Turpe est in patria vivere et patriam non cognoscere” (Plinio)

I QUADERNI DELL’ALTRA CULTURA

RASSEGNA DI STORIA E TRADIZIONI POPOLARI DELL’ALTO JONIO COSENTINO Direttore: Giuseppe Rizzo – Redazione: Albidona (CS), Vico S. Pietro – tel. 0981.52066 e 0981.500192

Quaderno n. 39/marzo 2013

CATASTO ONCIARIO ALBIDONA 1742-1745

La Redazione dei Quaderni dell’Altra Cultura permette la riproduzione, integrale o parziale, dei propri elaborati ma chiede che siano citati gli autori degli scritti e la testata periodica degli stessi quaderni.

CATASTO ONCIARIO DI ALBIDONA

A cura di Giuseppe Rizzo

1 Per i lettori- Vi propongo un documento storico inedito dove è descritta la situazione sociale ed economica del nostro paese nel 1700. Il monaco cronista è di mia invenzione, invece, i documenti, le persone nominate, i luoghi descritti sono autentici, attinti dal Castasto onciario del 1743-45, il cui frontespizio reca l’invocazione I M I (in nome di Maria e di Gesù…) – Archivio di Stato di Napoli. Un cronista del 1745 in Albidona

Il marchese Don Antonio Maria Castrocucco, una diecina di magnifici ricchi, un Clero pure ricco, 13 preti, 25 massari, 44 bracciali e il Castello ormai diruto

Sua Maestà Carlo III ordina il Catasto onciario per conoscere e per tassare i sudditi del Regno di Napoli

Sua Maestà Carlo III di Borbone1 ha emanato le prammatiche imponendo a tutti i comuni del Regno di Napoli di rivelare la situazione sociale ed economica di ciascuno abitante, perché, sebbene viviamo nella miseria e nell’abbandono, si devono pur pagare le tasse, e siamo appena usciti dal malgoverno spagnolo; comunque, anche sua Maestà viene dalla Spagna. Chi scrive questa cronaca è un frate domenicano del convento di , dove visse il monaco filosofo Tommaso Campanella, che si fece 27 anni di carcere perché scriveva e parlava contro la “tirannia e l’ipocrisia”, contro gli occupatori Spagnoli, contro l’oscurantismo e la corruzione della Chiesa e a favore della libertà e della rinascita del Sud. Io, semplice frate della comunità domenicana, ho sempre amato la storia, perché la storia è lo specchio di un’epoca e di un paese. Quando mi chiudo nella mia cella faccio anche il cronista; mi piace conoscere le notizie dei paesi di , specie la situazione sociale, il cui degrado è abbastanza visibile. I nostri comuni hanno perso diversi abitanti perché sono stati falcidiati dalle carestie, dalle epidemie e anche dai terremoti. L’oppressione feudale tuttora vigente ha contribuito ad immiserire le nostre popolazioni.

Verso Albidona – L’arciprete Don Liborio

Certamente, il Catasto è un documento ufficiale importante, e io voglio rendermi conto della realtà di tutti i paesi della Calabria settentrionale, cominciando da Albidona, dove si raccontano antiche leggende, ma sono soprattutto curioso di visitare questo centro abitato dove pure stanno preparando il Catasto onciario. E’ il mese di giugno, e finalmente, posso mettermi in sella a uno svelto cavallo bruno e con la stella bianca in fronte; con questo cavallo viaggiavo anche nella neve !” Quindi mi dirigo verso i paesi dell’Alto

1 Carlo III dei Borbone di Spagna viene proclamato re di Napoli nel 1734; fu ritenuto un sovrano illuminato, perché con la collaborazione del ministro Tanucci, nel 1738 emanò la famosa Prammatica antifeudale, creò il Catasto conciario generale, ma la situazione sociale del regno rimase ancora… feudale.

2 Jonio e dopo aver guadato certi stagni della grande Piana della mitica Sibari, arrivo a , sita tra un limpido mare e il suo imponente Bastione. Passo la Fiumarella e mi dirigo verso Albidona, già descritta dal Barrio e dal Marafioti, storici calabresi del ‘600. In alcune pergamene dei monaci basiliani del 1100 sono citati i monasteri e le laure di Sant’Angelo al Piano Senise e di Santa Maria del Càfaro, nella vallata della fiumara Avena. Sprono spesso il mio cavallo perché sono proprio ansioso di raggiungere il paese che avrebbero fondato alcuni profughi della guerra di Troia e l’indovino Calcante, morto di crepacuore per aver perso una strana scommessa; qualche storico scrive che quel famoso veggente sarebbe stato seppellito lungo la costa jonica! E’ tutta in salita la carrabile che si snoda sempre Archivio don Giulio Rizzo lungo il ciglione delle colline, dove compaiono miseri “pagliari” e dove incontro contadini e custodi di bestiame quasi tutti malnutriti e vestiti di stracci. Una famiglia di contadini (anziani, giovani e bambini) mietono il grano. Finalmente, passo il valico della contrada del Tròdio e scorgo questo piccolo paese, poco prima di passare per la parte alta della Selva grande2: Albidona, che qualcuno asserisce sia l’antica Leutarnia3 , è un piccolo triangolo di case che poggia su tre conici monti di bianca roccia. Poco prima di raggiungere questo abitato vado a dissetare la cavalcatura a una sorgente che chiamano “a funtàna’u Cuorn”. Mi metto a riempire d’acqua fresca la mia borsa di pelle presa dal monastero di Altomonte e mi rinfresco pure la barba con una bella sciacquata. Durante la breve sosta alla fontana del Corno vedo arrivare alcuni giovinetti che devono abbeverare i buoi; uno di questi bovari, macilento e sdentato, mi dice che non può sconfinare nei pascoli Albidona in una china di Pino Genise dell’arciprete don Liborio: si tratta del reverendo Don Liborio Cordasco, ch’è forse fratello di Don Lonardo, l’agente del marchese Castrocucco. Don Liborio è molto ricco; possiede terre, uliveti, vigne e case nel paese, e ha pure molto bestiame.

2 Selva grande, che gli albidonesi chiamano “a Sua-grann”, era un grande bosco che, parzialmente ancora esiste e corrisponde alle attuali contrade Rosaneto e Crìstali. 3 Leutarnia. Narra la leggenda che dopo la guerra di Troia, alcuni profughi che ebbero ad affrontare le stesse peripezie di Ulisse, approdarono da queste parti e fondarono Albidona che chiamarono Leutarnia, e altri paesi (vedi Giovanni Fiore ed altri storici calabresi). Ma questo nome se lo contesero diversi paesi dell’Alto Jonio.

3 Trifòne di Paola, custode della cappella della Pietà

Quando riprendo il cammino, mi fermo sotto la Cappella della pietà e trovo un altro malandato che dice di chiamarsi Trifòne di Paola4; mi sembra molto vecchio, però è di 52 anni; tiro dalla bisaccia una manata di fichi secchi con noci e mandorle, e un’arancia di Trebisacce, e Trifòne li accetta come una “grazia della Madonna”; mi ringrazia e mi dice: “Posseggo una piccola vigna alla contrada Pontàno ma non più niente; sono senza famiglia e ho chiesto di vivere in una delle stanzucce della casetta, accanto alla chiesa, dove faccio anche il sagrestano della Madonna addolorata; gli addolorati si trovano sempre insieme”. Ed eccomi in paese: nella strada detta di “Santo Pietro” vedo alcune donne anziane che chiacchierano e fanno calze davanti alla porta; guardando il mio manto religioso, pensano che io vada in cerca di qualche mio confratello prete e mi indicano la casa dove abita il sacerdote Don Pietrantonio Trionfo (o Triunfo). All’ingresso del paese guardo la cappellina di San Pietro5 e incontro il giovane medico Don Matteo Mutto, con un mazzo di carte sotto il braccio; si mostra assai rispettoso del mio abito monacale, mi fa entrare nella chiesetta dove si venera una statua a mezzo busto di San Pietro e mi fa vedere anche alcuni appunti del Catasto, ormai completato. La Commissione per l’importante documento è composta di dieci persone, delle quali solo due sanno scrivere: lo stesso Magnifico Matteo Mutto e il notaio Bernardo Manfredi, originario di . Gli altri cinque Cappella della Pietà sono tutti segnati di croce, e sono: Lonardo di Rago, Michele Scillone, Lonardo Paolino, Geronimo Lategano, Pietro Scillone, Antonio Laschera e due esterni di Trebisacce: Giuseppe Micelli e Natale Lanza. Poi, ci sono i Deputati ecclesiastici, cioè gli incaricati per lo stato delle anime: D. Antonio cantore Scillone, D. Liborio Cordasco, D. Giovanni G. Rossi, Leggendo quelle note e quelle Rivele6 mi rendo conto della realtà storica e sociale di questo paese, dove in questi ultimi anni si sono alternati come sindaci Massenzio di Rago7, Lonardo e Salvatore d’Adduci, Lonardo Rago (Pro sindaco), Gabriele d’Adduci, quasi tutti massari di campo. Il paese è diviso in 7 contrade, o strade: Strada detta del Pozzo, con 12 famiglie (o Fontana del corno fuochi) che fanno 63 anime; Santo Pietro, con 14 famigli e 76

4 Trifòne: in Albidona si usa ancora questa espressione che sa di ingiurioso: Trifòne culla mazza mmàna. Trifone di Paola era un popolare personaggio popolare antico, che è realmente vissuto e di cui si parla ancora oggi, per schernire una persona disabile o povera, che per sopravvivere, si arrangia a fare il lavoro che gli capita, magari a menare la mazza col fabbro ferraio 5 La cappella di San Pietro si trovava nello stesso quartiere, all’imbocco della via che porta al rione Convento. Messa fuori uso la cappella, i privati ne ricavarono un piccolo orto recintato; successivamente, al posto dell’orticello fu costruito il garage del segretario don Ciccio Scillone, dal quale passò a Domenico Ippolito (Rizièro). 6 Le Rivèle del Catasto erano come la Dichiarazione dei redditi di oggi; iniziano tutte così: Io (nome e cognome), abito in casa della strada Castello, posseggo…. 7 Il primo Massenzio Rago è vissuto nel 1700, ed’è certamente costui che fece, per devozione, la Tavoletta lignea rinvenuta sul sottotetto della chiesa del Convento (nel 1956) ed erroneamente datata 1070. Ricompare nel 1778 in un atto del notaio Antonio Chipparo.

4 anime; Santo Antonio (rione del Convento), con 10 famiglie e 57 anime; S. Salvatore (del Salvatore), con 24 nuclei familiari 133 anime; la Piazza, con 14 famiglie e 77 anime; il Fronte dell’Arena, con 28 famiglie e 150 anime; il Castello, con 16 famiglia e 141 anime. Totale famiglie: 128, mentre il totale degli abitanti è di 697 anime8. Il Castrocucco è l’ultimo Marchese di questa famiglia feudale in Albidona ma forse non è mai venuto in paese: vive nella capitale Napoli e riceve l’annuale rendita del suo feudo, amministrato dai suoi agenti, alcuni dei quali vengono da Napoli ma ci sono anche quelli del luogo. L’attuale suo agente, che fa da Procuratore, è uno dei Cordasco. Dalle carte del Catasto appena compilato emerge che in Albidona ci sono 55 lavoratori che vivono alla giornata e sono qualificati come bracciali. I massari di campo, ovvero quei pochi contadini che posseggono una piccola masseria, terre, vigne e bestiame sono 25, e i massari di bestiame (pecorai, caprai, bovari e porcari) sono 10; gli artigiani (sartori, calzolai e fabbricatori) sono 7; Giuseppe di Tuccio fa il mulattiere. Vicino al Castello ho trovato Lorenzo lo Giudice e suo figlio Domenico che non fanno scarpe ma solo zoccoli; la Commissione di Albidona dalla contrada Pietà Don Matteo Mutto li ha qualificati come zoccolai: a loro ricorrono quelli che non possono affrontare la spesa per farsi scarpe di cuoio. Ci sono pure quindici vedove, alcune delle quali hanno perso il marito ancora giovane. Nella Collettiva generale dell’Onciario sono segnati e saranno “tassati” anche cinque forestieri, tra i quali si trovano il Magnifico Pasquale Chidichimo di Alessandria e una Magnifica degli Oriolo residente a San Marco. Ma ci sono pure dieci “Forestieri ecclesiastici” che mangiano sui beni che dovrebbero appartenere agli albidonesi: prima di tutte, la Mensa vescovile di Cassano, poi seguono il venerabile convento di San Nicola della Certosa, il venerabile convento di S. Francesco di Paola in Casalnuovo, la venerabile Cappella di Roseto, la Cappella del Santissimo Rosario di Casalnuovo, il Venerabile Convento dei Domenicani e la Cappella di Santa Maria le grazie e il Rev.mo Pietro Cantore di . In contrada La Piazza abitano altri preti: Don Achille di Tuccio, Don Giuseppe Labbate e Don Carlo di Tuccio. Il medico Mutto m’informa che In Albidona ci sono 13 preti; 8 dicono messa in paese e gli altri cinque stanno ex patria. cioè, o sono destinati nei paesi vicini o potrebbero vivere anche nella campagne della stessa Albidona. Quelli che stanno in paese sono: D. Giovan Domenico Scillone, 26 anni; abita in casa propria in contrada del Salvatore, possiede 6 bovi e una giumenta; D. Gerolamo Oriolo, 46 anni, abita in contrada Castello; pure D.Giov.Giacomo Rossi, anni 63; abita in contrada Castello; D. Giuseppe Rago, 56 anni, possiede un cavallo; D. Francesco Rago; 25 anni, ha casa in Piazza; D. Pietro Paolo Grandonio, 36 anni, ha casa a Fronte dell’Arena; suo fratello Cosimo, 20 anni, è massaro; D. Lonardo Rago, 30 anni; di Don Liborio Cordasco abbiamo già dato qualche cenno; è di 40 anni, ha casa al Castello, confinante con D. Geloramo Oriolo, trappeto nella piazza, terre a Serra Palazzo, a Rubione, bovi, vacche, capre, pecore, troie e 4 frisegne. Altre scrofe le ha date “a mettà” al custode di porci Giuseppe Cascone, la cui moglie porta un nome strano: Sbromiglia.

8 È l’elenco degli abitanti, redatto dall’arciprete per controllare anche chi aveva fatto il precetto pasquale.

5 Invece, i preti che vivono extra patria sono: D. Antonio Scillone, 39 anni, casa in contrada dell’Arena; D. Achille di Tuccio, 54 anni; casa in contrada Piazza, confinante con Massenzio di Rago, terre alla Serra e a Fontana dell’Ungaro; D. Carlo di Tuccio è di 38 anni e abita nella casa in Piazza, insieme alla madre Lucrezia di Drogo di 77 anni, con suo fratello Francesco e con le sorelle Anna, Geronima e Rosa; D. Giuseppe Labbate (o L’Abate) ha 51 anni, la sua casa è in contrada Piazza, confinante con Gennaro Lizzano; ho già detto che D. Pietrantonio Trionfo che abita nella sua casa in contrada S. Pietro, possiede ulivi nei Lacci e una vigna alla Serra.

In questo paese ci sono pochissimi ricchi e molti poveri

Mi rendo conto che in questo paese ci sono pochissimi ricchi e moltissimi poveri, salvo alcuni massari discretamente agiati. Ma io voglio vedere prima le case nobiliari e vorrei sapere chi sono e quanti sono i più ricchi, chiamati Magnifici: uno è il Magnifico Giuseppe Lofeudo e ha la casa a Fronte dell’Arena, mentre il Magnifico Giuseppe Mutto, che è di anni 52, vive con la moglie, la Magnifica Antonia Oriolo e con figli che sono Matteo, che ho già incontrato, è di 30 anni, è dottore fisico ed è sposato con Teresa Zito (o Tito), e poi, ci sono altri figli di Don Giuseppe Mutto: Flavio, 24 anni, Rosario e Giuseppe, 18 e 14 anni, che sono scolari. Il Magnifico Tito Minuccio è giovane, ha casa nella strada Santo Pietro, vive con la madre Tecla Tuccio, vedova, con tre sorelle, Isabella, Venanzia, Agnesa e col fratello Pascale che fa lo scolaro. Nel paese ci sono, in tutto, una diecina di scolari e sono tutti Da "Tra le braccia di Diana" espressione delle famiglie agiate, tranne qualcuno. Forse il Magnifico di Piero Caccialupi Giuseppe non rivèla tutti i suoi beni ma dichiara soltanto “un cavallo e un bove domito”, e ha terre e ulivi in contrada Maltosa. Il figlio Don Matteo è quello della Commissione del Catasto onciario. Il Magnifico Lonardo Cordasco abita in un palazzo del rione Castello e fa il Procuratore del signor Marchese Don Antonio Maria Castrocucco; sua moglie è la Magnifica Porsia Greco, i quali hanno 8 figli: il chierico Francescantonio, di 20 anni, Domenico, 18 anni, Feliciano, 12, Camillo, di 10 anni, Caterina di 9 anni, Pascale di 7, Clarice di 5 e Pietro di 3 anni. Donna Isabella Oriolo, forse cognata al Magnifico Mutto, è vedova del quondam D. Domenico D’Alessandro, lei ha solo 38 anni ed è rimasta con due figlie: Cecilia, di 17 anni, e Fiorenza, di 15; ha la casa al Castello e possiede una vigna in contrada Piscara, ulivi a S. Dodaro, sette tumulate di terra al Còrice e altre terre a Santa Maria del monte (sotto il Castello). Poi, ci sono gli Scillone; costoro abitano pure nella parte alta del paese, vicino alla Chiesa e al Castello, ormai diruto, ma anche nelle Da "Pollino" di Guy Jaumotte contrade del Salvatore e dell’Arena. I Rago hanno dei preti ma in questo Catasto non risultano magnifici. Sembra un po’ strano, ma anche Leonardo di Mundo, di anni 30, figlio del bracciale Casimiro, abita al quartiere Castello e porta il titolo di

6 Magnifico, forse perché ha sposato la Magnifica Isabella di Rago, di 18 anni. Però i Mundo, che compaiono nel ‘600 (vedi notaio Pinelli) sono benestanti e hanno pure dei preti. Qualcuno di questi Magnifici albidonesi teme, ed è sicuro, che fra non molto, in questo paese verrà a insediarsi un altro Magnifico che già sta acquistando terre e case in Albidona: è il Magnifico Don Pasquale Chidichimo, di Alessandria ma dice essere originario dell’Albania emigrato a Napoli, per evitare la persecuzione degli occupatori Turchi. Ecco il Convento dei monaci di S. Francesco d’Assisi, ma qui li chiamano monaci di Sant’Antonio, perché pure questi era francescano, ma è detto anche dei Minori Osservanti, ed è nella parte bassa del paese, vicino al rione del Pozzo. Questo Convento non è tra i rivelanti Chiesa Madre del Catasto, forse perché non possiede terreni, tranne un pezzetto scosceso sotto il caseggiato, dove i frati hanno piantato pure un gelso moro; il Convento riceve pure qualcosa dallo Stato discusso del Comune (vedi Onciario finale)9. Dopo la breve sosta al Convento, torno nel quartiere San Pietro; il mio cavallo scalpita sul selciato e arrivo nella piccola Piazza, che chiamano anche San Martino; proseguo sempre in salita, e dopo strette viuzze e varie curve, giungo nella parte alta del paese, perché voglio vedere il Castello dei Castrocucco, che oggi appartiene ancora alla Camera Baronale. Da questa altura appuntita con bianchissima roccia, scendo da cavallo per guardare i dintorni. Da qui si gode un panorama assai vasto e tutto incantevole: Cappella del Cafaro i paesini di , , le propaggini del Pollino, il mare Jonio, la Piana di Sibari e anche i monti della Sila ! Ma il Castello è quasi in rovina; vedo la cisterna d’acqua, un grande magazzino per conservar grano e una lunga stalla per i cavalli, ma il Marchese possiede anche altre case che stanno vicine al Castello e sono date in affitto a Leonardo Golia, a Pietro Scillone e alla vedova Anna di Drogo10. Vicino al Castello c’è pure la casa della Magnifica Isabella Oriolo. Della chiesa piccola ho parlato quando ho fatto quel breve cenno sul Convento di Sant’Antonio, ma ora che mi trovo vicino al Castello, voglio dire pure qualcosa sulla Chiesa madre che sta in cima al paese ed è dedicata a San Michele Arcangelo: è molto antica e pure grande; proprio in questo momento, incomincia a suonare l’orologio del campanile e vedo che è già mezzogiorno; nella voce del Bilancio comunale (Stato discusso) c’è il compenso dato al maestro che aggiusta l’orologio. Nel

9 I massari di campo e i massari di pecore: già spiegato nel testo. 10 Il Castello. Ci sono tre appunti inediti sul vecchio Castello di Albidona: la memoria del capitano Capecelatro sull’assalto del maniero da parte degli Spagnoli, di cui lo stesso Capecelatro faceva parte, l’elenco dei beni del Duca di Campochiaro, all’inizio dell’800, e questo frammento del Catasto inciario. Quindi, nel 1745, il Castello, sebbene fossero in piedi alcune stanze, stalle e magazzini, il nostro castello era ormai “dirupo”.

7 Bilancio figurano anche il compenso per i Cavallari della Torre della Marina e per la riparazione di qualche strada e di qualche fontana. Albidona ha pure le due Abbazie di Santa Veneranda e di Santa Maria del Cafaro, affidate agli abati commendatari, i quali sono grossi prelati che vivono a Napoli ma sfruttano le rendite delle terre che appartengono ancora ai due antichi monasteri: uno di questi abati si chiama Don Lionardo Pepe, vive comodamente a Napoli ma esige, tramite il suo procuratore D. Giuseppe Nicolò Berardinelli, tutte le rendite dell’Abbazia, che in 25 contrade del territorio possiede terre, ulivi, vigne e anche pecore e capre. LAbbazia di Santa Veneranda ha proprietà in 15 contrade (Franciardo, Refatte, Piscara, Sacamolo, Manca del lacco). Inoltre, ci sono le cinque Cappelle del Santissimo Rosario, la cappella della Pietà, di San Giorgio, del Salvatore e di San Pietro11. Ma è il Reverendo Clero il maggiore possessore di beni localizzati in 50 contrade, compreso un trappeto per macinar olive. Comunque, tutti i piccoli proprietari pagano il peso del censo al Clero e alle venerande Cappelle.

Vecchi cognomi – Lo scarparo e lo zoccolaro

Alcuni cognomi di Albidona di oggi c’erano anche al tempo de notaio Andrea Pinelli del 1600: Adduci, Ippolito, Corrado, Laino, Napoli, Paladino, Oriolo, Tucci, Lionetti, Gatto, Mundo, Datolo e Scillone. In questo paesino di Calabria Citra ci sono diversi personaggi; uno lo chiamano Mustazzo, ma non so se è cognome o soprannome, nella rivèla è scritto Francesco di Ottavio Mustazzo. I cognomi più diffusi sono: Adduci, Abbeduto, Rago, Oriolo, Scillone, Costanzo, Drogo, Palermo, Lategano, Gaetano, Lizzano, Milano, Urbano, Toscano, Golia, Lauria, Gatto, Liguori, Costanzo, Laino, Paolino, Middonno, Tornelli, D’Aurelio, De Marco, Pota, Mundo, Laschera, Corrado, Napoli, Costanzo, Gaudio, Tuccio, Minuccio, Russo, Merico, Cascone, Mazillo, Valice, Vasile, Di Franco, Di Cesare, Lategana, Nocera, Lione, D’Amato, Di Fazio, Grandonio, Labbate. Agostino Middonno abita in Piazza, sua moglie si chiama Caterina di Marco, ha tre figli maschi, Francesco, Michele e Domenico, ma con lui sta pure il fratello Silvestro, il quale pare che sia disabile e lo chiamano “Silivièstr”12. Francesco Paladino potrebbe essere il capostipite dei “Cuzzàrro”, è sposato a Isabella Odoardo, ha quattro figli che si chiamano Pascale, Domenico, Maria e Paolo. Francesco di Lonardo Rago fa il massaro, Francesco di Gaudio fa il mestiere di fabbricatore. Invece, i Tornelli (o Tornello) esercitano il mestiere di calzolaio: Francesco Tornelli, ha anni 50, e sua moglie si chiama Laura Rago; suo fratello Michele, anni 45, sposato a Lucrezia Gatto, abita al Militone, ma ha un’altra casa in contrada Piazza e fa pure il calzolaio. Invece, Lonardo Tornelli è massaro e di casa abita in contrada Poteghella (poi Botteghelle), Lorenzo Lo Giudice, fa invece lo zoccolaro, ed’è ammogliato con Gerolama Drogo; ha sei figli. Lonardo Aurelio, che è forse il capo degli Aurelio “Giovannòne”, è sposato con Rosa Rago; un altro si

11 Le Cappelle – Leggi nota 5. Al tempo del Catasto sono qualificate come Cappelle anche le due Abbazie del Cafaro e di Santa Veneranda, ma le vere e proprie Cappelle erano quelle del Santissimo Rosario, della Pietà, di San Giorgio, del Salvatore e di San Pietro . E’ rimasta solo quella della Pietà. 12 Silivièstr e Trifòne. Dopo due secoli e mezzo, Silvestro Middonno e Trifone di Paola sono rimasti nella memoria collettiva come due personaggi popolari della classe emarginata, talvolta dichiarati alieni. Per Trifone vedi nota 5

8 chiama Francesco Lauria, e poi ci sono quelli soprannominati Mariano, fanno Scillone ma non sono benestanti come gli altri dello stesso cognome, sono pastori, e uno di essi si chiama Mariano. Seguono Giuseppe Pota, i Dàttegue (Dattolo o D’Attolo). Giovanni D’Attolo fa il massaro; Giuseppe di Rago, 28 anni, possiede terre a Fronte della guardia, Francesco Merico è bracciale, sposato a Cornelia Urbano. Gerolamo Lategano ha sei figli, 8 vacche di corpo e due somari. Giommàrio fa il sartore ed è sposato con Eleonora Chidichimo13; Giuseppe Antonio di Tuccio fa pure il sartore, Lonardo Lizzano fa il ferraro (il fabbro ferraio) ed’è il marito di Isabella Mutto. Il vecchio Massenzio di Rago è molto conosciuto nel paese: sta bene, fa il massaro di campo, 80 anni, sua moglie è Isabella Laino e i suoi figli si chiamano Michele, Lonardo, Laura, Paolo e Marcantonio. Poi, c’è Marcantonio Urbano, che ha 38 anni ed è sposato con Isabella di Rago, ha un figlio che si chiama Paolo, e con lui abita sua madre Caterina Barletta. C’è anche Paolo Urbano, soprannominato Cocco, è di 40 anni. Alla fine, Sua Maestà re Don Carlo di Borbone tasserà il Comune di Albidona per 7.741 oncie, e i nostri paesi resteranno ancora più immeseriti. Io sono meno utopista e meno sognatore di Tommaso Campanella, ma spero che finiscano presto il feudalesimo e le baronìe locali. Frate Gianpaolo Montalto del Monastero dei Domenicani di Altomonte

13 Giommàrio e Giammarìa: oggi, sono soprannomi derivanti dal nome trasformato in due varianti, riscontrate in vari documenti: Giovanni Mario (abbreviato in Gio.Mario) e Gio-Marìa: questi deu soprannomi appartengono ai Mundo e di alcuni Oriolo.

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N O T E AGGIUNTIVE I MAGNIFICI DEL 1700

Del notaio Bernardo Manfredi sopravvivono, fino alle soglie del ‘700, le due figlie: Anna Maria, che sposa D. Michele Scillone, e la monaca Luisa Chiara, che fa la monaca in casa e che lascia tutti i suoi beni al nipote sac. D. Vincenzo Scillone (1781). I Lofeudo scompariranno alla fine del ‘700, i Rago e gli Oriolo, già noti dal 1600 (vedi atti del notaio Andrea Pinelli) resisteranno anche nell’800, ma poi, alcuni si trasferiscono altrove, mentre quelli che rimangono in Albidona andranno nella più estrema decadenza. Il medico D. Carlo Rago negli atti dei notai Giacomo e Antonio Chipparo acquista proprietà, fino al 1802, ma nel 1809 viene ucciso dai briganti; i suoi discendenti si sono diramati in e Amendolara.(vedi ricerca sui Rago). Gli Oriolo si disperdono nei rami dei Giommàrio e degli Ambrogio (Mròsio) ma perdono la loro posizione di benestanti e di “magnifici”. Nel 1745 una Magnifica Oriolo si trova a San Marco ma possiede ancora dei beni in Albidona. C’era anche il Magnifico Tito Minuccio, il cui fratello Pascale fa lo scolaro, ma anche costoro scompaiono. Peggiore fortuna è riservata per i discendenti del magnifico Giuseppe Mutto: suo figlio, il medico Matteo, ha un nipote dello stesso nome, ma è prete, nel 1787 risulta figlio o di D. Alessandro o di D. Pasquale Mutto, i quali gli costituiscono il patrimonio sacro per diventare sacerdote; questo D. Matteo Mutto viene citato anche negli atti dei notai Troiano e D’Angiò (1805). Leggendo gli atti del notaio Chipparo, vediamo un altro sacerdote di questa famiglia: D.Vincenzo Mutto, menzionato nel 1790 pure per il patrimonio sacro per D. Matteo. Nel 1801 c’è un testamento di Ferdinando Mutto (notaio Giacomo Chipparo), questi sarà il “capostipite” dei Mutto di oggi, soprannominati “Firdinanno”, diventati contadini e braccianti; il banditore Vincenzo Mutto ricordava i bei tempi dei suoi antenati e rimpiangeva: “nuòie gavièmme’i nièglie ni jìdete, mi si ni scippate i chiù forte’i nuòie !”: “i miei antenati avevano le mani carichi di anelli d’oro, ma poi ce li strapaprano i più forti di noi”. Si sono perse le tracce dei discendenti di D. Lonardo Cordasco, sposato con la Magnifica Porsia Greco; avevano 8 figli: Feliciano nel 1783 e nel 1787 ha una terra a Manca del lacco (Chipparo), D. Pasquale nel 1787 è diffidato a seminare nella Difesa di Certofano. Non sono più menzionati gli altri due figli Domenico, Francescantonio e Camillo. D. Pasquale è nominato fino ai primi decenni dell’800; mentre Don Pietro, giudice a contratto, è padre di D. Liborio, sindaco di Albidona nel 1812; è di professione leggista, era nato verso il 1775 ed’è morto nel 1832. Nel 1804 un Leonardo Cordasco possiede una vigna; sarà nipote del primo Don Lonardo del Catasto onciario del 1745; un altro Cordasco muore a Trebisacce nel 1846. Delle donne dei Cordasco si ricordano una Benedetta di fine ‘700, sposata ad Ambrogio Oriolo (1766-1841), una Clarice moglie di un Leonardo Leonetti muratore (1768-1828), che è quella che dà il soprannome Carìcio anche ai Leonetti di oggi; sua nipote Clarice Leonetti (1862-1942), è moglie di Francesco Gatto (Nciccòne). E c’è Porzia Cordasco, che lascia il soprannome Pòrsia agli Oriolo di oggi, ed è sposata a Michele Rago, la cui figlia Porsia Rago sposa un D. Francesco Scillone, i quali si trasferiscono a Trebisacce. Gli Scillone hanno lasciato Albidona verso il 1950, quando muore il segretario comunale “Don Ciccio”. Ma scompaiono anche i Chidichimo; il Magnifico Don Pasquale

10 aveva iniziato ad acquistare terre in Albidona intorno al 1740, verso il 1883 acquista anche il figlio D. Nicolantonio. Per tutto il 700-800 i Chidichimo crescevano e gli altri benestanti (i vecchi Magnifici) cominciavano a scomparire. Per gli acquisti dei Chidichimo vedi i notai Chipparo, Troiano, Bellusci ed altri.

Nota finale: tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800 scompaiono non solo alcuni nobili casati (i Magnifici) ma anche alcuni cognomi (Drogo, De Cesare, Minucci, Odoguardi, Lategano, ecc.) ma dopo il Catasto del 1745, cioè dal 1750 all’800, arrivano nuovi cittadini albidonesi, quasi tutti dai paesi confinanti e dalla vicina Lucania: i Dramisino, i Rizzo, i Motta, i Gentile, i Mignuoli, gli Angiò, i Viceconte i Mele, i Lofrano, i Marano, i Rescia, gli Altieri, gli Arvia, i Munno ed altri ancora.

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