RIVISTA DI CULTURA DEL TERRITORIO Dicembre 2012 Anno 4 Numero 4 issn 2036-8283 15 N. 15 Dicembre 2012

Tiere furlane Tiere

Lu

In Co L’autunno carnico trasuda umidità in questa foto che darebbe un senso di oppressione senza la presenza umana in perfetto equilibrio compositivo: stavoli, strada, pali sono quel “sollievo” che inconsciamente ci si aspetta. E la ragione viene a soccorrerci, suggerendoci che sono inseriti nell’ambiente senza danno. All’equilibrio cromatico, altrimenti conquistato dalla scura prepotenza dell’abete rosso (il peç, il bosc neri), partecipano pochi larici e le strisce di prato in pustot con l’erba non falciata, che il gelo ha reso di un marrone quasi arancio. Su di essa i giovani pecci emergono a rammentarci il cambiamento epocale in atto: la resa dell’uomo, dopo secoli, alla selva. Fotografi a di Ulderica Da Pozzo, da Carnia, 2002. 2 • 15

L’identità è economia

Dal 1970 al 2010 la SAU (Superfi - battito su come ha fatto la CEE a è il settore che possiamo ritenere cie agraria utilizzata) nella nostra contenere le produzioni. Ma non è il fi ore all’occhiello dell’economia Regione è passata da circa 310.000 questa la sede: dovreste piuttosto agricola friulana. ettari a 218.000 ettari: l’agricoltu- dirmi a vantaggio di chi è andata La carta della qualità si può gioca- ra ha perso 90.000 ettari. In tale la perdita di tutto quel terreno. A re anche in altri settori. superfi cie si potrebbero produrre vantaggio dei servizi? Le strade Qui, però, vogliamo mettere l’ac- ogni anno 46.000.000 di quintali di principali e le autostrade c’erano cento su un altro punto, troppo mele, o 5.400.000 ettolitri di vino: già nel 2000. La perdita della SAU poco considerato: il terreno agra- bei numeri. Se tali ettari fossero in montagna può essere andata a rio, l’ambiente e il paesaggio sono destinati a foraggere potremmo te- favore dei cespugli, dei cinghiali, “identitari”. Esiste una “identità” nerci 1,8 vacche per ettaro, quindi della lince e dell’orso. E sia. Ma in delle persone: scusate la ripetiti- la bellezza di 162.000 vacche con pianura? È forse andata a favore vità, ma ogni persona ha una sua una produzione complessiva, an- del “commercio”? Commercio de personalità e non si fa un compli- che a essere prudenti, di almeno che? Non si sono certo consumati mento a qualcuno quando si affer- 12 milioni di quintali di latte. tutti quei terreni a favore della ma che “non ha personalità”, men- Sappiamo bene che una parte di commercializzazione dei prodotti tre quando si dice “ha una forte questa terra è stata occupata da friulani. E allora? personalità” si sottende un senso fabbriche che hanno portato oc- I terreni occupati da asfalto e di stima, anche se le forti persona- cupazione e “sviluppo”, per quella cemento non erano una landa im- lità possono essere spigolose e non modernizzazione del Friuli che era produttiva, erano terreni agricoli facili da trattare. rimasto parecchio indietro rispet- costati lacrime e sangue ai nostri Lo stesso vale per i popoli, la cui to ad altre aree del Nord Italia. predecessori, erano un ecosistema identità è fatta dall’ambiente in Ciò che ci preoccupa fortemente, che non potremo più recuperare. cui le nuove generazioni nascono e però, è che questo trend non si è Sui terreni che restano non dob- crescono. Se per andare al lavoro arrestato con l’arrestarsi della in- biamo produrre “di più”: bisogna vedi solo una lunga teoria di fred- dustrializzazione, ma è continuato produrre “meglio”. Ma bisogna di capannoni è una cosa, se vedi imperterrito nel decennio 2000- pur sempre produrre, o vogliamo la corona delle Prealpi è un’altra. 2010, nel quale la SAU è calata lasciare ciò che resta delle nostre Se per interagire con gli altri parli di 20.000 ettari, e sarebbero pur campagne ai capannoni vuoti? Un una lingua che non è quella di sempre 10.000.000 di quintali di esempio di come ciò sia fattibile: tua madre vuol dire che hai perso mele (all’anno) o 1.200.000 ettoli- i Friulani passavano e, a torto, una parte fondamentale della tua tri di buon vino o 36.000 vacche e passano ancora per essere grandi personalità / identità (qualcuno due milioni settecentomila quinta- bevitori (sorvoliamo sulle stupidi- mi dimostri il contrario). Quindi li di latte, magari da trasformarsi tà di un noto non-comico). In re- aggiungiamo un tassello: terreno in duecentosettantamila quintali altà il consumo di vino annuo pro agrario (blood, sweat and tears), di formaggio. capite è passato dai 140 litri degli ambiente (la Natura vuole la sua Dati teorici, direte voi. Certo, e anni Sessanta-Settanta agli attuali parte), paesaggio (il bello fa bene: mi direte anche che il problema 40. Ciò avrebbe dovuto mettere dimostratemi il contrario) e cul- ora è produrre meno derrate in ginocchio la nostra viticoltura. tura: quest’ultima si concretizza alimentari, non produrne di più. Tutt’altro: grazie alla scelta vin- nella lingua ed è veicolata dalla E su ciò potremmo aprire un di- cente della qualità la viticoltura medesima. 15 • 3

Chiudiamo con un aspetto eco- timana, se ce ne fosse uno) sono Se mettete tutto in conto forse no. nomico sul quale anche l’Ente l’annichilimento della personalità, Anzi sicuramente no. Il futuro del pubblico ha fatto qualche errore di di quella individuale e di quella di Friuli? I piccoli centri, sempre che prospettiva: il turismo. Il Friuli, fi n un popolo. Sono come le catene mantengano la loro personalità che dura, è ancora bello: anche se del fast-junk-food: dappertutto geografi ca, sociale e “centrale” ri- non abbiamo Cortina e tutta l’arte uguali, a Bombay come a Surisins spetto alle campagne dei dintorni di Venezia, abbiamo pur sempre di Sopra. E sono solo la bruttissi- (il vecchio “contado”): non riesco tanti tesori diffusi sul territorio. Il ma copia di una vecchia invenzio- a capire dove fi nisca Pordenone territorio, appunto. Chi volete che ne nostrana che, per fortuna, tiene e dove cominci Cordenòns: spero torni a Gemona, Spilimbergo, San ancora: i piccoli centri urbani. che il Friuli non diventi un anoni- Daniele, Cividale se gli sbattete A Spilimbergo, a Cividale, a San mo suburbio di una metropoli che davanti al muso soltanto degrado? Daniele, ma anche a e non esiste. Non avremmo più nulla Vogliamo un turismo di un certo persino a Surisins di Sotto potete da vendere, nulla da offrire al tipo, diciamo di gente istruita trovare tutto, dalle scarpe al for- turista (che non ci sarà più), nes- (l’Europa ne è piena), che sappia maggio, dal maglioncino ai tipici suna risorsa (terreno, ambiente e apprezzare arte (non abbiamo la prodottti locali (noterete che non paesaggio sono risorse, o no?) e Città del Tiepolo?), cibo e vino, sono gli stessi). In un ambiente di città che campano sul terziario e che non sappia che farsene dei gradevole, respirando la storia (e parassitario ne abbiamo già abba- “parchi commerciali”, eufemismo la fede, se ne avete una: chiese e stanza. idiota, ed errore che pagheremo chiesette non mancano), con spo- caro. stamenti minimi e con un approc- L’assessore regionale alle Risorse I centri commerciali (li aprirebbe- cio diverso ai prodotti, che sono rurali, agroalimentari e forestali ro anche l’ottavo giorno della set- sempre di qualità. Costa di più? Claudio Violino

Buinis fi estis a ducj

Fotografi a di Stefano Zanini 4 • 15 INDICE

Tiere furlane Un miscliç di passions RIVISTA DI CULTURA DEL TERRITORIO Autorizzazione del Tribunale di 6 n. 14/09 R.P. del 19/06/2009 das monts al mâr Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia Direzione centrale Risorse rurali, La fotografi a di Ulderica Da Pozzo agroalimentari e forestali Dicembre 2012 - anno 4 - numero 4 Gabriella BUCCO [email protected] Direttore responsabile Christian Romanini [email protected] Comitato di redazione Gabriella Bucco, Christian Romanini, Angelo Vianello, Pietro Zandigiacomo Coordinamento editoriale Enos Costantini Hanno collaborato a questo numero - Irma Magda Battistuzzi ([email protected]) - Gabriella Bucco ([email protected]) - Stefano Cosma ([email protected]) - Enos Costantini ([email protected]) - Alba Dal Nin ([email protected]) - Ulderica Da Pozzo ([email protected]) - Luca Giuliani 20 28 - Emma Gustafson - La Cineteca del Friuli [email protected] - Andrea Marmai ([email protected]) - Claudio Mattaloni - Magda Minotti (magda.minotti@infi nito.it) La ditta - Stefano Perini …la settima a ([email protected]) goriziana - Maria Claudia Trevisan ([email protected]) F.lli Abuja pilar orzo - Sergio Zanella Piccola storia dell’ultimo ([email protected]) Ambasciatori - Direzione centrale fi nanze, patrimonio e del vino goriziano mulino sul Natisone programmazione Servizio statistica e affari generali nell’Impero asburgico Uffi cio Regionale di Censimento Andrea MARMAI, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia Magda MINOTTI Referenze fotografi che: Stefano COSMA Quando non diversamente indicato le fotografi e sono dell’autore dell’articolo. Tarcisio Baldassi pag. 112 Enos Costantini pagg. 40, 42, 43, 47, 49, 50, 51, 55, 56, 57, 58, 82, 83, 85, 86, 87, 107 Luca Laureati pagg. 108-111 Claudio Mattaloni pag. 81 Ricerche iconografi che: Gabriella Bucco; Enos Costantini; Biblioteca ERSA “Luigi Chiozza”, . 39 49 Si ringrazia per la collaborazione: Archivio storico Cjase Cocel di nella persona di Elia Tomai; il Presidente della Fondazione CRUP Lionello D’Agostini. Stampa: La Tipografi ca srl, Basaldella di Zeârs e Made in Friûl: Certificato PEFC Questo prodotto vencjârs sportis e è realizzato con materia prima da foreste gestite in ator pal Friûl borsetis di scus maniera sostenibile e da fonti controllate PEFC/18-31-389 L’artigianato del La lavorazione artigianale www.pefc.it vimine in Friuli delle brattee nel Rojale

Chi riproduce, anche parzialmente, i testi Alba DAL NIN Maria Claudia TREVISAN contenuti in questo fascicolo è tenuto a citare la fonte. 15 • 5 59 71

Casere del Canale d’Incarojo Il veterinario La cjadene e la buine man: Giovan Battista (Tite) Gaspardis vita e struttura abitativa Un lungo impegno per l’allevamento in Friuli della malga carnica Stefano PERINI Sergio ZANELLA 81 90

Surnames Gli ultimi, in Friuli: genesi e storia an Introduction del primo fi lm friulano Enos COSTANTINI Luca GIULIANI 104 106 108

Il Palazzo d’oro di via Manin Simpri mancul a Udine San Danêl contadins Il restauro realizzato sul Nadison Il VI Censiment dalla Fondazione CRUP Claudio MATTALONI de agriculture Gabriella BUCCO 6 • 15 15 • 7

Quando l’estetica sposa la razionalità. Zahre / , 2003. 8 • 15

Gabriella BUCCO Un miscliç di passions das monts al mâr

La fotografi a di Ulderica Da Pozzo

I lettori di Tiere furlane hanno stalla, un luogo magico dove si andare in giro e a non avuto modo più volte di ammirare mescolavano l’odore della mi- c’era tanto lavoro, così utilizzavo le copertine tratte dalle immagini nestra e degli acidi; da bambina i tempi liberi per fare le foto, che di Ulderica Da Pozzo, una delle stavo lì a guardare lo sviluppo sono poi entrate nel mio archivio. più conosciute e apprezzate foto- delle foto. Quando è morto, mia Ho iniziato subito a lavorare sul grafe friulane. In questo numero zia ha tenuto in suo ricordo una territorio e ho cominciato dal mio, la rivista ospita i contenuti di sola macchina, che mi ha regala- che era la montagna; ho documen- un’intervista in cui spiega la sua to quando avevo 18 anni perchè tato prima i miei luoghi: i panora- attività artistica. aveva visto la mia passione per la mi, gli scorci dei paesi, la gente.» INata a Ravascletto nel 1957, è fotografi a. Così fi nalmente posse- Tra i suoi riferimenti cita la sta- fotografa professionista da più di devo una macchina professionale, tunitense Diane Arbus, ma vola una trentina d’anni. L’amore per una Rolleifl ex bifocale, e da lì ho libera nello spazio e nel tempo. la montagna è dunque in lei inna- iniziato a fare i corsi: a Venezia «Non mi interessa documentare to, fi n da quando era una ragazzi- con Oliviero Toscani, poi a Milano solo le bellezze della natura, mi na con una sensibilità da esprime- con Franco Fontana e a “Spilim- piace tutto quanto c’è nel bello, re proprio attraverso la macchina bergo fotografi a” con Ferdinando nel brutto, nel surreale. Fotografo fotografi ca: i suoi esordi si devono Scianna e Gabriele Basilico. La cambiamenti e criticità della mia alla mitica Kodak instamatic, una passione era tanta - e anche l’oc- terra, mi sforzo di documentarla “macchinetta” a fuoco fi sso, sem- chio verrebbe da dire - e ho deciso in tutte le sfaccettature». plice a pratica, che non tradiva di licenziarmi dal mio posto fi sso mai. nella Cooperativa Carnica per fare Le sfaccettature del Friuli: «Avevo però la fortuna di avere la fotografa. Ritraevo i turisti sullo dalla montagna al mare uno zio fotografo, Come- Zoncolan, e ho subito intuito che Pur essendo legata alla Carnia, dò: ricordo la sua camera oscura potevo vivere con la fotografi a. Ulderica possiede lo spirito curio- che era messa tra la cucina e la Io sono una vagabonda cui piace so dei cramârs che viaggiavano 15 • 9

in Germania, non si è mai chiusa nel suo contesto montano e da subito ha iniziato a lavorare an- che su altri argomenti che l’anno portata a documentare il mare e il mondo dei pescatori, le acque dei fi umi, mentre adesso ha in prepa- razione un libro sugli agricoltori della pianura. Osserva divertita che «se dalle montagne si vede il mare, è anche vero che dal mare si vedono le montagne e forse meglio!» Come una fotografa di montagna si dedichi a fotografare mare e costa è lo stessa Ulderica a spiegarlo «pescatori e malgari vivono sulla riga del confi ne e vanno oltre, con la barca entra- no nel mare, e il mare è come la montagna, e il confi ne è il cielo». Quando si è sposata con l’udinese Attilio Rovere è scesa nel capo- luogo, dove vive in una perenne altalena tra la pianura e i monti. «Ci siamo conosciuti in montagna e nel 1994 abbiamo fatto insieme In questa taviele, dove il nevischio, quasi una zulugne, aderisce alle superfi ci a il primo libro, una guida escur- prato, i campetti (sorc, cartufules, fasôi) seguono sapientemente, e vorremmo dire sionistica della Carnia». Anche in amorevolmente, le curve di livello: una miniatura di ciò che gli Americani chiamano strip cropping, tecnica che hanno dovuto adottare per contrastare l’erosione del questo caso le coincidenze della suolo. In Carnia, nel loro piccolo, la conoscevano già, qualche millennio prima; vita sono stupefacenti, poiché il Çurçuvint / , 1985. Da Carnia, 2002. marito non solo è cartografo e guida alpina, ma è anche nipote ni delle mie foto, tantissime e tut- fi e, che sono anche delle indagini di Attilio Brisighelli, uno dei più to questo documenta e racconta». etnografi che in cui l’immagine si noti fotografi friulani del primo accompagna alla intervista e al Novecento, attento testimone, La fotografi a come indagine libro cartaceo si affi anca, talora, come Pignat, del paesaggio e del- sul territorio anche il DVD, creando delle docu- le opere d’arte regionali. Eppure, Il modo di fotografare di Ulderica mentazioni preziose e complete. osserva Ulderica, «Pignat e Bri- da Pozzo è del tutto particolare; Ogni libro rimanda al seguente e sighelli sono stati poco onorati, ci sono, è ovvio, le fotografi e di «la successione dei libri è la suc- non ci sono strade o edifi ci loro lavoro per riviste e enti prestigiosi cessione dei lavori» in cui Ulderi- intitolati, la loro visibilità è affi da- come Il Touring Club Italiano, ma ca concretizza l’idea iniziale. Cura ta solo alle fotografi e. Se tu pensi la metodologia preferita è quella sia le fotografi e sia le interviste al mestiere del fotografo per certi di scegliere alcune tematiche e ai protagonisti con un impegno versi è poco riconosciuto e poco svilupparle nel corso di anni. Si lungo di anni, alternando paesag- valutato. Questi armadi sono pie- formano così dei libri di fotogra- gi geografi ci a quelli culturali e 10 • 15

interviste video, preziose testi- monianze di vita; bisognerebbe metterle in digitale poiché sono un vero patrimonio orale, poiché, con la loro faccia e la loro voce, i vecchi sono gli ultimi testimoni di un mondo scomparso. I rac- conti che mi hanno più colpito sono quelli de lis feminis e mi ha colpito il fatto che le donne mi raccontavano tutte che i papà erano più affettuosi delle mamme e le trattavano con gesti affettuo- si, un atteggiamento che non mi sarei mai aspettata». Nelle indagini di Ulderica le une rimandano alle altre: così dal lavoro sui vecchi sono nati, in collaborazione con l’antropologo Gian Paolo Gri, altre due libri Noi giriam per questo contorno… :il fi lo dei riti e i bambini di montagna (2007) e Fuochi: gioventù e rituali in Alta Car- nia: val Degano, Val Pesarina e Valcalda (2010), sempre editi Odino Di Piazza, cu la sela e la siela da molgi. Da Malghe e malgari, 2005. da Forum. Ulderica spiega così il passaggio «dato che i vecchi antropologici. I libri sono stati fatti Dai grandi vecchi ai bambini mi raccontavano tanti episodi di sempre con fatica: dopo la scelta Nelle fotografi e di Ulderica da quando erano bambini, ho pen- dell’argomento inizia la ricerca Pozzo i paesaggi si alternano ai sato di indagare il rapporto dei dei fi nanziamenti e «intanto vado ritratti, che sono il soggetto del giovani e dei fanciulli con il terri- in giro, mi diverto e scatto le mie suo primo libro Il fum e l’âga: torio carnico, che poi ho allargato fotografi e in piena libertà». volti e parole della memoria, a tutta la montagna. Sono partita Le fotografi e, impeccabili dal pun- edito nel 1998, e subito ristampa- dalle relazioni con la scuola e to di vista formale, hanno il pregio to nel 1999. I volti dei vecchi, in con le distanze da coprire con lo di indagare i complessi rapporti un rigoroso bianco e nero, sono scuolabus. Una parte di interviste tra vecchio e nuovo. Ampie visioni affi ancati alle interviste, sempre sono rimaste inutilizzate perché grandangolari si alternano a parti- curate da Ulderica, e l’intera ri- nel libro ci siamo concentrati, in colari dalla pregnanza simbolica. cerca è confl uita in una mostra. accordo con Gri, sulle tradizioni Paesaggi naturali, che suggerisco- Ulderica afferma che «questo la- documentando come si sono con- no un silenzio contemplativo del voro sui vecchi mi aveva dato una taminate, quanto è rimasto, che Sublime, si alternano alla cordia- enorme quantità di informazioni cosa diventa folklore e quanto lità dei tipi umani, spesso intenti e la possibilità di scoprire storie rimane invece forte della loro alle loro attività. sconosciute. Ho fatto circa 200 essenza». 15 • 11

Indagini etnografi che per immagini Molto più che raccolte fotografi - che, i volumi diventano indagini etnografi che fi gurate, fi lmate e parlate, tappe importanti nella ricerca antropologica. I fuochi rituali esaminati, strettamente legati a quelli del mondo germa- nico, sono i lanci de las cidulas, rotelle di legno infuocate, e il falò di mezzaquaresima, il brusâ la vecja, una pira simbolo di tutte le negatività da bruciare. È un lavoro collettivo in cui sono stati coinvolti dal 2007 al 2009 gruppi di giovani, con immagini e testi che sono confl uiti sia nel volume sia nel DVD allegato. Le fotografi e di Ulderica Da Pozzo, costituite in gran parte da riprese notturne, descrivono le tradizioni del fuoco a , , , Osais, , Cleulis, Zovello, Ravascletto, Salârs e Pe- smolêt, con scatti ricchi di chiaro- La forza di questa immagine sta nel suo forte effetto evocativo di una civiltà recentemente scomparsa. Dal progetto fotografi co “Memorie delle Valli del scuro e che dal fi gurativo arriva- Natisone”, 2012. no all’astrazione delle faville, con le loro traiettorie luminose. Le fotografi e prendono in conside- un sistema dinamico, stagionale, Come documenta Ulderica, per razione anche gli aspetti moderni fatto di relazioni non solo eco- sopravvivere le tradizioni si sono degli antichi rituali, documentan- nomiche, ma anche culturali. La trasformate, venendo a patti do la coraggiosa battaglia per la bellezza del paesaggio fatto di con lo spopolamento, il crollo sopravvivenza delle comunità di prati, acque e boschi, si combina demografi co, il turismo e il cam- montagna. con i problemi della proprietà, biamento degli stili di vita. I due con le passioni per gli animali, libri testimoniano come i giovani Le malghe e gli alpeggi: un con la conservazione di pratiche di più classi si sono uniti per fare mondo in bilico e mestieri tradizionali. La ricer- numero, permettendo l’ingresso Malghe e malgari (2005) e il ca della fotografa privilegia in anche alle ragazze, nel passato corrispondente DVD Il mondo eguale maniera le interviste, le rigorosamente escluse da tali riti; dall’alto, esaminano l’universo fotografi e, sia dei malgari che dei altre volte sono gli anziani ad dell’alpeggio doppiamente margi- paesaggi, i suoni rappresentati aggregare le nuove generazioni nale, dal punto di vista geografi co dai campanacci, dai muggiti, dai alimentando in forme nuove il e umano. Come scrive Gri, la com- rumori della vita quotidiana. Una senso di appartenenza e i vincoli binazione di marginalità e altezza ricchezza di documentazione, che comunitari. rivela come le malghe formino si dovrebbe concretizzare in una 12 • 15

Casera Val Dolce, . Da Malghe e malgari, 2005. mostra e forse in una nuova ricer- sono rimasti in pochi, un mondo tagonista, l’acqua infatti è rappre- ca negli stessi luoghi. variegato in cui ci sono persone sentata in tutte le sue forme: dai «Bisognerebbe tornare negli stes- di diverse età e con storie diffe- torrenti ai laghi, dalla pioggia alle si luoghi dopo dieci anni - afferma renti. I miei libri non si fanno in cascate, dalla neve al ghiaccio. Il Ulderica - per vedere i cambia- pochi giorni, in questo caso ho libro è l’unico che vede Ulderica menti, chi non c’è più, se malgari fotografato e ho intervistato per 4 autrice anche dei testi, che van- e fedârs hanno mantenuto la stagioni i malgari, sono andata e no dalle descrizioni al ripescare passione e la voglia di stare nono- tornata più volte. Quando decido i suoi ricordi di bimba: «Mi ero stante la burocrazia e i ritardi nel di fare un libro lo devo fare in un rotta la schiena e dovevo stare pagamento degli sfalci». certo modo, io non sono una an- immobile, allora ho scritto stando Le fotografi e delle malghe «con- tropologa, però di fatto mi piace ferma e muovendo il cervello». cretizzano un mondo in bilico, raccontare con le fotografi e. Mi Tra tutte le stagioni, Ulderica come dice Gri, a me piacciono le sento un miscliç di molti fattori». preferisce l’inverno, quando le cose al margine e le malghe sono fotografi e si contaminano con i al margine poiché si pongono nel Il fascino dell’inverno ricordi infantili. «La neve mi pia- luogo più alto e al margine poi- In Carnia (2002) e Le voci ce - afferma -, produce situazioni ché i malgari con la loro cultura dell’Acqua la montagna è la pro- in cui non si riconoscono le imma- 15 • 13

gini. La neve cambia, nasconde, fa apparire di più, è un gioco di forme che diventano altro». Asse- conda la propensione di Ulderica per il surreale, evidenziata da una serie di fotografi e che potremmo intitolare Abbandono o Stanze vuote, mai pubblicate, ma che si notano sulla parete di fondo dello studio e rappresentano «i miei lavori di ricerca». Basti pensare alla massicciata dell’autostrada trasformata dal nevischio in una texture fi ligranata, o i camini in- quadrati dalle linee diagonali, in un gioco di piani astratti. Nelle fotografi e di Ulderica infatti molto spesso gli scatti sono dei particolari realistici, ma combi- nati in modo da annullare i tradi- zionali nessi logici: i contenitori del latte accanto al gatto che fa capolino dalle fi nestre, le stanze della scuola vuote e occupate solo dai buchi del pavimento, lo spo- lert abbandonato sulla soglia, le tele delle forme di formaggio che oscillano, vagamente inquietanti come nelle tele di Magritte.

Dalle cataste di legna… Finestre, porte, cataste di legna sono particolari simbolici spesso ricorrenti nelle fotografi e di Ul- derica, che così le interpreta «La porta è il luogo in cui si entra, la Le rocce, la neve, i pecci, tutto concorre a dare una intensa sensazione di freddo, ma la catasta in primo piano porta la speranza del tepore accanto al fuoco, quando fi nestra è un luogo da cui si guar- il faggio brucia regalando un odore buono. Valbruna, 2009. da e racconta sempre qualcosa. Può essere aperta, chiusa, con o facevano, e fanno, parte del pa- essenze, di sapere quanto calore senza le tende, appartiene a una esaggio dell’autunno, quando in avrebbero emanato bruciando. casa, dà luce e funziona come montagna si sente il rumore della Le tipologie variano a seconda l’occhio: inquadra qualcosa e motosega è segno che tutto è che siano nel bosco o vicino alla mette in relazione con il paesag- pronto per l’inverno». Nel modo casa, quasi da fare intercapedine gio che si stende oltre. Fotografo di accatastare la legna c’era la ai muri. «Una volta - ricorda Ulde- sempre anche le cataste di legna; capacità di distinguere le varie rica - i boschi erano dei giardini. 14 • 15

Tra il paese dei vivi e il paese dei morti gli alberi da frutto in fi ore; Trava, 1989. Da Carnia, 2002.

Quando ero bambina si passava dalle erbe secche cui le donne nel silenzio della neve. «I cimi- e non c’erano rametti per terra, danno fuoco e di cui sembra di teri sono un luogo che mi attira. perché ognuno faceva le sue cata- sentire l’odore acre nel freddo Esprimono il rapporto sentito ste e puliva il terreno». della sera autunnale. tra il morto e il vivo, il cimitero A questo proposito, Ulderica con- è un luogo in cui si raccoglie la fessa che le piacerebbe fare un …ai cimiteri, dove si racconta storia e sono sempre diversi, in libro con gli elementi che raccon- la storia della comunità Carnia come a Vienna o a Firen- tano il bosco. La cosa singolare di Un soggetto insolito, ma amato, ze. Dovunque io vada, fotografo i alcune sue fotografi e e che talora dalla fotografa è quello dei cimi- cimiteri. In montagna il rapporto l’immagine evoca suoni e persino teri, su cui lavora da una trentina con la morte era sentito in modo odori, come i fumi che si alzano d’anni, specialmente se immersi diverso dall’attuale, era un ciclo 15 • 15

Funerale a Monai / Ravascletto, 1985. La bufera di neve con la stravinta ha coperto anche le lapidi sul muro di cinta del cimeteriolo; gli ombrelli, vana protezione dall’umidità sciroccale, listano a lutto il paesaggio. Da Carnia, 2002. naturale e non dava angoscia. Ora fonda amicizia. Quando i numeri tradizioni si reggono sui numeri. però siamo arrivati alla fi ne di della popolazione e del bestiame Se non ci sono i ragazzi succede quel modo di rapportarsi con la crollano è la catastrofe econo- come quest’anno a Ravascletto morte e con la vita, che traspare mica e culturale. In Malghe e quando non sono riusciti a fare la anche dal modo in cui sono curati malgari Ferigo infatti scriveva: vecchia, non per scarsa volontà, i cimiteri carnici dove l’erba, che «alla distruzione dell’allevamen- ma perché se i giovani sono trop- faceva parte di quel luogo, è stata to fa riscontro il mancato sfalcio po pochi è diffi cile continuare le spesso sostituita dalla ghiaia». dei prati, il mancato utilizzo dei tradizioni di una volta. Alla fi ne pascoli, l’invasione del bosco, il vivere in montagna è in tutti i I numeri perduti della degrado del territorio… la perdi- sensi più faticoso è più costoso, montagna ta di tecnologie, abilità e memo- se non altro per le distanze, e ciò Ulderica nella sue fotografi e rie… e accompagna la rarefazio- non viene riconosciuto. Non si è ha documentato i cambiamenti ne degli umani…. Mentre altrove mai tenuto conto del lavoro che del territorio montano e la crisi gli antichi metodi di produzione la gente faceva rimanendo sul dovuta al calare continuo della sono rimpiazzati dai nuovi, in territorio: tenere acque, prati, popolazione, dando ragione al montagna dal nulla». boschi. Un paese può diventare pensiero del grande studioso Sul destino della montagna, turistico solo se è ben tenuto, della Carnia Giorgio Ferigo neppure Ulderica è ottimista: custodito, se le case, i panorami (Comeglians, 1949 - , «Se penso alla mia Carnia, vedo e i sentieri sono belli. L’albergo 2007), con cui Ulderica aveva la montagna in grande affanno, diffuso si fa perché le case sono intrecciato un rapporto di pro- ma i numeri sono i numeri e le vuote, allora va bene recuperare 16 • 15

Alla ricerca della luce Ulderica è una fotografa d’istinto, mossa anche lei dalla passione, vede l’immagine e i particolari e pensa immediatamente allo scat- to, nel formato quadrato che le è particolarmente congeniale. Nelle sue fotografi e la montagna esiste in grazia della sua forza e della sua bellezza, senza graduatorie. Affer- ma convinta che «le Alpi Carniche e Giulie hanno le loro differenze. La Carnia ha una bellezza e una dolcezza che le Alpi Giulie non hanno, ma queste possiedono la potenza e la verticalità delle rocce. Le nostre montagne sono come la nostra regione, piccola, ma con molti elementi diversi al suo inter- no, il mare, la pianura, la collina». Ulderica si sforza dunque di evi- denziare la varietà e le bellezze peculiari, che rappresenta senza uniformare le caratteristiche dei paesaggi. Nelle sue fotografi e fon- damentale è la ricerca della luce. «Bado alle luci e ai segni» in pae- saggi che sono di due tipi: quelli fuori del tempo in cui domina la presenza della natura e gli altri dove prevalgono i segni dell’uomo, in cui raffi gura persone al lavoro, attrezzi, case o elementi che ri- chiamano il lavoro. Le sue fotografi e alternano il colore e il bianco e nero, usato so- prattutto nei ritratti, come quelli che illustrano il libro di Elisabetta Pozzetto Donne di profi lo (2005). La fuga delle foglie del faggio si arrende alla neve bagnata, Sauris, 2012. Questa Ritiene infatti che il colore tolga elegante essenza arborea è una delle più diffuse sulle nostre montagne dove forma atmosfera. spesso boschi omogenei ed estesi. le case vuote, ma bisogna recu- siamo, non si può ridurre la mon- Fissare i gesti della tradizione perare e mantenere la gente sul tagna a un luogo senza abitanti, L’ultimo libro Luci a Nord est luogo. I turisti vengono se noi ci come una riserva indiana». (2011), dedicato alla madre “che 15 • 17

mi ha dato e insegnato ad amare la luce”, raccoglie 185 immagini scattate dal 1985 al 2011, com- mentate in modo pertinente e partecipe da Paolo Rumiz. Costi- tuiscono la sintesi appassionata di venticinque anni di attività professionale e documentano i paesaggi dell’intera regione esal- tata nella sua diversità: lagune, montagne, laghi, pianure, sco- gliere erte sul mare, fi umi, fari. Sembra uno spazio sconfi nato, racchiuso invece in una piccola regione di un milione di abitanti. Ulderica da Pozzo usa poetica- mente i controluce, che eviden- La magia del fuoco: Luisa di Malga Pieltinis, 2012. ziano le sfumature dei tramonti e delle albe sui cieli solcati da nubi. bra talora artifi cio nelle situazio- riverbero della neve nelle chiare La realtà colta da Ulderica sem- ni di luce particolari, esaltate dal sere invernali o nelle drammati- che e inquietanti ombre portate. «Dopo le interviste ai malgari e ai pescatori adesso potrei fare un libro su tutte le tradizioni del Friuli, che ho testimoniato nel corso degli anni. Il gesto della tradizione mi è sempre piaciuto, ancor prima di fare la fotografa, da bambina ero affascinata dalle processioni delle rogazioni. Le ho dunque documentate da quando ho iniziato a fare la fotografa spinta dal piacere di testimonia- re questi riti». Due sono i progetti in prepara- zione di Ulderica: il primo ri- guarda Udine con circa 300 foto su architetture e volti che devo- no documentare la città visibile e quella meno fotografata; il secon- do completa l’indagine della fo- tografa sul territorio regionale e raccoglierà interviste e fotografi e degli agricoltori nell’alta pianura Sella Duron sopra Fusea, 2003. Da Malghe e malgari, 2005. friulana. 18 • 15

Ulderica, il braccio armato dell’antropologia

Doveva essere l’estate del 1981 non sapevo nulla di fotografi a. fosse merito solo del formato quando, trovandomi a Monai per Meglio così; ho preferito non quadrato. Neppure la gente foto- promuovere la coltivazione di fra- sapere nulla di enologia onde ap- grafata mi trasmetteva calore; il gole e lamponi, un conoscente mi prezzare al meglio il vino. freddo che sentivo nelle ossa al portò a vedere una mostra foto- Anni dopo rividi foto di Ulderica, guardare certe cucine pur abita- grafi ca. Pensavo alla solita noiosa la piccola giovane fotografa di te, certe coppie di anziani, lo vivo proposizione di foto di gruppo, di Monai, e mi lasciarono perples- ancora. Non era la tristezza che famiglie, di emigranti, ecc. Mac- so, con quel formato quadrato accompagna, anche leggendo i ché, peggio ancora, era la mostra da solista della Hasselblad. Mi libri di storia, la fi ne di una civiltà; di una giovane fotografa locale. - piaceva la foto di paesaggio e no, era proprio freddo. Come c’è Figurarsi se in Carnia può saltare trovarmi paesaggi quadrati non un calore umano c’è anche un fuori una fotografa - pensai - sarà mi quadrava. Mi beavo davanti freddo umano. Certo, è più faci- una che vuol darsi arie da intellet- a quei perfettissimi paesaggi le, più appagante guardare una tuale in un paese di emigranti e di americani, i canyon, i deserti del fi oritura nel deserto del Mohave, ex fedârs. Il padre della fotografa, West, gli autunni del Vermont. Fi- ma non ti coinvolge in modo così che - mi dissero - era uno che nita l’ubriacatura mi accorsi che drammatico. Quelle foto della voleva passare per un “duro”, si zirile e voltile, sono sempre quelli. puema di Monai ti mettono di sciolse in lacrime. Così come la perfettissima foto fronte al dramma della vita, e qui - Colore locale - pensai. Le foto di paesaggio inglese: son sempre mi vengono in mente degli acco- non mi dispiacquero e, all’epoca, coste di mare e monti della Sco- stamenti letterari che preferisco zia (beh, non hanno altro). Da noi, evitare, ché non voglio dare pez- fuori casa, ci sono mondi splen- ze d’appoggio al noto vittimismo didi da immortalare, e non penso carnico col rischio di condirlo di solo alla forra del Vinadia o alle fatalismo. Insomma chi ci vede torbiere di . Quell’abu- lì solo la Carnia non ha capito sata frase del Nievo è sempre di niente. Se, poi, qualcuno, vuole attualità. vederci il “pittoresco”, che non Ecco, quelle foto quadrate era- c’è mai stato, è proprio un bag- no fredde, anzi no, mi facevano giano. venire freddo, e non è la stessa Una fotografi a, ed una fotografa cosa. Perchè? Perchè la Car- di valore universale? Sì. E non nia è fredda, fredda e umida. E sono facile ai complimenti, meno quando entravo nelle case dei che meno coi Cjargnei. Cjargnei pativo il freddo (loro no, La Ulderica (mi è sempre piaciuto ci sono abituati). Le fotografi e quel bel nome di ascendenza di Ulderica non potevano tra- germanica) la vedevo, ogni tan- smettere calore, trasmettevano to, in occasione di incontri più l’ambiente. Di solito sono i quadri o meno intellettualoidi, ma devo Lo stern singer muove la stella come nelle tradizioni natalizie germaniche; dei pittori più bravi che ti danno dire che non davo peso al suo . Da Carnia, 2002. di queste sensazioni. Non credo lavoro. C’è stato un periodo in 15 • 19

cui pensavo che per scattare una foto bastasse fare click. Mi sono accorto a mie spese che non è proprio così. Scrissi un libercolo sui prodotti dell’agroalimentare cjargnel che, a mia insaputa, venne illustrato dalla Ulderica. Cominciai a trovare del calore, e come avrei non potuto, in quelle polente e çuç. Ulderica, il virgulto di Monai, ne ha fatta di strada. I suoi libri sono corredati da scritti di un insigne antropologo friulano, di giornalisti famosi, di studiosi di varia estra- zione e di svariate competenze. Presso una nota casa editrice trafugai alcuni di questi libri e, La neve inventa barbarici copricapi sulle statue del Monumento ai Caduti di mumble mumble, cominciai a Comeglians: enigmatiche e silenti vivono la dimensione surreale dell'inverno. Da Le meditare sul suo lavoro. Una fo- voci dell'acqua, 2010. tografa? Senza dubbio, e magari analitico, critico, attento ed in- stenziale del Friuli e dei Furlani. anche brava ed appassionata (e telligente. Lui non capiva niente Eppure una Regione così piccola fortunata perchè fa quello che le di fotografi a, lei è stata, ed è tut- potrebbe essere un bijou. Ma piace), ma soprattutto qualcos’al- tora, il suo “braccio armato” sul niente amarezze, voglio chiudere tro. Che cosa? Un’antropologa terreno, fra la gente. con una immagine di Ulderica di campagna, una che lavora Come ogni fotografo, e ogni che qui non proponiamo, forse “sul terreno”, ecco che cos’è. Ne assassino che si rispetti, lei a causa dell’archivio poco car- sono prova anche i fi lmati che ama tornare sui luoghi. I luoghi tesiano. Il lettore potrà andare a gira e, soprattutto, le tante in- cambiano, in Friuli solitamente in vederla nel libro Fra mare e terra terviste, svolte in ogni ambiente, peggio, e le sue foto, anzi i docu- (Forum, 2008) alle pagine non mica solo in Carnia. In parte le ha menti che lei produce, sono lì a numerate 58 e 59. Lì, in quella pubblicate, in gran parte atten- testimoniarlo. foto scattata a Marano, c’è Flavio dono ancora di essere sbobinate: Credo che con le sue immagini, Zulian a vongole con le man, ma, a son pognetas, insonnolite, in ferme o mosse poco importa, e complice il teleobiettivo, il mare quel grande archivio (quante mi- le sue interviste, possa tenere pare un lago prealpino, tanto gliaia di diapositive?), tenuto con lezioni di storia contemporanea sembrano vicine le montagne. criteri non propriamente cartesia- e di geografi a (anche for furlan Nessun’altra immagine, che io ni, che arreda in modo casual le Dummies). Non ha il linguaggio sappia, è mai riuscita a rendere pareti del suo studio. accademico (meglio, così nessu- visivamente, e tanto effi cace- La macchina fotografi ca di Ulde- no si addormenta), ha l’accento mente, le reali dimensioni della rica è stata, e credo sia ancora, cjargnel e se parla in cjargnel è nostra Regione. l’occhio di quel grande intellet- ancora meglio: non c’è modo più Ma viôt mo tu ce che ti cumbina tuale e studioso, scomparso cin- valido per tradurre al pubblico una puema da Monai. que anni fa, che è stato Giorgio l’umanità, e il dramma (perchè Ferigo. Un occhio vigile, curioso, non dirlo?) ambientale ed esi- EC

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Stefano COSMA La ditta goriziana F.lli Abuja Da ambasciatori del vino goriziano nell’Impero a produttori di pelinkovac

Pubblicità in tedesco di Andreas Abuja, 1911.

InIn terrate friulana ci sono diverse assenzio affogate nel vino come Pierre Ordinaire che, stabilitosi in specie di assenzio, tutte apparte- elisir di giovinezza. Ne trattò an- Svizzera dopo la Rivoluzione fran- nenti al genere botanico Artemi- che Pitagora, che lo prescriveva cese, aveva distillato un liquore (a sia. Le più note sono l’Artemisia come bevanda per assistere il tra- 68°) contenente assenzio, anice, is- absinthium e l’Artemisia caeru- vaglio durante il parto, mentre Ip- sopo, melissa e altre erbe comuni. lescens. Entrambe censite da bo- pocrate lo consigliava per reuma- Alexandre Dumas scrisse persino tanici famosi, come il protomedico tismi e anemia. Il del Torre, negli una ricetta di un digestivo a base di Gorizia Pier Andrea Mattioli anni Settanta dell’Ottocento, de- di assenzio. Artisti, scrittori e poeti (1501-1578), o da appassionati di scrivendo il Sinz o Assinz, come ne erano diventati dipendenti, fi no agricoltura, come il farmacista di lo si chiama in friulano, dice che ad assumerne quantità nocive. Romans Giuseppe Ferdinando del «gode riputazione di stomachico e L’assenzio ha una sua storia anche Torre (1815-1894). febbrifugo. Coll’assenzio viene pre- a Gorizia, non legata ad artisti più L’artemisia era già conosciuta parata una bevanda spiritosa, al o meno “maledetti”, ma ad una in- nell’antichità per le sue virtù cu- giorno d’oggi in grande voga nelle traprendente famiglia le cui vicen- rative, così nell’antico Egitto come botteghe da caffè. Ma l’abusarne, de rispecchiano quelle della città, e nell’antica Roma, dove Plinio il il farne uso continuato di questo i suoi travagli, dalla fi ne dell’Otto- Vecchio raccomandava foglie di liquido può tornare molto dannoso cento ai nostri giorni. La vicinanza alla salute». del Collio e del Vipacco, aree ad In effetti era una moda che in alta vocazione enologica, non po- Bozzetto in stile futurista di Rudolf Francia imperversava già dagli ini- tevano però limitare la storia alla Saksida, 1933. zi del secolo XIX, grazie al medico sola Artemisia absinthium. 22 • 15

da tutti i domini asburgici. Fra di essi erano intervenuti, con impor- tanti relazioni sui vini locali, Car- lo Hugues, direttore dell’Istituto enologico di Parenzo (che morì a Gorizia nel 1934) e Giovanni Bolle (si veda Tiere furlane n. 5, 2010), direttore dell’i.r. Istituto speri- mentale di Gorizia. Quest’ultimo in particolare, aveva studiato i vitigni autoctoni, la cui coltivazio- ne andava incentivata, e quelli di origine forestiera più adatti ai ter- reni della Contea. Una realtà va- riegata quella della vitivinicoltura Pubblicità trilingue del 1914. che si presentò agli Abuja: molte zone vocate alla vite, diverse fra A Gorizia nell’Ottocento si intuiscono facilmente i motivi loro per tipologia di terroir – si Nella Gorizia ottocentesca, la che spinsero Andrea Abuja ad direbbe oggi –, dal Carso al Collio, produzione ed il commercio di aprire proprio a Gorizia la sua dit- dalla Valle del Vipacco alla pianu- bevande più o meno alcoliche, o ta. Egli era nato nel 1838 in Ca- ra dell’Isonzo. E soprattutto una di derivati, era elevata. Due, ad rinzia, a Vorderberg, da una fami- moltitudine di coloni e di piccoli esempio, erano le fabbriche di glia che discendeva da un soldato proprietari desiderosi di piazzare birra in città, una di proprietà dell’esercito turco fatto prigionie- le loro piccole quantità di vino, di Perinello e l’altra del de Catterini. ro dopo la vittoria di Kahlenberg mosto o di uva. Il business era Sempre a metà Ottocento c’erano del 1693 e cristianizzato. Così 5 “fabbriche” di vino, 99 fra locan- Andrea, assieme alla moglie The- de, bettole e trattorie e 11 botte- rese Wedam, pure lei carinziana ghe di caffè (dove probabilmente nativa di Wolfsbach, si trasferisce servivano quella bevanda citata a Cormòns. Proprio lì, nella citta- dal del Torre). Non mancavano dina collinare, nascono i due fi gli: le fabbriche di aceto di vino, che Antonio nel 1885 e Andrea Giu- nell’ultimo decennio del secolo seppe (che chiameremo Andrea erano tre: quella di Floreano II) nel 1887. A Gorizia Andrea, Kralj, quella di Giuseppe Goriup con moglie e fi gli, si trasferisce e l’ultima di Andrea Macuz. An- pochi anni dopo, se risale al 1899 che la produzione di grappe e la fondazione della sua ditta in acquaviti era diffusa ed era quasi città, che sarebbe diventata una monopolio delle famiglie ebree: i delle più importanti della Mitte- Morpurgo e i Luzzatti. leuropa nel settore dei vini e dei liquori. Da pochi anni la città ave- Andrea Abuja va ospitato il IV Congresso eno- Con queste premesse e con la logico austriaco, che aveva avuto grande quantità di vino che era come relatori eminenti studiosi prodotto nella Contea di Gorizia, della vitivinicoltura provenienti Andrea II Abuja. 15 • 23

stato individuato! A Gorizia, città di cultura italiana, ma con forti componenti slovene e tedesche, il primo marchio della ditta fu “AND. ABUJA”, dove “And.” stava a signifi care sia Andrea (versione italiana), sia Andreas (in tedesco) che Andrej (in sloveno), in modo da essere adatto per ogni occasio- ne commerciale. Andrea aprì gli uffi ci ed il magazzino nell’attuale via Don Bosco trasferendoli, poi, nell’edifi cio che oggi si trova in via del Santo 10, ma che allora si chiamava via Sant’Antonio ed era al civico 4. In una foto antece- dente la Prima Guerra Mondiale, scattata nel cortile della suddetta casa, sopra il portone interno era scritto “Deposito vini”, a sinistra Zaloga vina, in sloveno, e a de- Il deposito vini della ditta nell'attuale via del Santo, a Gorizia, prima della Grande stra Wein depot in tedesco. Guerra.

I numeri del vino

Con l’ausilio dei preziosi dati contenuti nell’opera dal Cividino e dagli altri vini bianchi del Collio; la L’ambiente geografi co e lo sviluppo economico media del ventennio 1877-1896 fu però di molto nel Goriziano, scritta nel 1933 da Ernesto Massi, inferiore superando lievemente i 68.000 ettolitri; cerchiamo di conoscere lo stato della viticoltura un lento ma continuo aumento la portò alla media fra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni im- di 145.000 ettolitri nel quinquennio 1891-1895, per mediatamente precedenti la Grande Guerra. ricadere sotto i 100.000 del decennio successivo» Nel 1857 la superfi cie a vigneto (esclusi gli arati- a causa della fi llossera e della peronospora. Nel vi vitati) della Contea di Gorizia era di circa 840 1896 il 41% dei vigneti erano infetti dalla fi llosse- ettari, nel 1891 i vigneti avevano raggiunto un’e- ra che risparmiava soltanto il Collio e la pianura. stensione di ben 6.974 ettari, salita a 9.972 nel Seguì poi un periodo di rapido sviluppo che portò 1896, cresciuta ulteriormente a 11.131 due anni ad una media produttiva di 225.000 ettolitri di vino dopo. Nel 1910 si registra però un calo a 10.844 prodotti nel decennio 1903-1912. Volume che si ettari e poi una lieve risalita agli 11.000 ettari nel stabilizzerà nel dopoguerra nonostante la perdita 1913. Per quanto riguarda la produzione vinicola, di una parte del territorio della provincia di Gori- vediamo che prima della comparsa dell’oidio «fi no zia: l’uva da vino destinata alla vinifi cazione (una al 1852 essa superava di poco i 100.000 ettolitri, parte veniva venduta come uva da tavola) forniva rappresentati per oltre metà dal Rabiolo (Ribolla), dai 218.228 ettolitri nel 1929 ai 198.950 nel 1932. 24 • 15

ottobre del 1922. Quella che era iniziata come una fl orida attività passa perciò ai fi gli Antonio e Andrea II e la ditta cambia deno- minazione in “F.lli Abuja” o, per esteso, “Fratelli Abuja” come si legge nella pubblicità dei prodotti aziendali.

Una grande mole di documentazione Ovviamente la Prima Guerra Mondiale e i conseguenti cambi di confi ni avevano privato la ditta del mercato rappresentato dalla Andrea II Abuja al volante della sua autovettura negli anni Venti. cosiddetta Cisletania e l’ambito di vendita si restrinse. Per questo Una lunga opera di inizia un lungo e sanguinoso motivo, già un paio d’anni prima, intermediari confl itto nel quale l’Italia entrerà nel 1920, avevano aperto con A mostrarci l’immenso e interes- l’anno successivo, facendo diven- lungimiranza una fi liale a Graz, santissimo materiale, fra fotogra- tare Gorizia prima linea, con le in Stiria, per gestire lo smercio fi e, etichette e pubblicità, sono conseguenze che possiamo im- dei loro vini e degli altri alcolici Alessandro (Sandro) Abuja e il fi - maginare. Alla fi ne della Grande in Austria. Ma il passaggio della glio Andrea IV, coadiuvati dal gio- Guerra i bombardamenti avevano dogana dall’Italia all’Austria so- vane studioso Giangiacomo Della infl itto enormi ferite alla città, vraccaricava il prezzo del vino Chiesa. Sono loro a raccontarci molte case erano state distrutte rendendolo non competitivo e che, oltre ad essere distributori e chi aveva disponibilità econo- quindi la fi liale, dopo pochi anni, e rappresentanti per vari marchi miche le comprava. Così fecero nel 1925, venne chiusa. Era se- famosi di liquori, amari e distillati gli Abuja, favoriti dai contributi guita dai fratelli Meyer: uno come italiani, nonno e bisnonno acqui- stanziati dal nuovo Stato sovrano: responsabile della fi liale mentre stavano il mosto dai produttori vi- il Regno d’Italia. l’altro si occupava della parte nicoli del vasto Collio e del Carso, Vicino al loro magazzino, in quel- commerciale. Una bella fotografi a, per poi vinifi care nelle loro canti- la che si chiamava piazza Corno datata 19 maggio 1923, ritrae i ne in città, etichettare il vino con – oggi De Amicis – di fronte a fratelli Abuja, i fratelli Meyer ed il loro nome ed esportarlo, non palazzo Attems-Petzenstein (sede altri cinque dipendenti. L’insegna, solo in Europa, ma persino nelle della pinacoteca dei Musei Pro- ben visibile, era “Spezialweine/ Americhe. Per tre lustri avevano vinciali), comprarono una grande Fratelli Abuja/Gorizia/Filiale fatto opera di intermediazione casa che era stata colpita da due Graz”. Comunque sono questi fra tra i produttori di vino locali e i granate, dove i discendenti abita- le due guerre gli anni di maggior mercati di Stiria e Carinzia, con no tuttora. I lavori di restauro e espansione dell’attività. Per ren- punte fi no a Vienna, Praga e Mo- ricostruzione durarono meno di dersene conto basta consultare la naco utilizzando le nuove linee un paio d’anni, se Andrea senior, corrispondenza, i libri contabili, la ferroviarie realizzate dall’Impero, nella fotografi a qui pubblicata, è grandissima quantità di etichette, come la Transalpina. ripreso nel giardino e morirà il di materiale pubblicitario e di fo- Ma nel 1914 l’Austria-Ungheria giorno della marcia su Roma: il 28 tografi e che Sandro (classe 1946) 15 • 25

ed il fi glio Andrea (1977), come dicevamo, conservano e valoriz- zano. Nell’estate e nell’autunno del 2009 hanno realizzato la mostra “Commerci di vini e confi ni. La storia della ditta Fratelli Abuja. 1899 – 1993”. Curata da Gian- giacomo Della Chiesa, è stata allestita negli spazi del castello di Dobrovo (Casteldobra), in quella parte del Collio, oggi in Slovenia e denominata Brda, da cui pro- veniva tanta parte del mosto poi trasformato in vino dagli Abuja. I fratelli Abuja e i fratelli Mayer, con alcuni dipendenti, presso la fi liale di Graz; L’esposizione, con il nome “Il com- maggio del 1923. mercio del vino e le frontiere. La storia della ditta goriziana Fratel- li Abuja”, è stata portata nel 2010 commercializzavano varie acqua- casa a Volzana (oggi entrambe anche nelle sale del Museo civico viti, cognac, rum, “Slivovitz” e in Slovenia), con la pubblicità dei del Territorio a Cormòns. All’i- “Punch”, come pure liquori all’ani- “Vini Abuja” dipinta sulla faccia- nizio dello stesso anno, valutata ce, “Alchermes”, “Ferrochina” e il ta e il piano terra affi ttato alla l’importanza storica della colle- “Pelinkovac”. trattoria e negozio di “A. Zuodar”, zione, la Soprintendenza archivi- Interessanti ed eleganti sono le mentre ai piani superiori c’era- stica del Friuli-Venezia Giulia ha insegne pubblicitarie, così come i no stanze in affi tto. Antonio e vincolato tutto l’archivio della fa- manifesti dell’epoca e i calenda- Andrea II hanno due bellissime miglia. Ci sono, ad esempio, cen- ri. Molti di questi sono stati fatti automobili, visibili in diverse tinaia di etichette: da quelle dei dai più noti artisti dell’epoca: c’è fotografi e di famiglia. In una di vini e dei liquori Abuja, a quelle una pubblicità realizzata da Tone queste, in gita presso qualche liberty proposte all’inizio del No- Kralj e un manifesto creato da santuario, sono assieme a Josip vecento da una ditta tedesca. Fra Rudolf Saksida, entrambi in pieno Zabkar (1914-1984), nipote della i vini sono da segnalare il “Coglia- stile futurista, e un bozzetto per moglie , che diverrà ner” (un bianco del Collio), il “Ca- un’etichetta disegnato da Sergio nunzio apostolico in Finlandia e stellano”, il “Vipacco” (un uvaggio Altieri. I prodotti destinati ai Islanda. bianco dell’omonima valle), il no- mercati esteri, poi, erano caratte- Fra le tante “chicche” conservate strano “Tokai”, il “Friulano” (un rizzati da immagini pubblicitarie c’è una carta vinicola d’Italia, d’e- uvaggio rosso a base di Refosco), chiaramente identifi cabili con poca fascista, in cui sopra il Friuli la “Gargania” o erroneamente l’Italia, come quando compare il c’è stampato “Refosco” e sopra il “Garganega” (oggi Vitovska), il Vesuvio sullo sfondo. Collio goriziano “Ribolla”, il che ci “Terrano” e il “Verdolino”, che si Come dicevamo, gli anni Venti fa capire tante cose sull’evoluzio- ipotizza essere un Verduzzo. Ma e Trenta rappresentano in ogni ne vitivinicola nostrana. producevano anche, per il merca- caso un momento d’oro per gli Antonio e Andrea II muoiono en- to tedesco ed austriaco, un “Al- Abuja che, oltre ai magazzini e trambi negli anni Cinquanta e la camo Dessert Wein”! Fra gli altri uffi ci di Gorizia, possiedono un ditta passa ad Andrea III (fi glio alcolici gli Abuja producevano o deposito a Bisterza e una grande dell’omonimo padre) sposato con 26 • 15

ni documenti, c’è anche un’origi- nale cassaforte di fabbricazione viennese. È là dentro che viene conservata la ricetta di questo amaro tipico delle nostre zone, diffuso soprattutto oltre frontie- ra: in Slovenia si chiama pelin- kovec ed in Croazia pelinkovac. L’assenzio ( pelin in sloveno), negli ultimi anni tornato di moda, è la base di questo ottimo digesti- vo: «liquore a base di “Artemisia Absinthium”, pianta di nota virtù Il deposito degli Abuja in una fotografi a degli anni Venti. amaricante e aperitivo», si legge sull’etichetta: in Italia, il dispositi- Laura Louvier, di quella famiglia Rimane il pelinkovac vo di legge del 1931, vietava l’uso goriziana di origine francese a Dopo la Seconda Guerra i confi ni dell’assenzio, ma non menzionava cui appartennero Ernesto, che sono nuovamente modifi cati, la il nome botanico… il 6 novembre 1918 innalzava sul ditta perde gran parte del bacino L’etichetta è cambiata di pochis- Castello la prima bandiera trico- vitivinicolo da cui si riforniva, che simo rispetto a quella originaria lore, come pure Vivaldo Louvier rimane in Jugoslavia e, come mol- del 1899, mantenendo così una (1886-1968), compagno di classe te altre realtà, vivacchia nell’am- veste grafi ca che rispetta la tra- ed amico di Carlo Michelstaedter bito del sistema della Zona Fran- dizione ultracentenaria di questa allo Staatsgymnasium, nonchè i ca fi no alla cessazione dell’attività famiglia. fotografi di fi ne Ottocento Ugo ed avvenuta nel 1993. Per fortuna Il pelikovac si beve a fi ne pasto Emilio, con studi a Gorizia, Trie- Sandro Abuja, affezionato all’at- con ghiaccio e un fettina di limone. ste e La Spezia. tività di famiglia, pur avendo ser- vito nell’Aviazione militare di cui è un pensionato, conserva tutto il patrimonio legato all’attività della ditta, non solo quello cartaceo, ma anche gli strumenti enologici di misurazione ed analisi: mosti- metri, ebulliometri, alambicchi, ecc. In garage ha persino un camion “Dodge” delle truppe al- leate! Infi ne, siccome possedeva la ri- cetta del pelinkovac di famiglia, ha deciso di continuarne la pro- duzione, facendolo fare da altre distillerie. Nel vecchio uffi cio della ditta “F.lli Abuja”, dove sono appesi gli Bozzetto per un calendario realizzato Il pelinkovac Abuja è ancora di attualità. antichi diplomi e conservati alcu- da Tone Kralj nel 1930. 15 • 27

Sinz, pelin e santònego

A testimoniare l’uso tradizionale dell’assenzio, ben prima che diventasse liquore o droga degli artisti, vi sono i detti popolari friulani Amâr come l’assinz e Sinz e rude ogni sêt distude, ma la virtù dissetante, forse complice il sapore non a tutti grato, non bastò a farne una bevanda di largo impiego tra i nostri antenati. Nel Vocabolario giuliano di Enrico Rosamani (Lint, , 1999) troviamo le espressioni Sto cafè xe amaro come el pelin (= as- senzio) e A magnar sempre pelin se fa el stòmego de fero. A proposito di questa pianta ricordiamo che anche nella lagu- na di Grado c’è una specie di assenzio, il cui nome botanico è Artemisia caerulescens, ma conosciuta con il termine dialettale di santònego, usata come digestivo e, in passato, anche come vermifugo. L’impiego dell’assenzio non sfuggì a Valentino Ostermann che così lo descrisse in La vita in Friuli del 1894: “[L’assenzio] è usato come tonico: messo in infusione nell’acquavite con Ruta e radice di Genziana, dà un liquore che si beve alla mattina a digiuno. L’assenzio posto in un sacchetto sotto il guanciale dei bambini, o appeso al loro collo, fa morire i vermi; è diuretico e provoca le mestruazioni. L’erba Artemisia messa in contatto col- la pelle ha la virtù di fare amare. Rifuggendo i diavoli e le streghe dall’odore di quest’erba, la si porta indosso per salvarsi dalle malie, e chi presenzia o assiste a un esorcismo ha l’avvertenza di empirsi la bocca d’aglio e d’assenzio contro il pericolo che il diavolo, espulso dal corpo esorcizzato, entri nel suo. Il Manzini (Cronaca della Società al- pina friulana, 1889) narra che nella Slavia si usa l’Artemisia con- tro le emorroidi, che il decotto delle sue foglie caccia il mal di capo, che l’infuso giova a coloro che patiscono d’insonnia per la soverchia stanchezza, e a chi fu esposto per qualche tempo all’umidità”.

Bibliografi a

Cosma Stefano, Gli Abuja, un commercio Frühauf Tommaso (per cura di), Relazione Del Torre Giuseppe Ferdinando, Plantis leader di vini e liquori nella Mitteleuropa, intorno al IV Congresso enologico austriaco che crèssin in Friùl, Mariano del Friuli Il Piccolo, edizione di Gorizia, 9 marzo 2010. tenutosi in Gorizia dal 16 al 20 settembre 1984. Massi Ernesto, L’ambiente geografi co e lo 1891, Comitato centrale del IV Congresso sviluppo economico nel Goriziano, Gorizia enologico austriaco, Gorizia, 1892. 1933. 28 • 15 15 • 29

Andrea MARMAI, Magda MINOTTI … la settima a pilar orzo

Piccola storia dell’ultimo mulino sul Natisone

Moltiolti di coloro che,che nellene giornate i quali, diventati operai, non ave- al 1753, quando l’allora proprieta- dd’estate,’estate,tate, si rinfrescanorinfresrinfrescan bagnan- vano più la necessità di avere il rio, il marchese Mangilli, chiese dosi nell’acquanell’acqua del NNatisonea sul proprio campo di mais per soddi- al consiglio dei “Savi ed Esecutori greto ddelel grandegrande invinvasoa del Pon- sfare i bisogni della famiglia. alle acque di Venezia” la con- te Romano a , non cessione ad installare la settima Msanno che a pochi metri da loro, La settima ruota ruota “a pilar orzo”. Questo a te- nascosti tra i rami delle robinie, È diffi cile risalire alla nascita del stimonianza che il mulino aveva semicoperti da sabbie e ghiaie del mulino Birri, probabilmente sorto già sei ruote che servivano altret- fi ume, scoloriti dal tempo, giac- nell’epoca in cui i molini ad acqua tante mole: un’attività di tutto ciono i resti dell’ultimo mulino comparvero nell’area friulana. rispetto, quindi. Il primo proprie- ad acqua che operò sul fi ume che Non ci sono documenti certi fi no tario a cui possiamo risalire era scorre nel territorio Cividalese: il mulino Birri. La grande ruota a pale, le paratie ed i meccanismi di regolazione dell’affl usso dell’acqua sono fermi dal 1975. In quell’anno cessava l’attività di Amedeo e Giancarlo Birri, padre e fi glio, gli ultimi mugnai del Natisone. Un’attività che con la loro famiglia aveva traversato i secoli, aveva superato le diffi coltà di guerre, invasioni e alluvioni. Un’attività che si è arresa solo alla modernità ed eco- nomicità dei mulini elettrici, alla concorrenza dei grandi stabili- menti molitori padani, e al diffuso benessere che aveva allontanato Particolare dell’atto notarile con il quale il marchese Mangilli, nel dicembre del 1915, dai campi molti piccoli agricoltori vende a Francesco Birri il mulino con le pertinenze. 30 • 15

La riproduzione del disegno del 1753, che, come si può vedere, è fuori scala e atto solo a illustrare la situazione nel momento della richiesta, ci mostra un particolare importante: il mulino un tempo operava sul fi ume, un paio di metri sopra il suo letto, a ridosso della parete rocciosa che delimita l’invaso del Ponte Romano. La ro- sta che innalza il livello dell’acqua era costruita con una palizzata e con fascine di legna, creando un salto suffi ciente a dare energia alle pale. Anticamente si accede- va al mulino attraverso un sentie- Mappa del 1753 che mostra il mulino, all’epoca proprietà dei marchesi Mangilli, e il ro scavato nella roccia del Natiso- sentiero che lo raggiunge; l’edifi cio era al livello del fi ume. ne lungo il quale scendevano, da quella che oggi è Via del Mulino, il marchese Gio Batta Mangilli, l’atto di divisione patrimoniale le granaglie a dorso di asino e erede di una famiglia importan- del marchese Massimo Mangilli risalivano le farine che venivano te ed economicamente solida. I del 1874: nel computo molto par- poi smistate nell’edifi cio che ha Mangilli giunsero in Friuli dalla ticolareggiato dei beni familiari, ospitato l’opifi cio moderno. Lombardia a metà del Seicento. tantissimi e sparpagliati su tutto Erano commercianti di fi lati e tes- il medio Friuli, compare ancora Una modifi ca importante suti che a Udine accumularono in Antonio Birri come conduttore Probabilmente solo alla fi ne del breve tempo, grazie ai loro com- del mulino che è ereditato da XIX secolo o all’inizio del XX si merci, una grande fortuna. Nel Francesco Mangilli. diede corso alla modifi ca della 1752 fu concesso loro di entrare Antonio Birri era fi glio di France- struttura meccanica. Fu instal- a far parte della nobiltà friulana. sco che, negli anni Venti dell’Ot- lato un albero verticale che, con Nel 1753 chiesero, come detto, la tocento, viveva a Premariacco e una coppia conica, prendeva il concessione per la settima ruota negli atti di compravendita dei moto da un’unica ruota a pale e come proprietari del mulino sul terreni agricoli e dei vigneti che lo portava, prima con l’ausilio di Natisone. Da chi lo avessero ac- andava acquistando nei dintorni una catena a maglie e poi, con quistato non è noto, forse dalla di Firmano era già defi nito “mu- una modifi ca successiva, attra- famiglia Gallo di Cividale, forse gnaio e possidente”. verso altre due coppie coniche, al dalla Curia cividalese. È molto Quindi l’attività del mulino era fabbricato che si trova una decina probabile che il mulino fosse dato antica e remunerativa nonostante di metri sopra il fi ume. Questo in affi tto; chi fosse però l’affi t- che il Natisone sia stato in pas- ospitava dapprima le macine e in tuario non è noto fi no al 1862, sato, e anche in anni recenti, un seguito i frantoi a cilindri detti quando un atto della Procura di fi ume abbastanza capriccioso, con laminatoi. Cividale ci indica la presenza nel piene disastrose ricorrenti e quin- L’energia meccanica generata dal- mulino di Premariacco di Antonio di periodici danni alle strutture la grande ruota di cinque metri di Birri, mugnaio. Ancora più espli- meccaniche esterne, ruote, pale, diametro (il muelon), resa dispo- cito (Notaio Jurizza in Udine) è paratie, ecc. nibile non più nel vecchio e an- 15 • 31

gusto spazio in riva al fi ume, ma Secondo Giancarlo Birri, classe in locali ampi e strutturati come 1944, che ricorda i racconti dei quelli che ancora oggi possiamo vecchi dipendenti, il mulino vedere, fu alla base dello sviluppo operava a quel tempo con due dell’attività dei Birri, il cui spirito mole, una coppia di frantoi a imprenditoriale creò un sito de- cilindri per il mais, una coppia gno di una piccola industria. di frantoi per il frumento e la Il 20 novembre 1915 il proprieta- pileria per l’orzo. I cereali lavo- rio, il marchese Francesco Man- rati erano soprattutto mais, orzo Una delle due vecchie macine del gilli, con atto del notaio Cucavaz e frumento per l’alimentazione mulino Birri usate per la macinazione del mais fi no agli anni Cinquanta di Cividale cedette il mulino, umana, e segale, mais e orzo per dello scorso secolo, quando vennero compresi gli edifi ci adiacenti, la l’alimentazione animale. Intorno sostituite dal “frangitutto” a motore. concessione all’uso del salto d’ac- alla metà degli anni Venti del qua e una serie di beni immobili a Novecento, passata la buriana grande aia coperta e muoveva le Francesco Birri, fi glio di quell’An- della guerra, ci fu un amplia- trebbie; seguiva un’imballatri- tonio Birri che gestiva l’attività mento del fabbricato originario. ce, del peso di ben 50 quintali, molitoria nel 1874. L’attività legata all’agricoltura si per le paglie risultanti dalla Al momento dell’acquisto la espanse con una coppia di treb- trebbiatura, che fu scardina- famiglia Birri conduceva an- bie per la trebbiatura di orzo, ta dalla forza dell’acqua nella che un’azienda agricola al di là frumento, segale e avena da una disastrosa alluvione del 1958. del fiume, di fronte al mulino, parte e di foraggere da seme, Siccome esisteva anche il pro- e viveva in una casa colonica tra cui il veriolo (o ginestrino) blema dell’approvvigionamento sulla strada che porta dal ponte dall’altra. Il moto dell’albero di energia elettrica (la rete di romano a Firmano, ancora oggi principale fu portato, con l’uso distribuzione negli anni Trenta- ammirata come esempio di ar- di pulegge e cinghie di cuoio, Quaranta del Novecento non chitettura rurale. oltre l’edificio del mulino, nella era capillare), i Birri pensarono bene di usare il moto sempre di- sponibile della ruota per far gi- rare una dinamo da 5 Kw a 125 V. Questa tensione alimentava alcuni motori supplementari e l’illuminazione del caseggiato che, ricordiamo, ospitava anche le famiglie dei proprietari. E a proposito di acqua, il mulino con l’annessa azienda agricola ne consumava in abbondanza: per lavare i cereali, per tutti gli animali della stalla e della bassa corte, per le colture adia- centi (orti, frutteto). A questo scopo una ruota più piccola di circa 1,5 metri di diametro, era La grande ruota a pale di cinque metri di diametro. Osservandola, si nota l’assenza dedicata all’azionamento di una di saldature: è tenuta assieme da tiranti e dadi su un asse con supporti. pompa che aspirava l’acqua del 32 • 15

un motore a scoppio “a testa cal- da”, alimentato a nafta pesante e raffreddato con l’acqua pescata dal Natisone; in seguito, quando l’ente fornitore dell’energia elet- trica fu in grado di potenziare le proprie forniture, ci si avvalse di un motore elettrico. Due assi centrali, collocati sotto il piano delle macine e dei lamina- toi, erano destinati a raccogliere il moto proveniente dal “generatore di energia” (ruota a pale o mo- tore che fosse) e distribuirlo nei vari spazi dell’offi cina molitoria; gli ingranaggi moltiplicavano il La prima coppia conica che si incontra dopo la ruota, anch’essa per metà interrata, numero di giri adattandolo alle rinviava il moto su un asse verticale alto una decina di metri. varie macchine che mondavano, pulivano a fondo, umidifi cavano, frantumavano, molavano e setac- ciavano i cereali per ottenere le crusche o le farine richieste dalla clientela; in particolare quelle da pane a seconda del grado di raf- fi nazione desiderato: dal tipo “2” (poco raffi nata, usata per il pane militare e presto andata fuori pro- duzione) al semolino per le pappe per bambini, fi no al tipo “00” per pane e dolci. Altrettanto importanti erano i cereali per alimentazione animale come segale, avena, orzo, sorgo rosso e mais per il pollame, pro- dotto in due macinazioni diverse. Il complesso di edifi ci del mulino Birri comprende anche abitazioni civili, un tempo Da non dimenticare i cosiddetti residenza dei proprietari. “sottoprodotti” della macinazione quali crusca, cruschello e farinac- fiume e la rendeva disponibile stagioni secche per un’attività im- cio che trovavano largo impiego per le varie necessità. prenditoriale di questo tipo. nell’allevamento del bestiame. Per evitare questo rischio era Tutte queste “farine” venivano Una piccola industria stato predisposto un motore che portate dalle macine ai buratti e, Il mulino era, ovviamente, dipen- integrava la forza motrice dell’ac- poi, ai silos di stoccaggio attraver- dente dall’acqua del Natisone e qua nei periodi di magra. In un so condotti ad aria forzata o con ciò poteva essere pericoloso nelle primo momento venne impiegato l’aiuto di coclee o elevatori a tazze. 15 • 33

L’asse orizzontale che porta il moto, All’interno del mulino una coppia conica muove l’albero maestro che distribuisce il moltiplicando i giri, all’edifi cio del moto a tutte le macchine del complesso attraverso pulegge e cinghie di cuoio. mulino: notare le bronzine sui supporti.

Ingranaggio con denti di legno. Per L’albero maestro correva attraverso il mulino per una quindicina di metri con questo scopo era utilizzato legno di pulegge ed ingranaggi. robinia o di carpino bianco per l’impiego rispettivamente all’aperto o all’interno.

È facile quindi immaginare un dal frastuono delle trebbie e della industria, quindi, che impiegava nugolo di cinghie, rimandi, puleg- imballatrice. Giancarlo Birri, no- normalmente cinque-sei persone, ge, aste, pignoni perennemente stro gentile e paziente cicerone, che potevano arrivare a dodici nei rotanti, vibranti, ansimanti in ricorda quanto era rumorosa e, per mesi estivi, quando la trebbiatura un’aria intrisa di odore di farine, i bambini che vivevano e che fre- richiedeva turni di lavoro continui in un ambiente immerso in un quentavano il mulino, inquietante dall’alba a notte fonda, sia per l’at- continuo rumore di fondo. Rumo- per via del braccio meccanico che tività agricola sia per il mulino con re sovrastato nei tre mesi estivi comprimeva la paglia. Una piccola le trebbie. Erano operai, stallieri, 34 • 15

laminatoi a cilindri e tutte le infrastrutture di supporto per la produzione, come le macchine per la vagliatura automatica del macinato. Si puntò così ad una produzione moderna e di qualità delle farine tipo “0” e “00” e si au- mentarono notevolmente le quan- tità lavorate. Giunse anche la disastrosa alluvio- ne del 1958 che portò gravi danni agli impianti: nella notte del 22 giugno, dopo giorni di pioggia, il fi ume allagò completamente i loca- li del mulino e superò abbondan- temente il metro di altezza nell’aia I vecchi laminatoi ungheresi dei primi del Novecento. In quattro passaggi fornivano farina da pane. Da metà degli anni Cinquanta fi no alla chiusura vennero adibiti alla retrostante che ospitava le trebbie. macinazione del mais. Questo disastro non smorzò di certo lo spirito imprenditoriale manovali, agricoltori che però in Gli anni del secondo confl itto dei Birri i quali, all’inizio degli caso di necessità si reinventava- mondiale furono vissuti con le pro- anni Sessanta, aprirono un’altra no muratori, carpentieri, fabbri, blematiche tipiche di quel periodo: attività: un piccolo spaccio per sarti, carradori: il mulino era un le requisizioni tedesche, i delicati fornire inizialmente solo pasta, ed piccolo universo dove si cercava rapporti con i partigiani, la diffi - in seguito tutta una serie di ge- di risolvere i problemi e riparare coltà di operare con i registri di neri, alimentari e non, tipici delle i guasti con le proprie forze, dalla carico e scarico e relativi controlli botteghe dei paesi. preparazione dei fi li per l’imballa- della milizia fascista, i coprifuoco I piccoli agricoltori ebbero l’oppor- trice alla cucitura dei sacchi di tela e l’aiuto a coloro che, di nascosto tunità di scambiare i cereali confe- strappati. per problemi di tessera annonaria, riti al mulino con la relativa quan- Ed erano tutte maestranze locali, portavano a macinare granaglie tità di pane attraverso la formula quelle impiegate dai Birri, alle lasciando il sacco all’esterno del dei “buoni di fornitura di farina”. quali si aggiungevano i fameis e le mulino nel buio della notte. Ver- Era il mulino stesso che provve- ragazze inservienti nei momenti di so la fi ne del confl itto si iniziò deva a recapitare al forno la rela- maggior attività. l’ultimo ampliamento strutturale tiva quantità di farine necessaria L’area servita dal mulino si esten- dell’edifi cio del mulino: una nuova alla panifi cazione di ognuno dei deva da Gorizia a , da costruzione a tre piani attaccata al conferitori. a , con la for- vecchio edifi cio, terminata intorno Il sito del mulino, con le trebbie, nitura a domicilio di farine ai forni al 1950 e edifi cata “in economia”, il negozio e l’attività agricola, era che ne facevano richiesta. con l’aiuto e la capacità degli ope- diventato, nel corso degli anni, un A questo proposito erano a dispo- rai già impegnati nel mulino. riferimento per il mondo rurale sizione del mulino tre cavalli e due della zona. carri, di cui uno con ruote gomma- La ripresa dopo la guerra e Quelli del dopo guerra erano tempi te, adatti a portare a destinazione l’alluvione di evoluzione tecnologica e sociale, fi no a 50 quintali di sacchi di cana- In questo edifi cio presero posto anni in cui si assisteva all’arrivo, pa o di juta. nel 1956 i nuovi impianti con soprattutto dall’America, di idee 15 • 35

e prodotti nuovi che avrebbero l’inizio del declino dei mulini ad cambiato l’agricoltura e la società acqua. Compaiono sul mercato rurale del Friuli e dell’Italia. le prime macchine “frangitutto”, Indimenticabile per Giancarlo azionate dal moto dei nuovi trat- Birri, allora ragazzo, il giorno in tori diesel, che danno la possibili- cui ci fu la dimostrazione in Piazza tà a molti agricoltori di preparare Marconi a Premariacco del primo in proprio le miscele per l’alimen- trattore meccanico. tazione del bestiame. Accanto a Un “mostro” che incuriosì non questo la diffusione dell’energia poco gli agricoltori della zona. elettrica per uso industriale favo- Tutti i presenti si domandarono risce la comparsa di nuovi mulini, perplessi, davanti all’avanzare del- quelli elettrici, più economici e le possenti ruote del mezzo, se il con minori problemi di manuten- suo peso non fosse eccessivo per i zione. terreni friulani, se il lavoro di una A Premariacco, in particolare, tale macchina moderna e veloce apre il mulino della cooperativa avrebbe potuto sostituire l’opera di consumo, ad Orsaria un mulino lenta ma attenta dei buoi che, go- elettrico viene installato nei pres- La macchina lavagrano della marca vernati dall’uomo, aveva attraver- si della piazza. Golfetto. Il ciclo di lavorazione del frumento iniziava con la pulitura e la sato i secoli. Anche la società cambia, gli agri- lavatura. Ed i Birri non si lasciarono sfug- coltori diminuiscono di numero, gire l’occasione di investire nel diventano “metalmezzadri” atti- o alla trebbiatura e alla molitura, nuovo che avanzava: una volta rati dalle fabbriche in crescita di pian piano si assottigliano. Nel sostituiti i carri a cavalli con un quei “triangoli” industriali che corso degli anni Sessanta il ronzio camioncino, acquistarono due vedono la luce nel secondo do- e il brusio provenienti dal mulino delle prime mietitrebbie mobili in poguerra. Cambiano i trasporti, si affi evoliscono e, se prima era Friuli. Un investimento impegnati- le esigenze, le committenze. Le una necessità vitale tenere in vo nel bilancio aziendale, che però, grandi industrie molitorie padane moto la ruota costantemente, ora grazie ad un intenso programma si affacciano sul mercato friula- la si ferma sabato e domenica, di lavoro in aree anche lontane da no erodendo fette consistenti di poi anche durante la settimana. Premariacco (ad es. nella Bassa mercato. Fino a che, nel febbraio del 1975, friulana), si dimostrò redditizio. Gli spazi ridotti e le normative Amedeo Birri chiude l’attività del Così come redditizia fu, nel perio- tecnico-amministrative non mulino condotto per almeno due do della guerra fi no a metà degli consentono quell’ampliamento secoli dalla sua famiglia; assieme anni Cinquanta, la coltivazione del degli impianti che, sia Amedeo al fratello Raimondo è stato un veriolo (variôl o veriûl). La col- Birri che il fratello Raimondo, punto di riferimento per decine e tivazione e trebbiatura di questa potrebbero fare puntando ancora decine di forni e panifi catori, ma leguminosa era remunerativa al una volta sull’investimento indu- non solo. punto che bastavano pochi raccolti striale. Cominciano a mancare le Nel novero delle loro attività ci fu per ammortizzare il costo del cam- prospettive di crescita. Le teorie anche la sperimentazione agraria. po comprato per seminarlo. di carri e carretti sulla strada La collaborazione con la Società del Ponte Romano o su Via del agraria friulana, ed in particolare Il mulino al tramonto Molino, che negli anni Quaranta con il direttore Agostino Maran- L’innovazione tecnologica del do- e Cinquanta stavano in attesa di zana, portò alla sperimentazione poguerra porta in sé, però, anche accedere allo scarico dei cereali di linee di produzione sementiera 36 • 15

nel settore cerealicolo. Interes- estendeva al Cividalese e all’Udi- sante fu il tentativo, alla fi ne degli nese, raggiungendo anche il Vene- anni Sessanta, sempre con la to orientale. Un’attività che chiuse Società agraria friulana, di testa- i battenti nei primi anni Ottanta. re la coltivazione di granoturco Ora nelle stanze che ospitavano i e frumento ricchi di glutine e buratti, le condotte di aspirazione provenienti da aree geografi che dei cereali o i laminatoi a cilindri distanti da noi quali l’Ucraina e la c’è il silenzio. Le vecchie ceste Croazia. per la perlatura dell’orzo giaccio- Non si può, poi, tralasciare l’at- no arrugginite. La macchina per tività di produzione di sementi la lavatura del frumento, ormai selezionate di Raimondo Birri e bloccata dal tempo, sovrasta un del fi glio Bruno. L’edifi cio posto di mucchio di cinghie arrotolate in fronte alle grandi trebbie ospitava vana attesa della colofònia… le macchine che pulivano, vaglia- Con la passione di chi ha nel cuo- vano e selezionavano sementi di re un mestiere antico, Giancarlo cereali, di orticole (soprattutto Birri conserva i resti di un mondo radicchi) e della rinomata erba e di un sapere del passato che medica di Premariacco, una va- ormai pochi come lui conoscono e rietà locale assai apprezzata dagli sono in grado di ricordare. Il variòl agricoltori. Selezionavano sementi prodotte da loro stessi, ma anche Fotografi e di Tanja Marmai Il ginestrino, chiamato anche ve- per conto terzi, e la clientela si riolo (ma questo nome, almeno attualmente, sembra ben poco in uso) è una pianta foraggera appartenente alla famiglia delle leguminose e nota ai botanici come Lotus corniculatus L. Nella zona di Premariacco lo chiamavano, e lo ricordano an- cora, come variòl. Questo nome manca nel Vocabolario botanico friulano di Giulio Andrea Pirona (1862 e 1871), così come man- ca nella Flora friulana di Luigi e Michele Gortani (1906), mentre nel Vocabolario friulano “Nuovo Pirona” (1935) si trova soltanto nelle “Aggiunte”. È probabile, perciò, che il nome sia arrivato, insieme con la coltivazione, nella prima metà del Novecento dalla Copertina e pagina interna di un campionario di veli risalente al periodo tra le due Lombardia (dove è noto come guerre: erano la parte essenziale dei buratti, macchine che servivano a setacciare il macinato e ottenere, a seconda della fi nezza della trama, una raffi nazione sempre variolo), regione che era all’avan- maggiore della farina fi no ad arrivare al tipo “00”. guardia nella foraggicoltura. 15 • 37

I nomi vernacolari che si riscon- agricola dei Birri coltivava anche ratamente adagiati sul terreno in trano nella citata Flora friulana questa foraggera su ampia scala. modo che il sole non li colpisse dei Gortani sono Cosulute, Gjalut A quel tempo, “voci di corridoio” direttamente. e Pît di Gjat e si riferiscono sem- affermavano che questi semi era- Se così fosse stato, il raccolto pre a piante spontanee; gli autori, no pagati bene perché riservati… sarebbe andato perduto. d’altro canto, non accennano ad “ad usi bellici”! Supposizione, Interessante la testimonianza una sua coltivazione. questa, cui non è stato possibile della signora Rina De Sabbata A Premariacco, oggi, non si parla dare una spiegazione plausibile, che ricorda testualmente: più del variòl: solo gli anziani, che nonostante la pianta contenga «…. Cuant che tocjave avevano un rapporto costante una pur minima traccia d’acido taiâlu…. si scugnive lâ daûr con la terra, sanno che cos’è. cianidrico che, peraltro, non ha parcè che se a fasevin un tai, Accanto a quella che era defi nita mai causato sintomi d’avvelena- si scugnive cjapâlu, voluçâlu la industrie di fl ât, così era chia- mento o danni agli animali, ghiotti a tor a tor e meti i cosui par mato l’allevamento di bestiame, di questo foraggio, soprattutto se sot che no cjapin soreli, fi n era praticata la coltura foraggera: falciato prima della fi oritura. che parsore, il fen e il poc dal erba medica, tra cui la rinomata In realtà il pregio del ginestrino variol al vignive fl ap…». varietà di Premariacco, trifogli era dato dai suoi elementi nu- I baccelli sarebbero “esplosi” vari ed il pregiatissimo variòl. tritivi (ricco di proteine, calcio, all’improvviso, uno dopo l’altro Il territorio di Premariacco era, caroteni); l’erba, a differenza di con un tipico scoppiettio disper- secondo le testimonianze raccol- quella della medica non dava dendo irreparabilmente i preziosi te, vocato alla coltura di questa luogo a fenomeni di meteorismo semi. Un’evenienza del genere leguminosa ricca di sostanze nei bovini ed il fi eno era fi ne ed (a volte, purtroppo, accadeva!), nutritive. Particolarmente remu- aromatico. sarebbe stata un vero disastro nerativa risultava la vendita del Il valore del suo seme, come per l’economia delle famiglie suo seme, anche se la raccolta testimoniato da Giancarlo Birri, contadine, che non avrebbero era molto diffi coltosa a causa dei era di ben tre- quattro volte su- potuto contare più su quell’introi- baccelli che a maturità si aprono periore a quello, già ben valutato, to prezioso, a volte essenziale, spontaneamente disperdendo il dell’erba medica. per far fronte alle proprie spese prezioso contenuto. Se la sua fi oritura si annunciava di gestione. Si coltivò diffusamente sino agli copiosa (il controllo dei fi ori era « …dopo doi dîs, cuant che si anni Sessanta, poi se n’è persa d’obbligo per intuire la conse- lave a cjariâ, al tocjave simpri traccia. Nessuno ha saputo darci guente abbondanza di semi), una fâlu su, cjapâlu cussì, metilu una spiegazione di questo fatto, tosa, solitamente la seconda, era simpri cui cosui par jù, parcè forse legato alla trasformazione destinata alla raccolta del seme e che come che al viodeve il della società da contadina ad non a fi ni foraggeri. soreli, al sclopave…». industriale. Le industrie diedero L’occhio esperto ed i gesti un’occupazione fi ssa a molti gio- dell’uomo erano d’importanza Sotto il costante controllo di oc- vani di questa zona ed essi, pur vitale, sia per cogliere il momento chi e mani esperte il variòl, taglia- non abbandonando totalmente il del taglio quando i baccelli for- to e lasciato asciugare un paio lavoro della terra, si dedicarono matisi erano “pronti”, ma non al di giorni senza che i bati il soreli, a colture che non richiedessero punto di aprirsi, sia per stabilire era raccolto delicatamente e tempo, impegno ed attenzione, la durata della loro asciugatura. portato al sicuro con i suoi semi com’era necessario, invece, con Le piante recise, infatti, erano la- di valore, in parte reimpiegati in il ginestrino. sciate in campo prestando atten- azienda ma, soprattutto, fi naliz- Già durante il Ventennio l’azienda zione che i baccelli fossero accu- zati al commercio. 38 • 15

Questa pubblicità si trova nella Guida del Canal del Ferro di Giovanni Marinelli data alle stampe nel 1894. 15 • 39

Alba DAL NIN

Zeârs e vencjârs ator pal Friûl L’artigianato del vimine in Friuli

Che cosa fa oggi chi, incuriosito lunga lista di osterie, trattorie, Indagando su Jacum, ci si chie- da un nome che risuona nella locali situati in provincia di Udi- de chi era questo personaggio mente dai tempi dell’infanzia, ne, soprattutto nel Codroipese, e che tanta fama aveva acquisito vorrebbe fi nalmente conoscere anche a Qualso di Reana dove si nel medio Friuli durante il corso qualcosa a riguardo? Clicca su in- trova la frequentata Ostarie dai del Novecento e che si è perfi no ternet e voilà! Così fanno i Friu- Geis. Torna utile pertanto una Dlani ricordando le narrazioni dei visita in Biblioteca o, meglio anco- Oreste Mansutti di Reana girò tutto il nonni su Jacum dai Zeis. Questo ra, presso l’abitazione di qualche Friuli a vendere cesti, degno seguace e nome però compare solo in una valente artigiano del vimini. successore di Jacum dai Zeis. 40 • 15

A sinistra una elegante cornice per il monumento che Codroipo ha dedicato a Jacum dai Zeis; nella sede della Famee furlane di Toronto, Canada, si trova una sua versione (sopra) in cui viene dato forte risalto all’uva, prodotto tipico del Friuli e qui assurto a signifi cato simbolico della Patria lontana.

versando il Friuli di paese in pa- ese, di casa in casa, con il carro traboccante di cesti e attrezzi agricoli, trainato dall’asino o dal cavallo, fu Oreste Mansutti di Reana, nato nel 1905 e morto alla bella età di novantasette anni. Anche lui era conosciutissimo, e ricordato come galantom ‘uomo onesto’ dagli artigiani da cui com- prava in grande quantità i manu- fatti che proponeva nei mercati e nelle fi ere regionali. conquistato il diritto a un “monu- Friuli quale “cestivendolo am- Come sostiene Chino Ermacora mento”, a Codroipo, accanto alla bulante”, trascorse la vita come nell’articolo pubblicato sul Bollet- quale una lapide recita: mercante di prodotti di vimini e tino della Camera di Commercio, narratore di storielle umoristiche, Industria e Artigianato del 1951, Fradi furlan fi no a concluderla a S. Osvaldo il 5 il mestiere dei cestai risulta più fermiti bêf settembre 1921. antico rispetto a quello degli mangje il to pan Dopo di lui il Friuli agreste ri- artigiani delle borse di brattee cjale la to plêf chiese ancora cesti e altri oggetti (scus). Da sul Taglia- cjante di cûr nati per necessità, ma elaborati mento, a Fogliano sull’Isonzo e a vîf tor il tei in modo creativo dalle abili mani Zompitta sul Torre, questi abili pâs di sigûr degli artigiani dell’epoca. Fu così artigiani intrecciavano i vencs, jemple il to zei. che l’attività di Jacum continuò, ovvero i vimini, da sempre ab- come lui aveva portato avanti bondanti nei selets lungo i corsi Il suo vero nome era Giacomo Bo- quella dei suoi predecessori. d'acqua appena ricordati, onde ot- nut, nato a il 25 settembre Un altro personaggio che dedicò tenere manufatti di grande utilità 1855. Conosciutissimo in tutto il la vita a questo mestiere, attra- nella vita quotidiana. 15 • 41

Questo grazioso La produzione di manufatti in calesse si presenta vimini a Zompitta con un sedile di I fornitori di Jacum e Oreste vimini intrecciati dal sig. Sandro Comello erano senz’altro i cestai di Zom- di Zompitta. Oggi pitta, una frazione di Reana del è visibile presso un Rojale a nord di Udine. Qui “tutti agriturismo della zona facevano cesti” come sostiene il (Fotografi a di Maria Claudia Trevisan). gentilissimo Sandro Comelli, clas- se 1924, che ci ha fornito la viva testimonianza di un mondo ormai lontano. Egli, come altri compo- dall’infanzia si dedicò alla produ- servata presso un agriturismo nenti delle locali famiglie Celotti, zione di cesti e di altri manufatti della zona. Sandretti, Picogna, coadiuvate di vimini. Opera sua è anche la A seconda del manufatto, i cestai talvolta da due o tre operai, fi n magnifi ca briscje ‘calesse’, con- utilizzavano diverse specie vege-

Quest’immagine d’epoca mostra la pesatura dei bozzoli di baco da seta, galete, trasportati in una grande cesta rettangolare. Secondo testimonianze orali questo tipo di cesta di solito era realizzata con rami di nocciolo. La fotografi a è stata scattata da Tarcisio Baldassi di nel giugno 1947. 42 • 15

lavoro venduti, intorno agli anni al consumo di prodotti naturali. Trenta-Quaranta, anche nelle sa- Su ordinazione delle famiglie che gre paesane per la cifra di 10 lire. risiedevano negli appartamenti dei Sempre nella prima metà del No- centri cittadini, venivano prodotte vecento, i manufatti avevano sva- ceste da legna di forma cubica, di La palete è una specie di racchetta riati usi: cesti per alimenti, usati dimensioni adeguate al trasporto di vimini che era usata nei roccoli anche per il pranzo dei contadini su scale a volte strette e per que- come spauracchio (spavent) per gli uccelli. Veniva lanciata dal capanno, in impegnati dall’alba al tramonto sto con manici interni sui fi anchi. contemporanea con l’uso del fi schietto nei campi, ceste usate dai pesca- Particolari erano anche i grandi (pive), facendola roteare al di sopra tori per riporre il pescato, cestoni cesti da bucato con bordo interno degli alberi del roccolo: gli uccelli che per il trasporto del letame da per mantenere piegata la bian- vi si erano posati si tuffavano verso il basso incappando così nelle reti. spargere sul terreno, cesti fi tti per cheria e quattro piedi per tenerli Come tutti i prodotti della civiltà la semina, cesti per la raccolta dei sollevati dal suolo; erano forniti di contadina anche questo dispositivo prodotti dell’orto o del bosco, ecc. piedini pure i cesti da radicchio coniugava la semplicità di realizzazione con la piena effi cacia e, non da Molto richiesti erano i cesti da che non era opportuno toccassero ultimo, con una notevole resistenza funghi con tramatura rada per terra. per poter operare in un ambiente permettere la caduta delle spore Un prodotto eccezionale fu il altamente usurante (roteando sopra gli alberi del roccolo, al termine della e chiusi nella parte superiore con coveltrât, cioè il cesto a tenuta corsa andava infallibilmente a cozzare un tessuto su misura. stagna, quindi intrecciato fi tto e contro vari ostacoli), utilizzando per la Una produzione particolare era utilizzato per la semina del grano realizzazione materiale prontamente e quella dei cestini per contenere e e il più curioso era una specie di facilmente reperibile in loco. In ultima analisi si tratta di un disco ottenuto da valorizzare un solo grappolo d’uva racchetta, detta palete nel Tri- un robusto fi l di ferro (c’erano anche da esporre nelle fi ere. I cestai di cesimano, che si lanciava quale altre soluzioni, come quella dell’utilizzo Zompitta li inviavano in grandi spavent nelle uccellande. della biforcazione di un ramo, forcjàs, nel caso della mancanza di ferro) quantità in Toscana, in Piemonte Ad uso degli uccellatori anche applicato ad un pezzo di legno che e in altre regioni italiane. Tra gli il cos de cuâe, la gabbia per le fungeva da impugnatura, intrecciato oggetti originali, venivano realiz- quaglie a forma di fi asco nella cui con ramoscelli di vimine (vencs): praticamente l’intelaiatura formata zati anche bauli da viaggio, fode- parte superiore manca la trama dall’impugnatura e dal cerchio in ferro rati all’interno e decorati all’ester- e i bastoncini costituenti l’ordito fungevano da ordito, mentre i vencs no con vencs spaccati. si riuniscono al vertice creando facevano da trama. Ogni uccellatore La specialità del signor Sandrin, tante fi nestrelle: in tal modo la poneva particolare attenzione all’equilibratura del dispositivo che vincitore tra l’altro di una meda- quaglia quando salta, abitudine valutava personalmente. glia d’oro all’età di nove anni per che le è propria, non si fa male al la costruzione di una magnifi ca capo. Quando nell’aucupio si face- tali: vimini, rami di nocciolo e, caravella di vimini, era la la- va uso di richiami con la cosiddet- nonostante i divieti, talvolta anche vorazione delle culle (scunis). ta tecnica “dello schiamazzo” ci si giovani rami di castagno. In occasione delle nascite egli avvaleva di una cesta di vimini di Con i giovani getti di nocciolo si manifestava il suo affetto per i forma sferica o a damigiana, detta fasciavano le damigiane, specia- piccoli elaborando raffi nate culle pice (deverbale da piçâsi) nella lità della famiglia Pigani, o si co- per amici e committenti. Ad uso quale si inserivano più uccelli, struivano corvòs per i bozzoli del e consumo dell’infanzia si produ- di solito i litigiosi montans, che, baco da seta diffusamente allevati cevano anche meravigliose car- strillando e beccandosi, richiama- in Friuli, mentre con i vimini, rac- rozzine e passeggini con relativo vano i propri simili. colti a decine di quintali sulle rive parasole che farebbero la gioia Furono costruite con i vimini an- del Torre, si creavano cestini da delle moderne mamme orientate che sedute per sedie che però non 15 • 43

potevano vantare la morbidezza tra le loro caratteristiche. La fabbricazione di un cesto pote- va risolversi in tre ore, ma il vero lavoro era la precedente accurata scelta di vencs che dovevano essere uguali per lunghezza e grossezza in funzione del manu- fatto da realizzare. Ad esempio La glove era formata da un legno qualsiasi, purchè fl essibile, alto circa 60 cm, che per un cesto da funghi erano veniva tagliato longitudinalmente per circa un quarto della sua lunghezza. Durante necessari esattamente 216 vencs, l’uso per la “spellatura” del vimine veniva tenuta stretta fra i ginocchi. un numero preciso per realizzare Il signor Sandro Comelli ci fa vedere come usava la glove (Fotografi a di Maria Claudia Trevisan; il disegno è di Linda Picco). un contenitore proporzionato alla sua funzione. di pali e di giovani getti (vencs) vencs, fascine di legna o le viti Vencs e vencjârs che servono a legare le viti, men- ai pali. Il materiale principale dei zeis tre con le vermene si fanno ritor- Giulio Andrea Pirona nel Voca- era il vimine (venc), giovane te (tuàrtiis) per legare i fasci dei bolario botanico friulano del getto di salice, nome con cui si indicano le piante appartenenti al genere botanico Salix. Questo comprende circa 300 specie, che possono avere portamento arbo- reo od arbustivo, e che si trovano diffuse in quasi tutto il mondo. Il Friuli ospita una quindicina di specie, alcune delle quali si diffe- renziano in sottospecie. Fra i più comuni lungo i corsi d’acqua, nei prati e nei greti ricordiamo Sa- lix alba, Salix incana e Salix purpurea che, a seconda delle zone, prendono i nomi friulani di molèc, crèul, ‘sanìgul, gjàtul, salgâr, vincèi, venc, vencje e vencjâr. In alcune località si distingue tra venc, la pianta adatta alla fabbricazione di cesti, e vencjâr, nome generico delle specie simili. Abbastanza diffusi sono il nome di vencjâr zâl per Salix alba vitellina e vencjâr ros per Salix purpurea. Il salice è spesso coltivato per la produ- zione di manici, di pertichette, Il “sole”: da questa parte iniziale si svilupperà l’intreccio per la creazione del cesto. 44 • 15

di ramo, in cui infi lare il rametto da pulire tirandolo vigorosamen- te. Successivamente il venc veni- va fatto asciugare fi no a quando, scuotendolo, produceva un carat- teristico suono. Attrezzato di forbici da potatura, temperino curvo e roncoletta a serramanico, il cestaio iniziava il suo lavoro sistemando a croce otto pezzi di vimini che pian piano si allargavano assumendo l’aspetto di un sole. Con pazienza, l’artigiano infi la- va, intrecciandoli, alcuni rami In questa pubblicità della Società friulana per l’Industria dei Vimini viene presentato più sottili e pian piano il cesto un elegante salotto (dalla rivista La Panarie, gennaio-febbraio 1928). cominciava a crescere. A questo punto bisognava legare insieme la punta dei vencs e continuare ad intrecciare. Alla fi ne arrivava il momento di fi ssare i rami portan- ti e inserire il manico, solitamen- te in legno di gelso. Su richiesta, vimini scortecciati potevano essere tinti con colori all’anilina raggiungendo effetti estetici pittorici.

L’evoluzione industriale Nel Novecento, agli inizi dell’in- dustrializzazione, la lavorazione friulana dei vencs assunse anche un carattere più evoluto dal punto di vista commerciale ed economi- co. Nel 1899 si costituì a Udine la Società Friulana per l’Industria Due modelli di culle nella pubblicità della Società friulana per l’Industria dei Vimini di dei Vimini che si proponeva di G. Gervasoni & C. (dalla rivista La Panarie, maggio-aprile 1939). promuovere la coltivazione e la compravendita dei vimini abbi- nando al lavoro a domicilio quello 1862 indica il Salix amygdalina La tecnica svolto in uno stabilimento dove si L. come “salcio da far ceste”, Nel Rojale, verso Pasqua si effet- completavano i lavori grezzi e si probabilmente lo stesso che per tuava la raccolta dei vimini che producevano mobili, giocattoli e Gortani 1906 è Salix triandra poi sarebbero stati scortecciati altra oggettistica. La Società Friu- amygdalina L. con la glove, ovvero una forcella lana Industria Vimini partecipò a 15 • 45

molte esposizioni nel Triveneto, di abilità manuali con risvolti cre- ottenendo riconoscimenti che la ativi, non solo per la realizzazione Piccolo spinsero a produrre arredi piut- di oggetti, ma anche per suddivi- tosto semplici, ma molto eleganti, dere e decorare gli spazi verdi di glossario in linea con le tendenze Art Nou- orti e giardini creando strutture veau dell’epoca. Questa ditta fu di sostegno e ornamentali, co- rilevata nel 1925 da Danilo Della niugando cioè aspetti utili e di- briscje: calesse Martina (sostituito da Pietro Dal lettevoli a contatto con elementi ceste: cesta Vera) e da Giovanni Gervasoni naturali e perciò di sicuro impatto corvòs: cesto per il trasporto dei bozzoli che trasferirono lo stabilimento psicologico positivo. cos: cestino e canestro in via Brenari a Udine. Le forme Per rendersi conto delle molteplici cosse: gerla dei mobili divennero più lineari opportunità offerte dall'utilizzo in ossequio alle nuove concezioni di questi materiali si può visita- cossâr: cestaio del razionalismo. L’azienda seppe re a la Mostra cossut: cestino valorizzare i materiali fl essibili permanente del Cartoccio e del coveltrât: cesto di vimini con manico e coperchio (fi s- per costruire, tra l’altro, gli arredi Vimine. Gli oggetti ivi esposti, sato al manico stesso, sul di numerose motonavi italiane ed fi gli di un’arte povera ma bella, quale può scorrere per un estere, comparendo sulla rivista sono una delizia per la vista e una foro marginale del coper- Domus (n. 50 del 1932), e sta- testimonianza concreta di quello chio) bilendo una collaborazione con che i nostri padri sapevano fare. curizûl: cestone architetti e progettisti secondo E magari ne traevano anche un glove: forcella di un ramo le teorie più moderne dell’indu- reddito. tamàne: cesto da semina strial design. venc: ramo di salice vencjâr: salice da vimini Anche in esterni Si ringrazia zeâr: cestaio Ai nostri giorni, la lavorazione dei per la collaborazione zeârie: cesteria fl essibili rami di salice può rap- Maria Claudia Trevisan zee: cesta e cestello presentare un’occasione di ripresa zèi: cesto, cestello e canestro zeut: cestino zeut di cusî, di ricamâ: cesto da cucito, da ricamo zeut di viaç: cesto da viaggio Bibliografi a

Bucco G., La produzione del mobile tra Pirona G.A., Carletti E., Corgnali G.B., liberty e razionalismo, società friulana Il Nuovo Pirona – Vocabolario friulano, per l’industria del vimini, Enciclopedia Società fi lologica friulana, seconda monografi ca del Friuli-Venezia Giulia, 3° edizione, Udine, 1996. aggiornamento 1978-1986, c. 1987. Pirona J., Vocabolario friulano, Venezia Corgnali G.B., Jacum dai Zeis, Sot la Nape, 1871. 1951-52. Rizzolatti P., Il fi ume, la terra e l’uomo: Ermacora C., Sportai e cestai del ricerche linguistiche ed etnografi che nel Lungotorre, Bollettino Uffi ciale della Comune di Morsano al Tagliamento, in C.C.I.A., Udine, anno V, 1951, n. 5. Tracanelli N., Bergamini G., Altan M. G.B., Gortani L., Gortani M., Flora friulana con Morsan al Tiliment, Società fi lologica speciale riguardo alla Carnia, Udine, 1906. friulana, Udine, 1988. I capitoli dedicati al vimine e al cestaio sono una approfondita Lombardi M., Anna degli intrecci, Gardenia, descrizione tecnica e linguistica circa l’uso n. 211, Mondadori editore, novembre 2001. Cestino ovale per gomitoli di lana dei vencs in questo comune, sicuramente o ricami. La lavorazione risulta Pirona G. A., Vocabolario botanico friulano, una delle indagini più approfondite svolte 1862. in Friuli sull’argomento. delicata e ricca simile a un pizzo. 46 • 15

I zeârs di Osôf

Paese di rinomati zeârs era un ordigno o strumento primor- più, era stato costituito, in Osop- Osoppo: così ce lo racconta diale di legno, “foderato nella par- po, un laboratorio di oggetti di Antonio Faleschini, scrittore te interna di una leggera lamina vimini, eseguiti con garbo e non e storico locale, nella rivista di ferro, e che aveva l’effetto di un privi di un gusto d’arte. Il labora- Sot la Nape della Società fi lo- gancio o molla” denominato glo- torio era amministrato in maniera logica friulana, n. 3 del 1957. ve. Questa operazione era detta di società cooperativa: ma non scussâ vencs. poté reggersi a lungo. I fondatori È ormai tramontato un antico Il vimine ne usciva così pelato si ridussero a Milano, ed in Osop- artigianato locale: la lavorazione dalla sua scorza: veniva quindi po sopravvisse ancora, per alcuni casalinga dei vimini in Osoppo. asciugato al sole. Le bacchette, anni, l’artigianato dei vimini, a Della lavorazione dei vimini, nei più o meno lunghe, biancheggian- domicilio, mantenuto in vita da secoli passati, troviamo traccia ti, rimanevano esposte al sole, singoli individui, che il mestiere anche nelle vecchie cronache. poi, legate a fasci, venivano poste l’avevano ereditato dai padri e dai Cesti di varie forme e dimensioni, nei fi enili o in stanze. I vimini nonni. Ci furono dei cestai che sporte rustiche ed altri oggetti venivano usati ad intessere cesti, lasciarono dei lavori intessuti di semplici e di uso pratico venivano panierini, ecc. dagli stessi fami- vimini con intendimento d’arte, intessuti con i vimini che si racco- liari, oppure venduti ai cestai di d’arte senza pretese, ma frutto glievano, quasi sempre dalle don- mestiere. certamente di molto buon gusto ne, lungo la riva del Tagliamento, e di passione sentita per questa nei mesi di luglio e di agosto. La I vimini, solitamente, prima di simpatica forma di artigianato. sera, ragazzi, donne e uomini, nei essere adoperati, venivano, per un Nelle ore dopo scuola, o nel perio- cortili, fuori della porta di casa, po’ di tempo, conservati nel chiu- do delle vacanze, i fanciulli erano seduti sopra panchetti o sedie, so e cosparsi di zolfo. inviati dalle rispettive famiglie in toglievano la scorza ai vimini con Circa una cinquantina d’anni fa e casa di qualche provetto cestaio 15 • 47

Un zeâr di Osoppo ritratto da Tarcisio Baldassi nel 1928. Si può notare che i vimini di diverse dimensioni sono suddivisi in fasci omogenei; tra i diversi Lungo l’asta del Tagliamento manufatti si nota sulla destra in basso un cesto con coperchio (coveltrât). A : “... a lavin dut in vin” ad apprendervi il mestiere, allo Subit dopo da ultima guera Nan di Beta, ch’ai disevin “Barba scopo di toglierli dall’ozio e dalla Blancja”, al faseva vencs par vendiju. strada. Nan al lava a vencs jù pa Grava via pa stât, in lui-avost, cuant che I manufatti di vimini venivano chês feminas a erin su pa mont. I vencs a erin chei cu la spela venduti “in blocco” a commercian- (= scussa) rossa; a ju sielzeva pulît (a vevin di jessi biei drets) e al fa- ti, oppure portati ai vicini mercati seva un balç, una biela fassinuta, una a buinora e una dopo miesdì. di Gemona e San Daniele. I vecchi A buinora al tornava dongja tor dîs-undis, al tacava subit a spelâju e cestai osoppani avevano in chiesa a ju meteva a sujâ su la linda (a stavin doi-trê dîs par sujâsi). il loro gonfalone con medaglio- Par spelâju al doprava la “glova”, un len taront teât tal mieç: al me- ne, grande, in lamina d’argento, teva il venc ta fessura e al tirava. A si podeva spelâ ancja a man: a adattato sopra legno, raffi gurante si faseva un riç cu la scussa tal mani dal venc e a si tirava, ma cu la la protettrice del paese e della glova al era miôr. storica Fortezza, santa Colomba, Una volta sujâts al faseva manutas (= balçuts) no tant gros, a varan santa indigena, vissuta e sepolta vût un 15-20 cm di diametro. A vignivin pajâts ben, ma simpri daûr nella stessa rocca di Osoppo. Il da lôr “bieleça”. Nan al cjapava biei bêçs che, como ch’al diseva lui, gonfalone esiste tuttora, ma senza “a lavin dut in vin”. il medaglione (sparito durante Una volta la guardia comunâl a lu à mandât dal pretôr a Glamona la invasione nemica del 1917-18) parcé ch’al cjapava sù vencs tal comunâl. Ma il pretôr a no si è cert e conserva ricamata in seta la sintût di condanâ un vecjo ch’a nol veva nancja la pension e ch’al frase dedicatoria: Devoti coeste- era vignût fi n a Glamona a pît. Cussì Nan di Beta (Costantini Giovan- ri divae Columbae virgini et ni) al à continuât chest lavôr fi n tal 1958, pôc prin di murî. martyri. Ogni anno, in agosto, si I vencs a ju vendeva a un ch’al passava cul camio e ch’al veva di jes- celebrava la festa dei cestai (la si di chês bandas di Manià e a si sa che a fasevin zeis. Simpri chel fi esta dai zeârs): la vigilia grande dal camio al cjapava sù ancja il lavaç. scampanio: il giorno dopo, - era (Informazions cjapadas sù a Trasâgas di Domenica Cecchini). sempre domenica - messa solenne e bacio della venerata reliquia di santa Colomba, e poi i brindisi ne- A Morsano: il “brutto posto” di Sgobaro Maria gli amichevoli e lieti convegni dei cestai nelle osterie del paese. Quando si trattava di vencs non tutti si dimostravano rispettosi dell’autorità costituita come Nan di Beta. Nella prima metà dell’Ot- tocento il cursore comunale di Morsano al Tagliamento redasse questo verbale: “Sorpresi tale Sgobaro Maria a tagliare venchi di prima menata lungo gli agaratti del Tilimento. Intimatole l’alt in nome di chei dal Munizzipi, mi rispose: Jo la lez le ai cà. E mi mostrò un brutto posto”. (Da Morsan al Tiliment, Società fi lologica friula- Così Osoppo ricorda un artigianato na, 1988). locale un tempo fi orente. 48 • 15

Il mercato a Buja nel 1969. Fotografi a di Tarcisio Baldassi. 15 • 49

Maria Claudia TREVISAN

Made in Friûl: sportis e borsetis di scus La lavorazione artigianale delle brattee nel Rojale

“Durante e dopo l’ultima guerra, lavorazione manuale delle brattee lepipedo destinate prima ai centri interi nuclei famigliari vivevano di granoturco, ossia le foglie che agricoli e poi a un mercato che si con i proventi della lavorazione racchiudono la pannocchia, in estese in Italia e ben oltre i confi - degli scus”. Con queste parole friulano scus. ni nazionali. gli anziani che vivono nel Rojale, L’attività artigianale, chiamata l’area lungo il Torre fra Udine “lavorazione del cartoccio”, assun- De Tricesimo, ricordano uno dei se un aspetto interessantissimo I cartocci venivano scelti i base alla tonalità naturale o tinti con colori periodi in cui l’economia agricola per la produzione di sporte, le all’anilina per ottenere lavorazioni del territorio era integrata dalla capienti borse a forma di paralle- esteticamente più originali e decorative. 50 • 15

Alcuni attrezzi per la lavorazione delle borse: l’ago ricurvo per saldare l’ordito e le forbici.

In un pentolino si bruciava lo zolfo e ai Lis pipinis, le bamboline di cartoccio, ritraevano vari aspetti della vita rurale d’un suoi vapori si esponevano i cartocci tempo. Questa porta sulla schiena la caratteristica gerla (cosse) che veniva naturali per sbiancarli e renderli utilizzata, in tutto il Friuli, per il trasporto di varie cose come legna, fi eno, strame e, ancora più belli, morbidi e adatti alla ovviamente, anche scus. Il manufatto, infatti, sembra ispirarsi a nonna Filomena lavorazione. (foto sopra a sinistra) ritratta in un cortile di Reana nel 1904, cun la cosse plene di scus, che cammina, circondata dalle fedeli galline, attraverso un caratteristico L’inizio dell’attività cortile friulano cui fanno da sfondo l’aia e le stalle. L’origine dell’intreccio di brattee, Tutta la bambolina è fatta di scus, compresa la piccola gerla tessuta a parte su un piccolo stampo di legno con una sottilissima corda sempre di cartoccio. I capelli per realizzare borse e altri ma- sono ottenuti applicando trasversalmente le “barbe” marroni che fuoriescono dalle nufatti, si perde nella leggenda e pannocchie mature, ulteriore testimonianza di come tutto venisse utilizzato in modo pare risalire intorno al 1620 anno creativo. Un cartoccio arancione è stato usato per fare il fazzoletto della testa e il caratteristico grembiule delle contadine. Solo due piccoli pallini neri di eyeliner in cui il granoturco fece la sua evocano il dolce viso della piccola fi gura. comparsa nel Rojale divenendo Delicate, precise e pazienti mani hanno realizzato questo manufatto donandole la una delle colture più praticate grazia che lo contraddistingue. fi no ai giorni nostri. Nei secoli passati tutto si faceva manual- stato un disertore dell’esercito i suoi giorni nel Rojale divulgando mente e il bisogno stimolava l’u- austriaco, tale Adolfo Turchetto, tale pratica artigianale. tilizzo di ogni materiale in modo che, imprigionato a Reana prima Questa leggenda rivela del vero. utile e creativo. Fu così che la fo- del 1866, durante la detenzione Il militare, durante il suo servizio glia che avvolge le pannocchie fu avrebbe usato i cartocci del suo nell’esercito austriaco, potrebbe impiegata, oltre che come strame materasso per realizzare una cor- aver conosciuto usanze, pratiche o foraggio, anche per imbottire da con la quale “intrecciare spor- artigianali e tradizioni in varie i materassi (pajòns) che, sep- te”. Maliziosamente potremmo regioni dell’Impero asburgico, tra pur rumorosi, vengono ricordati pensare che la corda di scus sa- cui la Boemia e la Moravia. Come asciutti, sani e comodi. rebbe potuta servire per un even- si può oggi verifi care visitando la Secondo un’ipotesi riportata da tuale tentativo di evasione. A libe- Repubblica Ceca, la tradizione del Chino Ermacora nel 1951, sarebbe razione avvenuta, l’uomo concluse cartoccio vive tutelata e promos- 15 • 51

comunque un ciclo annuale legato ai lavori nei campi con una forte produzione nei mesi invernali. Ma c’era anche un ciclo pluriennale con un massimo durante il primo confl itto mondiale, durante la cri- si agricola del 1930-35, nel corso della seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Il rifornimento di brattee avveni- va a settembre durante il raccolto del granoturco e nei periodi di maggior produzione si svolse anche al di fuori del territorio co- munale, presso i paesi limitrofi e nella bassa pianura friulana. La lavorazione delle sporte era una tecnica abbastanza sempli- ce da acquisire che coinvolgeva Tre coppie di ballerini danzano sulla musica del chitarrista che s’intravvede dietro il nell’attività tutti i membri delle gruppo. Tutto è fatto di cartoccio con artistica abilità nel rappresentare il momento famiglie dai sei anni in su. Nei festoso e movimentato. Un’estrema cura è stata dedicata alla realizzazione di ogni periodi di maggiore produzione dettaglio: la postura dei danzatori, il suonatore con la chitarra e il foulard al collo, i cartocciai lavoravano fi no a di- le fanciulle dai lunghi capelli (barbe di pannocchie) raccolti in una coda o decorati con un fermaglio sempre di scus, e gli abiti che si allargano nelle rotazioni lasciando ciassette - diciotto ore al giorno. intravvedere i mutandoni di pizzo. Non mancano piccoli quadretti di cartoccio Ognuno poteva realizzare quo- colorato a rendere la fantasia dei tessuti o i nastrini decorativi. Le fi bbie delle cinture tidianamente fi no a tre sporte che stringono la vita, i fi occhetti delle scarpette o i pantaloni a sbuffo e bicolor dei giovani con i capelli sulle spalle, concorrono a creare un insieme di grande valore rustiche e, benché non si conosca che testimonia l’evoluzione creativa di questo artigianato locale. con precisione la produzione, si sa che nel 1935 alla stazione fer- sa dal Ministero della Cultura che ovunque, e in particolare nel roviaria di Reana, oggi soppressa, provvede ad etichettare le bam- Rojale, un’importanza economica venivano caricati tre vagoni a set- boline e i cestini di scus con la di- e creativa di grande valore com- timana di manufatti di cartoccio citura Original Czeck tradition. plementare alla coltivazione del diretti a Milano, Bologna, Roma, Adolfo Turchetto, potrebbe granoturco. Napoli e Bari, dove venivano rappresentare uno degli anelli apprezzati per la loro superiore di congiunzione di questo arti- Gli artigiani e il mercato resistenza rispetto ai concorrenti gianato presente in vari territori Quante persone si dedicassero a in paglia. europei, le cui vere origini sono questa pratica è diffi cile da defi - Quando il regime di autarchia ancora da scoprire. Le indagini nire, sia per la mancanza di docu- ridusse le importazioni di articoli che lo riguardano potrebbero rap- menti, sia perché il loro numero e in pelle, la sporta diventò un pro- presentare un’occasione di appro- l’intensità della produzione varia- dotto sostitutivo. fondimento di fi gure che legano vano con le condizioni economi- I luoghi di lavorazione erano il territori lontani geografi camente. che: essendo un’attività integrati- cortile d’estate, la cucina e la stal- Queste attività di tradizione le- va dei redditi agricoli, aumentava la d’inverno. Quest’ultimo luogo, gate al mondo rurale assunsero quando questi diminuivano. C’era riscaldato dagli animali, era un 52 • 15

dedicandosi anch’essi alla lavo- razione artigianale del cartoccio. L’aumento di manodopera, de- terminato dal ritorno dei reduci, dei prigionieri, dei partigiani e la contemporanea paralisi dell’in- dustria, favorirono livelli eleva- tissimi di produzione che sfociò nell’esportazione verso Francia, Regno Unito e America, mercati già avviati con la presenza dei militari alleati. In questo periodo la necessità di accontentare il mercato determinò un calo della qualità, ma contemporaneamente alcuni artigiani sentirono l’esigen- za di proporre nuovi modelli oltre Le bamboline erano molto richieste nella seconda metà del Novecento, come la classica sporta a forma di paral- ricordo del Friuli, soprattutto dagli emigranti. Erano atteggiate a rappresentare i vari lelepipedo, mettendo così le basi lavori rurali o i momenti più signifi cativi della vita come il matrimonio o le nascite. per la produzione futura. punto di ritrovo nei dopocena di Il momento migliore fu certa- Le borsette e le altre creazioni tutta la numerosa famiglia che mente quello immediatamente L’espansione della produzione trascorreva le serate facendo successivo alla fi ne della guerra, continuò anche dopo la parten- sporte, pregando, cantando e rac- quando la popolazione della zona za delle truppe alleate perché contando storie. era cresciutcresciutaa aanancheche per inin Gran BretBretagnaagna e neglinegli USA il Ebbe a scrivere Chino Ermacora: lala presenzapresenza di sfollati prodottoprodotto era ormai conosciuto e “Ogni sporta era sudore di umili, che arrotondavaarrotondava-- sempresempre piùpiù richiesto. è callo di mani gentili che, con nono i llorooro DaDa questo momento, cominciarcominciaro-o- lena industriosa, riuscivano a redditiredditi no a prendereprendere ppiedeiede i nuovi trasformare in oro un residuo che modelli femminili di forma fi niva nella stalla”. elegante,elegante, cioècioè lele Fu proprio durante il Fascismo e la seconda guerra mondiale che la produzione raggiunse il massimo in quanto alla lavorazione contri- buivano anche i militari che dopo l’8 settembre tornarono nelle proprie case per nascondersi nei fi enili e nelle cantine facendo a loro volta gli “sportai”. Gli acquirenti non erano più sol- tanto italiani, perché i Tedeschi Borsetta a spina di pesce con chiusura Montgomery e pochette con chiusura metallica e decorazioni in pelle. Lo sviluppo di nuove esigenze e mode a partire avevano organizzato un’intensa dalla seconda metà del Novecento favorì la richiesta di borsette da passeggio esportazione verso la Germania. rilanciate da operatori del settore e richieste dal mercato internazionale. 15 • 53

Le sporte di Elio Bartolini

Lo scrittore Elio Bartolini (1922 forme coloritura: da un giallino - 2006) nel romanzo La linea dove più avevano sentito il sole dell’Arciduca, uscito nel 1980 a quel grigio lasciato dalle muf- fe, mai bianche insomma. per l’Editore Rusconi, accenna «Bastava metterle a bagno in alla lavorazione familiare del- una soluzione di solfato» dice le brattee di granoturco e ai l’ingegnere. mercati su cui venivano esitati «Sì» dice anche il podestà. questi prodotti dell’artigianato Ma per arrivare alla semplice contadino. Ecco due stralci tratti economia di questo rimedio, dalla seconda edizione (La Bi- suo padre aveva dovuto aspet- blioteca del Messaggero Vene- tare la prima guerra mondiale... e già nell’immediato dopoguer- to, Udine, 2003), rispettivamente ra... la produzione è tale che, a pag. 95 e a pag. 158: a reggerla, non bastano più le terebbe. donne di casa. Ma non occorre Cosa succede infatti, oggi, “... Il podestà... riprende un rac- assumere gente. C’è sempre dovendo spedire “tot. quintali”, conto che conviene suddividere una ragazza che deve farsi quel per esempio in Germania? Che in “fasi”: dai primi incerti inizi po’ di corredo, e allora la madre loro devono caricare una prima quando una sola persona (“... procura di lasciarla libera il più volta le borse sui camion; farle mio padre...”) lavorava gli stessi possibile quando, per aiutarla, arrivare alla stazione più vici- vimini raccolti nelle grave del non si mette anche lei a fare na: scaricarle dai camion per Tagliamento..., ad una svolta, sporte. caricarle su carri merce. E non anzi all’“idea” che gli era venuta «Non più ceste?» osserva l’in- è che un domani le cose, con di sfruttare quelle foglie di gra- gegnere. una ferrovia che pur rasenterà noturco di cui i contadini con- Quella è una produzione che, il paese, siano destinate a mi- tinuavano a riempirsi i sacconi, pur continuando, interessa gliorare”. ed erano i loro materassi, per meno. Specialmente dopo che farne sporte invece. «Non tutte la clientela femminile (“E parlo [...] le foglie si capisce. Solo quelle di quella delle grandi città”) s’è che fasciano direttamente la dimostrata propensa a sostitui- “ ... «Ma quelle a mano, proprio pannocchia. Le brattee» il po- re le borse di cuoio con queste di foglia di granoturco, quelle destà può perfi no chiamarle. di cartoccio. O, almeno, ad che faceva anche sua madre, Il procedimento sarebbe stato alternarle. quelle non le fanno più?» molto semplice (“Si prende una Ora: risparmiare cuoio signifi ca foglia, si divide nel senso della non importarne; non importar- Frastornato da tutta la gente lunghezza, si arrotola e si avvol- ne è risparmio di materia prima, che s’è precipitata al bar, il ge una metà dentro l’altra”), ma precetto fondamentale della giovanotto lì per lì non capisce. presentava degli inconvenienti: nuova politica autarchica. … Il Poi, per dirla con una delle sue l’eccessiva tagliente rigidità podestà … riprende facendo espressioni, “realizza”. delle foglie (“mia madre, mia notare come il “tempestivo al- «Le sporte? Sì, che ne fanno zia, mie sorelle che, per sbri- linearsi” della produzione con ancora a mano e proprio di fo- garsi, tenevano le foglie tra i l’attività economica nazionale denti, avevano le labbra sempre non trovi, almeno in fatto di glia di granoturco, ma quelle, le insanguinate”) e la loro non uni- trasporti, l’appoggio che meri- mandano tutte in America». 54 • 15

parte degli incettattori e contene- re le speculazioni. Nel 1956 a Cortale si istituì un corso per insegnare questo arti- gianato frequentato da una tren- tina di allievi per lo più donne. I corsi continuarono saltuaria- mente anche negli anni succes- sivi, per essere istituzionalizzati nel 1964-65 con il passaggio all’I.N.I.A.S.A. (Istituto nazionale per l’Istruzione e l’Addestramento per lo Sviluppo dell’Artigianato) che rese la formazione professio- nale un percorso triennale. Anni prima erano stati tentati an- che esperimenti per meccanizza- re la realizzazione della corda di cartoccio e la realizzazione delle borse, ma ogni tentativo non fu concorrenziale con la lavorazione La borsa rotonda da passeggio è uno splendido manufatto di brattee intrecciate manuale né sul piano dei tempi, in modo originale e moderno. Una doppia stella centrale si disegna sull’ordito a né su quello della qualità. raggiera. La fodera interna e il lungo manico a doppia corda completano l’opera. La moda borsette da passeggio. sana, una “Mostra del Cartoccio” Nel 1962 una nota modista italia- All’inizio degli anni Cinquanta, per far conoscere i nuovi modelli na rilanciò le borsette di cartoc- nella sola zona di Reana, nel pe- e articoli realizzati con le brattee cio viste a Marostica dove erano riodo invernale, la produzione di intrecciate: sporte, borsette, se- prodotte da artigiani che avevano sporte si aggirava sui ventimila die impagliate, stuoie, testiere di appreso la tecnica da uno sfollato pezzi, incettati dai raccoglitori a letto, sottocoppe, cestini, porta- a Qualso, frazione di Reana, du- 350-360 lire l’una. Purtroppo, ne- tovaglioli, copribottiglie, cornici, rante la guerra. gli anni, la concorrenza di nuovi pantofole, lampadari, pannelli de- La produzione, favorita dalle ten- materiali come la plastica, l’emi- corativi, portaprosciutti, rivesti- denze della moda, ebbe un nuovo grazione anche femminile verso la menti per fi aschi, nidi per uccelli impulso e sviluppo verso quali- Svizzera, l’aumento del costo del- e bamboline. Le sportaie friulane, fi cati beni di consumo e oggetti la vita, rendevano sempre meno cercavano sempre più di moder- originali come poltrone, arazzi, remunerativa la lavorazione delle nizzare la lavorazione e i modelli paralumi, tappeti per auto, bom- sporte riducendone la produzione. rispondendo ai nuovi gusti della boniere, pochette per le signore. Cercando di valorizzare questa clientela. Nel 1964 venne approvato l’atto tradizione artigianale, il parroco Lo stesso parroco intraprese l’i- costitutivo della Cooperativa arti- di Cortale, frazione di Reana, niziativa di creare un consorzio giana Cartocciai friulani con sede don Mario Fabrizio organizzò già per coordinare la produzione, a Cortale. a partire dal luglio del 1950, in promuovere la vendita, limitare lo Le persone coinvolte nell’attività occasione dell’annuale sagra pae- sfruttamento delle cartocciaie da si trovavano nel comune di Rea- 15 • 55

na con 435 addetti ed anche nei vicini comuni di con 300 addetti, Tricesimo con 175 addetti, con 90 addetti, con 90 addetti, con 45 addetti. La lavorazione delle brattee era affi data in preva- Le abili mani della maestra cartocciaia Le mani della cartocciaia arrotolano le lenza alle donne che vi si dedica- intrecciano la corda di scus su uno brattee per allungare via via la corda vano dall’infanzia alla vecchiaia. stampo di sporte. della trama che viene intrecciata Per molte giovani l’artigianato del all’ordito durante la fabbricazione di una sporta. cartoccio fu la risorsa economica con cui farsi il corredo ed evitare l’emigrazione Oltralpe. tro manufatto, era necessario uno lavoro. Con la corda, man mano Gli intermediari passavano setti- stampo di legno che riproducesse che la si allungava, si tesseva manalmente con dei camioncini a la forma dell’oggetto e un grosso un ordito verticale intorno allo raccogliere le sporte, spesso inca- ago ricurvo. Si iniziava a fare la stampo; poi con un altro cordone, strate una dentro l’altra per eco- cuarde portando alle labbra una che poteva essere di vari colori, nomizzare al massimo gli spazi. foglia, strappandone metà e av- si intrecciava la trama orizzon- A partire dal 1964 i prezzi di ven- volgendo abilmente ogni striscia tale creando la sporta. Per fare dita delle sporte oscillarono fra le di cartoccio l’una dentro l’altra, una borsa erano necessari circa 2.800 e le 5.000 lire al pezzo. quindi riprendendo quella pen- cinquecento metri di corda. La dente dalla bocca si continuava il tessitura poteva variare secondo La tecnica La lavorazione presupponeva una fase preliminare in autunno di scelta e pulitura delle brattee al momento del raccolto manuale del granoturco. I “cartocci” veni- vano divisi per colore, bianchi e scuri e per morbidezza. Le brattee interne, vicino alla pannocchia, di solito più chiare, morbide e vellutate venivano semplicemente sbiancate con l’anidride solforosa prodotta bruciando lo zolfo. Le scure o rosse venivano lasciate naturali o tinte con i colori per i tessuti e messe ad asciugare all’aria. I cartocci, prima di essere impie- gati nella lavorazione, dovevano Ecco una serie di oggetti di scus utili per la vita quotidiana come le sporte, le sedute venire inumiditi con acqua tiepida delle sedie, i portabottiglie. Si utilizzavano però anche altri materiali come la saggina per renderli più morbidi e malle- per la scopetta ed i vimini per il fi asco. Il fondale è costituito da tutoli, çuncùis, legati tra loro con la corda di scus. Del mais si utilizzava ogni parte e i tutoli, un abili. rapido combustibile diffusamente utilizzato, trovavano vari altri impieghi come in Per realizzare una sporta o un al- quest’esempio. Si veda Tiere furlane n. 12, 2012. 56 • 15

l’abilità del cartocciaio, ma i moti- di circa il 20%. Di solito erano i vi più ricorrenti erano l’intreccio grossisti che rifi nivano le borse doppio, a spina di pesce, a “dadi” con la fodera e gli accessori di a “V”, variati con i colori dei car- pelle e di legno soprattutto per i tocci secondo la creatività dell’ar- manici. Le borsette acquistate nel tigiano o le richieste del com- Rojale per 900 lire, fi nivano nelle mittente. Alla fi ne l’ordito veniva boutique per 6000 o 7000 lire, e, tagliato e saldato alla trama con se griffate, sono state vendute an- un lungo ago prima di sfi lare la che a 20 o 25 mila lire, e ancora di sporta dallo stampo. Rimanevano più quelle proposte nelle boutique da realizzare i manici creati a loro della Quinta strada a New York. volta con la corda di cartoccio Mentre nel primo Novecento intrecciata nel caso delle sporte, la borsa era un surrogato degli o aggiunti di legno nei periodi in introvabili prodotti in pelle, ora cui la moda richiedeva di abbelli- nella seconda metà del secolo, la re le borsette con accessori come borsetta di brattee si imponeva Il sig. Pietro Rizzotti è ritratto mentre chiusure metalliche, fodere di come articolo artigianale di quali- cammina, in un invernale paesaggio tessuto e, appunto, manici lignei tà e alla moda. innevato, di ritorno dalla casa del curvi, rotondi o di altre fogge. nipote a Collalto di Tarcento dove era stato a purcitâ. Porta la caratteristica Negli anni Sessanta e Settanta del Lis pipinis sporta di scus al cui interno forse c’era Novecento solo il 20% della pro- A partire dagli anni Settanta si anche un po’ di salsiccia e cotechino; duzione era formata da sporte, il diffuse anche la realizzazione di da essa spunta il tappo di sughero o magari di çuncùi (cioè il tutolo della resto erano borsette. bamboline (pipinis) richieste in pannocchia) di una bottiglia. Tra la neve Il guadagno stagionale di una modo particolare dagli emigranti si notano lis cumieriis dei campi di mais cartocciaia ammontava a circa che, rientrando per brevi periodi separati da fi le di gelsi; sullo sfondo si 400.000 lire. I raccoglitori incet- nel paese di nascita, prima di ri- possono scorgere il borgo di Zegliacco e le Prealpi Carniche. Fotografi a di tavano i lavori, rivendendoli ai partire, desideravano portare con Tarcisio Baldassi, 1949. grossisti con una maggiorazione sè un ricordo della loro terra. Le

La duttilità del cartoccio consentì la ricerca di nuove applicazioni nei settori dell’arredamento e dell’abbigliamento. Questo lettino per bambino è un bellissimo esempio di raffi nata tessitura in cartoccio. L’ordito della testiera e i piedi del letto costituiscono un’elegante gioco chiaroscurale di notevole modernità. Le abili mani dell’artigiano hanno decorato in modo creativo e giocoso la testiera del lettino con quattro bamboline ottenute sempre con la corda di brattee intrecciata all’ordito. 15 • 57

tive per salvaguardare la lavora- zione del cartoccio promuovendo annualmente la raccolta manuale degli scus presso un agriturismo del territorio comunale, e il Co- mune di Reana, dal canto suo, ha allestito una Mostra del Cartoccio e del Vimine, a carattere perma- nente, presso le ex scuole. In que- sta esposizione, allestita in modo accattivante, sono osservabili molti oggetti e fotografi e che te- stimoniano come l’ingegno creati- vo dei contadini friulani del Nove- cento sia stato ricco e meritevole Le scarpette rosse potrebbero ancor oggi fare bella mostra di sè in una vetrina alla di essere conosciuto e apprezzato moda accanto alle “ballerine” che fanno tanta tendenza. Sicuramente attirerebbero l’occhio per l’originalità della confezione. Al posto della tomaia in cuoio vediamo da un numero sempre maggiore un prezioso intreccio di sottile corda di cartocci rossi e verdi che testimoniano le di persone che ne conservino e sperimentazioni degli artigiani in vari settori come quello dell’abbigliamento (bustini) valorizzino la memoria. e delle calzature. bamboline erano composte sin- nomici e di natura fi scale. gole, in coppia o in piccoli gruppi La meccanizzazione della raccolta familiari, ritraendo i mestieri del mais fu forse il colpo di grazia contadini o i momenti importanti inferto a questo artigianato, per- della vita: nascite, matrimoni, fe- ché la diffi coltà di reperire la ma- ste, coppie di anziani, ecc. Queste teria prima portò molte cartoccia- bamboline, assieme alle sporte, ie a rinunciare alla lavorazione. erano uno degli oggetti più carat- Attualmente nel Rojale esiste una teristici della cultura friulana, in piccola produzione di manufatti particolare della zona del Rojale. di cartoccio legata più alla passio- Per anni il mercato non conobbe ne di qualche signora o ragazza crisi, l’unico ostacolo poteva esse- che ad aspetti economici. re la concorrenza da paesi Presso la scuola secondaria di Re- maiscoltori dell’Europa orientale. ana viene attivato annualmente Dalla Croazia infatti arrivarono un laboratorio di cartoccio con la sul mercato italiano prodotti dap- signora Gabriella Sbuelz onde in- prima scadenti, ma poi di qualità segnare agli studenti questa pra- indistinguibile da quelli friulani. tica artigianale locale che, oltre a Anche la nascita della coopera- produrre un oggetto tradizionale, Un manifesto, esposto presso la tiva, operativa fi no al 1987, non dà l’opportunità di migliorare le mostra permanente di Reana, evoca riuscì a neutralizzare l’attività dei relazioni sociali ricostruendo in l’ambiente domestico e rurale in cui si raccoglitori privati e a convincere un’aula il contesto di lavoro origi- lavoravano i cartocci. Appeso all’alare del fogolâr si vede il paiolo (cjalderie) in tutte le cartocciaie ad iscriversi, nario. cui si cucinava la polenta, il principale forse anche per fattori socio-eco- La Pro Loco ha intrapreso inizia- prodotto del mais. 58 • 15

La classica sporta friulana con trama verticale e scus colorati. Veniva usata nel mondo agricolo per ogni tipo di trasporto compreso quello della colazione nei campi. Fino a qualche decennio fa, quando esistevano ancora le latterie paesane, si vedevano dei contadini trasportare due bidoni del latte sul manubrio della bicicletta e usare due sporte come “cuscinetto” tra il contenitore di alluminio e il La streghetta, una simpatica telaio del veicolo. variante delle bamboline, interpreta bene le credenze popolari tradizionali di molte culture oltre a quella friulana. SPORTAI E CESTAI Bibliografi a

DEL LUNGOTORRE Barbarotto A., Esposizione permanente sul cartoccio a Reana del Rojale, Notiziario Nessuno sospetterebbe che le sporte, intessute con le brattee Ersa, n. 2, 2007. Barbina G., L’evoluzione dell’artigianato della pannocchia (scus) nei paesini lungo la sponda sinistra del tipico del cartoccio e le sue prospettive Torre, fi niscano persino nella Fifth Avenue di Nuova York: dai ru- future, Bollettino uffi ciale della C.C.I.A., n. 3, Udine, 1965. a stici cortili, o dalle semplici cucine del Friuli, alla 5 Strada di una Bergamini G., Venuti T., Reana: album delle più popolose città del mondo. Sono le sporte usate nei Picnic ritrovato, Reana, Tipografi a Chiandetti, 1976. del Week-end, per le partenze del sabato, quando gli abitanti delle Berini L., Il cartoccio nel Rojale, moderne Babeli sfollano in massa per godersi riposo e libertà all’a- Cooperativa artigiana Cartocciai friulani, perto. “Vita all’aperto” era anzi il moto del concorso bandito dalla Cortale (1964-1984), Reana 1984. Braida R., Cartocciai di Cortale, Bollettino «Organizzazione per lo sviluppo dell’artigianato italiano», per conto Uffi ciale della C.C.I.A., n. 6, Udine, 1960. della Handicraft’s I.N.C. Corporation statunitense: concorso a cui il Ermacora C., Sportai e cestai del lungotorre, Bollettino Uffi ciale della friulano Italo De Cecco partecipava nel 1947 con una serie di spor- C.C.I.A., Udine, anno V. 1951, n. 5. te di brattee, in gara con i prodotti toscani in paglia, di squisita fat- Ermacora C., Il Friuli aspetti caratteristici tura, come tutti sanno. Orbene anche i tipi friulani furono prescelti del lavoro, CCIA, Udine, 1953. Silvestri A., Contributi friulani e, da allora, valicarono l’Atlantico. all’autarchia, la confezione rustica delle sporte, Il Popolo del Friuli, 8.10.1941, Biblioteca comunale di Udine, misc. 1451. Alcune case americane esigono sporte foderate di tela colorata, a Venuti T., La mostra regionale del cartoccio due tasche interne, nelle quali si possono riporre lo specchietto e il ha 30 anni, L’Artigianato del Friuli-Venezia Giulia - rivista E.S.A., Anno XVI, n. 1, rossetto, gli spiccioli ed altro, ed esternamente ornate con fi ori ar- marzo 1983. tifi ciali policròmi di suggestivo effetto. Chi le usa, abbandonandole negligentemente sulla spalla con le lunghe cinghie, s’assicura una Siti Internet: nota di eleganza non comune. www.ersa.fvg.it/divulgativa-i musei della vita contadina/museo-del-cartoccio-e-del- vimine (Tratto da: Chino Ermacora, Sportai e cestai del lungotorre, 1951) http://www.sirm-fvg.org/mappe/cont_ www.manufaktura.cz 15 • 59

Stefano PERINI Il veterinario Giovan Battista (Tite) Gaspardis Un lungo impegno per l’allevamento in Friuli

No vâl nuie vèvè bbraurer /d’un dunçhe... alon! e dati cure / di territorio austro-ungarico) con vvidiellidielliell cussî beben ffatt, /cuanche no lei petegoless, / ma giornai lo scopo di favorire la diffusione dodopopo no tu âs cucurer / di nudri- d’agricolture, / se tu us stami nelle campagne del Friuli orien- lu di bonn latt! / Se tu us vetal cul progress! tale delle novità e delle buone ben formâtât / daid bonb latt e in Sono versi scritti nel 1908 dal pratiche agricole, nell’intento di abondanze... / no partalu un veterinario Tite (Giovan Battista) sviluppare conoscenze, far ap- Ndì al marçhad / biell ridott a Gaspardis ed apparsi sulle colon- uèss e panze!!.../ Conferenzis ne del Contadinello, il quindici- e giornai, / nus insegnin la nale edito tra quell’anno ed il 1914 Anni Trenta, Giovanni Battista Gaspardis, con il fi glio Davide, lancia maniere / di tirasi su i nemâi dall’Amministrazione provinciale il suo cavallo al trotto / ben formas, cun biele siere... / di Gorizia (città che allora era in (Archivio Gaspardis). 60 • 15

prendere tecniche appropriate e, conferenze domenicali nei vari vecchio di un anno di Gaspardis, per mezzo di queste, accrescere le paesi del Friuli austriaco furono divenne veterinario comunale di produzioni zootecniche. un ulteriore mezzo posto in atto Udine e poi direttore del macello Lo scopo delle poesie di Gaspar- dalla Provincia per sensibilizza- della città, nonché dal 1926 libero dis apparse su diversei numeri re ed informare gli agricoltori docente di zootecnia all’Università del Contadinello era eminente- e, in questo, Gaspardis fu certo di Bologna. mente didattico-esortativo: atti- maestro, grazie alla sua abilità Gaspardis fu spinto verso gli studi rare, attraverso la simpatia delle comunicativa che gli permetteva di veterinaria da una innata pas- situazioni trattate, l’attenzione di essere semplice e coinvolgente sione per gli animali in generale e delle classi meno istruite verso un senza cedere in nulla sul piano del da quel grande amore per i cavalli nuovo modo di intendere l’attività rigore scientifi co. che, sorto già nella fanciullezza, agricola, più attento ai metodi Furono moltissimi i suoi interven- non doveva più abbandonarlo. scientifi ci. La lingua friulana do- ti, particolarmente frequenti negli Il momento era peraltro favorevole veva essere un veicolo per rendere otto anni in cui svolse il proprio perchè la fi gura del veterinario, ancora più fruibile il messaggio. servizio presso la Provincia di anche grazie ad alcuni interventi I componimenti poetici, insom- Gorizia. Un servizio iniziato nel legislativi, in quegli anni stava ma, erano un vivace supporto a 1907, quando Tite Gaspardis ave- avendo in Italia una nuova consi- quanto la rivista e la Provincia si va ventotto anni, essendo nato a derazione. Con il decreto del 26 prefi ggevano, e lo fecero subito nel 1879. Nel centro giugno 1902 erano stati incremen- conoscere al grosso pubblico, for- collinare il padre, Enrico, era se- tati i fi nanziamentti per le con- se ancor più che la sua opera zoo- gretario comunale, ma ben presto dotte veterinarie ed erano state tecnica. In effetti, su ogni numero ebbe l’occasione di svolgere le introdotte per i veterinari compe- dello stesso periodico non mancò stesse funzioni nel paese d’origi- tenze in merito a vigilanza e pre- mai l’intervento di Gaspardis nella ne, Sevegliano, dove la famiglia venzione sui prodotti alimentari di rubrica “Consigli di Zootecnia”. In Gaspardis era una delle più cospi- origine animale. Furono create le essa trattò, con la chiarezza che cue. Qui, nella casa di famiglia, il nuove fi gure del “veterinario pro- gli era naturale, di allevamento, piccolo Giovan Battista trascorse vinciale”, “di confi ne” e “di porto”. di caratteristiche degli animali, di la fanciullezza prima di avviarsi a Contestualmente vennero attivati razze, di cura e pulizia della stalla Treviso, al seminario locale, per in diverse scuole, tra cui quella (non poteva non notare la diffusa proseguire gli studi ginnasiali e di Milano, corsi pratici di polizia trascuratezza in fatto di igiene zo- liceali. Durante gli anni trevisani veterinaria. Senza contare che già otecnica), di malattie, di pellami, ebbe l’amicizia di un altro giovane con il regio decreto del 3 febbraio di posture, di fecondazione e di friulano destinato a buona fama in 1901 erano state ben evidenziate gravidanze... insomma nel tempo seguito, Pio Paschini, e là ebbe la le funzioni determinanti del vete- sviluppò una sorta di enciclopedia ventura di incontrare monsignor rinario comunale: assistenza zo- zootecnica popolare. Soprattutto Sarto, allora patriarca di Venezia oiatrica, profi lassi e ispezione an- i bovini furono l’argomento, ma e poi papa con il nome di Pio X. nonaria, incremento zootecnico. non mancarono le indicazioni Concluse il suo percorso scolasti- Dunque campi d’attività che non si riguardanti i suini e, naturalmen- co a Milano, alla Scuola superiore limitavano alla pura zooiatria, ma te, gli amati equini, con diverse di Veterinaria, laureandosi bril- tendevano a fare di questo pro- intrusioni pure nei pollai e nelle lantemente in Zooiatria nel 1902. fessionista anche un promotore conigliere. Anche a Milano coltivò amicizie del miglioramento delle razze ani- Conferenzis e giornai si è letto friulane: in particolare quelle di mali, un divulgatore di pratiche nei versi d’introduzione, in quan- Giuseppe della Savia di Moruzzo d’allevamento più moderne e un to accanto alla parola scritta le e di Umberto Selan. Selan, più curatore della pubblica salute. 15 • 61

zootecnica alla Scuola agraria di la sua visita in Boemia, ancora Gorizia, istituto creato e gestito per trovare soggetti Simmental. da quella Provincia. In quella Una visita, quest’ultima, che le sede si segnalò per il profi cuo autorità avevano motivato con lavoro didattico, lasciando un po- l’intento di cercare bovini adatti sitivo ricordo in tutti gli innume- alla riproduzione all’interno della revoli allievi che lo ebbero come duplice monarchia, evitando così docente. di comperarli all’estero. I torelli, Il suo rapporto con la Provincia appartenenti a varie razze, acqui- non si limitò all’opera didattica e stati dalla Provincia e poi destina- divulgativa, ma le sue conoscenze ti alle diverse zone del Goriziano, vennero sfruttate pure come con- venivano fatti acclimatare nella sigliere zootecnico per il miglio- stazione provinciale di allevamen- ramento del patrimonio animale, to, collocata nelle stalle di Ettore soprattutto di quello bovino. Fin Tommasini, possidente e podestà dal tardo Ottocento nel Friuli di Tapogliano. In media vi erano italiano s’era diffusa la razza sviz- allocati una cinquantina di sog- zera Simmental (si veda Tiere getti che Gaspardis veniva spesso furlane n. 8, 2011) e nel Friuli a controllare. austriaco si era operata la stessa scelta, seppur dopo non pochi tentennamenti: una legge del Giovan Battista Gaspardis in sella a 1900 aveva fi nalmente stabilito Elsa nel luglio 1909 che quella era la scelta per la pia- (Archivio Gaspardis). nura, mentre nella fascia collinare si doveva puntare sulla Bruna ed Nella Contea di Gorizia in montagna sulla Mölltal. Gaspardis cominciò con la libe- Verso il 1910 ogni resistenza do- ra professione nel paese natale, vuta alla diffi denza degli alleva- Martignacco, ma contestualmente tori nei confronti della Simmental ebbe subito altri incarichi: con- si poteva dire superata grazie alle ferenziere, veterinario di confi - doti di questa bovina, ma soprat- ne, sorvegliante di mercati e di tutto grazie all’opera di convin- mostre bovine, controllo della cimento del Gaspardis, il quale monticazione..., tutte attività che ebbe a scrivere nel 1911 che “la rapidamente gli diedero esperien- razza Simmenthal-Friulana a tri- ze nuove, ma nell’esplicazione di plice produzione, resterà sempre esse mostrò presto una serie di il bovino ideale per i nostri paesi, qualità che con il tempo lo conno- converrà solo accentuare la robu- tarono: rigore, capacità diagnosti- stezza dei soggetti”. che e cliniche, abilità comunicati- Gaspardis fece parte di alcune va, umanità. Si specializzò inoltre commissioni inviate allora in con corsi presso le università di Svizzera alla ricerca di torelli Teresa Burba e Giovan Battista Gaspardis in una foto scattata durante Roma e di Milano. adatti, e di quei viaggi lasciò il loro viaggio di nozze a Roma nel Nel 1907 divenne insegnante di precise relazioni, così come sul- 1909 (Archivio Gaspardis). 62 • 15

volezza argomentativa che gli era corso maschile (Elementi di Zoo- propria, non sono didattici, ma si tecnia): due tomi di complessive fanno più densi e articolati, più 354 pagine che rappresentano “scientifi ci” nel metodo. Anzi, una il punto d’arrivo degli anni gori- delle sue prime collaborazioni fu ziani, non solo perchè pubblicati una relazione su una ricerca spe- alla fi ne di quell’esperienza, nel rimentale, condotta nel 1909 e nel 1914, ma principalmente per la 1910, riguardante la possibilità di loro completezza, che rivela la introdurre i sarmenti della vite profonda ed ampia competenza nell’alimentazione bovina. Un ar- dell’autore, e per la chiarezza di- gomento, quello dei succedanei al dattica del loro impianto. Dedicò fi eno, su cui tornerà anche in se- questa impegnativa pubblicazione guito, in particolare partecipando ai suoi genitori, offrendolo poi ad un concorso indetto nel 1917 “alla terra che mi ospita”. Nel pri- dalle autorità agricole per trovare, mo tomo parla della morfologia in tempi così diffi cili come quelli degli animali domestici e offre del confl itto mondiale, alternative note pratiche per l’allevamento di al foraggio tradizionale. polli e conigli. Nel secondo tratta Ulteriori articoli trattarono della di alimentazione, miglioramento Elementi di zootecnia di Giovan Battista già menzionata visita in Boemia, genetico e razze allevate per chiu- Gaspardis, Tipografi a sociale, Gorizia, dell’allevamento ovino e caprino dere con nozioni di veterinaria. 1914 (Archivio Gaspardis). L’immagine rappresenta fedelmente un’aia friulana nell’Alto Isonzo, dei cavalli da cor- Il testo venne richiesto da parec- dell’epoca, con l’abbeveratoio (laip) sa, dell’indole e dell’intelligenza chie scuole agrarie italiane, ma la per vacche e cavalli, le pecore per la di cani e cavalli, essendo stato ricchezza di contenuti e la chia- lana, il carro di fi eno trainato dai buoi, l’ampio fi enile e la vivace presenza della particolarmente colpito, tra l’al- rezza espositiva, ne decretarono il bassa corte con la donna di casa che tro, dai famosi cavalli calcolatori successo anche al fuori dell’ambi- distribuisce il becchime. di Eberfeld. Come sempre, volle to scolastico. provare personalmente quanto Le sue capacità zooiatriche lo sentito e così nel 1911 fece degli In guerra portarono ad essere chiamato esperimenti con la puledra Ines, La guerra fece terminare la sua per consulti da tutti i principali riuscendo a farle riconoscere i presenza a Gorizia. Una città già allevatori del Friuli austriaco e numeri fi no al tre e percepire le negli anni precedenti divisa da durante una di queste visite, a prime tre lettere dell’alfabeto. tensioni nazionalistiche tra ita- Campolongo al Torre, ebbe modo Tra le sue pubblicazioni di que- liani e sloveni ed anche in ambito di conoscere Teresa Burba che gli anni, impegnativi furono due italianofono da scontri politici tra dal 1909 sarà sua moglie. testi scolastici elaborati per la cattolici leali al mondo asburgico Se sulla rivista Il Contadinello vi Scuola agraria. Uno per il corso e liberali irredentisti, anelanti fu, come abbiamo visto, una sua femminile (La brava massaia: all’unione con l’Italia. Gaspardis, costante presenza, egli non rinun- nella stalla, animali da bassa italiano di passaporto e di sen- ciò per questo ad intervenire su corte, caseifi cio: nozioni ele- timenti, fu più vicino a quest’ul- altri periodici agricoli: soprattutto mentari ad uso dei corsi di timi, che, tra l’altro, ressero la sul Bullettino della Società agra- economia domestica presso Provincia fi no al 1913. La sua ria di Udine. Qui naturalmente i la Scuola agraria provinciale poesia più nota, A Gurizze biele, suoi contributi, che continuvano di Gorizia), libro di 85 pagine, è di chiara impronta irredentista. a mantenere quella chiara scorre- stampato nel 1913. L’altro per il Fu in seguito musicata da Mario 15 • 63

Macchi e Giordano Pazzut. Dunque, scoppiata la guerra nel luglio 1914, preferì far rimpatriare la famiglia (gli erano nati nel frat- tempo due fi gli ed un altro se ne aggiunse nel 1915) e poi lui stesso si unì ad essa. Temeva infatti che, restando a Gorizia – dove le atti- vità scolastiche e zootecniche s’e- rano necessariamente rarefatte –, poteva rimanere tagliato fuori dai Giovan Battista Gaspardis in divisa di Giovan Battista Gaspardis negli anni suoi nel caso, sempre più proba- tenente colonnello veterinario nel 1941 della maturità. bile, di un confl itto tra Italia ed (Archivio Gaspardis). Austria. Questo venne ed egli fu richia- migliorare la situazione. brevemente anche nella seconda mato (aveva svolto il servizio Sulla gestione del “parco buoi” di guerra mondiale, raggiungendo il militare in cavalleria a Pinerolo), Reggio Emilia stese una relazio- grado di tenente colonnello della comandato naturalmente a svol- ne per i superiori, come al solito riserva. gere attività veterinarie. In parti- precisa, chiara e circostanziata. colare gli fu affi data la direzione La relazione fu elogiata il 29 ago- Veterinario condotto dei “parchi buoi” prima di Reggio sto 1916 dall’Uffi cio d’Ispezione Terminata la Grande Guerra, gli Emilia e poi di Modena. I “parchi veterinaria del Ministero della venne riproposto di continuare buoi” erano centri di raccolta di Guerra, nella persona del col. Ca- la collaborazione con la Provin- animali da macello, che vi veniva- strani, che parlò di “accuratezza e cia di Gorizia, divenuta italiana. no accuditi e curati per essere poi diligenza” nella documentazione Una collaborazione certo ancora destinati all’alimentazione delle e di assenza di “ampollosità e pro- legata alla Scuola agraria, ma truppe. In genere ad ogni grande lissità” nello stile, con tante nota- che soprattutto avrebbe dovuto unità corrispondeva un “parco zioni di zootecnia, di igiene e di concentrarsi sulla difesa del poco buoi”. A Reggio Emilia egli dovet- profi lassi valide sia per il buon an- patrimonio animale sopravissuto te risolvere diversi problemi ed damento del “parco buoi” che per e sulla ricostruzione della sua ancora una volta scontrarsi con quello della regione agricola emi- consistenza e qualità. Una lusin- inveterati modi di trattare i bovi- liana, anzi di carattere più ampio ghiera proposta per Gaspardis, di ni, di cui erano portatori i vari bo- ancora. La riteneva perciò “utile cui veniva riconosciuto il positivo vari, che avevano questa mansio- dal punto di vista teorico e prati- impegno d’anteguerra, ma che ne anche nella vita civile e quindi co”, e quindi meritevole di stampa egli declinò, soprattutto perché sicuramente esperienza, ma per una sua maggior divulgazio- volle rimanere più vicino agli an- anche radicati pregiudizi. Senza ne. Così avvenne ed essa apparve ziani genitori, duramente provati contare che, essendo al servizio tanto in fascicoletto autonomo dalla perdita in guerra del fi glio militare, spesso svolgevano le che sul Bullettino dell’Associa- David, caduto sul Nad Logem. loro funzioni in modo trascurato. zione agraria friulana. Così nel 1919 egli colse l’occasio- In particolare, ancora una volta, In seguito alla rotta di Caporetto ne di divenire veterinario della dovette combattere con la scarsa fu raggiunto a Modena dalla fami- condotta di (tra attenzione per la pulizia degli ani- glia. Possiamo poi ricordare che l’altro allora ancora provincia di mali, ritenuta inutile dai bovari. nel periodo tra le due guerre ebbe Gorizia), contermine a Seveglia- Con il tempo riuscì comunque a diversi richiami alle armi e servì no. Si trasferì nella piccola loca- 64 • 15

e di interventi anche da località esterne alla sua condotta e pure da fuori regione. La sua diagnosi s’imponeva, e spesso in antitesi con quella di illustri clinici. L’attività della condotta non esau- riva il suo impegno. In effetti le sue conoscenze ed i suoi interessi vennero spesi anche in altre at- tività legate alla zootecnia. Nel 1921, ad esempio, fu nominato, su incarico del Ministero per le Terre Liberate, membro della commissione per la restituzione dei cavalli e per due volte si recò in Germania, onde ricevere al- cuni dei soggetti che i tedeschi dovevano all’Italia in conto ripa- razioni di guerra. Tenne sempre conferenze e lezioni divulgative, sfruttando le sue note capacità di coinvolgimento dell’uditorio. Fu organizzatore o giudice di diverse mostre equine e bovine. Scrisse molti articoli e testi di ar- gomento veterinario o riguardanti Il çhant di Visch di Tite Gaspardis: duçh unîs nus a il Destin / Te gran patrie dal l’allevamento e la cura di bovini Friûl!! ed equini. Oltre a ciò i suoi mul- tiformi interessi lo portarono ad lità di Alture (ove gli nacque l’ul- positivi per gi animali. Un lavoro essere accolto nel direttivo della timo fi glio, Davide, poi anch’egli che si muoveva su diversi piani Società fi lologica friulana e a far veterinario) ed indi a Visco, ove intersecantesi: attività di cura e parte dell’Accademia di Udine. Fu la famiglia tuttora risiede. Tenne prevenzione, compresa la mansio- consigliere comunale di Bagna- la condotta fi no al 1952, l’anno del ne di Uffi ciale Sanitario, controllo ria Arsa e giudice conciliatore di pensionamento. alimentare, promozione e miglio- Visco. Per trentatre anni Gaspardis ramento dell’allevamento. svolse l’attività di veterinario con- Fu conosciuto in particolare L’impegno per il cavallo dotto, e ciò lo portò a conoscere e per la cura dei cavalli, che in friulano frequentare ogni stalla della zona, gran numero arrivavano alla sua Nella vita di Giovan Battista Ga- mostrando sempre capacità dia- abitazione per essere trattati. spardis l’amore e l’interesse pro- gnostica e spirito didattico volto Gaspardis aveva consolidato una fessionale per i cavalli sono stati al miglioramento dell’igiene e del chiara fama non solo per la ca- delle costanti, concretizzatesi trattamento degli animali, pra- pacità diagnostica, ma anche per in una continua opera di studio, tiche spesso trascurate dai con- l’abilità chirurgica, il che com- divulgazione, difesa e rinsangua- tadini con esiti certamente non portò la richiesta di consulenze mento delle razze locali tanto “sul 15 • 65

campo” che nelle sedi istituzio- in Friuli, dove si stavano accumu- rara che dalla Provincia di Udine . nali. lando tipi e razze diverse senza Fece parte di diverse associazioni Subito dopo il primo confl itto costrutto. I contatti ed i confronti ed istituzioni volte al migliora- mondiale promosse, con il possi- con la Francia lo portarono a mento delle razze equine ed alle dente conte Vicardo di Colloredo- vedere nel Percheron il cavallo volte ne fu promotore. Già nel Mels di Crauglio, una stazione di adatto alla bisogna, ed egli so- 1937 il conte Gallenga Stuart, monta equina, che trovò colloca- stenne con fermezza questa sua presidente dell’UNIRE (Unione zione in quel paese nell’azienda opinione, diventando un autentico Nazionale per l’Incremento del- del Colloredo stesso, servita da propagandista di tale razza . Vi è le Razze Equine), ente morale stalloni erariali, provenienti dal da dire che in ciò fu assecondato dipendente dal Ministero dell’A- Deposito Stalloni di Ferrara . dalla direzione del Deposito di gricoltura, lo invitò a Roma alla Questa stazione, in cui l’impegno Ferrara che inviò ad Aiello quasi riunione dei Fiduciari dell’Ippica privato era prevalente, funzionò sempre stalloni Percheron. per trattare argomenti in materia, negli anni Venti, poi fu sostituita Questa strada da molti fu segui- “della quale la S. V. per competen- da quella impiantata erarialmente ta, con soddisfazione generale, za e passione pienamente affi da”, ad Aiello del Friuli nel 1930 e del- specialmante nella Bassa, là dove attestazione, quest’ultima, di la quale Gaspardis (che era pure v’era necessità di un vero “cavallo chiara stima in Gaspardis, vista membro della Commissione zoo- agricolo”. Allevatori ed agricoltori la sua passata e presente attività tecnica provinciale) fu direttore locali condividevano la scelta, nel campo. Un riconoscimento gli fi no al pensionamento. In genere come è dimostrato dalle fi rme era venuto anche con la nomina gli stalloni erano di razza Perche- raccolte a sostegno della conti- a presidente del Comitato ippico ron per il tiro pesante, Bretone nuità della presenza di stalloni della Provincia di Udine e, in que- per il tiro pesante rapido e Lipiz- di questa razza nelle stazioni di sta veste, nel 1939 vanamente si zana per il traino leggero. Ci si av- monta. Per la sua attività di diret- battè in difesa del cavallo Perche- valeva di un asino onde produrre tore della stazione e di propagan- ron. Infatti in una riunione presso muli per l’esercito. Nel periodo dista del Percheron, Gaspardis il Consiglio provinciale delle Cor- dell’anno in cui la stazione era ebbe elogi sia dal Deposito di Fer- porazioni dell’11 maggio si discus- in funzione il Deposito mandava anche un palafreniere ad accudi- re gli animali. In tutto questo il Vace latarole direttore aveva il compito di ispe- zionare ogni giorno la stazione, di Chiaf pizinin e sutilutt il cuel / tirade a fi l orizontal la schene, / mor- provvedere ai foraggi, di control- bidute e grasizze un poc la piel, / fate a zig zag e gruèsse assai lare i vari registri, relazionando la vene, / che ator dal luvri nus prepare il lat. / Sarà dal monzi la al Deposito sull’andamento del funzion perfete, / cuanco varin un luvri cussì fat / c’al sei larg e pro- servizio e sui risultati raggiunti. fond, e che la tete / sei lisse, lunge e viarte di canàl. / Dovès cirì une Fin dal 1919 Gaspardis, assieme vace che sei buine / e plene di salut (che plui al val), / in quant po’ a ad altri appassionati, si era dedi- raze, che sei raze fi ne. / Oh, dopo fat l’aquist po’, si conven / pensà, cato alla ricerca di cavalli ade- che iè no viv dome di glorie, / la vace latarole, ma bon fen / iè us guati a costruire una razza adatta domande, e... alc te mangiadorie. alle necessità agrarie friulane (da Il Contadinello, n. 20 del 1909. Lo scopo era quello di superare le diffi coltà del dopoguerra, ma Una scelta di poesie di Tite Gaspardis, dal titolo Versi friulani, è uscita nel 1961, a cura e con introduzione di Maria Gioitti Del Monaco. Già nel 1910, visto il successo soprattutto ottenere un tipo di riscosso, era stata pubblicata a Gorizia la raccolta dei versi fi no ad allora apparsi sul animale “standard” da diffondere Contadinello: Lis furlanadis di Tite dal Contadinell. 66 • 15

di partenza, attraverso l’unione con cavalle Noriche. Si vedeva costretto, quindi, a dover apprez- zare anche il poco amato Bretone, comunque una razza certo miglio- re rispetto ai cavalli senza qualità che erano rimasti in Friuli. E ancora nel 1951: “Il cavallo locale non deve essere né aveglinese, né jugoslavo, né belga, ma il “cavallo agricolo friulano”. Alla mostra di Ronchi dello stesso Un bell’esemplare equino alla Mostra di Palmanova negli anni Trenta (Archivio Gaspardis). anno ricordò che “noi studiosi del cavallo agricolo abbiamo rilevato se se continuare a puntare su di friulano, accentuata dai fatti della la necessità di provvedere a dare esso quale riproduttore o abban- guerra e del dopoguerra, quando ‘unicità di tipo’ al cavallo agricolo donarlo, dato che molti proprie- sempre più in Friuli vennero in- friulano. Anzitutto si è vista la tari e veterinari dell’Alto Friuli lo trodotte, da mercanti volti solo al necessità di trascurare ognora criticavano, ritenendolo troppo guadagno, “cavalline senza razza” più il cavallo leggero, che non può alto, fi acco ed eccessivamente vo- provenienti dalla Jugoslavia. lavorare nei campi se non male race. Gaspardis cercò di smontare La sua attività in quegli anni fu o gravemente logorandosi. Ci si queste critiche, ma a nulla valsero tutta volta a contrastare il feno- è perciò preoccupati di stabilire le sue perorazioni, nè le successi- meno ed a ridare dignità e forza come – in linea generale – dev’es- ve proteste degli allevatori della all’allevamento di un tipo equino sere il cavallo agricolo friulano”. Bassa. Il nuovo indirizzo puntò friulano uniforme nella morfolo- Le caratteristiche indicate erano: sul cavallo Bretone, con risultati gia e adatto all’ambiente, contro tipo mesomorfo, alto in media che Gaspardis in seguito giudicò quella variopinta congerie o “mi- 1,50 metri, del peso di 5 quintali, come minimo “discordi”. scellanea”, come ebbe a dire, che largo di bacino e di petto, ampio Sulla questione stilò per l’Ispetto- andava per la maggiore. di torace, con garretti non troppo rato zootecnico di Udine un’ampia Portò avanti questo impegno grossi, stinco di 22 centimetri, relazione nella quale, dopo aver nella Sezione zootecnica della lungo in proporzione del tronco. ripercorso i problemi dello svi- Consulta economica provinciale L’impegno dunque era ricomincia- luppo dell’allevamento equino dal della Camera di Commercio, in to e continuò poi in tutte le sedi dopoguerra in poi, rivendicando cui venne rinominato nel 1949, e in cui egli poté operare. anche il suo ruolo, difendeva la naturalmente quale presidente Per giungere al fi ne desiderato scelta fatta allora del Percheron, del Comitato ippico, emanazione promosse, assieme al Comitato ip- che non fu casuale, ma basata su della Sezione. pico, la nascita di un’associazione studi e scelte ponderate di esper- Nel 1947 scriveva che “per la che avesse questi obiettivi, coin- ti, avallata peraltro dall’Ispettora- formazione di un tipo di cavallo volgendo allevatori ed agricoltori. to stesso. Egli giudicava il Breto- agricolo adatto al nostro ambiente Ciò fu ritenuta cosa sommamente ne “un bastardo che non ha dato e l’azione zootecnica va intrapresa utile fi n dal 1948, ma ci sareb- non darà risultato alcuno”. ex-novo, dopo le distruzioni cau- bero voluti alcuni anni prima di Negli anni Cinquanta vedrà pro- sate dalla guerra” ed indicava nei vederla realizzata. Infatti fu solo prio in quella scelta l’inizio di pochi esemplari di Percheron e di nell’aprile 1951 che da questi sfor- una deriva negativa per il cavallo Bretone ancora esistenti i punti zi si creò l’Associazione Allevatori 15 • 67

del Cavallo agricolo friulano. Alla mostra nella quale Gaspardis In ogni caso l’attività indirizzata presidenza venne nominato natu- ebbe larga parte come organizza- ad avere in Friuli un “tipo uni- ralmente Gaspardis. tore e membro delle varie giurie. fi cato” sembrava inceppata. La Gli scopi dell’associazione erano Non è che le cose procedessero stessa mostra di Udine su citata la classifi cazione morfologica del- però nel migliore dei modi rispet- aveva mostrato che i cavalli ju- le fattrici scelte del Friuli, la loro to al prefi ssato obiettivo. Più volte goslavi erano la maggioranza. Il iscrizione in un libro genealogico, Gaspardis ebbe a lamentare l’ec- Comitato ippico decise allora di il lavoro di coordinamento tra cessiva introduzione in regione di ricorrere al Ministero dell’Agricol- i vari centri di riproduzione, la cavalli jugoslavi castrati di taglia tura per ottenere delle fattrici. Il determinazione di linee guida di ridotta, generata dalla volontà di Ministero, pur con alcune cautele, riproduzione a seconda delle esi- molti agricoltori di avere comun- accolse la proposta. Si pensò ad genze agricole, l’assistenza agli al- que un cavallo anche se di scarsa un’importazione annuale di 30-40 levatori in campo tecnico e com- qualità, ma a basso prezzo. Ciò, cavalle di razza norica dall’Au- merciale, lo sviluppo di mostre e diceva, stava vanifi cando tutto stria, ma il problema era: a quali concorsi zootecnici. Un program- lo sforzo che si faceva: invece di stalloni accoppiarle? Gaspardis, ma certo impegnativo che, però, castrati, che non erano di nessu- coerentemente con le sue prece- secondo Gaspardis doveva ancora na utilità per il Friuli, bisognava denti idee, non credeva che i Bre- accrescersi col tempo. importare valide fattrici. Senza esistenti in Friuli potessero Nel dopoguerra vi fu la rinascita contare che anche l’Associazione portare a nulla di buono. Invece delle mostre e dei concorsi zoo- sembrava languire se, proprio in quella poteva essere fi nalmente tecnici, nei quali il Comitato ip- occasione della mostra di Udine, l’occasione per creare un nucleo pico e Gaspardis si impegnarono egli ebbe a scrivere che le indica- fortemente. A proposito di queste zioni per lo sviluppo del cavallo rassegne, Gaspardis sottolineò agricolo locale “potranno avere che esse dovevano essere vissute buon esito solo però se si provve- nel loro reale ruolo, non come derà a fare rivivere l’Associazione “una mostra spettacolo, una fe- Allevatori del Cavallo agricolo sta agricola soltanto”, ma come friulano”, attraverso la creazione “un campo d’esame con fi nalità di nuclei di soci da coinvolgere tecniche, un punto d’arrivo e di ed interessare, in particolare in partenza” nel cammino dello svi- quelle zone della Bassa ove il luppo zootecnico . cavallo era più importante. Con Qui ricordiamo i concorsi di Pal- lungimiranza invitava inoltre, fi n manova iniziati nel 1947 e poi dagli anni Quaranta, esperti ed svoltisi ogni due anni nel Foro Bo- allevatori ad accostarsi alle cono- ario della cittadina. Poi le mostre scenze e scoperte della genetica di Codroipo, e Ronchi del che sarebbero state di grande uti- 1950, di nel 1951, ancora lità nell’ottenimento di un equino Ronchi lo stesso anno, ecc. adatto per il Friuli. Punto culminante fu certo la Da ricordare inoltre in quegli anni grande mostra di Udine del 26 l’impegno dell’Associazione Alle- aprile 1956 per la tradizionale vatori e del Comitato ippico per Questa immagine, risalente agli anni fi era di S. Giorgio, richiamata in la monticazione dei puledri, che Cinquanta, bene interpreta il grande amore di Giovan Battista Gaspardis per vita, dopo una lunga interruzione dalla permanenza in malga non gli animali: qui è con un cercopiteco nel di 17 anni, dal Comitato ippico, potevano che trarre benefi cio. giardino della sua casa di Visco. 68 • 15

vallo friulano” dei tempi trascorsi: un cavallo tipico della regione, un soggetto elegante, veloce, da traino leggero, dal mantello grigio o roano, raramente morello. Que- sta razza decadde verso il 1865, anche a causa della riduzione delle superfi ci a pascolo e a prato stabile: sparì rapidamente nel giro di un decennio. La sua velocità l’aveva portata ad essere molto apprezzata sulle piste del Friuli e del Veneto. Gaspardis, che possedeva trotta- tori di discreto valore, ebbe inte- resse pure per l’agonismo ippico e Due cavalle alla Rassegna equina di Latisana, 11 novembre 1923. si inserì nel mondo del trotto per il quale scrisse l’opera di divulga- di cavalli friulani se gli stalloni zione genetica, sulle cure che si zione: Per il nostro trottatore, di sarebbero stati anch’essi dei no- dovevano alle bestie (igiene, ali- 88 pagine, stampata a Bologna nel rici, razza non bella, ma antica, mentazione) e, in particolare, su 1955. Il sottotitolo del libro è Bre- valida funzionalmente, e che una corretta ferratura, tanto che ve guida popolare, ma indubbia- bene poteva legarsi alla storia ed si premurò di promuovere corsi di mente, rispetto ad altri suoi scritti all’ambiente del Friuli. Insomma mascalcia che l’Ispettorato Agra- di simile argomento, il contenuto come dalle Simmental era venuta rio, in effetti, attivò in più località. in questo caso è più approfondito l’apprezzata Pezzata Rossa Friu- Volle pure che in alcune mostre, e sistematico, certo sapendo di lana, così ora poteva svilupparsi il in particolare quella di Udine del rivolgersi a persone già addentro Norico friulano, fi nalmente dando 1956, accanto ai cavalli ci fosse- ai problemi del cavallo sportivo. “col tempo, al Friuli una fi siono- ro rassegne di attrezzature e di L’ampia introduzione è di Primo mia sua propria, una razza su cui mascalcia, anch’esse valutate da Castelvetro, uno dei principali contare”. Questa nel 1957 fu la apposite giurie. conoscitori e fautori dello svi- proposta sua in seno al Comitato Accompagnò la sua azione in luppo del trotto italiano di quel ippico, e le cose sembrarono, sep- questo campo con scritti tecnici o periodo, testimonianza ulteriore pur lentamente, riavviarsi nella di esortazione al miglioramento, dell’apprezzamento di Gaspardis direzione desiderata. In realtà vi quali quelli apparsi sulle riviste e della sua opera tra le persone erano grosse resistenze in quanto L’Agricoltura friulana, organo realmente e positivamente attive questa linea contrastava con gli della Cattedra ambulante, e Ter- nel mondo ippico italiano. interessi dei commercianti, che ra friulana, rivista di tecnica Aiutò pure lo svolgimento dei facevano buoni affari con i cavalli ed economia agricola, che vide la Concorsi ippici nazionali di Udi- di poco pregio provenienti da Au- luce nel 1956. ne, organizzati dal Circolo ippico stria e Jugoslavia. Anche i tempi Il suo interesse per lo sviluppo Friulano in quegli anni. stavano mutando e, con essi, il ippico friulano lo portò natural- Con il senno di poi si potrebbe ruolo del cavallo in agricoltura. mente anche a studiare il passato, pensare che l’obiettivo di svilup- Gaspardis continuava ad insiste- dedicando spazio ed attenzione in pare un “cavallo agricolo friulano” re, oltre che su una seria imposta- particolare a quello che era il “ca- nei tardi anni Cinquanta fosse 15 • 69

superato dall’evoluzione tecnica, corretta la morfologia, ma questo vano minacciare questa razza, so- visto che nel giro di poco tempo poteva divenire possibile se nell’a- prattutto se si pensava di volgerla il ruolo degli equini nell’agricol- zione venivano coinvolti e convinti verso una specializzazione invece tura sarebbe divenuto marginale gli allevatori, non rimanendo di mantenerla a triplice atttitudi- anche in Friuli, dove la mecca- l’impegno puro appannaggio di ne (carne, latte, lavoro). nizzazione dell’agricoltura era già esperti e della stampa specializza- Anche il lavoro era importante, iniziata. ta. In questo un ruolo importante perché portava moto e quindi igie- Gaspardis era ben consapevole di potevano averlo i veterinari, cui ne e buona salute. Certo esso non ciò ma, come in genere tutti gli gli allevatori dovevano affi darsi sempre era possibile, specialmen- altri esperti del settore, riteneva con fi ducia. te per gli allevamenti più grandi: che l’attività dei cavalli fosse ben Egli vedeva dei pericoli che pote- vi si doveva ovviare con il movi- lungi dall’essere superata, sia a causa della debolezza dell’agricol- tura friulana, ove l’acquisto del trattore per molti pareva impossi- bile, sia perchè l’equino era stru- mento duttile, che poteva essere utilizzato in lavori particolari o in condizioni ambientali dove diffi - cilmente il trattore poteva giun- gere. Non sarà mancata, in verità, una certa fi ducia un po’ sentimen- tale nell’attaccamento al cavallo dell’agricoltore nostrano. In effetti per un po’ la possibilità di compiere con i cavalli lavori di aratura più precisi rispetto al mez- zo meccanico, o di svolgere altri compiti particolari, ne rallenterà il calo numerico, ma non per molto: se nel 1961 vi erano 15.000 cavalli in Friuli, già nel 1968 ne era rima- sto meno di un terzo, per lo più animali da carrozza o da sella.

Per la Pezzata Rossa Friulana Difendere e migliorare la Pezzata rossa, ormai regina della pianura, alla cui diffusione egli aveva tanto contribuito, furono obiettivi sem- pre in cima ai suoi pensieri, anche Fagagna 1954: il veterinario Tite Gaspardis (a sinistra, col cappello bianco) prende nel secondo dopoguerra. Era certo appunti davanti ad un bel soggetto di razza Nera friulana. Egli era fermamente che si potesse raggiungere un convinto che la qualità del prosciutto di San Daniele fosse merito di questo suino dal manto nero, una razza che si sarebbe dovuta migliorare, diffondere e miglioramento della razza, ren- valorizzare. Non fu ascoltato: il purcit neri si estinse negli anni Settanta e ora è dendone più robusta la fi bra e più rimpianto da chi vorrebbe produrre un prosciutto “di nicchia”. 70 • 15

mento o con la monticazione. ad importazioni, preferibilmente e la sua economia agricola. Erano Un altro pericolo, che egli conside- ancora di maiali con caratteri ancora anni in cui si usciva dalla rava una vera degenerazione, era primitivi rispetto alle moderne miseria delle guerre e, quindi, si la tendenza alla diminuzione della razze, ma di lì doveva venire un badava alla quantità: tutta l’opera taglia della razza, avvertibile in prosciutto di seconda scelta, non del Gaspardis fu volta al raggiun- capi provenienti da altre contrade il vero San Daniele. gimento di obiettivi quantitativi, e in particolare dalla Svizzera. Per Non si limitò alla teoria, ma curò ma il profeta che era in lui sapeva contrastare il fenomeno sarebbe per l’Ispettorato agrario la scelta vedere oltre. Peccato che i profeti stato necessario, quindi, fare da di soggetti neri selezionati per la non siano ascoltati in patria. soli: le forze e le capacità per un riproduzione, che diedero buoni Giovan Battista Gaspardis è piano di selezione tutto friulano risultati. Inoltre defi nì i caratteri morto nel 1960, lasciando vasto esistevano. Su questi argomenti che doveva avere il “nero friula- rimpianto. Subentrarono anni egli spesso intervenne e scrisse. no” adeguato ai tempi nuovi. Un di ubriacatura produttivistica: animale che, tra l’altro, per poter il Friuli, così piccolo, entrò nella Per il maiale nero friulano aumentare di numero, avrebbe grande macina dell’agribusiness Preoccupazioni mostrava anche dovuto perdere le caratterische internazionale rimanendone per l’allevamento nostrano dei di pascolatore per adattarsi alle schiacciato ed ora annaspa attor- suini, che vedeva problematico, porcilaie. no alle poche produzioni che lo in quanto (come scrisse nel 1952) Non poté vedere gli effetti delle possono caratterizzare. Tite il ve- subiva l’effetto di una eccessi- sue fatiche ed esortazioni, ma ne terinario, lo scienziato, l’intellet- va consanguineità e si portava sarebbe rimasto assai deluso, per- tuale, il poeta aveva visto giusto dietro le carenze ereditate dal ché dagli anni Settanta il suino e il vero rimpianto è quello di non regime alimentare e dai metodi nero friulano venne considerato aver seguito le sue indicazioni. d’allevamento dei tempi di guerra. praticamente estinto. Mandi Tite, ci piace pensarti coi Bisognava rivedere e migliorare il tuoi amati cavalli, con la Sim- patrimonio suinicolo, sviluppando Mandi Tite mental e il purcit neri, in una di una razza più sana, più resistente, La fi gura di Giovan Battista Ga- quelle aie piene di vita che solevi adatta alla produzione tanto di spardis è stata fondamentale per attraversare con passo sicuro; la carne che di grasso. lo sviluppo zootecnico friulano, tua grande anima friulana è rima- Particolare attenzione rivolse ai e, al di là delle grandi conoscenze sta a confortarci in questo Friuli suini tradizionali del Friuli, quel- tecniche del veterinario, vanno di asfalto e cemento. li neri, che erano il vanto della sottolineate le sue doti di intel- produzione locale ed il nerbo sul lettuale che sapeva coniugare il Bibliografi a quale si basava gran parte della sapere scientifi co con l’economia qualità del rinomato prosciutto di locale in un pensiero altruista Per saperne di più su questo importante personaggio che ha segnato in modo S. Daniele. Gaspardis, infatti, rite- sempre volto all’avvenire di quella indelebile l’allevamento friulano del Novecento si veda soprattutto il recente neva che il suo particolare sapore che defi nì “la terra che mi ospita” libro di Stefano Perini, Tita Gaspardis: fosse dovuto alla razza, con tutte e al miglioramento delle condizio- veterinario nel ‘900 in Friuli, Sodalissi culturâl Tormilaghis, Crauglio, 2012. le sue caratteristiche di primitivi- ni di vita della sua gente. Per una effi cace sintesi si veda la voce tà, piuttosto che alla lavorazione e Nella sua visione del futuro c’e- Gaspardis Giovanni Battista (Tita), stagionatura delle carni. Per que- rano quelle produzioni che ora veterinario e verseggiatore, curata da Andrea Cafarelli, in Nuovo Liruti - sta ragione i suini neri dovevano vengono defi nite “tipiche” e sicu- Dizionario biografi co dei Friulani, 3. essere incrementati di numero. ramente aveva ben chiara l’impor- L’età contemporanea, Forum, Udine, 2011. Su Gaspardis poeta una nota in Cultura Certo, a suo dire, per la grossa tanza della qualità che, sola, po- friulana nel Goriziano, Gorizia 1988, produzione bisognava rivolgersi teva contraddistinguere il Friuli pag. 126. 15 • 71

Sergio ZANELLA Casere del Canale d’Incarojo La cjadene e la buine man: vita e struttura abitativa della malga carnica

Le malghe storiche sono uno de- delle descrizioni del Marchettano azione di documentazione storica gli elementi che maggiormente del 1911 (I pascoli alpini della è stata prodotta sull’argomento. caratterizzano il paesaggio delle Carnia e del Canal del Ferro) L’identità vive nelle parole e nelle Terre Alte in Val d’Incarojo. Esse con un saggio breve su Le mal- cose di una Comunità. Le malghe connotano la forma di occupazio- ghe dimenticate di Vinicio De- d’Incarojo sono documenti della ne dei suoli destinati all’alpeggio pollo e le fotografi e di Gian Carlo cultura materiale di questa Valle Be, parimenti, individuano specifi - Gualandra. come lo sono quelli immateriali: cità culturali, tecniche costruttive La marginalità dell’argomento, narrazioni, rituali, toponimi pre- e saperi messi in atto dalle Comu- anche rispetto agli studi e alle senti nell’immaginario collettivo, nità residenti nella gestione del documentazioni relative all’archi- o quelli volatili come i sapori territorio alpino. tettura degli insediamenti vallivi dell’agro-alimentare. Oggi lo stato dei lavori sul mon- alpini, consente una progressiva La cultura locale, storicamente, si do delle malghe (ricostruzioni, e dolce cancellazione di segni è intrecciata con la cultura vene- ammodernamenti, rifacimenti) identitari di indubbia caratura ta, quella della frontiera carinzia- oscilla tra pittoreschi disegni di culturale. na e, in misura minore, con quella fantasia tesi a conservare memo- A dire il vero sedici anni fa un ar- di matrice slava. ria del passato e deludenti moder- ticolo sulla rivista Rassegna Tec- La singolarità della Valle è leggi- nizzazioni dei manufatti malghivi nica del Friuli-VG (maggio-giugno bile negli elementi costitutivi del sempre più anonimi e preda di 1996) sottolineava, tra l’altro, “Un suo paesaggio come insieme di suggestioni di un malinteso “stile altro aspetto spesso non tenuto fatti naturali ed antropici. alpino”. nella dovuta considerazione ri- Le poche documentazioni esisten- guarda la qualità delle ristruttu- La Natura e l’Uomo ti, raramente sistematiche, sono razioni; un intervento corretto dal Il bacino idrografi co del torrente di tipo descrittivo-letterario o fo- punto di vista architettonico, che Chiarsò, che dà forma alla Val tografi co; in genere queste ultime mantenga le caratteristiche tra- d’Incarojo, amministrativamente sono di contesto paesaggistico, mandateci dalle generazioni pas- appartiene per la maggior parte o di dettaglio d’interni e di vita sate, non è solo auspicabile per al Comune di Paularo, con alcune d’alpeggio. ragioni culturali ma si dimostra parti che ricadono nei Comuni di Il testo più noto ed organizzato, effi cace anche dal punto di vista , Ligosullo ed Arta. Lassù sui monti (Graphik Studio economico...”. Tale auspicio è però La Valle è un libro aperto. Le sue Udine 1979), è un assemblaggio rimasto lettera morta e nessuna pagine naturali sono lette nella 72 • 15

L’ambiente della malga Le malghe, come insieme di pa- scoli, manufatti (casere, stalle, logge) e piccole infrastrutture (sentieri, pozze, fontane, cana- lette per l’acqua di smaltimento della buiace di stalla e per la concimazione dei pascoli) sono uno degli elementi identitari del paesaggio di questa Valle. Abitate da famiglie di malgari (una per Stua Ramaz. Fotografi a di G. Segalla. Casera Ramaz. Fotografi a di G. Segalla. tutte i Gortani di Cabia), percorsa da farinarie (donne che mediante loro originalità in quanto passibili casera d’alpeggio. Stalla, casera gerla movimentavano verso valle i solo di lente trasformazioni: il e stue sono ben documentati da prodotti di malga e generi alimen- Paleozoico Carnico e le sue for- Giacomo Segalla fotoetnografo tari e materiali verso la casera), mazioni rocciose, le deformazioni della Valle e dei suoi abitanti. attive fi no agli anni Settanta del delle orogenesi ercinica ed alpidi- secolo scorso (la Miute, la Titi- ca sono impresse nelle rocce dello Assetto fondiario ne), da pastori e conduttori di Zermula, del Dimon, del Lodin Dal punto di vista fondiario la val- muli, da fedârs (casari), e anche e del Cason di Lanza, successi- le è caratterizzata da due grandi da ragazzini mandati in “vacan- vamente modellati dall’azione proprietà: la Tenuta silvo-pasto- za attiva” in malga come pastori glaciale. rale di Genagricola, ex Consorzio di caprini e ovini (e no par stâ Laghi e torbiere si trovano sui privato Malghe di Ligosullo, e le come gjat ta foghere!). piani sommitali, mentre sui ter- due Tenute della Regione Autono- Racconti e stili di vita impressi razzi fl uvio-lacustri si localizzano ma Friuli-VG di “Pecol di Chiaula, nella memoria o nello scatto di una i maggiori centri di fondovalle. Lodin, Ramaz” e di “Forchiutta”. fotografi a testimoniano una identi- Sorte diversa accade alle pagine Le aree a ridosso del confi ne con tà non sbandierata ma vissuta. antropiche soggette a rapide e la Repubblica Austriaca, site nella Vûl passion par lâ a passòn radicali trasformazioni, tanto da parte alta della valle, sono ogget- dice Ilario, malgaro di Meledis, rendere problematica la lettura to di Piani di Gestione, secondo mentre racconta del rituale di non solo dell’originalità, ma anche le direttive CEE 74/409 Z.P.S riconsegna del capo di bestiame a dell’identità delle comunità resi- “Alpi Carniche”. fi ne stagione. denti. La proprietà regionale di Ramaz, Il pastore, consegnando al pro- Esemplifi cando: Ramaz costitui- inoltre, è interessata dalla diret- prietario la mucca con catena ben sce il paradigma della singolarità tiva CEE 92/43 S.I.C. “Creta d’Aip conservata, riceveva la mancia (la della Valle e della pluralità delle Cason di Lanza”. Attualmente i biuneman pa cjadene) sigillo di letture dei suoi luoghi. Geosito Piani di Gestione sono in corso di un patto fi duciale tacito e di ben del Paleozoico Carnico e dell’oro- formazione. altro livello di quello di montica- genesi ercinica ed alpidica, agli Piani di Gestione forestale sono zione. inizi del secolo scorso era luogo poi attivi in entrambe le proprietà della grande stue di Ramaz (diga regionali. Per viaggi di Miutte in tronchi e sassi di sbarramento I manufatti malghivi sono per la Nel libro di cassa di malga Val- delle acque necessarie per la fl u- massima parte compresi in queste bertat del 1931 Riccardo Gortani itazione del legname) ed infi ne aree. annotava: 15 • 73

tantasette) e dignità. Si possono dimenticare o disper- dere valori come questi ?

Monumenti della civiltà alpina Oggi che l’alpeggio non ha la cen- tralità e l’importanza economica di un tempo è urgente conservare parole e cose che caratterizzano questo splendido ambiente fatto Stralcio del Registro di Cassa 1931 di Malga Valbertât redatto da Riccardo Gortani di silenzi, di ritmi lenti e ciclici, con i pagamenti dei viaggi della farinaria Miute. di voci di uomini ed animali, di suoni creati dal vento tra erbe e 11/6 Lo sguardo della Miutte, una sto- rami, dal gorgogliare di una sor- spese rica mari farinarie, incorniciato gente d’acqua, dallo scroscio di per sale 23,50 dal fazzoletto in testa è perento- una cascata, dal crepitare di un per viaggi Miutte 49,00 rio. La mano al fi anco in posa di ciocco di legna sul focolare men- sosta; le bretelle della gerla squa- tre fuori, sul pascolo, può succe- entrate drano il busto eretto come un dere che nevichi a settembre, e il per due pani di burro fuso sulla verticale dei piedi cal- manç tenuto a catena si appresta dati a Miutte 38,00 zati dagli scarpets. Sessant’anni a scendere a valle. lire. portati con fi erezza, una vita di Tramandare è un’operazione de- servizio, classe (milleottocentot- licata e complessa, non priva di

Meledis Alta 1946 o 1948. La prima a destra è Maria della Schiava, meglio nota col diminutivo di Miùte, nata nel 1887; chiuse l’attività nel 1956, a 69 anni d’età, dopo 49 anni di trasporti con la gerla, ben meritandosi l’appellativo di Mari farinarie. Alla sua destra due apprendiste farinarie, Riccardo Gortani malgaro di Meledis il casaro Guido Fior. Foto Gortani. 74 • 15

un cappello di legno. La forma della casera è rettan- golare con muri della medesima altezza. Le dimensioni dei lati oscillano tra 5,50 x 7,00 m delle casere piccole (Montute Bassa) e 7,00 x 12,00 m delle casere grandi (Lodin Parrocchia). La casera è quindi di grandezza conforme, Malga Meledis alta nel 1948: Riccardo ovvero di misura appropriata del Gortani, la neve e il manç. manufatto nel contesto di luogo, Foto Gortani. funzione ed esigenza produttiva. oblii e tradimenti. Sono pertanto indifferibili, all’in- La copertura terno di una visione ecologica del La copertura a capanna, con paesaggio, le azioni di conserva- falde disposte in parallelo al lato zione e ricontestualizzazione dei maggiore, appoggia come un fat- manufatti malghivi storici. Molti to staticamente autonomo sulla di essi sono stati stravolti o resi testa del muro. L’altezza del muro anonimi da interventi puntuali varia tra 2,10 e 2,50 m all’imposta ed acritici privi di adeguata stru- di copertura. mentazione operativo-disciplina- L’incastellatura lignea della co- Si può descrivere sinteticamente la re e storico-architettonica. pertura è costituita da capriate casera come un recinto coperto. Su questi edifi ci, veri e propri (4 nelle casere piccole, 5 in quelle Un recinto di pietre con sopra un “monumenti della civiltà alpina” grandi). Si dirà poi della varietà “cappello” di legno della Val d’Incarojo, occorre ope- rare senza tradire nè la memoria nè l’innovazione.

L’architettura della casera Gli edifi ci di cui la malga è dotata sono: la casera, le logge (semplici o doppie), la/le stalle. Logge e stalle sono disposte in prossi- mità della casera e delimitano il tàmar, spazio dalle molteplici funzioni operative, che contiene anche la fontana e la vasca di ab- beverata degli animali.

La casera Si può descrivere sinteticamente la casera come un “recinto co- Schizzo di rilievo di casera Culet; casera piccola disposta parallelamente alle curve di livello. Il tetto è formato da 4 capriate alla maniera di Ligosullo. La porta è dotata perto”, un “recinto” di pietre con di due battenti, quello più interno (usc) impedisce l’ingresso di animali e dà luce e sopra il tetto, che ricorda quasi, aria alla cucina. 15 • 75

dei tipi di capriata; per ora basti ricordare che la capriata è una struttura triangolare di legno costituita da due puntoni (bi- scantîrs) e una catena (jona). Le capriate sono dotate di contro- ventature per resistere alla spinta del vento che creerebbe l’effetto domino sulla copertura. Le con- troventature sono travicelli fi ssati diagonalmente tra il puntone di una capriata e quello della capria- ta successiva. Tra le capriate, dalla linea di col- mo a quella di gronda, sono dispo- ste orizzontalmente delle travi-ar- carecci. I segmenti degli arcarecci che sporgono dal timpano di testa sono protetti e racchiusi dentro due tavole che seguono la pen- denza di falda. Il timpano è la superfi cie triango- lare di chiusura del tetto sul muro del lato minore ed è realizzato con tavole di legno. Varianti a questa soluzione sono il timpano o il mezzo timpano in pietra. Le teste delle catene che sporgo- no oltre il muro, in certi casi, sono Assonometria di casera Culet. Le capriate sono tinte in rosso, gli arcarecci in protette da una cuffi a di lamiera azzurro, i pavimenti di cucina e celâr in giallo, la scala a ginocchio in grigio chiaro, i due travicelli della musse in grigio scuro, i tavolati di timpano e solaio del celâr in zincata (un tempo una tavola ver- bianco, i travicelli del soppalco d’arrivo della scala in nero. ticale). Sopra gli arcarecci è posto il man- strutturali e non, sono realizzate chiodi forgiati a mano lunghi an- to di copertura, oggi in lamiera mediante chiodatura. In parti- che 40 cm. ondulata o grecata, un tempo, colare le strutture sono unite da Nel passato le unioni erano re- in scandole di abete. Talvolta le scandole di copertura delle logge non erano chiodate, ma mantenu- te in posizione da fi le di pietre. A fi ne monticazione le scandole ve- nivano accatastate per la stagione successiva. La pendenza di falda varia tra 30 e 45 gradi. Le unioni tra le diverse parti, Chiodi in legno per l’unione delle parti della struttura di copertura. 76 • 15

mare un organismo bicellulare si ottiene costruendo un divisorio intermedio con assi verticali (ca- sera Montute di Sotto) o un muro in pietra (casera Culet). Due sono le modalità di disposi- zione della casera nei confronti del sito sia esso pendio (es. Montute di Mezzo) o altopiano sommitale (es. Lodin Alta). La prima dispone l’asse maggiore della casera perpendicolarmente alle curve di livello, la seconda Casera Culet fotografata nel dicembre 2011; si notano le cuffi e di protezione in in parallelo. In quest’ultimo caso lamiera delle teste della jona e il dormiente di appoggio delle capriate. il muro lungo diviene muro di sostegno delle terre e il setto in- alizzate con pioli di legno duro di Carnia abbiano saputo perso- termedio funge da contrafforte di (corniolo o carpino bianco) come nalizzare saperi che si sono con- irrigidimento (ma talvolta, come mostrano le foto. solidati nel corso dei secoli passa- mostrano casera Culet e Tamai Elemento di mediazione tra strut- ti, anche avvalendosi degli scambi non è suffi ciente e si verifi ca il tura muraria e struttura di co- con le culture fi nitime tedesche e crollo del muro data la carenza di pertura è il dormiente una trave slave, realizzando una tipologia di manutenzioni ordinarie del muro con il compito di distribuire uni- manufatto che è testimonianza e stesso). formemente i carichi della coper- documento della civiltà della pie- tura sui muri. Tale distribuzione tra e del legno delle popolazioni Organizzazione funzionale si rende necessaria in quanto i carniche. della casera muri sono costruiti con scapoli La perdita di questi manufatti La porta d’ingresso, posta in po- di pietra ossia con pietrame di identitari, o la loro banalizzazio- sizione mediana del lato lungo, pezzatura e forma variabile uniti ne, è paragonabile all’estinzione è rivolta verso il tàmar; è dotata mediante una malta magra di cal- di una specie del regno animale o di due battenti con apertura ce e, malgrado lo spessore sia di vegetale. verso l’esterno, uno di dimen- 50/60 cm, mal sopportano carichi Ma questo è altro argomento; ri- sioni 100x180 cm, l’altro (usc) concentrati delle capriate. torniamo alla casera storica della di 100x0,90 cm atto ad interdire Lo spazio di risulta tra il dormien- Val d’Incarojo. l’ingresso degli animali e dare te e gli arcarecci delle capriate è luce all’interno del vano focolare- chiuso da una tavola inclinata con Manufatti e sito cucina-caseifi cio. le estremità sagomate in prossi- La casera adotta la forma più A lato dell’ingresso nel setto mità della catena della capriata antica dell’abitazione, quella bi- intermedio si trova la porta che onde limitare il passaggio d’aria cellulare, costituita da due vani: immette nel celâr, luogo della tra esterno e interno. La rimozio- cucina (focolare / foghere) e di- conservazione dei prodotti casea- ne di due o più tavole contrappo- spensa (celâr); nella tradizione ri, delle scorte alimentari e degli ste consente la creazione di una resiana isba, stanza del fuoco e strumenti di lavoro. ventilazione trasversale alta hiša-vuolt, stanza delle scorte Il vano del focolare ha un’altezza Questa architettura dimostra alimentari. maggiore comprensiva dello spa- come i mastri muratori e d’ascia La maniera elementare per for- zio del sottotetto, mentre il celâr 15 • 77

nel timpano di pietra o di legno posta sotto la linea di colmo. Me- ledis bassa (quella storica) ha uno sfi ato dei fumi posto a cavallo del colmo della copertura. Il focolare è costituito da un in- cavo rettangolare nel pavimento profondo circa 10 cm e da un ba- samento, alto circa 50 cm, forma- to da pietre disposte in contiguità su due lati dell’incavo medesimo. Sopra di esso si trova la mussa: questa struttura di legno è forma- ta da un palo verticale girevole in- serito inferiormente in una cavità del basamento e, in sommità, tra due travicelli appoggiati e chio- dati tra le catene di due capriate, oppure ad un anello in ferro infi s- so nel muro. In mezzeria del palo

Casera Lodin Bassa-Parrocchia: casera grande con tetto di 5 capriate del tipo Scherendach; il timpano del tetto sopra il focolare è completamente in pietra e i fumi uscivano da una fi nestra da fum.

è delimitato da un solaio di tavole mediante una scala a pioli (casere di legno chiodate su travi inter- Tamai e Valute). Le dimensioni medie alla campata e sulle catene della cucina sono sempre mag- delle capriate. giori del celâr che, nelle casere Essendo le tavole del solaio sem- piccole, è circa una metà della plicemente accostate, sull’intra- stessa. dosso sono fi ssati dei listelli di Il focolare di cottura della ca- coprifuga per impedire a polveri o gliata e dei cibi per il personale minutaglie di piovere sui prodotti di malga si colloca in mezzeria conservati nel celâr. Lo spazio del lato corto della casera: ciò Schizzo di rilievo del focolare e della sopra il celâr un tempo era adi- consente una migliore fuoriuscita musse con incavo della foghera e bito a deposito ed era accessibile dei fumi attraverso un’apertura sopralzo in pietra. 78 • 15

corto più basso, fornita ai bordi di scannellature in modo da con- vogliare i liquidi di lavorazione. Sul tabio si dà forma alla cagliata e la si pressa. La forma si ottie- ne mediante il talç, un cilindro costituito da una sottile fascia di legno di faggio modifi cabile nel suo diametro. La pressatura si fa Travetti di fi ssaggio superiore della ponendo una grossa pietra sopra Rampante e gradino della scala; musse utilizzati anche per affumicare una tavola circolare sulla testa le ricotte. sul rampante si chioda una tavola del talç. Acqua di pulizia del tabio triangolare e su questa l’alzata e la è inserito a mensola un travicello e residui del sîr di lavorazione pedata del gradino che risulta un elemento scatolato. (braç) mantenuto orizzontale da erano smaltiti all’esterno da una uno o due tiranti superiori e da canaletta ricavata nelle pietre di panche ed il tavolo per la consu- un puntone. Il braç può essere pavimentazione. mazione dei pasti. I rampanti con- spostato in altezza in ragione Le pavimentazioni della cucina e sentono di ricavare sotto i gradini della dimensione della caldaia di del celâr, realizzate con scaglie di delle mensole sulle quali riporre cagliata; all’estremità del medesi- pietra, non sempre erano orizzon- oggetti d’uso quotidiano. mo vi è la sede per appendere la tali poichè spesso si adattavano al Casera Foranc ha il tavolo più bel- caldaia. terreno sottostante. lo ed artistico: il piano è chiodato ad una estremità ai rampanti, l’al- Il tabio e il talç Una piccola perla funzionale tra appoggia su un solo piede ri- Sia cucina che celâr sono vani Un tempo il luogo di riposo erano cavato da un ramo biforcato d’al- dotati di una o due fi nestre di il- le cagnassis, giacigli chiusi da bero. Un vero oggetto di design! luminazione. Sotto quella/e della tavolame e posti su un sopralzo di Carpentieri, artigiani, comunque cucina è posto il tàbio, tavolo da legno a fi anco del focolare. persone di fantasia questi co- lavoro del casaro. Il tabio è una Nel momento in cui il vano sopra struttori, capaci di reimpiegare tavola di notevole spessore, larga il celâr diviene camerone la scala in ogni parte della costruzione 50 cm e lunga tra 200 e 350 cm; con rampante e gradini va a for- qualsivoglia risorsa o materiale di è inclinata di qualche grado sul mare una piccola perla distributi- recupero. Non usa e getta, ma usa lato lungo e rastremata sul lato va e funzionale. e riusa. Cioè il luogo di riposo si sposta sopra il celâr Elementi di fi nitura e arredi Il vano viene chiuso verso la cu- fi ssi della casera cina (ma non sempre o completa- Nel celâr tra pavimento e travi mente) da un tavolato verticale. di solaio vi sono una o più fi le La scala, con rampa a ginocchio di montanti in legno di 15 cm di e posta in aderenza al setto in- lato. Lungo l’altezza, in appositi termedio, arriva su un mezzani- incavi, sono chiodati dei traversi no costruito tra le catene delle in legno (dieci o dodici per mon- capriate. Una porta immette nel tante) rastremati alle estremità. vano del camerone. Sui due bracci del traverso, o sul Casera Dimon. Il tabio è il tavolo di lavoro del casaro per la formatura e la Sotto il rampante della scala braccio nel caso del montante ac- pressatura nel talç della cagliata. vi sono la cassa della farina, le costato al muro, vengono messe 15 • 79

La capriata “alla Ligosullo” è costituita La capriata Scherendach è tipica della bassa Carinzia; i due puntoni tra loro da jona (catena), due biscantîrs incastrati in sommità sono uniti mediante chiodo forgiato (cjavìles). La fi gura è simile (puntoni) la cui unione è stabilizzata da a quella di una forbice. Il nome viene dal tedesco Schere ‘forbice’ e Dach ‘tetto’. La due fazzoletti in tavole di legno, e una trave di colmo si appoggia nella sella superiore della forbice. controcatena con il compito di diminuire la luce di fl essione dei puntoni. le tavole sulle quali si deposita il sata ai puntoni in modo da limi- Ringraziamenti formaggio. Nel celâr vi sono inol- tarne la luce di fl essione). Questa Ilario Vittorio Gortani di Cabia, malgaro tre due tavoli, uno per appoggia- seconda tipologia di capriata è di Meledis; dott. Massimo Stroppa, Direttore Ispettorato ripartimentale re i ramìns, i recipienti di raccol- caratterizzata da due fazzoletti in Foreste di Tolmezzo; dott. Giuseppe ta del latte e l’altro per la pulizia legno chiodati nel punto d’incon- Vanone, Direzione centrale Risorse rurali, agroalimentari e forestali Regione delle pezze di formaggio. tro superiore dei puntoni miglio- Friuli-V.G.; Gian Battista Segalla, Paularo; Le porte e le fi nestre sono fornite randone in tal modo l’unione. Archivio fotografi co Giacomo Segalla. di riquadri in legno di 10-12 cm di Varianti e particolarità costrut- lato. Eventuali ante d’oscuro sono tive sono presenti quasi in ogni incardinate su di essi. singolo manufatto; ciò dimostra Interventi recenti sono riferibili non solo la versatilità della strut- agli anni Cinquanta del secolo tura, ma anche la sapienza co- scorso; ad es. in talune casere gli struttiva delle maestranze locali, stipiti sono stati privati dei riqua- il lungo processo di affi namento dri in legno ed intonacati, mentre delle tecniche costruttive, le in casera Lodin Parrocchia i ri- innovazioni introdotte e la con- Bibliografi a quadri in pietra squadrata sugli tinuità con la propria tradizione spigoli a vista sono originari . culturale. Depollo Vinicio, Gualandra Giancarlo, Marchettano Enrico, Lassù sui monti, Elemento signifi cativo di distin- Le trasformazioni in atto degli Graphik Studio, Udine, 1979. zione tra le casere paularine e apparati malghivi coerenti da un Nazario Screm, Le malghe antiche della Valle d’Incarojo, editore A. Moro, quelle ligosullane è la capriata punto di vista igenico-sanitario, Tolmezzo, 2006. del tipo Scherendach (a forbice), produttivo, di comfort per il per- Ennio Puntin, Cuviers di planelas, in Luigi Ciceri (a cura di), Darte e la Cjargne, di origine carinziana, per Pau- sonale di malga nonchè dell’acco- Società fi lologica friulana, 1981. laro, mentre per Ligosullo è del glienza turistica non dovrebbero Sebastiano Parmegiani, Le malghe tipo con controcatena (la contro- disperdere o cancellare tutti i do- patrimonio da recuperare, in Rassegna Tecnica del Friuli-Venezia Giulia, maggio catena è un’asta orizzontale fi s- cumenti di questa civiltà alpina. giugno 1996. 80 • 15

Pubblicità per un miele della periferia udinese, probabilmente degli anni Cinquanta. L'autore è Ernesto Mitri. 15 • 81

Enos COSTANTINI Surnames in Friuli: an Introduction

Why surnames? lages, people are told apart in this Let us imagine we are in a 14th manner. But it comes about that century village in Friuli: there are Zuan il Ros wants to sell a piece four people who are called Zuan of house to Zuan di Colùs. In (John). How can we distinguish such a serious matter one’s word Wone from the other? is not enough, a written contract Obviously with another name, must be drawn up by a notary that is to say with a byname or a and the notary will write in Latin, nickname. One of the four Johns or in a language that is similar to has red hair and since there is Italian, that Iohannes Rubeus nobody else in the village with or Zan Rosso (John the Redhair) red hair, he will be called Zuan il has sold two rooms to Iohannes Ros (John the Redhair). The sec- Colussii or Zan (di) Colusso ond one is a blacksmith and since (John of Nicholas). Here, too, there is nobody else in the vil- everything seems perfectly nor- lage who is a blacksmith, he will mal, but Zuan di Colùs (John of be called Zuan Fari (John the Small Nicholas)’s family inherits Smithy). The third one is a son of the two rooms. The notary steps Nicola (Nicholas) that in Friulian in with another written deed, In this document, dated 1324 is Culau and, since he does not but how will he call the heirs? from Cividale, the members of a cut a particularly fi ne fi gure, he is In the village they are known as brotherhood are identifi ed by their known as Colùs, that is in Italian Chei di Colùs or simply I Colùs father’s name (Petrus notarius fi lius magistri Johannis), by the place in “Nicolino” (Small Nicholas): and (the Nicholases). The notary will which they live (Magister Johannes de so his son will be called Zuan di write that the inheritance goes Rubignacho) or, more frequently, by Colùs (John of Small Nicholas). to Giacomo (James) and Leon- their occupation (Franciscus aurifex, Magister Martinus Faber, Magister The fourth Zuan is very shrewd ardo (Leonard) Colussi. And the Chancianus faber, Magister Nicolaus and, when he was a child, he was grandchildren who, in turn, will spatarius, Johannes molendinarius, called Volp (Fox); now that he is inherit will always be Colussi. Vançutus caligarius: goldsmith, smith, big he is called Volpat (Big Fox). What has changed? The name has swordsmith, miller, shoemaker). Surnames were not in use at the time, There is nothing strange in all been INHERITED, that is to say, but developed later and derived from this: also nowadays, in our vil- it has become the surname. personal and occupational names. 82 • 15

been baptized - even though the sometimes it can be questionable poor child is probably not at all in which specifi c category each shrewd – and Lenart’s second one can be placed. This helps child will not have a different sur- us, however, to understand their name either, and so the children’s origin. children, be they very shrewd The following categories are here or not at all, will all be Volpatti taken into consideration: (Foxes). - surnames based on a fi rst name (relationship: mostly patronym- The emergence of surnames ics and matronymics); In , the surname comes into - surnames with a place-name being in Venice as early as the origin (local surnames) and a 10th century. Why? Because Ven- topographic origin; ice was a commercial city and in - surnames that derive from occu- commercial contracts there can- pation, offi ce or status; not be cases of mistaken identity. - surnames originating in nick- Just like there cannot be for a names. customs offi cer, tax offi cial, po- The largest category of Friulian liceman, judge or administrative Surnames based on a surnames is the one based on personal offi cial… fi rst name names like, for example, Carlon that can be found on this tombstone in In short, this name was born for Surnames based on the fi rst- Dardago. commercial and bureaucratic rea- name of a father (patronymics) sons. Bureaucracy becomes more are very common in Friuli. In The fact that it has come by in- and more present as society be- fact, it is easy to tell a Giovanni heritance is the characteristic comes more complicated. (John) from another Giovanni by that distinguishes the surname In Friuli - where social life used to calling one Giovanni son of Gia- from all the other kinds of names fl ow entirely in villages with few comuzzo (from here the surname (fi rst names, nicknames). inhabitants, with not many eco- Giacomuzzi) and the other Gio- Thus, in the same village, nomic activities, within a very sim- vanni son of Martino (and there- togheter with Colussi other sur- ple feudal society – surnames are fore the surname Martini). names take shape: Rossi (Chei still rare in the 14th century, they The surname might take the dal Ros, I Ros – “The Redhairs”), become more frequent in the 15th fi rst name of the father without Fabbro (Chei dal Fâri “The century and seem to become gen- modifi cation or with small modifi - Smiths”), and Volpatti (I Volpats, eralized only in the 17th century. cations, but normally many modi- Chei dal Volpat “The Foxes”). fi cations occur: There is also the priest who Classifi cation - the father’s name can “loose its wants to write in his big books all So far we have seen when and head” (aphaeresis); e.g. Comelli the baptisms, the dates and the why surnames were born, but is from (Gia)comelli, short for names of those who have been to understand how they were Giacomo (James), Colussi is baptized as well as the names of created - that is to say on what from (Ni)colussi a diminutive their parents. So, when Giacomo linguistic bases - we believe that of-affectionate name for Nicola (James) the son of one of the Le- to classify them is the best way to (in Friulian Niculau) (Nicholas). nart Volpat (Leonard Foxes) is clarify this. - the father’s name can “move its born he will write that Jacobus Surnames can be classifi ed into tail” (suffi x); suffi xes are fre- Volpatii (John of the Foxes) has several categories, although quent in Italian as well in Friulian 15 • 83

ject to changes that were not sim- ply nicknames, but also had the aim of distinguishing each single individual. In this manner, if in a village there were many Frances- cos there would have been a dif- ferentiation based on their height or on their physique (Francescut, Franceschin, Francescon, from which the surnames Francescut- to, Franceschini e Francesco- ni), but also other modifi cations have come into being (scholars, who like diffi cult words, call them hypocorisms); for example, a very short form of Francesco is Cec (from here, for example, the surname De Cecco, that is, “the Cecs”), but this is not enough, because there is more than one Cec and with different features, thus a small person was known as Cechìn (hence the surname Cec- chini), or Cecut (hence Cecutti), Pietro (Peter) was a very popular saint in Friuli and many people bore his name a big person was called Cecon which was, therefore, subject to many variations; many surnames derive from (hence Cecconi), but there are these variations as can be seen in the following list: Pedròn, Pedronetto, Perco, many variations: Cecconelli, Cec- Perès, Peresàn, Peresani, Peresano, Peressi, Peressìn, Peressini, Peressòn, chetto, Ceccotti, etc. Peressoni, Peressotti, Peressutti, Peretto, Peric, Perich, Perìn, Perini, Perisàn, Perissìn, Perissinòt, Perissinotti, Perissinotto, Perissutti, Periz, Perizzolo, Perocco, Sometimes the permutations Perosa, Perotti, Perozzi, Persich, Perùch, Perusìn, Perusini, Perùt, Perùz, Peruzzi, derived from a single baptismal Peruzzo, Petarìn, Petracco, Petràz, Petrazzo, Petrèi, Petrello, Petretti, Petri, Petric, name can be surprising in their Petricchiutto, Petrichiutto, Petrich, Petricig, Petrigh, Petris, Petrizzo, Petrossi, Petrosso, Petrucco, Petrussa, Petrussi, Petrùz, Petruzzi, Pettarìn, Pez, Pirona, variety - as in the case of the Ital- Pironio, Pirrò, Pit, Pitt, Pitassi, Pitìs, Pitta, Pittana, Pittaro, Pitter, Pittìn, Pittini, Pittino, ... ian fi rst name Nicola, or Nicolò This San Pietro (Saint Peter), with the keys to heaven, is part of a mural in San Lorenzo (in Friulian it is Niculau or, in di . its short form, Culau, also spelt Colao) which has spawned the and our language has its own during which they take shape. following forms: Niccoli, Nic- characteristical suffi xes such as Let us see: the Christian names colini, Nìchele, Nicli, Nicola, –ùt a widely used diminutive (a most commonly used in the 14th Nicolausig, Nicoletti, Nicolett- little man is an omenùt, a little century in Friuli were Nicolò is, Nicoletto, Nicoli, Nicolìn, child is a frutùt, and so on). (Nicholas), Antonio (), Nicoloso, Colaone, Colausig, Giacomo (James), Giovanni Colaùt, Colautti, Colautto, A surprising variety (John), Leonardo (Leonard) and Colauzzi, Colavitti, Colavitto, Surnames are a mirror of person- Francesco (Francis). Since they Colavizza / Collavizza, Coletti, al names used over the centuries were very common they were sub- Coletto, Colìn, Colitti, Collauto, 84 • 15

give to their child was in no way infl uenced by the fi rst names of their language of origin (they certainly did not know that Antonio is Etruscan, Nicola is Greek, Leonardo is Germanic) nor by their intrinsic meaning (the meaning of Antonio is not even known to scholars, Nicola means more or less ‘victorious’, The surname Cecchini is a diminutive of Cec, hypochorism of Francesco (Francis) Leonardo means ‘as strong as which has generated the following surnames: Cecco, De Cecco, Cecchelìn, a lion’). The motivations were, Ceccone, Cecconi, Ceccotti, Cechet, Cecutti, Cecutto, Cicutti, Cicuttin, Cicuttini. then and now, of more immediate interest and, then and now, they Collavìn, Collavini, Collavino, mother’s name. The most fre- were the mirror of the times: Collaviti, Collini, Collino, Collo- quent female fi rst names in the fashion (this is how the success vati / Collovatti, Collovigh, Coll- 14th century were Caterina, Ele- of so many Germanic names of ovini, Colò, Colosetti, Colussa, na, Margherita and Francesca. the Dark Ages can be explained), Colussi, Colusso, Colutta, Cu- Caterina gave rise to Cattari- the fame of certain characters laòn, Culatti, Culetto, Culino, nussi, Cattarinuzzi, Cattarossi, (king leaders, but above all celeb- Culòs, Culòt, Culotta, Culvàn... Cattaruzza, Cattaruzzi; Elena rities) and religion (this explains And we can add Miclàusig, Mico- gave origin to Lenuzza, Lena, the great diffusion of names like li, Micolìn, Micolini, Miculàn, Lenna, Di Lena, Di Lenna Nicola, Antonio, Giacomo, Gio- Miculìn, Miculùs from the an- and perhaps also to Linossi, Li- vanni, Leonardo, Bernardo, cient and probably Slovenian form nussio, Linassi; Margirùs, an Pietro, Caterina, Elena, etc., all Miklav. ancient Friulian form of Margh- names of saints venerated also in Research on surnames does not erita, gave the surname Gerussi; Friuli). give us information only on the Francesca gave Franceschina When studying surnames it is fi rst names most in use in the and the short forms of China and thus perfectly useless to go in late Middle Ages, but also on rare Ceschia. search of the original meaning names (eg. Botto from which Bot- Some surnames originated as fe- of fi rst names (“distant etymol- tòs, Conz from wich Conzatti, male fi rst names but became male ogy”); it is much more useful to Concina, Conzutti) and, above names in the documents thanks understand what society was like all, on fi rst names that are no to the pens of notaries or priests: in the centuries during which longer used, e.g. Rusalen / Ro- e.g. Angeli of Cesclans derives surnames were being formed. solen (from the fi rst name Jeru- from the female fi rst name Ange- This will make it possible for salem), Miôr “the best”, and many la, Margarit of Muscletto derives us to know that surnames like of Germanic origin whose mean- from Margarita, Marcuzzi of Pr- Antonini, Antonutti, Tonutti, ing has been lost since the Dark adamano derives from Marcuza , Toneatto, Toneguzzi, Ages (Scaini, Asquini, Artico, and so on. De , etc. derive from the Pecile, Contardo). fi rst name Antonio, but above all They did not care about that this was widespread in the Metronymics etymologies 14th century because of strong Metronymics, less common than The reasons of 14th century par- popular devotion for two saints: patronymics, are based on the ents in the choice of a name to 1. Sant’Antonio Abate – Saint 15 • 85

Anthony the Abbot - (in Friulian ulian language and that other lan- Sant’Antoni di Zenâr ‘Saint guages, such as English, do not Anthony of January’, Sant’Anto- have. Thanks to these so-called ni dal purcit ‘Saint Anthony of “ethnical” suffi xes that indicate the Pig’, Sant Antoni dal desert the place where a person lives or, ‘Saint Anthony of the Desert’) more often, is his/her origin, the who, among other things, pro- place he/she comes from. The tected domestic animals, the only main suffi xes that form “ethnical” real wealth of many families; suffi xes are the following: -àn 2. Sant’Antonio di Padova (Italianized in -àno o -àni), -às ‘Saint Anthony of Padua’, per- (Italianized in -àssi), -àt (Ital- haps better known in Friuli as ianized in -àtti o -àto), -ês (Ital- Sant’Antoni di Glemone ‘Saint ianized in -èse), -ìn (Italianized Anthony of Gemona’ because in -ìni o -ìno), -òt (Italianized in in Gemona there is a sanctuary -òtti o -òtto), -ùt (Italianized in dedicated to him, he who made -ùtti o -ùtto). miracles also in Friuli and who, Let us look at some of them. someone will remember, helped to fi nd lost objects. -àn: Andreani (from Andreis), The surnames deriving from female Arbàn (from Arba), Barzàn personal names (matronymics) are less numerous than those deriving from Surnames originating from a (from Barcis), Cavarzerani male personal names (patronymics). place name (from Cavarzere), Cosani The surnames Cattarìn, Cattarini, Local surnames derive from a (from Cosa), Dereani (from Cattarino, Cattarinussi, Cattarinuzzi, Cattarossi, Cattaruzza, Cattaruzzi, place name, indicating where the Dierico, Municipality of Cattaino derive from the name Caterina man held land, or the place from Paularo), Gortani (from the (Catherine). which he had come, or where he Gorto/Guart area, the Dega- In the photo, Santa Caterina (Saint Catherine) on the façade of the actually lived. We include here no river Valley), Paluzzano cathedral of Gemona. the surnames which derive from (from Paluzza), Padovan, -i villages, cities, regions or nations. (from Padua), Pavàn (from In some cases the place of origin Padua), Placereani (from -às: Collinassi (from Collina, creates the surname with no vari- Plazzariis, Municipality of Municipality of Forni Avol- ation from the Italian, Venitian ), Pozzana (from tri), Godeàs (from Godia or Friulian forms (Azzano, Col- Pozzis, Municipality of Ver- near Udine), Verzegnassi loredo, Malnis, Nimis, Casarsa, zegnis), Pravisani (from (from ); Chiopris, Cormóns, Fanna, Provesano), Roseano (from Grizzo, Praturlon, Plaino, Resia), Saurano (from Sau- -àt: Buiatti (from Buja), Colug- Taurian, Tavagnacco, Ribis, ris), Silàn / Silani / Sillani natti (from Colugna near ecc.), or by introducing an -i at (from Sile, Municipality of Udine), Cosattini (from the end, like what happened to Casarsa), Tesàn (from Te- Cosa), Flaugnatti (from Fl- the surnames that derive from sis), Topàn (from Toppo, agogna, Municipality of For- forenames (Aviani, Baracetti, Municipality of Travesio), garia), Gurisatti (from Go- Coseani, Flaibani, Pinzani). Treleani (from Trelli, rizia), Zompicchiatti (from In most cases, however, there is Municipality of Paularo), Zompicchia, Municipality of an exploitation of the wealth of Trevisan, -i (from Treviso), Codroipo), Zoppolato (from suffi xes that characterize the Fri- Turridano (from Turrida); Zoppola); 86 • 15

There are many surnames deriving from geographical names. For example, many are the surnames that derive from Carnia: Cargnelli, Cargnello, Cargnelutti, Carnelut, Carnelutti, Carnelòs, Carniel, Carnielli, Carniello, Carnieletto.

pichini (from Zompicchia); the north-western area of -ês: Braulinese (from Braulìns, -òt: Giaiotto (from Giais), Madri- Friuli, Faidutti (from Fae- Municipality of Trasaghis), sotti (from Madrisio), Medeòt dis), Fanutti (from Fanna), Buiese (from Buja), Fregon- (from Medea), Musclòt (from Gorizzutti (from Gorizia), ese (from Fregona), Mon- Muscoli/Muscli, Municipality Morsanutto (from Morsano), tagnese (from the Moun- of Cervignano), Pasianot, Trevisanùt (from Treviso). tains); -to (from Pasiano), Paviotti (from Pavia), Plasenzotti We can not forget to mention -ìn: Battaino (from Battaglia, (from Plasencis, Municipality here Cargnello (the translation Municipality of Fagagna), of ), Sacilot- in Venetian of Cjargnel “inhabit- Cividino (from Cividale), to (from Sacile), Sanvidotto ant of Carnia / Cjargne”), very Forgiarini (from Forgaria), (from San Vito), Silòt / Silotti common in Friuli also in the di- Gruarìn (from Gruaro), (from Sile, Municipality of minutive forms Cargnelutti and Sequalini (from Sequals), Casarsa), Spessot, -to (from Carnelutti. Tramontìn (from Tramonti), Spessa, Municipality of Civ- Varvasino (from Vuarbas, a idale or Capriva); People on the Move village near The surnames deriving from that has disappeared), Zup- -ùt: Cargnelutti (from Carnia, place names prove that people 15 • 87

moved, and a lot, also in the cen- known as “micro-toponyms”), stretch of mountain that extends turies in which surnames took but that, often, remain common above the Tagliamento river and shape. The surname Furlan is names. English authors defi ne that is the place of origin of the widespread in Slovenia, in Trieste the surnames deriving from these family. The same can be said for and in Veneto and, with adapta- places as topographical surnames the surname Barbacetto of Zovel- tions to Italian (Forlani, Frul- and give them this defi nition: lo (municipality of Ravascletto) lani), in other regions of Italy. To Topographical surnames are that does not come from barba fi nd the surname Forgiarini in those that refer to features of (beard), but from the locality of Osoppo shows a movement of only the landscape, whether natural Barbacêt, that originally indi- a few kilometres (from Forgaria), or man-made: they were used cated a place where plants called but to fi nd the Pittau surname in originally as a way of describing barbace (common mullein) grew. Maniago highlights a major move- a person who lived in, on, or near There is, always in Zovello, the ment since Pittau is the German a natural feature of the landscape surname Roveretto that comes name for the Slovene town of Ptuj such as a wood, a hill or a heath, from the local place name of Rov- that is not far from the Hungarian or in/beside a man-made building eréit, whose original meaning is border. such as a mill, a bridge, a church, ‘oak forest’. And let us remember the Ongaro a castle, a tower. surname, rather widespread, that Among the natural features it is actually means ‘Hungarian’. easy to remember surnames such A general “rule” is that surnames as Colle (Hill) and De Colle (of move from the countryside and the Hill), but also the arcaic Di villages to the towns. In Gemo- Qual that has the same mean- na, a town that was very active ing, De Monte (of the Mountain) during the entire Midde Ages be- - but mont in the morenic hills cause it is on the commercial road of Friuli means “hill” -, Da Rio for Central Europe, one can fi nd (Creek, Brook) - sometimes un- surnames that show their origin: expectedly became Dario, thus from Forgaria (Forgiarini), from confused with a fi rst name -, De (Brondani), from Car- Prato (Meadow), De Campo nia (Cargnelutti) or that are gen- (Field), Bosco (Wood)”, Paludet erated in other towns (Cucchiaro (from palude “marsh”), etc. In in Alesso, Feragotto in Braulìns, this series we can also put the Vale in , etc.), or have surnames stemming from tree a Germanic aspect (Londero), names: Zàmero (Hornbeam), Ro- without taking into account that vere (Oak), Larice (Larch), etc. the noble part of the local nobility In some cases the reference is had a surname that was defi - to places that, although small, nitely German (Helt, Gropplero / have a name of their own. Local Glober). knowledge can be vital here: e.g. the surname Del Pizzo of The surname Da Rio, also written Dario, derives from riu ‘stream’ and Topographical surnames Braulins does not come from the accompanies the name of Jacum that Many surnames derive from place Italian pizzo (goatee), but from we fi nd in one of Giovanni Thanner’s names that are more modest, that the Friulian piz (tip, point, ex- paintings in the church of San Martino in Artegna. The surname evidently can often be considered proper tremity of a mountain) that has refers to a person who lived near a names (they thus create what are given a name to the Piz locality, a stream. 88 • 15

The surnames which refer to or substance used in a particular of the hair or complexion are artefacts or other works of man, trade has become a term used to also very frequent: Rosso / Rossi both in rural as well as in urban describe the craftsman himself. (Red), Moro, Moràs, Morassutti landscapes, are quite numer- So the occupation of baker can (Brown), Bianco / Bianchi / Del ous: Molino (Mill), Ponte, Dal give rise to the surname Farina Bianco (White), Negro / Del Ne- Ponte (of the Bridge), Fontana, (fl our), and we can go through a gro (Black). Fontanini, Fontanelli (from good number of occupations that As far as height is concerned, we fontana fountain), Chiesa have disappeared: Codàro (the have many Del Piccolo (Short), (Church), Siega (Sawmill), Pi- small container for the whetstone which in various ways recall the azza (Square), Del Torre (of the made of cow-horn), Lizzi (a part Friulian pronunciation piçul, also Tower), Ronco (land cleared for of the weaving loom), Campana spelt pizzul (Pizzul, Pizzulin, cultivation), Brollo (garden sur- “bell maker”, Piva “bagpipe mak- Pizzolitto). rounded by walls), Bearzi (court- er or player”. Some individuals must have yard), Bearzatto (an ugly court- A related class of surnames is de- reminded their friends and yard), Braida (a large cultivated rived from a person’s social status family of a variety of animals, fi eld), Casali (a group of houses (Paron ‘owner’) or from the offi ce hence surnames such as Volpe, outside the village), and so on. he held (Degano a Venetian form Volpatti (Fox), Gatto / Gatti, for the Friulian dean ‘Dean’). Gattesco (Cat), Màrdero (Pine Surnames of occupations, Surnames which sound so fi ne, Marten), Lepre / Lepore (Hare), offi ce or status however, such as Conte (Earl), Schiratti (Squirrel), Zoratti / Surnames based upon an occupa- Vescovo (Bishop), Re (King), Zoratto (Crow), Favit (Wren), tion offer a fascinating insight Marchese (Marquis), come from Quaglia, Quaiattini (Quail), into social history, be they the teasing nicknames. Dordolo (Thrush), Cicogna frequent Fabbro / Del Fabbro (Stork), Cisilino (Small Swallow (Smith), Murador / Muradore Surnames from nicknames or Martin), Garlatti (Shrike), (Mason), Molinari / Molinaro Many nicknames refer to a Lodolo (Lark), Merlo, Merluzzi (Miller), Calligaro (a Venetian person’s physical appearance, (Blackbird), Gri / Grillo (Crick- translation for the Friulian cjal- physical blemish, mode of dress, et), Tavano (Horsefl y), Moschion iâr ‘Cobbler’) as much as other manner of speech, or to some / Moschioni (Blowfl y). less frequent ones, that testify character trait. to trades and crafts that have Some nicknames, that have even Misleading translations long since disappeared: Armen- become frequent surnames, refer To explain a surname one must, tarutto might refer to a cowhand, to physical blemishes: Del Zotto when possible, look for the fi rst Stringàro (string maker), Roda- and Ciotti are different spellings statements in old papers and doc- ro (wheel maker), Cordaro (rope for the same term, the Venetian uments, otherwise one can make maker), Cappellari (hatter), zot (limp, lame), Gobbo/Del Gob- mistakes. In San Daniele the Zeàro (basket weaver), Falzari bo, Gobitti, Gobessi from gobbo surname Gallino at a fi rst glance (scythe maker), Zattiero (a man (humpback), Sguerzi, Suerz can lead one to think that it origi- leading a raft), Fornasari, For- (cross-eyed). nates from a nickname based on nasièr (a brick-kiln worker), Cit- They are not Friulian, but we gallina (Hen), also because in tàro (pan maker), Pividori (bag- know that the Gaelic surname the nearby village of Buja the sur- pipe maker or player) and so on. Kennedy means ‘ugly face’ and name Gallina is widespread. The Several surnames are derived the Lombard surname Berlusconi story, however, could be different, by way of a process known as means ‘cross-eyed’. because early records give us the “metonymy”, whereby an object Surnames that recall the colour name Garino and we know that 15 • 89

the -r- can easily change into -l-. - those that end in -il (anoth- The origin therefore could per- er suffi x for short forms) like haps not be gallina (Hen), but a Franzil, Rupil; place known as Garin, short for - those that end in -er or -ar (suf- gâr which is a variation of agâr fi x that often indicates the name (furrow, rift). of a trade) like Causero, Caute- In Fagagna there is the surname ro, Cedaro, Snaidero, Sostero, Monaco that in Italian means Londero, Lendaro. monk. It is true that the surname Surnames that begin with Pit or Del Frate (of the friar or monk) Pez could also have been infl u- exists elsewhere, but this is the enced by the German language. Friulian word muini (sexton, These surnames did not neces- The çore (once written zore) ‘crow’ sacristan). Proof of this is that sarily arrive with German-speak- has left some surnames deriving from the same person is called mo- ing people, they could be nick- nicknames: Zoràt, Zoratti, Zoratto, Zorattini, Zorino and, naturally, the naco (Monk) in the Latin and names given to Friulians who had surname of the poet Pietro Zorutti Italian documents and is called gone to work in German-speaking (1792-1867). Photograph by Bruno muini in the documents written countries. Proof of this can be Dentesani. in Friulian. found in the nickname Smit In the Municipality of there (from Schmied ‘smithy’) that can it is highly probable that their is the surname Chiavotti which still be found in some villages and surname took shape in the vil- is, apparently, an augmentative that is borne by local people who lage where they live, or from of cjâf, once written chiav, that have worked in Austria or Ger- which they moved to go and live means “head”. In actual fact it is a many. in a town. A glance at the parish person who lives in a place called Furthermore, there are surnames books could free them from any Chiava and the surname was that come from neighbouring doubt. formed with the suffi x -òt (Ital- Veneto, often in recent times. In In any case, it is not at all unbe- ianized in “-otti”). the countryside, they were borne coming to bear a Friulian sur- It is therefore important to un- by agricultural labourers (share- name and to come from a small derline that in order to interpret croppers, tenants) and in the country or mountain village. surnames correctly one must re- towns by professional people. As far as I am concerned I am search archives and have a good Many still look for, in their sur- proud of mine. knowledge of the environment. name, “ennobling” origins and are often duped by so-called “Insti- My surname is French, tutes” that, for a certain amount Spanish, German...! of money, give them a parchment No, Friulian surnames normally in which the most absurd things are ... Friulian! The few excep- are told on the origins of their tions concern surnames of Ger- family and the most bizarre ex- manic origin, possibly coming planations are given on the origin from nearby Austria. of their surname. For the translations we would Among these there are: We advise these people to set like to thank Magda Battistuzzi - those that end in -le or -li (it their mind at rest: it is unlikely of the Regione autonoma Friuli is a suffi x for short forms) like that they are descended from Venezia Giulia, Public Rela- Madile, Cepile, Francile, Tas- Charlemagne or some noble Ger- tions Offi ce, Udine. sile, Cuberli; manic or Spanish house, while 90 • 15

Questa foto di scena scattata da Elio Ciol nei pressi della stazione di Remanzacco (sulla linea ferroviaria Udine - Cividale) documenta il momento dei saluti prima della partenza degli emigranti per il Belgio. Sono presenti sul set, assieme ai tecnici, anche molti curiosi. 15 • 91

Luca GIULIANI Gli ultimi, genesi e storia del primo fi lm friulano

Il progetto aver raccontato l’infanzia di Che- — uno scritto intimo e personale, Negli anni Sessanta padre David co, il pastorello protagonista, dettato e motivato da un vissuto Maria Turoldo sente l’esigenza di vedeva in seguito la sua partenza reale, fortemente autobiografi co celebrare anche attraverso il cine- per il Canada e infi ne il rientro in —, il fi lm rifl ette alcune fi gure ma quel Friuli che gli aveva dato Friuli. È rimasto invece l’unico della poesia di padre David: il ri- i natali nel 1916 e il cui ricordo fi lm di Turoldo e in esso si con- cordo del paese natio, la presenza tanta parte ha nelle sue poesie. centra il suo canto per immagini della madre, la povertà vissuta Nel progetto iniziale, Gli ultimi agli ultimi contadini attaccati con dignità. Il pastorello Checo, (1963) doveva essere il primo alla terra. Ispirato al suo racconto fi glio di contadini affi ttuari nel episodio di una trilogia che, dopo breve Io non ero un fanciullo Friuli degli anni Trenta, deriso 92 • 15

per la sua indigenza dai coeta- grafi ca, sebbene il cinema sia un nella loro corrispondenza, lascia nei che gli affi bbiano l’odiato interesse da tempo per entrambi. tracce vistose nelle numerose ste- appellativo di “spaventapasseri”, Turoldo ha il primato di aver sure della sceneggiatura e nei ri- rappresenta simbolicamente la costituito il primo cineforum a pensamenti in fase di montaggio. terra isolata, povera e depressa Milano, dal 1951 parte delle atti- I numeri lo constatano. Al cano- cui appartiene, che farà della pro- vità della Corsia dei Servi, e dieci vaccio ispirato al racconto Io non pria miseria un valore, una fonte anni più tardi a Udine presso la ero un fanciullo mettono mano di forza da imporre al resto del Basilica delle Grazie. Pandolfi da due sceneggiatori, lo stesso Pan- mondo. tempo collabora agli esperimenti dolfi e Mario Casamassima. Que- etnografi ci del cinema documen- sta collaborazione, inizialmente a Le diverse stesure e versioni taristico di Vittorio De Seta. sei mani, produce tre trattamenti Gli ultimi è il primo incontro di La complessità di quell’impresa, che prendono le mosse da due David Maria Turoldo e Vito Pan- come entrambi defi niscono più di soggetti fi rmati di pugno da Tu- dolfi con la produzione cinemato- una volta la realizzazione del fi lm roldo. Al termine della fase di

David Maria Turoldo trovò Adelfo Galli presso la comunità di don Zeno di Nomadelfi a, dopo mesi di infruttuose ricerche e di provini nelle scuole e nei paesi del Friuli di un bimbo che potesse corrispondere alla caratteristiche da lui desiderate. La gran parte dei provini di tutti gli attori non professionisti è fortunatamente sopravvissuta ed è conservata nell’Archivio della Cineteca del Friuli. Una selezione degli stessi è stata acclusa negli extra del dvd. Fotografi a di Elio Ciol. 15 • 93

Un carrello sul set cinematografi co del Friuli collinare dove gli Ultimi è stato in parte girato. Una gigantografi a di questa foto di Elio Ciol è stata riprodotta all’entrata dell’Archivio Cinema del di Gemona. scrittura rimangono tre diverse derazione. Il Checo del racconto rativi che solo in parte trovano sceneggiature con varianti anche originario, diventa Bepo, poi Toni spazio nel fi lm. L’immedesimazio- signifi cative. Dopo la presenta- (Mario Casamassima) e infi ne ne con la fi gura dello spaventa- zione del fi lm alla selezione per il torna Checo. Josette è a lungo passeri e i relativi incubi favoriti concorso del Festival di Venezia Alfonsina, come Zuan il padre dall’appellativo con cui non solo i nel 1962 e il conseguente rifi uto di Checo è a lungo Simone (agli compagni lo deridono; le aspetta- della commissione, Pandolfi met- esegeti capire se eventualmente tive riposte nella scuola dove nel te mano al montaggio licenziato Pietro o il Cananeo) e la madre fi lm, al contrario del racconto, si assieme a Turoldo e prepara una di Checo prima di essere Anute è vede Checo primeggiare; il solita- nuova versione poi distribuita Polonia o Apollonia (un omaggio rio lavoro nei campi; l’umiliazione nelle sale. al maestro Mario Apollonio?). dell’allontanamento dal pranzo Oltre ai numeri, anche i titoli e i della famiglia benestante e l’acco- nomi dicono del lavorio di scrittu- Autobiografi a a narrazione glienza in chiesa; l’episodio delle ra e delle rifl essioni sullo spirito cinematografi ca pecore che sconfi nano dal terreno del fi lm. Al di là delle suggestioni, è ancora demaniale e il conseguente gesto Bepo, lo spaventapasseri; Non oggi possibile rintracciare nei do- d’ira del padre che lo appende era un fanciullo; Il fanciullo e cumenti di produzione e nelle di- allo spaventapasseri. Infi ne, la lo spaventapasseri; Solo contro verse stesure della sceneggiatura ribellione a questo destino e il ri- il mondo; Il pastorello e la sua (da dicembre disponibili sul sito scatto nella consapevolezza. ombra; Vita dei campi. Infi ne, della Cineteca del Friul i) l’ossa- Nei due successivi soggetti scritti come racconta Riedo Puppo, in tura principale del fi lm che da su- da Turoldo, a questi iniziali episo- osteria al termine delle riprese bito è costituita dai pochi episodi di se ne affi ancano altri. Sul ver- quotidiane riceve l’abbraccio libe- e ricordi autobiografi ci narrati da sante della condizione di ultimi ratore di Turoldo alla sua propo- David Maria Turoldo in Io non della terra, si inserisce la vicenda sta de Gli ultimi. ero un fanciullo, intorno ai quali del fratello Roberto che lavora Anche i nomi registrano le di- di volta in volta si innestano con e muore in miniera in Belgio, il verse prospettive prese in consi- propositi diversi altri spunti nar- rifi uto dei padroni ad affi ttare i 94 • 15 15 • 95

Quando mi portò in mezzo al campo, dove lui era issato e ondeggiava a un leggero vento: e si muoveva con stridore di sbatacchi di cenci e paglia al nostro appressarci. Da vicino, aveva una faccia orribile, che rideva e piangeva insieme. Era senza pupille, forse gliele aveva mangiate di notte il gufo. Gli cresceva in fronte qualche piuma di gallo, come a un pellerossa scoronato. Un braccio, stanco, pendeva dal legno come stroncato. E si voltava lentamente, forse sotto il peso della disperazione. Non mi ero mai trovato così sotto; mai mi sono sentito morire come quel giorno che pendevo quale cesta di rifi uti dall’artiglio di mio padre. Il fatto per tutti voi potrà sembrare ridicolo o impossibile. Invece era così. Il suo nome mi era stato affi b- biato da tutti i compagni del paese e dintorni. Bel paese di cristiani il mio: rovinare un bambino con quel soprannome. Per questo io non mi ero mai avvicinato a lui, per rivolta e insieme per non dare credito che ci fosse qualcosa di comune fra me e lui. E gli giravo al largo come gli uccelli impauriti. (...) In bocca a mio padre mai avrei pensato quel nomignolo per il suo ultimo nato. Dunque anch’egli pensava così come tutto il paese? Allora era vero che io non ero un fanciullo, una cre- atura come tutte? A mio padre io ci credevo. Mi sibilò con tanta forza e convinzione quel triste nome, che io mi misi a piangere, disperatamente. Mio padre, per tutta risposta, “vedi – mi disse – questo palo: così un’altra volta, ti appenderò, capisci?”. Intanto mi schiacciava contro di lui, in alto sul grano. Allora sentii l’urto della mia contro la guancia di lui e mandai un urlo da morire. Mi raggomitolai, nell’aria, per terrore e convulso. Piangevo senza lacrime. Dagli occhi non usciva più nemmeno una stilla. Sentii den- tro, ricordo bene, la mia anima volare da me, come il fuoco dalla bocca del prestigiatore. Perduto ormai, nessun dubbio. Tutti avevano ragione a chiamarmi così. Ero come lui! Questo avvenimento mi aveva ammazzato. Mi aveva assassinato mio padre con quel nome…

David Maria Turoldo, Io non ero un fanciullo; da Il mio vecchio Friuli, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, 2002. terreni, la necessità di ipoteca- allontana su un trattore, nell’al- sui ragazzi. Sullo sfondo della re la casa e di ritirare Checo da tro, salendo a potare gli alberi sequenza della madre che taglia scuola affi nché aiuti nel lavoro dei come nel fi lm. i capelli a Checo si consuma l’in- campi. All’episodio delle pecore Nel successivo trattamento a fi r- contro fra Zuan e l’amministra- si aggiunge quello del loro avve- ma di Turoldo, la storia si articola tore con la richiesta di aumento lenamento e nuovamente l’ira del ulteriormente. Per la prima volta dell’affi tto. Il fi nale è completa- padre. Il fi nale vede Checo eman- appare l’entrata in paese del carro mento diverso, vede Checo al- ciparsi, dopo la ribellione e l’ab- con il povero Nardin morto. Fa lontanarsi in canoa con gli amati battimento dello spaventapasseri, il suo ingresso anche il gioco del disegni sotto braccio verso il attraverso il lavoro: in un caso si muduc, prima spontanea aspira- mare lungo il Ledra e sullo sfondo zione di Checo ad aiutare il padre. il capobanda dei ragazzi del pa- Si ipotizzano alcune trame che ese, che lo ha deriso senza pietà, poi non sopravvivono: la gelosia di guardarlo incredulo allontanarsi. Un altro carrello cinematografi co interseca un fi lare di gelsi durante le Checo nei confronti della maestra Poco prima Checo, sfogandosi riprese degli Ultimi nella campagna che si vede con un giovane che con lo spaventapasseri prima di friulana. Armando Nannuzzi, il direttore nelle versioni successive diventa abbatterlo, gli aveva gridato: “Me della fotografi a, aveva già al suo attivo collaborazioni con Francesco Maselli, di volta in volta, amministratore, ne andrò da questo paese. Andrò Antonio Pietrangeli, Carlo Lizzani, casaro, esattore, gerente. Oppure a sfamare tutti i ragazzi poveri nel Alberto Lattuada e Luigi Comencini. quella relativa alla fi gura di Peter mondo”. L’anno prima degli Ultimi fi lmò a Trieste Senilità di Mauro Bolognini da Svevo. dal fuc, maestro di fuochi d’arti- Lo spirito che sottende questo Fotografi a di Elio Ciol. fi cio con un naturale ascendente fi nale, nelle successive stesure, 96 • 15

darà adito a soluzioni narrative cui peraltro non si dispone della trama. Mancano completamente che rappresentano l’anelito di parte fi nale, entrano in scena le vicende scolastiche come anche apertura di Checo verso l’esterno, alcuni cambiamenti fra cui i più le fantasie di Checo, novello Giot- fuori dal paese, in particolare ver- signifi cativi sono i dialoghi in to, scoperto a disegnare nei prati so il mare, forse il germe dell’epi- friulano e alcune insistite sequen- da Cimabue. Rientra arricchita di sodio della fuga lungo il Taglia- ze su di un comizio politico, sulle nuovi episodi la vicenda di Peter mento presente nel fi lm. discussioni in osteria e durante dal fuc e in particolare la sequen- Ma l’aspetto più importante di il sabato fascista. Si ha l’impres- za della prova notturna dei fuochi questo trattamento è lo sviluppo sione che in questa versione la d’artifi cio in occasione della festa del rapporto fra Checo e il suo componente politica emerga su della Domenica delle Palme. Una alter ego, lo spaventapasseri. Si quella sociale, motivo forse per sequenza notturna, in campagna, arricchisce di diversi momenti di cui si perdono le scene relative alla presenza del sindaco e degli ricomposizione dei rapporti per- al padronato e all’ipoteca come altri amministratori i cui volti sonali, anche con i compagni, ora anche quelle più intime di Checo sfi gurati dalle luci dei fuochi im- resi possibili da uno stato d’animo non più alle prese con le paure e i pressionano e spaventano Checo. non più disperato, embrione del gli incubi che poi si vedranno nel Questa scena contribuisce anche successivo processo di emanci- fi l m . a dilatare lo spazio dedicato alle pazione che si compie nel fi lm. Nelle due successive sceneggia- scene di carattere più intimista Compaiono ad esempio le scene di ture di Pandolfi , le più vicine al che descrivono lo stato d’animo gioco e della bevuta al mulino. momento delle riprese, si assiste di Checo. In questo senso si può Con il successivo trattamento a a un frenetico avvicendarsi di epi- vedere anche l’amplifi carsi del fi rma di Mario Casamassima, di sodi che entrano ed escono dalla motivo della gelosia nei confronti della maestra. Il personaggio di Peter dal fuc e la gelosia per la maestra spari- scono però defi nitivamente nella seconda sceneggiatura. Ritorna invece l’aspirazione al lontano, al mare, con un fi nale singolare. Dal momento che la chiesa è momen- taneamente incustodita, Checo invita il suo amico “piciul” a salire sul campanile a vedere l’effetto straordinario dell’ultimo raggio di sole della giornata, il raggio verde, di cui ha letto in un libro. A questa scena però segue il rientro a casa e la notizia della morte del fratello con cui si chiude il fi lm, forse troppo priva di speranza e di riscatto per incontrare le aspettative di Turoldo. Un’altra sequenza particolare è quella Adelfo Galli (nella parte di Checo) con il padre interpretato da Lino Turoldo, il fratello che vede la macchina da presa contadino cui Davide prestò la voce nel fi lm. Fotografi a di Elio Ciol. indugiare su Checo perso nei suoi 15 • 97

In piazza a Coderno di Sedegliano, il paese natale di David Maria Turoldo, con Checo e Anute. Altre riprese furono effettuate a Buia, Craoretto (), Glaunicco (), Passariano (Codroipo). Tutti gli interni furono girati a Coderno di Sedegliano. Fotografi a di Elio Ciol. pensieri: “(Checo) segue il volo di Le riprese e la dialettica fra la volontà di Turoldo di costruire una foglia che plana, il fumo che componenti sociali e liriche: una storia incentrata sull’artico- serpeggia da un camino, l’onda Il Bildungsroman lazione dello sviluppo psicologico delle tegole su di un tetto sgan- Con queste trame, indecisioni e di Checo come nella migliore gherato. È solo: con il suo cielo. molti appunti a mano si arriva alle tradizione del Bildungsroman. Non odia, non ama. Non sente”. riprese (effettuate nell’arco di L’intimismo perseguito da Tu- Gli infl ussi della poetica di An- due mesi nella zona di Coderno di roldo ha una natura più verista e tonioni (si pensi al celebre fi nale Sedegliano, sui colli di Buia, nel lirica rispetto alle poetiche della de La notte, 1961) che proprio in mulino nieviano di Glaunicco, a cosiddetta “incomunicabilità” quell’anno gira il capitolo conclu- Craoretto di Prepotto; viene uti- dell’epoca. La cucina, è scritto sivo della cosiddetta “trilogia esi- lizzato anche un tronco della fer- nel soggetto, è un cubo di calce stenziale”, l’Eclisse, sembrano per rovia Udine-Cividale con vetture annerito; il padre, un blocco di fa- un attimo affascinare Pandolfi , e locomotiva d’epoca), tiche. Sono gli incubi, le visioni e più che Turoldo. al termine delle quali si conferma le fantasie di Checo a interessare 98 • 15

mare aperto) e Turoldo contenere le descrizioni di carattere sociale, l’ipoteca, i padroni che non af- fi ttano. E forse invece è proprio la collaborazione fra i due a dare voce a un esperimento signifi cati- vo dell’epoca.

Il montaggio e i successivi tagli In fase di montaggio non si regi- strano particolari cambiamenti, alcune sottolineature vengono considerate superfl ue per l’econo- mia del racconto: la comparsa di Cimabue, un elemento in costu- me in un fi lm girato interamente dal vero; si accorcia la sequenza della vendita della mucca e scom- La famiglia di Checo riunita attorno ad una povera cena a base di polenta e radicchio. Il fi lm fu girato nei primi mesi del 1962. Fotografi a di Elio Ciol. pare Villa Manin, anche questa forse ritenuta fuori contesto; la sequenza della richiesta di au- Turoldo, la forza della solitudine la miseria, dall’altra la trasfi - mento dell’affi tto, forse troppo e della diversità a vincere sulla gurazione di questa condizione lunga; l’episodio dell’offerta di durezza della vita e anche della nella tensione verso il riscatto e una fetta di pane e marmellata a miseria. la consapevolezza personale del Checo che anticipa l’umiliazione Anche la scelta della lingua italia- fanciullo/spaventapasseri. Sembra della cacciata dal pranzo dei vi- na (sempre che la si possa consi- di vedere Pandolfi che blocca gli cini e infi ne un ultimo indugiare derare tale) è spiegata da Turoldo slanci di Turoldo verso l’infi nito sulla ritrovata armonia con i com- alla stregua di una fi gura poetica (la canoa lungo il Ledra verso il pagni dietro l’alto muro del cimi- che dal particolare (la vicenda friulana) possa raggiungere l’uni- versale, la condizione di tutti gli ultimi della terra. ... schietta e alta poesia Rileggendo a ritroso la genesi del racconto, emerge con chia- “Sarà la solitudine stupenda del Friuli nella quale ho vissuto nei rezza che l’andirivieni di episodi primi due anni della prima guerra, alternandone il soggiorno con e spunti narrativi nelle diverse il Carso, sarà l’arte del bimbo incredibilmente spontanea e vera, sceneggiature è il risultato del- sarà il modo semplice e assoluto di mostrare i terribili simboli della la tensione fra le spinte sociali morte e della fame, so che si tratta di un fi lm indimenticabile, infi ni- e politiche vicine a Pandolfi e tamente più bello dei pochi che quest’anno ho ammirato, si tratta quelle umaniste di Turoldo. An- dell’unico fi lm di quest’anno unicamente dettato da schietta e alta che i titoli provvisori ci paiono poesia”. una chiave di lettura di questa dialettica: da una parte i campi, Giuseppe Ungaretti 15 • 99

Una ripresa in interni nella cucina di Coderno di Sedegliano. Checo è con la madre Anute interpretata da Margherita di Osoppo. Fotografi a di Elio Ciol. tero (un orto in sceneggiatura). dalla fuga lungo il Tagliamento più realista e meno fantastica la Non sono variazioni signifi cative accompagnato da una camionetta trama del fi lm. come non lo sono gli episodi de- dei militari. scritti nelle diverse sceneggiature Sono invece più importanti i tagli Il nuovo restauro digitale che non vengono girati e di cui adottati da Vito Pandolfi dopo Il fi lm distribuito in sala nel non si è detto in precedenza: il il rifi uto da parte del Festival di 1963, ovvero la versione più bre- litigio fra il parroco e il vicario, il Venezia e che producono la ver- ve de Gli ultimi, è stato restau- momentaneo ritorno del fratello sione conosciuta fi nora, in cui rato nel 2002 dalla Cineteca del dal Belgio che regala una lira a vengono eliminati alcuni incubi e Friuli, dal CEC e da Cinemazero Checo (scena sostituita dalla più visioni dello spaventapasseri che a partire, anche per il sonoro, dal effi cace sequenza dei soldi vinti al tormentano Checo, come anche la negativo camera originale dal gioco del muduc con cui compra sequenza del rispecchiamento dei quale si sono ottenuti nuovi ele- il sigaro al padre), la pesca not- due nell’acqua. Una sorta di tenta- menti di conservazione, un inter- turna con i compagni e il rientro tivo di riportare a una dimensione negativo e un interpositivo, e una 100 • 15

La scena del matrimonio girata a Coderno di Sedegliano. La documentazione fotografi ca di tutta la lavorazione del fi lm fu opera di Elio Ciol che interpretò anche una piccola parte, quella del fotografo che dà luce alla cerimonia nuziale con un fl ash al magnesio. Il fi lm è ambientato negli negli anni Trenta.

nuova copia positiva 35mm. quenze tagliate, mentre il lavanda razione di correzione digitale del Il restauro della versione inedita originale è stato digitalizzato in colore e allo stesso tempo al lavo- appena ultimato presso il labora- full-HD e il sonoro a 24-bit. Si è ro di ripulitura dell’audio prima di torio Cinedia di Parigi e curato poi intervenuti sul master digitale fi nalizzare il master DVD. da Camille Blot-Wellens è partito per ripulire l’immagine da alcuni I nuovi elementi digitali risultanti invece dal positivo d’epoca (la- problemi della pellicola risalenti dall’intervento di preservazione vanda) che era stato conservato alla fase di stampa nel 1962. sono un hard drive, un nastro con il montaggio originale presen- Presso lo studio Pianeta Zero di magnetico LTO e un HD-Cam SR tato al Festival di Venezia. Dall’in- Trieste, con la supervisione di per la conservazione. Per la pro- terpositivo, è stato stampato un Giulio Kirchmayr e la fondamen- iezione si è prodotto un master nuovo duplicato negativo al fi ne tale collaborazione di Elio Ciol, si Blu-Ray ed è stato codifi cato un di preservare il fi lm, incluse le se- è in seguito provveduto all’ope- pacchetto DCP. 15 • 101

UN DOPPIO DVD PER LA NUOVA EDIZIONE SPECIALE DE GLI ULTIMI Realizzato anche col sostegno della Fondazione CRUP

Gli ultimi (1963) di padre David sciuta. Il nuovo restauro digitale Spiccano le interviste di Turoldo Maria Turoldo e Vito Pandolfi , fi lm recupera Gli ultimi come fu pre- a Siro Angeli, Riedo Puppo e An- capolavoro sul Friuli contadino de- sentato a Venezia e come non lo drea Zanzotto nel programma del gli anni Trenta, ispirato al racconto abbiamo mai visto. 1982 curato da Tullio Durigon per breve di padre Turoldo intitolato Sono raccolti anche 80 minuti di la sede regionale della RAI, un’in- Io non ero un fanciullo, ritorna a contributi extra, fra cui il trailer, il tervista del 1963 della CBC TV nuova vita grazie a un’edizione fi nale alternativo, i tagli di mon- Canada a Turoldo (in inglese!) e speciale in doppio DVD curata taggio e di edizione, i sopralluoghi una recente video-intervista a Elio dalla Cineteca del Friuli, dal Cen- e i provini agli attori realizzati da Ciol realizzata da SoWhat Studio tro Espressioni Cinematografi che Pandolfi e da Elio Ciol (chiamato di Pordenone. di Udine e da Cinemazero di Por- all’epoca a documentare l’impresa Allegata ai DVD, una brossura denone. dell’amico Turoldo nel ruolo per raccoglie – oltre al racconto di Tu- Disponibile dal 6 dicembre, la lui inedito di fotografo di scena) roldo Io non ero un fanciullo - in- nuova edizione è stata realizzata e ora recuperati presso l’archivio terventi e presentazioni del fi lm e con il sostegno della Fondazio- personale di Turoldo a Fonta- del lavoro di ricerca svolto nonché ne Cassa di Risparmio di Udine nella di Sotto il Monte grazie alla i commenti e le considerazioni dei e Pordenone, dell'Associazione collaborazione della Compagnia poeti che hanno scritto del fi lm, Culturale Il ridotto di Coderno dei Serviti. Anche fra gli extra Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo di don Nicolino Borgo e con la non mancano i materiali inediti. Pasolini e Andrea Zanzotto. collaborazione della Presidenza del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. Oltre alla versione uffi ciale del fi lm uscita in sala cinquant’anni fa (la prima fu al cinema Centrale di Udine il 31 gennaio 1963), il doppio DVD include la versione presentata dagli autori alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1962 e fi nora rimasta inedita. Gli ultimi, infatti, non fu accettato per il con- corso e fu proiettato, a margine della Mostra, in una saletta del Lido alla presenza di alcuni intel- lettuali e critici dell'epoca, fra cui Guido Aristarco, che incoraggia- rono Pandolfi ad apportare alcune modifi che. Ne risultò la versione La troupe degli Ultimi riprende a Villa Manin una scena successivamente eliminata distribuita in sala e sinora cono- dal fi lm, ma presente tra gli "Extra" del DVD. Fotografi a di Elio Ciol. 102 • 15

Turoldo, Gli ultimi, 50 anni dopo nelle fotografi e di Elio e Stefano Ciol a Trieste fi no all’11 gennaio 2013 Lo spaventapasseri; fotografi a di Stefano Ciol.

I lavori del restauro digitale de ra e dell'identità friulana, è stato te la rinascita di una regione che Gli ultimi sono accompagnati voluto dalla Presidenza del Con- saprà fare della propria miseria dalla mostra fotografi ca “Turol- siglio Regionale data anche la fe- non una vergogna ma un valore do, Gli ultimi, 50 anni dopo nelle lice coincidenza di date che vede e una fonte di riscatto. fotografi e di Elio e Stefano Ciol”, nel 2013 il cinquantenario sia del La mostra propone diverse gi- inaugurata il 22 novembre nel- fi lm sia della nascita dello sta- gantografi e delle immagini di Elio la sede del Consiglio Regionale tuto autonomo del Friuli Venezia Ciol, che lui stesso ha seleziona- del Friuli Venezia Giulia in Piazza Giulia, di cui David Maria Turoldo to e che ricostruiscono "emotiva- Oberdan a Trieste, dove rimane può essere considerato a ragio- mente" alcune fasi delle riprese. aperta fi no all’11 gennaio 2013. ne uno dei padri culturali. Checo, Artista di grande sensibilità e L'evento, che attesta l'importan- il bambino protagonista de Gli ul- capacità espressiva, oggi inter- za del fi lm per i valori della cultu- timi, rappresenta simbolicamen- nazionalmente riconosciuto, Ciol realizzò sul set quasi duemila scatti. Trascendendo il suo com- pito uffi ciale di fotografo di sce- na, fece molto più che riprendere le scene principali del fi lm e le immagini da lui immortalate co- stituiscono una vasta documen- tazione che permette di ricostru- ire anche la vicenda umana dei protagonisti. Alle foto di Elio Ciol si accompa- gnano nella mostra le vedute che il fi glio Stefano propone oggi dei luoghi che 50 anni fa sono stati le ambientazioni del fi lm. Scatti che sanno cogliere assonanze, simi- larità e la grazia senza tempo del Si gira dall'alto la complessa scena dello spaventapasseri. Fotografi a di Elio Ciol. Friuli Venezia Giulia. 15 • 103

Immagine tratta dalla pubblicazione Die wichtigsten deutschen Kernobstsorten von R. Goethe, Herm Degenkolb und Mertens und unter der Leitung der Obst- und Weinbau- Abteilung der deutschen Landwirtschafts-Gesellschaft. 1894 - Gera. Biblioteca ERSA "Luigi Chiozza", Pozzuolo del Friuli. 104 • 15

Claudio MATTALONI

San Danêl sul Nadison

Come abbamo scritto (Tiere fur- ditta la produzione di prosciutti, erano destinate le cosce dei ma- lane n. 7, 2010) la tradizione del e di altra robe purcine, era una iali che, da ottobre a marzo, la prosciutto era diffusa in molti attività legata al negozio di generi ditta Plaino macellava (almeno paesi del Friuli, tradizione di cui alimentari che si trovava nel cen- quattro per settimana); a queste San Daniele ha saputo approfi tta- tro della Città Ducale. si aggiungevano quelle acquistate re grazie alla vocazione commer- Il titolare era Angelo Plaino (clas- da allevatori locali. ciale della cittadina. Fra la scarsa se 1906), appartenente ad una Dopo la salatura, che durava documentazione iconografi ca di famiglia che esercitò la norcineria Cquesto interessante aspetto della dapprima a Udine, poi, a partire nostra storia emergono le fotogra- dalla metà degli anni Trenta a Ci- Locale per la stagionatura dei prosciutti della ditta Angelo Plaino di Cividale. fi e della ditta Plaino di Cividale vidale del Friuli. La convivenza coi cereali non destava che qui presentiamo. Per questa Alla produzione del prosciutto fi sime igieniche. 15 • 105

12-15 giorni, si spolverava la co- strutto, pepe e paprica. La sta- scia di pepe, applicando anche gionatura si prolungava per 12-14 della paprica attorno alla ‘noce’. Il mesi, a seconda se i periodi erano pezzo era poi appiattito, metten- più o meno umidi. dolo sotto peso, con delle assi di Si producevano 200-300 prosciut- legno su cui si poggiavano delle ti all’anno. Oltre a smerciarli nel pesanti pietre. L’appiattimento proprio negozio di corso Mazzi- era una caratteristica tipica dei ni, la via principale nel centro prosciutti prodotti a Cividale. di Cividale, da Angelo Plaino Locale per la stagionatura degli Per la fase di asciugatura i pro- si rifornivano commercianti di insaccati: si notino le ragguardevoli sciutti si appendevano in una Udine e Gorizia. Alcuni acqui- dimensioni dei salami. grande stanza, ad uso di granaio, renti sceglievano personalmente ove era stata predisposta una i prosciutti all’inizio del ciclo di produzione di salami, ossocolli, apposita intelaiatura di legno. Le produzione e li facevano timbrare musetti, e, nel periodo natalizio fi nestre erano aperte solo duran- con il proprio nome, facendoli anche zamponi e ‘bondiole’ (il te la notte, per evitare che la luce mettere da parte per poi recarsi a ripieno dello zampone inserito diurna potesse favorire fenomeni prelevarli man mano che serviva- nella vescica del maiale), è pro- di irrancidimento. In primavera no loro. seguita sino ai primi anni Settan- i prosciutti erano rifi lati e stuc- L’attività di norcineria condotta ta del secolo scorso. (Informa- cati, coprendoli con una pastella in proprio dalla ditta Plaino, che zioni di Antonino Plaino, fi glio di ottenuta amalgamando farina, oltre ai prosciutti prevedeva la Angelo).

In questo locale venivano conservate le “baffe” di lardo e venivano salati i prosciutti (sulla destra). 106 • 15

Simpri mancul contadins, ma (un fregul) plui in grant

Une presentazion dal VI Censiment gjenerâl de agriculture in Friûl-Vignesie Julie

Il rilevamentrile al è stât inmaneât e agricule utilizade des aziendis I comuns dai Cuei, in provincie di ddavueltavu dal Servizi statistiche e (SAU) si è sbassade a 219.910 Gurize, a àn une particolâr voca- aafafârsfârs gjenerâi de Direzion centrâl etars, regjistrant un -7,6%. Chest zion vitivinicule, cun presince di fi nnancis a n patrimoni e programa- procès di concentrazion dai te- vignis plui alte dal 50% sul totâl zzionion de Regjon Autonome Friûl- rens agricui al à puartât a une de SAU, adun cui teritoris di là IVignesie Julie cu la colaborazion incressite de dimension medie dal Aghe. dal Istat, e al à cjapât dentri des aziendis: di 7 a 10 etars di Al è di fat il 30% des aziendis 29.668 aziendis agriculis. SAU. Rispiet ae medie taliane lis che al à superfi cie a vît. Ancje in Il scandai si lu à fat daûr dal aziendis dal Friûl Vignesie Julie chest câs si note une incressite de model a “alte partecipazion” cun a son plui slargjadis, in linie cu superfi cie coltivade cuintri di une 152 rilevadôrs, 14 coordenadôrs lis altris regjons dal Nord Est. In diminuzion des aziendis. intercomunâi e 3 responsabii dai gjenerâl, al è calât il numar des coordenadôrs intercomunâi. Lis aziendis cun piçule superfi cie e a Passant ai arlevaments il 14% des inovazions introdusudis rispiet al son cressudis chês di plui grues- aziendis agriculis al arleve be- Censiment 2000 (plui contignûts sis dimensions. steam destinâts ae vendite; 3.160 informatîfs, sisteme informatîf on arlevaments cun 90.000 bovins, line, pussibilitât di rispuindi vie Cjalant aes coltivazions, scuasit 250.000 suins, 7.000.000 avicui, web) a àn permetût di davuelzi trê cuarts de SAU regjonâl e je 650.000 cunins, 15.000 tra ovins e prime e miôr il rilevament e di di aratîf, soredut cereâi, plantis cjavrins, 2.000 ecuins e 1.600 bu- rindi disponibii i risultâts proviso- industriâls e mangjadure. Cun di falins. La percentuâl di aziendis ris za di Lui 2011. Di note la per- plui si viôt la riscuvierte des pro- zootecnichis e je in particolâr alte centuâl di cui che al à rispuindût duzions locâls di cualitât, cuant in provincie di Triest. on line: il 4,6% cuintri dal 2,9% che si è sbassade la cuote di Ancje tal cjamp zootecnic, si viôt de medie nazionâl. aziendis e superfi ciis cun terens a une gjenerâl contrazion dal nu- vieri, prâts permanents e pascs. mar des aziendis a front di une Ducj i risultâts a son riferîts ai 24 Jenfri lis coltivazions legnosis e je incressite de lôr dimension medie. di Otubar dal 2010, cuant che in in evidence la vît e une incressite Friûl Vignesie Julie a son stadis de superfi cie e des aziendis dede- La forme juridiche des aziendis censidis 22.327 aziendis agriculis, adis ae coltivazion di ulîf, plui che e reste chê de aziende individuâl il 33% in mancul rispiet al Cen- dopleadis tai ultins dîs agns sore- cuntune variazion in diminuzion siment 2000; ancje la superfi cie dut te provincie di Triest. in dîs agns dal 36%, cuant che e 15 • 107

une incressite de cuote di azien- dis a conduzion “rose” che e passe dal 34% al 36%.

Il 22% dai parons di aziende al à mancul di 50 agns e la distribuzion par etât e mostre une piçule in- cressite tes fassis anagrafi chis plui zovinis rispiet al 2000. La classe mezane e risulte te fasse di etât comprendude tra 60 e 64 agns, cuntune incressite dal numar di condutôrs cun plui di 80 agns. Il livel di istruzion plui comun tra i parons di aziende al è chel des scuelis elementârs (42%) daûr di chel de scuele medie (26%). Il 17% al à un diplome di scuele superiôr e il 4% lu à cjapât un cun orientament agrari. Al à un diplo- me di cualifi che il 8% dai parons di aziende, l’ 1% a orientament agrari. Dome il 3% di lôr (cuintri dal 6% nazionâl) al risulte lau- reât, il 0,9% a orientament agrari (avuâl al valôr nazionâl).

In conclusion, i dâts nus fasin capî miôr lis tindincis di chest setôr e A aumentin lis aziendis a conduzion “rose”, ven a stâi che a son plui feminis “cui bregons”. A tornin, e sperìn che no sei nome une mode, lis produzions locâls di lis esigjenzis dal teritori, nus per- grande cualitât come la cevole rose de Val Cose (te fotografi e). metin di difi ndi lis peculiaritâts de nestre Regjon e di inmaneâ i intervents dal futûr. Intun mont je incressude dal 59% la societât dal condutôr in prime persone globalizât ancje il setôr primari semplice. Tal 90% dai câs, il con- e risulte il 43%. Si viôt dut câs al varà di pontâ su colaborazions dutôr al puarte indevant in prime che la cjame di lavôr aziendâl e e fusions di aziendis e economiis persone la ativitât agricule e tal je daûr a movisi de manodopare di scjale par rivâ a jessi plui com- 60% dai câs i terens a son di pro- familiâr ae manodopare in forme petitîf. prietât, ma la struture fondiarie continuative o saltuarie. e risulte plui fl essibile rispiet al Dal scandai di gjenar al ven fûr Direzione centrale fi nanze, patri- passât, in gracie di diviersis for- che la diminuzion des aziendis a monio e programmazione mis di possediment dai terens. conduzion feminîl tra i doi censi- Servizio statistica e affari generali E ven confermade la impuartance ments (-29%) e je minôr rispiet Uffi cio Regionale di Censimento de mandopare familiâr te ativitât ae diminuzion di chê a conduzion Regione autonoma Friuli-Venezia agricule (78%), dulà che chê fate maschîl (-35%). Chest al puarte Giulia 108 • 15

Gabriella BUCCO

Il Palazzo d’oro di via Manin a Udine Il suo antico splendore torna a illuminare la strada grazie al restauro realizzato dalla Fondazione CRUP

UnUn libro illustrillustraus a la storia del “Pa- Il Palazzo d’Oro, come era deno- L’incarico, affi dato nel 2012 al re- lazzo d’Oro”,”, sedesed della Fonda- minata la sede della Fondazione stauratore Stefano Tracanelli, è zzioneione CCruprup a UUdine.d Crup in via Manin, non era più stato preceduto dalla diagnostica ««QuestaQuesta viaa (M(Manin),a che corre ai tale da tempo; il sole e la piog- delle patologie del decadimento, ppiediiedi del collecolcolle,, è nota… per la co- gia avevano dilavato non solo le dal riconoscimento dei materiali siddetta CCasa dd’Oro’ (Contarini) il dorature, ma anche i rossi e i blu e dall’analisi stratigrafi ca degli Ucui progetto è dell’architetto Gil- che decoravano i fregi in pietra intonaci. Quello che sembrava berti», scriveva nel 1913 Giuseppe artifi ciale. ordinaria manutenzione ha ri- Bragato nella sua guida di Udine. Nel 2005 questo palazzo e gli velato una sorpresa che ha fatto Poi il tempo era inesorabilmente immobili vicini, casa ex Pividori passato: una materia spessa dal Gori e palazzo ex Braida Caratti, malinconico tono grigiastro ave- furono acquistati dalla Fonda- Una foto dei palazzi Gori Pividori, va ricoperto giorno dopo giorno, zione Crup, che vi aveva sede Braida Caratti e Contarini allineati lungo inesorabilmente, le facciate e dal 1996, e si sentì l’esigenza di via Manin. Una visione apparentemente realistica, ma impossibile da osservare, dell’oro secessionista si era per- restaurare le facciate esterne ottenuta grazie all’abilità del fotografo duto persino il ricordo. per evitarne l’ulteriore degrado. Luca Laureati. 15 • 109

Il libro sul Palazzo d’Oro, edito dalla Fondazione CRUP, al quale hanno collaborato diversi studiosi coordinati da Liliana Cargnelutti. cambiare la prospettiva dei lavo- ri: una architettura del tutto ina- spettata, con i suoi inserti d’oro splendente, di rosso carminio e azzurro cobalto. Il restauro è sta- to effettuato, ma con una nuova attenzione ai più minuti dettagli Dalle pendici del Castello il fregio superiore del palazzo risplende con le sue e una riproposizione delle lami- dorature e le calde tonalità delle pietre. ne d’oro a 22 carati sulla pietra artifi ciale. Solo l’impegno cultu- le vicende dell’edifi cio, ma le Il libro è stato pubblicato a tem- rale e il sostegno convinto della inserisse nella storia di Udine e po di record assecondando la Fondazione hanno reso possibile nel quartiere udinese di San Bar- velocità con cui si è proceduto al restituire le facciate del palazzo tolomio, come si chiamava la via restauro, terminato nell’autunno all’originario aspetto liberty, poi- Manin, prima dell’Unità d’Italia. di quest’anno. ché il restauro fi lologico è costato Il compito di coordinare i vari Il volume inizia con un saggio circa 350.000 euro. studiosi è stato affi dato alla stes- accattivante di Giuseppe Berga- La meraviglia dei passanti, e an- sa Liliana Cargnelutti, storica di mini, che tratteggia, con preci- che di coloro che lavoravano da lunga esperienza precisa e prepa- sione e levità nel contempo, la anni nella via, ha spinto il Pre- rata, ma anche dotata di entusia- storia tra Otto e Novecento di sidente della Fondazione, dott. smo e di profonda sensibilità. Nel via Manin, importante nella vita Lionello D’Agostini, a stampare suo compito è stata affi ancata da economica e, perché no, anche una brochure, curata da Liliana Ferruccio Montanari, che ha cre- mondana. Più che sui monumenti Cargnelutti, per spiegare il re- ato sequenze parlanti d'immagi- lo studioso si sofferma sulla vita stauro che aveva rivelato un pa- ni, e dal fotografo Luca Laureati, di coloro che animavano la stra- lazzo completamente diverso da che ha curato tutta la campagna da, dove erano ubicati la famosa quello a cui eravamo abituati. Il fotografi ca. La sua ricostruzione, Birreria Puntingam, gestita dal libretto, tradotto anche in inglese fotogramma dopo fotogramma, tedesco Giuseppe Wernitznig e tedesco, si è dovuto ristampare delle facciate su via Manin, su via e prontamente italianizzata in essendo andato in breve tempo Prefettura e su piazzetta Valenti- Manin durante la prima guerra esaurito. Allora la Fondazione ha nis ha richiesto una grandissima mondiale, il salotto Caimo Dra- pensato di pubblicare un libro passione nella fase di post edizio- goni, la Società dell’Unione con i Il ‘Palazzo d’oro’ nella città di ne delle immagini, che sembrano suoi balli, le popolari osterie Ai Udine che raccontasse non solo più vere del vero. Piombi e All’Aquila Nera, il Bar 110 • 15

Cotterli, ritrovo prediletto dai Gubertini nel 1451, all’incirca Palazzo, insieme con i fabbricati giornalisti. Bergamini afferma all’altezza di via Prefettura, e annessi, fu acquistato dalla Cas- che via Manin era soprattutto distrutta nell’Ottocento. I Guber- sa di Risparmio e divenne sede la “strada dei fotografi ”. Vi ebbe tini possedevano le costruzioni della Fondazione Crup, che nel sede lo stabilimento fotografi co dell’isolato, dalle porta cittadina 2005 acquisì tutto il complesso. di Giuseppe Malignani, ceduto alla via della Prefettura, proba- La Cargnelutti ricostruisce con dalla fi glia Adele a Giacomo della bilmente dal Duecento, quando precisione le vicende del palazzo Rovere, associatosi con l’arte- erano qui emigrati da Cremona. Contarini, dal medioevo ai giorni niese Fabio Madussi. Ma in via Soci della famiglia Valentinis, i nostri, offrendo una rinnovata Manin operarono anche Luigi Gubertini cedettero a quest’ul- valutazione critica di Ettore Gil- Pignat, Francesco Krivec e Giulio tima la grande casa domenicale. berti, un architetto la cui opera Tardivello. I Valentinis dal Quattrocento al va certamente riconsiderata con Dopo queste note tra storia e vita, 1904 abitarono ininterrottamente attenzione. Del tutto inedito è lo il saggio di Liliana Cargnelutti l’area, cedendo parti delle pro- studio della famiglia Contarini, descrive le vicende dei tre palazzi prietà che andarono a formare che offre un interessante spacca- della Fondazione Crup, spiegando Casa Gori Pividori e Braida Ca- to dell’economia cittadina. anche il nome antico della con- ratti, il cui assetto architettonico Segue il saggio di Gabriella Buc- trada di San Bartolomio da una fu dovuto alle ristrutturazioni co, che esamina gli aspetti de- cappella costruita dalla famiglia ottocentesche, rispettivamente corativi degli ornati, ispirati alla nel 1853 e nel 1839. Nel 1904 la Secessione viennese: fasce deco- casa dei Valentinis fu acquistata rative a foglie d’alloro, ghirlande da Giovanni Contarini (Udine classicheggianti con svolazzanti 1867 – San Daniele 1950), tito- nastri Liberty, gli inserti di pie- lare, secondo gli studi di Liliana tra venati di color giallo. Nel con- Cargnelutti, di una conceria. Fu cetto secessionista di opera d’ar- lui, nel primo decennio del No- te totale, Gilberti ricercò ancora vecento, a volere la ricostruzione l’unitarietà tra interno ed ester- dell’edifi cio, l’attuale Palazzo d’O- no, e così le decorazioni a foglie ro, che doveva ospitare il negozio del sottotetto sono ripetute nella di famiglia, un cinema e uffi ci ringhiera in ferro battuto della nonché appartamenti nei piani scala interna, opera di Alberto superiori. L’architetto fu Ettore Calligaris, uno dei più famosi ar- Gilberti (Udine 1876 – 1935), tisti del ferro battuto in Italia. Il allievo di Camillo Boito, che nel ricco apparato decorativo in pie- 1904 aveva diretto l’Uffi cio tecni- tra artifi ciale, cioè cemento cola- co del Comune di Rovereto, allora to in stampi, è opera della ditta appartenente all’Impero asburgi- di Gerolamo D’Aronco, padre del co. Nel 1933 il Palazzo fu rilevato, più famoso Raimondo. Il colpo di dopo il fallimento del Contarini, genio di Gilberti fu quello di far dalla Cassa di Risparmio che af- dorare a foglia i decori in cemen- fi dò al Gilberti il completamento to, compito eseguito dall’udinese dell’edifi cio, in stile Novecento, Luigi Zandigiacomo. La studiosa su piazzetta Valentinis, anti- ha approfondito i rapporti con Dopo il restauro il palazzo si rifl ette sui cipando soluzioni usate anche le architetture di Gilberti a Ro- vetri degli edifi ci della via, illuminandola. per il cinema Odeon. Nel 1963 il vereto, e ha ricostruito il ruolo 15 • 111

del Gilberti nella progettazione una tradizione duecentesca con di reintegrare le stesure croma- delle fi liali della banca: Tolmezzo numerosi esempi nel Veneto, tiche rosse e blu, e di stendere la (1924-1926), Pordenone (1927), che consiste nel recuperare la lamina d’oro sopra le decorazioni l’Esattoria comunale di Udine malta tra i conci e ricompattarla in pietra artifi ciale. Dopo averla (1927-1928) e la fi liale di Maniago per dare protezione dagli agenti saturata con olio siccativo, e aver (1933). Unica eccezione fu quella atmosferici e unitarietà alla fac- spalmato uno strato di missione, di Cervignano, per cui fu affi ttato ciata. Nel corso del restauro della una sorta di vernice adesiva, un palazzo già costruito da Cesa- stessa casa si è trovato un into- è stata stesa una lamina d’oro, re Miani. naco dal colore verde originale, brunita e saldata alla parete con L’ultimo saggio, di Stefano Tra- che è stato riproposto nell’intero pietra d’agata. L’oro a 22 carati è canelli, affronta le problematiche edifi cio. Le facciate di palazzo stato quindi protetto con vernice del restauro. L’intervento su casa Contarini sono state pulite eri- trasparente tanto che l’antico Gori Pividori ha messo in eviden- gendo dei ponteggi che hanno Palazzo d’oro è tornato, come in za l’uso della stilatura dei giunti, anche permesso ai restauratori origine, ad illuminare la strada.

La facciata del Palazzo d’Oro nel recuperato splendore dopo i restauri in una fotografi a di Luca Laureati. 112 • 15

Of blazing nights and comforting snow

Oh what delights can Christmas bring? To some the pure snowfl akes that fall; To others the chants that Children sing; Delights that only today I can recall.

Friuli, my place, now gleams with light, Thus blazes in joyful thoughts Just as the fi re gleans up the night, That hides Lucie that fi lls the socks.

Plus, the warmth of Pignarul, Combined with Vin Brulè and some Muset, (Savory comforts of this Friul), Create with Polenta a sweet quartet.

In my town’s square a manger I fi nd Made out of wood and fragile straw, And in it a world of just one kind, Built simply with hammer and also a saw.

To hallow the mind-free joy Of such a tender-fi lled Nadal, Friends now play in their Casal So now the snow they can enjoy!

Emma Gustafson

(Emma Gustafson is 18 years old and a student at the Liceo Classico Europeo of Educandato Statale Uccellis in Udine) Tiere furlane N. 15 Dicembre 2012