Serenissima in Scena-2014.Pdf

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Serenissima in Scena-2014.Pdf O Percorsi critici fra mondo del teatro e teatro del mondo 6 collana diretta da Anna Barsotti 1. Eva Marinai, Sara Poeta, Igor Vazzaz (a cura di), Comicità negli anni Settanta. Percorsi eccentrici di una metamorfosi fra teatro e media, 2005, pp. 300. 2. Eva Marinai, Gobbi, Dritti e la satira molesta. Copioni di voci immagini di scena (1951-1967), 2007, pp. 340. 3. Anna Barsotti, La lingua teatrale di Emma Dante. mPalermu, Carnezzeria, Vita mia, 2009, pp. 268. 4. Armando Petrini, Gustavo Modena. Teatro, arte, politica, 2012, pp. 320. 5. Carlo Titomanlio, Dalla parola all’azione: forme della didasca- lia drammaturgica (1900-1930), 2012, pp. 334. 6. Paolo Puppa, La Serenissima in scena: da Goldoni a Paolini, 2014, pp. 296. Paolo Puppa La Serenissima in scena: da Goldoni a Paolini Edizioni ETS www.edizioniets.com © Copyright 2014 EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 978-884674058-8 a Enrico, Davide e Carlo, furlani, ma di sangue anche veneziano Una premessa e qualche notizia Raccolgo qui saggi sulla scena veneziana e veneta, per lo più pubblicati lungo gli anni, ahimè tanti ormai, dal 1987 ad oggi. Si tratta di interventi diversi, committenze legate a convegni o libere iniziative personali. Curiosa analogia intanto tra Soggetto e oggetti presi in esame, all’insegna della vecchiaia. Vecchia, infatti, la cit- tà millenaria. Vecchio, o anziano per usare un eufemismo, lo stu- dioso che qui riassetta e risistema, quasi con piglio testamentario, materiali già usciti. Il fatto è che lo scrivente si è accorto come, tra i numerosi volumi personali, mancava uno dedicato alla sua ter- ra. E maturare significa anche volgersi all’aria di casa, provando a storicizzare la biologia della propria appartenenza. Chi firma tale assemblaggio è divenuto negli ultimi tempi anche commediografo e performer. Lo sguardo che unisce analisi tra loro diverse è allora la costante contiguità tra mondo degli autori e quello degli attori, contiguità esaltata in ogni drammaturgia autenticamente popolare. Qui sotto, l’indicazione del debutto di questi studi. 1) Il Canalazzo: rapsodia di acque e di fuoco già col medesimo ti- tolo in «Annali di Ca’ Foscari», a cura di R. Mamoli Zorzi, 2, 2007, pp. 161-177. 2) Goldoni ambiguo già Goldoni per voci sole e qualche re- gia, in Pietro Spezzani. In memoriam, a cura di S. Tamiozzo Goldmann e E. Burgio, Ravenna, Longo, 2002, vol. I, pp. 155- 164. Il testo ingloba pure L’avvocato inquisito: Goldoni e l’ar- te scenica, in «Sipario», 539, 1993, pp. 62-65, recensione a P. Bosisio, Il teatro di Goldoni sulle scene italiane del Novecento, Milano, Electa, 1993. 3) Memorie di avvocato già Memorie di Goldoni e memorie del te- atro, a cura di F. Angelini, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 79-97. 8 La Serenissima in scena: da Goldoni a Paolini 4) Baseggio versus Goldoni: amori e tradimenti già col medesimo titolo in Parola, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Car- lo Goldoni e Carlo Gozzi, a cura di G. Bazoli e M. Guelfi, Vene- zia, Marsilio, 2009, pp. 323-348. 5) Selvatico e i morti già Riccardo Selvatico e la drammaturgia dei morti, in Venezia nell’età di Riccardo Selvatico, a cura di T. Ago- stini, Venezia, Ateneo Veneto, 2004, pp. 151-166. 6) Benini tra Gallina e Bertolazzi già col medesimo titolo in «Bi- blioteca teatrale», 5/6, 1987, pp. 249-265. 7) Pilotto: vizi privati e pubbliche virtù già Vizi privati e pubbliche virtù: la drammaturgia di Libero Pilotto, in Libero Pilotto. Scena dialettale e identità nazionale, Roma, Bulzoni, 2006, pp. 21-42. 8) Rocca prudente già Gino Rocca, ovvero la scena prudente in Gino Rocca, Atti del convegno nel centenario della nascita, Feltre, Comunicazione e cultura 1993, pp. 27-38. 9) Teatro carnevalesco in Palmieri, già Per un boulevard carnevale- sco: il teatro di Eugenio Ferdinando Palmieri, in Una giornata di studi su E.F. Palmieri, Venezia, Arteven, 2008, pp. 55-63. 10) Damerini e il boulevard lagunare già col medesimo titolo in, a cura di F.M. Paladini, La Venezia di Gino Damerini, «Ateneo Veneto», 38, 2001, pp. 121-138. 11) La scena nascosta in Noventa, inedito. 12) Facco De Lagarda: parabola e parabole già La biblioteca teatra- le nella Parabola del Semidio, in Ugo Facco De Lagarda 1896- 1982. La vocazione inquieta di uno scrittore veneziano, a cura di A. Scarsella, Venezia, Comune di Venezia - Biblioteca Mar- ciana, 1999, pp. 105-113 (Miscellanea Marciana, vol. XIII). 13) La biblioteca teatrale di Enzo Duse già Modelli autoriali nel tea- tro di Enzo Duse, di prossima uscita negli Atti del convegno te- nuto a Rovigo nel 5 ottobre del 2013, a cura dell’Associazione culturale Minelliana. 14) Cent’anni di palcoscenico, già Teatro. Teatri, in Storia di Ve- nezia. L’Ottocento e il Novecento, a cura di M. Isnenghi e S. Woolf, vol. III, Il Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2002, pp. 2077-2127. Il nuovo testo ingloba pure, rie- laborandolo, Paolini, l’Omero del Nord Est, ne «La Rivista dei libri», 12, 2000, pp. 23-26. Il Canalazzo: rapsodia di acque e di fuoco Nel 1979, ormeggiata alla Punta della Dogana da Mar, Aldo Rossi colloca il suo Teatro del Mondo, una sagoma galleggiante, inaugurata l’anno dopo dalla Prima mostra internazionale della Biennale architettura, diretta da Paolo Portoghesi. Una struttura ortogonale, su cui si impenna una torricella con tanto di pinnaco- lo dal vago richiamo ottomano, le pareti dischiuse da finestrelle, tra sobrie tonalità azzurro e arancio. La figura si richiama a qua- dri metafisici di De Chirico in un estro surreale che pare sfidare la mole austera e armoniosa delle cupole della Salute. Un castello, insomma, che fin dai disegni preparatori pare uscito dal labora- torio hyddish di Lele Luzzati, in un’aura favolistica ad addolcire l’impressione minacciosa di un torrione militare. E la collocazio- ne sfrutta la dispersione prospettica del milieu, ovvero l’incontro tra il Canale e la laguna, lo slargo di fronte alla Piazza San Marco, là dove confluisce pure l’altro corso acquatico, ben più profondo, quello della Giudecca, l’isola perfetta per Le Corbusier, con le sue case basse e tutte diverse tra loro. Ma dietro l’aura, si cela la fab- brica operosa. L’edificio, alto 25 metri, poggia infatti su di un ba- samento, costituito da tubi in acciaio rivestiti da lignee tavole. Il corpo centrale è un parallelepipedo a base quadrata di circa 9,5 metri di lato e un’altezza di 11 metri. Sulla sommità si diparte un tamburo ottogonale a reggere una copertura a falde di zinco. Den- tro, un palcoscenico col pubblico sistemato ai lati o nelle gallerie al piano superiore raggiungibili attraverso scalette poste ai lati. 400 spettatori, di cui 250 seduti, questa la capienza. Finite le ma- nifestazioni della Biennale, la costruzione viene spostata, attraver- so un viaggio per mare, a Dubrovnik, per poi essere smontata nel 1981. Dunque, una creatura effimera, partorita dalla fantasia di un Dedalo moderno, romanticamente chino al recupero di icone anti- 10 La Serenissima in scena: da Goldoni a Paolini che, magari con qualche screziatura elisabettiana, ispirate alla me- moria collettiva degli spazi mitici della Serenissima. Cubi e cilindri, prismi e coni, elementi primari di una geometria universale, sostan- ziano così l’installazione pop onirica, a mescolare ieri ed oggi, re- gressione infantile e insieme progetto tecnologico contemporaneo, uscito dalla fucina dell’Arzanà dantesco più che dalla piccola isola di Fusina dove è stato approntato con pazienza febbrile. La con- taminazione tra miti passati e spiazzamenti d’oggi, come in tanta letteratura neoclassica del ’900, da Borges alla Yourcenar, rivive in questo palcoscenico delle meraviglie rimettendo così in moto lo spazio immaginario. Fermo nel suo misterioso attracco, in attesa di lasciarlo, il teatrino sembra invocare ideali ricollocazioni nei dipin- ti di Gentile Bellini e di Carpaccio, nel vicino Museo dell’Accade- mia, quelli colla Leggenda della Croce e coi suoi tanti suggestivi ca- mini, i liagò o balconi coperti, i paggetti decorativi sulle gondole, e le folle che gremiscono ponti, rive e case intorno. La prima volta che sono penetrato all’interno della Macchina di Aldo Rossi, nel 1980, per assistere alla rappresentazione di Ritiro, regia di Claudio Remondi, l’interprete, e di Riccardo Caporossi, concepito per l’insolita sede (ma in quella Biennale Teatro, il suo direttore Maurizio Scaparro intendeva farsi capocomico dell’intera città) mi è venuto in mente più che Joyce, pretesto drammaturgi- co della pièce concettuale e materica dei due artisti della neoavan- guardia scenica, proprio la pittura di Carpaccio. Mi si è liberato un ricordo personale. Da bambino, io ho abitato sul Canal Grande. Mio padre, medico in cerca di conferme alla propria produttività professionale, aveva preso in affitto Palazzo Flangini, in fondo al campo San Geremia, a fianco della Chiesa di Santa Lucia, la San- ta siracusana che protegge la vista, una volta anche trafugata e ri- trovata in peripezie miracolistiche. Il Palazzo prendeva il nome da una famiglia cipriota ammessa al patriziato nel ’600, e annovera tra gli altri un eroe della guerra contro i turchi e un patriarca alla cui morte nel 1804 il ceppo si estinse. Le notizie si ricavano dal- la Guida Lorenzetti, ma di quel passato onorevole io coglievo solo indirette testimonianze grazie ad una augusta carrozza conservata come una reliquia nell’androne, e perfetta per nascondermi du- rante i ludi infantili. Stavamo nel piano nobile, e c’era pure una terrazza larga e luminosa, poi cancellata da una sopraelevazione. Il Canalazzo: rapsodia di acque e di fuoco 11 Al centro della larga terrazza, si ergeva una cappella privata dove qualche pittore della domenica nel 1800 aveva dipinto il Sogno di Sant’Orsola, tratto dal ciclo carpaccesco.
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