Coppie di fatto. I linguaggi Avanguardie UN CHIEN ANDALOU (Francia 1929) Relazioni tra i film della storia del cinema ENTR’ACTE (Francia 1924) BALLET MÉCANIQUE (Francia 1924) Ogni ambito di operazione creativa si distanzia e nel contempo si identifica con qualunque LA VERIFICA INCERTA (Italia 1965) altro. Sappiamo tutti quanto il cinema si differenzi dalla letteratura a causa del diverso mezzo d’espressione che presiede all’uno e all’altra. Ma dovremmo anche sapere che lo sviluppo, le tendenze, le fughe, i miti in progress di una cultura sono gli stessi nell’una e Hollywood nell’altra area. Ad esempio, esiste un’avanguardia (anzi, più d’una) di carattere letterario che, almeno a partire dall’inizio del Novecento, si è posta come fondamento di non poca SANGUE E ARENA (Blood and Sand, Usa 1922) produzione letteraria a venire; ed esiste un’avanguardia cinematografica (anche qui, in re- LE IENE (Reservoir Dogs, Usa 1992) altà, parecchie) che ha tentato di spezzare la linea tradizionale del racconto per immagini. Ovviamente, come si diceva, ambedue lo hanno fatto nei termini, nei modi e negli ambiti di loro competenza: rispettivamente, la parola e l’immagine. La rottura della linearità Compito della critica così come della storia del mezzo espressivo, ma anche dello spettato- L’ANNO SCORSO A MARIENBAD ( Francia/Italia 1961 re colto, informato, culturalmente interessato e vigile, è discernere qual è il minimo comun L’année dernière à Marienbad, ) denominatore delle due, che cosa, cioè, esse hanno in comune indipendentemente dalla GOMORRA (Italia 2008) diversità dei modi d’espressione. Talché, ad esempio, è possibile leggere nel fenomeno stesso del montaggio una sorta di figura della frammentazione per come essa si era venuta formando e imponendo nella pratica letteraria protonovecentesca, sino a svilupparsi in Animazione modi clamorosi con l’avvento del postmodernismo. IL CONCERTO DELLA BANDA (Band Concert, Usa 1935) Certo, parlare di luce in letteratura è infinitamente più arduo, se non impossibile, che farlo in ambito cinematografico (per non dire dell’animazione, che ovviamente in letteratura non TOPOLINO E I FANTASMI (, Usa 1937) esiste). Si tratta infatti di qualcosa che fa parte del mezzo specifico e non di un altro, e PIPPO E WILBUR ( and Wilbur, Usa 1939) dunque non vi è in questo caso spazio per comparazioni e confronti. PAPERINO E L’ALBERO DI NATALE (Toy Tinkers, Usa 1949) Ma comparazioni e confronti possono essere fatti anche all’interno di un singolo ambito PAPERINO E PIPPO NEL DESERTO DEI MIRAGGI (, Usa 1947) operativo. Ad esempio, esiste un concetto di remake (molto controverso) che coinvolge sia letteratura che cinema, e ne esiste un altro (anche più controverso) che appartiene a uno CUCKOOS IN THE NEST (Usa 1950) solo di questi ambiti. PRINCIPI E PRINCIPESSE (Princes et princesses, Francia 1999) Spetta alla critica fare ordine all’interno di un campo così intricato nel quale si intersecano linguaggi e mezzi e forme adeguati a dar loro corpo e senso. E spetta alla critica un ulte- riore compito: quello di rintracciare – appunto attraverso la comparazione – l’evoluzione La luce non solo dello stato dell’arte per quel che riguarda quella particolare area d’operazione, JULES E JIM (Jules et Jim, Francia 1962) ma anche per quel che riguarda il senso che bisogna attribuire a quella evoluzione. In altre parole, il linguaggio non si limita mai a essere un fatto relativo a modi d’espressione, ma è BARRY LYNDON (GB 1975) sempre un fatto culturale, un marker che segna l’evoluzione (o la nascita) di modi diversi di percepire e rendere immaginativamente il mondo. Franco La Polla Lo spazio TEMPI MODERNI (Modern Times, Usa 1936) DOGVILLE (Danimarca/Svezia/Francia/Norvegia/Olanda/Finlandia/Usa/Germania/Giappone/ Coppie di fatto – I linguaggi. Relazioni tra i film della storia del cinema è una rassegna promossa da Fronte del GB/Italia 2003) Pubblico – Comitato Regionale di Coordinamento per le attività cinematografiche in Emilia-Romagna con il sostegno della Regione Emilia-Romagna – Assessorato alla Cultura e con la collaborazione di: Assessorato alla Cultura del Comune di Piacenza, Assessorato alla Cultura del Comune di Rottofreno – Cinema Jolly Due, Solares Fondazione delle Arti di Parma – Cinema Edison d’essai, Ufficio Cinema del Comune di Reggio Influenza o remake? Emilia – Cinema Rosebud, Assessorato alla Cultura del Comune di Modena – Associazione Circuito Cinema – Sala Truffaut, Cineteca del Comune di Bologna – Cinema Lumière, Assessorato Progetto Giovani del Comune FUNNY GAMES (Austria 1997) di Imola – Centro La Palazzina, Assessorato alla Cultura del Comune di Ferrara – Circolo Louise Brooks – Sala FUNNY GAMES (Usa/GB/Francia 2007) Boldini e Cinema Apollo Multisala, Assessorato alla Cultura del Comune di Forlì – Unione Cooperativa Cine- ma Saffi d’essai Multisala, Assessorato alla Cultura del Comune di Cesena – Centro Cinema Città di Cesena – Cinema San Biagio, Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna, U.O. Spettacolo della Provincia di Ravenna, Assessorato alla Cultura del Comune di Alfonsine – Cinema Gulliver, Assessorato alla Cultura del Rivolte Comune di Rimini – Fondazione Federico Fellini e Cineteca di Rimini, Assessorato alla Cultura del Comune di Cattolica – Salone Snaporaz. ROMA CITTÀ APERTA (Italia 1945) I testi sono a cura di: Franco La Polla, Alberto Boschi, Rinaldo Censi, Michele Fadda, Giacomo Manzoli. MORGAN MATTO DA LEGARE (Morgan, a Suitable Case for Treatment, GB 1966) E il film? Un occhio tagliato. Il palmo di Avanguardie una mano coperta di formiche. Un uomo che trascina un pianoforte su cui sono po- UN CHIEN ANDALOU (Francia 1929) sati due asini in putrefazione e due preti, Regia: Luis Buñuel. Soggetto e sceneggiatura: Luis Buñuel e Salvador Dalí. Fotografia: un campanello-shaker. Ecco alcune delle Albert Duverger. Scenografia: Pierre Schildknecht. Montaggio: Luis Buñuel. Interpreti: immagini che scorrono sullo schermo. Pierre Batcheff, Simone Mareuil, Jaime Miravitlles, Luis Buñuel. Produzione: Luis Buñuel. Scorrendo i progetti, i soggetti cinemato- Durata: 16’. grafici scritti dai componenti del gruppo surrealista, è possibile notare questa osses- ENTR’ACTE (Francia 1924) sione: un vero e proprio demone dell’ana- Regia: René Clair. Soggetto: Francis Picabia. Fotografia: Jimmy Berliet. Scenografia: logia. Come avvicinare, fare scontrare le Francis Picabia. Musica: Erik Satie. Interpreti: Jean Borlin, Francis Picabia, Man Ray, immagini? Come rendere al cinema questi Marcel Duchamp, Erik Satie, Georges Auric. Produzione: Rolf de Maré. Durata: 22’. sonni artificiali, questi stati di scrittura au- tomatica? La complessa struttura produtti- BALLET MÉCANIQUE (Francia 1924) va del cinema ha spesso reso impossibile Regia: Fernand Léger e Dudley Murphy. Soggetto e sceneggiatura: Fernand Léger. Interpreti: la realizzazione di questi soggetti. Artisti, Fernand Léger, Dudley Murphy, Katherine Murphy, Katrin Murphy. Durata: 19’. poeti, musicisti e pittori scrivono soggetti, ingaggiano una lotta per liberare l’immagi- La verifica incerta LA VERIFICA INCERTA (Italia 1965) ne dalla narrazione, dal significato: cercano Regia: Alberto Grifi e Gianfranco Baruchello.Durata : 35’. il suo punto più incandescente. È di Fran- ne esalta la dimensione macchinica, fatta cis Picabia l’idea e il soggetto di Entr’acte di dettagli esplosi, di corpi fatti a pezzi. Per (René Clair, 1924). Come ricorda lo stesso Léger, le immagini mobili rappresentano la Prima di girare Un chien andalou (1929), sul ritratto di mia madre”, non aveva ancora René Clair: “Era compito di Picabia che chance sperimentale di introdurre il movi- Luis Buñuel fa in tempo ad insultare Abel incontrato Gala Eluard, ma aveva rifiutato di tanto aveva fatto per la ‘liberazione’ della mento e il tempo nei suoi quadri. Resta un Gance e a farsi licenziare da Jean Epstein, essere giudicato dalla commissione d’esa- parola, di liberare l’immagine. In Entr’ac- omaggio a Charlot, e l’idea di uno schermo di cui era secondo aiuto regista sul set di La me, presso la Residencia de Estudiantes, a te, l’immagine, ‘esentata dal suo dovere di senza profondità, di pura superficie, dove Chute de la maison Usher. Epstein lo avver- Madrid. Giunge a Parigi sprovveduto. Non significare qualcosa’, acquista un’esistenza gli oggetti si muovono, debordano, entrano te: “Attento, sento in lei delle tendenze sur- sa attraversare la strada. Si abituerà presto concreta”. Quel funerale che osserviamo in collisione. realiste. Stia lontano da quella gente”. Es- all’ambiente (Avida Dollars è l’anagramma nel film, quel carro trainato da un dro- Nessuna sceneggiatura, o messa in scena sere all’avanguardia è forse anche questo: coniato per lui da Breton). medario, è perciò l’atto che insegue ogni teatrale. Al limite nessun set. Leggiamo tra il gusto di farsi fischiare (Marinetti), oppu- Ritrovato Dalí, Buñuel recluta l’attore Pierre avanguardista: fare il funerale al significato le note preparatorie del suo Ballet méca- re, di farsi cacciare. In ogni caso, prima di Batcheff, incontrato sul set di un film sca- delle immagini? Una tabula rasa, per farne nique: “Utilizzare scarti di qualunque film sperperare al caffè i denari che la madre gli dente interpretato da Josephine Baker: i due emergere il ritmo, la plasticità, lo scorri- – senza sceglierli – a caso”. Alberto Grifi e ha spedito dalla Spagna, Buñuel riprende realizzano Un chien andalou. Alla prima del mento disorientante dei fotogrammi? Gianfranco Baruchello prenderanno alla let- tra le mani un canovaccio (una collana di film, il gruppo surrealista è schierato al gran Dimensione sperimentale di ogni avanguar- tera questa ipotesi di lavoro. Il loro La verifi- sogni incastonati su carta – quelli suoi e completo. Buñuel si aggira dietro allo scher- dia; nato come termine bellico, implica nel ca incerta data 1964-65. Ecco un film fatto quelli del suo amico Dalí). mo, armeggiando alcuni vinili e un giradischi, suo vocabolario una dimensione di perico- con scarti di pellicola salvata dal macero. All’epoca, Salvador Dalí non era ancora sta- tenendo nelle tasche una buona quantità di lo, di confronto con ciò che è sconosciuto. Trailer, film in formato anamorfico proiet- to cacciato di casa per aver scritto sotto a un pietre, nel caso la situazione dovesse degene- Forzatura di una situazione, operazione di tati senza lente (figure giacomettiane...), suo quadro: “È per puro piacere che sputo rare. Le pietre resteranno al loro posto. guerriglia, pure. Come ricorda Nicole Bre- détournement, sviamento del senso, porte nez (in Cinémas d’Avant-Garde, ed. Cahiers che si aprono e si chiudono su un universo Entr’acte du cinéma, 2006), già alla fine del XVIII franto, disperso, sarcastico, caotico. Non è secolo esce un opuscolo intitolato L’avant- un caso che il film sia dedicato a Marcel Garde, il cui fine è quello di sviluppare i Duchamp e che – originariamente – dopo principi di libertà che devono “affermare la la prima proiezione, dovesse essere fatto rivoluzione”. Nel 1820, il circolo dei San a pezzi e ogni fotogramma distribuito agli Simoniani afferma che l’arte deve essere spettatori. Grazie al cielo, quest’atto sacri- “l’avanguardia della società”. ficale non è avvenuto. E oggi noi possiamo Il soggetto del cinema per le avanguardie vedere uno dei primi esempi di “collage ci- (Dada, Surrealismo in primis) non è dunque nematografico” realizzato con found foota- la storia narrata, ma la “materia” di cui ogni ge, materiale trovato. film è fatto: immagini mobili, le chiama Le immagini circolano, combattono incan- Fernand Léger. Pulsazione dell’immagine. descenti. È un’arte che va al di là dell’umano: pro- Rinaldo Censi prio per questo, Léger in Ballet mécanique produrre degli effetti che – non si sa se e di morale. Eppure, non bisogna farsi in- Hollywood consapevolmente o meno – sfuggono al suo gannare più di tanto. Anche in questa follia controllo. Valentino, come tanto cinema di c’è del metodo: la crudezza dell’orrore si SANGUE E ARENA (Blood and Sand, Usa 1922) Hollywood, è la quintessenza dell’ambigui- fa comunque spettacolo, secondo un prin- Regia: Fred Niblo. Soggetto: da Sangre y arena di Vicente Blasco Ibañez. Sceneggiatura: tà: con lui, ogni segno può essere ribaltato cipio di composizione armonico sino qua- June Mathis. Fotografia: Alvin Wyckoff. Interpreti: Rodolfo Valentino, Lila Lee, Nita Naldi, nel suo opposto, e non a caso l’amore cor- si a rendersi classico (come nella migliore George Field, Walter Long, Rosa Rosanova. Produzione: Jesse L. Lasky per Famous Players- tese può sottintendere l’alone dello stupro, Hollywood), e nel quale è l’esattezza geo- Lasky. Durata: 80’. così come l’eroe virile può essere al tempo metrica del linguaggio a imporsi: nella bel- stesso carnefice e vittima. Il tutto sotto il lezza fine a se stessa dell’incrociarsi delle LE IENE (Reservoir Dogs, Usa 1992) segno di una sessualità insieme maschile pistole, nei dialoghi calibrati quanto in un Regia, soggetto e sceneggiatura: Quentin Tarantino. Fotografia: Andrzej Sekula. Scenografia: e androgina, repressa ma in fondo presen- film di Hawks, nelle linee disegnate dalla David Wasco. Montaggio: Sally Menke. Musica: Karyn Rach. Interpreti: Harvey Keitel, Tim te, una carnalità a ben vedere mai davvero corsa delle pallottole nello spazio. E infat- Roth, Chris Penn, Steve Buscemi, Lawrence Tierney. Produzione: Lawrence Bender per la consumata ma proprio per questo indicati- ti è proprio questo a colpirci: la riduzione Live America – Monte Hellman e Richard N. Galstein. Durata: 102’. va dell’indicibilità di certo cinema: quella di tutto ciò che accade a un’estetica senza di un rito che crediamo innocuo, ma che etica, una violenza grafica che in fondo non forse può essere terribilmente sadico, come fa male, una morte in cui a pensarci bene Dire Hollywood è dire cinema, o per essere il gesto crudele di un matador. non si muore (perché, ci insegnerà poi Pulp più esatti: cinema come nostro patrimo- Settanta anni dopo, di nuovo a Hollywood, Fiction, la vita e la morte in Tarantino sono nio comune, cinema come siamo abituati un nuovo tipo di matador (e di sadismo) sempre un ciclo reversibile, e uno che muo- a intenderlo, ovvero cinema nella compiu- ricompare. In Le iene di Tarantino l’arena re alla fine te lo trovi più serafico che mai a tezza di un linguaggio capace di restituir- è però ormai diventata definitivamente un mangiare in un diner). ci un mondo autonomo, armonico e forse macello, e a darsi in pasto allo spettacolo C’è sempre stato un che di vero e un che migliore del nostro nel sapere risolvere le non sono tori ma solo gli uomini, nella loro di falso ad Hollywood, anche in pellicole contraddizioni più insanabili, grazie a uno insaziabile coazione ad uccidere. Come in quali Sangue e arena. Con Tarantino e Le stile che, nel suo momento più alto, è sta- certo teatro elisabettiano e giacobino, la iene sembra invece che la dimensione arti- to definito non a caso ‘classico’. Si tratta violenza non è più trattenuta, e il sangue ficiale abbia ormai invaso ogni cosa, fino ad però di una versione della settima arte che esplode, magari in una cerimonia che ha annettere in sé la dimensione più autentica è spesso anche oggetto di fraintendimen- il passo di una danza, come nell’asso- del dolore e della carne. Tutto può sem- to. È vero, la potenza del suo immaginario, lo con il rasoio di Mr. Blonde (un grande brare un prodotto preconfezionato, pronto l’equilibrio formale che caratterizza i suoi Michael Madsen), il performer che recide al consumo, come nell’universo disneyano. racconti, sembrerebbero restituirci un uni- l’orecchio di un poliziotto al ritmo del- Ma diversamente da Disney, un senso di di- verso dalle vesti familiari, a volte scontato. la musica. Hollywood evidentemente si è sagio permane, quasi a testimoniare di un Ma è proprio in questo spazio in apparen- trasformata: siamo anche oltre il cinema sintomo da cui non siamo immuni. Che è za pacifico che si insinuano le nostre an- di Sam Peckinpah e la cosiddetta New poi quello che Hollywood ha sempre fatto: sie e ossessioni. Se Hollywood tante volte Hollywood degli anni Sessanta e Settanta, ricordarci lì – in quel suo mondo così po- ci appare come il cinema per eccellenza, il sapore amaro di un cinema che attraver- tente – del nostro possibile destino, qua da è solo perché è stato capace di riflettere so l’ultraviolenza cercava di demistificare il questa parte, nel nostro mondo. sullo schermo non solo i nostri desideri ma mito dell’American Dream. Probabilmente, anche le nostre paure: insieme la parte mi- siamo al di là di ogni principio di decoro Michele Fadda gliore e la parte peggiore di noi stessi, il già Sangue e arena noto con l’altra faccia, il lato più oscuro del Le iene nostro mondo. sione dei suoi contenuti più estremi. È il Fin dall’inizio della sua leggenda, a pensar- principio della violenza, forse, a esserne ci bene. Proviamo a trasferirci nel 1922, innanzitutto sacrificato, perché è tipico del e prendiamo ad esempio Sangue e arena. cinema americano il riveicolare ogni rito Il film illustra il ‘metodo’ hollywoodiano: violento nella logica di un discorso che ne un mondo – forse esotico, certo non ame- attutisca gli effetti più disturbanti, magari, ricano – viene trasportato e traslato in una come nel film di Fred Niblo, per esprimere dimensione dello spazio-tempo ‘altra’, in una morale maggiormente vicina al senso virtù della quale la Spagna è forse come comune. Il problema, però, è che in que- la abbiamo sempre ‘immaginata’ ma non sto teatro di sangue, ovverosia di amore e certo come dovrebbe essere nella sua realtà morte, tutto ruota intorno alla figura inde- effettiva. Così, il gusto acre della sabbia e finibile di Rodolfo Valentino. Basta dare del sangue, nell’esercizio della tauroma- un’occhiata al volto del divo per accorgersi chia, si addolcisce in un’azione di repres- di quanto il glamour hollywoodiano possa mo alza la cornetta, vediamo allora l’interlo- La rottura della linearità cutore all’altro lato del filo, l’uomo risponde che sta per arrivare, riappende la cornetta, L’ANNO SCORSO A MARIENBAD (L’année dernière à Marienbad, Francia/Italia 1961) si dirige verso la porta, scende le scale, sale Regia: Alain Resnais. Soggetto e sceneggiatura: Alain Robbe-Grillet. Fotografia: Sacha sulla sua vettura, percorre la strada, posteg- Vierny. Scenografia: Jacques Saulnier. Montaggio: Henri Colpi e Jasmine Chasney. Musica: gia l’auto davanti a un portone, sale le scale, Francis Seyrig. Interpreti: Delphine Seyrig, Giorgio Albertazzi, Sacha Pitoëff, Françoise suona il campanello, un domestico gli apre Bertin, Luce Garcia-Ville. Produzione: Pierre Courau e Raymond Froment per Terra-Film, la porta, ecc.” (A. Robbe-Grillet, L’année Sociéte Nouvelle des Films Cormoran, Précitel, Como-Films, Les Films Tamara, Cinetel, dernière a Marienbad - Ciné Roman, ed. Silver Films, Paris, Cineriz, Roma. Durata: 95’. Minuit, 1961). Nel 1959, con A bout de souffle, Jean-Luc GOMORRA (Italia 2008) Godard aveva fatto saltare questa ossessio- Regia: Matteo Garrone. Soggetto: dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano. Sceneggiatura: ne del raccordo lineare. Due anni dopo (ma Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Massimo Gaudioso e Roberto Saviano. già Hiroshima mon amour si muoveva pie- Fotografia: Marco Onorato. Scenografia: Paolo Bonfini. Montaggio: Marco Spoletini. namente in questa direzione), ciò che inte- Interpreti: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio ressa Resnais e Robbe-Grillet è la definizio- Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor. Produzione: Domenico Procacci per Fandango ne di un tempo che non sia meramente nar- in collaborazione con Rai Cinema e Sky. Durata: 135’. rativo, piuttosto ‘mentale’. A cui appunto la linearità faccia difetto, muovendosi avanti e indietro nella memoria. Una memoria che è Quando Alain Robbe-Grillet incrocia Alain cinema classico hollywoodiano porterà al fatta di buchi, vuoti, ripetizioni, errori. Resnais, sembra che il loro incontro fosse massimo splendore. Il cinema diventa qui Nel cinema classico hollywoodiano, un in fondo inevitabile, atteso, destinato. Uno una perfetta macchina di narrazione per travelling – ricordano Luc Moullet e poi degli scrittori di punta del Nouveau Roman immagini. A volte più o meno riuscite. Certo Jean-Luc Godard – schiude una questione e l’autore dei documentari su Goya, sulla è che – a volte – può ancora fare tesoro del di morale. L’anno scorso a Marienbad fa di Bibliothèque Nationale (Toute la mémoi- suo armamentario delle origini, incrociando questo movimento di macchina il sontuoso re du monde), l’autore di Hiroshima mon i modi di rappresentazione. Perturbando la e vertiginoso spazio di un flusso di memoria amour, tratto dalla Duras: di cosa discuto- sua assodata linearità narrativa. in cui una voce off (quella di Giorgio Alber- no durante il loro primo faccia a faccia? Di Torniamo perciò al cinema di papà, che tazzi) ricorda ad un’algida dama (Delphine quanto entrambi non sopportino il cinema lasciava così perplessi Resnais e Robbe- Seyrig) alcuni fatti accaduti in quel luogo, di papà, ben confezionato, ben strutturato, Grillet. La successione degli avvenimenti in un anno prima, oppure millenni prima. Non con una storia costruita e sequenziale, cau- questi film risultava loro troppo banale, ad- sapremo mai la verità. Un luogo, i suoi cor- sale: in poche parole, lineare. dirittura scontata. Si trattava di sceneggia- ridoi, i magnifici lampadari, le statue, le Ci aveva messo un po’ di anni il cinema a ture letterarie, appesantite, in cui si notava pareti stuccate e intarsiate, i tendaggi, le definire un proprio “modo di rappresenta- l’assenza di un serio piano di découpage. scalinate, la stilizzazione del bianco e nero: zione”, come lo chiama Noël Burch. Per Sceneggiature che non erano altro che testi ogni cosa viene assorbita da questi fluidi L’anno scorso a Marienbad Burch, il cinema non ha fatto altro che pas- illustrati, ripetuti da attori (il 99 per cento movimenti di macchina, introducendoci in sare, nel tempo, da una dimensione primi- del cinema italiano contemporaneo). Ricor- uno spazio mentale, in una mise en abyme mobili di una narrazione paratelevisiva. Lo tiva (M.R.P. – “modo di rappresentazione da Robbe-Grillet: “Il telefono squilla, l’uo- temporale, in cui non riusciamo a trovare il fa azzerando la sua linea narrativa, appun- primitivo”) a una dimensione istituzionale nostro posto, come se lo schermo ci man- to, rischiando i campi lunghi, utilizzando il (M.R.I. – “modo di rappresentazione isti- Gomorra tenesse a distanza, invitandoci a risolvere dialetto napoletano, evitando tutto ciò che è tuzionale”). Da una declinazione autarchi- l’enigma scuotendo la nostra passività. medio, di stampo televisivo. Garrone lascia ca delle inquadrature (frontale, brulicante È la distanza che incontriamo nelle imma- buchi nel film, non detti, e riesce clamoro- di figure, centrifuga, bucata, decentrata gini di Gomorra. La narrazione è franta, si- samente a creare un dispositivo di suspen- – ciò che esplicitava la sua connotazione mile a quella di un puzzle ad incastri. Le se (ben lontano dai dettami istituzionali). “primitiva”), cara alle vedute Lumière, alle scene si susseguono orizzontali, il montag- Col passare dei minuti, mentre la guerriglia prime comiche vicine al vaudeville, passia- gio crea brusche ellissi, zone di frizione, incombe, noi spettatori abbiamo il dubbio mo in maniera sempre più sottile ad una raccordi mal suturati. Non ci sono eroi in che ogni inquadratura possa terminare nel dimensione lineare, istituzionale. Stacchi cui immedesimarsi. Nulla ci viene spiegato. sangue, in un regolamento di conti. Come sull’asse, raccordi sullo sguardo, piccoli Le vele di Scampia, riprese in campo lun- se qualcosa dovesse per forza irrompere dal inseguimenti, bilanciamento degli angoli go, somigliano a vecchie piramidi azteche, fuori-campo. Qualcosa di minaccioso, di di ripresa in modo che il montaggio risulti provocando una sorta di cortocircuito nel enigmatico e inevitabile aleggia sul film. invisibile, centratura dello sguardo e con- film. Dove ci troviamo? Gomorra è uno dei Tempo mentale e spazio di una catastrofe seguente immersione dello spettatore in pochi film italiani contemporanei che tenta imminente. una dimensione immaginaria: è ciò che il di riportare il cinema al di fuori delle sabbie Rinaldo Censi Animazione

IL CONCERTO DELLA BANDA (Band Concert, Usa 1935) Regia: Wilfred Jackson. Produzione: . Durata: 9’.

TOPOLINO E I FANTASMI (Lonesome Ghosts, Usa 1937) Regia: Burt Gillett. Produzione: Walt Disney. Durata: 9’.

PIPPO E WILBUR (Goofy and Wilbur, Usa 1939) Regia: . Produzione: Walt Disney. Durata: 8’.

PAPERINO E L’ALBERO DI NATALE (Toy Tinkers, Usa 1949) Regia: Jack Hannah. Soggetto e sceneggiatura: Harry Reeves e Milt Banta. Musica: Paul J. Smith. Produzione: Walt Disney. Durata: 7’. Paperino e Pippo nel deserto dei miraggi

PAPERINO E PIPPO NEL DESERTO DEI MIRAGGI (Crazy with the Heat, Usa 1947) Ghostbusters (1984) di Ivan Reitman, ma i (Princes e princesses, 1999), sei degli otto Regia: Bob Carlson. Produzione: Walt Disney. Durata: 5’. fantasmi burloni con cui devono vedersela cortometraggi realizzati a partire dal 1988 i tre eroi assomigliano anche a quelli della per la serie televisiva Ciné si, nei quali il ci- CUCKOOS IN THE NEST (Usa 1950) serie animata Casper. In Goofy and Wilbur neasta rivisitava gli archetipi del mito e del- Regia: Toni Pagot e Nino Pagot. Durata: 13’. (1939) di Dick Huemer, il primo cortome- la fiaba classica, coniugando una raffinata traggio disneyano con Pippo protagonista, il sensibilità figurativa, una sottile ironia e un PRINCIPI E PRINCIPESSE (Princes et princesses, Francia 1999) personaggio si dedica alla pesca con l’aiuto gusto della contaminazione culturale squi- Regia, soggetto e sceneggiatura: Michel Ocelot. Scenografia: Marcel Ocelot, Benedicte di un grillo di nome Wilbur. Nel natalizio sitamente postmoderno. Tenuti assieme da Galup, Lionel Kerjean, Inni Karine Melby e Richard Mithouard. Montaggio: Dominique Toy Tinkers (1949) di Jack Hannah, Donald un’esile cornice metafilmica e ambientati in Lefever, Michèle Peju e Anita Vilfrid. Musica: Oliver Wallace. Produzione: Cnc, La Fabrique, Duck scatena una furiosa battaglia a base epoche e paesi diversi, dall’Egitto dei farao- Le Studio Canal+, Les Armateurs, Salud Productions, Studio O. Durata: 70’. di armi giocattolo contro i suoi abituali an- ni al Giappone degli haiku e delle stampe di tagonisti Chip and Dale (Cip e Ciop), che Hokusai, dall’Europa medievale e barocca alla fine come al solito avranno la meglio a un fantascientifico e ipertecnologico fu- Giocando, come sempre, sui forti contrasti, sull’arrogante pennuto. Infine Crazy with turo, gli episodi sono accomunati sul piano la prima parte del programma propone una the Heat (1947) di Bob Carlson ci mostra espressivo dall’uso della tecnica delle ‘sil- selezione di cortometraggi prodotti durante Donald e Goofy sperduti nel deserto del Sa- houettes animate’, portata al massimo gra- l’epoca d’oro dello Studio Disney. Passato hara, alle prese con miraggi di ogni sorta. do di raffinatezza e perfezione dalla tedesca alla storia come il primo short con Mickey Nel panorama del lungometraggio animato Lotte Reiniger (1899-1981) nello straordi- Mouse girato in Technicolor, lo straordinario di fine millennio, dominato da una parte nario lungometraggio Le avventure del prin- Band Concert (1935) di Wilfred Jackson of- dai prodotti digitali hollywoodiani della Dre- cipe Ahmed (Die Abenteuer des Prinzen fre un ottimo esempio dell’importanza che amworks e della Pixar, destinati a soppian- Ahmed, 1926) e nelle sue opere successi- assume nei migliori cartoons disneyani la tare i tradizionali cartoon, e dall’altra dalle ve, che prevede l’animazione a passo uno componente sonora, anticipando di diver- opere di maestri nipponici già affermati o di sagome in cartoncino dalle articolazioni si anni l’operazione condotta in Fantasia emergenti quali Hayao Miyazaki, Mamo- snodabili disposte su una lastra di vetro e (1940), dal quale tuttavia si discosta per ru Oshii o Satoshi Kon, il francese Michel riprese in controluce, in modo da ottenere l’approccio più scanzonato e meno de- Principi e principesse Ocelot (1943) è forse l’unico nuovo talento figurine di un nero uniforme del tutto prive ferente nei confronti della musica colta. europeo che si è imposto all’attenzione del- di dettagli interni in risalto su un luminoso Topolino tenta di dirigere l’ouverture del (forse) involontario, continuano imperter- la critica e del pubblico anche non specia- fondo chiaro. Come scrive Pierre Jouvan- Guglielmo Tell di Rossini, ma viene con- riti a eseguire la nota partitura. Lonesome lizzato grazie alla sua capacità di coniugare ceau, “con Principi e principesse, film che tinuamente disturbato dalle intromissio- Ghosts (1937) di Burt Gillett fa parte di un originalità tematica, complessità narrativa, possiede le qualità di un grande classico, ni di Paperino, che intona con un piccolo nutrito gruppo di short interpretati da To- rigore formale e – almeno nel caso di quello Michel Ocelot ha provato che è possibile flauto il motivetto popolare Turkey in the polino, Paperino e Pluto, che vedono il ter- che resta tuttora il suo maggiore successo coniugare tradizione e modernità, anima- Straw. Alla fine, quando l’orchestra (tra i zetto impegnato nelle attività professionali commerciale, Kirikù e la strega Karabà (Ki- zione ambiziosa e mezzi limitati, successo cui membri sono riconoscibili Pippo, Orazio più svariate, con esiti di norma disastrosi: rikou et la sorcière, 1998) – una giusta dose di pubblico e riconoscimenti artistici e pro- e Clarabella) intona il tema del temporale, pompieri, come nel memorabile Mickey’s di appeal popolare. È proprio grazie alla no- fessionali. Cosa che non avveniva dai tem- si scatena un’autentica tromba d’aria che Fire Brigade (1935), pulitori di orologi torietà internazionale ottenuta all’improvvi- pi… del Principe Ahmed” (P. Jouvanceau, mette in fuga il pubblico e trascina con sé (, 1937) o, in questo caso, so grazie a questo suo primo lungometrag- Il cinema di silhouette, Le Mani, Recco in aria e compagni, i quali, “ghost exterminators”. In esso si è voluto gio che Ocelot ha potuto rimontare in un 2004, p. 58). in un crescendo irresistibile di surrealismo vedere un’anticipazione del lungometraggio film di 65 minuti, Principi e principesse Alberto Boschi era la luce. Si sarebbe dovuto anche fare un La luce monumento a questi signori riservati, tecni- ci geniali, che con la luce sanno scrivere, JULES E JIM (Jules et Jim, Francia 1962) conoscendo i segreti di quel misterioso ap- Regia: François Truffaut. Soggetto: dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché. parato ottico che è la macchina da presa Sceneggiatura: François Truffaut e Jean Gruault. Fotografia: Raoul Coutard. Scenografia: e di quella miracolosa e precaria carta per François Truffaut. Montaggio: Claudine Bouché. Musica: Georges Delerue. Interpreti: caméra-stylo che è la pellicola. Jeanne Moreau, Oskar Werner, Henri Serre, Marie Dubois, Vanna Urbino, Boris Bassiak, Non è un dettaglio. Senza la luce magistral- Sabine Haudepine. Produzione: Les Films du Carrosse, SEDIF. Durata: 105’. mente raccolta e organizzata da Coutard, un film come Jules e Jim avrebbe sempli- BARRY LYNDON (GB 1975) cemente raccontato la storia di Henri-Pierre Regia: Stanley Kubrick. Soggetto: dal romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Roché come un melodramma qualsiasi, per M. Thackeray. Sceneggiatura: Stanley Kubrick. Fotografia: John Alcott. Scenografia: quanto impreziosito da una regia brillante e Ken Adam. Montaggio: Tony Lawson. Interpreti: Ryan O’Neal, Marisa Berenson, Patrick da interpreti al di sopra della media. Grazie Magee, Hardy Krüger, Steven Berkoff, Gay Hamilton, Marie Kean. Produzione: Hawk Films, a quella luce che fa risplendere letteral- Peregrine, Warner Bros. Durata: 184’. mente perfino l’infelicità definitiva sul volto Jules e Jim di Jeanne Moreau e dei suoi amanti, que- sto triangolo impossibile – ambientato fra scena con una sconcertante corrispondenza Una delle più grandi ingiustizie della storia di tecnica cinematografica. Raoul Coutard Alsazia e Costa Azzurra – diventa una spe- con la maniera in cui l’avevano concepi- del cinema e di quella teoria dell’autore su è l’uomo che ha insegnato loro praticamen- cie di inno alla leggerezza, all’amore, alla ta e rappresentata coloro che quell’epoca cui essa in gran parte si è basata, è quella te tutto, che ha reso possibili quei piccoli giovinezza. Una specie di racconto morale l’hanno abitata e vissuta. Da qui lo sforzo di aver relegato in una posizione marginale grandi film, quelle loro atmosfere meravi- sull’amicizia e il desiderio, che racconta di di far corrispondere pressoché ogni inqua- i direttori della fotografia. Per fare un esem- gliosamente libere, ariose, vitali, francesi tre persone che pensano – per un attimo – dratura all’iconografia del periodo, quale è pio, nella versione italiana di Wikipedia, fino al midollo ma capaci di comunicare di potersi liberare dal peso della moralità e stata tramandata in particolare dai grandi alla voce Raoul Coutard corrispondono due la sensazione di un rinnovamento profondo restano bruciati dal calore abbagliante del- pittori: Hogarth, Reynolds, Hayez, Chardin, scarne righe, quasi imbarazzanti. Chi scri- nella natura stessa delle immagini filmiche la libertà, senza che vi sia spazio per alcuna Watteau e molti altri. Un’impresa corona- ve ha avuto l’onore di conoscere il signore agli spettatori di tutto il mondo. forma di rimpianto. Un manifesto per un’in- ta da successo grazie al lavoro pazzesco in questione nella cornice di un’Università Perché Raoul Coutard è il direttore della tera generazione, che infatti venne ritenuto dello scenografo Ken Adam, figura ormai americana. Invitato da un docente cinefi- fotografia e l’unico vero filo conduttore che pericoloso – nella sua uscita italiana del mitologica, ma che sarebbe stato vano se lo, Coutard si presentava come un anziano lega insieme Pierrot le fou e Tirate sul pia- 1962 – e vietato ai minori di diciotto anni, Kubrick non avesse dispiegato la sua mo- dandy, riservato e modesto, di fronte ad una nista, La cinese e Jules e Jim, e con questi nonostante Truffaut si affannasse a spiegare struosa ansia di perfezionismo e costretto le scarna platea di studenti perplessi. La cosa un’infinità di altri capolavori che hanno se- che se c’era una matrice ideologica nel rac- industrie Zeiss a progettare appositamente addolora chi ama il cinema, perché tutti gnato la storia del cinema cosiddetto mo- conto, questa era tutta a favore della cop- lenti e obiettivi in grado di restituire la mor- conoscono la Nouvelle Vague e sono in gra- derno (l’amore a vent’anni, appunto). pia. In realtà, nello svolgere il loro sordido bidezza pittorica di immagini riprese con do di associarla a un manipolo di “giovani Quando, una quindicina di anni fa, ci furo- e insopportabile compito, i censori avevano l’illuminazione di candele o lampade a olio turchi” capitanati da François Truffaut e no le celebrazioni per il centenario del cine- capito benissimo la portata rivoluzionaria di (la cui sola idea avrebbe suscitato le ire di Jean-Luc Godard. Quello che quasi nessu- ma, si scoprì con chiarezza che la sola cosa questo film che conserva intatta la sua forza qualsiasi direttore della fotografia tradizio- no sa è che quando allo scadere degli anni che tenesse assieme Reynaud e Marey, Lu- proprio per la freschezza figurativa con cui nale). Perché non bisogna essere Warburg o Cinquanta i due signori hanno deciso di mière e Méliès, Disney e il documentario, riesce a rendere contemporanea la storia di Panofsky per capire che, in pittura, la luce passare alla regia, erano pressoché digiuni le lanterne magiche e la caverna di Platone un’epoca passata (la Grande Guerra: niente è tutto. E, infatti, in questo come in altri di più vetusto e polveroso). film di Kubrick, si può dire che il ruolo di Barry Lyndon E alla stessa Guerra anche Stanley Kubrick John Alcott – sia pure premiato da un Oscar aveva dedicato uno dei suoi capolavori, – sia stato praticamente ancillare, come è Orizzonti di gloria, ma è con Barry Lyndon inevitabile quando a dirigere è un individuo che riesce a scrivere una pagina davvero dotato di intelligenza e talento assoluti. rivoluzionaria del capitolo sui rapporti fra Peraltro, il pubblico degli anni Settanta ac- cinema e storia. Come notava Enzo Ungari colse il film freddamente, forse spaventato all’uscita del film, questa storia tratta da proprio dall’eccesso di splendore figurativo. un bizzarro libro di William Makepeace In realtà, Barry Lyndon è soprattutto un film Thackeray (scrittore ottocentesco che fa la picaresco, di avventure, amori e guerre, un parodia dei romanzi biografici del Settecen- apologo sulla natura bizzarra del destino e to) rappresenta il primo riuscito tentativo di sull’impossibilità, per l’antieroe che dimora fare non un film su un’epoca storica quanto in ciascuno di noi, di cavalcarne le onde. un film sulla storia in quanto tale, calando- si nell’epoca in questione e mettendola in Giacomo Manzoli Non lo fa neppure uno dei registi più provo- Lo spazio catori che abbiano mai calcato i palcosce- nici internazionali, quel Lars von Trier che TEMPI MODERNI (Modern Times, Usa 1936) ha costantemente giocato con le distinzioni Regia, soggetto e sceneggiatura: Charlie Chaplin. Fotografia: Rollie Toteroh e Ira Morgan. concettuali fra cinema e televisione, fiction Scenografia: Charles D. Hall. Montaggio e musica: Charlie Chaplin. Interpreti: Charlie e documentario, ortodossia ed eterodossia, Chaplin, Paulette Goddard, Henry Bergman, Chester Conklin, Stanley Sanford, Hank senso del limite e rivoluzione, generi ed eti- Mann, Louis Natheaux, Allan Garcia. Produzione: United Artists. Durata: 85’. ca. Non sappiamo, fino alla fine diDogville , quale sarà il destino della Grazia in una so- DOGVILLE (Danimarca/Svezia/Francia/Norvegia/Olanda/Finlandia/Usa/Germania/Giappone/ cietà ossessionata dalla relazione fra pro- GB/Italia 2003) duzione e consumo, ovvero dalla ricchezza. Regia, soggetto e sceneggiatura: Lars von Trier. Fotografia: Anthony Dod Mantle. Sappiamo che la provocazione di von Trier, Scenografia: Peter Grant. Montaggio: Molly Marlene Stensgard. Interpreti: Nicole Kidman, Dogville in questo caso, è quella di dire che i poveri Stellan Skarsgård, Siobhan Fallon, Chloë Sevigny, Patricia Clarkson, Jeremy Davies. e i reietti non sono affatto migliori dei ricchi Produzione: Alan Young Pictures, Canal+, Det Danske Filminstitutet, Edith Film Oy, Film i la rende terrificante è proprio l’assenza di baciati dal successo, solo più sfortunati. Il vast, Hachette Première, Isabella Films B.V., J&M Entertainment, Kc Medien Ag, Kushner- spazio, ovvero la sfida alla legge della im- teorema etico che il film mette in scena è Locke Company, Kuzui Enterprises, Liberator productions, Mdp Worldwide, Memfis Film. penetrabilità dei corpi che risolve l’aspetto tale da attivare tutte le dissonanze cognitive Durata: 135’. punitivo della condanna nel far stare trop- di cui sono capaci gli spettatori occidenta- pe persone in un’area troppo piccola, co- li, perché ragioniamo in base a schemi che stringendoli a fare i conti con la reciproca ci dicono che l’aumento del benessere, la Gli architetti lo sanno benissimo. Lo spa- tratta di un vero e proprio saggio sugli spa- aggressività che – lo sa bene qualsiasi eto- sua diffusione, renderà necessariamente gli zio non è solo una cosa vuota dentro alla zi che caratterizzano la società industriale logo – si scatena dalla convivenza forzata uomini migliori (una complessità analoga si quale si può entrare o si possono mettere in quanto forme simboliche dei rapporti di in cattività. Ancora, Chaplin/Charlot si trova trova nello splendido Il vento fa il suo giro delle cose. Lo spazio è un fatto concreto, potere. ad abitare lo spazio aperto e progressista di Giorgio Diritti, un film che – senza dirlo sempre significativo, sempre culturalmente Per prima cosa, la fabbrica. Ciò che colpi- della piazza, del viale aperto, durante una – rientra a pieno titolo nella strada aperta costruito, sempre in grado di suscitare delle sce, nella celebre sequenza dove l’omino coi manifestazione di rivendicazione sindacale dal Dogma di von Trier e allievi). Ma questa sensazioni specifiche in chi vi si trova den- baffi finisce dentro all’ingranaggio e conti- (di cui diventa involontariamente la guida). parabola sul potere corruttore della ricchez- tro o di fronte. nua ad avvitare bulloni anche senza bulloni, Questo spazio diventa però subito il teatro za, sulla cattiveria intrinseca nell’uomo, Michel Foucault, per esempio, ha passato è la sproporzione sconcertante fra l’uomo e di un conflitto, apparentemente ideologico sull’ipocrisia, sulla violenza ricattatoria del- la vita a dimostrare che lo spazio della pri- la macchina. Tuttavia, non solo quest’ul- ma in realtà basato su istanze assai concre- la vittima, non si sarebbe potuta realizzare gione, dell’ospedale o del manicomio non tima esorbita nettamente la dimensione te, fra due masse che tendono a schiacciare se von Trier non avesse avuto l’intuizione erano stati organizzati nel modo in cui ci dell’essere umano, come già in Metropolis: il piccolo uomo che aspira a mantenere una geniale di rinchiuderla nello spazio angu- siamo abituati a conoscerli per ragioni di a differenza del film di Lang, quello del- propria individuale distinzione. Operai da sto – provocatoriamente più brechtiano di semplice funzionalità. Al contrario, per la fabbrica chapliniana non è un ambiente una parte e polizia dall’altra: guerra civile, Brecht – di un teatro di posa, dove le pareti quanto noi li avessimo ormai naturalizzati, asettico e perfettamente organizzato, bensì fatalmente a vantaggio degli uomini in di- sono abolite e la rappresentazione dei luoghi questi spazi erano stati predisposti in quel un luogo sporco e caotico, in cui l’essere visa che hanno avuto la possibilità di pro- e delle cose è sostituita da un significante modo per una ragione culturale, affinché umano rincorre un dispositivo mostruoso gettare il luogo della battaglia (il prefetto che le designa. Sorta di incubo lacaniano comunicassero – in quanto forme simboli- che produce secrezioni, fumi e detriti, odo- Haussmann allargò i boulevard della Parigi che travalica i confini del cinema, Dogville che – l’insieme delle concezioni ideologi- ri e rumori. Un incubo, insomma. Rispetto ottocentesca per impedire che i rivoltosi po- fa piazza pulita di quasi un secolo di te- che di chi le aveva costruite; in merito al al quale persino la prigione assume inizial- tessero dedicarsi alla guerriglia urbana...). orizzazioni sull’organizzazione dello spazio crimine, alla malattia, al disagio mentale mente una valenza quasi bucolica. Ciò che Infine, l’eroe si ritrova a lavorare nel grande cinematografico (da Ejzenstejn a Rohmer) (ovvero all’anormalità) e così via. centro commerciale, luogo del desiderio, e dimostra come sia possibile reinventare Ebbene, una trentina d’anni prima di Fou- Tempi moderni dove le pareti sono fatte per lasciar pene- il cinema come arte irrealistica, e come cault, Charlie Chaplin, apparentemente un trare lo sguardo ma non il corpo (vetrine). l’opzione espressionista conservi a tutt’og- saltimbanco naïf ma in realtà uno dei più La scena più strepitosa e perturbante del gi una sua forza, soprattutto se riportata al grandi artisti e pensatori del Novecento, film è quella in cui Charlot vaga in que- grado zero dei suoi presupposti. Il massimo aveva girato un film in cui si dimostrava – sto spazio fatalmente vuoto, irresistibile e della realtà consiste nel negare l’apparenza con l’efficacia realista tipica del cinema – spettrale, utilizzando i pattini. Il corpo vola, realista del cinema e nell’esplorarne fino in esattamente lo stesso concetto. volteggia, sfida le leggi di gravità, ma ad fondo le potenzialità sul piano della rappre- Tempi moderni, infatti, in superficie è la ogni cerchio concentrico che descrive è sentazione. Lo spazio filmico, in fondo, è storia di un vagabondo che non si conforma sempre più chiaro che si avvicina all’orlo di un buco nero appena rischiarato da simbo- a vivere secondo le leggi correnti e quindi un precipizio, una terrazza senza balaustra. li: l’unica cosa vera sono i corpi e le voci fugge verso una vita più poetica. Ma se si A un soffio dall’abisso: Cadrà? Manterrà degli attori. A sbranarsi fra loro come lupi: ha l’accortezza di guardarlo con un po’ più l’equilibrio? Mai rovinare la suspense allo carne ed ossa. di attenzione, ci si accorge subito che si spettatore. Giacomo Manzoli © Roy Export Company Establishment Influenza o remake?

FUNNY GAMES (Austria 1997) Regia, soggetto e sceneggiatura: Michael Haneke. Fotografia: Jürgen Jürges. Montaggio: Andreas Prochaska. Scenografia: Christoph Kanter. Interpreti: Susanna Lothar, Ulrich Mühe, Arno Frish, Frank Giering, Stefan Clapczynski, Doris Kunstmann. Produzione: Wega Film. Durata: 103’.

FUNNY GAMES (Usa/GB/Francia 2007) Regia, soggetto e sceneggiatura: Michael Haneke. Fotografia: Darius Khondji. Scenografia: Kevin Thompson. Interpreti: Naomi Watts, Michael Pitt, Tim Roth, Brady Corbet, Devon Gearhart, Boyd Gaines. Produzione: Celluloid Dreams, Celluloid Nightmares, Halcyon Pic- tures, Tartan Films, X Filme International, Dreamachine. Durata: 97’.

La questione dell’originalità di un’opera con sé. Anche perché è nello scarto dalla Funny Games d’arte, si sa, è uno dei temi più dibattuti norma che il senso di un film – magari pro- tra le questioni poste in essere dall’estetica. prio quel film che riconosciamo o crediamo tal modo, infatti, il cinema svela se stesso già esiste sulla propria replica, incapace di Almeno da quando, come si accorse Walter da sempre di conoscere – emerge in tutta la e lo spettatore è chiamato in causa, come smarcarsi in una sua indipendenza. Eppure Benjamin, l’evento dell’arte deve fare i con- sua potenza, a volte anche disturbante. corresponsabile di tutto quello che si dà a così non è, perché uno scarto neppure tanto ti con l’affermarsi della riproducibilità tec- Si consideri quindi il caso di Michael Ha- vedere. “È anche a questa innocente com- sottile permane, tale da rendere comunque nica, la possibilità appunto di riprodurre, neke, un cineasta consapevolmente sgra- plicità che la violenza deve la sua presenza il film più recente un ‘rifacimento’, una ri- ripetere uno stesso artefatto estetico attra- devole, davvero non per tutti. Non è che il soffocante nel cinema”, ha detto Haneke. creazione di quello più antico. Tutto si ri- verso la tecnologia. Il cinema – strana for- regista austriaco non stia al gioco del cine- Per il regista, il massimo dell’orrore coin- pete nell’identico, ma in un’ambientazione ma d’arte che esiste solo grazie all’apporto ma: semmai è che, proprio rispettando sino cide con il partecipare del pubblico al ri- americana, sostituendo i volti meno noti de- di una macchina – tutto questo lo sa sin in fondo una certa ritualità, la ripetizione petersi infinito della rappresentazione della gli attori della pellicola austriaca con quelli troppo bene. Nulla nasce dal nulla, e niente appare nelle vesti di un gioco al massacro, violenza nella società dello spettacolo, con più noti dei divi hollywoodiani. Ri-locando esiste una volta per tutte: c’è sempre l’in- fino a rompere l’incantesimo. Ecco ciò che un consumo dell’immagine che nel suo es- Funny Games nel contesto statunitense, fluenza di un modello di riferimento a cui accade in Funny Games: in un villino in sere sempre uguale a se stesso ha finito per senza rinunciare alla ripetizione identica attenersi, e ogni film è incluso in un mecca- mezzo al lago, nella quotidianità sempre anestetizzare la consapevolezza del male in dell’orrore dell’originale, Haneke ha cercato nismo a priori che può riproporre ogni volta uguale di una famiglia borghese per bene, tutti noi. di prevenire quel carattere inautentico che se stesso. Quando poi il cinema si mostra due ragazzi irrompono con modi solo in ap- Ciò detto, resta da chiedersi cosa possa ag- caratterizza molti rifacimenti hollywoodiani nella formula del remake, nella rivisitazio- parenza gentili, per imporre la formula pre- giungere la ripetizione di uno stesso film – di pellicole europee. Ma al di là di questo, ne di una pellicola precedente, questo dato stabilita di un sadico gioco adolescenziale di questo stesso film – in un tardo remake. ha voluto soprattutto salvaguardare l’impat- ci appare con ancora maggiore chiarezza. (essendo il sadismo la quintessenza dell’in- A distanza di dieci anni dal Funny Games to perturbante di una certa serialità della Come in un gioco, in fondo, ci sono delle finita coazione a ripetere), il cui unico fine originale europeo, Haneke ha realizzato crudeltà all’interno di un sistema – quello regole da rispettare, personaggi ed eventi è l’omicidio e l’umiliazione. Il meccanismo Funny Games a Hollywood, con un’opera- del cinema hollywoodiano – che di solito da ripercorrere, e il piacere che ne deriva ripetitivo si svela in questo caso come se- zione di calco (spiazzante in primo luogo cerca di giustificare il mito della violenza, consisterà, oltre che dal riconoscimento rialità criminale, e quello che lascia scon- per chi aveva già visto il film), all’interno occultandone il suo lato più oscuro. dell’identico, da quel margine di differenza certati è la freddezza di un atto, glaciale della quale ripropone con esattezza milli- Di qui l’accusa esplicita al dominio che ogni ripetizione, inevitabilmente, porta come l’ambiente in cui si svolge, nel qua- metrica non solo la sceneggiatura di parten- dell’americanismo nel sistema della comu- le è un’inaccettabile indifferenza verso la za, ma le stesse inquadrature, gli stessi mo- nicazione contemporanea, un partito preso Funny Games morte e il dolore umano a dominare. Solo vimenti di macchina, la medesima colonna che può (non a torto) anche apparire qua- che non si tratta semplicemente di mostra- sonora (volutamente quasi inascoltabile) di lunquistico, banale. Se non fosse che – è re una terribile storia di ordinaria follia. John Zorn. Sembra di trovarsi in un espe- questa la lezione di Haneke – è proprio nel Proprio mentre i protagonisti ribadiscono rimento analogo a quello voluto dal Pierre farsi del nostro più scontato senso comune, la ciclicità del loro gioco crudele, Haneke Menard dell’omonimo racconto di Borges, nelle pratiche più consolidate del produrre ferma il film: come attivando il tastorewind alla follia di quello scrittore immaginario e del vedere le immagini, che può insinuar- su un nastro, la pellicola torna indietro, e che provava a riscrivere parola per parola si l’ultima differenza necessaria, per sfug- poi di nuovo avanti, per farci capire che il Chisciotte di Cervantes. Il ‘nuovo’ Fun- gire in qualche modo alla banalità del male, l’atrocità del ricominciare ogni volta da ny Games, in apparenza identico a quello così caratteristica nel regime dell’identico e capo non attiene tanto alla cattiveria indi- precedente, sembrerebbe quindi imporre dell’indifferenziato che attanaglia la nostra cibile di due ragazzi, quanto al linguaggio la logica dell’influenza nell’atto creativo realtà. stesso dell’audiovisivo contemporaneo. In del cinema, la definitiva vittoria di ciò che Michele Fadda Dino Risi, ad esempio), ma sicuramente più Rivolte edulcorata rispetto alle posizioni di De Sica e Rossellini. Il volto della forma, si diceva. ROMA CITTÀ APERTA (Italia 1945) In fondo è una rivolta non minore dell’altra Regia: Roberto Rossellini. Soggetto: Sergio Amidei e Alberto Consiglio. Sceneggiatura: quella che presiede alla poetica del neore- Sergio Amidei, Federico Fellini e Roberto Rossellini. Fotografia: Ubaldo Arata. Scenografia: alismo, che si oppone (si rivolta) contro la Renzo Megna. Montaggio: Eraldo da Roma. Musica: Renzo Rossellini. Interpreti: Marcello pacificazione imposta sia dal fascismo che Pagliero, Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Herry Feist, Francesco Grandjacquet, Giovanna dal regime democristiano. Rivolta fruttuosa, Galletti. Produzione: F. De Martino per la Excelsa Film. Durata: 100’. se si pensa a quale slancio internazionale essa portò il cinema italiano; un po’ meno MORGAN MATTO DA LEGARE (Morgan, a Suitable Case for Treatment, GB 1966) esaltante se si pensa a quanto il trionfo Regia: Karel Reisz. Soggetto e sceneggiatura: David Mercer. Fotografia: Larry Pizer. mondiale di quella breve stagione abbia poi Scenografia: Philip Harrison. Montaggio: Victor Proctor e Tom Priestley. Musica: John condizionato tutto il nostro cinema a veni- Dankworth. Interpreti: Vanessa Redgrave, David Warner, Robert Stephens, Irene Handl, re, talché ancor oggi ‘neorealismo’ è un pa- Bernard Bresslaw. Produzione: Quintra Films, British Lion. Durata: 97’. rametro sul quale si misurano opere confe- zionate a distanza di sessant’anni (Gomorra compreso). In questo senso il neorealismo è Ecco un argomento di difficile trattazione Storia, dimostrando che la vera rivolta non un po’ come la letteratura Beat: importante a causa del suo stato inflativo. Da Zero in può coniugarsi alle esigenze dei sentimenti, momento di innovazione, destinato però a condotta di Jean Vigo al suo remake di Lin- i quali, quando esplodono, sono forieri di rimanere se stesso, costretto dal suo stes- Roma città aperta dsay Anderson, da I cospiratori di Martin morte certa (la famosa scena del rastrella- so successo a non evolversi e a rimanere Ritt a Braveheart, da Le quattro giornate mento e della morte della Magnani). punto di riferimento diretto e obbligato per anni) contati. In questo senso Morgan è ad- di Napoli di Nanni Loy a Pierrot le fou di Ma la rivolta in questo film ha anche un il futuro. dirittura una pellicola profetica, nella quale Jean-Luc Godard, da Achtung Banditi! di altro volto, il volto della forma. Ma come? Non così per altre ‘nouvelles vagues’, come la rivolta – se di rivolta si tratta – si iden- Carlo Lizzani a, perché no?, Guerre stellari Dopo anni di retorica fascista e di sim- ad esempio il cosiddetto Free Cinema bri- tifica nella vorticosa costruzione sintattica di George Lucas e via dicendo, si tratta di patiche imitazioni della lustra commedia tannico, di cui Morgan matto da legare è e nell’inventività delle trovate divisate dal un tema di larghissima inclusione e forse hollywoodiana, eccoti un cinema che, se- forse un esempio meno rappresentativo di protagonista, le cui energie sono incanala- proprio per questo tra i favoriti della cine- condo la predicazione zavattiniana, scende altri. Qui il discorso sarebbe lungo, ché, te unicamente nel tentativo di riconquista matografia planetaria. nelle strade e si fa con la gente comune e a rigore, quel cinema si identifica in una della ragazza. Certo, è ben vero che que- Come amalgamare, come unificare opere che, più largamente, evidenzia disparità e breve stagione documentaristica più che sto (non)rapporto mostra chiaramente una tanto diverse per ispirazione e talvolta per- piaghe sociali (da Sciuscià a Umberto D.). nei prodotti di fiction che immediatamen- forte componente metaforica, la sudditanza sino per ideologia? Impossibile. E dunque Francamente non vi eravamo abituati, e per te seguirono. Ma comunque mi pare chiaro della classe inferiore a quella superiore. Ma sarà meglio organizzare il discorso secondo questo il nuovo regime insorse censurando che pellicole come Io sono un campione di questo è il massimo di apogeo che si per- un’altra angolazione. con i suoi anatemi quel grande momento di Lindsay Anderson e Sapore di miele di Tony mette una pellicola incentrata su un fon- Roma città aperta, il capolavoro rossellinia- verità. Nell’Italia dove la polizia di Scelba Richardson (o addirittura Billy il bugiardo damentale problema teorico sociale nella no presentato sotto l’egida del neorealismo, soffocava nella violenza il diritto di sciopero di John Schlesinger, che pure al movimento forma di racconto costruito con materiali, è parte della schiera dei film resistenziali e di occupazione delle piazze difficilmente non è mai appartenuto) abbiano anche più ritmi e metodi pop. del nostro immediato dopoguerra. In esso, la verità poteva avere spazio. Chissà forse titoli per figurare rappresentativi di quella Diversi ancora i casi della ribellione france- quindi, la rivolta è rivolta contro l’invasore è anche per questo che il neorealismo si produzione di quanti ne abbia il film di Ka- se e tedesca. L’una primariamente forma- nazista ed è rifiuto dei suoi obiettivi e dei stemperò nella commedia all’italiana, qual- rel Reisz. le (con l’eccezione di Godard che fa della suoi metodi. La componente sociale, certo che volta graffiante, certo (alcune cose di In questo serpeggia una forte vena di assur- forma il veicolo per una teorizzazione poli- presente, vi passa in seconda linea davanti dità (quasi verrebbe da dire di surrealismo) tica), la seconda articolata in direzioni me- a quella politica e il film diventa una ce- Morgan matto da legare che è comunque ben lontana dalla diretta talinguistiche (Fassbinder), didascaliche lebrazione dell’eroismo e del sacrificio di denuncia che animava la cinematografia de- (Herzog, Schloendorff) o di manipolazione coloro che al nazifascismo non si piegaro- gli ‘arrabbiati’. Morgan, intendiamoci, è un culturale (Wenders). no, clero di base compreso. In Roma città bel film, dinamico, effervescente, ironico (e Quasi verrebbe da dire che a partire dal- aperta l’obiettivo segue i suoi piccoli grandi anche molto triste), ma non intende certo la seconda metà del Novecento non è più eroi come del resto aveva già fatto in Paisà, porsi come specchio della realtà proletaria tempo di rivolta, o meglio che da quel mo- ma qui l’aria della rivolta si respira negli o piccolo-borghese cinquantesca inglese. mento la rivolta assume un altro statuto, as- stretti vicoli romani, nelle sue stanzette co- Esso più che di rivolta è un film di denun- sorbita anch’essa come qualsiasi altra cosa, spiratorie, nell’aria costretta di una grande cia del fallimento delle speranze comuniste dalle esigenze di mercato, tema da trattare città ridotta a villaggio, a quartiere, nella e dell’apparente eternità della borghesia secondo modi già previsti e codificati dal si- quotidiana sofferenza inflitta da torturatori britannica in quanto ruling class. Il proleta- stema. Morgan è ormai entrato nella gabbia melliflui e spietati. Le ragioni del persona- riato, ridotto a mimare le animalesche mo- una volta per tutte. le, del privato cozzano contro quelle della venze di un primate, ha ormai i giorni (gli Franco La Polla