FORNI CERATO

Giacomo Picco matricola 286696 A.S. 2017/18 Corso di Storia delle Tecniche Prof.essa Anna Bedon

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Sommario

Premessa 3

La Committenza 4

Il Problema dell’Attribuzione 14

Descrizione della Villa 18

Confronti Palladiani 21

Storia 23

Bibliografia 24

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Premessa

La villa Forni-Cerato (XVI sec) situata in località Capodisotto, Comune di Montecchio Precalcino - , è stata ed è ancora una delle fabbriche più discusse dal punto di vista critico, storico e di attribuzione tra tutte le altre ville di questo periodo. Attraverso questo scritto cercherò di giungere ad una soluzione, tale da risolvere-liberare i dubbi e i misteri che avvolgono l’edificio. Premetto che attualmente il villino si presenta in un avanzato stato di degrado, che in alcuni casi ha aiutato nelle ricerca di molti aspetti tecnici/storici ancora irrisolti.

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1 La Committenza

La storia e la formazione del suo committente presentano ancora alcune lacune che solo la scoperta di nuovi documenti d’archivio dell’epoca potranno esaurire. Per prima cosa cerchiamo di presentarlo, con la sua personalità e il rapporto con la società a lui contemporanea. Costui fu un mercante di legname, Girolamo Della Grana dai Forni, vissuto tra il 1530/35 e il 16101. I rapporti con l’alta società vicentina cinquecentesca erano molto attivi, come lo erano i suoi commerci non solo di legname per le costruzioni, ma anche di seta, come documenta uno scritto del 1557, rivolto a Losco Caldogno per alcuni commerci della stessa2. Della sua infanzia non si sa quasi nulla se non che venne affidato, insieme al fratello Isepo e alle cinque sorelle, agli zii 3 , denominati anche “dai Forni” 4 , già a quel tempo commercianti di legnami locali con alcune segherie nella zona della Valdastico ed altre proprietà presso Montecchio Precalcino5. È presumibile che gli zii lo abbiano avviato da subito ad una buona educazione e al commercio del legname. Nei documenti d’estimo di questo periodo, I Balanzoni6, quello di Thiene si protrae per un periodo molto lungo, compreso tra due campagne: una del 1541 e l’altra del 1564, e che come riferisce la stessa Battilotti, per noi è

1 La data di nascita è incerta mentre quella di morte è documenta dal suo testamento (Donata Battilotti, Il villino Forni Cerato a Montecchio Precalcino e il suo committente, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta, a cura di Lorenzo Finocchi Ghersi, Atti del Convegno internazionale di Studi (Udine, 26-27 ottobre 2000), Udine, ed. Forum 2001, pp. 213-227). 2 ASVi, Notarile, Vincenzo Piovene, b. 6868, alla data 19 maggio 1557 (Battilotti, op. cit., ibidem, ma anche Giovanni Zaupa, e la sua Committenza, Roma, Gangemi 1990, pp. 130, 138 n. 55). 3 Il presbitero Iseppo e il mercante di legname Giampiero o Giovanni Pietro “vocatos a Furnis”, provenienti da Forni Valdastico. E’ molto probabile che anche Girolamo sia nato in questo luogo. 4 Infatti Girolamo, o meglio Gerolamo, viene chiamato in un documento del 1558, il primo dopo il testamento paterno, Gerolamo della Grana dei Forni. E’ molto probabile che questo toponimo lo abbia accompagnato per tutta la vita, sostituendosi al vero cognome paterno verso la maturità. La cosa comunque resta molto strana, perché all’epoca cambiare cognome era considerato un disonore. 5 Vicino a quelle di Antonio Brandizio e dei Nievo (ASVi, Estimo, Balanzon di Thiene, b. 30, cc. 8r, 50r, 90v.). 6 Per ulteriori informazioni sui Balanzoni, si veda D. Battilotti, I Balanzoni dell’estimo vicentino come fonti per le ville palladiane, in “Venezia Cinquecento”, XI, 22, 2001, pp. 73-87.

4 molto importante, perché permise un continuo aggiornamento sullo stato degli immobili di quel periodo7. Si riscontrano due documenti, uno del 15418 e un altro del 1564 che si riferiscono alla località di Capodisotto. Nel primo si osservano le ultime volontà del padre che affida i figli ai cognati, recitando: “Heredi de Hieronimo de la Grana, cioè Isepo, Hieronimo frateli insieme cum cinque sorelle, hanno una caseta cum una tesa cum quindese campi ut intra pretivi e arativi, computà horto et cortivo in Montechio Precalcin, li quali heredi orfani et pupilli in su questo pocho viveno, ma dui soi barba [zii] li aiuta, cioè Isepo e Zampiero da i Furni”, con una postilla finale “Signori habiati li poveri orphani per ricomandati, accioché Idio vi aiuti et mantenga le signorie vostre et ci guardi da male”. I due fratelli, anche se ancora bambini, erano quindi già in possesso di proprietà in quella zona, quindi escludo, che il villino sia un’opera degli anni quaranta del ‘500, come alcuni studiosi affermano. Nel secondo del 1564 9 , i fratelli, già maggiorenni, comprano ulteriori terreni, passando da quindici a trenta campi, e aggiungendo una Colombara ai loro possedimenti. Nel documento non è specificato nulla sulla casa domenicale, anche perché la valutazione dell’estimo è molto bassa, solo 150 ducati, quindi la villa è un’opera successiva a queste operazioni, che in caso di modifiche sarebbero state riportate sul Balanzone. A partire dagli anni ’40, i fratelli si trasferiscono a Vicenza nella casa degli zii (ricordiamo che quest’ultimi non erano particolarmente ricchi e

7 Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 219. 8 ASVi, Estimo, b. 30, cc. 8 r., databile intorno al 1541-42, in Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 219. 9 Zaupa, op. cit., Roma 1990, pp. 79, 94 n. 26; ma anche ASVi, b. 30, c. 90v. Anche per la Battilotti (Il villino Forni Cerato, cit., p. 219) la ristrutturazione dell’edificio deve essere successiva a questa data, perché l’estimo di 150 ducati, come compare anche a c. 50r dello stesso, è una cifra troppo modesta per come il sito appare oggi.

5 possedevano un carico fiscale minimo10) lungo l’odierno corso Fogazzaro11 e già dai primi anni ’50, dopo la morte degli zii12, si nota dai documenti, che Girolamo ed il fratello Isepo iniziano ad aver incarichi per la fornitura di legnami a varie fabbriche del capoluogo, come il Palazzo della Ragione (1549)13, e ad entrambi sono attestati nel 1550/51 pagamenti per la fornitura al cantiere di Palazzo Chiericati14. Il contatto quindi con il Palladio è molto presente in questo periodo come anche con la nobiltà vicentina. Questo portò ad un’ascesa economica15 e sociale che li indusse a comprare una casa nel 1559 in Strà Grande 16 . Dal 1563 Girolamo compare da solo nei documenti, forse per morte del fratello. Oltre però alla sua carriera di abile commerciante sappiamo che si dedicava alla pittura e al collezionismo di opere d’antiquariato17: amico di Bernardino da Parma 18 , pittore vicentino locale, situato in Borgo Pusterla, ma

10 Giampiero risulta allibrato per cinque soldi nel 1537 e poi ancora nel 1547 (ASVi, Campioni d’Estimo 1537 e 1547, b. 4, c. 81r-88r); nel 1552, con il fratello Isepo defunto, passa a dieci soldi, assorbiti dai nipoti Isepo e Girolamo (ASVi, Campione d’Estimo 1552, b. 5, c. 131v) e nel 1558, con la morte di Giampiero è la vedova ad essere allibrata per cinque soldi (ASVi, Campione d’Estimo 1558, b. 5, c. 101v, in Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 221). 11 Vicino a San Lorenzo e quello che sarà poi Palazzo Valmarana (Zaupa, op.cit., pp. 130, 138-139 n. 56 e Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 213). 12 Lo zio Isepo nomina i fratelli suoi eredi universali nel suo testamento del 5 marzo 1551 (ASVi, Notarile, Gio. Batta Valenti, b. 7343, alla data), mentre Giampiero lascia una segheria e diritti d’acque a Velo in Valdastico in cambio di un vitalizio (atto del 13 novembre, ASVi, Notarile, Gio. Batta Valenti, b. 7343, alla data); Giampiero muore entro il 1558. 13 Isepo compare prima da solo e poi con Girolamo (si veda H. Burns, Building and Custrution in Palladio’s Vicenza, in Les Chantieres de la Reinassance, a cura di J. Guillaume, Parigi, 1991, pp. 191-225, in particolare pp. 203, 207-208 n. 133. Anche se Burns ritiene i due fratelli padre e figlio; Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 222). 14 Ma anche per altri committenti palladiani come Losco Caldogno e Iseppo Porto (ibidem, ma vedi anche Zaupa, op. cit., pp. 130, 138-139 n. 56). 15 Da una cifra d’estimo di cinque soldi degli del 1547, passano a dieci nel 1552 (vedi nota 8), dodici e sei marchetti nel 1558 (ASVi, Campione d’Estimo 1558, b. 5, c. 101v); poi dal 1565 Girolamo da solo con una lira, nel 1579 con due lire, nel 1590 con due lire e dieci soldi e infine nel 1605, con due lire, diciassette soldi e due marchetti (ASVI, b. 6, c. 3r; b. 7, c. 2r, c. 9r; b. 8); Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 223. 16 Comprata per 1800 ducati da Michele Caldogno, già appartenuta ai Thiene (ASVi, Archivio privato Caldogno, Memorie di Michele Caldogno dal 1552 al 1572, c. 20v; Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 223). 17 Ivi, p. 219-220, ma anche E. Bordignon Favero, Il Collezionismo, in Storia di Vicenza, a cura di F. Barbieri e P. Pretto, Vicenza, 1990, pp. 327-346, in particolare p. 320. 18 Zaupa, op. cit., pp. 128, 138-139 n. 46, 56. Il pittore era figlio di Pietro Donnini da Parma, amico di Michele e Losco Caldogno, e si ritiene allievo di Bartolomeo Montagna. Il primo incontro con il Forni è documentato alla data 6 aprile 1551.

6 soprattutto di Alessandro Vittoria e Vincenzo Scamozzi19. Del Forni pittore possiamo ricordare alcuni dipinti come il Ritratto di Isabella Valmarana Thiene del 1594, e il Ritratto di Giovinetto ora presenti nella collezione del Museo Civico di Vicenza. Degli altri ritratti, le cui date come i personaggi rappresentati sono incerti, mostrano un tratto pittorico affine a quelli dei maestri presenti in città all’epoca e offrono una visione della moda signorile della seconda metà del ‘50020. Queste amicizie, lo portarono sicuramente all’interno della cerchia artistico- letteraria della città: dal 1558 inizieranno le commissioni per l’Accademia Olimpica21. Dal 1569 è accettato come membro dell’Accademia Olimpica e nel 1582 gli viene scolpita la statua che poi verrà posta sul terzo ordine della scena del Teatro, nell’angolo tra la fronte principale e quella delle “Verzure” a sinistra22. La statua presenta degli elementi moto particolari perché rispetto agli altri accademici il Forni ha un aspetto ermafrodita: il corpo femminile, cinto da una veste molto delicata ne fa vedere alcuni particolari, come un seno e una gamba, e accoglie sulla cima una testa barbuta23, mentre tra le mani regge un bastone di legno avvolto da un nastro. Questa rappresentazione isolata, di cui non ne sono presenti altre con le stesse caratteristiche, è possibile che sia determinata da alcuni fattori storico/culturali: il primo è che probabilmente da questo periodo, tra il gli ani ’70 e ’80 del ‘500, il Forni per questioni economiche abbia dovuto accontentarsi di quello che c’era già a disposizione 24 , oppure avendo

19 Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 224, e lo scritto di G.G. Zorzi, Un nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino: I suoi rapporti con Lorenzo Rubini e i suoi figli Vigilio e Agostino; l'amicizia col pittore Girolamo Forni e con lo scultore Ottaviano Ridolfi (2), in “Arte veneta”, vol. 20, 1966, pp. 157-176. Lo scultore è presente a Montecchio Precalcino nel 1576 durante la peste a Venezia. Probabilmente in questo incontro il Vittoria dona delle sue sculture al Forni per decorare la Villa (vedi testamento dello stesso). 20 V. Sgarbi, Palladio e la Maniera. Pittori vicentini del Cinquecento e i collaboratori del Palladio. 1530-1630, cat. della mostra, Venezia 1980, pp. 78-79. 21 Il 24 febbraio 1558 procura materiale ligneo per gli allestimenti teatrali dell’Andria di Terenzio, con un debito dall’Accademia di 72 troni nei confronti di “Messer Hieronimo di Forni” (Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 223; Zorzi, Un nuovo soggiorno, cit., p. 168). 22 Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 224, n. 60. 23 Il ritratto dello stesso Forni? 24 Corpo femminile di dee romane già scolpite in precedenza. Vedi anche M. E. Avagnina, Le Statue dell’Olimpico, ovvero la “messa in pietra” degli Accademici fondatori del teatro, in L. Magagnato, Il Teatro Olimpico, a cura di L. Puppi, Milano, 1992, pp. 85-127 e in particolare pp. 88-90 e foto a p. 108.

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25 comunque un rapporto stretto con l’acqua, sua principale fonte di lavoro , volle essere rappresentato come una specie di divinità fluviale, che con quel suo bastone in mano, simile ad uno strumento usato proprio in quegli anni dagli zatterieri per tirare verso riva il legname che correva sul fiume, indica quindi il profondo legame con il suo lavoro. Tornando alla sua vita, abbiamo già parlato di come lui fosse amico di artisti della cerchia palladiana, tra cui spiccano i nomi dello scultore Alessandro Vittoria, di Vincenzo Scamozzi, di Ottavio Ridolfi e di Lorenzo Rubini. Come lo Zorzi pubblica nel suo saggio, “Un nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel vicentino. I suoi rapporti con Lorenzo Rubini e i suoi figli (…); l’amicizia con il pittore Girolamo Forni e con lo scultore Ottavio Ridolfi”, il 24 ottobre 1575, Forni anticipa cento ducati per la dote della nipote del Vittoria, Doralice, figlia di Lorenzo Rubini - cognato del Vittoria -, per il matrimonio con Ottavio Ridolfi, e alla presenza come testimone di Vincenzo Scamozzi26. I quattro dovevano essere legati da una profonda amicizia, tanto che il 27 settembre 1576, viene pagato un barcaiolo, sempre dal Forni, affinché prelevi e conduca il Vittoria e la sua famiglia a Vicenza, lontano dall’epidemia di peste che stava imperversando nella capitale veneta 27 . Probabilmente Vittoria soggiornò anche a Montecchio, dove produsse le decorazioni per la Villa stessa (gli otto busti per il salone e i bassorilievi per la , citati dallo stesso Forni nel suo testamento)28. Nel 1605 gli muore la moglie Elisabetta e rimane senza eredi29. Da questo momento si avvicina alla famiglia Valmarana che lo accoglie nel proprio Palazzo, presso il Castello30. E’ proprio qui che il 10 gennaio 1610, comporrà il suo testamento, dove dichiara i suoi possedimenti presso

25 Il legname, come vedremo, veniva trasportato lungo l’Astico e poi stoccato sule rive che sono presenti vicino a Montecchio. 26 Zorzi, Un nuovo soggiorno, cit., pp. 27D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, cit., p. 215 e il saggio di Zorzi, Un nuovo soggiorno, cit., pp.157-176. 28 Vedi sempre Zorzi, Un nuovo soggiorno, cit., pp. 166-167. 29 Fu sepolta nella chiesa del Carmine (G. Garzaro, N. Garzaro, San Pietro in Castelvecchio a Montecchio Precalcino, Padova, 1986, p. 14, n. 16). 30 Ospitato da Leonardo Valmarana, presente anche le testamento, nelle sue proprietà presso il castello di Vicenza, dove era presente il giardino con la splendida loggetta. Vedi G. Zaupa, L’origine del Giardino Valmarana presso il Castello di Vicenza (1540-1565), in “Antichità Viva”, IV, 24, 1982, pp. 27-30 e D. Battilotti e L. Puppi, Andrea Palladio, Milano, Electa 1999, pp. 477-479.

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Montecchio Precalcino e ordina che sia fatto un inventario dei suoi beni31, sia nella casa vicentina, sia nella villa, con la presenza come testimone di Leonardo Valmarana e dei suoi nipoti, i tre figli di Giovanni Cerato, che nomina anche come eredi dei suoi beni32. Girolamo muore sedici giorni più tardi, il 27 gennaio 1610, sempre in casa di Leonardo e viene sepolto nella chiesa del Carmine33 a Vicenza. Riporto di seguito il Testamento di Girolamo Forni (ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610):

Nel nome del sig. Nostro Giesu Christo e così sia. L’anno della sua natività 1610 l’inditione 8 il giorno di domenica 10 del mese di Gienaro in Vicenza nel loco del castello in la casa dell’habitazione dell’infrascritto sig. Gierolamo Forni q. d’un altro D. Gieronimo cittadino di Vicenza il quale giaceva in detto loco in letto infermo però di buona loquela et memoria et havendomi esso mandato a chiamar come nodaro per fare il suo ultimo testamento mi diede in mano due fogli di carta de sua mano scritti con cancellature et altro et volse ch’io li leggessi e poi letti e considerati ordinò che havesse a scrivere questo presente suo testamento nel modo et forma che qui seguiterà havendo ripigliato li detti fogli e quelli lacerati volendo che questo sia il suo ultimo testamento, cioè Nel nome de Dio padre figliolo et spirito Santo, et del suo Sant.mo lume guidato io Gieronimo Forni q. altro Gieronimo sano della mente se ben del corpo infermo darò ordine alle cose mie ma debo prima vogliermi et riavere al Clementissimo Padre et Signore con ogni veniale affetto di cose et riverenza di spirito ringraziar come facio la infinita misericordia tua che non risguardando ponto alli errori et peccati miei et all’offese fatte alla grandezza e bontà tua ti sei degnato haver pietà di me misero peccatore e compassionare la debolezza mia e protegermi con la santissima gratia tua sino a questa mia senil età e soprattutto debbo racomandar a te quest’anima che tu pura e monda mi concedesti e da me poi imbratata et machiata hai col tuo prezioso sangue e con tanta carità spargesti nella croce lavata e purgata perché possi fruire quell’eterno bene che volesti mercè tua donare a chi fermando tutte le sue speranzenella

31 L’inventario è stilato dal figlio di Leonardo Valmarana, Giovanni Alvise e da Giambattista Liviera (Garzaro-Garzaro, op. cit., p. 14) 32 Cfr. Zorzi, Un nuovo soggiorno, cit. pp. 174-175. 33 Cfr. Archivio della Cura Vescovile di Vicenza, I Registro dei Morti della Cattedrale: Garzaro- Garzaro, op. cit., p. 14 n. 16)

9 clemenza tua niente di se stesso fidando in te solo si possa e da te solo dipende. Et venendo alla dispositione il corpo mio quando piacerà a Dio chiamarmi, voglio che sia posto nella mia sepoltura alli Carmeni senz’alcuna pompa ma con quella modestia e temperantia christiana che parerà alli miei Commissari ecc. Lasso per amor de Dio alli poveri prigionieri duc. Dieci per una sol volta. Item voglio che dalli mieii commissarii e in loro elettione siano maritate tre dongielle di buona conditione e fama in loro coscientia con ducati 10 per ognuna di esse per amor de Dio in salute mia. Lassio al ven. Pre fra Gio Batta vicentino mio confessore dell’ordine di San Michele tutte le ragioni et actioni quale posso avere in una sepoltura del q. mes. Vicenzo del Toso mio cugnato e altro che si atrova in San Michele che ne possi dispore come poteva me stesso. Item che sia dato qualche cosa per elemosina a donna Anna da Schio come tre ducati in circa compartiti per una sol volta per suoi bisogni, la qual dona sta ala fontana dell’Angeli. Lasso a Lorenzo Baruffa mio servitor un ducato per una sol volta oltre il suo salario. Lasso a donna Fiore mia serva de casa che in vita sua tanto li sia dato e pagato ogni anno stara quatro de formento e un mastello di vino buono e habbi ad aver una casa de nogara de le mie come ho detto anco a uno delli miei Commissariiet che lei sia tenuta in casa sino alla venuta del Char.mo Ill.mo sig. Conte Lunardo Valmarana uno delli miei commissarii. Lasso per ragion di legato e con ogni altro miglior modo a Oratio de m. Battista fabro da Pieve, et a mes. Zuanne merzaro di Boldrini sta in Thiene miei parenti duc. cento per ognuno d’essi per una sol volta. Lasso ancora a mad. Lucretia Ceratta per una sol volta duc.20 e a Giacomin nepote da Pieve duc. 30 ancor lui per una sol volta. Et tutti li suddetti legati siano pagati con comodità un tanto all’anno come parerà a miei commissarii quali habbiano questa cura et carico come confido per amorevolezza loro faran. Ordino e Prego li miei Commissarii che faccino accomodar nel mio loco e casa di Montechio Precalzin sopra li camini de le due camere con maniera bella e honorata e che stia bene la mia testa e ritratto di stucco nella camera sopra l’horto et quello dell’Ill.mo sig. Cardinal Bembo nella camera dove dormo quale tutte due sono nel mio studio et le quale come fattura del già sig. Alessandro Vittoria mio cordialissimo Amico

10 meritano d’essere conservate e le meti in opera il figliuolo del M. Francesco scultore sta in Pedemuro che so lo farà volentieri per amor mio essendo però soddisfatto della mercede sua. Il resto de le cose de rilievo, dissegni, pitture, quadri miei e del mio studio lasso che secondo il parere de miei Commissarii siano con ogni megior modo venduti e il tratto investito per mettà a beneficio de miei heredi fuori che alcuna cosa che piaccesse alli detti miei Commissarii e in specie al sig. Gio. Batt. Liviera alcuna coseta de rilievo e dissegno come quello che anco ne ha qualche gusto per amorevolezza e mia memoria, come ho detto in ciò a bocca del sig. Francesco Ceratto tutti dui miei commissarii. Et in questo vender e investita sia eseguito quanto meglio parerà convenirsi alli stessi commissarii, li quali voglio e prego siano il molto Ill.re sig. il Conte Lunardo Valmarana mio amorevolissimo signore, il sig. Francesco Ceratto con il sig. Gio. Battista Liviera miei carissimi e de quali mi confido che aceterano tal incarico et che faranno con ogni amore e carittà quanto reputerannoesser giusto e honesto. Voglio che subito seguita la mia morte il tutto sia dalli commissarii inventariato così de mobili de casa de Vicenza come de villa ne sia mosso cosa alcuna senza il loro ordine et in caso che il molto Ill.re sig. Conte Lunardo fosse absente al tempo della mia morte sia aspetata la sua venuta ma però il tutto stia sotto custodia delli dui Commissarii siano anco inventariati li miei crediti denari se ne lasserò et scritti, et voglio che il sig. Francesco Ceratto mio cordialissimo amico habbi lui la cura e il carico del denaro del scoder e pagare che così l’ellego lui e di lui confido per il buon amore ch’è sempre fra noi passato et per l’obblighi e debito qual secco tengo et delle sue fatiche e di queste che farà intendo che sia statisfatto e pagato (omissis). E perché mi atrovo haver nella villa de Montechio Precalcino una possessione con belle buone e honorate fabriche sopra, da me rodata (sic) e redote nell’onorato e bel statto che si atrovano e desidero io somamente e volendo per ogni modo che venghino bene e honoratamente mantenute e atese di tutto punto, ho avuto così anco sempre pensiero di conditionarla perché possi e sia delli infra da me chiamati e essa possessione e le cose e fabriche con li fornimenti suoi che lasserò in quella e per quelle insieme anco con due fitti… Pertanto voglio che siano sottoposte a strettissimo fideicommisso e proibisco affatto ogni alienatione di quella manco in una minima parte ecc. Dunque lasso detta possession e beni alli figlioli de Mes. Zuane Ceratto mio nipote, cioè

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Iseppo, Gieronimo, e Baldissera et alli figli e discendenti maschi legitimi e naturali e di vero e legitimo matrimonio nati e procreati sustiturndoli uno all’altro sino che vi sarà di tal discendenza, intendo sempre solamente delli maschi legitimi naturali e di legittimo matrimonio nati e procreati… (omissis). Eredi universali de tutti l’altri miei beni mobili stabili rasoni e attioni d’ogni sorte voglio che siano gli suddetti figliuoli de mes. Zuanne Ceratto mio nipote, cioè Iseppo, Gieronimo e Baldissera e ognuno d’essi egualmente e con eguale portione e parte. Quali ordino vivano da huomeni da bene proibendoli a fatto il gioco de le carte e che obediscano li Commissarii alli quali racomando et le persone et la roba che io li lasso ecc. (omissis). Io Hieronimo Forni afermo il tutto di sopra scritto esser così la mia volontà et aver ordinatto et costituitto quanto di sopra è scritto. Io Francesco Ceratto suddetto pregato del sig. Gieronimo ho scritto quanto è per lui stato detto di sopra scritto et relettopiù d’una volta confirmato con la sua sottoscritione. Io Guanne Pallavicino q. ser. Gio. Francesco pregato dal sig.Gieronimo Forni ho sottoscritto il presente suo testamento et fuori sigillato. Io Baldissera Trissino fiollo del sig. Iseppo Trissino pregato come di sopra ho sotoscritto e sigilato. Io Giombattista Camarela q. D. Marcantonio pregato come di sopra ho sotoscritto et sigilato. Io Ludovico Cartolari q. Iseppo pregato come si sopra ho sotoscritto e sigilato con il mio sigillo della casa Cartolara. Io Anzolo Roman q. D. Matio così pregato come di sopra e sotoscrito e sigillato. Io Giacomo Zancan così pregato ho sottoscritto et sigillato come di sopra. Die Martis 26 Januarii 1610 Coram Ill.mo D. Antonio Marcelo pro Ser.mo ducali dominio Venetiarum Vincentiae et districtus potestate meritissimo esistente in camera sue solite residentiae. Comparuit D. Olivus de Bonaguriis intervenies in hoc nomine D. Ioannis q. D. Nicolai Cerratti patris et nomine filiorum suorum Iosephi Hieronimi et Baldesaris et dominationi suae Ill.mae exposuit hoc maneex hac vita migrasse Dominum Hieronimum q. alterius D. hieronimi a Farnis suo condito testamento in scriptis exsistente penes Dominum Franciscum

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Cerattum Not. de eo rogatum. Quod testamentum dictus esponens que supra nomine reverenter instetit aperiri (omissis). Ex libro Decretorum D. Nicolai Bernardo Not. ad Officium Sigilli. Octavius Colzadus Not. Coadiutor.

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2 Il problema dell’Attribuzione

Lo status sociale per certi versi “ambiguo” del Forni, non gli permise comunque, come già visto, di coltivare amicizie con uomini importanti e personaggi di spicco della cerchia aristocratica e artistica vicentina. I lavori che lo impegnarono per la Basilica, per alcuni palazzi vicentini34 e poi per gli Olimpici, hanno un solo elemento in comune, o meglio un personaggio: Palladio. I rapporti lavorativi ma anche artistici quindi hanno fatto supporre a molti che in quel periodo specifico l’unico in grado di poter progettare e costruire un edificio simile potesse essere Palladio. Ma dire che il Villino possa essere frutto di un intervento palladiano va contro ogni logica. Intanto come prima cosa non è stato ritrovato nessun documento o disegno che attesti o certifichi la paternità palladiana della fabbrica 35 ; come seconda cosa, l’intero edificio presenta dei tratti che nessun’altro edificio veramente palladiano presenta. Se si certificasse realmente l’attribuzione palladiana, questa rappresenterebbe un’eccezione, uno sconvolgente esempio di come il maestro riuscì ad andar oltre al lessico da lui stesso creato, dando origine ad un opera completamente astratta e metafisica. Questi ed altri argomenti hanno aperto discussioni fra gli storici, dal ‘700 fino ad oggi, molte delle quali ancora irrisolte; riassumo di seguito attraverso una tabella, tutte le posizioni della critica dal 1740, data della prima pubblicazione scritta sulla villa, fino ad oggi.

34 Vedi note n. 12 e 13. 35 I primi rilievi della Villa sono pubblicati da Ottavio Bertotti Scamozzi in Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, scritti e incisi da Ottavio Bertotti Scamozzi, Venezia, 1796, p. 44; anche se il Muttoni aveva anch’esso rilevato la Villa intorno al 1740 circa, ma i disegni rimarranno allo stato preparatorio. Il Bertotti Scamozzi lo indica come “Casino Cerato”, per le forme ridotte che assume (cfr. con i Casini Veneziani, presenti al Lido o nelle isole lagunari; es. Casino Pisani al Lido di Andrea Palladio, vedi Battilotti-Puppi in Andrea Palladio, cit., pp. 503, 513).

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CRITICI A FAVORE DI ANDREA CRITICI CONTRARI AD ANDREA CRITICI INCERTI PALLADIO PALLADIO

Anno Studioso Anno Anno Studioso Anno Anno Studioso pubb. attrib. pubb. attrib. pubb. 1740 F. Muttoni 1778 Bertotti s.p. 1825 G. Da Schio Scamozzi 1921 C. Gurlitt 1845 G. Maccà 1845 A. Magrini 1931 G. Fasolo 1847 G. Pullè s.p. 1897 B. Bressan 1943 A. Dalla Pozza 1540 1929 G. Fasolo 1968 G. Garzaro 1961 R. Pane 1963 G. Mazzotti 1963 F. Franco 1969 G. Zorzi 1576/77 1963 G. Kubler 1971 R. Cevese 1580 1963 A. Chastel 1540 1971 A. Chastel 1963 B. Zevi 2001 D. Battilotti 1564/76 1966 L. Puppi 1966 M. Rosci 1540/41 1967 L.S. Ackerman 1541/42 1968 F. Barbieri 1969 P. Hofer 1973 C. Levis 1560 1979 H. Burns 1540 1990 D. Battilotti 1540 1990 G. Zaupa

Per quanto riguarda la mia opinione, sono arrivato ad una conclusione con due ipotesi: la prima secondo cui la Villa possa essere stata pensata in maniera concettuale dallo stesso Palladio, ma che in seguito possa essere stata realizzata da qualcun altro della sua cerchia per questioni di maggiore importanza, come il trasferimento a Venezia36; in secondo, presuppongo che il Forni per questioni economiche e di risparmio si sia accontentato, come per la statua, del lavoro di qualcuno strettamente legato al Palladio che gli permettesse comunque di possedere una villa all’antica, come la moda dell’epoca imponeva, senza spendere una somma troppo elevata. Il risultato di queste due ipotesi non è nato solamente dal confronto storico e dei documenti, ma anche da una specifica attenzione ad alcuni particolari che io definirei non troppo palladiani e di cui non ho trovato riscontro in nessun altra opera da lui realizzata.

36 Non ritengo che il Villino possa essere stato costruito tra gli anni ‘40 e ‘50 del ‘500 per le troppe incongruenze storiche: il Forni infatti ricordiamo che era ancora un bambino nel ’41 (vedi nota 7).

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Cerchiamo quindi con ordine, di analizzare queste incongruenze: partendo dall’esterno, già in facciata, si può notare subito una discordanza con il carattere palladiano, non presente né nella serliana, troppo stretta e alta, come se fosse stata incassata direttamente sulla facciata, né nella scalinata, anch’essa troppo stretta e insolita per essere prettamente palladiana, ma neanche nelle aperture del piano terra e del sottotetto che non rispecchiano le proporzioni delle finestre delle altre ville del Palladio, e neppure nella cornice sommitale, che tra l’altro si ripete solo in parte lungo il timpano sopra la loggia. Gli unici elementi riconducibili al Palladio possono essere le finestre modanate del piano nobile, il portale che dalla loggia conduce al salone e il timpano classico sopra la loggia. Altro elemento esterno che riprende il ritmo palladiano è la disposizione delle finestre al piano, dove in corrispondenza al salone centrale, nella facciata posteriore un portale modanato si apre, anche se oggi deturpato dai resti di un balcone di origine postuma, e affiancato da due finestre37. Il tetto comunque potrebbe sempre essere un richiamo allo stesso Palladio per la sua conformazione sia esterna che interna. All’interno del fabbricato le differenze con le altre Ville aumentano: a piano terra l’esigua altezza dei soffitti esclude ogni intervento palladiano come anche la struttura a travature e non a volta come per le altre ville; al piano nobile la presenza nel salone di porte ad arco38; le stesse proporzioni delle stanze fanno discutere; la scala, anche se completamente rovinata da un restauro degli anni ’20 del secolo scorso, è dislocata in maniera insolita. Gli unici elementi palladiani possono essere le quattro porte con cimasa del salone e i due camini delle stanze laterali. Anche al piano nobile tutti gli ambienti sono coperti da un soffitto a travature. Nel sottotetto infine le travature di questo, come già detto, potrebbero rispecchiare quelle di un edificio palladiano ma non le proporzioni delle finestre. Quindi, come detto all’inizio, le troppe differenze con gli altri edifici palladiani hanno suscitato molti dubbi sulla paternità dell’edificio. Ritengo dunque che lo stesso non possa essere solamente opera di una persona ma

37 Cfr. con villa Pisani a Bagnolo, anche se nelle proporzioni queste aperture si avvicinano di poco agli schemi del Maestro (vedi R. Pane in Andrea Palladio, 1961, pp. 104-105; lo studioso vede un’ulteriore serliana in questa disposizione). 38 Una sulla destra per l’accesso alle scale e una sul lato opposto murata.

16 piuttosto di un gruppo vicino al Palladio, che in qualche maniera abbia appreso da lui determinate tecniche di progettazione e costruzione39.

39 In accordo quindi con la proposta della Battilotti, penso che la Villa sia stata “ristrutturata” tra il 1564 (vedi nota 8) e il 1576 (soggiorno del Vittoria a Vicenza per la peste), e che quindi i principali lavori di costruzione siano terminati entro quell’anno. Questa cosa mi ha fatto supporre che se realmente lo scultore trentino fu ospitato in quel luogo, con le opere murarie ormai al termine, possa aver concepito le famose sculture che ornavano la Villa, sia esternamente, sia all’interno, nel salone. Non ritengo però che la sistemazione degli ambienti possa esser frutto del Vittoria. Penso piuttosto ad una collaborazione tra il committente stesso e Palladio (che intervenne solo per alcuni aspetti stilistici, magari con qualche disegno o consiglio orale, che poi vennero modificati in via d’esecuzione e plasmati in maniera da poter trovare un equilibrio con le preesistenze), o da qualcuno della sua cerchia (Scamozzi?) che studiando le diverse architetture del Maestro sia riuscito a creare una struttura ibrida, dove in economia, era possibile trovare molti particolari architettonici presenti in altre ville.

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3 Descrizione della Villa

Il villino, situato in località Capodisotto 40 a Montecchio Precalcino, si presenta in aperta campagna, a non molta distanza dal torrente Astico. La Villa con facciata a sud nella parte anteriore, è affiancata ai lati da diversi caseggiati41 che quasi impediscono la piena visuale della facciata stessa, visibile solo frontalmente dal cancello in ferro posto in asse ad essa. Il lotto è circondato da un muro in ciottoli e mattoni visibile soprattutto nel lato orientale, che percorre tutto il brolo retrostante, fino quasi al paese. Sempre sul lato orientale sono presenti i ruderi di una barchessa e di una casa-torre, 42 ora completamente ricoperti di vegetazione . In facciata, la loggia è preceduta da una scalinata di 17 gradini modanati in pietra, che presenta come larghezza, quella dell’arcata centrale della serliana. Un piccolo pianerottolo collega i due elementi, sostenuto da una arcata in mattoni che permette anche l’accesso al pian terreno. La loggia è costituita da una serliana alta e austera, su pilastri senza decorazioni di particolare valore, tranne per una testa di medusa in chiave d’arco, attribuita ad Alessandro Vittoria e dei bassorilievi in nicchie rettangolari sopra le aperture laterali 43 . L’interno del loggiato è decorato con una serie di affreschi, ritmati da paraste corinzie, anch’esse dipinte. Attraverso la tecnica trompe-l'oeil, l’artista raffigura quattro scene in stile bucolico, dove sono rintracciabili alcuni elementi che richiamo lo spazio attorno alla Villa e

40 Il nome Capodisotto si sviluppa nel periodo medievale, dove il paese di Montecchio si divideva in due grandi poli rispetto alla posizione della chiesa parrocchiale (a metà strada tra i due): quello a Nord, con il nome di Capo di Sopra (ai piedi della chiesa di san Rocco) e quello a Sud, come Capo di Sotto. Nel tempo, con l‘ingrandimento del centro cittadino, si perse l’utilizzo del primo toponimo, mentre il secondo è ancora ritracciabile nello stradario odierno, essendo più lontano dal resto del paese (Paola Converti, Il Villino Cerato a Montecchio Precalcino: proposta di riassetto dell'area, Tesi di laurea, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Corso di laurea in architettura, 1986). La Villa si trova in Via Venezia. Domenico Garzaro (Di Montecchio Precalcino e di Toponomastica Stradale, Fara Vicentino, ed. Grafiche Leoni 2013), cerca di trovare una spiegazione per questo nome, indicando i rapporti che i signori di questa località avevano con Venezia (Forni, Nievo, Cerato, …). 41I Rustici ad est facevano parte dell’originario complesso, mentre quelli opposti, costruiti solo nel secolo scorso dopo una serie di lottizzazioni, racchiudono l’antica Colombara, ancora oggi in parte visibile. 42 E’ ancora visibile l’attaccamento tra quest’ultimo edificio e il corpo padronale della villa. 43 I bassorilievi sono solo una copia poiché gli originali furono trafugati nei primi anni del secolo scorso.

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Venezia44. Il portico, che è aggettante rispetto al filo dell’edificio, presenta altrettante aperture rettangolari uguali a quelle in facciata sui lati. Sempre in facciata al di sopra delle luci laterali, nel sottotetto, si aprono in asse due finestre rettangolari prive di alcuna decorazione; una cornice a listelli e mensole di piccole dimensioni corona tutto il fabbricato, sostenendo il timpano che ne possiede una propria. Ai due lati della parte centrale aggettante, è ben visibile la partizione del pian terreno dal quello nobile, attraverso una cornice marcapiano; in questa porzione le finestre presentano una modanatura, al piano nobile una cimasa e quelle del sottotetto una cornice. Nei prospetti laterali non è presente nessun elemento significativo, tranne per la facciata nord dove la porta del salone centrale è arricchita da una cimasa e inquadrata dai resti di un balcone classicheggiante45. All’interno del pian terreno la bassa altezza dei soffitti a travature lignee crea ambienti bui, sicuramente utilizzati come cantine, mentre i pavimenti sono di un cotto probabilmente non originale e di scarso pregio; l’unico camino presente è stato inserito negli anni venti del ‘900 e non ci sono tracce di altre canne fumarie46. La scala che conduce al piano superiore presenta gradini modanati in marmo bianco, anch’essi del secolo scorso. Dalla loggia si accede al salone del piano nobile47; questo a sud presenta solamente il portale che conduce alla loggia, mentre a nord un portale con

44 L’autore, come anche la datazione di queste pitture, non sono precisabili. 45 Negli alzati laterali e in quello posteriore, appena sotto al balcone delle finestre, è presente un “beccuccio”, di cui non ho trovato nessun riscontro nelle altre architetture dell’epoca. 46 Nella stanza a Sud-Est, al piano terra, la porzione di muro compresa tra una finestrella e una porta è stata completamente tamponata, sembra anche recentemente (non prima di cinquanta anni fa). Propongo quindi che in quella stanza, in asse con quella superiore al piano nobile, fosse presente un grande camino alla romana, e che quindi l’uso sia riconducibile a quello della cucina della Villa; questa ipotesi mi viene confermata dal fatto che la porta a fianco ad esso, conduca direttamente all’esterno, o meglio in quel luogo dove, prima del crollo del tetto del vicino rustico, esisteva un disimpegno che collegava la villa con la barchessa stessa e con una cantina sotterranea (cfr. Cevese, 1980). Molti invece, considerano la stanza a Nord-Est, sempre al pian terreno, come l’antica cucina della Villa; ma io piuttosto ipotizzo che si tratti del tinello (era presente in essa un “seciaro” in pietra addossato alla parete, del quale è ancora visibile lo scarico che fuoriesce verso Nord, sulla facciata posteriore). 47 La scala interna, prima citata, non necessita di altre considerazioni, essendo un elemento non originale del fabbricato: venne rifatta completamente durante un brusco restauro del 1920/21 insieme al pavimento del salone, oltre che allo spoglio delle decorazioni scultoree, esterne ed interne che la villa presentava

19 finestre laterali e altre due finestre rettangolari più piccole sopra che, davano luce a tutto l’ambiente 48 . Il soffitto ligneo, presenta ancora tracce di decorazione pittorica. Alle quattro stanze laterali si accede da quattro porte modanate e con cimasa: le due stanze a sud sono più grandi e presentano grandi camini decorati con cornici classiche, sostenute da mensole con zampe leonine. Le altre due sono di piccole dimensioni: una quadrata, forse cubica, l’altra con le stesse dimensioni della loggia; i pavimenti 49 e le coperture di queste stanze sono lignee e non presentano alcuna decorazione. Le scale che conducono al piano superiore sono sempre lignee. La parte più interessante del piano superiore è la travatura che sorregge il tetto e che presenta una capriata a struttura rigida; il pavimento è formato da una serie di mattonelle in cotto sopra il tavolato, collocate forse posteriormente.

48 Le due finestre più piccole rettangolari furono tamponate in epoca non precisata. 49 I pavimenti in realtà sono stati asportati dalle quattro stanze. Penso che comunque si trattasse di pavimenti alla veneziana, come era di moda all’epoca.

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4 Confronti Palladiani

La Villa se confrontata con altre palladiane dello stesso periodo può riscontrare alcune affinità e alcune differenze. Se il villino fosse realmente palladiano e databile tra i primi anni ’40 del ‘500, risulterebbe congruente, con i primi lavori del maestro, tra cui Malinverni. Le due hanno la stessa funzione, cioè quella di villa agricola di campagna e presentano la stessa assenza nelle decorazioni, lo stesso minimalismo nella facciata, soprattutto sulla loggia, dove in villa Godi è caratterizzata da tre arcate su pilastri, presenti anche in villa Forni a sostegno della serliana. Una scalinata in entrambe le ville si presenta solo davanti all’arcata centrale e non su tutta la lunghezza dello stesso loggiato. Altre affinità le si possono ritrovare nella pianta delle ville, per la tripartizione del corpo principale e per la disposizione di alcune aperture. Possiamo ancora aggiungere che entrambe presentano solai lignei tra il piano nobile e il sottotetto con travatura a vista. In villa Godi però non è ancora presente un pieno stile classicheggiante, come lo è già per villa Forni, anche nella sua essenzialità50; in villa Godi la loggia e gli ambienti al pian terreno presentano coperture a volta che in quella del Forni non sono presenti. Il villino quindi, non presenta un reale sviluppo dell’architettura del maestro, ma piuttosto una sua “copia” con l’aggiunta di elementi classici. Altra villa a cui si può fare riferimento è dove possiamo riscontrare alcuni particolari simili soprattutto nella serliana di facciata51. Entrambe le serliane si presentano su pilastri ma con alcune differenze: questi sostengono due architravi e un arco, ma in Villa Pojana l’architrave è ben visibile, sopra le luci laterali, e sostiene una cornice a listello che fa da imposta all’arco; in Villa Forni, l’architrave viene nascosto, o meglio ridotto ad un esigua parte quasi impercettibile. Lo stesso arco, in Villa Pojana viene evidenziato da due cornici che mettono in risalto non solo l’arco stesso della serliana ma anche gli oculi interposti fra di esse, mentre in Villa Forni l’arco

50 Timpano in facciata sopra loggia, porte e finestre con modanature. 51 Anche se quella di villa Pojana è unica nel suo genere, con probabili riprese bramantesche.

21 presenta solo intradosso e l’estradosso viene decorato con una minuscola testa di medusa, senza l’utilizzo di cornici.

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5 Storia

In merito alla storia della Villa poco viene documentato ma sicuramente dopo la morte del Forni venne eredita dai nipoti Cerato52 e venne abitata fino alla prima metà del secolo scorso53. Dopo di che venne completamente abbandonata, anche se la lottizzazione dei terreni intorno ad essa era già iniziata a partire dai primi dell’ottocento54, invadendo quindi lo spazio del giardino anteriore, che ad oggi si presenta come una fascia di terra delimitata da muri a ciottoli grande quanto l’ampiezza della Villa stessa. Anche la barchessa è stata invasa a sud da questi nuovi caseggiati, creando uno sbarramento davanti ad essa ed al suo ormai inesistente portico. Recentemente, dopo essere stata messa all’asta la Villa è stata acquistata da un imprenditore vicentino, il Dottor Ivo Boscardin, che ha subito mostrato interesse al restauro dell’immobile, affidato all’Architetto Diego Peruzzo55.

52 Come scritto nel testamento dello stesso Forni; la villa deve essere proprietà degli stessi Cerato ancora verso la fine del ‘700, visto che lo stesso Bertotti Scamozzi la indica come loro proprietà nel suo libro sulle fabbriche palladiane: Pietro Cerato (Bertotti Scamozzi, op. cit., p. 44.). 53 Dalla fine del settecento si susseguirono una serie di proprietari, tra cui i Porto. 54 Come dimostrano i catasti, da quello Napoleonico a quello Austro-italiano. 55 Comunicazione verbale dell’Architetto Peruzzo e del proprietario Dottor Boscardin, che ringrazio per la collaborazione.

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