Università degli Studi di Padova

Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica

Corso di Laurea Triennale in Progettazione e gestione del turismo culturale

Andrea Palladio a Montecchio Precalcino: Forni Cerato

Relatrice: Prof.ssa Elena Svalduz

Correlatrice: Prof.ssa Barbara Maria Savy

Laureanda: Costanza Scarpa Matr. 1125621

Anno Accademico 2018/2019

Ringraziamenti

Desidero esprimere la mia gratitudine nei confronti della Professoressa Elena Svalduz per il tempo dedicatomi, l’impegno nel seguirmi e soprattutto per aver sempre supervisionato in modo accurato la tesi durante la stesura. Un contributo importante è stato offerto dalla Professoressa Barbara Maria Savy che ringrazio per la disponibilità e per avermi indirizzato nella parte della tesi inerente agli affreschi. Senza visitare questa tesi non avrebbe mai avuto inizio, per questo ringrazio innanzitutto il proprietario della villa, il Dottor Ivo Boscardin, per aver accolto subito con entusiasmo e interesse il progetto di questa tesi e la Dottoressa Francesca Grandi per essere stata sempre presente in caso di chiarimenti e avermi dato la possibilità di consultare e utilizzare foto e planimetrie di ottima qualità, un importante supporto nonché ricchezza per questo elaborato.

3 4 INDICE

INTRODUZIONE pag. 7

CAPITOLO 1. IL COMMITTENTE pag. 11

1.1. Il ritratto di Girolamo Forni pag. 11

1.2. Il testamento di Girolamo Forni pag. 21

CAPITOLO 2. VILLA FORNI CERATO E pag. 23

CAPITOLO 3. LA VILLA E IL TERRITORIO pag. 35

3.1. Il territorio attuale pag. 40

3.2. Analisi cartografica territoriale del contesto paesaggistico di villa pag. 41

3.2.1. Le fonti di ricerca pag. 41

3.2.2. Analisi della cartografia storica pag. 43

CAPITOLO 4. L’ARCHITETTURA pag. 49

4.1. L’esterno pag. 50

4.1.1 La facciata sud pag. 50

4.1.2 La facciata sud: apparato decorativo pag. 53

4.1.3 La facciata sud: la “porta ionica” e gli affreschi della pag. 59

4.1.4 La facciata nord pag. 67

4.2. Parti del complesso: brolo, torre colombara, barchessa, cantina pag. 70

4.3. L’interno pag. 78

4.3.1. Il salone centrale pag. 79

4.3.2. I camini delle stanze pag. 80

4.3.3. Il sottotetto pag. 84

5 CAPITOLO 5. LA SITUAZIONE ATTUALE pag. 91

APPENDICE DOCUMENTARIA pag. 103

APPENDICE FOTOGRAFICA pag. 109

BIBLIOGRAFIA pag. 111

SITOGRAFIA pag. 117

6 INTRODUZIONE

Villa Forni Cerato, ubicata a Montecchio Precalcino, dal 1996 Patrimonio dell’UNESCO, dagli anni Novanta fino al 2017, anno dell’acquisto dell’ultimo proprietario Ivo Boscardin, versava in uno stato di totale abbandono: crepe, calcinacci, rifiuti e vegetazione infestante ne impedivano la vista persino dalla strada. Per tali motivi è stata considerata a lungo dal Centro Internazionale Studi di Architettura “Andrea Palladio” una «spina nel fianco», in quanto unica villa attribuita al grande architetto a trovarsi dopo il censimento del 2001 in un simile stato di degrado1. Ora, all’indomani dell’acquisto, possiamo affermare con piena fiducia, prendendo in prestito le preziose parole di Andrea Savio, che «sono state gettate le fondamenta per un futuro roseo della villa»2. In questo contesto si inserisce l’obiettivo di questo lavoro: ricostruire la storia della villa per comprendere il manufatto nelle sue specificità storiche, architettoniche e artistiche e inserirlo all’interno di quel sistema paesaggistico che rende peculiare il territorio : gli “insediamenti di villa palladiani”. La Forni Cerato ha suscitato fin dal Settecento l’interesse di architetti e studiosi che si sono impegnati a descriverla, analizzarla e ipotizzare il nome del possibile artefice. Spetta a Francesco Muttoni il merito di aver attribuito, per primo, la villa al grande architetto Andrea Palladio; successivamente, questa paternità è stata condivisa, non senza discussioni, da altri studiosi dopo un’attenta analisi architettonica interna ed esterna dell’edificio. Nella villa vengono riscontrati elementi analoghi ad altre fabbriche dell’architetto e quindi riferibili al linguaggio palladiano: la serliana, il frontone triangolare, lo sviluppo dell’alzato in tre momenti di scansione, le finestre dell’attico e l’uso delle cornici nelle finestre del piano nobile. Da ricerche più recenti a cura di Howard Burns e Donata Battilotti, su documenti che fanno riferimento alla proprietà di

1 M. Billo, Villino dell’Unesco messo in vendita, Palladio va all’asta, «Il Giornale di », 09 aprile 2017,

2 M. Billo, Palladio svela i segreti della villa Forni Cerato, «Il Giornale di Vicenza», 5 giugno 2018, .

7 Girolamo a Montecchio Precalcino, apprendiamo che la villa è il risultato di un’opera di ristrutturazione dell’edificio preesistente nel terreno di proprietà della famiglia del Forni. Punto di partenza dell’attività di ricerca storica è stata l’analisi del testamento sottoscritto da Girolamo Forni nel 16103. L’atto è fondamentale in quanto qui, per la prima volta, viene citata la villa e vengono fornite alcune informazioni importanti su Girolamo Forni, il proprietario. Pertanto, il primo passo per comprendere la storia della villa è stato quello di delineare la figura del committente e sotto questo punto di vista si è rivelato essenziale tener conto, oltre al testamento, del lavoro effettuato da Giangiorgio Zorzi, basato su documenti storici che riguardano il Forni. Emerge il disegno di un personaggio colto, ricco e di un certo prestigio nella Vicenza della seconda metà del Cinquecento che pur non appartenendo ad una famiglia nobile, si diletta nella pittura e nel collezionismo ed è in contatto per affari o per amicizia con personalità influenti del mondo culturale e artistico. La sua professione abituale, il commerciante di legname, inoltre gli consentirà di venire a contatto con i maggiori cantieri palladiani e di raggiungere una stabilità economica tale da permettergli una veloce ascesa sociale. Una personalità, quindi, che rivela la capacità di partecipare attivamente nella definizione del nuovo assetto formale della sua dimora e di disporre all’interno della sua cerchia di amicizie di un’ampia rosa di esperti pronti a fornirgli consigli. Gli appunti e i disegni di Ottavio Bertotti Scamozzi e la litografia dell’esterno della villa di Marco Moro sono stati un valido aiuto per lo studio architettonico della villa, in quanto restituiscono un’immagine della bellezza del complesso decorativo dell’edificio, offrendoci continui confronti con lo stato attuale. Oltre al lavoro documentario di Zorzi, già citato, anche le ricerche di Donata Battilotti, sulle fonti estimali e sul committente, sono state un prezioso contributo e un’ottima base di partenza per approfondire la figura di Girolamo Forni e l’analisi del manufatto architettonico. Essenziali per lo studio si sono rivelati anche i rilievi fotogrammetrici,

3 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino negli anni 1576 e 1577 e la sua amicizia con Girolamo Forni. Il testamento fatto da costui e il suo busto fatto dal Vittoria, in «Arte veneta», vol. XX, 1966, pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

8 laser scanner e topografici della villa effettuati dal Politecnico di Milano gentilmente concessi dal proprietario. Per quanto riguarda la struttura della tesi essa si articola in cinque capitoli. Nel primo capitolo viene analizzata la figura di Girolamo Forni prendendo in considerazione la sua vita e ponendo una particolare attenzione anche al contesto storico-culturale in cui è vissuto. Nel secondo capitolo vengono affrontate le varie tesi circa l’attribuzione palladiana della villa dal Settecento fino ai giorni nostri. Anche se oggi la maggior parte degli studiosi concorda sull’attribuzione palladiana dell’edificio, nel corso del tempo si sono susseguite vivaci discussioni. La parte finale del capitolo è dedicata alle ultime ricerche in merito alla proprietà del Forni che permettono di fissare dei punti fermi per quanto riguarda il committente e la datazione. Nel terzo capitolo, dopo aver collocato la villa dal punto di vista geografico, è stata effettuata una breve descrizione del contesto storico-culturale del territorio, anche considerando le trasformazioni paesaggistiche che ha subito nel corso del tempo. Successivamente è stata eseguita un’analisi cartografica del contesto paesaggistico della villa prendendo in esame tre mappe realizzate in diversi periodi storici, dal Cinquecento all’Ottocento: la Mappa dei Provveditori Sopra i Beni Inculti e gli estratti del Catasto napoleonico e austriaco. Il quarto capitolo si concentra sull’architettura della villa, con particolare interesse agli elementi riferibili al linguaggio palladiano. Per quanto riguarda la parte esterna l’attenzione si è focalizzata sulla loggia con la “porta ionica” e gli affreschi ancora inediti; internamente si sono presi in esame i due camini cinquecenteschi presenti nelle stanze. L’analisi della villa ha voluto includere anche tutti quegli elementi come brolo, torre colombara, barchessa, cantina che fanno parte del complesso e identificano la Forni Cerato come “villa-fattoria”. Il quinto capitolo è rivolto principalmente alla situazione attuale dell’immobile. Sono state trattate le ultime vicende che riguardano la villa dai vari passaggi di proprietà, allo stato di abbandono, fino all’asta fallimentare del 2017 con l’acquisto della stessa da parte di Ivo Boscardin. Una parte riguarda le intenzioni dell’attuale proprietario circa la destinazione d’uso della villa e le questioni discusse in due

9 workshop. Un breve cenno sarà dedicato alle prime attività di restauro intraprese, ancora in fase germinale. In conclusione, la tesi vede la stesura in parallelo con il recupero architettonico della villa e si pone in linea con l’intenzione dell’attuale proprietario, cioè quella di far diventare la Forni Cerato un “museo di se stessa”, in grado di parlare della sua storia. L’attenzione, quindi, si è focalizzata non solo sull’aspetto architettonico, di indiscutibile valore artistico, ma anche sul periodo storico in cui essa ha visto l’edificazione, particolarmente interessante per la straordinaria fioritura delle ville venete nel territorio vicentino, l’attività di Andrea Palladio, come ideatore di un modello di “case di villa”, l’emergere di una classe sociale che prima di allora non aveva potuto rivestire il ruolo di committente. Così anche la Forni Cerato, dopo anni di incuria e di abbandono, potrà contribuire, insieme agli altri capolavori palladiani, a mantenere in memoria una delle più alte espressioni della cultura veneta e raccontare un pezzo di storia considerata tra le più felici del nostro territorio.

10 CAPITOLO 1 IL COMMITTENTE

1.1. Il ritratto di Girolamo Forni

Di Girolamo della Grana detto “dai Forni”4, ancor oggi abbiamo scarse informazioni anagrafiche, ma sufficienti per determinare la figura di un proprietario colto e di un certo prestigio nella Vicenza della seconda metà del Cinquecento. Se la sua professione abituale è legata alla vendita di legname che condivide con il fratello Iseppo, non bisogna dimenticare la sua propensione verso la pittura e il collezionismo d’arte. Giacomo Marzari, nella Historia di Vicenza edita la prima volta nel 1591, ci fornisce un breve profilo di Girolamo; egli lo pone tra i «vicentini ingegni» per le sue naturali doti di pittore ritrattista dilettante, come dimostrano alcuni ritratti conservati al Museo Civico di Vicenza (Figure 1 e 2) e al Metropolitan Museum of Art di New York e per la sua raccolta di antichità: «statue et figure di bronzo, di rame, di marmo e di gesso della vera effige d’imperatori, re, romani, consoli et altri antichi famosi huomini»5. Questa sua particolare vocazione viene sottolineata anche da Girolamo Gualdo che nel 1665 afferma: «[era] cittadino vicentino di honoratissime qualitadi, abitava al Castello […] dove haveva raccolto, in alcuni cameroni, un vago studio di disegni, tronchi, modelli, e pitture diverse, onde veniva visitato da tutti li virtuosi della città e forestieri, che per la detta passavano. Era di affabile natura, di belle e pulite lettere, per le quali meritò d’essere annoverato tra li signori accademici olimpici. […] Fu il Forni mirabile nel disegno et eccellentissimo nel genere dei ritratti, uno de’ quali conservo che non vi manca altro che lo spirito, che fece a Giovan Battista Gualdo, fratello di mio avo, che era canonico di Vicenza»6.

4 Girolamo già in un documento, contenuto nelle Memorie dell’Accademia Olimpica, del 24 febbraio 1558, viene denominato «messer Hieronimo di Forni»; questo toponimo lo identificherà per tutta la vita, sostituendosi al cognome paterno “della Grana”.

5 G. Marzari, La Historia di Vicenza (1591), Vicenza, appresso Giorgio Greco, 1604, II, pp. 211-212.

6 G. Gualdo jr., 1650 Giardino di chà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze, Olschki, 1972, pp. LXI, 59-60.

11 Girolamo, ricco, ma non nobile7, come invece lo erano molti dei committenti palladiani, è un esponente di quella Vicenza mercantile che a partire dal quarto decennio del XVI secolo si trova in una fase congiunturale favorevole e raggiunge l’apice della propria ricchezza nella seconda metà del Cinquecento, grazie alla manifattura laniera e a un vero e proprio boom nel campo della produzione serica8. Dell’infanzia dei due fratelli si sa poco. Probabilmente, nati intorno al 15309, dopo essere rimasti orfani, vengono affidati agli zii “dai Forni”10: il presbitero Iseppo e il mercante di legname Giovanni Pietro. Gli zii, non particolarmente ricchi, soggetti a un carico fiscale minimo11, abitavano a Vicenza, in contrà San Lorenzo, attuale corso Fogazzaro, in una casa dei conti Valmarana. Questo è un dettaglio di una certa rilevanza visto che Girolamo resterà sempre in ottimi rapporti con la famiglia Valmarana, in particolare con Giovanni Alvise e Leonardo, come è dimostrato anche da alcuni ritratti, realizzati dal nostro committente, appartenenti alla famiglia Valmarana e oggi conservati ai Musei Civici di Vicenza (Figura 1). Inoltre Leonardo Valmarana citato come «[suo] amorevolissimo signore», sarà uno dei tre esecutori testamentari nominati da Girolamo nel suo testamento del 161012. Il 5 marzo 1551 Girolamo e suo fratello diventano eredi universali dello zio Iseppo e nello stesso anno lo zio Giovanni Pietro lascia loro una casa con segheria e diritti d’acque a Velo, in Valdastico, in cambio di un vitalizio.

7 G. Beltramini, Andrea Palladio, l’Atlante delle Architetture,Venezia, Marsilio, 2001, pp.182-183.

8 E. Demo, Le attività economiche dei committenti vicentini di Palladio, in Palladio 1508-2008. Il simposio del cinquecentenario, F. Barbieri et al. (a cura di), Venezia, Marsilio, 2008, pp. 25-28, p. 25.

9 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato a Montecchio Precalcino e il suo committente, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Udine, 26-27 ottobre 2000), L. Finocchi Ghersi (a cura di), Udine, Forum, 2001, pp. 213-227, p. 221.

10 Forni è una frazione del comune di Valdastico in provincia di Vicenza.

11 ASVi, Campione d’Estimo 1558, b. 5, c. 101v, (D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 221).

12 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino negli anni 1576 e 1577 e la sua amicizia con Girolamo Forni. Il testamento fatto da costui e il suo busto fatto dal Vittoria, in «Arte veneta», vol. XX, 1966, pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

12 L’attività nel commercio di legname dei fratelli Forni, come risulta da alcuni documenti, è attestata già nei primi anni Cinquanta del Cinquecento e collegata ai maggiori cantieri vicentini, dove figurano importanti committenti palladiani. Fin dall’agosto del 1549, Iseppo compare tra i fornitori di legname per la costruzione del Palazzo della Ragione13; nel biennio successivo sono intestati ad entrambi diversi pagamenti relativi al cantiere di Palazzo Chiericati14. Nel marzo del 1550 i due fratelli Forni acquistano un’altra segheria a Cogollo e questa operazione li mette in contatto, per via del pagamento di un livello, con Iseppo Porto, il cui palazzo palladiano è in piena costruzione15. Le commissioni prestigiose proseguono nel 1558 con l’Accademia Olimpica, in quanto Girolamo fornisce il legname per l’allestimento delle scene dell’Andria di Terenzio16. Il giro d’affari dei fratelli non si concentra solo sul commercio del legname, ma spazia in altri settori come è testimoniato da un contratto del 19 maggio 1557 con Losco di Angelo Caldogno17, relativo all’acquisto di 152 libbre di filato di seta per un valore di 2128 troni18. Sono anni molto proficui per la famiglia Forni, perché registra una veloce ascesa economica e conseguentemente sociale: da una cifra d’estimo di cinque soldi (la

13 Nei Summarii delle spese per le logge del Palazzo della Ragione a Vicenza, è ricordato un pagamento fatto nel Novembre 1565 a «M. Girolamo di Forni mercante di legnami per tanti legni di diverse sorte… per far armadure per il Palazzo de poter mettere in opera le prede del’orden de sopra». (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 166).

14 Si veda H. Burns, Building and Construction in Palladio’s Vicenza, in Les Chantiers de la Renaissance, Atti del Convegno (Tours 1983-1984), J. Guillaume (a cura di), Parigi, 1991, pp. 191-225, pp. 203-208.

15 La segheria e il terreno pertinente sono acquistati per quarantadue ducati e a questi poi si aggiungono un livello di tre lire e dieci soldi da versare annualmente a Iseppo Porto. ASVi, Notarile, Gio. Batta Vaienti, B. 7343, alle date 26 marzo e 17 aprile 1550 (D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 222).

16 In un documento del 24 febbraio 1558 le Memorie dell’Accademia Olimpica ricordano un debito dell’Accademia di 72 troni «verso messer Hieronimo di Forni» per alcuni legnami «per la commedia recitata». (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 166).

17Committente dell’omonima villa palladiana, impegnato nella produzione e commercializzazione di manufatti serici (E. Demo, Mercanti di terraferma. Uomini, merci e capitali nell’Europa del Cinquecento, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 76).

18 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 223.

13 minima, assegnata agli zii nel 1547) passa nel 1552 a dieci soldi e nei primi anni del Seicento aumenta fino a raggiungere due lire, diciassette soldi e sei marchetti19. A confermare questa rinnovata condizione economica, i due fratelli procedono all’acquisto nel 1559 di una nuova casa da Michele Caldogno in contrà Strà Grande, attuale Corso. La morte del fratello Iseppo deve essere avvenuta intorno al 1563, poiché a partire da questa data nei documenti ufficiali appare nominato solo Girolamo. Proprio in questo periodo egli comincia a mettere insieme la sua collezione d’antichità e coltivare la sua passione per la pittura e il ritratto, di cui forse aveva appreso i rudimenti dal pittore Bernardino, figlio di Pietro Donnini da Parma, a sua volta pittore e probabile allievo di Bartolomeo Montagna20. La sua abilità pittorica non passerà inosservata: nella Descrizione delle architetture, pitture e sculture di Vicenza, del 1779, a proposito delle opere d’arte possedute dai fratelli Ghellini, si riporta la presenza non solo di alcuni ritratti di Tiziano, Fasolo, Tintoretto, ma anche uno del Forni21. A fine Ottocento Pietro Marasca22, parlando di Girolamo, afferma: «[egli] esercitò l’ingegno nell’arte del dipingere e la natura gli venne siffatta maestra che riuscì pittore eccellente, massime nei ritratti». A tal proposito alcuni dipinti eseguiti con maestria ci testimoniano un vivo interesse del committente per la ritrattistica; in particolare si distinguono: il Ritratto di nobile giovinetto (Figura 1), il Ritratto di Isabella Thiene Valmarana (Figura 2) entrambi della fine del XVI, parte della collezione del Museo Civico di Vicenza, ma anche il Ritratto di famiglia con strumenti musicali, databile alla metà del XVI, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, interessanti per la presenza di strumenti musicali

19 ASVi, Estimo, b.5, b. 6, c. 3r; b. 7, c. 2r, c. 9r; b. 8 (D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 223).

20 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 224.

21 E. Arnaldi et al., Descrizione delle architetture, pitture e sculture di Vicenza con alcune osservazioni, Vicenza, per Francesco Vendramini Mosca, 1779, parte II, p. 64.

22 P. Marasca, Cenni Biografici di alcuni celebri artisti vicentini, Vicenza, 1876 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166 - 176, p.167).

14 Figura 1. Girolamo Forni, Ritratto di nobile giovinetto, fine XVI secolo, olio su tela, 87 x 68 cm, Vicenza, Museo Civico.

Figura 2. Girolamo Forni, Ritratto di Isabella Thiene Valmarana, fine XVI secolo, olio su tela, 113 x 96 cm, Vicenza, Museo Civico.

15 a corda dell’epoca. Queste opere manifestano un tratto pittorico affine a quello dei grandi maestri dell’epoca, come evidenzia ancora Pietro Marasca che ne coglie una somiglianza con «più che mai arieggianti la maniera di Paolo»23, giudizio in linea con quello di Adolfo Venturi, secondo il quale il Forni «fu un manierista veronesiano» in grado di rendere «la lucentezza della seta con metodo grafico proprio dei manieristi derivati da Paolo a punti e fili d’argento»24. Le notizie che riguardano la collezione privata di opere d’arte di Girolamo Forni sono incerte, però dal suo testamento25 possiamo ricavare delle informazioni utili a comprendere la natura della sua raccolta che probabilmente aveva sede in uno «studio» di cui oggi si sono perse le tracce della sua ubicazione. In una parte del documento egli elenca: «cosse de rilievo, dissegni, pitture, quadri miei e del mio studio» e inoltre dichiara la presenza di due opere dell’illustre scultore Alessandro Vittoria eseguite quando l’artista era ospite del Forni dopo il suo secondo soggiorno vicentino: «Ordino e prego li miei Commissarii che faccino accomodar nel mio loco e casa di Montechio Precalcin sopra li camini delle due camere […] la mia testa e ritratto di stucco (Figura 3) nella camera sopra l’orto, et quella dell’Ill.mo Cardinal Bembo nella camera dove dormo, quali del già Alessandro Vittoria, mio cordialissimo amico» (doc. n.1). Il busto in gesso di Girolamo Forni è stato individuato da Zorzi all’interno di una collezione privata vicentina. Il Forni, ritratto in vesti all’antica, è rappresentato come un uomo già maturo con il volto dominato da un’ampia fronte, incorniciato da capelli a ciocche e da una corta barba sviluppata specialmente agli angoli della mascella e sotto il mento. Sotto il naso regolare i piccoli baffi ombreggiano la bocca chiusa con un’espressione di recisa volontà. Il privilegio di Girolamo di essere effigiato da Alessandro Vittoria è un indizio rilevante che ci permette di capire la profonda amicizia che legava i due uomini; il Vittoria,

23 P. Marasca, Cenni Biografici di alcuni celebri artisti vicentini, Vicenza, 1876 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166 - 176, p.167).

24 A. Venturi, Storia dell’arte italiana, Milano, Ulrico Hoepli, 1936, vol. IX, parte VII, p.144.

25 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino cit., in «Arte veneta», pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

16 ricordato da Vasari «rarissimo nei ritratti»26 è considerato uno dei grandi ritrattisti della scultura italiana del XVI secolo, al cui attivo figurano commissioni di mecenati di alto rango, come dogi, senatori e procuratori27. Specializzato nel ritratto classicheggiante o all’antica, i suoi busti sono la testimonianza più ricca di questo genere figurativo, tanto da essere definiti dallo storico dell’arte Leo Planiscig «l’anima più profonda dell’artista»28. La dote artistica di Girolamo lo introduce in quella cerchia di artisti presenti nel territorio, in cui spiccano diverse personalità di rilievo: Andrea Palladio, Ottaviano Ridolfi, Lorenzo Rubini, Vincenzo Scamozzi e per concludere Alessandro Vittoria. Con alcuni di questi il Forni unirà legami di solida amicizia, come emerge da alcuni documenti. Il 24 ottobre 1575 Forni anticipa a nome del Vittoria cento ducati per la dote di Doralice, nipote di quest’ultimo, in occasione del contratto di matrimonio stipulato a Vicenza con Ottaviano Ridolfi e in cui Vincenzo Scamozzi è testimone29, inoltre da un contratto di trasporto da Venezia a Vicenza, conservato nella casa del Vittoria, veniamo ad apprendere che il 27 settembre 1576 Vincenzo Scamozzi, Girolamo Forni e Ottaviano Ridolfi si erano accordati con un barcaiolo per «andare con la sua barca in Venetia per levare di casa propria in detta città l’eccellente messer Alessandro Vittoria scultore […] et condurli nel vicentino […]»30 per sottrarlo dal pericolo della peste che aveva colpito la città lagunare (doc. n. 4). Dal 1569 Girolamo ha l’onore di diventare membro dell’Accademia Olimpica e di conseguenza nel 1582 avrà diritto di collocare il suo ritratto (Figura 4) nella scenafronte del teatro palladiano, dove si trova tuttora. La statua è singolare: composta da una testa maschile, probabilmente la sua effigie

26 G. Vasari, Le vite de’più eccellenti pittori, scultori ed architettori (Firenze 1568), G. Milanesi (a cura di), Firenze, Sansoni, 1881,VII, pp. 510-511.

27 T. Martin, Vittoria e il busto ritratto, in “La bellissima maniera”. Alessandro Vittoria e la scultura veneta del Cinquecento, A. Bacchi, L. Camerlengo, M. Leithe-Jasper (a cura di), catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 25 giugno - 26 settembre 1999), a cura di A. Bacchi, M. Leithe- Jasper, Trento, 1999, pp. 273-324, pp. 273-275.

28 T. Martin, Vittoria e il busto ritratto, in “La bellissima maniera”cit., pp. 273-324, pp. 273-275.

29 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 172, doc.1.

30 R. Predelli, Le memorie e le carte di Alessandro Vittoria, Trento, Giovanni Zippel, 1908, pp.57-58.

17 Figura 3. Alessandro Vittoria, Busto di Girolamo Forni, fine XVI secolo, stucco, Vicenza, collezione privata.

Figura 4. Statua di Girolamo Forni e di Giovan Battista Tittoni, fine XVI secolo, Vicenza, , attico della scenafronte, in angolo con la versura sinistra.

18 e da un corpo femminile31, cinto da una lunga veste drappeggiata e svolazzante, così da scorgere un seno e le gambe. Questa incongruenza può essere compresa facendo riferimento a un cambio di progetto decorativo del Teatro Olimpico, deciso il 7 aprile 1582, nel quale si stabiliva: «ogni Academico debba far la sua statua con figura d’huomo vestito overo armato all’antica, et volendo possa farvi la sua effigie dal naturale»32 e la trasformazione delle statue già «fatte con figura di femine» in ritratti degli accademici in vesti all’antica33. Forni era stato uno degli accademici che il primo febbraio 1582 venne sollecitato a far eseguire e mettere in opera le proprie statue in modo da consentire di levare le impalcature ed inoltre era stato incaricato a sovrintendere la collocazione delle statue del terzo ordine. Nell’opera Girolamo stringe tra le mani un bastone emblema del suo lavoro, nonché strumento utilizzato dagli zatterieri per tirare verso riva il legname trasportato dal fiume. Gli ultimi anni della sua vita sono contraddistinti da numerosi investimenti fondiari, soprattutto a Montecchio Precalcino, a pochi chilometri da Vicenza. Si tratta dell’acquisto, compiuto il 19 gennaio 1564 per cento ducati, di un campo di Alvise Nievo situato in contrà Capodisotto34, confinante su due lati con la proprietà appartenuta alla famiglia della Grana fino ai primi anni del Cinquecento35. Secondo l’opinione di Donata Battilotti36, l’avvenuto possesso di questo bene, è un indizio chiarificatore circa l’intenzione di Girolamo di avviare un progetto di incremento e rinnovamento della proprietà di famiglia. Howard Burns37 fa risalire a

31 M.E. Avagnina, Le Statue dell’Olimpico, ovvero la “messa in pietra” degli Accademici fondatori del teatro, in Il Teatro Olimpico, L. Magagnato, L. Puppi (a cura di), Milano, Mondadori Electa, 1992, pp. 85-127, p. 108.

32 Atti, b. 1, reg. D, cc. 34v e 35r. (M.E. Avagnina, Le Statue dell’Olimpico, ovvero la “messa in pietra” degli Accademici fondatori del teatro, in Il Teatro Olimpico cit., pp. 85-127, p. 90.).

33 Ibidem.

34 G. Garzaro, N. Garzaro, San Pietro in Castelvecchio a Montecchio Precalcino, Padova, Signum Padova Editrice, 1985, p. 31, nota 54.

35 Da una denuncia fiscale del 1541 contenuta nel Balanzon Thiene (1541-1564) possiamo riscontrare che la famiglia dalla Grana era proprietaria, almeno fin dai primi del Cinquecento, del sito dove sorge la villa.

36 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 225.

37 H. Burns, Le Opere minori di Palladio, in «Bollettino CISA», XXI, 1979, pp. 9-34, pp. 14-15.

19 questo periodo l’avvio della costruzione della villa Forni Cerato, attribuendo la paternità del progetto all’architetto Andrea Palladio. I primi anni del nuovo secolo sono segnati dalla morte della moglie Elisabetta, avvenuta il 5 ottobre 1605. In questa delicata fase della vita, vedovo e senza figli, consolida il legame con l’amico Leonardo Valmarana, che dimostrandogli la sua vicinanza lo allevia probabilmente dalla solitudine. Da questo momento il Forni risulta abitare in piazza Castello a Vicenza «nelle case hora proprie dei signori Valmarana»38; sarà in questa nobile dimora che Girolamo, sedici giorni prima di morire, il 10 gennaio 1610, detterà il suo testamento.

38 G. Gualdo jr., 1650 Giardino di chà Gualdo cit., p. 59.

20 1.2. Il testamento di Girolamo Forni

Dalla lettura del testamento39 (doc. n.1) sottoscritto da Girolamo Forni da parte del notaio Francesco Cerato, datato 10 gennaio 1610, emergono informazioni rilevanti che riguardano non solo la villa, ma anche la personalità di questo imprenditore impegnato, generoso e ben inserito all’interno di una cerchia di amicizie prestigiose. Uno dei suoi esecutori testamentari è Leonardo Valmarana, appartenente ad una nobile famiglia vicentina e committente di Palladio, che Forni aveva conosciuto fin da bambino, quando abitava con gli zii in una casa dei Valmarana e consolidato con lui una profonda amicizia, tanto da essere definito da Girolamo «mio amorevolissimo signore». Sicuramente è un documento fondamentale per capire con certezza come villa Forni Cerato fosse di proprietà di Girolamo al momento della sua morte, in quanto egli afferma: «[…] mi atrovo haver nella villa de Montechio Precalcino una possessione con belle buone e honorate fabriche […]»40. Comprendiamo inoltre che Girolamo ha particolarmente a cuore la sua proprietà quando, rivolgendosi ai suoi eredi legittimi, i tre figli del nipote Giovanni Cerato, Iseppo, Gieronimo e Baldissera, li sollecita perché continuino a custodire la villa con interesse e riguardo dopo la sua morte: «[…] desidero io somamente e volendo per ogni modo che venghino bene e honoratamente mantenute e atese di tutto punto […]»41. Da uomo attento si assicura che della sua proprietà nulla venga disperso e quindi ordina: ai suoi commissari42 di fare un inventario «de mobili de casa de Vicenza come de villa», di non muovere «cosa alcuna senza il loro ordine [dei commissari]» e agli eredi di obbedire ai commissari e condurre una vita perbene proibendo loro di perdere il lascito con «il gioco de le carte». Sono particolarmente illuminanti alcune parti del testamento in cui egli sottopone

39 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino cit., in «Arte veneta», pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

40 Ibidem.

41 Ibidem.

42 I commissari sono nominati dallo stesso Forni confidando che essi accettino questo incarico con «amore e carrità»; essi sono: il Notaio Cerato, Giambattista Liviera e Leonardo Valmarana.

21 l’immobile a vincolo fidecommissario:

Pertanto voglio che siano sottoposte a strettissimo fidecommisso e proibisco affatto ogni alienatione di quella manco in una minima parte ecc. Dunque lasso detta possession e beni alli figlioli de Messer Zuane Ceratto mio nipote, cioè Iseppo, Gieronimo, e Baldissera et alli figli e discendenti maschi legitimi e naturali e di vero e legitimo matrimonio nati e procreati sustiturndoli uno all’altro sino che vi sarà di tal discendenza, intendo sempre solamente delli maschi legitimi naturali e di legittimo matrimonio nati e procreati.43

43 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino cit., in «Arte veneta», pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

22 CAPITOLO 2 VILLA FORNI CERATO E ANDREA PALLADIO

La storia di villa Forni Cerato è avvolta nel mistero. Ancor oggi mancano fonti archivistiche precise da cui poter ricavare indicazioni necessarie per identificare il nome dell’architetto e la data precisa di realizzazione dell’opera. Attualmente la maggior parte degli storici dell’architettura considera la villa un’opera dell’architetto Andrea Palladio44 e in quanto dimora palladiana è stata inserita nella lista dei patrimoni culturali dall’UNESCO insieme alle ventitré ville dell’architetto45. Tuttavia, nel tempo, l’attribuzione palladiana della villa ha suscitato l’interesse dei più prestigiosi storici dell’architettura, sollecitando vivaci discussioni tra gli studiosi, circa l’intervento dell’architetto vicentino nella villa. Le incertezze non riguardano solo il nome dell’ideatore e la data precisa in cui è stata progettata e realizzata: alcuni sono giunti a mettere in dubbio anche il nome del committente46. Il nome di Palladio è stato pronunciato, per la prima volta, dall’architetto Francesco Muttoni47. Nel primo tomo dell’opera, l’ Indice delle Città, Castelli e Ville48, egli promette di illustrare le «molte fabbriche di architettura di Andrea Palladio […] con l’aggiunta di più tavole con annotazioni che indicano come quelle siano state edificate dal loro principio fino al presente» e inserisce anche il Casino Cerati di Montecchio Precalcino. In realtà ci rimane solo un disegno preparatorio (Figura 5), in cui compare l’edificio

44 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio, Milano, Mondadori Electa, 2006, p. 247. La villa non è citata da Palladio nei Quattro Libri, tuttavia l’attribuzione è basata sulla presenza di alcuni elementi analoghi ad altre fabbriche dell’architetto e quindi riferibili al linguaggio palladiano.

45 Si veda .

46 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 213.

47 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 247.

48 F. Muttoni, Architettura di Andrea Palladio Vicentino con le osservazioni dell’Architetto, Venezia, 1740, I (in G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 169).

23 Figura 5. Francesco Muttoni, rilievo di villa Forni Cerato, poco prima del 1740, Chatsworth, Devonshire Collections.

24 Figura 6. O. Bertotti Scamozzi, prospetto di villa Forni Cerato (da Le Fabbriche e i disegni di Andrea Palladio,Vicenza, per Francesco Modena, 1778, II).

Figura 7. O. Bertotti Scamozzi, sezione di villa Forni Cerato (da Le Fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, Vicenza, per Francesco Modena, 1778, II).

25 Figura 8. O. Bertotti Scamozzi, pianta di villa Forni Cerato (da Le Fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, Vicenza, per Francesco Modena, 1778, II). disegnato in pianta e in alzato, comunque molto importante in quanto riproduce l’aspetto della villa a metà Settecento. Nell’opera dell’architetto Ottavio Bertotti Scamozzi49 del 1778, intitolata Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, compaiono tre tavole riguardanti la villa che rappresentano il prospetto centrale, sezione longitudinale, con particolari del cornicione e della porta d’ingresso e la pianta del piano nobile (Figure 6, 7 e 8). Dopo un accurato rilievo rivelatosi molto dettagliato e rimasto alla base di ogni successivo studio, egli esprime dei dubbi circa l’attribuzione dell’immobile a Palladio così dichiarando: «il bel Casino Cerati di Montecchio Precalcino, la casa del conte Pietro Candogno nella sua villa di Coldogno e la fabbrica di Bissari in Retorgole non le credo di Palladio ma bensì della sua scuola, perché hanno un carattere analogo a lui nella maniera, e perciò da molti vengono tenute per disegni di quel celebre autore». Secondo l’architetto gli elementi che hanno tratto in inganno sono: «[…] la semplicità

49 O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, Vicenza, per Francesco Modena, 1778, II, p. 44.

26 di questo Palazzino congiunta colla eleganza, e la comoda sua interna distribuzione […]». Bertotti Scamozzi ci offre anche una descrizione dell’apparato decorativo esterno che ci fa capire l’aspetto originario della villa prima delle trasformazioni avvenute all’inizio del Novecento «nel mezzo della facciata vi è un frontespizio il cui timpano è ornato dall’arma gentilizia della famiglia e da due fame di stucco eccellentemente lavorate, come pure lo sono i bassorilievi posti in essa facciata». Le tavole di Bertotti Scamozzi a un’analisi dettagliata presentano delle differenze sostanziali rispetto allo stato attuale della villa (Figura 36); possiamo ipotizzare che tali discordanze siano dovute a diversi motivi: la volontà dell’autore di rappresentare una pianta ideale, delle successive modifiche nell’organizzazione interna oppure delle imprecisioni rappresentative50. Tali differenze si possono notare nel disegno del tetto, nella sezione del sottotetto, dove un setto murario divide la sala centrale in due ambienti e nella rappresentazione della scala interna. A inizio Ottocento, lo storico Gaetano Maccà51, nella Storia del territorio Vicentino, nel descrivere la nascita e «lo stato presente» del paese di Montecchio Precalcino, si accontenta di dichiarare che vi è la presenza di una villa inserita fra le opere di Palladio, ma evita di esprimere la propria opinione, circa un’eventuale attribuzione «nel piano di sotto al monte […] trovasi un palazzino di casa Cerato stimato volgarmente disegno di Palladio, benché Bertotti Scamozzi, non lo stimi tale». In tempi più recenti, lo storico dell’architettura Roberto Pane nel volume Andrea Palladio52 del 1961, riconosce in alcuni elementi della villa delle analogie con altre opere palladiane. Afferma che «un piccolo prezioso edificio, la villa Cerato a Montecchio Precalcino, mi appare oggi, ancor più che un tempo, degno di essere considerato per il suo singolare valore espressivo, come opera giovanile del Maestro anzi che, genericamente, quale prodotto della sua scuola».

50 M.C. Benetollo, A.P. Donadello, Villino Foni Cerato a Montecchio Precalcino. Analisi storico-critico e studio proporzionale, progetto di conservazione e di riuso, tesi di laurea, Istituito Universitario di Architettura di Venezia, a.a. 1999-2000, relatore E. Vassallo, correlatori H. Burns, P. Faccio.

51 G.G. Maccà, Storia del territorio vicentino, Caldogno, presso Gio. Battista Menegatti, 1815, XII, parte seconda, pp. 33-34.

52 R. Pane, Andrea Palladio, Torino, Einaudi, 1961, pp. 104-105.

27 Secondo lui l’osservazione della sola facciata non è sufficiente, tuttavia «già la semplice e schietta serliana, nella incisiva crudezza del suo taglio» ricorda il suo utilizzo nella facciata d’ingresso di un’altra dimora palladiana: . Inoltre «il ritmo della serliana» viene riproposto in modo molto armonioso anche all’interno della loggia stessa attraverso una decorazione ad affresco in cui tra lesene scanalate di ordine corinzio compaiono scorci di paesaggio animato da figure umane. A favore dell’attribuzione palladiana si inserisce la tecnica muraria utilizzata dall’architetto, visibile «al di sotto del sottile spessore dell’intonaco, nella posa in opera dei mattoni che riduce al minimo indispensabile l’intervento della pietra», ma anche «la cornice simile a quella di » e il «basamento che conserva ancora tracce di bugnato». Pane, a differenza dei suoi predecessori, non si sofferma solo sulla facciata d’ingresso posta a sud, ma descrive anche la parte posteriore della villa su cui ancor oggi è possibile individuare la sagoma di una serliana. Essa probabilmente aveva la funzione di collegare l’interno dell’abitazione con lo spazio esterno permettendo la visione della fertile campagna circostante, così da raggiungere quell’armonia tanto ricercata da Palladio. A sottolineare questo intento egli scrive «[…] il muro retrostante, che si affaccia sui campi portava al centro un’altra serliana, ancora oggi facilmente riconoscibile malgrado il successivo ed infelice inserimento di un balcone centrale; essa mentre riecheggiava il motivo chiave, offriva la vista della campagna a chi entrava nel salone, realizzando quella ideale compenetrazione fra interno ed esterno che, in mutato ritmo, troviamo in altre ville dell’artista». Se vogliamo citare due posizioni particolarmente critiche, circa l’attribuzione palladiana di villa Forni Cerato, dobbiamo soffermarci sulle argomentazioni di Giangiorgio Zorzi e Renato Cevese. Giangiorgio Zorzi nel suo intervento Il Villino di Girolamo Forni a Montecchio Precalcino e il suo probabile autore. Alessandro Vittoria architetto53, non solo esclude l’assegnazione della villa a Palladio, ma inserisce come possibile artefice un nuovo personaggio: l’artista Alessandro Vittoria. Egli, per formulare la sua ipotesi, si basa su un’analisi diretta dell’edificio e sulla profonda amicizia54 tra lo scultore e il proprietario

53 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, pp.166-172.

54 Ivi, pp. 162-163.

28 Girolamo. Dal punto di vista formale riconosce nella villa uno stile compositivo «completamente diverso da quello palladiano e anche di architetti allora attivi a Vicenza in quegli anni», assegnando, invece, la paternità ad un artista che definisce «originale ma assolutamente estraneo alla cerchia vicentina», in quanto nella forma e nelle proporzioni della serliana dimostra l’influenza dell’architettura veneziana della fine del Cinquecento. Secondo quanto riporta un documento del 27 settembre 157655 Girolamo Forni per sottrarre l’amico Alessandro Vittoria dalla peste, che infuriava a Venezia in quel periodo, gli offrì la propria ospitalità (doc. n.4). In questa occasione secondo l’interpretazione di Zorzi, il Vittoria, interessato all’architettura56, per sdebitarsi, avrebbe realizzato il progetto per erigere la villa ed eseguito in qualità di affermato scultore i bassorilievi raffiguranti le stagioni, la testa della Medusa e lo stemma del proprietario, sfortunatamente oggi non più presenti in forma originale, perché venduti nel 1924. Zorzi, per avvalorare la sua tesi, ricorda che Palladio, nonostante fosse ritornato a Vicenza nel 1576, dopo il lungo soggiorno veneziano, fu talmente assorbito da altri incarichi pubblici nel territorio vicentino da non potersi occupare della realizzazione della villa. L’ipotesi di Zorzi non è condivisa da tutti gli storici dell’architettura; in particolare Donata Battilotti57 sostiene che l’attribuzione della villa ad Alessandro Vittoria non è supportata da alcuna prova, anche se l’amicizia tra i due rimane un dato di fatto importante visto che Girolamo possedeva due opere riferibili allo scultore trentino. Renato Cevese58, invece, accoglie le motivazioni di Bertotti Scamozzi, le amplia e le argomenta59. La sua posizione è fortemente critica come emerge da queste righe:

55 R. Predelli, Le memorie e le carte di Alessandro Vittoria cit., pp. 57-58.

56 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 248.

57 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 215.

58 R. Cevese, Ville della Provincia di Vicenza, Milano, Rusconi, 1980, pp. 401-403; R. Cevese, Il Villino Cerato di Montecchio Precalcino: un problema attribuzionistico, in A. Chastel, R. Cevese, Andrea Palladio, Milano, Electa, 1990, pp. 83-91.

59 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 216.

29 «osservando sia l’involucro, sia gli spazi ch’esso contiene, vi avvertiamo qualche cosa di meschino e di incerto. Ciò non toglie che la piccola fabbrica sia, tutto sommato, garbata e fine, frutto di quella civiltà architettonica che Palladio aveva saputo creare nell’ambiente vicentino: risultato egregio forse di un dotto dilettante di architettura, magari lo stesso pittore Forni […]». Da un punto di vista formale egli critica non solo la ristrettezza della loggia, che paragona a una «gabbia» giustapposta alla facciata, ma anche la serliana, considerata una peculiarità della produzione palladiana, in quanto l’imposta dell’arco risulta troppo attaccata alla sommità delle aperture rettangolari60. Altri elementi che egli ritiene del tutto estranei all’architettura armoniosa di Palladio sono la sgradevole diversità di dimensioni e di cornici tra le finestre laterali e quelle del pronao e soprattutto l’assenza nei lati obliqui del frontone delle mensole della cornice sommitale. Secondo lo studioso l’unico riferimento al linguaggio architettonico di Andrea Palladio risulta essere la porta che dalla loggia, nella facciata principale, introduce alla sala centrale61. Per quanto riguarda la progettazione e l’esecuzione, Cevese escludendo la paternità palladiana, propone di datare la costruzione della villa oltre gli anni Ottanta del Cinquecento. Si schierano a favore della paternità palladiana della villa: gli storici dell’architettura James Ackerman, Lionello Puppi, Howard Burns e Donata Battilotti. Lo studioso americano, James Ackerman, in Palladio’s Villas62, loda il villino come espressione di una «original early phase of Palladio’s […] spare preclassical style», inoltre indica le caratteristiche che avvicinano il “disegno” di quest’opera a villa Godi a Lonedo e villa Gazzotti Grimani a Bertesina. Alla prima è la modesta portata delle referenze classiche, lo sviluppo dell’alzato in tre momenti di scansione, le piccole finestre dell’attico, il tipo dei modiglioni della cornice e l’uso delle serliana centrale, mentre nella seconda è l’uso delle cornici nelle finestre del piano nobile separato da un breve tratto parietale del basamento.

60 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 216.

61 Ivi, p. 217.

62 J.S. Ackerman, Palladio’s , Glückstadt, J.J. Augustin, 1967, pp. 59-60, p. 60.

30 Lionello Puppi63, dopo un’attenta analisi, inserisce la villa fra le opere giovanili di Palladio evidenziando come molti elementi siano riferibili alle prime prove autonome dell’architetto. Per la prima volta troviamo compiutamente formulati i tratti caratterizzanti del linguaggio palladiano: la serliana, come elemento strutturale e non decorativo, il frontone triangolare, lo sviluppo dell’alzato in tre momenti di scansione, le piccole finestre dell’attico, l’uso delle cornici delle finestre nel piano nobile. Secondo lo studioso la villa paragonabile alla severità di villa Godi a Lonedo e di villa Gazzotti Grimani a Bertesina, sarebbe databile intorno agli anni Quaranta del Cinquecento. Puppi in questo modo lascia aperto il problema della committenza in quanto Girolamo Forni all’epoca era solo un bambino; però, come vedremo in seguito, un documento ci permette di escludere una datazione così precoce. Con il Puppi si trova in pieno accordo Howard Burns nel suo articolo Le opere minori del Palladio64. Anche Burns come altri studiosi riscontra degli elementi che non rispettano le «tipiche soluzioni palladiane di villa»65; questi però, non devono diventare un vincolo per escludere la paternità palladiana. A suo parere proprio tali caratteristiche sono un segno di «maturità e consapevolezza artistica» non attribuibili a «qualsiasi altro architetto vicentino del Cinquecento che non sia il Palladio». Egli non è d’accordo con Puppi per quanto riguarda la datazione che sposta dal 1541 al 1560 circa per determinate caratteristiche decorative: «il fregio è ridotto a una semplice fascia sotto il cornicione, il tipo delle finestre con fregio pulvinato e davanzale in forma di piccolo pannello (derivato dalle finestre del tempio della Sibilla a Tivoli)» che non fanno parte del «vocabolario palladiano prima della metà degli anni Cinquanta». Burns, inoltre, si sofferma sull’analisi della facciata e riscontra alcune analogie con quella della casa Cogollo a Vicenza, realizzata da Palladio tra il 1559 e il 1562. Lo schema della serliana è infatti identico, anche se nella villa Forni Cerato «è stato ridotto alla massima semplicità senza colonne o cornici sagomate». Per lo studioso ciò non costituisce un

63 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., pp. 247-248; L. Puppi, Dubbi e certezze per Palladio, in «Arte veneta», XXVIII, 1974, pp. 93-105, p. 93.

64 H. Burns, Le Opere minori di Palladio, in «Bollettino CISA» cit., pp. 9-34, pp. 14-15.

65 Le dimensioni limitate dell’edificio, la pianta insolitamente ristretta, le proporzioni dell’impianto che non rispettano i consueti rapporti dimensionali adottati dall’architetto e la larghezza della loggia contenuta.

31 problema, visto che Palladio aveva «l’abitudine di trasferire schemi compositivi da un progetto ad un altro cambiando completamente le caratteristiche decorative e spaziali dell’originale». Studi più recenti effettuati da Howard Burns e Donata Battilotti su documenti riguardanti la proprietà di Girolamo a Montecchio Precalcino66 consentono di fissare qualche punto fermo: essi permettono di escludere sia una datazione precoce della villa, sia di affermare con certezza che il committente è Girolamo Forni. Si tratta di una denuncia fiscale contenuta nel Balanzon di Thiene, volume che raccoglie il censimento di tutte le proprietà di questo vicariato, poi confluite nell’estimo generale del territorio vicentino67, in cui troviamo indicato il nome del proprietario, la descrizione dell’immobile e/o dei terreni, compresi quelli confinanti e la stima.68 Per Donata Battilotti i balanzoni sono una «miniera di dati» per indagare la storia di una villa, poiché il territorio vicentino viene, in un certo senso, «fotografato» in un arco temporale particolarmente dinamico che coincide con la piena attività di Palladio69. Essi permettono un’indagine secondo diversi approcci: a livello di singolo edificio, per la conoscenza di eventuali preesistenze, tappe costruttive, ampliamenti e passaggi di proprietà; a livello di territorio come fenomeno complessivo con tutti i risvolti di tipo economico e sociale che caratterizzano gli insediamenti signorili di campagna70. Le operazioni per l’estimo generale, iniziate nel 1541, vedranno la conclusione solo dopo ventitré anni, nel 1564. Questo prolungamento delle operazioni di censimento, dovute ad una serie di campagne di rilevamento, ricorsi e rinvii, è provvidenziale per noi, perché in questo arco temporale le commissioni esaminatrici sono state costrette ad aggiornare più volte le descrizioni e le stime degli immobili e delle proprietà che nel frattempo potevano aver subito modifiche.

66 H. Burns, G. Beltramini e M. Gaiani, Andrea Palladio e le Ville, CD Rom, Vicenza, CISA, 1997; D. Battilotti, I balanzoni dell’estimo vicentino come fonti per le ville palladiane, in «Venezia Cinquecento», IX, 22, 2001, pp. 73-87.

67 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 219.

68 Id., I balanzoni dell’estimo vicentino come fonti per le ville palladiane, in «Venezia Cinquecento» cit., pp. 73-87, p.76.

69 Ivi, p.75.

70 Ivi, pp. 73-76.

32 Nella polizza iniziale, datata 1541-1542, veniamo a conoscenza che la famiglia di Girolamo aveva una proprietà almeno fin dai primi anni del Cinquecento, nel sito dove compare la villa. Essa recita: «Heredi de Hieronimo della Grana cioè Isepo, Hieronimo frateli insieme cum cinque sorele hanno una caseta cum una tezeta cum quindese campi ut circa intra prativi et arativi, computà horto et cortivo in Montechio Precalcin […]»71 (doc. n.2). Nella successiva rilevazione riferita alla proprietà di Girolamo e del fratello Iseppo contenuta nel Balanzone, compresa entro la chiusura delle operazioni dell’estimo avvenuta nel 1564, viene annotato un incremento dei terreni da quindici a trenta campi, la presenza di una colombara in precedenza non indicata e la stima della casa a solo centocinquanta ducati, una valutazione decisamente troppo bassa per la villa oggi esistente72 (doc. n.3). In sintesi, apprendiamo che villa Forni Cerato è l’esito della ristrutturazione di una casa preesistente, nel terreno di proprietà di Girolamo Forni e del fratello, avvenuta di certo dopo il 1564. Proprio questa preesistenza, secondo Burns, avrebbe condizionato profondamente Palladio nella realizzazione della “fabbrica”, riscontrabile nelle dimensioni limitate dell’edifico, nella larghezza ridotta della loggia, le cui dimensioni dipendono da quelle della sala centrale. Tuttavia, a parere degli studiosi, ci troviamo di fronte ad un ulteriore segnale dell’intelligenza di Palladio che affronta le preesistenze, non come un ostacolo, ma uno stimolo per ricercare nuove e sempre diverse opportunità espressive, arrivando a risultati monumentali73. Inoltre per Donata Battilotti gioca a favore dell’attribuzione palladiana, oltre che i dettagli, cioè tutti quegli elementi e soluzioni appartenenti al linguaggio palladiano, «l’invenzione d’insieme e l’abilità di adattarla ai limiti imposti da una preesistenza»74 come si riscontra in altre opere di Palladio, ad esempio la Basilica di Vicenza e in particolare casa Cogollo.

71 ASVi, Estimo, b. 30, c. 8r. (D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 219).

72 ASVi, Estimo, b. 30, c. 90v. (D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 220).

73 G. Beltramini, Andrea Palladio, l’Atlante delle Architetture cit., pp. 182-183.

74 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 227.

33 34 CAPITOLO 3 LA VILLA E IL TERRITORIO

Villa Forni Cerato, ubicata a Montecchio Precalcino in località Capodisotto, dal 1996 rientra nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, insieme alle altre ventitré ville del Palladio situate nel Veneto. Montecchio Precalcino dista circa 15 chilometri da Vicenza. L’etimologia del toponimo è collegata alle due componenti fondamentali di questo territorio: una collinetta ricca di sentieri panoramici (Montecchio, deriva dal latino monticulus) e il torrente Astico da cui gli abitanti un tempo raccoglievano i sassi per fare la calce o altri materiali per l’edilizia (Precalcino, deriva dal latino calx)75.

Il contesto in cui è inserita la villa ha un certo valore paesaggistico: collocata a sud del colle, in un’ampia e fertile pianura vicino al greto del torrente Astico, è delimitata a nord dalle alture dell’altopiano di Asiago. La posizione della villa risulta particolarmente fortunata (Figura 9) se consideriamo il patrimonio architettonico, apprezzato a livello mondiale, che la circonda: numerose sono le opere palladiane, in buono stato di conservazione e fruibili dal pubblico, che attestano la presenza di Palladio a Vicenza e nel territorio limitrofo76. A questo proposito sono significativi gli esempi di villa Godi e che sorgono maestose sulle pendici verdeggianti dell’altopiano e più a sud, all’interno di un contesto cittadino, . Pertanto, la Forni Cerato può essere inserita all’interno di un possibile itinerario storico- artistico atto a valorizzare gli insediamenti di villa palladiani e, nello stesso tempo, consentire una percezione unitaria di un lascito architettonico, in un territorio ben definito, riconosciuto come una delle espressioni più alte della cultura veneta. Anche l’UNESCO quando ha censito i ventiquattro insediamenti di villa palladiani

75 Si veda l’opuscolo fornito dal comune di Montecchio Precalcino L’Astico, il Colle, le Chiese, le Ville, fra storia e cultura disponibile online: .

76 Sono sedici le ville di Palladio che rientrano nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO in Provincia di Vicenza.

35 nell’elenco dei beni culturali che meritano l’appellativo di Patrimonio dell’Umanità, intendeva porre l’attenzione proprio sul lascito palladiano inteso come un fenomeno unitario, da salvaguardare nella sua interezza architettonica e paesaggistica. In quest’ottica la villa, in unione al suo contesto territoriale, non è solo manufatto architettonico, ma spazio economico e produttivo che modifica il territorio stesso, disegnando un nuovo ambiente77. Come è noto la straordinaria fioritura delle ville venete nel Cinquecento trova origine nello sfruttamento agricolo delle campagne da parte sia dell’aristocrazia urbana, che dalla rendita fondiaria traeva il principale sostentamento, sia dall’aristocrazia veneziana per le crescenti difficoltà nel commercio marittimo e il conseguente interessamento alla terra come fonte alternativa di guadagni78. Il Cinquecento, secondo gli storici, è stata una delle stagioni più felici a livello di allargamento dei coltivi e diffusione della cerealicoltura, prima del suo drammatico arresto nei primi decenni del Seicento79. La politica agricola, promossa dalla Repubblica veneziana, impegnata in opere di bonifica, irrigazione, messa coltura dei terreni80 per la coltivazione di frumento, vino, riso e mais81, riuscì a emancipare la campagna veneta da “un’atavica povertà”, anche attraverso il ruolo di quegli imprenditori terrieri che furono committenti di Palladio. In questo modo le ville non sono da considerarsi unicamente “capolavori artistici”, frutto della perfezione e dell’armonia raggiunta da Palladio, ma espressione edilizia della «tensione etica e intellettuale»82 che ha visto nel corso del Cinquecento una

77 E. Svalduz, Le ville, un paesaggio plasmato dall’architettura, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia, G.P. Brogiolo et al. (a cura di), Venezia, Marsilio, 2016, pp. 443-451, p. 443.

78 D. Battilotti, La terraferma veneta e l’opera di Palladio, in Storia dell’architettura italiana. Il secondo Cinquecento, C. Conforti, R.J. Tuttle (a cura di), Milano, Electa, 2001, pp. 454-481, p. 468.

79 P. Lanaro, Spazi ed economie agricole dal Garda all’Isonzo, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia, G.P. Brogiolo et al. (a cura di), Venezia, Marsilio, 2016, pp. 424-441, p. 436.

80 D. Battilotti et al., Uno sguardo d’insieme: il Veneto del Rinascimento, in D. Battilotti et al. (a cura di), Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento,Venezia, Marsilio-Cisa, 2016, pp. 10-29, p. 22.

81 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria,Verona, Cierre edizioni, 2007, p. 41.

82 A. Foscari, Tutela e valorizzazione degli insediamenti di villa di Andrea Palladio, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico, S. Baldan (a cura di), Padova, Bertato edizioni, 2017, pp. 26-33, p. 27.

36 profonda trasformazione sociale, agricola e produttiva del territorio veneto, portando alla creazione di quella “civiltà di ville”, peculiarità e vanto della Regione Veneto83. Se, prima di Palladio, il paesaggio non era mai stato considerato come un oggetto da plasmare attraverso l’architettura, dopo il suo intervento si assiste ad una svolta rivoluzionaria: la realizzazione di una nuova tipologia di complesso architettonico unitario, adatto a creare un rapporto armonico con la terra intesa come ambito di produzione agricola e non solo. Con l’unione della dimora signorile e annessi rustici, la villa non è solo luogo adibito all’otium, ma si assiste ad una sintesi di otium e nec- otium84 in cui la villa oltre a un luogo di ritiro campestre, consono all’ozio filosofico e al piacere fisico, è anche un posto da cui dirigere la produzione agricola funzionale per il controllo delle terre85. La villa, quindi, in posizione centrale e caratterizzata da un piano nobile sopraelevato, diviene un “palcoscenico” ideale dal quale il suo proprietario può godere del panorama, una delle delizie del vivere in villa, ma anche controllare i suoi affari in campagna86. È su questi presupposti che si fonda la straordinaria novitas del linguaggio palladiano e la sostanziale differenza che contraddistingue le ville palladiane dalle coeve ville belvedere dell’Italia centrale o dalle dimore di campagna costruite successivamente in Inghilterra; lo stesso architetto ci ricorda nelle sue descrizioni come le aree nelle immediate vicinanze siano destinate al tipico orto o brolo necessarie alla coltivazione di frutta e ortaggi per il consumo interno della villa87. In sintesi, l’edificazione di ville con annessi rustici, la riorganizzazione delle terre, le opere di miglioria idraulica e bonifica, diedero un nuovo volto alla campagna veneta. Trasformata non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, antropologico e

83 A. Foscari, Tutela e valorizzazione degli insediamenti di villa di Andrea Palladio, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 26-33, p. 27.

84 E. Svalduz, Le ville, un paesaggio plasmato dall’architettura, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia cit., pp. 443-451, p. 451.

85 H. Burns, La villa italiana del Rinascimento, Vicenza, Angelo Colla Editore, 2012, pp. 67-68.

86 D. Cosgrove, Il paesaggio palladiano. La trasformazione geografica e le sue rappresentazioni culturali nell’Italia del XVI secolo, a cura di F. Vallerani, Sommacampagna (Vr), Cierre Edizioni, 2000, (ed. or. 1993), pp. 162-163.

87 Ivi, p. 164; cfr. H. Burns, La villa italiana del Rinascimento cit., pp. 68-69.

37 culturale88, vide nel corso del Cinquecento un momento germinale di formazione della sua stessa identità, contribuendo in modo determinante a creare la struttura fisica del suo territorio, fondamento della sua stessa e attuale “civiltà”. L’opera architettonica se non viene integrata con il paesaggio si riduce ad essere una sorta di “splendido relitto”89, di difficile interpretazione dal punto di vista storico e privata in gran misura del suo significato culturale, strappata dalla terra e ridotta a un manufatto che dovrebbe appagarsi solo della propria bellezza90.

88 P. Lanaro, Spazi ed economie agricole dal Garda all’Isonzo, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia cit., pp. 424-441, p. 436.

89 A. Foscari, Tutela e valorizzazione degli insediamenti di villa di Andrea Palladio, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 26-33, p. 27.

90 Id., Un Piano per ricongiungere alla terra i ventiquattro “Insediamenti di villa” costruiti da Andrea Palladio, in «Ateneo Veneto. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Atti e memorie dell'Ateneo Veneto», CXCVII, terza serie 9/II, 2010, pp.131-142, p. 136.

38 Figura 9. Localizzazione geografica delle ville di Andrea Palladio (in S. Baldan, Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico, Padova, Bertato edizioni, 2017).

39 3.1. Il territorio attuale

Il territorio attuale (Figura 10) in cui è collocata la villa non è molto diverso dal paesaggio originario: prevalentemente agricolo è caratterizzato da coltivazioni a seminativo, prati, arboreti e viti, così come sono presenti numerose alberature lungo i campi e le strade. Tuttavia, negli ultimi decenni, l’ambiente circostante è stato segnato da un tumultuoso sviluppo urbanistico, che ha determinato un degrado visivo e percettivo del contesto di villa. Fra le criticità presenti nei dintorni, che hanno inferto pesanti “sfregi” al passato, non vanno dimenticati la realizzazione di edifici residenziali e industriali, una struttura sportiva e il passaggio di un traliccio ad alta tensione. Il contesto prossimo (Figura 14) alla villa offre i caratteri tipici del borgo rurale91: a sud l’edificio presenta un giardino che lo isola dalla strada; ad est i ruderi di una barchessa e di una torre colombara; a nord si trova un vasto brolo privo di alberature delimitato da una tipica mura di cinta in sasso, dove scorre parallelamente una piccola roggia.

Figura 10. Foto aerea di villa Forni Cerato nel suo contesto territoriale.

91 S. Baldan, Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., p. 136.

40 3.2. Analisi cartografica territoriale del contesto paesaggistico di villa

Le mappe storiche, per quanto siano disomogenee nella loro diversità di metodo, di rappresentazione, di grado di analisi92, nel nostro caso risultano fonti particolarmente preziose per ricostruire un’immagine vivida della villa nel suo contesto paesaggistico e per recuperare indicazioni sulle specializzazioni delle colture agricole tipiche del territorio utilizzate in passato93. Le mappe che prenderemo in considerazione sono tre: quella dei Provveditori Sopra i Beni Inculti del 1698, il Catasto napoleonico del 1810 e il Catasto austriaco del 1830.

3.2.1. Le fonti di ricerca

L’Ufficio dei Provveditori Sopra i Beni Inculti94 rappresentava una delle principali magistrature veneziane preposte alla gestione territoriale. Fu istituito in forma definitiva nel 1556 per organizzare e centralizzare le opere di bonifica, di irrigazione, di razionalizzazione e di messa a coltura dei terreni. Queste attività erano precedute e accompagnate da una capillare rilevazione del territorio e non a caso in questo periodo si assiste ad uno sviluppo della cartografia95. I tecnici effettuavano sopralluoghi e redigevano perizie e mappe dettagliate annotando con minuzia i contesti delle ville, lo scopo e le date del loro lavoro. I disegni, realizzati su carta con penna ad inchiostro e acquerello, fanno emergere affascinanti informazioni sugli edifici, sulle proprietà e i confini dei beni da parte delle varie famiglie e sulle principali colture agrarie del tempo.

92 S. Baldan, I contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio: analisi, proposte di tutela e valorizzazione, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 18-25, p. 18.

93 Ivi, p. 21.

94 D. Cosgrove, Il paesaggio palladiano cit., pp. 212-217; cfr. M. Kubelik, Gli edifici palladiani nei disegni del magistrato veneto dei Beni Inculti, in «Bollettino CISA», XVI, 1974, pp. 445-465.

95 D. Battilotti et al., Uno sguardo d’insieme: il Veneto del Rinascimento, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento cit., pp. 10-29, p. 22.

41 Il Catasto napoleonico, conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, costituito per motivi fiscali nei primi decenni dell’Ottocento per il calcolo dell’imposta sulla proprietà fondiaria e immobiliare96, documenta in modo attendibile e preciso la forma e la scansione dei lotti, la posizione degli edifici e gli usi dei terreni. Napoleone si rese conto che in Italia non esistevano catasti uniformi, ma relativi alle singole realtà territoriali; il suo intento fu quello di realizzare un catasto unico per tutto l’Impero che fosse di tipo geometrico, particellare e basato sul sistema metrico decimale del “catasto francese napoleonico” e sulle innovazioni scientifiche e tecnologiche in materia catastale. Un editto del 1807 istituiva il nuovo catasto del Regno Italico che doveva rispettare precisi parametri: fogli di formato rettangolare, prescrizioni nelle coloriture, segni convenzionali97 e il modello del Sommarione, chiave di lettura delle rispettive mappe98. Quest’ultimo organizzato in sei colonne, descriveva ogni particella indicandone il nome del possessore, l’ubicazione, la destinazione d’uso e la superficie degli appezzamenti, facendoci comprendere quali erano le principali coltivazioni esistenti e l’assetto produttivo dell’azienda agricola99. Tra il 1808 e il 1816, quindi fino a qualche anno dopo la caduta del Regno Italico, ogni comune censuario fu descritto nel Sommarione: un’operazione fiscale di questa portata non era mai stata compiuta prima. Per quanto riguarda i colori venne usato: il verde per i giardini e gli orti, il rosso per gli edifici, l’azzurro per le acque, il colore grigio chiaro per le strade e i colori sfumati per suggerire l’andamento irregolare dei terreni. I documenti dell’epoca attestano un paesaggio agrario, che purtroppo è in buona parte scomparso mostrandoci un territorio ampiamente trasformato dall’azione dell’uomo. Il Catasto austriaco, conservato nell’Archivio di Stato di Vicenza fu realizzato alla metà dell’Ottocento con le stesse finalità fiscali e tecniche di rappresentazione del

96 S. Baldan, I contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio: analisi, proposte di tutela e valorizzazione, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 18-25, p. 21.

97 R. Conversi, La terra, il paese, le frazioni nella mappe del Catasto napoleonico del 1811, in Una storia in Comune, R. Conversi, M. Macellari (a cura di), Parma, 2008, pp.17-34, pp. 18-19.

98 .

99 La formazione della mappa catastale “napoleonica” di Venezia, in Ministero per i beni culturali e ambientali - Archivio di Stato di Venezia, Catasto napoleonico. Mappa della città di Venezia, Venezia, Marsilio, 1988, pp. 7-9.

42 Catasto napoleonico, ma attesta le principali modifiche avvenute nel corso dell’Ottocento anche nei contesti palladiani.

3.2.2. Analisi della cartografia storica

Nella prima mappa (Figura 11), poco ricca di dettagli, viene riportata in maniera schematica solamente la villa in veduta prospettica, con a sud una torre colombara adiacente alla strada Commune e la proprietà terriera appartenente ai “SS: Cerati”. La mappa del Catasto napoleonico (Figura 12) riporta gli edifici in pianta tuttora esistenti con il suo contesto originario nella località Capodisotto. L’edifico padronale, di colore rosso, presenta nel lato est, quasi addossata, la Casa da Massaro, cioè le case addette all’agricoltura e abitate dai coltivatori, con vicino la Casa ad uso da Massaro che si estende fino alla strada principale. Ad ovest, in verde, è rappresentato un orto con all’interno un piccolo edificio identificato come colombara, a nord si apre un vasto prato irrigatorio vitato con moroni, ovvero un’area di viti “maritate” con mori di gelso e irrigata artificialmente100. Era una consuetudine unire la vite a un “tutore vivo” soprattutto il gelso; praticata nella media pianura, diventerà una peculiarità del paesaggio agrario veneto. Il gelso, coltivato da secoli, fornendo le foglie destinate alla coltura del baco da seta101, si diffuse a partire dal Cinquecento, nel Veneto occidentale, con il decollo della bachicoltura e della lavorazione della seta che vide l’affermazione di Verona e Vicenza come centri produttori di materia prima102. La rete idrografica, tuttavia, con la roggia esistente all’interno del brolo, a nord, non viene dettagliata. L’irrigazione della terraferma veneta di broli, orti, prati venne praticata con il sistema a scorrimento; a Vicenza in particolare nella seconda metà del Cinquecento vengono attivate numerose rogge derivate dall’Astico per irrigare i campi. L’irrigazione, a differenza della bonifica, era un’opera realizzata individualmente; i proprietari terrieri richiedevano di derivare l’acqua di un fiume o da un canale esistente

100 S. Baldan, Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., p. 138.

101 P. Lanaro, Spazi ed economie agricole dal Garda all’Isonzo, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia cit., pp. 424-441, pp. 429-430.

102 E. Demo, F. Vianello, Manifatture e commerci nella terraferma veneta in età moderna, in «Archivio Veneto», anno CXLII, VI serie, 2011, pp. 27-50, p. 36.

43 e di farla scorrere nei propri campi. Nel Cinquecento tra i proprietari terrieri che presentarono istanza di irrigazione molti furono committenti di Palladio, che di solito intendevano irrigare i terreni limitrofi alle ville da lui realizzate103; lo stesso architetto, nella progettazione, si preoccupava di assicurare a ciascun insediamento un adeguato rifornimento idrico, anche creato artificialmente, per le esigenze degli uomini, per l’allevamento del bestiame, per l’irrigazione del brolo e infine per le lavorazioni agricole. L’ultima mappa analizzata proveniente dal Catasto austriaco (Figura 13), che riporta la rappresentazione planimetrica della proprietà, è analoga a quella del Catasto napoleonico; qui, però, viene riprodotta in modo dettagliato una piccola roggia che, da nord, prende l’acqua dal fiume Astico e scorre al centro del lotto fino al fianco degli annessi e della muratura di recinzione in sasso del brolo.

103 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., pp. 34-36.

44 Figura 11. Domenico Garzoni, Mappa di Montecchio Precalcino, 1698, particolare con la villa Forni Cerato, BCB, Provveditori Sopra Beni Inculti, XVII.a.8.

Figura 12. Mappa del Comune censuario di Montecchio Precalcino, 1810, particolare con villa Forni Cerato, ASVE, Catasto napoleonico, m. 782.

45 Figura 13. Mappa del Comune censuario di Montecchio Precalcino, 1830, particolare con villa Forni Cerato, ASVI, Catasto austriaco, fg. XII, XIII.

46 Figura 14. Villa Forni Cerato e la sua proprietà (Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova, Laboratorio di Ricerca MantovaLab).

47 48 CAPITOLO 4 L’ ARCHITETTURA

L’edificio, costituito da un corpo di fabbrica rettangolare di dimensioni modeste, è una delle ville più piccole realizzate da Andrea Palladio. La struttura distributiva della villa presenta un’organizzazione lungo un asse verticale su tre livelli: il piano terra, adibito per gli ambienti di servizio come la cucina, le dispense e i luoghi per i servitori; il piano nobile, destinato alla residenza del proprietario e della sua famiglia e infine il sottotetto104 (Figura 15). Come di consueto il corpo dominicale delle ville palladiane è composto da un unico piano principale poggiato su un alto basamento, funzionale a far emergere la dimora padronale, che in questo modo va a dominare l’ambiente circostante, mostrando tutta la sua nobiltà. La scelta, come spiega Palladio105, nei Quattro libri pubblicati a Venezia nel 1570, è dovuta sia a motivi funzionali e pratici, cioè garantire migliori condizioni abitative, l’«ordine di sopra divien sano per abitarvi, essendo il suo pavimento lontano dell’humido della terra», sia a motivi estetici, perché la dimora «alzandosi, ha più bella gratia a esser veduto» per l’imponenza fisica e l’eleganza delle sue forme. Inoltre sia il piano terra, che il basso attico non sono spazi vuoti, ma svolgono funzioni importanti per l’efficienza “dell’organismo di villa” in quanto vengono ricavati i locali per le necessità pratiche della casa dominicale, lasciando il piano nobile interamente libero per l’abitazione del padrone. Lo stesso Palladio106 chiarisce questa organizzazione distributiva, che diventerà una costante nelle sue ville: «nelle fabbriche deono essere alcune parti riguardevoli, e honorate, e alcune meno eleganti: senza le quali però le suddette non potrebbero restar libere, e così perderebbero in gran parte la loro dignità e bellezza».

104 Tipica struttura distributiva verticale delle funzioni realizzata da Palladio nelle ville (H. Burns, La villa italiana del Rinascimento cit., p. 70).

105 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura (Venezia, 1570), riproduzione in facsimile, Milano, Hoepli editore, II, pp. 3-4.

106 Ivi, p. 3.

49 4.1. L’esterno

4.1.1. La facciata sud

La facciata sud (Figura 15) è contraddistinta da un corpo centrale in aggetto caratterizzato da una loggia conclusa in alto da un frontone triangolare107. Una stretta e lunga scalinata a unica rampa, conduce il visitatore dal giardino ad una loggia posta all’altezza del piano nobile. La loggia, non solo ha una funzione utilitaria, perché funge da entrata particolarmente solenne, ma essendo sporgente, va ad esaltare l’asse della composizione, arricchisce la mole dell’edificio e anima il gioco di luci e di ombre sullo sfondo delle pareti della facciata108. Essa nella sua semplicità si configura come uno spazio aperto e accogliente che fa da filtro tra l’esterno della proprietà e l’intimità della casa. La parte frontale presenta una serliana ridotta all’essenzialità; qui Palladio utilizza un linguaggio straordinariamente sintetizzato e astratto nelle forme, quasi metafisico, privo di capitelli e trabeazioni. Questo elemento architettonico viene ampiamente utilizzato dagli architetti del Rinascimento; composto da un’apertura centrale ad arco e due aperture laterali trabeate, è illustrato nel Quarto Libro di Sebastiano Serlio edito a Venezia nel 1537. L’elemento in sé non è nuovo, ma innovativo risulta essere l’uso che ne fa Palladio: a questo proposito è da ricordare la soluzione “elastica” adottata nelle logge della Basilica a Vicenza, dove la serliana diventa un elemento in grado di assorbire le differenze di ampiezza delle campate109. Proprio nella serliana della Forni Cerato gli studiosi hanno colto quell’elemento fondamentale tipico del linguaggio palladiano110. Essa viene impiegata da Palladio nell’architettura residenziale con significato strutturale e non decorativo, per sigillare il momento centrale, avanzato e a

107 Sulle facciate delle ville palladiane si veda: R. Wittkower, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1964 (ed. or. 1949), pp. 75-76.

108 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., p. 96; L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 248.

109 G. Beltramini, H. Burns, Palladio, Venezia, Marsilio, 2008, p. 82.

110 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 248.

50 loggia della villa. Comparsa nella villa Valmarana e in seguito in villa Pojana, viene «manipolata» da Palladio nei disegni RIBA XVII, 15 e RIBA XVII, 1 (Figure 16 e 17) in un periodo che, a parere degli studiosi, corrisponde a una fase di pensieri dalla quale anche l’invenzione della Forni Cerato è scaturita111. La parte interna della loggia risulta illuminata durante tutto il giorno in quanto riceve la luce solare, non solo dalle aperture frontali, poste a sud, ma anche da quelle ai due lati, est e ovest, che non presentano particolari decorazioni, ma sono lasciate a spigolo vivo. La facciata sud è arricchita da una fascia che divide il pian terreno dal piano nobile e continua nella loggia segnando lo zoccolo del parapetto e la fine della scalinata, mentre un’altra fascia posta sotto i davanzali delle finestre del piano nobile prosegue anche sotto le finestre aperte della loggia. Questo espediente viene ripreso all’altezza dell’imposta dell’arco della loggia, ma limitato nella parte superiore delle quattro finestre aperte, dove campeggiano quattro rettangoli ciechi, due posti ai lati e due in facciata112. All’ultimo piano sotto il frontespizio e la gronda corre una cornice con modiglioni a mensola che circondano la casa come una cintura per l’intero perimetro. Ciascuna delle due parti laterali della facciata presenta tre finestre allineate lungo un asse verticale: le due inferiori sono a spigolo vivo, quelle del piano nobile hanno una cimasa con fregio pulvinato e sottodavanzali aggettanti, soluzione che Palladio riprende dal tempio di Vesta a Tivoli113, mentre le due superiori sono riquadrate da una cornice. Con la combinazione scala frontale, loggia e timpano, la “villa-fattoria” acquista le sembianze della “villa-tempio”114, rispecchiando la particolare figura del committente: imprenditore, artista e collezionista dal gusto sofisticato, che non lascia nulla al caso, integrato in una rosa di amicizie di esperti pronti a fornirgli aiuto e consiglio per la realizzazione della sua dimora. L’armonioso accordo di questi elementi architettonici, nonostante le dimensioni

111 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 248.

112 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 169.

113 D. Battilotti, Il villino Forni Cerato, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta cit., pp. 213-227, p. 227.

114 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., p. 97.

51 contenute dell’edificio e l’essenzialità verbale quasi “minimalista” proposta da Palladio, donano carattere aulico e monumentale alla villa, dando così modo ai committenti meno ricchi di possedere una villa prestigiosa115. Da questo punto di vista Girolamo Forni appare inserito in una classe sociale in ascesa economica, ricca, ma non aristocratica, che prima di allora non aveva potuto rivestire il ruolo di committente116 e adesso aspira a lasciare ai posteri il segno tangibile della condizione raggiunta dalla propria famiglia, al pari delle grandi casate nobiliari vicentine e veneziane. Il risultato di un lavoro così pensato non dev’essere passato inosservato ai contemporanei di Forni, come non lo è tuttora.

115 D. Battilotti et al., Uno sguardo d’insieme: il Veneto del Rinascimento, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento cit., pp. 10-29, p. 23.

116 E. Svalduz, Le ville, un paesaggio plasmato dall’architettura, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia cit., pp. 443- 451, p. 451; E. Svalduz, Case di villa, case di città: Vicenza e il territorio prima e dopo Palladio, in Uomini del contado e uomini di città nell’Italia settentrionale del XVI, Atti del Convegno Internazionale di Storia, Arte e Architettura (Malo Vicentino, dicembre 2009), E. Demo, A. Savio (a cura di), Palermo, New Digital Frontiers, 2017, pp. 283-413, p. 410.

52 4.1.2. La facciata sud: apparato decorativo

Dell’apparato decorativo autentico, che ornava la facciata sud della villa, rimane solo una testa di giovane e bella medusa nella chiave di volta dell’arco. Tuttavia è possibile ricostruire lo splendore decorativo originario della villa attraverso due testimonianze: le incisioni di Ottavio Bertotti Scamozzi (Figura 6) e una litografia del disegnatore Marco Moro (Figura 18), artisti che tra Settecento e Ottocento hanno avuto il “privilegio” di vederla ancora nella sua integrità. In particolare ci soffermiamo ad analizzare la litografia che è stata eseguita nel 1847 per arricchire l’opera di Giuseppe Zanetti intitolata Album di gemme architettoniche ossia gli edifici più rimarchevoli di Vicenza e del suo territorio. Il disegno è stato realizzato in situ e per questo assume un valore particolarmente significativo in quanto ci restituisce un’immagine unica e veritiera della bellezza del complesso decorativo dell’edificio palladiano. La sua attinenza alla realtà è confermata da Pullè nella prefazione del volume, dove egli dichiara: «oltre al disegno prospettico di ogni edificio rappresentato, questo veniva anche riprodotto in prospettiva nel suo miglior punto di osservazione affinché le sue più minute e parziali bellezze» spiccassero «con maggiore evidenza e il fabbricato si presentasse all’occhio tal quale lo si vede nel sito dove torreggia»117. Se consideriamo i dettagli che emergono dall’osservazione della litografia, possiamo notare la decorazione plastica che in origine ornava riccamente il triangolo del frontespizio. Al centro campeggiava lo stemma del proprietario Girolamo Forni, sorretto da due Fame, figure che secondo Bertotti Scamozzi erano «eccellentemente lavorate»118. Il frontespizio è paragonato da Zorzi119 a quello di villa Pisani a , fabbrica palladiana fatta edificare da un importante patrizio veneziano, Francesco Pisani, il cui apparato decorativo è attribuito ad Alessandro Vittoria che

117 G. Zanetti, M. Moro, G. Pullè, Album di gemme architettoniche ossia gli edifici più rimarchevoli di Vicenza e del suo territorio, rilevati da Giuseppe Zanetti, disegnati da Marco Moro e con cenni illustrativi di Giulio Pullè, Venezia, Tipografia di G. Brizeghel, 1847, p. 5.

118 O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio cit., p. 44.

119 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 171.

53 vi lavora dal 1553 al 1554120. L’osservazione di Zorzi è illuminante, perché sottolinea, ancora una volta, l’intento di Forni: il desiderio di affermazione di una classe sociale in ascesa che ha la volontà di dimostrare il nuovo status raggiunto. A completare il complesso decorativo, inoltre, all’interno dei riquadri ciechi, posizionati sopra le finestre della loggia, vi era la presenza di quattro bassorilievi raffiguranti la personificazione dei Fiumi o delle quattro stagioni. Come abbiamo già anticipato, la maggior parte dell’ornato plastico (Figure 19 e 20) non è originaria, ma di fattura recente. Nel triangolo del frontespizio appare lo stemma che riporta le iniziali del proprietario a cui apparteneva la villa nel 1924, secondo Zorzi, una «palese mistificazione assolutamente indegna che non può far dimenticare il pregio dell’antica decorazione»121. Anche i due attuali bassorilievi della facciata, raffiguranti divinità fluviali, agli occhi del letterato «non hanno nulla a vedere con gli originali»122. La motivazione di questo scempio è da attribuirsi alla vendita non autorizzata da parte del proprietario di tutto il frontespizio e dei bassorilievi ad un antiquario di Venezia, tra la metà degli anni Venti e la metà degli anni Trenta del Novecento. A tal proposito la voce di Zorzi si leva particolarmente critica a dimostrazione di come tale sfregio nei confronti di un’opera architettonica non sia passata inosservata neanche all’epoca. Egli lamenta il fatto che le Autorità preposte alla conservazione del patrimonio artistico della Provincia di Vicenza non abbiano disposto l’annullamento del contratto di vendita, allo scopo di ottenere la restituzione delle opere, dato che il caso aveva visto anche l’interessamento del Direttore del Museo Civico di Vicenza, il Professor Giulio Fasolo, che già nel 1936, attraverso i giornali vicentini, aveva manifestato la sua preoccupazione per tale depauperamento123. La decorazione plastica esterna è stata attribuita da Zorzi allo scultore Alessandro

120 L. Finocchi Ghersi, Alessandro Vittoria. Architettura, scultura e decorazione nella Venezia del tardo Rinascimento, Udine, Forum, 1998, pp. 97-99, illustrazione n. 68.

121 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, p. 171.

122 Ivi, p. 169.

123 Ivi, p. 171.

54 Vittoria, legato con Girolamo Forni da una profonda amicizia. Possiamo ipotizzare che il letterato abbia conferito la paternità della decorazione tout court allo scultore trentino, osservando delle somiglianze tra l’apparato decorativo presente nella villa e altre opere del Vittoria. Queste analogie possono essere individuate nei bassorilievi in stucco, con rappresentate le figure allegoriche dei Fiumi o divinità, che il Vittoria realizzò rispettivamente per la Sala dei Principi e la Sala degli Dei a Palazzo Thiene a Vicenza, dove lavorò come membro dell’équipe di Palladio124 tra il 1551 e il 1552125. Le figure, come quelle di villa Forni Cerato (Figura 20), sono accovacciate, colte in una grande varietà di atteggiamenti; i Fiumi sono contraddistinti da vasi da cui sgorga l’acqua, mentre le divinità sono avvolte da drappi corposi gonfiati dal vento. Secondo alcuni studiosi, le forme plastiche fortemente emergenti, il modo di torcere i volumi che va ad esprimere tutta la forza fisica e l’energia del movimento e la robustezza dei corpi, danno la misura di quanto Alessandro Vittoria abbia subito l’influenza michelangiolesca126. Zorzi, in particolare, si sofferma a riflettere sull’unica testimonianza della decorazione originale della villa: la testa in stucco di giovane medusa, che forse aveva un altro significato nella intenzione del suo autore. Anche se porta su di sé i segni del tempo e danno recato da «indegni e ignoti vandali», a parere di Zorzi presenta delle caratteristiche «nella regolarità dei tratti del florido viso giovanile, nella perfezione del modellato, nell’espressione assorta, nella mossa capigliatura conclusa dalle trecce che incorniciano il basso viso, nella novità del concetto con cui si è sostituito un bel viso giovanile agli usuali schemi di maschere o volti deformati e caricaturali»127, che si possono attribuire solo ad uno scultore geniale come Alessandro Vittoria.

124 Come Vittoria sia riuscito a legarsi a Palladio rimane tuttora un mistero, vi sono tuttavia due ipotesi: secondo la tradizione si tratterebbe di un legame “familiare” in quanto Vittoria fu apprendista da Vincenzo dei Grandi, quest’ultimo padrino di Palladio; l’altra possibilità è che i due si siano incontrati attraverso Tiziano Minio, conosciuto dal Vittoria nello studio del Sansovino e dal Palladio almeno dal 1548. (T. Martin, Vittoria e la committenza, in “La bellissima maniera”cit., pp. 59-68, p. 59).

125 L. Finocchi Ghersi, Alessandro Vittoria cit., pp. 63-75, illustrazioni n. 35-49.

126 L. Attardi, Alessandro Vittoria stuccatore e l’influenza di Michelangelo, in “La bellissima maniera” cit., pp. 69-84, pp. 69-81.

127 G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria, in «Arte veneta» cit., pp. 166-176, pp. 171-172.

55 Figura 15. Villa Forni Cerato, facciata sud.

Figura 16. Studio planimetrico e di Figura 17. Progetto per a Piazzola, alzato per una villa (Londra, R.I.B.A, alzato e planimetria (Londra, R.I.B.A, XVII, 15). XVII, 1).

56 Figura 18. M. Moro, Casino Cerato in Montecchio Precalcino, litografia, foglio 345 x 535 mm (in G. Zanetti, M. Moro, G. Pullè, Album di gemme architettoniche cit., p. 34, fasc. XXXIV).

57 Figura 19. Villa Forni Cerato, facciata sud, particolare della decorazione.

Figura 20. Villa Forni Cerato, facciata sud, particolare dei rilievi.

58 4.1.3. La facciata sud: la “porta ionica” e gli affreschi della loggia

Il portone d’entrata, posto nella parte interna della loggia, presenta un elegante timpano aggettante sostenuto da mensole a voluta (Figura 21). Il motivo, diffuso nel Cinquecento, deriva dalla cosiddetta “porta ionica” che, ampiamente analizzata nella trattatistica, trova origine nella Roma papale rinascimentale: ne è un esempio la porta del giardino di villa Madama, dove piccole mensole a voluta sono di sostegno al frontone128. La trabeazione di ordine ionico è caratterizzata da un fregio pulvinato, con sezione convessa, il cui rigonfiamento esprime l’effetto dello schiacciamento provocato dal peso129. Palladio sperimenterà più volte questo elemento in importanti progetti per la committenza pubblica130 e privata, nei quali compare non solo nella trabeazione delle facciate, ma soprattutto in porte, finestre e camini131. Inizialmente il fregio pulvinato, non menzionato nel trattato di Vitruvio, è impiegato nell’ambiente romano: in villa Madama, la celebre opera di Raffaello, il motivo compare nell’ordine gigante della facciata sud e nel già menzionato portone di accesso al giardino; in Palazzo Farnese nelle finestre di Antonio da Sangallo il Giovane. La sua applicazione avrà fortuna anche fuori dalla capitale: Sebastiano Serlio lo divulga nel Terzo e Quarto Libro, in seguito verrà ripreso nelle illustrazioni dell’ordine ionico eseguite da Palladio per il commento a Vitruvio di Daniele Barbaro e poi sarà trattato dallo stesso architetto nel primo dei Quattro Libri in relazione all’ordine ionico132. In area veneta sarà usato anche da Sansovino a Venezia in diverse opere, ad esempio nell’altare maggiore della Scuola Grande di San Marco e nella Loggetta a Piazza San Marco133.

128 C.L. Frommel, Architettura alla corte papale nel Rinascimento, Milano, Mondadori Electa, 2003, pp. 35-75.

129 L. Attardi, Il camino veneto del Cinquecento, Vicenza, Angelo Colla Editore, 2002, p. 52.

130 Ci si riferisce, ad esempio, alla a Vicenza dove il fregio pulvinato compare nel secondo livello in corrispondenza delle semicolonne ioniche.

131 E. Pagello, Un motivo ricorrente nell’architettura palladiana: il fregio pulvinato, in «Bollettino CISA», XXI, 1979, pp. 315-333, p. 315.

132 Ivi, pp. 318-325.

133 Ivi, pp. 325-326.

59 Lo spazio ristretto della loggia viene, mediante l’illusione pittorica, sapientemente trasformato in un arioso ambiente; su uno zoccolo, ora completamente scomparso, si imposta un’intelaiatura di finte lesene scanalate, con capitello di tipo corinzio riccamente decorato (Figure 21, 22 e 23). Nella parete nord e, rispettivamente, in una porzione delle pareti est ed ovest, all’interno di quattro finestre fittizie inquadrate dalle lesene, si sviluppano con continuità, interrotta solo dalle aperture della serliana e del portone, affreschi che rappresentano un ideale paesaggio esterno alla loggia. Al di sopra di questi ci sono dei riquadri in marmo rosa che nobilitano l’interno dell’ambiente stesso. Si tratta di un complesso decorativo rimasto fin qui sostanzialmente inedito, trascurato anche dalla più recente catalogazione degli affreschi delle ville venete da parte dell’Istituto Regionale “Ville Venete”. Il nome dell’artista dunque è ancora ignoto, tuttavia possiamo dedurre che lo scopo della sua opera non fosse la rappresentazione di un programma iconografico incentrato, ad esempio, su personaggi allegorici134 o scene di vita in villa135, come nei numerosi affreschi che decorano i diversi ambienti delle ville palladiane, ma la riproduzione di un paesaggio bucolico contraddistinto da architetture classiche.

Considerato come il genere meno nobile della pittura rinascimentale, il paesaggio dipinto, a partire dalla metà del Cinquecento sarà rivalutato fino a diventare un motivo ricorrente e immancabile nella decorazione delle ville136. Gli affreschi illusionistici raffiguranti paesaggi riscontreranno, in questo periodo, un notevole successo, dovuto non tanto alla prestazione personale del pittore, ma a motivazioni esterne legate alle esigenze e ai gusti della committenza, mettendo così

134 Negli affreschi di a Fanzolo, attribuiti a Giambattista Zelotti, ve ne sono alcuni con rappresentate allegoricamente l’Architettura, la Pittura, la Scultura, l’agricoltura… (G. Pavanello, V. Mancini, Gli affreschi nelle ville venete. Il Cinquecento, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 224-237).

135 Nella villa a Caldogno i pittori Giannantonio Fasolo e Giambattista Zelotti affrescano una specie di summa della vita in campagna, con scene raffiguranti Il concerto, Il Convivio, La partita a carte. (G. Guidarelli, L’architettura, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento cit., pp. 160-179, pp. 166-167).

136 P. Marini, La decorazione della villa all’età di Palladio, in Andrea Palladio e la villa veneta, G. Beltramini, H. Burns (a cura di), catalogo della mostra (Vicenza, Museo Palladio, 5 marzo - 3 luglio 2005), a cura di G. Beltramini, H. Burns, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 105-116, p. 109.

60 in evidenza, ancora una volta, il forte legame che intercorre tra villa e paesaggio137. A tal proposito il prestigioso committente dell’Odeo a Padova, Alvise Cornaro, afferma «quanto allo adornar le sale et le stantie, et loze, io aricordo che siano dipinte, ma non siano dipinte di figure se non fossimo di mano di gran pittore […] [ma] pinger paesi, et ancora Grottesche, che fanno bel veder»138, diventando in questo modo “promotore” del vedutismo, cioè quel genere pittorico che mettendo in primo piano paesaggi naturali, intendeva restituire immagini di piacevolezza e leggerezza, rimarcando, molto chiaramente, lo stretto rapporto tra la villa e il paesaggio circostante. Le vedute paesaggistiche, riproposte in diverse ville venete tra cui molte dimore palladiane139, si estendono per tutte le pareti, racchiuse da colonne, archi, architravi e altri elementi ornamentali che rispettano la concreta fisionomia dell’edificio e così incorniciate le scene prospettiche al loro interno assumono le sembianze della realtà. La veridicità di questi affreschi si afferma attraverso un impiego sofisticato della prospettiva lineare: l’orizzonte illusorio coincide con quello visto da una possibile apertura e il punto di fuga è esattamente alla profondità in cui apparirebbe nella realtà se la visione della spettatore spaziasse sopra i campi che lo attorniano140. Il paesaggio rappresentato è composito in quanto combina luoghi ed epoche differenti: rovine di edifici classici con continui rimandi all’ambiente rurale del Veneto del Cinquecento, come mulini ad acqua, del tutto simili a quelli che si sarebbero potuti vedere in azione lungo il fiume Astico, case e imbarcazioni veneziane. Anche i personaggi che abitano questo mondo utopico sono verosimili: indossano sia costumi del mondo classico sia quelli del XVI secolo141. Nella restituzione moderna è importante ricercare il senso complessivo dell’operazione, cioè il motivo per cui i pittori

137 G. Pavanello, V. Mancini, Gli affreschi nelle ville venete. Il Cinquecento, Venezia, Marsilio, 2008, p. 50.

138 Ibidem.

139 Si riportano due esempi: alcuni affreschi con paesaggio fluviale presenti a villa Godi a Lonedo realizzati da Gualtiero dall’Arzere; oppure alcune vedute di paesaggio inquadrate da colonne ioniche affrescate da Paolo Veronese in alcune stanze (stanza del cane, stanza dell’Amore coniugale, stanza della lucerna) nella a Maser.

140 D. Cosgrove, Il paesaggio palladiano cit., p.171.

141 Ivi, p. 339.

61 hanno voluto inserire nella decorazione l’elemento archeologico. La pratica di rappresentare un edificio classico nel paesaggio agreste, non serviva solo per ricreare un immaginario locus amoenus, ambiente favorevole all’otium, ma mezzo per elevare ad una dimensione ideale “significativa” le vestigia dell’antico.142 La villa è per definizione un edificio che deriva dal modello classico e proprio da questo intende emulare l’ideale abitativo riscontrabile nell’organizzazione degli spazi e nell’ornato decorativo. Le fonti per una simile operazione sono numerose e accessibili; nel caso della decorazione essa è improntata sulla scorta delle celebri descrizioni di Vitruvio e di Plinio. Nel De Architectura, Vitruvio aveva illustrato i soggetti delle pitture, dei portici e dei peristili, come «varietà di giardini e di paesi [con] i porti, le promontore, i liti, i fiumi, le fonti, gli tratti delle acque, i tempij, i boschi sacri, i monti, le pecore, i pastori». Plinio, nella Naturalis Historia, aveva parlato di «ville, case di campagna, porti, boschetti sacri, colline, peschiere, canali, fiumi, spiagge» con «vari tipi di persone che passeggiano o che navigano, oppure che si dirigono per terra verso le loro ville su asinelli o carri, oppure che pescano o cacciano o anche vendemmiano»143. La pratica di inserire rovine antiche all’interno di vedute di paesaggi sarà diffusa nei pittori cinquecenteschi, ma solo con Paolo Veronese raggiungerà un’armonia «nel rapporto con l’ambiente e la natura»144. Gli studi di Almon Richard Turner e Konrad Oberhuber145 restituiscono una serie di confronti tra elementi archeologici affrescati e modelli a stampa di monumenti romani di Hieronymus Cock. In questo periodo assistiamo ad una capillare diffusione dei Monimenta di Hieronymus Cock e il loro utilizzo nel repertorio pittorico della decorazione di villa. A parere degli studiosi le stampe neerlandesi esercitarono un influsso determinante nello sviluppo e nella

142 B.M. Savy, «cinquanta carte di paesi varij, e belli»: Battista Pittoni, Battista del Moro e le antichità di Roma di Hieronymus Cock, in Il paesaggio veneto nel Rinascimento europeo. Linguaggi, rappresentazioni, scambi, Atti del Convegno di Studi (Padova, 26-27 ottobre 2017), A. Caracausi, M. Grosso, V. Romani (a cura di), (in corso di pubblicazione).

143 A.R. Turner, The vision of Landscape in Renaissance , Princeton, Princeton University Press, 1966, p. 207.

144 S. Romano, Gli affreschi di Paolo Veronese, in «Bollettino d’Arte», supplemento n. 5, 1983, pp. 119-39, p. 122.

145 I due studiosi giunsero contemporaneamente allo stesso risultato, ma l’uno indipendentemente all’altro: A.R. Turner, The vision of Landscape in Renaissance Italy cit., pp. 205-212; K. Oberhuber, Gli affreschi di Paolo Veronese nella villa Barbaro, in «Bollettino CISA», X, 1968, pp. 188-202.

62 trasformazione del genere pittorico in area veneta intorno alla metà del Cinquecento146. Dopo timidi esordi nel corso del Quattrocento, i paesaggi con rovine sono stati sviluppati e maturati in modo decisivo nel XVI secolo nella bottega di Raffaello, da parte di Giulio Romano, Sebastiano del Piombo e Poliodoro da Caravaggio; negli sfondi dei quadri e degli affreschi l’antica grandezza romana viene esaltata sia con rovine diroccate, sia con edifici classici, ricostruiti spesso in modo fantastico.147 Dopo la collaborazione di italiani e neerlandesi a Fontainebleau, il paesaggio classico con rovine ed edifici fantastici diviene un tema caro anche agli incisori; a questo periodo possiamo far risalire i primi cicli di paesaggi con ruderi e rovine bizzarre incise dal maestro L.D., secondo disegni di Leonard Thiry.148 Queste sono state le premesse che spinsero Hieronymus Cock a stampare nel 1551 il suo straordinario ciclo di vedute delle rovine di Roma. Egli già prima del 1548 aveva compiuto degli studi nella città capitolina sugli edifici classici ed è per questo che nei suoi disegni ritroviamo testimonianze archeologiche più o meno fedeli alla realtà, con pochi elementi fantastici nello sfondo. Questo primo ciclo di vedute dell’antica Roma ebbe una larga diffusione in Italia e già in Palazzo Trevisan a Murano è forse possibile rintracciare alcuni spunti del repertorio anversese nei paesaggi dipinti da Paolo Veronese sulle pareti dell’ambiente ovato.149 Le rovine qui presentate nella loro «forma agreste»150 sono il preludio per la futura decorazione nella villa Barbaro a Maser, dove verranno riprese in modo più pragmatico e puntuale, combinate liberamente tra loro con un nuovo gusto decorativo in piena sintonia con il gioco armonioso e illusivo.

In riferimento agli affreschi presenti nella loggia di villa Forni Cerato attualmente il pessimo stato di conservazione dei dipinti riduce la possibilità di una lettura chiara e

146 B.M. Savy, «cinquanta carte di paesi varij, e belli», in Il paesaggio veneto nel Rinascimento cit., (in corso di pubblicazione).

147 K. Oberhuber, Gli affreschi di Paolo Veronese nella villa Barbaro cit., pp. 188-202, p. 195-196; cfr. A. Ballarin, La decorazione ad affresco della villa veneta nel quinto decennio del Cinquecento: la villa di Luvignano, in «Bollettino CISA», X, 1968, pp. 115-126, p. 120.

148 K. Oberhuber, Gli affreschi di Paolo Veronese nella villa Barbaro cit., pp. 188-202, p. 195-196.

149 B.M. Savy, «cinquanta carte di paesi varij, e belli», in Il paesaggio veneto nel Rinascimento cit., (in corso di pubblicazione).

150 S. Romano, Gli affreschi di Paolo Veronese, in «Bollettino d’Arte» cit., pp. 119-139, p. 122.

63 funzionale dell’immagine pittorica, offrendoci solo una visione d’insieme, ma priva di tutti quei particolari significativi che permettono di comprendere completamente quanto rappresentato dall’artista. La scena raffigurata ci consegna una visione naturalistica unitaria, anche se la finta struttura architettonica la suddivide in quattro pannelli. Il paesaggio affrescato si presenta agreste, dominato da un cielo plumbeo, che degrada in toni rosati; solo nella parete ovest appare una fonte luminosa, il sole, che va a rischiarare questa atmosfera, altrimenti cupa. In risalto compaiono le rovine di alcuni edifici classici e nelle vicinanze altri di aspetto contemporaneo, come un mulino e un borgo arroccato. L’ambiente è animato da figure umane, oggi appena visibili, probabilmente intente in conversazioni o attività lavorative. Da un’analisi più dettagliata, nei riquadri nord-ovest, scorgiamo ciò che rimane dei resti di un’architettura crollata in cui si intravede l’impostazione di un arco; la vegetazione è ormai cresciuta fra le rovine, minacciando ulteriormente la loro precaria esistenza. Nei riquadri nord-est, invece, si può notare un’edera già saldamente aggrappata alla colonna che si erge in primo piano; più lontano è visibile quello che sembra un teatro romano in rovina, con due ponti, di cui uno, in parte distrutto. Anche la presenza dell’acqua e delle montagne sono particolari che non vanno sottovalutati, perché li possiamo collegare all’attività di mercante di legname di Girolamo Forni. L’acqua si manifesta in varie forme: fiume, cascata, lago, ed elementi ad essa affini come le tipiche imbarcazioni veneziane, le galee, i mulini e i ponti. Le alture sullo sfondo riprendono la sagoma delle montagne dell’altopiano di Asiago, ben visibili dalla villa, i cui alberi fecero la fortuna di Forni.

64 Figura 21. Loggia. Portone con timpano aggettante sostenuto da mensole a voluta e fregio pulvinato; affresco: Pittore ignoto del XVI secolo, Paesaggio fluviale con rovine, Montecchio Precalcino, villa Forni Cerato, loggia (Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova, Laboratorio di Ricerca MantovaLab).

65 Figure 22 e 23. Pittore ignoto del XVI secolo, Paesaggio fluviale con rovine, Montecchio Precalcino, villa Forni Cerato, loggia, particolare pareti ovest e est (Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova, Laboratorio di Ricerca MantovaLab).

66 4.1.4. La facciata nord

Il prospetto posteriore presenta un’analoga ripartizione rispetto alla facciata principale a sud: le quattro finestre di varie dimensioni, prive di cornici decorate, poste su tre livelli e le due fasce tra il piano terra e il piano nobile che cingono tutto il perimetro dell’edificio (Figure 24 e 25). Secondo Pane, in origine, il piano nobile presentava al centro una serliana, ancora in parte visibile, malgrado il successivo inserimento di un balcone centrale151. Questa serliana aveva una duplice funzione: non solo richiamava l’elemento chiave posto nella loggetta della facciata sud, creando un continuum tra la parte frontale e quella retrostante152, ma offriva al proprietario e agli ospiti, una volta entrati nel salone, una serie di rapporti visuali e spaziali con il paesaggio e il territorio circostante, costituiti dai campi coltivati e più in lontananza dalla visione delle alture dell’altopiano di Asiago (Figura 27). In questo modo si viene a creare «quella ideale compenetrazione tra interno ed esterno che ritroviamo in altre ville dell’artista»153 in cui architettura e paesaggio stabilita un’accorta relazione, raggiungono un’armonia tale da rivestire un importante ruolo nell’ambito paesaggistico della villa. Esaminando le produzioni palladiane è possibile notare una notevole somiglianza tra la conformazione della facciata posteriore di villa Forni Cerato e quella di villa Emo a Fanzolo (Figura 26), in particolare: l’articolazione regolare degli elementi architettonici a partire dalle finestre posizionate su tre livelli senza cornici decorate, l’apertura centrale al piano terra, la porta finestra posta nel piano nobile e la fascia che cinge la villa.

151 R. Pane, Andrea Palladio cit., p. 105.

152 L. Puppi, D. Battilotti, Andrea Palladio cit., p. 248.

153 R. Pane, Andrea Palladio cit., p. 105.

67 Figura 24. Villa Forni Cerato, prospetto settentrionale.

Figura 25. Villa Forni Cerato, disegno prospetto settentrionale (in M.C. Benetollo, A.P. Donadello, Villino Foni Cerato a Montecchio Precalcino, tesi di laurea, Istituito Universitario di Architettura di Venezia, a.a. 1999-2000, relatore E. Vassallo, correlatori H. Burns, P. Faccio).

68 Figura 26. Villa Emo a Fanzolo, prospetto posteriore.

Figura 27. Villa Forni Cerato, veduta dalla villa verso la campagna a nord.

69 4.2. Parti del complesso: brolo, torre colombara, barchessa, cantina

Villa Forni Cerato, come anticipato, oltre ad essere costituita da un edificio padronale, include il brolo, la torre colombara, la barchessa, la cantina, tutti elementi tipici della “villa-fattoria”, testimonianza di un mondo rurale e parte di un linguaggio agricolo locale, che vede la massima fioritura nel Veneto del Cinquecento e valorizzazione con l’architetto Andrea Palladio154. Purtroppo la situazione attuale degli annessi non ci restituisce quell’idea originaria di un complesso agricolo unitario che ha caratterizzato l’espressione architettonica di un’epoca (Figura 28). La barchessa, contraddistinta da un su pilastri, si trova a destra del corpo padronale e si conclude verso est sul fronte strada con una torre colombara (Figure 29, 30 e 31); nella zona retrostante è presente una cantina seminterrata (Figure 32 e 33). Gli edifici ancora di pertinenza del complesso della villa versano in uno stato di abbandono, invece, quella parte della barchessa che dalla torre colombara prosegue verso sud, è stata in buona parte trasformata in abitazioni e separata con un muro di cinta dall’originaria proprietà (Figura 34). A sinistra la sistemazione degli edifici è speculare: anche qui vi è la barchessa con inglobata una torre colombara (Figura 35), ma entrambe restaurate e adibite a funzione residenziale e un pozzo che è da ritenersi scavato ancora nel Cinquecento. L’etimologia del termine brolo ha sicuramente origini lontane: probabilmente deriva da “broga” un vocabolo usato dai Celti per indicare un campo adatto a coltivare ortaggi e talvolta frutteti155. Si tratta di un’area recintata da muri e siepi, adibita alla coltivazione ortiva e di piante da frutto, la cui produzione doveva soddisfare il bisogno di intimità e delizia della famiglia156, come ricorda nel 1679 Giacomo Agostinetti nell’opera Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa. A questo proposito egli scrive: «la più cosa

154 H. Burns, La villa italiana del Rinascimento cit., pp. 68-69.

155 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., p. 81.

156 S. Baldan, I contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio: analisi, proposte di tutela e valorizzazione, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 18-25, p. 22.

70 che possi haver una gastaldia formale è un bellissimo bruolo copioso di fruttari di ogni sorte e qualità»157. Inoltre Agostinetti, rivolgendosi al generico «Fattor», afferma quanto importante sia avere una torre colombara: «la tua gastaldia non sarebbe adorna se bene haverà un copioso bruolo di frutti diversi, un orto abbondante di ogni sorte di erbaggi […] quando non avesse una bella e buona colombara»158. Si tratta di una costruzione presente fin dal Medioevo che serviva all’allevamento dei colombi per diversi scopi: la concimazione dei terreni destinati all’agricoltura, la caccia e l’alimentazione.159 Per avere un’idea di come fosse la struttura di una colombara è utile citare ancora Agostinetti, il quale sostiene che «doverà essere fatta almeno in doi solari l’uno più scuro dell’altro, che sarà quel di sopra et quel di sotto più chiaro, perché in questo si deve darli da bevere et quel di sopra più scuro perché li colombi amano molto covar li ovi all’oscuro […]», inoltre «doverà haver doi finestre al mezo giorno, ma quella del solare a basso più grande delle di sopra, perché in quella devesi dar il mangiare alli colombi»160. In alcuni casi, come in villa Emo a Fanzolo o villa Barbaro a Maser, le colombare sono posizionate da Palladio alle estremità delle barchesse, non solo per ragioni formali, ma anche per motivazioni funzionali come spiega lo stesso Agostinetti: «la colombara vuol essere lontana da strepiti, in loco aperto, non appresso strade correnti, lontane da arbori grandi, ne’ quali praticano uccellazzi di rapina at altri che insidiano la vita alli colombi e li fanno paura»161. L’architetto Vincenzo Scamozzi nella sua opera L’idea dell’architettura universale pubblicata nel 1615 ci fornisce alcune indicazioni sulle dimensioni delle colombare e a

157 G. Agostinetti, Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, a cura di U. Bernardi, E. Dematté, Vicenza, Neri Pozza, 1998, p.158.

158 Ivi, p.190.

159 S. Baldan, I contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio: analisi, proposte di tutela e valorizzazione, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 18-25, p. 23.

160 G. Agostinetti, Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa cit., p. 190.

161 Ivi, p. 190.

71 tal proposito scrive: «devono essere di mediocre grandezza e altezza […] non si facciano men larghe di 16 piedi di nostri, né più di 24»162. Apprezzata per secoli, la barchessa, un annesso rustico porticato, ha conosciuto una capillare diffusione nella campagna veneta, evolvendo nel tempo la sua struttura architettonica. Inizialmente più semplice e modesta con portici lignei e tetto in paglia163, si è successivamente trasformata fino a raggiungere una grande armonia con Palladio. Orientata rispetto al sole, costruita con materiali ecologici e locali, arricchita con un portico, risulta essere un luogo particolarmente versatile dal punto di vista formale e funzionale. In questo caso il portico può essere interpretato come un luogo intermedio che mette in rapporto gli ambienti interni con lo spazio esterno, permettendo una continuità nelle attività lavorative per quasi tutto l’anno164. È lo stesso Palladio165 a fornirci indicazioni sulla funzione delle barchesse, da lui definite «coperti per le cose di villa». Essi vanno «congiunti alla casa del padrone» affinché «in ogni luogo si possa andare al coperto: acciocché né le piogge, né gli ardenti soli dell’estate si siano di noia nell’andare a vedere i negozi suoi» ed inoltre saranno di «grandissima utilità per riporre al coperto legnami et infinite altre cose della villa che si guasterebbero per le piogge, e per il sole, oltra che questi portici apportano molto ornamento». Palladio integra la barchessa al resto del complesso di villa secondo un rigoroso sistema proporzionale, rendendola addirittura aulica a villa Barbaro, senza però nascondere la sua destinazione d’uso rustica accentuata dalla presenza, preferibilmente alle estremità, di due simmetriche torri colombare e dall’uso di ordini architettonici più semplici rispetto al corpo dominicale, come il tuscanico o il dorico, o semplici arcate166. Anche Vincenzo Scamozzi si misura con le barchesse e a tal proposito scrive nella sua opera: «deono essere molto grandi e spaziose, libere e di bellissima altezza, o con

162 V. Scamozzi, L’idea dell’Architettura Universale (Venezia 1615), ristampa in facsimile, Vicenza, CISA, 1997, I, Libro III, Cap. XVII, p. 300.

163 Una rappresentazione particolarmente dettagliata e fedele è quella offerta in un disegno attribuito ad Andrea Previtali nella Veduta di un “cortivo”, con barchesse in legno dal tetto in paglia, 1500-1505, conservato al Staatliche Museen zu Berlin.

164 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., p. 145.

165 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura cit., p. 46.

166 G. Moriani, Palladio architetto della villa fattoria cit., p. 146.

72 colonne o archi dinnanzi […] deono avere il loro aspetto principale a Mezzodì, et avere anco l’aria da porte e finestre verso Tramontana»167. Merita di essere citata anche la cantina. Si tratta di un ambiente adiacente alla barchessa, a cui si accede attraverso una scala che conduce ad un piano sotterraneo. Tale posizione è fondamentale per il riposo del vino, come riporta Palladio: «le cantine si deono fare sottoterra, rinchiuse, lontane da ogni strepitio e da ogni umore[…]»168. Egli ricorda inoltre che per ricreare un microclima adatto a una giusta conservazione del vino «deono avere il lume da levante, ovvero da settentrione, perciochè, avendolo da altra parte ove il sole possa scaldare, i vini che vi si porranno, dal calore riscaldati, diventeranno deboli o si guasteranno»169.

167 V. Scamozzi, L’idea dell’Architettura Universale (Venezia 1615) cit., I, Libro III, Cap. XVII, p. 299.

168 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura cit., p. 46.

169 Ibidem.

73 Figura 28. Foto aerea con evidenziate le parti del complesso, in particolare quelle in rosso sono ancora di appartenenza della villa.

Figura 29. Foto aerea della villa: a destra i ruderi della barchessa e della torre colombara.

74 Figura 30. Rilievo fotogrammetrico, laser scanner e topografico di villa Forni Cerato (Politecnico di Milano, Polo territoriale di Mantova, Laboratorio di Ricerca MantovaLab).

Figura 31. Veduta della parte posteriore del complesso di villa: accanto al muro di recinzione in sasso si notano i ruderi della barchessa e torre colombara sul fronte strada, ancora di pertinenza della villa.

75

Fig. n.° 22-23. Villa Forni Cerato, 2017, vista della parte posteriore della villa e del complesso.

16

Fig. n.° 39-40. Villa Forni Cerato, 2018, vista della cantina esterna sotterranea.

27

Figure 32 e 33. Villa Forni Cerato, cantina interrata.

76 Figura 34. Veduta della parte laterale posta ad est della villa con ruderi della barchessa, della torre colombara e parte della barchessa restaurata e adibita a funzione residenziale, non più appartenente al complesso della villa.

Figura 35. Veduta della parte laterale posta ad ovest della villa con barchessa e torre colombara restaurate e ora adibite a funzione residenziale, non più appartenenti al complesso della villa. Fig. n.° 35-36. Villa Forni Cerato, 2018, vista della facciata e dell’antica Colombara, che in origine faceva parte del complesso.

77 25

4.3. L’interno

L’organizzazione planimetrica delle ville di Palladio segue lo schema tradizionale tripartito ispirato alla villa del suo mentore Giangiorgio Trissino a Cricoli170. Esso è costituito da una composizione modulare di “elementi-atomi”171 (loggia, sala e camere) che diventerà una costante nelle ville degli anni Quaranta. Successivamente Palladio, varierà in modo flessibile, la composizione di questi pochi elementi-chiave172, anche grazie ai viaggi compiuti a Roma173 che gli permetteranno di apprendere strategie necessarie a combinare appartamenti, logge, scale e la sala centrale all’interno di una pianta compatta priva di corte centrale o di pozzi di luce174. Nel caso di villa Forni Cerato la planimetria è molto semplice: il piano principale è dominato da una grande sala rettangolare con soffitto ligneo, ai cui lati si distribuiscono simmetricamente le due sale minori; nella parte ovest sono comunicanti, mentre nella parte est sono interrotte dal vano scala (Figura 36). Come già espresso in precedenza, la villa è il risultato di un intervento palladiano di ristrutturazione di un edificio preesistente e questa particolare circostanza spiega le dimensioni limitate dell’edificio, la pianta insolitamente ristretta, le proporzioni dell’impianto che non rispettano i consueti rapporti dimensionali adottati dall’architetto e la larghezza contenuta della loggia (Cfr. cap. 2).

170 D. Battilotti et al., Uno sguardo d’insieme: il Veneto del Rinascimento, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento cit., pp. 10-29, p. 27.

171 H. Burns, Il gioco della villa, in Andrea Palladio e la villa veneta, G. Beltramini, H. Burns (a cura di), catalogo della mostra (Vicenza, Museo Palladio, 5 marzo - 3 luglio 2005), a cura di G. Beltramini, H. Burns, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 442-443, p. 443.

172 E. Svalduz, Le ville di Palladio, in Paesaggi delle Venezie. Storia ed economia cit., pp. 452-464, p. 457. Per un’immagine esemplificativa delle varie composizioni: R. Wittkower, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo cit., p.73.

173 Palladio va Roma una prima volta nel 1541 in compagnia dell’amico e protettore Giangiorgio Trissino, poi tra il 1545 e il 1547 per due lunghi soggiorni, ancora, brevemente nel 1549 e infine nel 1554 assieme a Daniele Barbaro. Durante i suoi soggiorni romani Palladio studiò ed esaminò i siti archeologici e gli edifici antichi pubblicando una sorta di resoconto di viaggio: L’antichità di Roma. (G.G. Zorzi, I disegni delle antichità di Andrea Palladio, Venezia, Neri Pozza, 1958, pp. 15-24).

174 H. Burns, La villa italiana del Rinascimento cit., p. 70.

78 4.3.1. Il salone centrale

Il salone centrale (Figura 37), oltre ad essere l’ambiente di rappresentanza della villa, si caratterizza per essere uno spazio dedicato all’accesso nelle stanze adiacenti, quindi, con funzione distributrice. Sono quattro le aperture perimetrali che illuminano naturalmente il luogo: la porta d’ingresso padronale, posta sul lato sud, e sulla parete opposta, due grandi finestre e una portafinestra, che al contempo offrono una visione panoramica della campagna. La sala principale presenta cinque porte: quattro, con fregio pulvinato, immettono nelle stanze, la quinta, invece, costituita da un’apertura ad arco con chiave di volta a voluta, funge da ingresso al vano scala, cerniera che collega i tre piani della villa. Le aperture disposte lungo la parete est ed ovest sono fra loro speculari; forse per non perdere il ritmo e l’armonia d’insieme, la porta ad arco, posizionata nella parete est, è fronteggiata sul lato opposto da un’altra identica, ma finta. Anche in villa Caldogno troviamo una medesima soluzione, la porta mediana sinistra è cieca, come sottolinea Douglas Lewis175 in un articolo del «Bollettino CISA». Il soffitto presenta travi a vista imbiancate con decorazioni, ora appena visibili, affrescate in oro che ne seguono il perimetro (Figura 38). Attualmente la sala centrale, oltre alle porte, non offre elementi decorativi o decorazioni in affresco. Tuttavia, Ottavio Bertotti Scamozzi come testimone oculare, ci fornisce delle preziose indicazioni in merito: da alcuni appunti del 1770, annotati durante la visita alla villa, sappiamo che il proprietario aveva collocato dei «busti posti sopra le porte di elegante proporzione […] di stucco ma di bella maniera»176 per dare un maggior risalto e prestigio alla sala principale, inoltre un successivo riscontro della presenza dei busti è fornito dalla sezione della villa realizzata da Bertotti Scamozzi nel 1778 (Figura 7). Ora sfortunatamente la perdita di queste opere scultoree rende difficile l’attribuzione dell’artista e l’identificazione del soggetto rappresentato.

175 D. Lewis, Disegni autografi del Palladio non pubblicati: le piante per Caldogno e Maser, 1548-1549, in «Bollettino CISA», XV, 1973, pp. 369-377, p. 375, figura 199.

176 L. Olivato, Ottavio Bertotti Scamozzi studioso di Andrea Palladio, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1975, p.123.

79 4.3.2. I camini delle stanze

Nelle prime due sale con soffitti lignei, più ampie rispetto alle altre, sono installati due camini177 cinquecenteschi di elegante fattura. Elemento in apparenza secondario dello spazio architettonico, ma certamente con un ruolo funzionale, atto a garantire la vivibilità dell’abitare, in quanto unico sistema di riscaldamento, il camino assume nel Cinquecento un ruolo sempre più rilevante dal punto di vista estetico, conquistando un aspetto di grande monumentalità, sia nella forma, sia nell’apparato decorativo in stucco delle cimase. In modo indiretto contribuisce anche al riconoscimento sociale del proprietario, prestandosi alla celebrazione delle glorie del casato con l’esposizione dei busti della famiglia sulla mensola o degli stemmi nobiliari scolpiti nel fregio178. Per questo motivo l’architetto rinascimentale progetta camini come parte integrante dell’edificio e ne cura forma e funzione modellandoli come sculture. Nella loro realizzazione gli artisti si concedono una grande libertà di sperimentare nuove invenzioni, resa possibile dall’assenza di qualsiasi vincolo normativo stabilito dalla trattatistica o dall’esistenza di esemplari antichi di camini179, anche se nella struttura possiamo riscontrare i caratteri tipologici dell’architettura rinascimentale: trabeazione, colonna, capitello, ordini architettonici e motivi ornamentali. La trattatistica del Cinquecento accoglie il camino all’interno del vocabolario degli ordini architettonici inserendolo per analogia insieme alle porte e alle finestre. Sebastiano Serlio nel Quarto Libro180 analizza in dettaglio i camini, suddividendoli in cinque ordini (Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito) fornendo una serie

177 Il vocabolo camino anche come termine tecnico relativo a una struttura per il passaggio e lo sfiato dell’aria calda o del fumo è impiegato per la prima volta da Francesco di Giorgio Martini, come confermato in un disegno del Codice Saluzziano (F.G. Martini, Trattati di architettura, Ingegneria e Arte Militare, a cura di C. Maltese, trascrizione L. Maltese Degrassi, Milano, Il Polifilo, 1967, I, f. 23r, tav. 42).

178 L. Attardi, Il camino veneto del Cinquecento, Vicenza, Angelo Colla Editore, 2002, p. 7.

179 Ibidem.

180 «Trattando io in questo volume di tutti gli ornamenti che all’Architetto, et alle fabbriche possono accadere; non lascerò di dimostrare alcune forme di camini…» (S. Serlio, Regole generali di Architettura sopra le cinque maniere de gli edifici cioè Thoscano, Dorico, Ionico…, Venezia, Francesco Marcolini da Forlì, 1537, f.138r.)

80 di modelli sia per la struttura sia per i motivi ornamentali181. Egli privilegia in particolare le decorazioni e le loro misure proporzionali182, mettendo, però, in secondo piano l’aspetto pratico del funzionamento. Le proposte decorative di Serlio nella sua opera, anche grazie ai disegni di supporto, saranno molto apprezzate in Veneto e verranno accolte e sviluppate da Jacopo Sansovino e dalla sua cerchia, primo fra tutti Alessandro Vittoria. Nella villa Forni Cerato, nonostante l’attuale stato di degrado dei due camini, in particolare quello della stanza est, dove una parte della zampa di sostegno è stata lesa, si possono ammirare ancora aspetti ornamentali di un certo pregio: i piedritti sagomati a voluta scanalata poggianti su robuste zampe di leone, trabeazione con architrave, fregio pulvinato e cornice decorata (Figura 39 e 40). Questo motivo del camino, elegante e monumentale, con grandi mensole a voluta che sorreggono la cappa triangolare sporgente del muro, trova origine nella Roma raffaellesca: già nel 1508 circa Antonio da Sangallo il Giovane aveva preparato il progetto per il camino nella Sala di Costantino dei Palazzi Vaticani, con piccole volute che sorreggono l’architrave, tuttavia il primo esempio di questa tipologia risale all’intervento di Baldassarre Peruzzi183, databile verso la metà degli anni Trenta del Cinquecento, a Palazzo Massimo a Roma184. Qui le volute si allungano e poggiano a terra con una terminazione a zampa di leone diventando struttura di sostegno dell’architrave e non semplice elemento di raccordo come nel linguaggio classico185 (Figura 41).

181 E. Svalduz, Architettura per diletto. Alcune considerazioni dai disegni, in Paolo Farinati, 1524-1606: dipinti, incisioni e disegni per l’architettura, G. Marini, P. Marini, F. Rossi (a cura di), catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio, 17 ottobre 2005 - 29 gennaio 2006), a cura di G. Marini, P. Marini, F. Rossi, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 39-44, p. 42, cat. 73.

182 «Costituita l’altezza dell’apertura [bocca di fuoco] secondo l’altezza della stanza […]». Le osservazioni di Serlio sulle dimensioni della bocca di fuoco nascono dall’esigenza di adeguarle alle misure dell’ambiente e alle proporzioni degli altri elementi che costituiscono il camino (trabeazione). (S. Serlio, Regole generali di Architettura sopra le cinque maniere de gli edifici cioè Thoscano, Dorico, Ionico cit., f.156v.).

183 C.L. Frommel, Roma e la formazione architettonica del Palladio, in Andrea Palladio: nuovi contributi, A. Chastel, R. Cavese (a cura di), Milano, Electa, 1990, pp. 146-165, p. 149.

184 Palazzo Massimo a Roma può essere considerato un modello nel rinascimento in quanto ebbe un enorme influenza su Vignola, Bramante, Sanmicheli, Giulio Romano e Palladio. (C.L. Frommel, Architettura alla corte papale nel Rinascimento cit., p. 74)

185 L. Attardi, Il camino veneto del Cinquecento cit., pp. 54-55.

81 Il motivo delle volute, come elemento di sostegno, viene scelto da Sebastiano Serlio per caratterizzare il camino dell’ordine dorico. La tavola presente nel Quarto Libro (Figura 42) ne determinerà in modo definitivo la diffusione diventando un elemento frequente e peculiare nelle abitazioni venete nel corso del secolo, inoltre ci evidenzia ancora una volta l’importanza del trattato del Serlio, non solo per l’architettura, ma anche per il vocabolario ornamentale, sottolineando la sua figura di divulgatore delle nuove forme soprattutto per quanto concerne gli aspetti decorativi186. La soluzione realizzata da Peruzzi e raffigurata graficamente da Serlio è impiegata in modo sistematico dagli architetti e scultori del Cinquecento: Jacopo Sansovino in villa Garzoni, Michele Sanmicheli a Palazzo Roncade e Lorenzo Rubini a Palazzo Barbarano da Porto187. Anche Palladio conosce e apprezza il modello peruzziano come è dimostrato in un rilievo di sarcofago (Figura 43), oggi conservato nella Biblioteca Civica di Vicenza, databile alla metà degli anni Quaranta, caratterizzato da volute terminanti con zampe di leone188, oppure nei primi camini realizzati a villa Godi nella Sala di Venere e nella Sala dei Trionfi. Per tornare a villa Forni Cerato, attualmente la cappa non presenta una decorazione plastica, ma si può supporre che avesse un’ornamentazione in stucco, una tecnica molto comune nella metà del Cinquecento anche in area veneta grazie all’atelier di Jacopo Sansovino, dove effettua il suo apprendistato lo scultore trentino Alessandro Vittoria, già in precedenza menzionato per il suo legame di amicizia con il Forni. La cappa soprastante la bocca di fuoco diventa uno spazio adatto alla decorazione, per lo più scultorea, con l’impiego dei tradizionali elementi ornamentali tratti dall’antico (sfingi, festoni, puttini), ma nello stesso tempo il luogo per il libero esercizio creativo dell’artefice189; per questo motivo secondo Serlio vi è la necessità di lasciare ampia

186 M. Rosci, Sebastiano Serlio e il manierismo nel Veneto, in «Bollettino CISA», IX, 1967, pp. 330-336.

187 E. Svalduz, Architettura per diletto. Alcune considerazioni dai disegni, in Paolo Farinati, 1524-1606 cit., pp. 39-44, p. 42, cat. 73.

188 L. Puppi, Palladio. Corpus dei disegni, Milano, Berenice, 1989, p. 109, (D 8 r).

189 L. Attardi, Alessandro Vittoria e l’origine dei “cimieri ornati” nel camino veneto, in Alessandro Vittoria e l’arte della maniera veneta, L. Finocchi Ghersi (a cura di), Atti del Convegno Internazionale di Studi (Udine, 26-27 ottobre 2000), Udine, Forum, 2001, pp. 41-56, p. 42.

82 libertà all’architetto e scultore nella progettazione e realizzazione della parte superiore190. Anche Vincenzo Scamozzi, nel suo trattato edito nel 1615, conclusione delle sperimentazioni condotte nel Cinquecento, ricorda come le cappe siano il luogo del maggiore sviluppo decorativo, esse «si possono ornare con figure, teste antiche […] fatte con bella maniera di pietra, ovvero di legnami, ò sia anco di stucco»191. Proprio lo stucco apprezzato per la facilità di modellazione e costo contenuto, risulta essere uno strumento ideale per raggiungere risultati di altissima qualità decorativa. Di certo, sappiamo che sopra la cornice della trabeazione dei camini della villa Forni Cerato erano collocati dei busti di stucco eseguiti da Alessandro Vittoria, con l’effigie di Girolamo Forni e del Cardinal Bembo, ricordati da Forni stesso nel suo testamento del 1610192.

190 S. Serlio, Regole generali di Architettura sopra le cinque maniere de gli edifici cioè Thoscano, Dorico, Ionico cit., f.156v.

191 V. Scamozzi, L’idea dell’Architettura Universale cit., II, Libro VI, Cap. XXXV, p.166.

192 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610 (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino cit., in «Arte veneta», pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.).

83 4.3.3. Il sottotetto

Per concludere l’analisi dei vari ambienti della villa, anche il sottotetto (Figure 44 e 45) merita un’attenzione particolare; spazio apparentemente secondario, e per questo spesso poco considerato, esso risulta essere di primaria importanza soprattutto per la funzione pratica che assolve nella gestione della vita quotidiana all’interno della villa, ma anche perché “simbolo” delle trasformazioni di un’epoca. Elemento caratteristico delle ville-fattoria progettate da Palladio, posto sopra il piano nobile, era destinato a scopi agricoli in quanto serviva da magazzino per il ricovero e la conservazione dei grani o delle derrate alimentari, da utilizzare nel periodo invernale. La presenza del sottotetto e quindi la possibilità di mantenere un approvvigionamento costante di cereali e altre scorte alimentari a supporto di eventuali periodi di carestia, può essere interpretata come un segnale del cambiamento produttivo ed economico in atto nel Cinquecento nel territorio veneto, caratterizzato dall’investimento fondiario, dalla bonifica, dalla coltivazione del frumento, del granoturco e della vite. L’agricoltura è fra tutti il settore che registrò nel periodo 1550-1600 le maggiori trasformazioni ed il più alto incremento della produzione. Ciò consentì alla Repubblica di Venezia di pervenire alla fine del XVI secolo, almeno per quanto riguarda la cerealicoltura, all’autosufficienza e l’eliminazione pressoché totale di importazione di granaglie dai mercati stranieri193. A tutt’oggi si ritiene che l’agricoltura del territorio veneto nel corso del Rinascimento possa aver raggiunto un buon grado di capacità produttiva e di efficienza, collocandosi leggermente sopra i livelli toccati dalla media italiana, inglese e francese.194 Palladio stesso, nei Quattro Libri195, ci fornisce delle indicazioni tecniche utili per migliorare la conservazione dei cereali in questo ambiente: «deono avere il lume verso tramontana, perché a questo modo i granai non potranno così presto riscaldarsi, ma, dal

193 D. Battilotti et al., Uno sguardo d’insieme: il Veneto del Rinascimento, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento cit., pp. 10-29, p. 17.

194 Ibidem.

195 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura cit., p. 46.

84 vento raffreddati, lungamente si conserveranno e non vi nasceranno quegli animaletti che vi faranno grandissimo nocumento». Il sottotetto della villa Forni Cerato non si presenta come un ambiente unico, ma suddiviso in diverse stanze di ampiezza variabile e con un’altezza tale da permettere il movimento, con diverse aperture disposte lungo le pareti perimetrali che lo rendono luminoso e ben aerato. Nel corso del tempo non ha subito cambiamenti significativi, atti a renderlo un locale ad uso abitativo, ma ha mantenuto la sua struttura originaria. Il soffitto presenta capriate lignee, mentre il pavimento è in cotto in linea con i consigli di Palladio: il «suolo loro deve essere terrazzato, potendosi avere, o almeno di tavole, perché per il toccar della calce il grano si guasta»196.

196 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura cit., p. 46.

85 17,81 0,46 5,20 0,44 5,53 0,46 5,25 0,47

0,46 0,45

+12,60 m

+12,59 m 3,25 5,37 0,29

+12,66 m +12,67 m +13,99 m 2,22 0,37 0,19 15,46 15,39 4,64 4,41

+12,59 m +12,58 m +9,93 m 0,44 0,45 0,44 4,16 0,46

18,02 0,47

12,95 1,82 1,78

0,45

+12,62 m 0,42 0,44 0,45 1,47 1,48 0,44

0,44 6,61

0,45 5,22 0,58 1,17 0,58 1,76 0,57 1,16 0,58 5,35 0,45 7,39 17,86 +9,91 m

+12,60 m 10,04 0,34

4,70

3,87 4,48

+9,88 m

2,88

+9,82 m 0,58

4,65 Figura 36. Villa Forni Cerato, planimetria piano nobile (Politecnico di Milano, Polo territoriale di 0,75

4,68 11,28 0,56 1,20

LEGENDA QUADRO FESSURATIVO Mantova, Laboratorio di Ricerca MantovaLab). TAVOLA 03II Politecnico di Milano S3 FESSURE Polo territoriale di Mantova

Laboratorio di Ricerca MantovaLab - Hesutech group S2 FESSURE SOTTILI/CAVILLATURE/CRETTATURE VILLA FORNI CERATO a Montecchio Precalcino (VI) S10 Responsabile scientifico: prof. arch. Luigi Fregonese * RAGNATELA DI CAVILLATURE S1 Rilievi e restituzione: arch.ti Andrea Adami, Silvia Chiarini, Stefano Cremonesi, PIANTA PIANO NOBILE S7 P FESSURE PASSANTI Jacopo Helder, Olga Rosignoli, Laura Taffurelli (14,05 m) S4 S5 S6 Scala di restituzione 1:50 FESSURE GIÀ RISARCITE RILIEVO FOTOGRAMMETRICO, LASER SCANNER E TOPOGRAFICO DI VILLA FORNI CERATO a Montecchio Precalcino (VI) Data seconda consegna 01/10/2018 FESSURA/TAMPONAMENTO S9 S8

86

Figura 37. Villa Forni Cerato, salone centrale, vista da nord.

Fig. n.°11-12-13. Villa Forni Cerato, seconda metà XX secolo, particolare del portale e degli affreschi della Loggia; vista del salone al piano nobile. Foto CISA.

8

Figura 38. Villa Forni Cerato, salone centrale, particolare del soffitto. Fig. n.° 30. Villa Forni Cerato, 2018, particolare del soffitto del salone.

87

21

Figure 39 e 40. Villa Forni Cerato, Camini, stanze est e ovest.

88 Figura 41. Baldassarre Peruzzi, camino, Roma, Palazzo Massimo.

Figura 42. Sebastiano Serlio, camino dell’ordine dorico (in Quarto Libro, 157r).

Figura 43. Andrea Palladio, Fronte e profilo di due sarcofaghi, metà anni Quaranta circa, Vicenza, Museo Civico.

89

Figure 44 e 45. Villa Forni Cerato, sottotetto, particolare stanza centrale e stanza a ovest.

Fig. n.° 33-34. Villa Forni Cerato, 2018, vista del sottotetto.

90 24

CAPITOLO 5 LA SITUAZIONE ATTUALE

Incuria, degrado, erbacce: ecco come si presentava la villa Forni Cerato al momento dell’acquisto, avvenuto il 14 luglio 2017, da parte del dottor Ivo Boscardin, l’ultimo proprietario. L’acquisto mette fine alla storia travagliata della villa che vede al suo attivo numerosi passaggi di proprietà da privati, società immobiliari e finanziarie italiane e straniere, vicende giudiziarie, mortificandola in un miserabile stato di abbandono. Nonostante il chiaro valore architettonico, dagli anni Novanta, non sono state eseguite manutenzioni dell’immobile e non si è potuto neppure procedere alla vendita malgrado l’interessamento del Comune, della Provincia e dei privati197. Nel 2011 così commentava la precaria situazione della villa Guido Beltramini, direttore del Centro Internazionale Studi di Architettura “Andrea Palladio”: «è la nostra spina nel fianco, nessuna altra opera del grande maestro, dopo il censimento del patrimonio fatto nel 2001, si trova ancora in una simile condizione» e ancora «non sappiamo a chi rivolgerci e senza un nome non possiamo certo intervenire»198.

Dal 1610 quando il committente, l’imprenditore e pittore Girolamo Forni, sottopone l’immobile a fidecommisso e lo lascia in eredità ai suoi nipoti Cerato199 esso ha visto sempre una destinazione d’uso di tipo abitativo, con il susseguirsi di diverse proprietà private, fino al 1987 con l’ultimo proprietario Adolfo Costa (Figure 46 e 47). Nel 1987 la villa viene ceduta dall’allora proprietario Adolfo Costa a Gianpaolo Lando, un noto avvocato di Piove di Sacco. Nel 1996, appena inserita dall’UNESCO nella lista

197 M. Billo, Villino dell’Unesco messo in vendita, Palladio va all’asta, «Il Giornale di Vicenza», 09 aprile 2017, .

198 G. Viafora, Villa Forni Cerato in balia del tempo: la caduta di una dimora palladiana, «Corriere del Veneto», 6 aprile 2011, .

199 ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610. (G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino cit., «Arte veneta», pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5.). Fino al 1860 risulta essere di proprietà dei Cerato, poi passa ad altre famiglie.

91 dei Patrimoni dell’Umanità, insieme alle altre ventitré ville di Andrea Palladio, la Forni Cerato viene ceduta, dall’avvocato Lando, a una società immobiliare con sede a Caldogno, la “Step Srl”200. La “Step Srl” un anno dopo l’acquisto, vende a sua volta la villa a una società finanziaria irlandese la “Rickthorne Holdings Limited” con sede a Dublino e dodici mesi dopo, la società immobiliare di Caldogno improvvisamente fallisce. Anche la vita della società irlandese, però, sarà breve: dal 1996 risulta essere amministrata da due panamensi, Luis Antonio Davis e Pamela Hall, ma dal 2000 smette di presentare i bilanci e successivamente, come risulta dal rapporto della “Uk Data”, una sorta di registro imprese del Regno Unito, viene addirittura dichiarata dissolta201. Con il fallimento della “Step srl” è iniziata una vicenda giudiziaria che si è protratta fino al 2015 risolta a favore del fallimento della società vicentina e quindi la revoca della compravendita tra “Step srl” e “Rickthorne Holdings Limited”. Nel 2016 la “Margan Group”, società incaricata della custodia e della vendita dello stabile, ha coordinato diversi lavori necessari per la messa in sicurezza dell’edificio e l’installazione di recinzioni per delimitare la barchessa a lato, ormai ridotta a rudere e impedire l’accesso abusivo nella villa già verificato in passato; come ricorda l’ingegnere Nicola Ferro di Margan Group la villa era in pessime condizioni “da tutti i locali sono stati rimossi rifiuti, anche ingombranti come materassi e frigoriferi”202. Dopo un contenzioso durato quasi vent’anni la Forni Cerato, nel 2017, viene messa all’asta. Il curatore fallimentare, la ragioniera Antonella Barcaro ha auspicato che «questa villa palladiana possa essere venduta, recuperata il prima possibile e riportata allo splendore di un tempo»203. L’asta fallimentare si è conclusa il 14 luglio 2017 con l’aggiudicazione del bene all’imprenditore vicentino dottor Ivo Boscardin.

200 G. Viafora, Villa Forni Cerato in balia del tempo: la caduta di una dimora palladiana, «Corriere del Veneto», 6 aprile 2011, .

201 Ibidem.

202 M. Billo, Villino dell’Unesco messo in vendita, Palladio va all’asta, «Il Giornale di Vicenza», 09 aprile 2017, .

203 Ibidem.

92 Laureato in Fisica, manager in sistemi di sicurezza nella sua azienda la “Delta Plus”, racconta che ha compiuto questa operazione guidato dall’emotività e da un forte spirito civico. Dopo essere venuto in possesso del bene egli stesso ha ammesso: «questa non è una operazione economico-finanziaria, non ne ha i parametri, volevo fare qualcosa di buono per la mia terra vicentina, ed eccomi qui entusiasta di una avventura che deve ancora cominciare»204. L’imprenditore vicentino era venuto a conoscenza della villa e della sua miserabile situazione sul Giornale di Vicenza e, incuriosito, si è recato a vederla. Da subito, al suo fianco, l’amico e architetto Diego Peruzzo che al suo attivo aveva già acquisito due esperienze di restauro in cantieri palladiani: villa Caldogno a Caldogno e villa Pisani a Bagnolo di Lonigo. Anche quest’ultima, da sempre proprietà della famiglia Pisani-Ferri, era stata messa all’asta dalla proprietaria, la contessa Cornelia Ferri, nel 1999 da Sotheby’s a Londra e in seguito acquistata da una coppia, Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti205.

All’indomani della vendita della villa Forni Cerato il sindaco di Montecchio Precalcino, Fabrizio Parisotto, esprime le sue congratulazioni al nuovo proprietario e fiducioso afferma: «villa Forni Cerato è in buone mani»206. Da tempo infatti la comunità di Montecchio, e non solo, aspettava questo momento, in quanto il bene è sempre stato considerato una parte integrante di questo territorio, nonché elemento di alto valore artistico. Riportare la villa al suo vecchio splendore è un progetto che i cittadini hanno accolto come una valida opportunità per la comunità e per tutti coloro i quali sono consapevoli della necessità di tutelare questo bene architettonico, inserito all’interno di un circuito culturale che a tutt’oggi è capace di richiamare, per le sue bellezza artistiche, l’attenzione nazionale e internazionale sul territorio. Nelle intenzioni di Ivo Boscardin l’immobile non avrà una destinazione d’uso privata,

204 N. Martelletto, “Ho comprato Palladio”, «Il Giornale di Vicenza», 14 luglio 2017, .

205 Si veda ;.

206 M. Billo,“Un museo nella villa del Palladio”, «Il Giornale di Vicenza», 29 luglio 2017, .

93 alberghiera o di ristorazione, fruibile da una limitata cerchia di persone: «un bene così importante non può essere di uno o di pochi, ma di tante, tantissime persone»207. La volontà è quella di valorizzare l’aspetto storico, culturale e territoriale con l’ipotesi di renderla un museo o una sede idonea ad ospitare incontri208. Una villa aperta al pubblico, quindi, o meglio restituita al pubblico, dopo un periodo troppo lungo di incuria, abbandono e disinteresse che le sarebbero state fatali se non fosse intervenuto l’imprenditore Boscardin. Sempre il primo cittadino spiega che il proprietario si è reso subito molto disponibile per avviare una collaborazione con il Comune, un impegno, tuttavia, non economico, ma di promozione209.

Le intenzioni dell’attuale proprietario si sono subito concretizzate con l’organizzazione di due workshop. Essi hanno visto la partecipazione di illustri esperti, ma è stata data la possibilità anche a tutti gli interessati di farne parte. Gli incontri si sono incentrati su due fronti: con il primo si è voluto ripercorrere la storia di villa Forni Cerato nel corso dei secoli e del suo committente Girolamo; il secondo, invece, si è focalizzato prevalentemente sull’aspetto architettonico definendo le linee generali di intervento. Il 13 settembre 2017, a soli due mesi dall’acquisizione del bene, è stato organizzato il primo workshop presso il Comune di Montecchio Precalcino, con l’intento di scambiare informazioni sulla storia della villa. Durante il tavolo di lavoro si è provveduto anche alla costruzione del sito web “www.villafornicerato.it” all’interno del quale saranno inseriti, nel corso del tempo, diversi materiali riguardanti la villa. Accedendo a questo sito tutti gli interessati possono ricavare informazioni sulla storia dell’immobile e del suo committente, articoli di giornale, foto e ricerche di persone che l’hanno studiata dal punto di vista storico e architettonico; quindi, un importante punto

207 M. Billo, Palladio svela i segreti della villa Forni Cerato, «Il Giornale di Vicenza», 5 giugno 2018,.

208 Comunicazione verbale del proprietario dottor Ivo Boscardin e della sua collaboratrice Francesca Grandi che ringrazio per le preziose informazioni.

209 M. Billo,“Un museo nella villa del Palladio”, «Il Giornale di Vicenza», 29 luglio 2017, .

94 di contatto e aggiornamento in tempo reale sulle iniziative e interventi di recupero dell’immobile. Il secondo workshop, in data 2 giugno 2018, organizzato dall’amministrazione comunale di Montecchio Precalcino e dal proprietario, era incentrato sul restauro e la rinascita di villa Forni Cerato. L’evento prevedeva sia un’apertura della villa al pubblico, con alcune visite guidate della residenza, sia un convegno. La riapertura della villa, dopo decenni, ha avuto molta affluenza da parte dei cittadini di Montecchio Precalcino, appassionati di architettura, ma anche di curiosi che hanno voluto osservare da vicino la villa rimasta chiusa per troppo tempo, per scoprirne le bellezze; le aspettative del suo proprietario sono state pienamente confermate: una comunità che vuole riappropriarsi di questo bene (Figura 48). Presso la sala consiliare del Comune di Montecchio Precalcino si è tenuto, invece, il convegno che ha visto la partecipazione di centoventi persone e l’intervento di cinque relatori rappresentanti di diverse istituzioni: Fabrizio Magani, Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio della Provincia di Verona, Rovigo, Vicenza; Guido Beltarmini, Centro Internazionale Studi Architettura Andrea Palladio; Andrea Savio, Università degli Studi di Padova e l’architetto Diego Peruzzo, il direttore dei lavori210. L’architetto Peruzzo, dopo aver esplicitato le linee che si intendono seguire per il recupero dell’immobile (Figura 49), ha affermato che nei prossimi mesi sarebbe iniziato un restauro definito “timido”, “perenne” ed “esemplare”. “Timido” in quanto si prevede un intervento non invasivo e prudente, che rispetterà e anzi andrà a valorizzare la villa nel suo complesso: l’obiettivo è quello di riportare la dimora così come era agli albori e farla diventare un “museo di se stessa”. Con l’intenzione di non adibirla a spazio espositivo, contenitore di altre opere d’arte, la Forni Cerato sarà in grado di “parlare di se stessa” come opera architettonica del grande maestro Palladio. Unanime è l’opinione che già la villa di per sé abbia molto da raccontare, a livello architettonico in quanto esito di un modus operandi ben consolidato da Palladio, a livello storico, perché costruita in una fase economica congiunturale favorevole e a livello geografico per la sua collocazione in un paesaggio con particolari caratteristiche che lo definiscono.

210 M. Billo, Palladio svela i segreti della villa Forni Cerato, «Il Giornale di Vicenza», 5 giugno 2018, .

95 Con l’accezione “perenne” si intende sottolineare un’attività costante di tutela e salvaguardia di un bene che richiede continui interventi di manutenzione nel tempo ed “esemplare” in quanto si propone come modello per il restauro di un bene architettonico211. A tal proposito sono chiarificatrici le parole del direttore del Cisa, il quale definisce il gruppo di lavoro come un «dream team» cioè un punto di riferimento per i futuri progetti di recupero dei beni culturali212. Per il Professor Savio si tratta di un progetto che “apre le porte alla ricerca storica, architettonica e artistica: sono state gettate le fondamenta per un futuro roseo della villa”213. Villa Forni Cerato in quanto “villa-fattoria” prevede anche un progetto esteso di recupero di tutti quegli elementi da considerare parte integrante del contesto di villa e di indubbio valore storico e paesaggistico: la barchessa, la torre colombara e sistemazione del terreno limitrofo alla villa, il brolo e la roggia. Per quanto riguarda la barchessa e la torre colombara a lato, a causa della loro situazione di degrado, saranno oggetto di un intervento più invasivo e pertanto per esse si prospetta un progetto di ricostruzione vera e propria, che comunque andrà rispettare l’originaria configurazione architettonica. Poiché la destinazione d’uso dovrà essere sempre congrua all’ambito culturale, rispettando la volontà del proprietario e del suo team, essa verrà adibita a spazio atto ad ospitare convegni ed eventi. Altro elemento da considerare all’interno del contesto di villa è la riqualificazione del brolo e delle sorgenti d’acqua. Grazie alla supervisione di esperti del settore verrà valutata la possibilità di poter introdurre quelle coltivazioni agricole tipiche del territorio, in questo caso gelsi e vigneti, in linea con la tutela e la valorizzazione del paesaggio di villa. Dando slancio alle colture di pregio tipiche del contesto di villa palladiano, questo paesaggio agricolo potrà essere finalmente valorizzato e recuperato, permettendo di conservare un patrimonio mondiale culturale, paesaggistico e agrario

211 Comunicazione verbale del proprietario dottor Ivo Boscardin e della sua collaboratrice dottoressa Francesca Grandi, che ringrazio per le preziose informazioni.

212 M. Billo, Palladio svela i segreti della villa Forni Cerato, «Il Giornale di Vicenza», 5 giugno 2018,.

213 Ibidem.

96 identitario della storia regionale veneta214. La riproposizione all’interno degli antichi broli di specie e o varietà coltivate anticamente, permette di realizzare delle piccole “oasi” di biodiversità utili, oltre che a fini estetici anche in funzione di riscoperta o riproposizione di antiche prassi agricole e alimentari. All’indomani dell’acquisto la villa ha avuto la fortuna di essere visitata da esperti e architetti di fama internazionale, pronti a fornire il loro prezioso aiuto per il recupero del bene. Tutte queste visite oltre a fornire un supporto internazionale al proprietario e al suo gruppo di lavoro per il restauro architettonico, mostrano l’importanza di riscrivere un pezzo di storia che, ai livelli di Palladio, non è solo locale, ma mondiale. Ne ricordiamo a questo proposito alcuni: Ms Carol Kelly, proprietaria Chase-Lloyd House ad Annapolis, in Maryland, grande conoscitrice di Palladio che a tutt’oggi è considerata “l’ambasciatrice” di villa Forni Cerato negli USA; l’architetto cileno Alejandro Valdés; alcuni architetti svizzeri dello studio Schneider Studer Primas di Zurigo; Donata Battilotti dell’Università di Udine, una delle prime ad interessarsi della villa e del suo committente215.

Il restauro della villa, ancora in una fase embrionale, è iniziato ufficialmente il 18 luglio 2018; in questa data un team composto da cinque esperti del Politecnico di Milano diretti dal Professor Luigi Fregonese hanno dato avvio alla fase preliminare, fondamentale per lo studio delle pareti murarie. Essi sono stati incaricati di eseguire dei rilievi laser scanning e fotogrammetrici degli interni e degli esterni di tutta la villa, ma anche della barchessa e del muro di cinta. L’esito dell’operazione documenterà in modo completo e dettagliato lo stato di fatto dell’edificio e delle parti del complesso e sarà un supporto indispensabile per l’architetto Diego Peruzzo in quanto gli permetteranno di valutare dettagliatamente tutti gli elementi fondamentali per la progettazione degli interventi di restauro che saranno necessari eseguire nei mesi a seguire. Due importati lavori preliminari e propedeutici al restauro, in grado di ricostruire un tassello della storia di villa Forni Cerato, sono stati la campagna di saggi stratigrafici, per testare le pareti interne ed esterne, e l’analisi delle parti lignee eseguiti dallo studio

214 G. Pinaffo, La valorizzazione agricola degli ambiti delle ville palladiane, in Contesti paesaggistici delle ville di Andrea Palladio. Atlante cartografico cit., pp. 54-55, p. 54.

215 Informazioni ricavate dal sito web della villa .

97 di restauro “AR Arte e Restauro srl”. I lavori, dopo l’approvazione dalla Soprintendenza, sono iniziati nel novembre del 2018 con saggi stratigrafici in ogni stanza atti ad individuare la successione di intonaci presenti sul manufatto, per conoscere i materiali originariamente impiegati e le relative coloriture. Ancora oggi nelle stanze della villa è possibile vedere le fasi della campagna stratigrafica, dove sulla base del differente spessore, della consistenza granulometrica e delle diverse coloriture, si sono individuati i diversi strati di intonaco, segnati con numeri crescenti progressivi, dal più antico al più recente. Le coloriture, invece, sono indicate con le lettere minuscole dell’alfabeto precedute dal numero dello strato di intonaco di appartenenza. Il “tassello stratigrafico” ottenuto è di sette livelli e ha permesso ai restauratori di constatare che in origine vi era un colore medesimo per tutte le cinque stanze (Figura 50). Sono state eseguite anche delle analisi dedrocronologiche mediante carotaggi delle travi del sottotetto, un metodo di datazione che si basa sullo studio degli anelli di crescita degli alberi e consente, non solo di stabilire il periodo durante il quale è vissuto un albero, ma anche di precisare l’anno e la stagione in cui è stato abbattuto.216 Le analisi sui campioni di legno raccolti hanno fornito dei risultati interessanti: alcune travi hanno una datazione riferibile alla fine degli anni Sessanta del Cinquecento. Si tratta di un risultato molto prezioso, fondamentale per quanto riguarda la datazione della villa, perché anche l’analisi scientifica ha potuto confermare quanto ipotizzato dagli studiosi dall’esame degli Estimi e quindi legare indissolubilmente la villa a Girolamo Forni217.

216 .

217 Comunicazione verbale del proprietario dottor Ivo Boscardin e della sua collaboratrice dottoressa Francesca Grandi, che ringrazio per le preziose informazioni.

98 Figura 46. Villa Forni Cerato, prospetto meridionale, foto storica metà anni Novanta. Allora la villa era di proprietà della famiglia Grendene.

Figura 47. Villa Forni Cerato, barchessa, foto storica metà anni Novanta.

Fig. n.°10. Villa Forni Cerato, seconda metà XX secolo, vista del Rustico. Foto CISA.

99

7

Figura 48. Villa Forni Cerato, foto durante la sua apertura al pubblico in occasione del secondo workshop.

Figura 49. Modellino del progetto di ristrutturazione di villa Forni Cerato presentato durante il convegno del 2 giugno 2018.

100 Figura 50. Foto di un “tassello stratigrafico" in una stanza di villa Forni Cerato.

101 102 APPENDICE DOCUMENTARIA

Documento n. 1. Testamento di Girolamo Forni.

(Tratto da: G.G. Zorzi, Il nuovo soggiorno di Alessandro Vittoria nel Vicentino, in «Arte veneta», vol. XX, 1966, pp. 166-176, pp. 174-175, doc. 5).

ASVi, Notarile, Francesco Cerato, b.8816, 10 gennaio 1610.

Nel nome del sig. Nostro Giesu Christo e così sia. L’anno della sua natività 1610 l’inditione 8 il giorno di domenica 10 del mese di Gienaro in Vicenza nel loco del castello in la casa dell’habitazione dell’infrascritto sig. Gierolamo Forni q. d’un altro D. Gieronimo cittadino di Vicenza il quale giaceva in detto loco in letto infermo però di buona loquela et memoria et havendomi esso mandato a chiamar come nodaro per fare il suo ultimo testamento mi diede in mano due fogli di carta de sua mano scritti con cancellature et altro et volse ch’io li leggessi e poi letti e considerati ordinò che havesse a scrivere questo presente suo testamento nel modo et forma che qui seguiterà havendo ripigliato li detti fogli e quelli lacerati volendo che questo sia il suo ultimo testamento, cioè Nel nome de Dio padre figliolo et spirito Santo, et del suo Sant.mo lume guidato io Gieronimo Forni q. altro Gieronimo sano della mente se ben del corpo infermo darò ordine alle cose mie ma debo prima vogliermi et riavere al Clementissimo Padre et Signore con ogni veniale affetto di cose et riverenza di spirito ringraziar come facio la infinita misericordia tua che non risguardando ponto alli errori et peccati miei et all’offese fatte alla grandezza e bontà tua ti sei degnato haver pietà di me misero peccatore e compassionare la debolezza mia e protegermi con la santissima gratia tua sino a questa mia senil età e soprattutto debbo racomandar a te quest’anima che tu pura e monda mi concedesti e da me poi imbratata et machiata hai col tuo prezioso sangue e con tanta carità spargesti nella croce lavata e purgata perché possi fruire quell’eterno bene che volesti mercè tua donare a chi fermando tutte le sue speranzenella clemenza tua niente di se stesso fidando in te solo si possa e da te solo dipende.

103 Et venendo alla dispositione il corpo mio quando piacerà a Dio chiamarmi, voglio che sia posto nella mia sepoltura alli Carmeni senz’alcuna pompa ma con quella modestia e temperantia christiana che parerà alli miei Commissari ecc. Lasso per amor de Dio alli poveri prigionieri duc. Dieci per una sol volta. Item voglio che dalli mieii commissarii e in loro elettione siano maritate tre dongielle di buona conditione e fama in loro coscientia con ducati 10 per ognuna di esse per amor de Dio in salute mia. Lassio al ven. Pre fra Gio Batta vicentino mio confessore dell’ordine di San Michele tutte le ragioni et actioni quale posso avere in una sepoltura del q. mes. Vicenzo del Toso mio cugnato e altro che si atrova in San Michele che ne possi dispore come poteva me stesso. Item che sia dato qualche cosa per elemosina a donna Anna da Schio come tre ducati in circa compartiti per una sol volta per suoi bisogni, la qual dona sta ala fontana dell’Angeli. Lasso a Lorenzo Baruffa mio servitor un ducato per una sol volta oltre il suo salario. Lasso a donna Fiore mia serva de casa che in vita sua tanto li sia dato e pagato ogni anno stara quatro de formento e un mastello di vino buono e habbi ad aver una casa de nogara de le mie come ho detto anco a uno delli miei Commissariiet che lei sia tenuta in casa sino alla venuta del Char.mo Ill.mo sig. Conte Lunardo Valmarana uno delli miei commissarii. Lasso per ragion di legato e con ogni altro miglior modo a Oratio de m. Battista fabro da Pieve, et a mes. Zuanne merzaro di Boldrini sta in Thiene miei parenti duc. cento per ognuno d’essi per una sol volta. Lasso ancora a mad. Lucretia Ceratta per una sol volta duc.20 e a Giacomin nepote da Pieve duc. 30ancor lui per una sol volta. Et tutti li suddetti legatisiano pagati con comodità un tanto all’anno come parerà a miei commissarii quali habbiano questa cura et carico come confido per amorevolezza loro faran. Ordino e Prego li miei Commissarii che faccino accomodar nel mio loco e casa di Montechio Precalzin sopra li camini de le due camere con maniera bella e honorata e che stia bene la mia testa e ritratto di stucco nella camera sopra l’horto et quello dell’Ill.mo sig. Cardinal Bembo nella camera dove dormo quale tutte due sono nel mio

104 studio et le quale come fattura del già sig. Alessandro Vittoria mio cordialissimo Amico meritano d’essere conservate e le meti in opera il figliuolo del M. Francesco scultore sta in Pedemuro che so lo farà volentieri per amor mio essendo però soddisfatto della mercede sua. Il resto de le cose de rilievo, dissegni, pitture, quadri miei e del mio studio lasso che secondo il parere de miei Commissarii siano con ogni megior modo venduti e il tratto investito per mettà a beneficio de miei heredi fuori che alcuna cosa che piaccesse alli detti miei Commissarii e in specie al sig. Gio. Batt. Liviera alcuna coseta de rilievo e dissegno come quello che anco ne ha qualche gusto per amorevolezza e mia memoria, come ho detto in ciò a bocca del sig. Francesco Ceratto tutti dui miei commissarii. Et in questo vender e investita sia eseguito quanto meglio parerà convenirsi alli stessi commissarii, li quali voglio e prego siano il molto Ill.re sig. il Conte Lunardo Valmarana mio amorevolissimo signore, il sig. Francesco Ceratto con il sig. Gio. Battista Liviera miei carissimi e de quali mi confido che aceterano tal incarico et che faranno con ogni amore e carittà quanto reputerannoesser giusto e honesto. Voglio che subito seguita la mia morte il tutto sia dalli commissarii inventariato così de mobili de casa de Vicenza come de villa ne sia mosso cosa alcuna senza il loro ordine et in caso che il molto Ill.re sig. Conte Lunardo fosse absente al tempo della mia morte sia aspetata la sua venuta ma però il tutto stia sotto custodia delli dui Commissarii siano anco inventariati li miei crediti denari se ne lasserò et scritti, et voglio che il sig. Francesco Ceratto mio cordialissimo amico habbi lui la cura e il carico del denaro del scoder e pagare che così l’ellego lui e di lui confido per il buon amore ch’è sempre fra noi passato et per l’obblighi e debito qual secco tengo et delle sue fatiche e di queste che farà intendo che sia statisfatto e pagato (omissis). E perché mi atrovo haver nella villa de Montechio Precalcino una possessione con belle buone e honorate fabriche sopra, da me rodata (sic) e redote nell’onorato e bel statto che si atrovano e desidero io somamente e volendo per ogni modo che venghino bene e honoratamente mantenute e atese di tutto punto, ho avuto così anco sempre pensiero di conditionarla perché possi e sia delli infra da me chiamati e essa possessione e le cose e fabriche con li fornimenti suoi che lasserò in quella e per quelle insieme anco con due fitti… Pertanto voglio che siano sottoposte a strettissimo fidecommisso e proibisco affatto ogni alienatione di quella manco in una minima parte ecc. Dunque lasso detta possession e beni alli figlioli de Mes. Zuane Ceratto mio nipote, cioè Iseppo,

105 Gieronimo, e Baldissera et alli figli e discendenti maschi legitimi e naturali e di vero e legitimo matrimonio nati e procreati sustiturndoli uno all’altro sino che vi sarà di tal discendenza, intendo sempre solamente delli maschi legitimi naturali e di legittimo matrimonio nati e procreati… (omissis). … Eredi universali de tutti l’altri miei beni mobili stabili rasoni e attioni d’ogni sorte voglio che siano gli suddetti figliuoli de mes. Zuanne Ceratto mio nipote, cioè Iseppo, Gieronimo e Baldissera e ognuno d’essi egualmente e con eguale portione e parte. Quali ordino vivano da huomeni da bene proibendoli a fatto il gioco de le carte e che obediscano li Commissarii alli quali racomando et le persone et la roba che io li lasso ecc. (omissis). Io Hieronimo Forni afermo il tutto di sopra scritto esser così la mia volontà et aver ordinatto et costituitto quanto di sopra è scritto. Io Francesco Ceratto suddetto pregato del sig. Gieronimo ho scritto quanto è per lui stato detto di sopra scritto et relettopiù d’una volta confirmato con la sua sottoscritione. Io Guanne Pallavicino q. ser. Gio. Francesco pregato dal sig.Gieronimo Forni ho sottoscritto il presente suo testamento et fuori sigillato. Io Baldissera Trissino fiollo del sig. Iseppo Trissino pregato come di sopra ho sotoscritto e sigilato. Io Giombattista Camarela q. D. Marcantonio pregato come di sopra ho sotoscritto et sigilato. Io Ludovico Cartolari q. Iseppo pregato come si sopra ho sotoscritto e sigilato con il mio sigillo della casa Cartolara. Io Anzolo Roman q. D. Matio così pregato come di sopra e sotoscrito e sigillato. Io Giacomo Zancan così pregato ho sottoscritto et sigillato come di sopra.

Die Martis 26 Januarii 1610

Coram Ill.mo D. Antonio Marcelo pro Ser.mo ducali dominio Venetiarum Vincentiae et districtus potestate meritissimo esistente in camera sue solite residentiae.

106 Comparuit D. Olivus de Bonaguriis intervenies in hoc nomine D. Ioannis q. D. Nicolai Cerratti patris et nomine filiorum suorum Iosephi Hieronimi et Baldesaris et dominationi suae Ill.mae exposuit hoc maneex hac vita migrasse Dominum Hieronimum q. alterius D. hieronimi a Farnis suo condito testamento in scriptis exsistente penes Dominum Franciscum Cerattum Not. de eo rogatum. Quod testamentum dictus esponens que supra nomine reverenter instetit aperiri (omissis). Ex libro Decretorum D. Nicolai Bernardo Not. ad Officium Sigilli.

Documento n. 2. Estimo “Balanzon di Thiene” del 1541-1542. (Tratto da: D. Battilotti, I balanzoni dell’estimo vicentino come fonti per le ville palladiane, in «Venezia Cinquecento», IX, 22, 2001, pp. 73-87.)

ASVi, Estimo, b. 30, c. 8r.

Heredi de Hieronimo della Grana cioè Isepo, Hieronimo frateli insieme cum cinque sorele hanno una caseta cum una tezeta cum quindese campi ut circa intra prativi et arativi, computà horto et cortivo in Montechio Precalcin, li quali heredi orfani et pupilli in su questo pocho viveno, ma lui poi barba [zii] li aiuta, cioè Isepo et Zampiero frateli da i Furni”. Postilla finale “Signori habiati li poveri orphani per ricomandati acciocché Idio vi aiuti et mantenga le signorie vostre et ci guardi da male.

Documento n. 3. Estimo “Balanzon di Thiene” ante 1564.

(Tratto da: D. Battilotti, I balanzoni dell’estimo vicentino come fonti per le ville palladiane, in «Venezia Cinquecento», IX, 22, 2001, pp. 73-87.)

ASVi, Estimo, b. 30, c. 90v.

Isepo et Hieronimo della Grana. Una casa, et teza a coppo con columbara, ara, et orto con campi cinque brolivi in contrà della Roza nova, apresso detta casa et via comuna; val ducati 150, si affitta 4 ducati; val li campi ducati 24, si affitta troni 6.10.0.

107 Documento n. 4. Contratto per il trasporto di Alessandro Vittoria e della sua famiglia da Venezia a Vicenza in data 27 settembre 1576. (Tratto da: R. Predelli, Le memorie e le carte di Alessandro Vittoria, Trento, Giovanni Zippel, 1908, pp.57-58.) [c. 28] Adi 27 Settembre 1576. In Vicenza. Si decchiara per il presente scritto come per via d’accordo et convenztione ser Pietro tira occhi navegante e barcarolo vicentino, abita al porto di santa Caterina, si ha obbligato egli in persona con un compagno andare con la sua barca in Venetia per levare di casa propria in detta città l’eccellente mes. Alessandro Vittoria scultore, e con questo la donna et suoi di casa, et condurli nel vicentino, overo al porto di Vicenza secondo le terminazioni della magnifici Rettori et Signori della Sanità et di tenervelo fino alla liberazione di esso Alessandro et suoi. Decchiarando etiandio che il sudetto barcarolo e compagno non deba né possa pigliare alcuno in detta barca, né all’andare né meno nel tornare; et se contrafarà a quanto è detto, egli sia pregiudicato il prezzo d’accordo. Il quale siamo convenuti di dare scudi venticinque d’oro, et troni uno per ogni giorno che egli servirà sino alla liberazione de esso m. Alessandro et suoi et in fede. Io Vincenzo Scamozzi ho fatto la presente promettendo insieme con m. Hieronimo Forni et M. Ottauian Redolfi qualli si sotto scriveranno [carte]. Et io Hieronimo di Forni fui presente quanto di sopra si contiene. Et io Ottaviano Redolfi fui presente a quanto si contiene di sopra e mi obligo a quanto si contiene di sopra andando li barcaioli incarno e pagarli. Item il S.or Jer.mo Forni a fatto al sopra detto Pietro tira occhi troni n.° desdotto e marchetti dodese. [c. 28 t.°]

Item M. Vincenzo Scamozzi ha contato al sudeto Pietro tira occhi sette ducati correnti, li quali a dato a bon conto del sopraschrito accordo, e computà queli del S.or Jeronimo fano ducati n.° dieci, li quali va a bon conto del nostro accordo.

108 APPENDICE FOTOGRAFICA

Illustrazione 1. Girolamo Forni, Ritratto di famiglia con strumenti musicali, seconda metà XVI, olio su tela, 132 × 200 cm, New York, Metropolitan Museum of Art.

Illustrazione 2. Girolamo Forni, Ritratto di giovane uomo, fine XVI - inizio XVII, olio su tela, 107 × 98 cm, Dublino, National Gallery of Ireland.

109 Illustrazione 3. Girolamo Forni, Ritratto femminile, seconda metà XVI, olio su tela, 73.2 × 56.2 cm, Chambéry, Musée des Beaux-Arts.

Illustrazione 4. Girolamo Forni, Ritratto femminile, seconda metà XVI, olio su tela, 22.5 × 14 cm, Bologna, Fondazione Zeri.

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