocatore contemporaneo si aspetta in un gioco moderno – e che un team di sviluppo alta- mente specializzato, come per esempio Epic Games (sviluppatori di Unreal Engine), ha affinato nel corso degli anni. Tale scelta pro- duttiva, la quale aiuta gli sviluppatori di videogiochi a realizzare la propria visione con più facilità, pone però su uno stesso piano stu- di di sviluppo provenienti da diverse parti del mondo, uniforman- do l’output tecnologico, in altri casi caratteristico e identificativo, e favorendo l’utilizzo di asset condivisi per minimizzare i costi – soprattutto tra i prodotti sviluppati dallo stesso studio. Nonostan- te tali motori grafici siano estremamente versatili, i workflow di

21 Cfr. anche il contributo di Ruffino in questo volume. 228 Il videogioco in Italia produzione tendono così a uniformarsi e consolidarsi nel tentati- vo di ridurre eventuali contrattempi nella pipeline. Questo non è sempre vero per aziende di tipo Triple-A o particolarmente piccole e inesperte, come viene descritto più avanti in questo contributo.

Il consolidamento della pipeline per le aziende nazionali e la struttura dei workflow degli AAA internazionali

Dalle interviste effettuate dall’autore (in particolare con Anoni- mo e Lana), si evince che i workflow di produzione per un prodotto videoludico italiano non differiscano in maniera sostanziale dagli standard proposti da Kramarzewski e Nucci (2018). Lana, rifacen- dosi alla produzione di Blind, spiega che tipicamente un processo produttivo ha una struttura consolidata e standardizzata. Si parte dall’idea (concept) che dà vita al game design, inteso come mec- caniche di gioco, dalla storia – da integrare al game design tramite il narrative design – e parallelamente dalla realizzazione di studi per i colori e lo stile grafico. Si decide in questa fase la piattafor- ma di destinazione (PC, mobile, console). Queste operazioni co- stituiscono la pre-produzione che dovrebbe essere definita in un periodo limitato nel tempo. A questo segue la produzione vera e propria che può essere svolta in diversi modi, dalla tipologia agile22 (la Tiny Bull Studios lavora con sprint da due settimane con obiet- tivi specifici) allo spacchettamento di diversi processi da esegui- re conseguenzialmente – l’inserimento di professionisti con vari background in fasi di produzione diverse viene riportato come una difficoltà aggiuntiva da gestire per l’azienda. Il prototipo che ne esce ambisce all’alpha, ovvero la fase di testing dove il gioco è in- dicativamente funzionale ma ha feature e contenuti limitati (per esempio: si è a conoscenza della storia del gioco, il combattimento è funzionante nelle sue meccaniche così come l’inventario ma è possibile testare solo una porzione del mondo, le mappe sono in- complete, la grafica non è ancora ultimata e l’audio è temporaneo). La successiva beta vede il gioco sostanzialmente ultimato e pron- to a un’ulteriore fase di testing. Risulta fondamentale capire quali

22 Per una definizione più specifica si veda Kramarzewski/De Nucci (2018, p. 13-14). G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 229 meccanismi di monetizzazione coinvolgere nel processo, così ven- gono effettuati ulteriori test, laddove vengano ritenuti necessari: in questo, Lana identifica una caratteristica tutta italiana che vede gli sviluppatori nazionali poco inclini alla formula free-to-play e più interessati al pagamento diretto (definito premium) – un’os- servazione che abbisognerebbe di una separata indagine accade- mica per essere verificata, anche perché un free-to-play con mi- cro-transazioni monetarie necessita di budget elevati, strumenti analitici significativi e un team con un cospicuo numero di addetti che lo gestisca, un caso raro nell’industria italiana. Sia Anonimo che Lana individuano una serie di processi stan- dardizzati adattabili allo specifico videogioco da realizzare. Secondo Anonimo, la chiave per capire il contesto industria- le italiano non risiede nella produzione del prodotto in sé ma nell’individuazione e studio della stratificazione delle produzioni all’interno dell’industria locale. La stratificazione di unworkflow di produzione, ma soprattutto, della gestione dei ruoli e degli or- ganici delle professionalità coinvolte, avviene esponenzialmente con l’aumento dei budget necessari alla produzione e della sua complessità. Alla luce di questo e del censimento dell’AESVI, i processi di produzione italiani risultano malleabili a causa della quasi totale assenza di grandi produzioni sul suolo nazionale. La struttura aziendale è di tipo orizzontale e la stratificazione del personale è minima. La discriminante appare essere tra gruppi di sviluppo con un alto numero di professionisti e piccoli grup- pi indipendenti, soprattutto negli organici: più si è grandi e più si ha possibilità e necessità di gestire i ruoli in un certo modo, per esempio con meno generalisti e più specialisti all’interno del team. In team piccoli e inesperti, il workflow può essere seguito in maniera più fluida e meno consapevole. Nello sviluppo di gio- chi Triple-A invece, come per Mario + Rabbids Kingdom Battle della Ubisoft Milan e Ubisoft Paris, il workflow appare più strut- turato e onnicomprensivo, permeante le singole pipeline di pro- duzione – come per esempio quella di animazione. La Ubisoft Milan nasce a Milano nel 1998 come sussidiaria del- la francese Ubisoft, la nota azienda produttrice e editrice di vi- deogiochi che è stata fondata a Montreuil (Parigi) ma è presente sul territorio extranazionale con più di quaranta succursali. La Ubisoft Milan ha declinato la possibilità di rilasciare un’intervi- 230 Il videogioco in Italia sta per questo contributo per diversi motivi. Innanzitutto, come studio interno a Ubisoft, la pipeline di produzione non può essere discussa liberamente, se non a eventi specifici per sviluppatori – a tal proposito, questo contributo si avvale delle informazioni sulla pipeline di animazione che sono state discusse al Game Develo- pers Conference (GDC) nel 2018 al riguardo di Mario + Rabbids Kingdom Battle. Inoltre, le strategie di finanziamento sono quel- le del gruppo Ubisoft; non vi è alcun rapporto diretto tra Ubisoft Milan, che è uno studio di sviluppo, e i publisher / distributori, in quanto la distribuzione è gestita da team specifici all’interno di Ubisoft. Ubisoft Milan rappresenta per questo un caso esclu- sivo nello scenario dell’industria videoludica italiana. Gerardo Verna vede in Ubisoft Milan un elemento positivo di influenza sul panorama nazionale, soprattutto nella formazione di esperti che hanno successivamente modo di confrontarsi e condividere le proprie conoscenze professionali con i colleghi italiani – molti dei quali (Verna si include in questi) lavorano in condizioni di “amatorialità”. Mario + Rabbids Kingdom Battle è un videogioco di ruolo tattico a turni sviluppato e pubblicato per Nintendo Switch da Ubisoft Milan e Ubisoft Paris. Il gioco è un crossover tra due IP ovvero Mario della Nintendo e i Raving Rabbids della Ubisoft: nel gioco è possibile controllare Mario, i suoi amici e i Rabbids, i quali de- vono gestire un’invasione di altri Rabbids che creano scompiglio nel Mushroom Kingdom a causa dell’uso improprio di un potente congegno che può fondere due oggetti in una singola entità. Marco Renso, animator director per il videogioco, spiega che si è partiti da un prototipo fisico del gioco, poi successivamente trasforma- to in un prototipo digitale. La ricerca del genere è stato il primo passaggio, avendo ricevuto il beneplacito di Shigeru Miyamoto (creatore di Mario) all’utilizzo dell’IP, a patto che il gioco avesse percorso una strada inesplorata in termini di gameplay. In seguito, è stata condotta una ricerca sullo stile del gioco e conseguente- mente dei personaggi coinvolti. A questo punto sono state definite le meccaniche. In termini di animazione, prendendo per esempio il walking cycle dei personaggi, il team di animatori ha dovuto la- vorare nell’uniformare Mario e i Rabbids: i personaggi della Ubi- soft avevano infatti un passo troppo veloce per i personaggi della Nintendo e quindi si è dovuto smussare il ritmo per avere anima- G. Balla - Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco 231 zioni compatibili. I dati dell’animazione sono stati gestiti attraver- so un sistema di layer in Maya – il software utilizzato per animare i personaggi – come spiegato da Tommaso Sanguigni, animation technical director per Mario + Rabbids Kingdom Battle. Il workflow è stato strutturato in modo esclusivo al fine di raggiungere lo scopo principe del gioco che era quello di far collaborare due importanti IP molto noti al pubblico internazionale.

Conclusioni

L’industria videoludica italiana, arrancante per problema- ticità connesse all’attività del fare industria in Italia – proble- maticità comuni ad altri settori industriali nazionali – si trova nell’ultimo quinquennio a operare in un contesto internazionale saturo che esprime una competizione elevata e senza quartiere. Nella sua auto-narrazione, si percepisce non incoraggiata dal- le Istituzioni, circondata da una mentalità fondamentalmente incolta (se non avversa) al videogioco e storicamente abituata a sopravvivere come service provider – nel caso di aziende indie, le quali rappresentano la quasi totalità delle aziende videoludi- che italiane. L’adozione di workflow di produzione funzionali e consolidati, l’omologazione dei motori grafici, la quasi totale assenza di nuovi IP, la percepita carenza di publisher nazionali che la rappresentino e ne esaltino le diversità, la mancanza di un efficiente coordinamento educativo per formare professioni- sti, la difficoltà di formare personale internamente all’azienda, la burocrazia e l’assenza di forme di finanziamento nazionale dedicate negano all’industria italiana quella spinta e quel carat- tere proprio auspicati dal settore, che si percepisce come inade- guato nel confronto con nazioni come la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Diverso è il caso di Ubisoft Milan che opera all’interno di una struttura internazionale di sviluppo videogio- chi con diverse succursali sovranazionali e che quindi gode di pipeline più strutturate e specifiche, e una distribuzione e ge- stione dei finanziamenti più specializzate e di ampio respiro. Al di là di questa realtà, seppur con una considerevole varietà di prodotti e biografie aziendali, non pare spiccare una cultura in- dustriale nazionale identificativa. Il carattere di “italianità” del 232 Il videogioco in Italia prodotto videoludico potrebbe emergere dal punto di vista geo- grafico e tematico (come per Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans o The Town of Light), come riscoperta e rilettura di una cultura nazionale da proporre ai mercati sovranazionali. Tuttavia, questo contributo si è posto come obiettivo quello di investigare l’industria italiana in chiave produttiva, specifica- tamente analizzando workflow di produzione, finanziamento e distribuzione, nella ricerca di un fare produttivo tutto italiano; da questo punto di vista, nel quinquennio 2015-2019, l’industria videoludica italiana si è ritrovata in un contesto internazionale complicato, che l’ha costretta a una omologazione produttiva, un fenomeno che ha coinvolto anche altri paesi europei, come riportato da Kerr (2012) per l’industria britannica e irlandese. Occorrerà valutare in che direzione l’industria del videogioco andrà nel prossimo futuro, nel contesto degli appena annuncia- ti servizi di streaming (come ), i quali proveranno a sovvertire il sistema di distribuzione internazionale e, verosi- milmente, potrebbero causare delle ripercussioni significative sull’industria nazionale.

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Indie come stile, estetica, ideologia

Dai primi anni 2000 il concetto di indipendenza, riferito alla produzione di videogiochi, è emerso all’interno della comunità internazionale di sviluppatori e critici. È obiezione comune che i videogiochi indie si riferiscano ad una modalità di produzione, e in alcuni casi uno stile, ritenuti troppo vaghi e dunque difficilmen- te identificabili. Inoltre il mercato del videogioco globale ha visto un’inflazione di prodotti rilasciati sul mercato che si sono legati a questa etichetta. In questo capitolo intendo chiarire alcuni proble- mi legati al significato della nozione di indipendenza, e illustrare come il valore di questo concetto si sviluppi attraverso una serie di pratiche, contesti e reti di produzione, consumo e interpreta- zione. Proprio in virtù della complessità di questa nozione, l’Italia ha visto svilupparsi forme di produzione definibili indipendenti nonostante l’assenza di un’industria dallo sviluppo paragonabile a quello delle controparti nordamericane e nordeuropee. La nozione di indie tocca l’apice della sua popolarità intorno al 2012 con il documentario Indie Game: The Movie, di Lisanne Pa- jot e James Swirsky. Il documentario raggiunge rassegne cinema- tografiche come il Sundance Film Festival, e porta così una nar- rativa legata alla cultura del videogioco di fronte ad un pubblico più ampio. La visione di indipendenza che viene resa popolare in questo caso definisce implicitamente come indie quelle produzio- ni non legate ad un editore, realizzate da un singolo individuo o una piccola compagnia, e che assumono il completo rischio eco- nomico in cambio di una fetta significativa dei ricavi finali (oltre al controllo creativo sul prodotto). L’indipendenza in questo caso si arricchisce di una dimensione eroica e romantica: lo sviluppatore 236 Il videogioco in Italia impegna tutto se stesso nella realizzazione del proprio videogio- co, esprimendo una visione del game design personale e origina- le. Negli ultimi anni diversi autori e commentatori hanno notato come l’accessibilità di strumenti di sviluppo come Unity e Unreal Engine, prima alla portata esclusivamente delle grandi compa- gnie, e la possibilità di distribuire un prodotto digitale online su piattaforme come Steam, Itch.io o proprietarie, avessero portato ad un’esplosione delle produzioni indipendenti. L’apparizione di strumenti amatoriali come Twine, che non richiedono conoscenza di linguaggi di programmazione, è stata vista come un ulteriore segnale della progressiva democratizzazione dei processi produt- tivi (Anthropy 2012). La scena indipendente internazionale conta anche su molteplici contesti di promozione e aggregazione. Even- ti come l’Independent Games Festival (San Francisco), Indiecade (Santa Monica e Parigi), Amaze (Berlino), Indie Megabooth (Seat- tle), e la sezione indie di Develop (Brighton), contribuiscono a for- mare una comunità di riferimento per chi intende fare parte della scena indipendente. D’altro canto, negli ultimi anni le nuove possibilità tecnologi- che e l’interesse del pubblico verso questa scena hanno portato ad un’abbondanza di prodotti ed una competitività sempre maggio- re tra i tanti sviluppatori. Questa saturazione è stata incentivata dalla precarizzazione della forza lavoro dell’industria del video- gioco, spesso obbligata a cercare forme di impiego al di fuori del- le compagnie più affermate. Le compagnie a loro volta tendono a sfruttare l’abbondanza di forza lavoro offrendo contratti a termi- ne, o turni di lavoro sempre più impegnativi, spesso sfruttando la passione dei propri dipendenti (Kerr 2017; O’Donnell 2014). Per i tanti giovani laureati dei corsi di game design delle università nordamericane e britanniche, l’indipendenza è diventata una con- dizione necessaria per sperare di entrare nei circuiti di visibilità che forniscono accesso ad un impiego. La saturazione dell’offerta di forza lavoro e videogiochi è stata dunque vista da molti come un segnale che il periodo d’oro della scena indipendente fosse giunto al termine (Lipkin 2013). Bennett Foddy, game designer e autore di testi critici, in una presentazione al festival Indiecade del 2014, nota invece come l’idea stessa che l’industria dei videogiochi avesse scoperto l’indi- pendenza in un momento preciso e recente della sua storia fosse P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 237 una visione parziale, e centrata su una prospettiva esclusivamen- te nordamericana. Foddy osserva come le dinamiche di sviluppo spesso associate all’indipendenza fossero in realtà molto comuni negli anni Ottanta e Novanta in Europa, dove i bedroom coder e le piccole case di sviluppo erano solite produrre giochi senza un diretto controllo da parte dei distributori (Foddy 2014). Nello stesso periodo, aree geografiche dove l’industria era meno pre- sente vedevano il proliferare di pratiche di produzione amato- riale, traduzioni non ufficiali, e sviluppo destinato al mercato pi- rata (Nieborg/Van Der Graaf 2008; Sotamaa 2010; Fassone 2017; Saarikoski/Suominen/Reunanen 2017; Švelch 2013). In risposta a Foddy, Laine Nooney sviluppa ulteriormente questa prospettiva e cerca di sviarla da quello che potrebbe essere definito un ana- cronismo storico, ovvero l’appropriazione del passato attraverso le strutture del discorso che caratterizzano il presente. Nooney osserva che la categoria indie è qualcosa di molto più recente e specifico, sebbene molti sviluppatori siano stati indipendenti nel lato economico e creativo anche in passato (Nooney 2014). Nooney nota come si possano definire indipendenti produzioni che sono tali anche solo dal punto di vista finanziario. Tuttavia, il movimento indie è qualcosa di più complesso. Emersa all’inizio del XXI secolo nei settori della musica, del cinema e della moda, la categoria indie è anche, al giorno d’oggi, un’etichetta assegnata a prodotti specifici, che si contraddistinguono per un rifiuto delle logiche di produzione delle grandi compagnie. Nella cultura del videogioco questo rifiuto si traduce di frequente nella ricerca di forme innovative di game design, da opporsi agli effetti grafici e investimenti economici tipici delle grandi produzioni (Garda/ Grabarczyk 2016). Le produzioni indie sono spesso caratterizzate da un’estetica influenzata dal retro gaming e dalla nostalgia per i giochi delle passate generazioni. Tale scelta estetica li ha resi identificabili all’interno di un vero e proprio genere (Juul 2014). L’estetica indie nasce in parte per necessità imposte dalle tecno- logie a disposizione per studi a basso budget, e in parte come risposta ad un ritorno nostalgico ad una supposta era romantica lontana dai virtuosismi tecnologici. Dal punto di vista generazio- nale, l’estetica indie riproduce quella dei titoli a cui, con buona probabilità, gli sviluppatori giocavano durante la loro adolescen- za. Intendere l’indipendenza come estetica implica che questa 238 Il videogioco in Italia possa essere replicata dai grandi gruppi industriali: si pensi all’e- sempio di Valiant Hearts, gioco uscito nel 2014, che riprende uno stile grafico disegnato a mano e incentrato sulla narrativa, caratteristici di una produzione indie a basso costo, nonostan- te sia prodotto da Ubisoft, uno dei maggiori distributori mon- diali (Erwin 2014). Casi simili sono un’ulteriore conferma della separazione tra indie inteso come genere, estetica e ideologia, e indipendenza come effettivo distanziamento dai meccanismi di finanziamento e di controllo dei grandi gruppi di produzione e distribuzione.

Narrative di indipendenza

La difficoltà nel tracciare una linea di separazione tra le produ- zioni più o meno indipendenti, e quelle non-indipendenti che ri- prendono l’estetica indie (spesso viste come appropriazioni inde- bite) ha portato molti commentatori a considerare il concetto di indipendenza come non spendibile nell’analisi di prodotti videolu- dici (Mc Shea 2014). Per altri, come Paolo Pedercini di Molleindu- stria, l’indecidibilità di un’autentica indipendenza deve essere vista invece come un incentivo a trovare all’interno di questo fenomeno vere forme e spazi di autonomia (La Molleindustria 2012). Il con- cetto di indipendenza può essere visto come un significante flut- tuante che spinge chi professa di farne parte a continue negoziazio- ni e produzioni di discorsi definitori e giustificatori della propria pratica (Laclau/Mouffe 1985; Ruffino 2018). In altre parole, proprio in virtù della indecidibilità del valore e significato dell’indipenden- za, chi ritiene di lavorare in maniera indipendente o di attingere all’esperienza della scena indie è spinto a dovere parlare di sé, di come si relaziona al proprio lavoro, e come questa relazione possa in qualche modo definirsi indipendente. La produzione di discorsi avviene in vari contesti più o meno formali o ufficiali. Per esempio, nel presentare il proprio lavoro a festival e eventi dedicati agli indie games, nel presentare i propri giochi sui social network, o nell’in- viarli a piattaforme di distribuzione digitale come Steam o Itch.io. In questi contesti, gli sviluppatori sono portati a contestualizzare la propria pratica e filosofia di produzione in relazione ai valori, per quanto vaghi, del movimento indie. P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 239

È in questa pratica di produzione di discorsi che si mobilizza, seppure senza risolversi, il significato dell’indipendenza nella cul- tura del videogioco1. Inoltre, è questa incessante spinta a dover spiegare e definire a cosa e come si lavora che troviamo la maggio- re vicinanza con l’attuale condizione dei lavoratori delle industrie creative. L’industria del videogioco si adatta nel tempo a modalità di lavoro tipiche delle industrie creative pre-esistenti, come mu- sica, cinema e moda (Hesmondhalgh 2013, pp. 358-362). Queste modalità sono caratterizzate dalla concentrazione del rischio in pochi o un unico lavoratore, che diventa interamente responsabi- le del successo o fallimento del proprio lavoro, e deve sviluppare una varietà di specializzazioni e skill per ambire a portare avan- ti la propria attività. Il processo di individualizzazione del lavo- ratore creativo si attualizza attraverso la produzione di strategie discorsive che favoriscono l’aspetto biografico, la narrazione di se stessi attraverso il proprio lavoro (Beck 1992, p. 90). Seppure in- dividualizzati, i lavoratori indipendenti sono tenuti a sviluppare una rete di relazioni, al tempo stesso formali ed informali, da cui cercare di articolare una molteplicità di progetti, talvolta desti- nati a rimanere aperti e non concludersi (Wittel 2001; Boltanski/ Chiapello 2005, p. 110). In questa dinamica di creazione di reti, che scaturiscono spesso dal frequentare gli stessi luoghi e avere stili, abitudini e interessi simili, subentrano problemi di esclusione di genere e classe, in precedenza tenuti almeno parzialmente sotto controllo attraverso i processi di assunzione di personale da parte di un’azienda (McRobbie 2002; Fisher/Harvey 2013). Le reti di col- laborazione hanno anche una funzione di filtro e selezione, basati al tempo stesso sulla fiducia e rispetto per il lavoro dell’altro, e su legami di affinità e amicizia. I gruppi, generi e classi sociali meno rappresentati nella cultura del videogioco vengono scoraggiati dal tentare di entrare a far parte di questi contesti, in cui vigerebbe una supposta meritocrazia, scomparendo dalle rappresentazioni ufficiali dell’industria e delle scene indipendenti (Keogh 2017; Paul 2018). Da questo punto di vista possiamo dire che nelle economie occi- dentali i videogiochi indipendenti attraversano quella che Angela

1 Sull’importanza della discourse analysis nello studio della scena indipen- dente, cfr. Gandolfi (2015a). 240 Il videogioco in Italia

McRobbie identificava, in relazione all’industria della moda sul finire degli anni Novanta, come la seconda fase dell’indipenden- za nei settori creativi: una fase caratterizzata dalla diffusione su larghissima scala della condizione di non-dipendenza da aziende e gruppi capaci di assumere a tempo indeterminato, la crescita di progetti a tempo e part-time, e l’assimilazione del tempo di lavoro col tempo dell’intrattenimento e della socialità (McRobbie 2016). Paradossalmente, nota McRobbie, questa seconda fase marca an- che la fine dell’indipendenza creativa, messa in ombra dalla neces- sità di dovere rendere la propria attività sostenibile. Ad ulteriore supporto di questa analisi, i dati sulla presenza di indie game deve- loper nelle maggiori economie mondiali sembrano ormai schiac- cianti: nel Regno Unito, l’associazione UKIE stima che nel 2017 il 95% degli addetti al settore lavori individualmente o in picco- lissime aziende, spesso autofinanziate (UKIE 2017). Un sondaggio svolto nel 2018 dalla Game Developers Conference, il maggiore ap- puntamento annuale per l’industria, osserva come solo il 17% degli sviluppatori europei e nordamericani dichiarino di lavorare con un editore (GDC 2018). In altre parole, l’indipendenza non è più, se mai lo è stata, una condizione marginale o alternativa, ma è do- minante nell’attuale industria del videogioco. Non fa eccezione la situazione italiana, come evidenziato da Gianluca Balla nell’inter- vento contenuto in questo volume: l’autofinanziamento è la con- dizione naturale delle produzioni di videogiochi nel nostro paese. In questa fase attuale l’industria è sostenuta da reti di produttori indipendenti, in competizione tra loro e con poche opportunità di sperimentare e rischiare nel processo creativo. Naturalmente, esi- stono numerose eccezioni: sviluppatori che riescono a raggiungere mercati globali con prodotti relativamente economici, o supporta- ti da altri impieghi nel settore accademico e artistico che permet- tono di sperimentare con lavori originali e critici.

Reti di produzione e consumo

La produzione indipendente di videogiochi è dunque caratte- rizzata dall’abbondanza di sviluppatori in competizione tra loro e talvolta isolati. Alla luce di questa condizione, sono nate mol- teplici forme di aggregazione che offrono visibilità e supporto P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 241 reciproco. Gli sviluppatori indipendenti spesso organizzano in- contri informali attraverso meet-up locali, o lavorano in spazi di co-working dove, sebbene ogni individuo o gruppo porti avanti un progetto diverso, possono condividere i costi di gestione di un uf- ficio. Questa dinamica ha portato anche alla nascita di incubatori per case indipendenti, comuni soprattutto in Canada e negli Stati Uniti: uffici dove progetti selezionati vengono sostenuti attraverso la fornitura di spazi di lavoro e consulenze da parte di esperti del settore, in cambio di una percentuale sui ricavi finali del prodotto. La sopravvivenza economica dipende in buona parte dall’orga- nizzazione di reti locali e dalla preseza di intermediari che aiutano lo sviluppatore a capire come portare a termine il proprio lavoro e ottenere sufficiente visibilità in un mercato competitivo (Cro- gan 2018). Gli hub di produzione diventano sempre più cruciali, e ricostruiscono una nuova geografia dell’industria del videogioco, lontana dai centri di maggiore sviluppo industriale e concentrata in aree dove il costo di vita è inferiore (Kerr 2017, p. 172). Emergono anche forme di aggregazione tramite i social network. Twitter è spesso usato per pubblicizzare il proprio lavoro, mostrarne le fasi di sviluppo (nella speranza che attirino l’attenzione di consumato- ri e finanziatori), e per entrare in contatto con altri sviluppatori in- dipendenti con l’obiettivo di scambiare suggerimenti, idee, e pos- sibilmente collaborare. Discord è usato per comunicare con reti di contatti che lavorano a progetti simili, o che vivono nella stessa area geografica. Come nota Aphra Kerr, gliindies costruiscono reti virtuali e reali per sostenere la propria produzione, e comunità lo- cali, gruppi e scene anche del tutto sconnesse da quelle ufficiali, ma portano avanti queste pratiche per necessità più che per scelta (Kerr 2017, p. 172). Le istituzioni che maggiormente promettono visibilità, come i festival per produzioni indipendenti, svolgono anche una funzio- ne di filtro, come ‘arbitri del buon gusto’ e intermediari culturali tra il grande numero di sviluppatori e i potenziali acquirenti di prodotti (Bourdieu 1984). Come notano Parker/ Simon/Whitson (2017) in relazione all’Indie Megabooth di Seattle, questi eventi at- tirano e costruiscono di fatto il pubblico degli indie game. Simili eventi sostituiscono i distributori e curatori del periodo pre-indi- pendenza: selezionano e presentano dei prodotti ad un potenziale pubblico di acquirenti, riuniscono nello stesso luogo i partecipanti 242 Il videogioco in Italia alla scena indie ritenuti più rilevanti, e di fatto costruiscono “un’e- tica, estetica e un gusto associati ai giochi indie, dandovi risalto agli occhi dell’industria e nella cultura del videogioco” (Parker/ Simon/Whitson 2017)2.

L’Italia indipendente

Le caratteristiche della scena indipendente italiana ricalcano al- cune delle dinamiche presenti in altri contesti geografici, seppure con marcate differenze. L’industria del videogioco in Italia non è paragonabile per numero di persone impiegate e giro d’affari alle industrie dei paesi occidentali che hanno visto emergere la scena indipendente. Stati Uniti, Canada, Regno Unito, i paesi Scandi- navi e il Nord Europa sono stati più rapidi a sviluppare una scena indipendente proprio per l’esistenza di un tessuto industriale da cui distaccarsi. In Italia, in altre parole, non esiste una struttu- ra produttiva tale da generare una sua alternativa indipendente. Fanno eccezione alcune case di sviluppo basate nel Nord Italia; l’esempio più noto è Ubisoft Milan, responsabile nel 2017 per il successo mondiale di Mario + Rabbids Kingdom Battle [Fig. 3 e Fig. 37]. Ma queste restano, appunto, eccezioni. Bisogna inoltre notare come case di sviluppo della portata di Ubisoft non siano causa sufficiente allo svilupparsi di una scena indie. Per citare un caso simile, Montreal ha visto il proliferare di un movimento in- die dopo l’arrivo di Ubisoft nel 1997, ma preesisteva una fervente scena di produzione di videogiochi nella regione del Quebec, su cui Ubisoft ha costruito le proprie fondamenta (Della Rocca 2013, pp.130-132). Come nota John Vanderhoef (2016), l’industria del vi- deogioco ormai vive in simbiosi, se non in diretto sfruttamento, delle scene indipendenti che si sviluppano nelle aree geografiche dove nascono hub e reti di sviluppatori. La relazione di dipendenza è dunque reciproca. Eppure esiste in Italia un numero sempre crescente di svilup- patori di videogiochi che si dichiarano indipendenti, e da cui ini- ziano a emergere le competenze necessarie per un circolo virtuo- so sia creativo che economico. Come sottolineato in precedenza,

2 La traduzione è dell’autore. P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 243 la nozione di indipendenza non è necessariamente da intendersi come effettivo distacco da distributori e finanziamenti dell’indu- stria mainstream. Quella che troviamo in Italia è un’indipenden- za intesa come modalità di produzione per lo più autofinanziata, portata avanti da singoli individui o piccole compagnie, soprat- tutto nelle prime fasi. Questo tipo di organizzazione è esistito in Italia anche prima della popolarità internazionale del movimen- to indie. Come nota Enrico Gandolfi (2015b), si è trattato però di case di produzione spesso non vincolate all’industria dell’in- trattenimento, e orientate alla realizzazione di giochi digitali che possano soddisfare servizi specifici: prodotti educativi, basati sui social network, o servizi legati alla gamification. Negli ulti- mi anni l’Italia ha visto crescere una vera e propria scena indie, fatta di piccolissime aziende e produttori amatoriali che cerca- no di realizzare e distribuire videogiochi su un mercato locale e internazionale, e che si ispirano a quell’etica popolarizzata da eventi come Indiecade, A Maze, e gli altri festival dedicati, e da documentari come Indie Game: The Movie. Come discusso in relazione alla scena internazionale, anche in Italia il movimento indie si lega a reti di aggregazione, promozione e visibilità. Nascono infatti diversi contesti di mediazione cultura- le che selezionano progetti al fine di mostrarli al pubblico, e con lo scopo di creare una comunità di riferimento. Tra i più rilevanti si conta l’annuale Milan Games Week, sostenuta dalla Associazio- ne Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani (AESVI – da oggi II- DEA), e al cui interno troviamo una sezione ‘indie’. L’edizione 2018 accoglie quasi 60 produzioni italiane, presentate ad un pubblico interessato al videogioco su larga scala e non necessariamente le- gato alla cultura indie. Milan Games Week infatti, nei tre giorni di esposizione, ospita eventi di promozione di prodotti di punta del mercato del videogioco e si indirizza sia agli addetti del settore che al pubblico generalista. In questo caso il lato di promozione diven- ta predominante, e l’evento sostituisce per la scena indie l’attività che sarebbe altrimenti a carico di un distributore e di un reparto marketing, non più disponibili in produzioni a basso budget. Da segnalare Svilupparty, organizzato dal 2010 e ospitato pres- so la Cineteca di Bologna. Svilupparty si presenta come una cele- brazione del lavoro degli sviluppatori italiani, per lo più associati alla scena indie, a cui l’evento fa esplicito riferimento. Gli svilup- 244 Il videogioco in Italia patori sono invitati a inviare i propri lavori per essere selezionati all’evento e avere l’opportunità di esporli alla Cineteca di Bologna. Esibire il proprio gioco offre un’occasione di visibilità nei circuiti di promozione di Svilupparty, ma è anche un motivo per entrare in contatto di persona con un ampio numero di sviluppatori sparsi sul territorio italiano. Fondamentale a questo proposito l’impegno di specifiche figure storiche della scena italiana come Ivan Ventu- ri, CEO di Svilupparty, che si prodiga per organizzare contesti di promozione e scambio di conoscenze tra gli sviluppatori. Segna- liamo anche Game Happens, un evento annuale nato nel 2014 e organizzato a Genova. Game Happens presenta una selezione di giochi che si distingue per l’innovazione nel design e nei conte- nuti. L’evento è arricchito dalla presenza di esperti internazionali che offrono spunti teorici e condividono la propria esperienza con gli aspiranti sviluppatori della comunità italiana. All’interno di Game Happens si svolgono workshop e eventi di networking, vol- ti a costruire gruppi di collaborazione. A questo proposito, Game Happens rende esplicite le proprie norme di condotta, volte ad evitare per quanto possibile fenomeni di ulteriore marginalizza- zione di generi e classi sociali già svantaggiati3. Come nel caso di Svilupparty, Game Happens svolge il doppio ruolo di aggregatore e selezionatore, offre visibilità ai prodotti e agli sviluppatori stessi, che possono così apparire in prima persona e entrare in contatto con persone che svolgono la stessa attività. Anche Lucca Comics & Games, tradizionalmente legata ai fumetti e al gioco da tavolo, si è aperta negli ultimi anni alle novità dell’industria del videogioco, offrendo un contesto di visibilità e aggregazione agli indie italiani. Anche se non principalmente orientata verso i videogiochi, Lucca rappresenta un contesto importante per il peso assunto negli anni nel panorama fieristico mondiale. Oltre al proliferare di reti, l’Italia indipendente può contare su un numero crescente di professionisti che uniscono alla produzio- ne di giochi quella di discorsi sul significato e il valore della scena indie. Una presentazione dei maggiori gruppi e lavori emersi in Italia in questi anni sarebbe impossibile e inadeguata. Ci limitia- mo a segnalare alcune realtà nate dal circolo virtuoso innestato

3 Game Happens, Code of conduct, gamehappens.com, disponibile a https:// gamehappens.com/code-of-conduct/ P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 245 dalle reti di produzione e promozione elencati sopra. Diversi svi- luppatori indipendenti italiani, come i gruppi Santa Ragione e We Are Müesli, frequentano regolarmente i festival internazionali e ottengono visibilità al di fuori dei confini nazionali. La loro pre- senza è anche legata alla produzione e teorizzazione di metodo- logie alternative di game design. Si veda, ad esempio, il manifesto rejecta di Pietro Righi Riva, iniziato nel 2016 e applicato in alcuni dei lavori dei Santa Ragione, di cui Righi Riva è uno dei fondatori. Come molti altri indie italiani, il loro essere indipendenti si mette in pratica nella frequentazione e riconoscimento all’interno di una comunità di riferimento. In maniera simile Paolo Pedercini, anche noto come La Molleindustria, non si limita a produrre giochi, ma racconta la propria pratica ed espone la propria visione della di- mensione politica del game design all’interno di festival e circuiti indie. Attraverso queste pratiche, tali sviluppatori danno sostanza ai significati fluttuanti dell’indipendenza, e con lo stesso gesto si inseriscono all’interno di una cultura di produzione e consumo. Oltre a questi casi esistono centinaia di sviluppatori indipendenti in Italia che costruiscono le loro identità indipendenti attraverso la produzione di giochi e discorsi, frequentando eventi e parteci- pando alle numerose comunità online che si formano intorno a questa scena. È doveroso segnalare almeno alcuni dei progetti recenti nati da questa scena, se non altro per evidenziare come la varietà di approc- ci già segnalata in relazione alla comunità internazionale si rifletta anche in Italia. Dei gruppi sopracitati, titoli come Wheels of Aure- lia (Santa Ragione 2016) [Fig. 42] e Venti Mesi (We Are Müesli 2016) [Fig. 43] si distinguono per il tentativo di problematizzare la storia del nostro paese, per la sperimentazione nell’esperienza di gioco, e la forte autorialità estetica. Entrambi i titoli sono orientati ad un pubbli- co internazionale, sebbene le caratteristiche per cui si distinguono li rendano complessi per un pubblico straniero (sulla ricezione di titoli italiani all’estero, si veda il lavoro di Marco Benoît Carbone contenuto in questo volume). Altri lavori italiani recenti nascono da modalità paragonabili a quelle delle produzioni indie internazionali che cerca- no di catturare un pubblico ampio, dove l’intero processo di produzio- ne e promozione resta nelle mani degli sviluppatori tranne che nella fase finale di distribuzione, affidata a compagnie esterne. È il caso di Redout (2018) di 34BigThings, alla cui distribuzione collaborano 505 246 Il videogioco in Italia

Games in Italia e Nicalis (publisher di numerosi titoli indie di suc- cesso globale) a livello internazionale. Il gruppo Ovosonico, fondato nel 2012 da Massimo Guarini e Gianni Ricciardi, entrambi con lun- ghe esperienze lavorative all’estero, stringe nel 2013 un accordo con Sony Computer Entertainment Europe per lo sviluppo di Murasaki Baby (2014). La piccole dimensioni del progetto di partenza servono dunque a costruire le basi per collaborazioni con partner stabilmente all’opera nel mercato mondiale. Bud Spencer & Terence Hill – Slaps and Beans (2017) [Fig. 2 e Fig. 38] è invece il risultato di una collabora- zione ad hoc di quattro developer italiani, che seguono il lavoro fino alla distribuzione su Steam e le maggiori console. Le relazioni lavo- rative stabilite dalle varie produzioni nostrane variano sensibilmente, ma sono testimonianza dell’attuale fluidità delle reti di sviluppo già evidenziate in relazione al panorama internazionale. L’indipendenza in Italia può riferirsi a obiettivi, esperienze, organizzazioni, estetiche e modalità di distribuzione molto diverse tra loro. Le contraddizioni sono solo apparenti. Si tratta a ben vedere di sperimentazioni che si adattano agli interessi degli individui che entrano a farne parte, e che sono rese possibili dalla permeabilità delle attuali dinamiche di pro- duzione.

Conclusioni

Le difficoltà vissute dagli indie italiani sono sempre più simili a quelle degli sviluppatori internazionali: ottenere visibilità in un mercato saturo di offerta, trovare pubblici e potenziali consumatori, e costruire reti di supporto reciproco, che possano aiutare a com- battere l’isolamento e avvicinare quei partecipanti appartenenti a generi e classi sociali non tradizionalmente incluse nella cultura del videogioco. Come per le industrie creative in senso ampio, le produzioni indipendenti di videogiochi soffrono dei problemi de- rivanti da una crescente competitività e dalla totale individualizza- zione delle responsabilità legate al processo produttivo. Attribuire ad un singolo soggetto la responsabilità del successo o, più spesso, del fallimento di un progetto mina alla base la possibilità di costru- ire una comunità capace di elaborare narrative condivise. Da questo punto di vista l’esistenza di un’industria può essere di supporto, ad esempio portando esperienze internazionali nell’area geografica di P. Ruffino - I videogiochi indipendenti in Italia 247 riferimento, ma non è condizione necessaria per lo sviluppo di una scena indie. Sono invece più importanti i contesti e le forme di me- diazione culturale che danno visibilità ad una certa scena, e creano reti di sviluppatori capaci di costruire forme di collegialità, seppure temporanee. Sotto questo aspetto l’Italia si distingue per una certa vivacità produttiva, probabilmente ispirata dai cambiamenti tecno- logici e dai nuovi mercati che questi hanno aperto, e che potrebbe fornire il sostrato per la nascita di un tessuto industriale più solido.

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Il fenomeno degli esport si sta sempre più affermando nel pa- norama videoludico contemporaneo. Gli sport elettronici posso- no essere definiti come competizioni basate su videogiochi di va- rio genere, dalla simulazione sportiva allo sparatutto di squadra. Questo fenomeno ha visto un’evoluzione repentina dopo anni di incertezze e false partenze, al punto da essere al vaglio del CIO (Comitato Internazionale Olimpico) per un’eventuale inclusione nelle discipline olimpiche. Secondo le ultime stime di NewZoo1, ci stiamo riferendo a un mercato capace di generare entrate per 696 milioni di dollari e coinvolgere oltre 194 milioni di persone nel 2017. Un portato tangibile anche nel Belpaese, con una visibi- lità in crescita tra l’attenzione della stampa generalista e i grandi eventi che ne ospitano istanze come Milano Games Week e Lucca Comics and Games. Bisogna poi considerare che gli esport non si riducono a una declinazione competitiva del medium, ma sono piuttosto un crocevia tra diversi processi che riguardano il settore in quanto tale, da gioco inteso come servizio all’affermarsi di piat- taforme mediali che ne riformulano i confini, espandendo i modi di usufruire il videogioco stesso. L’Italia è esempio di mezzo, da un lato fedele a trend globali e, dall’altro, in relativo ritardo per diversi problemi infrastrutturali e un mercato prevalentemente di consumo. Bisogna precisare che nelle prossime pagine non verrà adottata una definizione statica di sport. Come Jonasson e Thiborg (2010) osservano, il significato del termine dipende da cosa la gente (pub- blico, atleti, industria di riferimento) intende per sport. Secondo questi autori, lo sport viene culturalmente inteso come gioco pra-

1 Per dati aggiornati si rimanda a https://newzoo.com/key-numbers/. 252 Il videogioco in Italia ticabile senza l’accusa di essere infantili, e tuttavia ci riferiamo a una parola volatile, che cambia in base al contesto, al medium di riferimento e alla percezione collettiva quanto individuale (Taylor 2012). Gli esport avrebbero il potenziale di divenire sport in quanto tali e anzi stanno già iniziando un simile processo di sportivizza- zione, che potrebbe portare a tre scenari futuri. Il primo vede gli esport svilupparsi come controcultura allo sport egemonico; nel secondo gli esport si affiancano agli standard sportivi odierni, una sorta di appendice; infine, il terzo li vede come scenario a se stante, capace di presentare uno scenario inedito e predominante (Jonas- son/Thiborg 2010). L’obiettivo di questo capitolo è fornire una panoramica degli esport italiani con alcuni strumenti analitici atti a comprenderne meglio meccaniche e orizzonti futuri. Tra questi, il concetto di “ga- mescape” (Gandolfi 2013) risulterà particolarmente importante per esplorare il rapporto tra sport fisici e virtuali nel bel paese; ulterio- ri riferimenti verranno tracciati prendendo spunto dalla crescen- te letteratura sul tema. Infine, testimonianze di prima e seconda mano supporteranno l’analisi, tra cui soprattutto quella offerta da Simone “AKirA” Trimarchi, storico e-atleta e commentatore. La tesi di fondo di queste pagine è che esiste un approccio agli esport ti- picamente italiano, con carenze a livello strutturale e culturale che confinano le competizioni elettroniche in un limbo tra mancata autonomia (esport come pratica a se stante) e incapacità di seguire gli sport propriamente detti – quelli che Jonasson e Thiborg (2010) definiscono sport egemone o egemonico. Questa analisi risponde alla riflessione di Taylor (2012), la quale osserva che, per quanto vi- viamo in mondo sempre più connesso, le culture nazionali giocano un ruolo essenziale nei processi dell’intrattenimento digitale e non ultimo degli esport e dei loro pubblici di riferimento.

Esport, tra passato e presente

Per quanto diverse definizioni di esport si siano succedute nel corso degli ultimi anni, il termine indica correntemente la pratica sportiva (nello specifico competitiva) legata all’uso di videogiochi e capace di istituzionalizzarsi a livello globale. Antecedenti di un simile fenomeno possono essere rinvenuti E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 253 nei primi tornei di videogiochi negli anni Settanta-Ottanta, un trend cresciuto con i LAN party (raduni in cui i partecipanti porta- vano i propri computer per sessioni di gioco condivise grazie a una connessione locale – Local Area Network) e infine esploso grazie all’affermazione dell’online gaming, che ha sancito la nascita degli esport come li conosciamo ora. Questa progressione può essere tracciata guardando al crescente farsi digitale della società (Miller 2011), sempre piu connessa e always on, e agli sforzi organizzativi a riguardo, dalle prime leghe professionistiche degli anni Novanta all’apoteosi di eventi come i World Cyber Games e la Major League Gaming negli anni duemila. L’avvento di Twitch.tv – piattaforma di live streaming con un focus sull’intrattenimento digitale – ha ulteriormente sdoganato il fenomeno, consentendo a milioni di spettatori di accedere a competizioni e tornei, da League of Legen- ds (forse il prodotto che per primo ha abbracciato la causa degli esport in tutta la sua interezza) a Overwatch e CounterStrike (Bit- tanti/Gandolfi 2018). Competere e osservare a chilometri (e paesi) di distanza ha permesso agli esport di farsi globali e diffusi, modi- ficando gli stessi videogiochi in termini di gameplay e infrastruttu- ra tecnica. In parallelo, l’impegno profuso dalle case sviluppatrici sta divenendo di assoluto rilievo; Epic ha speso oltre 100 milioni di dollari per le prime iniziative di esport legate a Fortnite, Ubisoft ha risollevato un flop comeTom Clancy’s Rainbow Six: Siege investen- do nella sua declinazione esportiva, e Blizzard Activision ha de facto creato il primo campionato di esport con la sua Overwatch League, un torneo con centinaia di migliaia di spettatori a match e milioni di montepremi; la presa in carico dell’organizzazione degli esport da parte degli stessi publisher ha infatti sancito un balzo in avanti per l’intero settore. Questi fattori di cambiamento sono stati evidenziati da diver- si ricercatori. Per Llorens (2017), Riot Games ha giocato un ruolo essenziale per gli esport con il suo League of Legends [Fig. 41], in- fondendo nuova vita al settore e indicando un nuovo modello di business, focalizzato su un’impalcatura organizzativa ben definita e un significativo supporto alla comunità. Abanazir (2018) ricorda che uno snodo cruciale è infatti l’istituzionalizzazione degli esport in quanto tali, processo tortuoso per il turnover di titoli di pun- ta e un ruolo variabile dei publisher di turno. A questo quadro si aggiungono gli sponsor terzi, che variano considerevolmente in 254 Il videogioco in Italia tipologia e coinvolgimento, dalle bevande energetiche ai capi di moda, dagli snack alle compagnie telefoniche. Heere (2018) af- ferma che, da un punto di vista manageriale, gli esport si stanno de facto sportificando grazie a questi due processi: il consolidar- si organizzativo porta a sistemi di regole e condotta fissi (gestiti spesso dai publisher), mentre il medium e il suo farsi spettacolo alimentano un’appetibilità diffusa e generalizzata. Un professio- nista del settore come Trimarchi ribadisce l’importanza di questo passaggio: prima, “i tournament organizer erano gli unici a guada- gnarci mentre i publisher non traevano alcun profitto”; da quando i secondi hanno iniziato a rivestire un ruolo più attivo, “i principali esport sono totalmente controllati e questo garantisce più stabili- tà e completezza, per quanto implichi maggiore controllo su chi organizza”. Per Trimarchi2 “Twitch ha semplicemente reso l’esport visibile. Il suo modello di business volto a remunerare gli strea- mer grazie ai propri follower ha semplicemente trasformato ciò che prima poteva solo essere fatto in TV in qualcosa di dominio pubblico”. Taylor (2018) ha dedicato un’intera monografia al live streaming e di come stia cambiando l’intrattenimento digitale e la sua componente performativa, individuandone bias (tossicità, trolling) quanto occasioni per veicolare un senso di comunità e ac- cettazione (minoranze e identità). Gli esport possono essere considerati del resto tra i portaban- diera di una concezione di videogioco come servizio, la cui portata si estende ben oltre i confini formali-testuali del prodotto e va a interessare tipi di fruizione inediti tra cui, per l’appunto, lo spetta- colo sportivo. Ci riferiamo a un processo in rapida espansione, con una crescita vertiginosa di alternative anno dopo anno (si pensi a quanti nuovi titoli tentano di porsi come esport di successo, e alle continue modifiche apportate a giochi con un seguito conso- lidato), e a una sfida lanciata alla definizione stessa del medium. Analogamente, gli esport stanno diventando un ambito a sé stan- te, con competenze specifiche che iniziano ad essere affrontate a livello universitario e accademico (si prendano ad esempio i pro- grammi offerti dalla Ohio State University e dall’Universitá del- la California ad Irvine, e ancora la conferenza statunitense ESC).

2 Questo e i seguenti contributi di Trimarchi sono stati estrapolati da una serie di interviste allo stesso da parte dell’autore. E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 255

Le stesse università stanno diventano una sponda cardine per gli esport, con team dedicati e attività e luoghi (arene, open space, e così via) a corredo capaci di coinvolgere intere comunità studente- sche. Comprendere come l’Italia, un paese con consumi videoludi- ci elevati eppure arretrato dal punto di vista industriale e culturale (Gandolfi 2015), stia reagendo agli esport può quindi svelare diver- si processi in seno al settore in quanto tale.

esport in Italia

Tracciare la storia degli esport italiani non è compito facile, sia per la carenza di informazioni e dati ufficiali (considerazione che si può estendere all’intera industria videoludica nostrana) sia per la relativa giovinezza del settore. Si può iniziare questo percorso negli anni Ottanta, quando la storica rivista Videogiochi già or- ganizzava sulle sue pagine competizioni con classifiche e premi, chiedendo ai lettori di inviare foto come prova del punteggio otte- nuto. Gli stessi redattori della testata fondarono l’AIVA (Associa- zione Italiana Video Atletica) nel 1984 per dare forma e regole a un fenomeno agli albori eppure già discretamente seguito. L’associa- zione durò soltanto pochi anni, ma rimane un esempio di come le riviste specializzate hanno spesso tentato di essere motore di cambiamento per i videogiochi italiani (Gandolfi 2015). L’affermarsi dei LAN party negli anni Novanta (Taylor 2012) (e l’importanza dei player atti ad organizzarli) rappresenta un’ulte- riore tappa in avanti a livello globale quanto nostrano. Questi di- ventano col tempo spettacoli diffusi in concerto con grandi eventi (si pensi anche a Lucca Comics & Games, storica fiera lucchese in cui gli esport stanno acquisendo una forte visibilità, e alla Milano Games Week, sempre più cornice per competizioni videoludiche). Come ricorda Simone Trimarchi, il ruolo dell’ANVI (Associazione Nazionale Videogiocatori Italiani) in concerto con il portale ngi. com è stato essenziale nel consolidare il fenomeno in quegli anni; eventi quali NGILAN 2002 (capace di attrarre 1000 persone nel Fi- laforum di Assago), SMAUILP 2004 (dal richiamo internazionale con 1250 visitatori) e il torneo internazionale Gamerland nel 2007 (per quanto non privo di problemi logistici) sono stati spartiacque per gli esport italiani. Non bisogna poi dimenticare che l’edizio- 256 Il videogioco in Italia ne finale dei World Cyber Games 2006 (in sintesi le olimpiadi dei videogiochi) fu disputata all’autodromo nazionale di Monza con 500 e-atleti da tutto il mondo e una copertura mediatica (gestita da Sky) inedita per i tempi. Nello scenario attuale, in Italia è da riportare la realtà Progaming Italia, che tra gli altri gestisce il marchio ESL (Electronic Sports Lea- gue) occupandosi del lato organizzativo e spettacolare del fenomeno (soprattutto su Twitch.tv). La nascita nel 2014 di GEC (Giochi Elettro- nici Competitivi), settore sportivo italiano di ASI (Associazioni spor- tive sociali italiane) che si occupa degli esport, può essere considera- ta un tentativo di stabilizzazione con oltre 100 associazioni affiliate, 65.000 atleti tesserati e 750 tornei ufficiali a Dicembre 20183. Sul fronte dell’opinione pubblica, il giornalismo specializzato quanto generalista sta a sua volta dando sempre più credito agli esport come pratica legittima. Testate quali Il sole 24 ore, Il corriere della sera, Il corriere dello sport e Wired stanno aumentando la copertu- ra a riguardo (talvolta con cadenze settimanali), mentre settori affini agli esport (componentistica hardware, vendita software, ma anche igiene personale, energy drinks e squadre di calcio come la Roma e la Sampdoria) offrono un supporto ormai costante a questi ultimi (si pensi al torneo Red Bull Factions e alle Gillette Skills Challenges alla Milano Games Week 2018) – un trend ampiamente diffuso all’estero. Una simile convergenza ha portato al primo rapporto sugli esport in Italia sotto egida AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogio- chi Italiani) e Nielsen, stando al quale oltre un milione di italiani sono coinvolti a vario titolo nel fenomeno degli esport (una ricerca condot- ta nel 2016 da PayPal e Superdata [Superdata 2016] prospettava stime leggermente maggiori con un bacino di un milione e duecentomila) (AESVI 2018). Una audience a maggioranza maschile (62%) e preva- lentemente tra i 16 e i 30 anni di età (la ricerca di PayPal e Superdata delineava un range analogo), che si dichiara attratta dal fenomeno in quanto tale (260.000 sarebbero i veri e propri appassionati). Mancano tuttavia dati certi sul successo di pubblico di canali ed eventi dedica- ti, da Twitch.tv a Sky (per esempio lo show GINX esport TV). I dati sui generi di preferenza vedono il primato degli sparatutto in prima persona, dei giochi sportivi (della serie FIFA ai giochi di corse) e dei MOBA (Multiplayer Online Battle Arena).

3 Secondo i dati riportati su https://www.gec.gg/about E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 257

La presenza di simulazioni sportive nella rosa delle preferen- ze porta a tracciare un parallelo con le già accennate aperture del Comitato olimpico internazionale verso gli esport, una posizione capace di generare diversi dibattiti nei media italiani. Il legame tra sport e esport sembra infatti particolarmente cruciale nell’inqua- drare il fenomeno nel contesto italiano. Non a caso, Sky (la compa- gnia televisiva che più di tutte ha investito nel settore) si è focaliz- zata su titoli come Fifa, MotoGP [Fig. 40] Esport e F1 nella propria offerta dedicata, tralasciando titoli e tipologie ben più popolari. Il Trofeo Motor Show (lanciato nel 2016 e divenuto itinerante l’anno successivo) e le competizioni recentemente organizzate dalla Sim Driver Academy sono ulteriori esempi di questa sinergia capace di accelerare i tempi e al contempo di ritardarli. Come ribadisce Tri- marchi, “in Italia si investe pochissimo negli esport reali e concreti a livello internazionale mentre invece si continua a perseguire la strada delle simulazioni calcistiche o automobilistiche o motoci- clistiche e così via che sono molto meno importanti (e belle da ve- dere) rispetto agli altri giochi”. In altri termini, il fronte produttivo di supporto agli esport sembrerebbe esterno, e atto a inquadrare questi ultimi secondo una “sportificazione forzata” a livello tema- tico che non risponde ai concreti bisogni del settore che, almeno nella propria spinta iniziale, si pone come alternativa e non rifles- so (Jonasson/Thiborg 2010). Calcio e corse diventerebbero quin- di riferimenti poco produttivi, ed efficaci solo sul breve periodo. Questa lettura può tuttavia giustificarsi quale strategia per con- trobilanciare l’idea del videogioco quale passatempo sedentario (Jonasson e Thiborg 2010; Llorens 2017), una visione tuttavia tipica di chi è esterno al medium stesso. Nonostante questa situazione, l’Italia può vantare talenti capaci di affermarsi in ambito interna- zionale su svariati fronti (e questo fin dagli anni Novanta con atleti quali appunto Simone Trimarchi e Alessandro Avallone). Secondo lo stesso Trimarchi il “fattore Italia” esiste tutt’ora: “abbiamo più di un giocatore che si è fatto notare ad altissimi livelli internazionali. Penso a Stermy, in passato, e oggi ci sono Reynor, Pow3r, Jiizuke, i 4 di Clash Royale (Peppe, Giò, Guanek e Matt) e ci sarebbero tanti altri esempi. Gente che è stipendiata da team professionistici per giocare al proprio videogioco”. Altri nomi di riferimento sono Marco “Turna” Castiglioni, Giorgio Mangano, Ettore “Ettorito97” Giannuzzi, e i team Samsung MorningStars e Forge. Quest’ultimo 258 Il videogioco in Italia

è un caso peculiare in quanto sostenuto da una vera e propria ac- cademia di esport con sede a Cagliari e gestita dall’imprenditore privato Alessandro Fazzi; la sola e unica realtà formativa legata al fenomeno nel Belpaese. La mancanza di supporto privato quanto pubblico (sia a livello di fondi che legislativo) è un elemento cronico del settore video- ludico italiano, e per quanto gli esport presentino elementi inedi- ti soffrono di una simile situazione di rimando. Tuttavia, il rifarsi alle industrie sportive e automobilistiche di riferimento appare quale strategia sicura, anche per legittimare un consumo mediale normalmente sotto accusa da parte delle istituzioni quanto della stampa generalista. Un’alternativa viene offerta da sponsor privati tra cui telefonia ed energy drink (per esempio, gia’ citato RedBull Factions e il tour competitivo Vodafone eSport per clash royale). In questi casi i videogiocatori sono già il target di riferimento, comportando una rappresentazione e un consumo maggiormente in linea con gli standard internazionali. E tuttavia, il supporto di terzi è de facto meno solido di quello offerto dai publisher veri e propri (Abanazir, 2018), che in Italia sono carenti per uno stato dell’industria ancora larvale. Una possibile soluzione potrebbe es- sere l’intervento di compagnie internazionali come Ubisoft, che ha uno studio italiano (Ubisoft Milan) e ha scelto Milano per le finali della pro-league finali diTom Clancy’s Rainbow Six: Siege. Un’altra opportunità di sintonizzazione tra produzione e consumo (con ri- cadute sugli altri fronti) potrebbe essere offerta dalla dimensione universitaria, che tuttavia in Italia è praticamente assente; sola ec- cezione è l’iniziativa Gamerwall, ancora in stato embrionale e che lega competizione e performance accademica.

Esport come gamescape di crocevia

Gli esport italiani rappresentano quindi una specifica istanza nel settore videoludico italiano perché, per quanto risentano del ritardo del medium in quanto tale, implicano fattori specifici che gettano ulteriore luce sulle dinamiche mediali. Uno strumento analitico che può venire in aiuto è quello di “gamescape” (Gandolfi 2013), non al- tro che il circuito culturale che riguarda una specifica pratica ludica. Derivato dal “circuit of culture” proposto da Du Gay et al. (1997), E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 259 questo modello euristico delinea cinque fronti da considerare quan- do si affronta il significato diffuso di un processo socialmente rile- vante: produzione (chi crea e gestisce la pratica ludica), regolazione (quali regole la pratica ludica deve seguire), il consumo (come la pratica ludica viene recepita e vissuta dai giocatori), rappresenta- zione (come la pratica ludica appare a livello di rappresentazione sociale, da domesticazioni a stereotipi imperanti), e identità (il portato identitario della pratica ludica, che può diventare istanza di appartenenza e narrazione personale). Per quanto questi crite- ri possano essere analizzati uno a uno, e nei loro legami, dinamici e bidirezionali, che si situa il significato di un processo culturale. Un ulteriore fattore da considerare è che i gamescape interagiscono tra loro, influenzandosi. Al giorno d’oggi diverse culture ludiche si stanno contaminando, dai giochi da tavolo ispirati ai videogiochi a sport fisici che sfruttano la potenza della realtà aumentata. Simili influenze possono essere più sottili, plasmando aspettative e inter- pretazioni in maniera indiretta eppure cruciale. Di conseguenza, il concetto di gamescape offre un appiglio analitico per comparare diversi ambiti ludici e individuarne possibili legami e connessioni. In sintesi, certi gamescape possono funzionare come metafora per altri, che ne risultano quindi influenzati se non compromessi. Ne ri- sulta che focalizzarsi sui rapporti di forza, differenziali, è un approc- cio proficuo, che non di rado svela le vere forze che contribuiscono al portato del processo culturale preso in esame. Come anticipato, il paragone (quindi il mettere in relazione) tra sport e esport da parte del comitato olimpico ha generato innumerevoli prese di posizione persino in Italia, con diverse posizioni eccellenti. La campionessa di nuoto Federica Pellegrini si è detta critica, osservano che “ogni sport ha le sue peculiarità, posso arrivare a capire che per prevale si deb- bano fare tanti sforzi, ma da qui a definire sport i videogiochi...” (in Santi 2017), mentre il campione europeo di tuffi Nicola Marconi “gli e-sport vanno riconosciuti come disciplina sportiva, perché sono a tutti gli effetti dei “giochi” che richiedono una grande preparazione, mentale, fisica, se si vuole diventare dei campioni” (in Cresta 2017). Il gamescape degli esport italiani potrebbe essere inteso come una terra di mezzo tra due circuiti culturali quali i videogiochi in quanto tali e gli sport fisici di riferimento, funzionando come una lente analitica per comprendere meglio queste due sponde. Il videogioco in Italia riguarda un mercato in linea con il resto 260 Il videogioco in Italia d’Europa, e tuttavia risente di una chiara giovinezza in termini di produzione; non esistono ancora competenze e investimenti privati sufficienti a sdoganare un vero e propriomade in Italy del videogioco (AESVI 2019) e soprattutto degli esport. Per quanto esistano alcune eccezioni, l’apporto del paese all’offerta globale rimane minimo e lontano dagli standard delle grandi produzioni straniere. A questo si unisce una certa ingenuità nell’affrontare il processo produttivo, coadiuvata da una mancanza di offerte for- mative. Questo quadro si ripresenta con gli esport, che pagano sia una mancata regolazione (proprio per la necessità di publi- sher in grado di farsi garanti del propri titoli) sia una spinta or- ganizzativa indigena ancora lontana dagli standard attuali, e una certa impreparazione nel costruire infrastrutture in grado di sup- portare il fenomeno stesso (non a caso molte iniziative si basano su grandi eventi con l’ausilio di competenze straniere, su tutte quelle offerte da ESL). Per quanto la situazione stia cambiando, siamo agli albori di un settore che dipende prevalentemente da sponsor esterni interessati a coinvolgere le nuove generazioni. Da un punto di vista spettatoriale, l’assenza di competenze rimane figlia di un modo superficiale di intendere i processi performa- tivi legati al videogioco, con pochi caster (commentatori profes- sionisti) e twitcher (streamer su Twitch.tv) nostrani in grado di rivaleggiare con i colleghi stranieri. Le “native celebrity” (Mar- wick e Boyd 2011) sono una presenza importante nella cultura giovanile italiana (si pensi a Favij, Matano e Yotobi), e rafforzano la percezione (fallace nel concreto) di un sapere dal basso che chiunque tendenzialmente può mettere in atto senza particolare sforzo. Questa situazione è ribadita anche da Trimarchi, secondo cui c’è ancora molta improvvisazione negli esport italiani, con pochi punti di incontro e una carenza di professionalità. Mentre in diversi altri paesi si stanno creando percorsi formativi atti a colmare questa lacuna (sia dal punto di vista di sviluppo sia da quello dei giochi elettronici), l’Italia ancora risente di una visio- ne spesso dilettantistica della game industry e dei fenomeni corre- lati, con lenti processi organizzativi quanto associativi. Manca in altri termini la capacità di fare quadrato, particolarmente grave in un contesto locale come quello italiano. La creazione di GEC e l’au- mento di eventi che possono essere legati agli esport (dagli sforzi di associazioni come Personal Gamer e eSports academy a eventi E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 261 come il Blue Wave e quelli sotto egida Nintendo) lasciano tuttavia ben sperare per il futuro. Inoltre, il crescente supporto di AESVI (associazione di settore per la game industry italiana, da oggi II- DEA) e sforzi culturali quali l’eSport Summit alla IULM di Milano (organizzato da Matteo Bittanti) mostrano l’intento di unire le for- ze o, quantomeno, creare un dialogo esteso. È interessante notare che sia la produzione videoludica che l’offerta attuale di spetta- coli basati sugli esport (rimanendo quindi sul fronte creativo e di sviluppo) abbiano una visione del proprio pubblico localizzata: le software house nostrane si sono fortemente focalizzate sui con- sumi nazionalpopolari (corse automobilistiche, moto, calcio, ma anche fumetti e film nostrani) (Gandolfi 2015); analogamente, le emittenti televisive coinvolte hanno posto particolare enfasi su si- mulazioni sportive che de facto hanno un’incidenza marginale nei processi di esport. Questa strategia può essere intesa come cautela (effettivamente le prime mappature del fenomeno sono recenti e dal focus limitato) e al contempo un tentativo di attrarre un pub- blico esteso perché, per l’appunto, attratto da un richiamo locale (dal gioco Slaps and Beans sui film di Bud Spencer e Terence Hill ai coverage di Sky menzionati prima). Questo è tuttavia il sintomo di un fronte produttivo che, invece di indirizzarsi verso il proprio set- tore di riferimento (il non saper dialogare con i target più giovani, in questo caso fondamentali, risulta essere difetto comune nelle industrie culturali e creative italiane), preferisce spinte e cardini esterni o quantomeno parziali; questo mentre il popolo di gioca- tori si fa sempre più diverso e globalizzato. Di conseguenza, gli sport fisici offrono un potenziale appiglio per sdoganare la propria versione digitale quale spettacolo ancilla- re. E tuttavia ne supportano una visione parziale, e non in linea con gli standard internazionali né, tantomeno, con il vero pubblico di riferimento. La cultura videoludica quanto gli esport sono sempre più transnazionali (Taylor 2012; Wolf 2015) e non si riducono a un calco di giochi analogici, come del resto dimostra il percorso de- gli stessi esport italiani. In altri termini, ci stiamo riferendo a falsi alleati. Per esempio, il calcio professionale riguarda una comuni- tà di appassionati di ampio spettro per un consumo prettamente televisivo e passivo (almeno in età adulta); al contrario, gli sport elettronici hanno un target più giovane abituato a un’interazione attiva con il medium stesso. Questa considerazione vale anche a 262 Il videogioco in Italia livello di rappresentazione, dove non a caso testate giornalistiche come Il corriere dello sport e squadre di Serie A si sono fatte im- portanti portatrici di istanze legate a esport – le seconde focaliz- zandosi, non a caso, su simulazioni calcistiche come Fifa, mentre all’estero team professionistici come i Cleveland Cavaliers hanno molteplici interessi che vanno oltre la propria disciplina di rife- rimento. Questa influenza si poteva già ravvisare con il successo delle edizioni annuali di Pro Evolution Soccer e Fifa, capaci di do- minare le classifiche italiane per anni e viste persino con favore da parte dell’opinione pubblica. Questi titoli sono legittimati per il loro legame con una componente popolare e dunque normati- vizzata come identificativa del Belpaese (appunto il gioco del cal- cio); la loro raison d’etre è il filo subalterno con una pratica fisica, reale. Una tattica del genere può avere senso quale approccio di breve periodo, ma sul lungo può comportare una perdita di focus e connessione con il proprio pubblico di riferimento, che cambia e si espande (Taylor 2012; 2018). Queste considerazioni risultano particolarmente importanti se si considera che gli sport elettro- nici dipendono dal titolo di turno e dal suo publisher, rendendo il relativo scenario dinamico e in continua riformulazione. Inol- tre, è possibile immaginare gli esport in modo proattivo. Per van Hilvoorde (2016) questi permettono di rivedere gli stessi esport in termini di accesso e sicurezza, una pratica che può avere riper- cussioni anche nei confronti di giocatori con disabilità. Gli esport possono in altri termini farsi equalizzatori e spingerci a riformu- lare il nostro giudizio sulla pratica sportiva in quanto tale. In que- sto modo, lo terzo scenario dipinto da Jonasson e Jesper Thiborg (2010) potrebbe concretizzarsi. Il quesito che ne consegue è quale sia l’impatto del termine “sport” dopo la “e”. Si può suggerire un esito ambivalente. Da un lato ha rafforzato l’interesse iniziale nei confronti dei giochi elet- tronici, dall’altro ha direzionato il settore italiano verso orizzon- ti limitati. Non a caso, secondo una ricerca diretta da Eumetra (2018) e commissionata da Gillette nel 2018, il 65% degli italiani non ritiene gli esport veri e propri sport nonostante i tre quarti (75%) riconoscano la potenzialità educativa dell’intrattenimento digitale. In altri termini, il dubbio è se i videogiochi e la loro de- clinazione spettacolare e competitiva necessitino di una legittima- zione esterna per essere considerati degni di attenzione. Andando E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 263 oltre il fronte della regolamentazione, del resto ancora acerbo a livello globale, ad essere interessati sono i processi identitari e di consumo. Le nuove generazioni sono cresciute vedendo nei vide- ogiochi una pratica culturale ormai sdoganata (Gosling/Crawford 2011; Gandolfi 2014). In generale, questo settore è passato dall’es- sere componente subculturale a intrattenimento di punta della contemporaneità anche in termini meramente economici. Le au- dience giocanti (o spettatrici) non devono essere convinte sull’u- tilità del medium con supporti esterni. A dimostrarlo la qualità dei campioni nostrani e le classifiche di vendita più recenti, che iniziano a vedere una forte diversificazione di titoli e piattaforme. Ancora, questa dinamica si può rinvenire nel paragone tra arte e videogioco che spesso ha caratterizzato (e tuttora caratterizza) i dibattiti nostrani, un tentativo di fare quadrato contro stereotipi e pregiudizi ma anche un differire l’identità del secondo a subal- terna della prima. In sintesi, il pubblico di riferimento viene par- zialmente ignorato se non per aziende come Red Bull, Samsung, Gamestop e Gillette che ben comprendono il proprio bacino di utenza, giovani adulti attratto da titoli come League of Legends e Fortnite. Non è quindi azzardato osservare che gli esport italiani devono lottare contro il paragone, ormai scomodo e fuori luogo, che spesso li associa agli sport tradizionalmente intesi; questo an- che a fronte di un pubblico giocante sempre più eterogeneo e di- versificato (Taylor 2012).

Giocando al futuro

Il miraggio degli sport nazionali come gamescape egemonici di riferimento per gli esport viene a mancare affrontando diversi snodi culturali, per primo la regolazione che, nello scenario video- ludico italiano, risente della mancanza di istanze produttive auto- nome. Il futuro degli esport nostrani sembrerebbe quindi dipen- dere da diversi fattori, legati all’industria videoludica ma anche al ricambio generazionale. Mentre gli sforzi associativi e di sistema beneficeranno del business crescente legato al settore, la capacità di sintonizzarsi sulle nuove leve rimane un fronte essenziale per comprendere questo fenomeno, non di nicchia ma diffuso. Occa- sioni di incontro e dialogo risultano quindi fondamentali non solo 264 Il videogioco in Italia per capire ma anche per plasmare e filtrare queste energie. Mentre agli albori delle competizioni videoludiche i LAN party funziona- vano come catalizzatori, il settore degli esport ha formalizzato (e monetarizzato) la sfida grazie al gioco online e alle piattaforme digitali a corredo. Il fronte globale (Taylor 2012) ha consentito un rapido successo del fenomeno anche in Italia a fronte di una me- diazione produttiva insufficiente, che si è rifatta a parametri insuf- ficienti perché esterni mentre l’industria videoludica nazionale sta muovendo i suoi primi passi. Questa mancata incubazione inter- na degli sport elettronici (il primo dei tre scenari) potrebbe aver portato a una mancanza di sentimenti comunitari. Come ricorda Trimarchi, “non esistono più i lan party in Italia e questo ha cam- biato totalmente il volto dei videogiocatori competitivi. Ormai si gioca solo per la propria immagine o per il premio, difficilmente per divertirsi”. Questo comporta una mancata presa di coscienza del fenome- no, che si disgrega e viene, ricollegandosi a quanto scritto sopra, concepito in modo superficiale, dove lo sforzo produttivo (orga- nizzativo, tecnico, scenico) viene dissolto nella ricezione (se posso esperirlo, posso crearlo) e senza una cornice sociale coesa (quella fornita nel periodo subculturale del settore). Questa dinamica può essere estesa a parte della game industry italiana, con l’implosione di diversi aspiranti sviluppatori indipendenti (mancherebbe, nelle parole di Giddens 1991, la consapevolezza di un “sapere esperto” da rispettare e approfondire). All’estero, le stesse università stan- no sempre più funzionando come viatico di comprensione degli esport a partire dal basso – non in senso negativo quanto comu- nitario – con leghe e iniziative in cui gli esport smettono di essere oggetto e diventano una lente per comprendere i giocatori stessi in quanto individui e attori sociali. Tornando al quadro squisitamen- te produttivo, la forza economica degli esport appare come pro- cesso ben avviato, che, per quanto in ritardo, verrà ipoteticamente accolto anche nel Belpaese (le ricerche citate in precedenza con- cordano sulla significativa e costante crescita di fatturato e seguito anno dopo anno). Secondo Trimarchi “c’è tantissimo interesse da player non endemici, e questo può significare due cose: uno svi- luppo costante della scena fino a riempire un palazzetto di paganti entro i prossimi 5-10 anni oppure l’arrivo in televisione. In Italia la televisione ha una penetrazione molto diversa (e ancora rilevante) E. Gandolfi -Gli esport italiani, tra vecchio e nuovo 265 rispetto al resto del mondo. Questo significa che una grande mano agli esport potrà arrivare dal piccolo schermo, e viceversa”. Tirando le somme, gli esport italiani risentono di un ritardo cro- nico legato a variabili produttive e di rappresentazione locali che ne hanno frenato una vera e propria istituzionalizzazione. A man- care sono fattori stabilizzanti in grado di connettere produzione e consumo, rappresentazione e identità. Tuttavia, il possible con- solidamento di un’industria del videogioco italiana e il crescente coinvolgimento di compagnie straniere potrebbero risollevare un simile quadro. Tali conclusioni, ancorate a un contesto specifico e concreto, si pongono nel mezzo di visioni ottimistiche come quel- la di Llorens (2018), che vede gli esport come pratiche sportive sdo- ganate, e di prese negative quali quella mossa da Perry (2016), che non considera questo fenomeno “umano” né significativo. Bisogna infine ricordare che il riferimento è a un scenario in continua evo- luzione che necessita un monitoraggio costante.

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Francesco Toniolo I VIDEOGIOCHI SU YOUTUBE: UN CONFRONTO FRA ITALIA ED ESTERO

La presente analisi ripercorre la storia dei contenuti a tema vi- deoludico caricati su YouTube che sono stati prodotti in Italia, at- traverso una suddivisione in tre fasi fra loro distinguibili per stra- tegie, ampiezza della diffusione e consapevolezza dei creatori. Di volta in volta il panorama italiano viene presentato alla luce del più ampio contesto internazionale. Considerando la crescente im- portanza, nel corso degli anni, di questi contenuti, a fianco della moltiplicazione delle loro tipologie possibili, è utile ripercorrerne la storia evolutiva, nell’ottica delle industrie creative (in particola- re videoludiche) e delle web celebrity. È utile una rapida precisazione introduttiva: la seguente ri- cognizione riguarda solo i contenuti user generated presenti su YouTube. Saranno quindi tralasciati quei contenuti “istituzionali” calati dall’alto, per volontà di sviluppatori o publisher, come trai- ler e anteprime. La scelta non intende sminuire il valore di simili contenuti nell’economia di YouTube, ma le loro logiche interne sono autoevidenti, progettate a monte e inserite in una più ampia strategia di comunicazione.

2006–2009: Agli albori del gaming su YouTube

Nei primi anni di vita di YouTube la situazione del gaming su questa piattaforma rispecchia, su scala differente, il panorama in- ternazionale, in cui i contenuti legati ai videogiochi si sono pro- gressivamente affermati attraverso forme che sono definibili come indirette o glossatorie. È anche per questo motivo che uno dei pri- mi studi sistematici su YouTube (Burgess/Green 2009) accenna a malapena ai videogiochi: essi sono uno degli argomenti possibi- 270 Il videogioco in Italia li per determinate tipologie di video, ma non costituiscono con sufficiente rilevanza una categoria a sé stante. In alcuni casi, per esempio, forniscono materiale per le YouTube Poop1, direttamen- te o tramite i cartoni animati sull’argomento2, al fianco di diffe- renti contenuti; in altri casi, video come quelli dell’Angry Video Game Nerd sui videogiochi brutti del passato non si discostano dall’impostazione di altri vlog su differenti argomenti, in cui un creativo interpreta una YouTube persona, identificabile da alcuni marcatori visivi, e predispone un determinato format (Bullerdick/ Siskin 2008); o, ancora, un video musicale può essere legato al vi- deogioco Tetris (1984) seguendo le pratiche dei remix audiovisivi (NOTsoNOISY 2007). Questi sono alcuni degli esempi possibili in cui il videogioco viene inserito nella produzione user generated di YouTube, senza però lo sviluppo di forme uniche e riconoscibili di video. La situazione in Italia durante questi anni, come accennato, pre- senta uno schema similare: si consideri Marco “Farenz” Farina, il primo creatore di contenuti italiano a raggiungere una certa popo- larità parlando di videogiochi. Come ricorda lo stesso Farenz3, la sua attività su YouTube è iniziata caricando i video dell’Angry Video Game Nerd con l’aggiunta di sottotitoli, sull’attualmente defunto canale farenz57. In seguito, sul suo canale attuale AngoloDiFarenz, ha cominciato a realizzare contenuti originali, mantenendo però un’impostazione equiparabile a quella dell’Angry Video Game Nerd, presentandosi cioè come commentatore “arrabbiato” che si esprime attraverso tormentoni, ironia e citazionismo. Osservan- do i suoi primi video, gli spezzoni dei videogiochi sono ridotti al minimo, e sono estrapolati da qualche trailer o registrati ripren- dendo direttamente lo schermo del televisore. È Farenz, piuttosto,

1 Montaggi a metà fra il mashup e il remix (Peverini 2012) in cui personaggi e situazioni di contesti differenti vengono mescolati per ottenere un effetto di comicità nonsense: cfr. Brodesco (2017, pp. 19–29); Brilli (2015). 2 Nel primo caso sono stati, in particolar modo, largamente saccheggiati i filmati di Link: The Faces of Evil (Animation Magic, 1993) e di Zelda: The Wand of Gamelon (Animation Magic, 1993), i capitoli “apocrifi” della serie The Legend of Zelda pubblicati per Phillips CD–i. Nel secondo caso sono state soprattutto riprese le serie animate The Super Mario Bros. Super Show! (DIC/Viacom, 1989) e Sonic the Hedgehog (DIC Productions L.P/ Reteitalia, 1993–1994). 3 Farina (2014), pp. 110–124. F. Toniolo - I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero 271 ad “abitare” con la sua personalità il video, presentandosi peral- tro nell’intimo contesto della sua stanza, secondo quella “cultura da cameretta”4 che esprime l’idea di un’intima condivisione fra il fruitore oltre lo schermo e lo YouTuber; fattore, quest’ultimo, che diverrà fondamentale soprattutto nella fase successiva del percor- so evolutivo qui proposto. Già con i primi video di Farenz, comun- que, il modello internazionale del “recensore arrabbiato” si colora di una certa italianità, anche solo nei riferimenti selezionati, in cui alterna generali citazioni videoludiche (per esempio alle mosse speciali di Street Fighter) a inserti comprensibili solo per il pub- blico italiano, come le canzoni di Cristina D’Avena o Buonanotte fiorellino di De Gregori. Similmente, sul versante delle YouTube Poop, in questi anni si sviluppa una scena di poopers (i produttori di YTP) italiani che, partendo dai contenuti esteri, ibrida progressivamente il formato internazionale con personaggi e tormentoni tipicamente italiani, andando a produrre una variante locale di questi contenuti. Un esempio è il canale di Paolo “Nocoldiz” Pirruccio, uno dei più noti creatori italiani di video nonsense e parodie. La prima YouTube Poop da lui caricata5 utilizza in larga misura i più noti spezzoni delle Poop internazionali su Zelda, ma già pochi mesi più tardi compaiono, nei suoi video, personaggi italiani come Topo Gigio6 e politici come Silvio Berlusconi, i quali vanno a integrarsi con i protagonisti di videogiochi e cartoni animati7. A fianco di questi e altri contenuti, inquadrabili in più ampie categorie preesistenti, si assiste al progressivo sviluppo delle par- tite registrate e, seppur con maggior lentezza, anche dei let’s play con commentary8. Sono contenuti registrati riprendendo diretta- mente il televisore (o lo schermo di una console portatile) con una

4 Burgess/Green (2009, p. 25). 5 Nocoldiz (2009a). 6 Nocoldiz (2009b). 7 Il cambiamento si riflette anche sul piano linguistico: mentre i primissimi video presentano titoli e tracce audio in inglese, i successivi virano sull’ita- liano, e le battute inglesi vengono doppiate o accompagnate da sottotitoli. 8 Su questi commenti si veda peraltro Nguyen (2018, pp. 88–90). Let’s play indica un video relativamente breve (non superiore ai 15-20 minuti) in cui sono racchiusi gli spezzoni più significativi di una partita. La presenza dell’editing è pertanto spesso marcata. L’eventuale commentary può avere finalità di intrattenimento o istruttive. 272 Il videogioco in Italia videocamera, hanno tendenzialmente una bassa qualità video e il sonoro originario del gioco; la loro durata è breve (da pochi se- condi a una decina di minuti) e mostrano normali partite o picco- le curiosità e stranezze presenti in qualche specifico videogioco9. Lo YouTuber-performer è qui una presenza discreta, invisibile (se non, al più, per il fantasmatico riflesso del suo volto nello schermo ripreso), e – nei pochi casi in cui è presente un suo commento – quest’ultimo pare più una rimediazione di tipologie preesistenti che una forma effettivamente innovativa10. Embrionali esperimen- ti in cui, solo con uno sguardo a posteriori, è possibile cogliere in nuce le caratteristiche del cambiamento che sarebbe sopraggiunto negli anni successivi, legato alla crescente presenza a schermo del- lo YouTuber e a nuove tipologie di contenuti (indicate nel paragra- fo successivo), rese possibili anche dalla capillare diffusione di una tecnologia adeguata.

2010–2014: una voce e un volto per gli YouTuber

Dopo la fase embrionale del gaming su YouTube presentata in precedenza, quella grosso modo collocabile fra il 2010 e il 2014 mostra la progressiva affermazione degli YouTuber, il cui ruolo è sempre più centrale come personaggi riconoscibili. In altre ti- pologie contenutistiche queste microcelebrity (Marwick 2013) di YouTube, come già avevano sottolineato Burgess e Green11, aveva- no iniziato ad affermarsi da prima. Anche una figura come Farenz, del resto, rientra nel novero dei volti riconoscibili, ma i suoi video non sono dei let’s play. Ciò che è mancata fino a questo punto è la presenza di un let’s player che vada ad “abitare” i propri video, affiancando la sua presenza al contenuto videoludico presentato.

9 Fra i primi esempi italiani tutt’ora visualizzabili si vedano, per esempio, Corruptedie (2006), vaf0qewe0 (2007) e bossete (2007). 10 Si veda per esempio il primo video del canale IEsportsproduction (2008), IE sports e, in generale, fra i primi video italiani con un commentario live. Poiché stanno giocando a Pro Evolution Soccer 2008 (Konami, 2007), i due ragazzi che registrano la partita propongono un commento modellato su quello degli eventi calcistici in televisione. 11 Cfr. Burgess/Green (2009, pp. 21-28), oltre a Jenkins/Ford/Green (2013), in particolare sui “superutenti” vlogger imprenditoriali presenti sulla piatta- forma (pp. 97–102). F. Toniolo - I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero 273

Una situazione, questa, estranea ai primi video di Farenz, i qua- li ricostruiscono a posteriori, tramite montaggio, i momenti di gioco, inserendoli in un più ampio spettro contenutistico fatto di gag, citazioni e riflessioni. Questa iniziale mancanza è stata dettata da limitazioni nella diffusione della tecnologia di registrazione, ma anche dal fatto che, inizialmente, YouTube “è stato lanciato senza sapere bene a cosa potesse servire” (Burgess/Green 2009, p. 98) il che ha com- portato una scoperta progressiva dei suoi possibili utilizzi. Supe- rati simili ostacoli, nascono e si affermano alcune delle più note personalità legate al gaming, come PewDiePie (Felix Kjellberg), Markiplier (Mark Edward Fischbach) e, a livello italiano, Favij (Lorenzo Ostuni). Loro tre, e molti altri YouTuber di grande suc- cesso, sono divenuti famosi in questi anni, soprattutto giocando a horror come Amnesia: The Dark Descent (Frictional Games 2010) o ai diversi videogiochi fan-made incentrati sulla figura di Slender Man (Smith/Obrist/Wright 2013, pp. 131–138; Pietruszka 2016, pp. 54–69). Simili videogiochi hanno il vantaggio di essere facili atti- vatori emozionali12 e ben si prestano per le neonate reaction degli YouTuber, registrate in concomitanza con la loro partita13. La fase di editing e montaggio rimane, ma non è più finalizzata all’inseri-

12 La componente emozionale dei video ha sempre ricoperto una grande importanza nella storia complessiva di YouTube (si veda in proposito la tassonomia emotiva di Chen/Chang/Yeh 2017, pp. 40–50). Nel caso dei videogiochi sono emersi, nella fase ascendente degli YouTuber, generi e sottogeneri che consentono una facile e immediata risposta emotiva (vera o simulata) da mostrare in video. È il caso, per esempio, dei cosid- detti rage games (videogiochi con una difficoltà volutamente molto ele- vata, in cui il game over è estremamente frequente) e degli horror. Questi ultimi, in particolare, per la loro presenza ricorrente nel percorso dei più famosi YouTuber di gaming possono essere utilizzati come paradigma esemplare del fenomeno. 13 Non sempre gli YouTuber registrano realmente la loro “prima partita” a un videogioco horror, e le loro reazioni non sono pertanto spontanee. L’au- tenticità percepita risulta però fondante nella costruzione di queste per- sonalità di YouTube (Jerslev 2016; Shin 2016). Un esempio emerge dall’a- nalisi delle imprecazioni di PewDiePie effettuata da Fägersten (2017): se, di fronte a uno spavento particolarmente intenso e inatteso, lo YouTuber abbandona momentaneamente l’inglese per imprecare in svedese, è pos- sibile inferire che le sue abituali imprecazioni in inglese siano simulate e facciano parte della costruzione di una YouTube persona. 274 Il videogioco in Italia mento di asettici pop–up testuali nei video, o alla realizzazione di una sorta di vlog videoludico; ora il creatore di contenuti è portato a tagliare i tempi morti ed enfatizzare gli spaventi subiti. I titoli stessi dei video divengono più “urlati”, con l’abuso del maiuscolo, dei punti esclamativi e di espressioni come “scariest game of the year”; i let’s play, invece, sono idealmente scanditi dai jumpscare, accompagnati dai sobbalzi e dalle urla degli YouTuber. In quest’ot- tica si rivelano particolarmente efficaci anche dei videogiochi ca- paci di suscitare rabbia o divertimento, con risposte emozionali ravvicinate e immediate14. In breve tempo, insomma, si è passati da un’impercettibile presenza a una voce disincarnata e poi a una sempre più impor- tante presenza visiva a schermo, capace persino di catalizzare l’attenzione molto più del videogioco stesso15. I prodotti “più divertenti da vedere che da giocare” (Byrd 2016) soffrono per la presenza ingombrante, predominante, dello YouTuber, mentre risultano avvantaggiati, nella loro diffusione commerciale, quei videogiochi che non esauriscono i loro contenuti in una serie di video, come il popolare Minecraft (Markus Persson 2011), il quale si afferma proprio in questi anni (Garrelts 2014). La sua natura aperta e trasformativa consente a ciascun youtuber di proporre un proprio percorso, innervando di senso il mondo di gioco, ma lasciando ai fruitori dei video la curiosità sulle altre possibili soluzioni che potrebbero loro stessi esperire (MacCal- lum-Stewart 2014). I let’s play legati a queste tipologie di videogiochi hanno accom- pagnato la rapida crescita di alcuni fra i più noti canali YouTube, ma costituiscono solo una piccola parte dell’ampio ventaglio di possibilità che si è affermata in questi anni. Si moltiplicano le re- gistrazioni di walkthrough, speedrun, video di tornei, machinima

14 Ci si colloca, pertanto, a un livello molto più basilare e diretto rispetto agli effetti delle emozioni presentati in Isbister (2017). 15 Si sviluppa, insomma, la presenza embodied, fisica e spesso esuberante, degli YouTuber. In alcuni casi già la sua voce è sufficiente per dargli una for- te marcatura caratteriale. Per l’Italia è possibile citare il caso di Sabaku no Maiku (Michele Poggi), divenuto noto come studioso e cantore della sto- ria di Dark Souls (FromSoftware, 2011-2016). Sabaku è rimasto, per diversi video, una pura voce, sufficiente però a caratterizzarlo come personaggio riconoscibile. F. Toniolo - I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero 275 e molto altro16; tipologie talvolta antecedenti alla creazione stes- sa di YouTube, ma che acquisiscono ora una crescente popolarità, accompagnata in molti casi dall’affermazione dello YouTuber che propone certi contenuti. Volgendo lo sguardo sul panorama italiano, a un primo impat- to emergono con forza i punti di contatto fra i let’s players nazio- nali e quelli esteri. Come è per esempio emerso in una compara- zione fra YouTuber anglofoni, italiani e polacchi (Kurpiel, 2017), ciascun creatore di contenuti sviluppa un proprio idioletto (fatto di nomignoli, neologismi…)17, ma tutti loro si muovono grosso modo sugli stessi binari espositivi. Anche osservando il profi- lo tracciato da Andò e Marinelli sul gaming in YouTube Italia, quanto è emerso nella loro indagine (Andò/Marinelli 2016, pp. 38–45) sarebbe applicabile senza eccessivi mutamenti anche al panorama internazionale. Pure in una prospettiva temporale, il percorso evolutivo italiano non si è presentato con un particolare ritardo rispetto all’estero. Una prima differenza emerge, però, allontanandosi dal pano- rama dei grandi canali dedicati al let’s play, i quali costituiscono un contenuto di primo piano ma – come accennato – certamen- te non l’unico possibile. Osservando i critici e i commentatori, i collezionisti, gli speedrunners e altre categorie, la differenziazio- ne è in primo luogo numerica: i canali italiani – salvo particola- ri eccezioni – hanno un numero proporzionalmente ristretto di iscritti e visualizzazioni, rispetto alla performance dei loro corri- spettivi esteri, comunque meno seguiti dei “grandi” let’s players, ma con un differente ordine di grandezza. Soprattutto, però, in

16 In breve: il walkthrough indica un video (o una serie di video) che presen- tano un videogioco nella sua interezza, dall’inizio dell’avventura fino alla fine; lo speedrun è una forma di competizione in cui si cerca di terminare un gioco nel minor tempo possibile; il machinima (unione di machine e cinema) indica dei film animati prodotti tramite software videoludico. Si segnala peraltro la proliferazione di una serie di sottocategorie più o meno diffuse. I video di Sabaku no Maiku, per esempio, sono definiti da alcuni lorethroughs e non walkthroughs, perché lo YouTuber non si limita a mo- strare il videogioco, ma ne indaga il mondo e il folklore man mano che prosegue nell’avventura. 17 Visibili per esempio negli appellativi con cui si rivolgono alla loro commu- nity, con l’alternanza fra chi utilizza un generico “ragazzi” e chi opta per scelte più specifiche (come i “discepoli” di Farenz). 276 Il videogioco in Italia

Italia è meno presente una prospettiva di agenda in queste figure. All’estero, critici come James Stanton (Jim Sterling) e il defunto John Bain (Totalbiscuit) utilizzano o hanno utilizzato YouTube per veicolare determinate posizioni sull’industria videoludica e, indi- rettamente, sulla società, in particolar modo volte a una maggior tutela del consumatore. In Italia, invece, la critica su YouTube è tendenzialmente indirizzata a occuparsi di singoli videogiochi o singoli fenomeni, ricollegandoli solo saltuariamente a posizioni più ampie e “politiche”. Una simile differenza è forse legata a un semplice fattore temporale, oltre che alla loro collocazione in un contesto periferico rispetto allo scacchiere internazionale, in cui non è possibile influenzare le grandi produzioni estere. Se, come detto, nel momento di affermazione deilet’s players l’Italia non ha mostrato un particolare ritardo rispetto all’estero18, in altri casi il cambiamento in corso è stato recepito con maggior lentezza, come nel caso del live streaming, su Twitch19 e sulla stessa YouTube.

2014–ad oggi: stabilizzazione e naturalizzazione

Il gaming su YouTube si trova al momento in una situazione grosso modo stabile. Questo osservando il fenomeno nel comples- so, perché al suo interno il panorama risulta continuamente agi- tato da una serie di movimenti, in cui singoli canali si affermano o declinano. Similmente, si affermano nuove mode legate a nuovi videogiochi20, ma la struttura con cui vengono realizzate le varie tipologie di video (let’s play, walkthrough) non ha subito partico- lari evoluzioni.

18 Ovviamente, in questo periodo, non si assiste solamente all’ascesa di nuo- vi let’s player, anche alcuni canali già aperti nel periodo precedente, come Playerinside e Zeb89, acquisiscono progressivamente un’identità definita. Zeb89, per esempio, si configura come il “personaggio borderline” e fonte di materiale memetico (Andò/Marinelli 2016., p. 43) per cui è tutt’ora co- nosciuto, dopo una prima fase embrionale in cui realizzava contenuti di taglio più generico. 19 Su questo tema si rimanda a Gandolfi (2016; 2018). 20 Anche in questo caso, tuttavia, le tendenze innovative si sovrappongono sempre a forme di ancoraggio agli anni passati, e nonostante la fortissima crescita di videogiochi come Fortnite (Epic Games, 2017) è ancora Mine- craft il più giocato su YouTube: Hernandez (2018). F. Toniolo - I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero 277

Anche in Italia, con un leggero ritardo rispetto all’estero, gli YouTuber di gaming stanno sempre più capitando sotto i riflettori delle industrie culturali e creative, le quali cercano di sfruttarne le potenzialità21, come era già avvenuto con qualche anno di anticipo a proposito di altre categorie (le make up artist, per esempio)22. Questa stabilizzazione si accompagna alla “naturalizzazione” del- lo YouTuber, la cui figura viene sempre meno narrata come biz- zarra curiosità (la prima fase) o misterioso prodigio (la seconda fase), ma come una componente riconoscibile e riconosciuta del panorama mediale. Un simile cambiamento è rintracciabile in dif- ferenti ambiti, fra cui quello delle fiere nazionali sul “mondo nerd”. In questi eventi gli YouTuber sono passati, in meno di un decennio, da “intrusi” che organizzavano piccoli raduni indipendenti a ospiti percepiti come “estranei” a componenti riconoscibili (che non si- gnifica, necessariamente, “accettati”) dell’ecosistema fieristico. Un altro esempio è quello del mondo editoriale, in cui – dopo alcuni embrionali esperimenti – è stato soprattutto dal 2014 in avanti che i libri degli YouTuber (gamer compresi) sono andati sempre più diffondendosi23, andando a formare quello che è quasi considera- bile un sottogenere narrativo. Oltre alla generale tipologia defini- bile come “autobiografia di uno YouTuber”, diversi gamer hanno pubblicato libri specificamente dedicati a videogiochi di ampio successo come Minecraft e Fortnite. I canali di questi YouTuber sono peraltro anche molto appetibili per forme di product placement e branded content, ma queste stra- de sono percorribili solo quando l’offerta è in linea con i contenuti proposti dal canale, perché per uno YouTuber l’autenticità e la coe- renza sono una necessità e, in una certa misura, anche una moneta di scambio. Quando si mantiene all’interno di questi parametri, infatti, uno YouTuber può avere una grande forza di coinvolgimen-

21 Per quanto riguarda un determinato segmento (gli studenti del college) del mercato estero, l’impatto che gli YouTuber possono avere sull’acquisto dei videogiochi è stato studiato da Sachs (2017). 22 Per il mercato internazionale si vedano gli esempi riportati in Cunning- ham/Craig (2017, pp. 71-81), soprattutto nella parte dedicata ai video do it yourself beauty. Per le YouTuber italiane è possibile consultare la clusteriz- zazione presente in Marrix (2017). 23 Si veda anche solo il passaggio dal 2014 al 2016 nella tabella presente in Andò/Marinelli (2016, p. 123). 278 Il videogioco in Italia to, anche attraverso le loro call to action, normalmente indirizzate ad azioni correlate al video (prestare attenzione ai contenuti, la- sciare un like…) ma estendibili ad azioni differenti (Cocker/Cronin 2017). Questo è possibile anche perché i gamer di YouTube han- no visto una fortissima professionalizzazione delle loro logiche produttive, mantenendole però sempre sotto alla patina di quella già citata “cultura da cameretta”, che aveva caratterizzato la fase nascente di questi contenuti. L’effetto ottenuto è uno di quei casi di global public intimacy riscontrabile anche in altri contenuti su YouTube (Gibson 2016) in cui il fruitore (spesso giovane) si sente vicino allo YouTuber, percepito come simile a sé anche per lo spa- zio in cui è collocato (la cameretta, luogo intimo per eccellenza). Diverse strategie comunicative concorrono a questa logica spazia- le, come un certo impiego del “tu” (che sottolinea l’intimo rappor- to con un utente) e il “voi” (in cui risalta il valore comunitario di coloro che seguono uno YouTuber) (Tolson 2010). Rimane da domandarsi se questo riconoscimento del potenzia- le, comunicativo e “industriale”, degli YouTuber sia giunto troppo tardi oppure no per una piena e virtuosa sinergia con i produttori e i distributori di videogiochi. Come accennato, al momento si assi- ste a una fase di stabilizzazione (delle loro modalità comunicative e del loro posizionamento rispetto alle industrie), ma il panorama mediale è in rapida evoluzione e non è da escludere una radicale trasformazione – non una scomparsa, probabilmente – delle logi- che sottese a questa produzione audiovisiva. L’ascesa di Twitch ne è un esempio. Questa piattaforma non ha annientato YouTube, ma ne ha reindirizzato le logiche interne, con una forte crescita del live streaming (Batchelor 2018). È probabile che questi creatori, più o meno riposizionati, continueranno ad assumere almeno per qual- che altro anno un ruolo importante, perlomeno come diffusori di contenuti, nel panorama delle industrie creative in generale e, più nello specifico, anche nella produzione italiana di videogiochi24.

24 Si pensi al rapporto di uno YouTuber come Fraws (Francesco Miceli) del canale Parliamo di videogiochi con gli eventi della scena indie italiana come lo Svilupparty di Bologna: Fraws partecipa ogni anno all’evento e realizza una serie di video sui prodotti italiani che reputa più interessanti, contri- buendo a farli conoscere a un pubblico più ampio. F. Toniolo - I videogiochi su YouTube: un confronto fra Italia ed estero 279

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L’istituzionalizzazione della cultura del videogioco in Italia.

L’istituzionalizzazione di un medium che si suppone “nuovo” sembra presentare sul suo percorso alcune pietre miliari costan- ti (Bolter/Grusin 2002, Manovich 2002, Catolfi 2005, Quaranta 2010). Esso pare obbligato a percorrere alcune tappe obbligate prima di arrivare ad una piena riconoscibilità e accettazione. Fra esse: l’essere poco conosciuto e conseguentemente poco compre- so a causa della sua novità; l’essere sottovalutato quale dispositivo in grado di produrre cultura o sistemi di significazione rilevanti a confronto dei media già affermati; l’essere temuto per questio- ni etiche o economiche; il doversi affermare non esclusivamente presso le subculture contemporanee, ma il doversi proporre a un più ampio strato sia culturale che sociale, transitando in una cul- tura mainstream; il doversi sottoporre a una canonizzazione delle opere che propone, una volta riconosciuta una certa ampiezza del pubblico potenziale, sviluppando una implicita gerarchizzazione dei prodotti che presenta. Tale valutazione piramidale dei prodotti del nuovo medium – per cui esso ne produrrebbe alcuni di “basso” valore, ma anche altri che possono aspirare al vertice della pirami- de – risponde a un’esigenza di nobilitazione che deriva da una base classista. Se un oggetto è “nobile”, “alto”, “culturalmente degno”, può essere legittimamente fruito da strati sociali e classi di età di- versi dai poveri, dai giovani, dalla massa informe, ne consegue che esso può essere accettato anche dalle élite, divenendo pienamente istituzionalizzato. Un percorso di questo tipo è comune, ad esem- pio, al cinema, alla radio e al fumetto. Anche il videogame sembre- rebbe non esservi sfuggito. Il videogioco è infatti passato dall’es- sere oggetto misterioso, patrimonio di una combriccola di iniziati fino ai primi anni ‘70 (Accordi Rickards 2014), ad essere uno stru- 284 Il videogioco in Italia mento di comunicazione che pian piano si è fatto di massa (è stato riconosciuto come “medium” (McLuhan 2008, Di Martino 2009, Ortoleva 2009), e, con il passare degli anni ha ricevuto il sigillo di strumento capace di comunicare “artisticamente”, sia pure per un ristretto novero di prodotti. In questo ambito si pone la questione di come introdurre il videogioco all’interno dell’ambito accademi- co e come collocarlo rispetto agli studi sui saperi tradizionali. Il videogioco sembra essere ancora, probabilmente, “nel mezzo del periglioso tragitto” che conduce alla sua istituzionalizzazione, ossia al suo riconoscimento diffuso presso istituzioni culturali o iniziative culturali deputate quali Università, Ministeri, enti pub- blici, scuole superiori, Accademie, archivi, convegni, seminari, fe- stival, pubblicazioni. La gioventù mediale del videogioco è del tutto questionabile, a dispetto del fatto che i discorsi di riviste e comunità online che lo riguardino siano fortemente schiacciati sul “nuovo” o sul “prossi- mo” (Newman 2008). Le ricerche storiche del settore hanno am- piamente riconosciuto la longevità del videogioco (gli antenati ri- salgono alla prima metà del Novecento, se non volessimo rievocare esperienze ancora precedenti (Huhtamo 2012)). È peraltro patente il rilievo economico del settore – evidente anche empiricamente, al di là degli ovvi richiami al fatturato del comparto avanzati da alcune piccate analisi di studiosi del videogioco e operatori indu- striali (Accordi Rickards/Vannucchi 2013). Nonostante la consta- tazione di persistenza negli anni e rilievo economico del mezzo, esso ancora oggi soffre di qualche problema di riconoscibilità pres- so gli interlocutori istituzionali. La ragione è da rinvenirsi, verosi- milmente, in una non approfondita conoscenza dello stesso. Dun- que la sua “novità”, del tutto fittizia, è un primo ostacolo alla sua istituzionalizzazione. Allo stesso modo il successo del videogioco quasi esclusivo presso una fascia di età specifica nel corso degli anni Ottanta e Novanta ha contribuito a collocarlo nell’immagi- nario collettivo fra gli spazi dell’intrattenimento esclusivamente giovanile, apparendo come un medium minore e fortemente indi- rizzato rispetto alle più ampie platee televisive o cinematografiche (Newman 2004). Tuttavia l’effetto sociale del medium è stato più volte rilevato e il timore che esso potesse collocarsi al posto dei più tradizionali e più “eticamente” accettabili e accettati media prece- denti è concreto, percepibile nei dibattiti sulla “violenza” rappre- F. Giordano - Nel mezzo del periglioso tragitto 285 sentata e sollecitata dallo stesso videogame (Dill/Dill 1998, Jenkins 2006, Ferguson 2007, Fassone 2017) o sulla povertà dei contenuti dello stesso a confronto di quelli di un film o un romanzo (Grigo- letto 2006, Giordano 2011, Fassone 2017). Tuttavia negli ultimi anni la situazione è potenzialmente cam- biata. Il videogioco ha costituito un proprio canone, ovvero un proprio elenco di testi privilegiati o irrinunciabili, iniziando a pro- porlo in maniera sistematica (Therrien 2012, Giordano 2017) anche al di fuori degli spazi che sarebbero propri al mezzo, conquistan- do territori di altri media (Bolter/Grusin 2002) (si vedano i film, le trasmissioni o perfino i canali televisivi come Ginx Esports Tv che si richiamano esplicitamente al medium videoludico e al suo canone, pur operando in un ambito differente da quello del vide- ogame). Inoltre un numero di utenti sempre più vasto e vario per età e composizione sociale si approccia ai dispositivi per il gaming. Resta da chiarire se sussista il riconoscimento del videogioco in maniera chiara e netta da parte delle élite intellettuali. Le di- mensioni in cui si potrebbe misurare il consenso intellettuale sul medium e un conseguente principio di istituzionalizzazione sa- rebbero quelle in cui si fosse effettuata la “ricerca”, lo “studio”, la “valorizzazione culturale” del videogioco. Persino per un contesto non sempre ricettivo nei confronti della produzione videoludica come quello nazionale italiano (nel quale un vero e proprio tes- suto industriale diffuso si è formato solo di recente dopo le prime esperienze pionieristiche dei tre decenni precedenti quest’ultimo) sembrerebbe intravedersi qualcosa del genere. Questa valorizza- zione della cultura del videogioco sembra esplicarsi in massima parte nella ricerca accademica, tuttavia quest’ultima si incrocia con ambiti tangenti che ne confermano ed espandono la logica di istituzionalizzazione. Possiamo sintetizzare i differenti domini della cultura e della ricerca sul videogioco in uno schema quadri- partito:

1 – I corsi di Università e Accademie che hanno affrontato l’ambi- to videoludico, verificandone specificità, obiettivi e ambiti e i con- vegni o seminari che si sono occupati del tema in questo contesto. 2 – Le istituzioni che si occupano non come missione istituzio- nale, ma in maniera tangente di ricerca sul videogioco (archivi o musei, associazioni di produttori). 286 Il videogioco in Italia

3 – Mostre, premi e i festival che possono presentare connessio- ni con la ricerca accademica sui videogiochi. 4 – Le iniziative editoriali che hanno origini accademiche, o che possono essere utilizzate in maniera fruttuosa per appro- fondire la ricerca scientifica sul videogioco (dalle pioneristiche pubblicazioni prive di una metodologia assestata, allo sviluppo dei game studies in senso proprio attorno al lavoro di Matteo Bittanti e delle collane Ludologica e Videoludica, ad iniziative più recenti quali la rivista GAME. The Italian Journal of Game Studies). Il riconoscimento di “valore culturale” al videogioco in Italia ha avuto uno sviluppo lento ma costante. La sua origine, se si volesse cogliere una genetica nazionale, è esterna alla cerchia universitaria. Pur sussistendo fin da subito nei primi testi con esplicita metodologia scientifica pubblicati in Italia – quelli cu- rati con spirito pioneristico da Matteo Bittanti – un chiaro rife- rimento all’ambito dei game studies così come si sono sviluppa- ti nei luoghi di elezione (l’America e il Nord Europa), l’origine va ricercata nel mainstream dei discorsi videoludici su riviste e giornali e nella cultura hobbystica. Le pubblicazioni librarie na- zionali degli anni Ottanta e Novanta – prodotti originali o tra- duzioni di testi esteri – osservavano il gioco esclusivamente dal punto di vista della sua funzione di “programma informatico” e le macchine da gioco come elaboratori dei programmi stessi, op- pure si presentavano sotto forma di repertori in cui si avviava una prima canonizzazione del videogame, basata per lo più su valu- tazioni estetiche di tipo impressionistico o assestate convinzioni giornalistiche sull’evoluzione tecnica del mezzo. Anche i primi testi storici strutturati pubblicati negli anni Novanta, quelli di Carlà e Bittanti, come pure la traduzione del testo di J.C. Herz, Il popolo del joystick, rispondono all’esigenza di costruire un pron- tuario sintetico, riconoscibile e riassumibile dalla prospettiva di un singolo studioso, più che alla necessità di avviare un percorso di approssimazione collettiva ad una storia generale (Carlà 1993, Herz 1998, Bittanti 1999). Non è molto diverso da quanto è suc- cesso con la storiografia cinematografica. Questi primi testi sono dunque funzionali all’istituzionalizzazione del medium, prima ancora che innesti di una costruzione storiografica su base docu- mentale di origine strettamente accademica. F. Giordano - Nel mezzo del periglioso tragitto 287

Un focus sull’ambito accademico

A seguito di questa fase i game studies italiani, o meglio la cul- tura del videogioco, sembra trovare il proprio spazio presso le elitè intellettuali italiane. Uno dei luoghi in cui questa presa di posizio- ne sempre più decisa ha assunto evidenza è l’Università. L’interesse accademico sancisce per il videogioco il riconoscimento di un ruolo paragonabile a forme pienamente accreditate come “artistiche” e l’attribuzione di un valore non meramente ricreativo o economico al medium. I soli tentativi di sostegno del mezzo da parte dell’asso- ciazione di categoria dei produttori italiani AESVI (ora IIDEA) o la promozione di iniziative di formazione tecnica o raduni e festival dedicati sono – o meglio sono stati – elementi necessari, ma non sufficienti a garantire la piena legittimità della collocazione del vi- deogioco fra i possibili interessi consentiti delle elitè intellettuali. Lo studio del videogioco nelle istituzioni formative superiori si è sviluppato sia attraverso iniziative universitarie più convenzionali– corsi di laurea e laboratori universitari –, che attraverso iniziative episodiche o non riferibili ad un percorso che conduce ad una “lau- rea” di qualche tipo. Queste iniziative risultano di non minore inte- resse o valore formativo in alcuni casi, ci riferiamo a Master, corsi di alta formazione, corsi privati, esperienze delle Accademie di Belle Arti. Per ragioni di spazio e di obiettivi del saggio ci limitiamo a ci- tare alcune delle iniziative più note e rilevanti. A Roma è attiva una vera e propria laurea sulla cultura dei videogiochi ad ampio raggio, promossa dalla VIGAMUS Academy – emanazione del progetto museale più noto in ambito videoludico a livello nazionale – entro l’Università Link Campus1. L’Università Statale di Milano propo- ne una “Laurea Magistrale in Video Game”, che nasce dalle attività di un laboratorio interno alla facoltà di Informatica della Statale denominato “PONG – Playlab fOr inNovation in Games”2. Que- sto corso si realizza in collaborazione con il Politecnico della stessa città. Tra le attività formative collaterali di questo gruppo di lavo- ro vi è l’evento annuale “New Game Designer”, promosso dall’Uni-

1 https://www.vigamusacademy.com/ 2 Al gruppo collaborano docenti interni all’Ateneo milanese e collaborato- ri esterni associati al gruppo di ricerca https://pong.di.unimi.it/thelab/ faculty. Si ringrazia Ilaria Mariani per il supporto nella mappatura delle istituzioni milanesi. 288 Il videogioco in Italia versità Statale di Milano in collaborazione con AESVI e Politecni- co, in cui i “prototipi di videogiochi creati dagli studenti dei corsi Online Game Design dell’Università Statale3 e Videogame Design and Programming del Politecnico di Milano4” possono essere te- stati, sottoposti a giudizio da parte di una giuria, di rappresentan- ti dell’industria e del pubblico. Inoltre, attorno ai corsi dedicati al videogioco del Politecnico milanese, ma aperto anche a studenti della Statale, è nato “Polimi Game Collective”5. In esso sono accolti ex allievi e studiosi interessati allo sviluppo dei videogiochi, propo- nenti sia una collaborazione con Global Game Jam – di cui il Poli- tecnico milanese è una delle sedi ospiti -, sia una valorizzazione dei giochi prodotti dagli studenti in contesti più professionali. Accanto a queste esperienze più note ve ne sono altre di qualche rilievo en- tro le facoltà di informatica, ad esempio l’Università della Calabria propone una laurea magistrale in “Informatica con curriculum in Artificial Intelligence and Games”6 e l’Università Tor Vergata di Roma attiva un corso di “Scienze e tecnologie dei media”7, nelle quali sono presenti materie dedicate alla programmazione video- ludica o funzionali alla stessa. La facoltà di informatica udinese ha attivo un corso triennale ibrido umanistico/scientifico in “Scienze e tecnologie multimediali”8, con sede a Pordenone, dov’è presente un “Laboratorio in Game Programming”, e una magistrale in “Co- municazione Multimediale e Tecnologie dell’Informazione”9. Nel- le Università Cattolica di Milano, Bologna, Federico II di Napoli, Iulm, Lecce, Perugia Stranieri, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata, Salerno, Torino, Udine (con sede al Dams di Gorizia), nei corsi di Comunicazione, Dams, o più in generale nei corsi di Lettere e fi- losofia sono attivate singole materie dedicate ai videogiochi o alla gamification, orientate in senso umanistico/mediologico/sociolo- gico. A Torino, Salerno e Modena/Reggio Emilia sono attivi gruppi di studio sul gioco in senso lato. A Salerno in particolar modo è presente un gruppo di ricercatori che indaga stabilmente il vide-

3 https://onlinegamedesign.ariel.ctu.unimi.it/v5/home/PreviewArea.aspx 4 http://www.unimi.it/lastatalenews/new-game-designer-2018 5 http://www.polimigamecollective.org/ 6 https://www.mat.unical.it/informatica/Corsi 7 http://www.scienzamedia.uniroma2.it/ 8 http://stm.uniud.it/ 9 http://cmti.uniud.it/ F. Giordano - Nel mezzo del periglioso tragitto 289 ogioco in senso pedagogico. In alcuni casi sono presenti materie legate alla localizzazione dei videogiochi (Bologna, Perugia Stra- nieri). Un caso peculiare è quello dello IUDAV (Istituto Universi- tario Digitale di Animazione e Videogiochi) di Solofra in provincia di Avellino che – con il coordinamento del settore formativo di un nome noto dell’industria videoludica, quello di Riccardo Cangini fondatore di Artematica – offre un percorso di laurea triennale e un Bachelor of Arts in Digital Arts – Video Game e Animation10. I corsi sono riconosciuti non come laurea nazionale, ma come tito- lo europeo dal ministero maltese dell’educazione, grazie alla col- laborazione del Valletta Higher Education Institute di Malta11 (in sostanza parificandoli a un titolo italiano). Il tipo di metodologia e le materie erogate sono fortemente orientate alla professiona- lizzazione, con una dimensione teorico-accademica molto meno spiccata che nei percorsi italiani che si definiscono “corsi di laurea”. Anche le Accademie di Belle Arti, in particolar modo quelle private legalmente riconosciute, hanno spesso dedicato corsi alla cultura del videogioco (Carrara, Catania, Macerata, Palermo, Urbino), in un paio di casi offrendo un vero e proprio indirizzo specifico (il triennio in “Nuove tecnologie dell’arte” dell’Accademia Santa Giu- lia di Brescia12 e quello in “Creative Technologies” della NABA13). Corsi di alta formazione correlati alle strutture universitarie sono stati avviati in più sedi. Master in sviluppo dei videogiochi o game design sono stati attivati dalle Università di Genova, Iulm di Mila- no, Verona. Ma sono stati creati anche Master per settori più spe- cifici quali la localizzazione del videogioco (Università di Trento), l’animazione e il rendering (Università Tor Vergata di Roma), o il managment in ambito videoludico (LUISS di Roma) e corsi di for- mazione avanzata come quello in “Vr, New Media Art e Gaming per i Beni culturali” di Roma La Sapienza e quello in “Gamifica- tion and Engagment Design” dell’Istituto Europeo del Design di Milano. In alcuni casi corsi che si auto-nominano Master o Corsi di

10 http://www.vallettainstitute.com/ 11 Valeria Chianese, I primi laureati in videogiochi all’università fondata da un prete, in https://www.avvenire.it/economia/pagine/alluniversit-cam- pana-dei-videogiochi-ci-sono-i-primi-laureati, 8 giugno 2018 12 https://www.accademiasantagiulia.it/diploma-progettazione-arti-appli- cate/corso-di-nuove-tecnologie-dell-arte 13 https://www.naba.it/it/trienni/triennio-in-creative-technologies 290 Il videogioco in Italia alta formazione sono realizzati da enti o associazioni private e non riconosciute dal sistema del Miur o della formazione professiona- le statale (si cita a titolo di esempio il Master per Game Designer dello Studio Delta di Bari). Ulteriori iniziative formative rilevanti, sia pure anch’esse esterne al sistema del riconoscimento pubblico sono quelle dell’ACCA di Jesi14, dell’Accademia Italiana dei Video- giochi di Roma15, della Digital Bros Game Academy di Milano16, di Event Horizon di Torino17, della Bottega Finzioni fondata da Carlo Lucarelli (dedicata alla scrittura del videogioco)18. Sono iniziative formative che si propongono come vere e proprie “scuole” o “corsi professionalizzanti” più che come master o corsi di alta formazio- ne. Innumerevoli sono poi le iniziative convegnistiche, festivaliere o simili in ambito accademico o para-accademico che in qualche modo si riferiscono alla cultura del videogioco.

Problemi e opportunità dello studio del videogioco in ambito ac- cademico

Da questa mappatura parziale della formazione videoludica emer- gono alcuni problemi evidenti. Anzitutto è presente nell’offerta una forte mescolanza di differenti erogatori di formazione per uno stes- so settore: Università, Accademie, private e pubbliche, istituti privati non inquadrati nel sistema riconosciuto della formazione nazionale, enti non riconosciuti dal sistema nazionale, ma riconosciuti da istitu- zioni europee. Ne deriva una scarsa chiarezza su quale debba essere il percorso di studi proprio per una formazione in ambito videoludico. Accanto ai Master erogati dalle Università quali percorsi post-laurea per loro natura professionalizzanti, spesso alcuni corsi di laurea o i singoli corsi accademici interni al tradizionale percorso di laurea triennale e specialistica sembrano voler ricoprire questo ruolo pur non essendo da statuto un loro compito precipuo. Inoltre non sus- siste una apparente prevalenza o suddivisione di ruolo fra istituti di erogazione così differenti. All’attività “convenzionale” delle Universi-

14 https://www.acca.academy/default.html 15 https://www.aiv01.it/ 16 https://www.dbgameacademy.it/ 17 https://www.eventhorizonschool.com/corsi/game-design/ 18 https://www.bottegafinzioni.it/ F. Giordano - Nel mezzo del periglioso tragitto 291 tà (quella erogata attraverso i corsi triennali, specialistici e laboratori) spesso non è demandato il compito della formazione culturale video- ludica in senso lato, ma piuttosto con essa di contribuisce ad una for- mazione direttamente professionalizzante. Non esiste, dunque, una suddivisione netta fra formazione culturale in ambito videoludico e formazione professionale (non esiste un modello di suddivisione dei compiti formativi paragonabile a quello di DAMS/Accademie di Bel- le/Enti di Alta formazione artistica e musicale). Vi è poi un problema di collocazione disciplinare. L’assetto accade- mico dei game studies in Italia non ha una sede disciplinare precisa. Sembrerebbe proporsi la prevalenza di quattro settori specifici:

1. Media Studies (L-ART/06) 2. Sociologia della comunicazione (SPS/08) 3. Informatica (INF/01) 4. Scienze umane: pedagogico/psicologiche (M-Ped/01 e 03 in particolare)

Tuttavia molte esperienze formative legate ai settori ICAR di di- segno o disegno industriale hanno evidenti legami indiretti, e in alcuni casi diretti (si veda, ad esempio, il lavoro di Ivan Paduano presso VIGAMUS Academy e Università La Sapienza) con il video- gioco, ma la loro mappabilità è quasi impossibile. Si tratta di cor- si che avanzano proposte formative molto generali, entro le quali possono rientrare elementi utili alla realizzazione del videogioco, ma come conseguenza non immediatamente evidente dalla pro- grammazione dei corsi. La dispersione pluridisciplinare del settore videoludico nell’am- bito formativo italiano ha alcune conseguenze positive. Sono al- meno quattro questi potenziali punti di forza:

1. Una maggiore interdisciplinarità 2. La possibilità di creare rapporti fra settori disciplinari svariati e proporre progetti comuni (con conseguente maggiore drenaggio di risorse) 3. La possibilità di attivare discipline con forti predisposizioni laboratoriali 4. La capacità di attrarre risorse umane extra-accademiche, e di instaurare con le stesse un fruttuoso rapporto di scambio di metodi. 292 Il videogioco in Italia

Tuttavia non possono non rilevarsi alcune problematicità, quali la difficoltà ad inserire eventuali lauree specifiche in un area disci- plinare precisa (ad es. Area 10 - Scienze dell’antichità, filologico- letterarie e storico-artistiche), la scarsa riconoscibilità del settore e conseguente difficile possibilità di avanzamento di carriera con un profilo di ricerca esclusivamente legato ai game studies da parte degli studiosi che si occupano di videogames, la difficoltà ad indi- viduare referenti istituzionali per proporre ricerche sul videogioco, la difficoltà a trovare collocazione delle pubblicazioni coerenti con la ampia gamma di settori disciplinari coinvolti (peraltro alcuni ri- spondenti a criteri bibliometrici per la valutazione ed altri no) e con la possibilità di valutazione delle pubblicazioni per lo scriven- te solo per il settore disciplinare cui la rivista scientifica afferisce, infine la difficoltà a fare riconoscere le differenti metodologie nei settori specifici, con conseguente complessità a fare ammettere in fascia A le potenziali riviste di settore. La prevalenza fra gli stu- diosi strutturati di soggetti provenienti dagli studi su film e media o di pedagogia è indicativo di quale sia l’istituzionalizzazione del videogioco, ovvero quella di una materia che pur avendo ottenuto una decisa visibilità, e un qualche riconoscimento del suo rilievo (quantomeno valutando i numeri del settore industriale e della conseguente domanda di formazione) non è ancora sufficiente- mente forte da essere indipendente. I docenti sono spesso obbligati a presentare prodotti in ambiti non esclusivamente legati ai game studies per essere identificabili dal proprio settore disciplinare. La mancanza di un settore chiaramente distinguibile come indipen- dente non è però la sola ragione di preoccupazione. Vi sono que- stioni interne ai game studies che sono altrettanto problematiche. La rarità di docenti strutturati in ambito videoludico nelle istitu- zioni statali o legalmente riconosciute si accompagna alla ancora evidente debolezza delle istituzioni non accademiche e alla con- seguente impossibilità di formare figure professionali che possano avere un percorso di formatori di lungo corso strutturalmente. Nei corsi di laurea o Master dedicati al videogioco fortemente orien- tati alla professionalizzazione vi è una prevalenza di docenti non strutturati, essendo le competenze richieste ed erogate di ordine tecnico-pratico. Questo implica un peso accademico minore degli stessi docenti, e il rischio di una chiusura piuttosto preoccupante su un “tecnicismo” che sembri bastare a se stesso, o su una malinte- F. Giordano - Nel mezzo del periglioso tragitto 293 sa “autonomia” della materia videoludica dal resto degli ambiti del sapere. Vi sono poi alcune lacune in ambito accademico e istituzio- nale nella ricerca di base. Fra le più evidenti, sulle quali si potrebbe incidere nell’immediato, possiamo citare: l’assenza di protocolli metodologici condivisi, lo scarso rilievo dello studio filologico e della ricerca d’archivio, la mancanza di consapevolezza della ne- cessità di avviare un ampio processo di restauro e conservazione del patrimonio videoludico, la tendenza a proporre uno studio del videogioco separato dagli altri ambiti del sapere, la resistenza a pre- sentare uno studio del videogioco che sappia anche essere “critico” e non solo apologetico delle esigenze industriali (col conseguente privilegio della formazione di “tecnici”). Sussistono poi problemi strutturali di più difficile soluzione nel breve termine, ma dei qua- li bisogna essere consapevoli per impostare un lavoro di possibile perfezionamento in prospettiva: lo scarso sostegno economico e lo scarso rilievo a confronto con altri settori disciplinari delle inizia- tive di ricerca sul videogioco, la scarsa collaborazione fra studiosi dello stesso oggetto collocati in settori disciplinari diversi, la ne- cessità di una mappatura completa e realistica delle tesi di laurea e di dottorato da collocare in un repertorio accessibile – utile poi per segnalare il rilievo scientifico, e non solo sociale, dell’argomento videoludico –, la resistenza ad individuare un macro-settore che sia quello trainante e nel quale si possano inserire i game studies propriamente intesi (quelli umanistici), la difficoltà a staccarsi dal colonialismo degli studi di lingua inglese proponendo una linea di game studies effettivamente italiana. Questo quadro complesso e ricco di problematicità attesta una condizione bifida del videogioco e della sua istituzionalizzazione attraverso la costituzione di una “cultura” dello stesso. Da un lato abbiamo rilevato che questa istituzionalizzazione è intervenuta attraverso la considerazione del videogioco come oggetto cultural- mente significativo attraverso istituzioni, iniziative festivaliere ed editoriali, e soprattutto percorsi di formazione, che è l’ambito di cui ci siamo occupati più specificamente. Dall’altro lato abbiamo dovuto constatare quanto questo riconoscimento non si presenti ancora come “pieno” e come la presenza accademica degli studi sul videogioco stenti a produrre un percorso organico e un gruppo di studiosi indipendenti e dotati di potere contrattuale sul proprio oggetto di studio entro le istituzioni in cui sono inseriti. Molte ini- 294 Il videogioco in Italia ziative sono ancora funzionali ad un riconoscimento che non si ritiene completo, per cui devono piegarsi a logiche promozionali o appiattirsi sulle esigenze dell’industria che possa valorizzarle o so- stenerle per essere accettate in ambito istituzionale, percependosi implicitamente come qualcosa che deve ancora essere “pubbliciz- zata” per avere un valore, non trovandolo in se stessa automatica- mente. Superare queste criticità è il prossimo passo cui la ricerca accademica sul videogioco dovrebbe dedicarsi, operando la defini- tiva, consequenziale, istituzionalizzazione del medium.

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

FELICE ADDEO, Dottore di Ricerca in Scienze della Comuni- cazione, è Ricercatore in Sociologia Generale presso l’Università di Salerno; dal 2008 è professore di ruolo di Tecniche di Ricerca Sociale e di Mercato e Metodologia e Tecnica della Ricerca Sociale. Tra le sue ultime pubblicazioni: Doing Social Research on Onli- ne Communities: The Benefits of Netnography (2020); Measuring Digital Capital: An empirical investigation (2019); Paideia Be- twe- en Online and Offline: A Netnographic Research on Fan Fiction Communities (2017); The Walking Dead, epitome della Zombi Re- naissance (2015).

GIANLUCA BALLA ha conseguito un dottorato di ricerca in Film and Television Practice and Technology alla University of York; la sua tesi investiga l’impatto che l’uso di visual effects di- gitali ha sulla metodologia registica. La sua ricerca si incentra su- gli approcci industriali di produzione filmica, sviluppo di giochi e narrativa transmedia. Balla è anche un produttore di contenuti transmedia e il direttore delle compagnie di produzione Transme- dia Tale e Whip Ma Whop Ma Film. Nel 2018, il film da lui diretto, Shelf Life, finanziato dall’AHRC, è stato selezionato per il Research in Film Awards al BAFTA, per il suo uso di audio binaurale 3D e montaggio audio innovativo rivolto a un pubblico ipovedente. Balla insegna Games Art, Visual Effects e Animazione alla Brunel University London, Game Design Division.

MATTIA BARRA è laureato magistrale cum laude in Teoria dei linguaggi e della comunicazione audiovisiva presso l’Università di Salerno con una tesi dal titolo Re-Vision/Re-Play: Il videogame come nuova forma di sperimentazione digitale. Appassionato di radio, cinema, fumetti, videogames e tecnologia, ha collaborato con le cattedre di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali e Me- dia Digitali presso l’Università di Salerno. Tra le sue pubblicazioni, Game Se-ries: il linguaggio seriale nel mondo videoludico (2016). 298 Il videogioco in Italia

Artista, curatore e accademico, MATTEO BITTANTI studia gli aspetti culturali, sociali ed estetici delle tecnologie emergenti e, in particolare, la relazione tra i nuovi media e l’arte contemporanea. Il suo approccio interdisciplinare si colloca all’intersezione tra media studies, game studies e visual studies. Bittanti è Professore Associato in Media Studies all’Università IULM, dove coordina un Master of Arts in Game Design. In precedenza, ha svolto attività di insegnamento e/o ricerca presso Stanford University, University of California, Berkeley e California College of the Arts di San Fran- cisco. Le sue ultime pubblicazioni includono Giochi video. Per- formance, spettacolo, streaming (Mimesis, 2018, insieme a Enrico Gandolfi) e Machinima. Dal videogioco alla videoarte (Mimesis, 2017). Vive a Milano e San Francisco.

MARCO BENOÎT CARBONE (PhD, University College, Lon- don) è Lecturer alla Brunel University, London, dove insegna Sto- rie dei media, Teorie della cultura e Metodologie di ricerca sociale. Ha pubblicato una monografia (Tentacle Erotica, 2013) e saggi in volume e articoli per svariate riviste e volumi. È curatore di una ru- brica su cinema e videogiochi per Segnocinema, tra i fondatori di “GAME – Games as Art, Media, Entertainment. The Italian Journal of Game Studies” e membro delle sezioni italiana e del Regno Uni- to di DiGRA – Digital Research Association e di Women in Games Italia. Fa parte dell’editorial board di “JICMS – Journal of Italian Cinema & Media Studies”.

MICHAEL CASTRONUOVO è dottorando al terzo anno del corso in Studi Audiovisivi dell’Università degli Studi di Udi- ne, dove sta conducendo una tesi sulle proprietà narrative della spazialità videoludica. Tra i suoi interessi di ricerca ci sono l’envi- ronmental storytelling e il videogioco giapponese. Ha pubblicato sulla rivista “La Valle dell’Eden” e partecipato in veste di relatore a convegni nazionali e internazionali dedicati ai game studies. Fa parte del gruppo per la didattica e la formazione sulle nuove tec- nologie multimediali Resident Bytes.

FELICE DI GIUSEPPE, laureato in Scienze della Comunicazio- ne presso l’Università di Salerno, è un appassionato attivo nel campo dell’informazione e della critica dei videogiochi da oltre 10 anni. Dopo F. Giordano - Note biobibliografiche 299 numerose collaborazioni con testate specializzate quali “VG247” e “IGN” e la supervisione della sezione videogiochi di “Mediaset Tgcom24”, “Mastergame”, ricopre il ruolo di redattore su “Everyeye”.

RICCARDO FASSONE è ricercatore presso l’Università di Torino, dove insegna Storia dei media e Storia e teoria delle forme videolu- diche. È autore di due monografie – Every Game is an Island (Blo- omsbury, 2017) e Cinema e videogiochi (Carocci, 2017) – e di numerosi articoli e saggi in volume. È inoltre tra i fondatori di “GAME – Games as Art, Media, Entertainment. The Italian Journal of Game Studies”.

DALILA FORNI è dottoranda presso il Dipartimento FOR- LILPSI dell’Università di Firenze, dopo essersi laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Milano. I suoi interessi di ricerca includono gli studi di genere ed LGBTQ e la letteratura per l’infanzia. Nello specifico, si occupa della formazione dell’im- maginario giovanile da un punto di vista di genere, con particolare attenzione all’influenza di diverse forme di narrazione, dalla lette- ratura, all’animazione, fino ai videogiochi.

ENRICO GANDOLFI, PhD, è assistant professor alla Kent Sta- te University, Ohio. Si occupa di tecnologie educative, cultura del videogioco e media audience. È autore di numerosi articoli per ri- viste accademiche internazionali (tra cui “Convergence”, “Games and Culture”, “Simulation and Gaming”, “Information Visualiza- tion” e “Feminist Media Studies”), capitoli in curatele edite per Routledge e MIT Press, e delle monografiePiloti di Console, Gene- razione Nerd e Videogiochi Indipendenti.

FEDERICO GIORDANO è ricercatore all’Università per Stra- nieri di Perugia. Dirige con Alberto Brodesco e Bernard Perron la collana Postcinema & Digital Cultures per Mimesis International. È fondatore e fra i coordinatori redazionali di “GAME – Games as Art, Media, Entertainment. The Italian Journal of Game Studies”. È membro del comitato organizzativo dell’International Udine Film Studies Conference (Filmforum) e della Magis Spring School dell’U- niversità di Udine, entro la quale coordina la sezione Post-cinema. I suoi interessi di ricerca principali sono il cinema italiano contempo- raneo, il paesaggio nei media, la filologia del videogioco. Tra le sue 300 Il videogioco in Italia pubblicazioni principali: Giro di orizzonte. Cinema, spazi, paesaggi dal Sud e oltre (2010); The Archives. Post-Cinema and Video Games Between Memory and the Image of the Present (2014, con Bernard Perron); L’immagine videoludica. Gamification, cinema e videogioco (2015, con Antonio Catolfi);Paesaggi meridiani (2018).

IVAN GIRINA è Lecturer in Game Studies alla Brunel Univer- sity London, dove insegna teoria e estetica del videogioco. I suoi interessi di ricerca includono i rapporti intermediali tra cinema e videogioco, la media literacy e il cinema regionale. Su questi temi ha pubblicato saggi e articoli in riviste di settore. È membro della re- dazione della rivista “GAME – Games as Art, Media, Entertainment. The Italian Journal of Game Studies”, per la quale ha curato diversi numeri, incluso uno sulla dimensione della agency nel videogioco.

PEPPINO ORTOLEVA è studioso di storia dei media, opera nel campo della ricerca sulla comunicazione e della produzione cultu- rale, ed è curatore di mostre, musei e programmi radiofonici. Fino al 2018 è stato professore ordinario di Storia e Teoria dei media all’Uni- versità di Torino. Ha pubblicato oltre un centinaio di lavori scientifi- ci su storia, società e media. Tra le sue pubblicazioni, il volume Cine- ma e storia (Loescher, Torino 1991), I movimenti del ’68 in Europa e in America (Editori Riuniti, Roma 1998), Mediastoria (Il Saggiatore, Milano 2002), Lavorare nei media, produrre cultura (con V. Solari, Franco Angeli, Milano 2003), Le onde del futuro (con G. Cordoni e N. Verna, Costa e Nolan, Milano 2006), Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie (Il Saggiatore, Milano 2009), Dal sesso al gioco (Express, Torino 2012), Miti a bassa intensità. Racconti, media, vita quotidiana (Einaudi, Torino 2019). Ha curato, con B. Scaramucci, l’Enciclopedia della radio (Garzanti, Milano 2003).

PAOLO RUFFINO è Lecturer in Communication and Me- dia presso la University of Liverpool, Regno Unito. È autore di Future Gaming: Creative Interventions in Video Game Culture (Goldsmiths/MIT Press 2018), e curatore di diverse collane, tra cui “Rethinking Gamification” (Meson Press, 2013) e “Independent Vi- deogames: Cultures, Networks, Technics and Politics” (Routledge, 2020). Il suo ambito di ricerca si concentra sulle nuove dinamiche Note biobibliografiche 301 di sviluppo di videogiochi, con particolare attenzione alle produ- zioni indipendenti, ai tentativi di sindacalizzazione dell’industria, e all’introduzione di sistemi di automatizzazione per la produzio- ne e consumo di testi interattivi. Ha ottenuto un PhD in Media and Communications presso la Goldsmiths, University of London, nel 2015. Dal 2017 coordina la divisione italiana di DiGRA (Digital Games Research Association).

ANDREA PACHETTI (Livorno, 1975) si è occupato di program- mazione grafica (VR, realtà aumentata, sviluppo di videogiochi) coltivando da sempre un interesse verso l’home computing degli anni Settanta/Ottanta e il mondo videoludico degli esordi, soprat- tutto in riferimento alla conservazione storica e digitalizzazione del patrimonio hardware e software. Tali ricerche si sono concretizzate nella creazione del sito “Quattro Bit”, che cura da oltre dieci anni.

MATTEO TARANTINO è Ricercatore presso l’Università Cat- tolica del Sacro Cuore di Milano e Lecturer presso l’Università di Ginevra. Le sue ricerche si concentrano sul tema della relazione tra società, cultura e digitale, in particolare con riferimento allo spazio urbano, alla sostenibilità ambientale, e all’archeologia del digitale. E’ cofondatore della Sessione ECREA su Media & The City.

FRANCESCO TONIOLO è dottore di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel Dipartimento di Scienze della comu- nicazione e dello spettacolo, dove è anche docente a contratto di Lin- guaggi e semiotica dei prodotti mediali. Si interessa di videogiochi, YouTube e fandom online. Ha pubblicato diversi articoli e saggi (fra cui Storytelling crossmediale. Dalla letteratura ai videogiochi, 2018, con D. Cajelli) su questi argomenti ed è inoltre coautore dell’antolo- gia Corrispondenze per la scuola secondaria di secondo grado.

SIMONE TOSONI è Professore Associato presso l’Università Cattolica di Milano. Le sue ricerche si concentrano sulla sociologia della comunicazione digitale. È cofondatore della sessione ECREA Media & The City. Fra le sue recenti pubblicazioni Entanglements: Conversations on the Human Traces of Science, Technology, and Sound (The MIT Press)

IMMAGINI

Fig. 1 - Omaggio allo spaghetti western nella serie Red Dead (© Rockstar Games, 2004-).

Fig. 2 - Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans (Trinity Team, 2017) Per gentile concessione di Trinity Team. Fig. 3 - Mario + Rabbids: Kingdom Battle (© Ubisoft Milano e Ubisoft Pa- ris, 2017). MARIO + RABBIDS KINGDOM BATTLE © 2017-2018 Ubisoft Entertainment. All Rights Reserved. Rabbids, Ubisoft and the Ubisoft logo are registered or unregistered trademarks of Ubisoft Entertainment in the U.S. and/or other countries. Nintendo properties are licensed to Ubisoft Entertainment by Nintendo. SUPER MARIO characters © Nin- tendo. Trademarks are property of their respective owners.

Fig. 4 - Assassin’s Creed II (© Ubisoft Montréal, 2009). Per gentile concessione di © Ubisoft. Fig. 5 - Il cabinato coin-op (coin-operated) di Astro Wars (© Zaccaria, ~1979).

Fig. 6 - Il logo di Simulmondo (da Millemiglia, 1991). Per gentile concessione di Francesco Carlà / Simulmondo (©). Fig. 7 e Fig. 8 - L’Italia nel simulatore di granfondo Millemiglia (Simulmon- do, 1991). Per gentile concessione di Francesco Carlà / Simulmondo (©). Fig. 9 - Illustrazione dal manuale di I Play 3D Soccer (© Simulmondo, 1991). Per gentile concessione di Francesco Carlà / Simulmondo. Fig. 10 - Poster promozionale di Dylan Dog: Gli Uccisori (© Simulmondo, 1992). Per gentile concessione di Francesco Carlà / Simulmondo. Fig. 11 - Un raffronto tra la schermata di gioco, la marquee e il cabinato di Asteroids (Atari, 1979) e del clone Asterocks (© Sidam, 1979).

Fig. 12 e Fig. 13 - La copertina di Zzap! (aprile 1992) e la recensione di Mil- lemiglia (© Simulmondo, 1991). Fonte: archive.org. Fig. 14, Fig. 15 e Fig. 16 - Il pastiche di elementi italici di Forza Horizon 2 (© Playground Games/Turn 10 Studios/MS Game Studios, 2014). Fig. 17 - Piazza del Campo a Siena in Gran Turismo 5 (© Polyphony Digital, 2010).

Fig. 18 - Il teatro La Fenice di Venezia in Tomb Raider 2 (© Core Design, 1997). Fig. 19 - La basilica di Santa Croce a Firenze in Assassin’s Creed II (© Ubisoft Montréal, 2009).

Fig. 20 - Il porto di Genova in Street Fighter Alpha 2 (© Capcom, 1996). Fig. 21 - Un pastiche tra Levanzo e Trapani in The King of Fighters 1995 (© SNK).

Fig. 22 - Venezia secondo The King of Fighters 2001 (© Eolith/Brezzasoft).

Fig. 23 - La Pisa di The King of Fighters 2002 (© Eolith/Playmore). Fig. 24 - Una impressione citazionista di Venezia in The King of Fighters ’94 (© SNK).

Fig. 25 e Fig. 26 - Jumpman nel poster (sx) e nel marquee (dx) del cabina- to di Donkey Kong ((© Nintendo 1981)) (dettagli). SUPER MARIO cha- racters © Nintendo. Trademarks are property of their respective owners.

Fig. 27 - Gli europei visti nell’arte del Giappone nel diciannovesimo seco- lo. Fonte: Dower (2010) (dettaglio). Dower, J. W. (2010). Black Ships & Samurais: Commodore Perry and the Opening of Japan (1853-54). MIT: Visualising Cultures. https://visuali- zingcultures.mit.edu.

Fig. 28 - Dagli Appennini alle Ande(Haha o tazunete sanzen ri) (© Nippon Animation, 1977).

Fig. 29 - Mario e Luigi in The Super Mario Bros. Super Show (© DIC/ Viacom, 1989). Fig. 30 - Super Mario “italiano” in Futurama (©Fox/Comedy Central), episodio 3, stagione 4.

Fig. 31 e Fig. 32 - Pauline e Super Mario a New Donk City (Super Mario Odyssey, © Nintendo 2017). SUPER MARIO characters © Nintendo. Tra- demarks are property of their respective owners. Fig. 33 - Corporature maschili e femminili e generazione casuale di Sim con preferenze di vestiario non conformi al genere in The Sims 4 (© Will Wright/Maxis, 2014). Fig. 34 e 35 - Proposta di matrimonio e matrimonio Sim tra due donne in The Sims 4 (© Will Wright/Maxis, 2014). Fig. 36 - Una famiglia omogenitoriale Sim in The Sims 4 (© Will Wright/ Maxis, 2014).

Fig. 37 - Mario + Rabbids Kingdom Battle (© Ubisoft Milano e Ubisoft Paris, 2017). Fig. 38 - Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans (© Trinity Team, 2017). Per gentile concessione di Trinity Team.

Fig. 39 - MotoGP ‘08 (© Milestone, 2008). Fig. 40 - The Town of Light (© LKA, 2016).

Fig. 41 - Il Team Forge, campione d’Italia 2018 di League of Legends (© Riot Games, 2009-). Fonte: https://www.hdblog.it. Fig. 42 - Wheels of Aurelia (Santa Ragione, 2016). Per gentile concessione di Santa Ragione, © 2015-2020.

Fig. 43 - Venti Mesi (We Are Muesli, 2016). Per gentile concessione di We Are Muesli, © 2015-2020.

INDICE ANALITICO*1

0-9 Amstrad – 13, 109 2703 (cracker) – 92 anarcheologia – vedi ‘archeologia dei 34 Big Things – 22, 245 media’ 505 Games – 246 Ancona – 49 Angry Video Game Nerd – 270 A animazione – 59, 70, 166, 182, 186, 189, abilità diverse – 140, 262 1919, 195, 224, 229-230, 289 accenti – 193 ANVI – Associazione Nazionale Vide- Acorn – 70 ogiocatori Italiani – 254 adattamento (culturale) – 74, 204 Apple – 60, 87, 161 adattamento (tra medium/licensing) Arakawa, Minoru – 188 – 60, 68, 71, 187, 192 arcade – vedi ‘sale giochi’ adattamento (tra piattaforme) – vedi archeologia dei media – 26, 28, 42, 44, ‘porting’ 48, 99. Adriatico, mare – 61 archivi/archivisti – 41, 43 advertising – vedi ‘pubblicità’ archivio videoludico di Bologna – 23, 27 AESVI – vedi ‘IIDEA’ Arizona – 62 Africa – 141, 161 arte – 263 agency – 58 Artematica – 55, 289 AIVA (Associazione Italiana Video At- artwork – 178, 186 letica) – 255 Asia – 54 65, 138, 161, 191 Alpi – 62 Asimov, Isaac – 70 Amalfi – 136-137, 144 Atari – 48, 88-90, 222 Amaze – 236, 243 Atari ST – 53, 87 ambienti/ambientazioni – 16, 29, 31, Atari VCS 2600 – 117 41, 47, 59, 61-2, 115, 129, 130, 134, ATP – 92 136, 143, 145-146, 155, 159-160, 167- audience – vedi ‘pubblici’ 174, 176, 178-179, 181-182, 188-189, Australia – 46, 129 201, 203, 213-214, 222. automobili/automobilismo – vedi ‘corse’ America Latina – 26 automobilism (concetto) – 130-131 Americhe – 185 autopia (concetto) – 138 Amiga, Commodore – 53, 56, 63, 66- avatar – 206-207 68, 71-72, 75, 78, 87, 96

*1 Per i titoli dei giochi e dei film si rimanda alle singole ludografie- efil mografie. Per le riviste scientifiche e commerciali si rimanda alle singole bibliografie. 328 Il videogioco in Italia

B CIO (Comitato Internazionale Olim- Bain, John – 276 pico) – 251 bar – 45 circuit of culture (modello) – 259 BBS – 97 classicità – 169-170 bedroom coder – 73, 237 cognitive theory (mass communica- bella vita – 130 tion) – 205 Belushi, James – 192 coin-op – vedi ‘sale giochi’ Berlusconi, Silvio – 271 collezionisti – 43 Bertolino – 48, 89-90 Colorado – 62, 129 bicicletta – 133 Commodore (compagnia) – 57, 87, biliardino – 46 109 binarismo di genere – vedi ‘genere, Commodore 64 – 56, 58, 69, 71, 87, 91, identità di’ 93, 96, 97, 109 Biondetti – 53 computer – 12-14, 19, 26, 26, 51, 54, 56, Blizzard Activision – 253, 267. 58, 61, 66, 70, 73-76, 83, 85, 87, Bologna – 23, 26-27, 45, 48-49, 56-57, 88, 90, 91-94, 97-98, 107-112, 116, 145, 147, 223, 243-244, 278, 288 119, 246, 253 Bonelli - 53, 55, 57-59, 63 comunicazione – 11-12, 15, 18, 45, 107, bossete – 272 123, 153-154, 157, 269, 284, 288, brand/branding – 30-31, 45, 55, 58-59, 291 60, 63, 66-67, 70, 74, 130, 140, 187, concentrazione (rappresentazione) 191, 194-196, 277 – 172-176 Brando, Marlon – 194 console – 54, 60, 62, 66, 83, 87, 97, 111- Brescia – 61 112, 150, 222, 224, 228, 246, 271 Brezzasoft – 174 contratti (di lavoro) – 236 Brooklyn – vedi ‘New York’ Cool Japan – 194-195 Bruscella, Mario – 64 Coppola, Francis Ford – 193 Corbucci, Sergio – 57 C Corruptedie – 272 Cage, Nicolas – 194 corse (automobilismo, motociclismo) calcio – 16, 53, 58-60, 63-64, 68, 80, – 59, 61-62, 130-147, 222, 256-258, 256-257, 261-261 261 Cangini, Riccardo – 55, 64, 289 cosmopolita – vedi ‘nazionale/ Capcom – 168, 170, 178, 180, 181, 222 cosmopolita’ caricatura – 194 cottage industry – 69 Carlà, Francesco – 55-70, 107n3, 286 cracker – 27, 57, 85, 87-88, 90-99, 101 cartoline – 62, 130, 144, 167-183, 195 cracking – vedi ‘pirateria’ Castel San Giovanni – 138 Croazia – 143 Catania – 289 Croci, Federico – 49 Cattivik – 58, 62, 67 cross-media – 64, 187, 191 Cecoslovacchia – 26 cultivation theory – 205 Chahi, Éric – 70 cinema – 13, 17-18, 29, 33, 50, 54, 56-58, D 64, 69, 71, 75-78, 90, 104, 112, 117, D’Avena, Cristina – 271 136, 146, 149, 151-156, 159-160, 180- Dardari Bros – 59 182, 189, 205, 235, 283-284, 286 De Gregori, Francesco – 271 cinema nazionale – 149, 153-154 de Vito, Danny – 192 Cineteca di Bologna – 243 Delphine Software – 70 Indice analitico 329 denazionalizzazione – 191 export – vedi esportazione designer – 46, 55, 61-62, 70, 129, 137, 144, 159, 173, 186-188, 236 F desktop – 14 F4CG – 96 determinismo digitale – 42 fan/fandom – 23, 25, 28, 36, 57, 66, 72, Develop (festival) – 236 273 Dezaki, Osamu – 189 fantascienza – 162 digitali, media – 12, 33, 253 Fantasoft – 92 DiGRA – 21, 34, 130, 185 Farina, Antonio – 55, 59, 62, 65, 69 Discord – 241 Farina, Marco – 270, 273, 275 distribuzione, canali di – 27 Favij – vedi ‘Ostuni, Lorenzo’ DMA Design – 73 femminilità – vedi ‘genere, identità di’ drivatar – 135 Ferrari – 61 festival – 32 E FIAT – 143 ecologia (ambiente) – 130-134, 141-143 Firenze – 62, 151, 154, 157, 160, 222 ecologia (dei media) – 64, 105 Fischbach, Mark Edward – 273 edicola – 16, 23, 27, 60, 62, 63-66, 84, flipper – 26, 41, 42, 44, 47, 49 92, 94-98, 103, 108, 110-111, 113 Foddy, Bennett – 236-237 edutainment – 192 Fondo per lo sviluppo degli Investi- Electronic Arts – 92, 222 menti nel Cinema e nell’Audio- ELS (Electronic Sports League) – 256 visivo – vedi ‘legge cinema’ embodiment – 274 Fornovo San Giovanni – 138 engine – 222, 224, 227, 236 fotografia – 130-131, 161 Eolith – 174 fotoludica – vedi ‘fotografia’ Epic – 253 Foxconn Technology – 161 ermeneutico, approccio (ricerca so- franchise – 62, 185, 195 ciale) - 115 Francia – 60, 71, 129, 136, 194, 231 esotizzazione – 30, 62 Francoforte – 62 esport e sport – 15-16, 26, 29, 32-33, 46, Fraws – vedi ‘Miceli, Francesco’ 52, 56-59, 61-64, 119, 129-130, 251- French touch – 71 265, 271, 285 fumetti – 57-60, 62-64, 67, 94, 180, eSport Summit – 261 195, 244, 261 esportazione/export – 26, 46, 55, 64, Futa, passo della – 61 72, 89, 92, 152, 191, 258 eSports Academy – 260 G essenzializzazione – 28-30, 65, 167, game culture – 105-106 170, 179, 183, 187 Game Developers Conference – 240 età (demografia) – 17, 95, 115, 121- Game Happens – 244 124,139, 209, 224, 256, 261, 283, game studies – 11, 17, 18, 25, 34,292 285 gameplay – 119, 129, 230, 253 eterotopia – 62 gamer (categoria sociale) – 15, 19, etnie/identità etniche – 30, 35, 167, 21, 25, 28, 53, 58-60, 70-72, 83, 185, 193, 196-197, 209 93, 103-104, 107, 118-119, 121, 133, Europa – 25, 46, 56, 62, 91, 96, 107, 110, 142, 203, 205, 208, 212, 255, 259, 136, 139, 141, 143,-144, 189, 211, 237, 277-278 242, 260, 286 Gamerland (torneo) – 255 Europlay – 49 gamescape – 258-259, 263 330 Il videogioco in Italia gamification – 23, 23n3, 73, 243 135, 151, 154, 157, 159, 167-171, 183, GEC (Giochi Elettronici Competitivi) 186, 192, 197 – 256 Idea Software – 55, 58-59, 65, 68-69, Gender Role Theory – 204 identità (dei giocatori) – vedi ‘gamer’ genere, identità di – 31, 201-214 identità di genere – vedi ‘genere’ Genias – 58-59, 64 IEsportsproduction – 27 Genova – 137, 155, 178, 189, 244, 289 IIDEA (già AESVI) – 21, 35, 104, 150, German Cracking Service – 91 154, 224-229, 243, 256, 260-261, Germania – 46, 60, 91, 190 287-288 Giappone – 19, 22, 25, 29-31, 53-54, 56- immersione – 173 57, 59-60, 62, 65, 70-71, 83,-84, imperialismo culturale – 54, 72 88-89, 110, 152, 160, 166-172, 177- Independent Games Festival – 236 182, 184-193, 195 Indie Megabooth – 236, 241 Ginx Esports Tv – 285 Indiecade – 236, 243 giocatore (agente ludico) – 68, 107, 131, indipendenti/indie – 22, 32, 33, 133-136, 139, 152, 158, 159, 173, 192, 235-247 207-214 industrie creative/mediali – 11, 29, 32, giocatore (categoria sociale) – vedi 43, 54-55, 60, 74, 83-84, 150, 186, ‘gamer’ 191-192, 197, 239-240, 246, 261, giocattoli – 13, 60, 93, 187 269, 277-278 giornalismo – vedi ‘stampa’ infanzia – vedi ‘età’ Glen, Douglas – 70 informatica – 13 Global Game Jam – 288 infrastrutture – 24, 32, 132, 134, globale, prospettiva – 54 139, 143, 152-153, 251, 253, 260 glocale – 57 Inghilterra – 60, 65-66, 68, 69-70, 74, goombas/gumba’ – 192, 196 93, 282 Grand Tour – 144, 190 inquinamento – vedi ‘ecologia’ Grecia – 60, 68, 72, 86, 143, 190 interactive comic – vedi ‘fumetti’ Guarini, Massimo – 246 interattività – 12 interdisciplinarietà – 25 H internazionale – vedi le voci a hacking/hacker – vedi ‘pirateria’ ‘nazionale’ Hill, Terence – vedi ‘Spencer, internazionalismo – 61 Bud e Hill Terence’ Internet – 48, 97 103, 112, 118, 120, 134, Himaruya, Hidekaz – 190 143 Hoffman, Dustin – 192 Interplay – 192 Hollywood – 11, 71, 152-153 Iosa Ghini, Massimo – 61 home computer – vedi ‘computer’ iperlocale – 48, horror – 59, 273 Irlanda – 225, 232 Hoskins, Bob – 192 istituzionalizzazione – 28 humanities – 18 Italian Cracking Service – 96 italico – vedi ‘italianità’/italianismo I italo-americana, cultura – 30, 186-196 ‘italianità’/italianismo – 22, 30-31, 53- Itch.io – 236, 238 54, 60-61, 65, 68, 138, 149, 155, IVIPRO – 151, 155-156 169-170, 175-178, 182-183, 186, 188, 189-190, 194-197, 231, 271 J icona/iconografia – 22-23, 30, 131, 133, Jackson (editrice) – 108 Indice analitic 331

Jackson, Michael – 58, 81 Magna Grecia – 190 JEDI – 91 Major League Gaming – 253 JoJo – 92 Malpensa – 140 Jumpman – 187-189, 315 manga – 180, 191 manuali – 55, 61, 64, 96, 108-109 K Mario – vedi ‘Super Mario’ ketōjin – 189-190 marketing territoriale – 31 King Kong – 188 Markiplier – vedi ‘Fischbach, Mark Kjellberg, Felix – 273 Edward’ Kodama, Mitsuo – 182 Martinet, Steve – 192-194 mascolinità – vedi ‘genere, identità di’ L mass media – 13, 15-16, 59, 94, 112, “latino” (demonico etnico) – 185, 194 130, 154, 161, 172, 205, 214-15, 279, Lally, Ralph – 108 283-85 Lamborghini – 61, 135 Mattes, Eva e Franco – 142 LAN party – 253, 264 mediterraneismo/Mediterraneo – 24, laptop – 14 30, 168-171, 182, 189-191,194, 197 Lee, Bruce – 180-181 merchandising – 31, 187 Lee, Bruce – 180-181 Messico – 134, 185 legge cinema – 150 Miceli, Francesco – 278 Lenslok – 93 Mickey Mouse – 188 Leone, Sergio – 57 Microsoft – 129, 136, 161 let’s play / let’s player – 272 microstoria – 44 LGBTQIA – 203-214 Midcoin – 48 licenza (contratto d’uso) – 135 Middleware – 161 licenza (licensing) – 31, 49, 56, Milan Games Week – 243, 251, 254-256 58-61, 63, 65, 68, 89, 109, 187, 192 Milano – 62, 89, 92, 94, 96, 140-141, Liguria – 144 143, 179, 220, 222, 229-231, 234, linguaggi (idioletto?) – 27 242-243, 258, 261, 287-290 live streaming – vedi ‘streaming’ Milestone – 22, 55, 59, 73, 223-24, 227 locale/globale – vedi ‘nazionale e Millemiglia (fondazione) – 55, 60 locale/globale’ Miyamoto, Shigeru – 187-188, 230 Logica 2000 – 92 MOBA (Multiplayer Online Battle Lombardia – 61 Arena) – 256 Londra – 141 Model Racing – 49 Lovecraft, Howard Phillips – 70 Molleindustria – vedi ‘Pedercini, Lucasarts – 70 Paolo’ Lucca Comics & Games – 244, 251, 255 Monaco – 61 ludofilia – 28 Monopoli – 15 Ludologica (collana) – 286 Monteriggioni – 151 Luigi – 188, 191 moral panic – 17, 25, 113, 207 Lupo Alberto – 58, 62, 63, 69 motociclismo – vedi ‘corse’ Lussemburgo – 143 Mr Game – 49, MS DOS – 53, 56, 87, M Mushroom Kingdom – 191 made in Italy – 31, 64, 130, 150, 155, 187, Musica – 56, 58, 62, 96, 104, 112, 130, 194, 260 180, 237, 270, 291 mafia – 196 332 Il videogioco in Italia

N Palermo – 21, 289 ‘nuovi’ media – 23, 284 panorama – vedi ‘paesaggio’ Napoli – 48 pan-regionale – 55 national branding – 31 pantomima – 1960 nazionale e locale/globale – 11, 25, 27- Panzani, pasta – 138 31, 33, 47-50, 59, 70-72, 84, 93, 97, paradigma spectacle/performance 149, 162, 235, 246, 252, 255, 260, – 105 263-264 Parker Brothers – 15 nazionale/cosmopolita (approccio) – pasta – 191, 195-196 55, 62, 69, 74 patriarcali, tropi – 188 nazionale/regionale – 23, 35, 53-57, Pauline – 195 65, 83, 155, 162 Pedercini, Paolo – 238, 245 nazionale/transnazionale– 21, 22, 25- Pellegrini, Federica – 259 27, 54-74, 84-86, 106, 149-152, performance – 34, 105, 195, 275 160-162, 186-197, 261 personaggi – 30-31, 33, 44, 53, 58, 64, nazionalismo – 29, 153 155-156, 167-181, 185-197, 203-231, Neo Geo – 170, 174, 179, 181 270-276 NeoGAF – 118 personal computer – vedi ‘computer’ neoliberismo – 138 Personal Gamer – 260 New York – 185-187, 191-192, 195 PewDiePie – vedi ‘Kjellberg, Felix’ Nicalis – 246 Piaggio – 31, 187, 195-196 Nintendo – 14, 56, 111, 118, 160-161, 185- piattaforme – 13 197, 222, 230, 261 picchiaduro – 29, 72, 119, 155-56, 159, noir – 15 167-183 Norris, Chuck – 181 pirateria – 27, 28, 41, 44, 48-50, 53-54 Nuovo Messico – 62 56, 63, 84-87 Nuvolari, Tazio – 53, 61 PirateSlayer – 92 Pirruccio, Paolo – 271 O Pisa – 175, 179 obsolescenza – 28 pizza – 191, 196 occidentalismo/’Occidente’ – 21, 30- Playerinside – 276 31, 186-191, 197, 207, 213, 242 Playground Games – 129 Olivetti – 71 playthrough – 32 online gaming – 104-105, 112-113, 116, 120, Poe, Edgar Allan – 70 123, 173, 236, 245, 253, 256, 284 Poggi, Michele – 274-275 open space – 255 pop, cultura – 29 orientalismo/’Oriente’ – 64, 177, 186- Popeye – 188 187, 191, 195 porting – 54, 65, 88-89 Ostuni (comune) – 175-176 Portogallo – 143 Ostuni, Lorenzo – 273 production culture – 43 Overwatch League – 253 produttori – 31, 33, 45-48, 55-59, 68- Ovosonico – 246 70, 73, 83, 85, 88-89, 121, 135, 224, 240, 243, 271, 278, 285, 287 P Progaming Italia – 256 padana, pianura – 61 Program Protection Manual for the paesaggio/patrimonio paesaggistico C64 (Phantom) – 97 – 24, 29, 31 59, 61-62, 131, 137-138, programmatori/programmazione –31, 155, 159, 168, 177, 179 33,45-48, 55-59 Indice analitic 333

Psygnosis – 73 SEGA – 14, 56, 223 pubblici – 12-17, 21-22, 29, 33, 47, 53, Segale, Mario – 188, 190-191, 193 58-59, 65, 69-74, 94, 103-106, 115, service provider – 73 122-123, 185-188,194, 203, 207-211, sesso/sessualità – vedi ‘genere, iden- 231, 235-236, 243-246, 252, 261- tità di’ 263, 278 Sicilia – 171 pubblicità / materiale promozionale Siena – 155 – 55, 61, 66, 68, 96, 120, 123, 133- Sim (personaggi) – 201-214 134, 136, 140, 142, 144, 186, 196 simulazione – 29, 30, 61-63, 92-93, Puzo, Mario – 193 130-131, 134, 138, 157, 160, 203-204, 207, 214, 251 Q Simulmondo – 26, 54-74 queer/queerness – 21, 203-214 Sinatra, Nancy – 195 Sinclair – 70, 87 R Sipem/Sidam – 46, 89 radio – 15 sistema mediale/ecosistema media- rappresentazione – 29, 30-31, 61, 132, le – 26, 34 155, 158-159, 167-179, 181, 193, 189, smartphone – 14, 105 215, 262, 265 SNK – 168-171, 174-175, 179, 181 realismo e realisticità – 58, 62, 68, 130, social network – 17, 23 141-142, 158 soft power – 31 regionalismo – vedi ‘nazionale/ solid state – 46 regionale’ Sony – 14, 87, 134, 161, 246, 248 Regno Unito –56, 71, 73, 108,227, 231, sovrapposizione (rappresentazione) 240, 242 – 176-182 Ricciardi, Gianni – 246 spaghetti western – 22, 57 Righi Riva, Pietro – 245 Spagna – 60, 68, 72, 143, 211 Rinascimento – 23, 28, 151, 157, 190, 196 Spencer, Bud e Hill, Terence – 22, 261 Riot Games – 253, 267 spettacolo/spettatori/spettatorialità riviste – vedi ‘stampa’ – 13, 32, 105, 130, 154, 174, 181, 253, RKO – 188 260, 263 road movie – 133 sport – vedi ‘esport e sport’ Roma – 21, 23, 27, 61, 92, 94, 142, 151- sportivizzazione – 252 152, 170, 171, 177, 179, 181, 192, 196, spot – vedi ‘pubblicità’ 256, 287-288, 290 stampa – 27, 59, 97, 103, 107-108, Rose (personaggio) – 178 117-123 Rossi, Valentino – 31, 37 Stanton, James – 276 stardom – 33 S Stati Uniti – 19, 22, 25, 30, 37, 45-46, Sabaku no Maiku – vedi ‘Poggi, 48-49, 54, 55-57, 62, 65, 69 , 83- Michele’ 84, 87-89, 95-96, 108, 110, 112, SAL – 92 129, 138, 143, 152-153, 185-186, 189- sale giochi – 19, 41, 46-48, 88-90, 199, 211, 227, 235-237, 240 107-108,188 Steam – 236, 238, 246 Santa Ragione – 245 stereotipi – 11, 28, 30, 1 62, 112, 138, 156, Sardegna – 156 160, 189 190, 193-194, 197, 208- schermo – 13 209, 259, 263 scienze sociali – 33 Sterling, Jim – vedi ‘Stanton, James’ 334 Il videogioco in Italia storia dei media – 50, Twitch.tv / twitcher – 105, 253-254, streaming – 104-105, 120-122, 232, 253- 256, 260, 276, 278 254, 260, 265, 276, 278 Twitter – 241 Studio Vit – 108 Sturmtruppen – 58, 62 U Super Mario – 14, 15, 22, 31, 185-197 Ubisoft – 22, 73, 151-152, 220, 229-231, Suzuki, Yu – 62 238, 242, 253, 258 Svezia – 84, 211 UKIE – 240 Svilupparty – 243-244 Ultimate – 73 Unity – 161, 236 T università – 33, 287-290 Takahata, Isao – 189 Unreal Engine – 222, 236 Tartarughe Ninja – 196 Uomo Ragno – 63 Team 17 – 98 Utah – 62 telecomando – vedi ‘televisione/ utopia – 62, 138 televisore’ telecomunicazione – 70 V telefonia/telefonare –6, 119, 140, 203, vafoqeweo – 272 212, 254, 258 Valentino Rossi – 31 televisione/televisore – 13, 15, 18-19, variantologia – 44, 26, 50, 112, 120, 133, 136, 152 180, Veneto – 61, 155 191, 205, 216, 257, 261, 264, 271- Venezia – 143, 151, 155, 167, 171, 174, 179 272, 284-285 Venturi, Ivan – 244 Thalion Software – 98 Vespa – vedi ‘Piaggio’ Tilt (museo) – 49 Vic 20 – 13, 87 topografia – vedi ambienti/ Videoludica (collana) – 286 ambientazioni VIGAMUS – 21, 23, 27, 287, 291 Torino – 21, 46, 51, 89-90, 92, 142-143, voce – 194 222, 288, 290 Toscana – 60, 135-136, 144, 151, 155 tossicità (cultura) – 254 W Totalbiscuit – vedi ‘Bain, John’ We Are Müesli – 245 traduzione – 26, 27, 68, 88-89, 93, 95, Wilcox, David – 48 99, 104, 130, 142, 162, 170, 180, 237 wiseguy – 193 transmedia – 64 workflow – 32 transnazionale - vedi ‘nazionale/ World Cyber Games – 253 transnazionale’ Trapani – 171 X trash – 140 Xbox – 116, 129, 222 trasporti – 133-143 Trecision – 58-59 Y treno – 134 YouTube / YouTuber – 32-33, 104-105, troll – 254 113, 119-121, 123, 223, 269-278 Turchia – 84 Z turismo – 24, 31, 32, 41, 138, 144, 151, 195 Zaccaria – 26, 42, 44-49 Turn 10 Studios – 129-130 Zeb89 – 276n18 Twine – 236 ZX Spectrum – 58 CINERGIE collana diretta da Roy Menarini

1. Roy Menarini (a cura di), Le nuove forme della cultura cinematografi- ca. Critica e cinefilia nell’epoca del web 2. Federico Zecca (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico 3. Roberto Braga e Giovanni Caruso (a cura di), Piracy Effect. Norme, pratiche e studi di caso 4. Alice Cati, Immagini della memoria. Teorie e pratiche del ricordo tra testimonianza, genealogia, documentari 5. Sara Martin, Scritture, figure, mondi.Utopie ed eterotopie nelle serie televisive contemporanee 6. Paolo Bertetto (a cura di), Cinema e sensazione 7. Mauro Salvador, In gioco e fuori gioco. Il ludico nella cultura e nei media contemporanei 8. Valentina Re (a cura di), Streaming media Distribuzione, circolazione, accesso 9. Chiara Grizzaffi, I film attraverso i film. Dal “testo introvabile” ai video essay Finito di stampare nel mese di ottobre 2020 da Digital Team - Fano (Pu)