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Scarica Il Programma Di Sala in Formato Milano Storie Teatro Ventaglio Smeraldo Gino Paoli Live 2009 In occasione dei 50 anni Venerdì 18.IX.09 di carriera ore 21 50° Torino Milano Festival Internazionale della Musica 03_24.IX.2009 Terza edizione SettembreMusica Storie Gino Paoli Live 2009 In occasione dei 50 anni di carriera Accompagnato da Vittorio Riva, batteria Marco Caudai, basso Carlo Fimiani, chitarre Dario Picone, piano e tastiere GnuQuartet Francesca Rapetti, flauto Roberto Izzo, violino Raffaele Rebaudengo, viola Stefano Cabrera, violoncello In collaborazione con Officine Smeraldo “Quelli di Genova che scrivono canzoni e poi le cantano così… esagerano, bastava meno bastava meno, non occorreva stravincere così” Marco Paolini Un poeta civile che cerca, col raziocinio prima, col verso poi, diremmo molto “paolocontiano” - per restare in tema di cantautori - di avvicinarsi alla cruda verità di un misterioso posto, un posto che, per usare le parole di un altro poeta in musica, “si vede solo dal mare”. Sette versi che si avvitano inesorabili su una ineluttabilità così evidente da risultare quasi pacificata, anche se si tratta di faccende che hanno a che fare con quel lancio di dadi che è il desti- no: Genova, città dei cantautori. C’è l’atto dello scrivere, una sorta di sorgiva benedizione per menti curiose ed avide di vita, e poi c’è l’atto del cantare, altrettanto naturale, senza fronzoli e belletti. A rovesciare un’estetica sciagu- rata che aveva consegnato l’atto del cantar “leggero”, per decenni, e dopo una guerra atroce, ad una sorta di bel canto in minore, avariato zucchero melodico e rime baciate. Il più genovese, il più scabro, il più riservato dei cantautori genovesi (fatto salvo lo scatto felino ed imprevedibile dell’esporsi totalmente di chi s’è definito, e a ragione, “matto come un gatto”) per un paradosso che senz’altro gli piace, genovese non è, pur essendo “zeneise” fin nel midollo. Impastato di ritrosia e gentile ferocia, di silenzi e di salsedine e di “scusate il disturbo, io me ne vado”. Gino Paoli è nato a Monfalcone, negli ultimi giorni di settembre del 1934. Da bambino però era a Pegli, lo stesso splendido e decaduto borgo del Ponente genovese dove bazzicava De André. Se andate a sparigliare le carte di que- sto antico signore delle parole e delle melodie che, come dicono nel mondo anglosassone, partono con una sublime semplicità, e poi ti si conficcano in testa come un “hook”, un gancio che potrebbe ricordare quello che usavano i fieri camalli del porto genovese, le cronache vi riporteranno di una giovinezza tumultuosa ed assetata di stimoli, di letture, di esperienze. Di vita, insomma. La vita cercata, immaginata, sognata e consumata con il vorace appetito di chi ha pochi quattrini in tasca, ma un mondo che preme per uscire: e molti maestri di libertà da imparare a conoscere. Tra i francesi, tra gli anglosassoni. È anche il percorso di Tenco, di Lauzi, di Bindi, sarà quello di “Faber” De André, per molti versi. Vita: quella che mancava nelle canzonette con la rima ‘cuore-amore’ obbligata, e che aveva bisogno di un poeta che parlasse di sassi, di gatti, di musica che ha la forma e la sostanza imprendibile di una donna, perché la donna è musica, per Gino Paoli. Provate a pensarci. Ci sono persone che diventano anziani nostalgici e borbot- toni, e persone che restano, nel tempo (contro il tempo?) vecchi ragazzi inquieti. Così ci piace immaginare il vecchio ragazzo settantacinquenne Gino Paoli, lui che può permettersi, sul palco di questa sera, di ripercorrere un mezzo secolo esatto di canzoni che sono, davvero, “storia” di questo Paese. E può farlo con la leggerezza del gatto, atterrando nel volteggio mortale del tempo che è passato con grazia elastica: senza nostalgia, perché Gino Paoli vive di tante schegge di presente, il suo corpus di canzoni, proiettate verso il futuro. C’è sempre un progetto da inseguire, un’idea da precisare, un posto della memoria dove è racchiusa una musica che non è jazz, non è blues, non è “chanson”, ma che di tutto questo porta il profumo, un ingorgo emotivo che attende la sera giusta per diventare canzone, nuda e cruda e pura. Matrimonio molto laico, nozze d’oro di pentagramma accarezzato e soffio di voce, un 2 miagolio amaro e “parlato” che non piaceva a tante persone, e che tante altre persone, invece, hanno imparato ad amare amando un filo tenace e fragilissimo di respiro che sapeva sopportare molti pesi. “Riso raro e parlar chiaro”, dice un proverbio sul carattere dei genovesi, che per legge transitiva, e a maggior ragione, ritroviamo nella “scuola genovese”, e in quell’epitome vivente che ne è Paoli. Poco ridere, molto sorridere con molta autoironia, sempre e comunque la volontà (tradotta in capacità: non si è grandi per nulla) di parlar chiaro. Dell’amore e di tutte le altre sfaccettature del prisma cangiante che è la vita raccontata cantando: “Se tutti sono d’accordo con te vuol dire che sei finito. Nell’ottica surrealista dei baffi alla gioconda ho deciso che se mi attaccano sono ancora valido”, dichiarava qualche anno fa Gino Paoli. Gino Paoli il grafico, Gino Paoli il pittore, il lettore famelico, l’uomo di teatro, il curioso del jazz e di Brassens che prova e riprova a cavar senso e segno con l’amico Tenco, Gino Paoli, addirittura, tentato ristoratore, Gino Paoli politico, in Parlamento: tutto converge da un’altra parte, nei cinquant’anni di preziose emozioni tra- sformate in canzoni. Piace ricordare, qui, due titoli (poi ne rammenteremo un terzo, a chiudere il gioco) dalla lunga discografia di Paoli che sono qualcosa più che una dichiarazione d’intenti: sono l’uomo e la sua poetica messa a nudo, il coraggio di dichiarare una contraddizione, il disvelamento di ciò che si è, a parlar chiaro. Nel ’77 esce Il mio mestiere, nell’86 Cosa farò da grande. Eccolo, Paoli: nella consapevolezza che questo scrivere della vita accarezzandone armonie e disarmonie con le canzoni è un mestiere, un mestiere molto serio. Artigianato del comporre che non prescinde dall’ispirazione, ma ispirazione che ha regole di costanza, di saper fare, di labor limae. Dall’altra parte, l’epifania ribalda di quel Cosa farò da grande: perché chi disvela angoli poetici nascosti con la musica e le parole deve saper conservare lo sguardo stupito, attonito del bambino che registra i fatti, li imprime nella mente, li fa cavalcare con le ali precarie e fortissime del sogno, da lì in poi. Esser “grandi” è perderlo, quello sguardo, e Paoli non l’ha saputo né voluto perdere. Il terzo titolo che ci piace ricordare è quello del suo ultimo disco, asciutta epitome di una “carriera”, di un “mestiere” che stasera risuonerà con la consueta, fragile forza: Storie. Il bambino dai radi capelli bianchi che si interroga sul suo futuro ha sempre avuto la risposta: lui sa raccontare le storie. Lui “è” il cantastorie. È bello ricordare, qui, che accanto agli altri validi accompagnatori sul palco ci sarà anche Gnu Quartet: giovane formazione cameristica (sono attivi dal 2006) che, con understatement, aggiunge al nome un “musica da Genova”. Hanno già collaborato un po’ con tutti i grandi nomi, sono conosciuti e rispet- tati, e anche un po’ imprevedibili. Dai Beatles al jazz alla canzone “leggera”. Da qui il nome dell’animale africano che passa la vita a spostarsi, a caccia di pascoli, inquieto. Ma con Gino Paoli è quasi una storia di famiglia. Anzi, un’altra delle sue “storie”. Guido Festinese* * Giornalista professionista, si occupa di cronaca e critica musicale e di ricerca nel campo delle estetiche musicali dal 1986. È stato per molti anni direttore della rivista World Music Magazine. Collabora stabilmente con Il Manifesto, Modus Vivendi, Musica Jazz, Giornale della Musica. È responsabile dell’ufficio stampa del Museo del Jazz “G. Dagnino” di Genova. Suoi scritti sono apparsi anche su Leggere, Olis, Monografie, Blu Jazz, Jazz, I Meridiani, Jam, La Repubblica, Letture, Chitarre ed altre testate. Ha curato numerose note di copertina per pubblicazioni discografiche di jazz e world music e collaborato con Radiotre. 3 Gino Paoli Tutti lo credono genovese, e in un certo senso lo è, Gino Paoli, il cantautore che ha scritto alcune tra le più belle pagine della musica italiana dell’ultimo secolo. Ma, di fatto, l’autore di Senza fine e di Sapore di sale è nato il 23 set- tembre del 1934 a Monfalcone. Ma è a Genova, dove si è trasferito da bambino, che Gino Paoli - dopo aver fatto il facchino, il grafico pubblicitario e il pittore raggranellando più premi che quattrini - debutta come cantante da balera, per poi formare un band musicale con gli amici Luigi Tenco e Bruno Lauzi. Finché la gloriosa casa Ricordi, che aveva tenuto a battesimo Bellini e Donizetti, Verdi e Puccini, decise di estendere la propria attività alla musica leggera e scritturò questo cantante dalla strana voce miagolante. Nel 1960 realizza La gatta, un pezzo rigorosamente autobiografico: parlava della sof- fitta sul mare dove Gino viveva. Il disco vendette 119 copie, poi scomparve e infine tornò tramutandosi, inaspettatamente, in un successo da 100 mila copie la settimana. Intanto era nata la love story con Ornella Vanoni, cantan- te scoperta da Giorgio Strehler, che convinse il cantautore genovese a scrivere per lei Senza fine, il pezzo che la rese famosa. Quindi Mina, sconsigliata da molti, incise Il cielo in una stanza, con l’esito che tutti sappiamo. Seguono Sassi, Me in tutto il mondo (1961), Anche se (1962), Sapore di sale, Che cosa c’è (1963), Vivere ancora (1964), tutti brani divenuti dei classici e tradotti in molte lingue. Gino Paoli assieme a suoi “quattro amici” dà vita, a Genova, alla canzone d’autore, forma di espressione musicale rivoluzionaria che mira ad esprimere sentimenti e fatti di vita reale con un linguaggio non convenzionale; la can- zone, insomma, cessa di essere puro intrattenimento e abbandona l’oleografia per diventare forma d’arte a tutti gli effetti.
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