Introduzione 3 Croce E Salvemini Nel Laboratorio Dello Storico 10
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INDICE INTRODUZIONE 3 CROCE E SALVEMINI NEL LABORATORIO DELLO STORICO 10 EPISTEMOLOGIA DI UN POSITIVISTA AGGIORNATO 43 LIBIA 1911 70 «VINTA LA GUERRA PERSA LA PACE» 128 L‘OSSESSIONE DEL DUCE 185 CONCLUSIONI. GAETANO SALVEMINI FRA STORIA E POLITICA 234 BIBLIOGRAFIA 244 APPENDICE. L‘ATTIVITÀ PARLAMENTARE DI GAETANO SALVEMINI 302 1 2 INTRODUZIONE I tumulti popolari, le inquietudini militari, le agitazioni, attraverso cui si arrestano di continuo le nostre discussioni, sono in larghissima misura il risultato della convinzione generale che nel nostro paese nessuno ha il dovere di obbedire, perché nessuno ha il diritto morale di comandare; che nel nostro paese gli uomini, che governano, non posseggono alcun rudimento né di buona fede, né di buona volontà. Questa malattia dello spirito pubblico non si guarisce in un giorno. Ma appunto, perché si tratta di un male radicato e profondo, e difficile e lento a guarire, appunto per questo dobbiamo abbandonare subito il vecchio metodo del lasciar andare affidandoci allo stellone finché la tempesta non ci travolga; appunto per questo dobbiamo dimostrare subito che vogliamo prendere sul serio il nostro ufficio, che vogliamo affrontare sul serio le responsabilità nostre, e che non siamo disposti ad essere i gerenti responsabili di nessuno. G. Salvemini Un lavoro su Gaetano Salvemini, storico italiano tra i più importanti del Novecento, deve necessariamente fare i conti, oltre che con la statura del personaggio e la vastità dell‘opera, anche con la rilevante letteratura che la sua figura ha saputo stimolare. Al momento della loro pubblicazione i testi di Salvemini hanno sempre sollevato intensi dibattiti, indicando uno stile di pensiero, un metodo, e creando soprattutto un seguito e 3 un‘influenza ancora oggi non sufficientemente riconosciuta in tutta la sua portata. È ben noto che dei suoi molti allievi alcuni raggiunsero una tal fama da oscurare nel tempo pure quella del maestro, fra gli altri Federico Chabod, Carlo Rosselli, Ernesto Rossi. La sua partecipazione attiva, come pubblicista e come deputato, alle turbolente vicende dell‘agone politico italiano della prima metà del Novecento, fu sempre contrassegnata da una personale indipendenza che connotò, del resto, anche la sua vita intellettuale e accademica. Scampato per miracolo al terremoto che all‘alba del 28 dicembre 1908 distrusse Messina e Reggio – vi persero la vita la sorella, la moglie e i cinque figli – Salvemini si dedicò freneticamente durante tutta la sua vita a una galassia di progetti editoriali e all‘attività di organizzatore politico. Costante bersaglio di furiosi attacchi fascisti, controbilanciati dall‘ammirazione sconfinata dei colleghi, degli amici e degli studenti, non si piegò mai ad alcuna forma di compromesso, né in Italia, durante gli anni della militanza da pubblicista e da politico, né all‘estero, dove per circa un quarto di secolo gli furono offerti tra il 1925 e il 1933 asili di ripiego e precariato accademico a Parigi, a Londra e negli Stati Uniti, dove infine accettò la cattedra «Lauro De Bosis» in Storia della Civiltà italiana ad Harvard, e qui rimase dal ‘33 fino al rientro in Italia nel 1949. Di una così vasta trama di opere e di azioni ci sembrava necessario cogliere soprattutto quei momenti, snodi biografici e di pensiero, che segnano in Salvemini le più significative evoluzioni e mutamenti di prospettiva: pur all‘interno di una sostanziale continuità tra la storia e la politica la cui indagine merita una sistemazione organica non dettata da schemi antagonistici, che privilegiano ora l‘uno ora l‘altro periodo della sua vita, ora questa ora quella particolare opera. Parte non secondaria di questo tentativo di sistemazione organica ci è parsa la necessità di restituire Salvemini anche al panorama filosofico 4 italiano: una restituzione che meno si nutre di un dialogo rimasto nel complesso scarno e diffidente, quanto di idee e riflessioni che dall'opera sorgono e all'opera ritornano in forma sia di scelte metodologiche che di selettività tematica, definendo il profilo di un positivista epistemologicamente aggiornato. In tale contesto, assecondando peraltro un ordine cronologico di esposizione cui in certo modo ci obbligava la centralità del nesso fra storia e politica, risultava ineludibile una analisi delle idee salveminiane sul metodo storico e il loro confronto con quelle dell'autorevolissimo amico, poi sempre più distante per ragioni ideologiche e impostazioni scientifiche, Benedetto Croce; tanto più quelle due visioni del sapere storico avrebbero informato l'attività di ricerca di molti delle migliori menti del firmamento intellettuale italiano nei decenni successivi. Ma il tempo delle riflessioni salveminiane sul mestiere dello storico diventa presto il tempo delle prime, robuste prove del pubblicista e del politico: nella vicenda della guerra italo-turca Salvemini, nei panni del giornalista e direttore de «L'Unità», denuncia le mistificazioni tripoline, stimola il dibattito tra le posizioni divergenti e conduce una campagna anticolonialista contro le prime forze italiane con intenti imperialistici; nell'importantissimo snodo elettorale del 1919, ispiratore e organizzatore del movimento di Rinnovamento ed eletto deputato, si trovò davanti agli interrogativi posti durante la Conferenza di pace di Parigi e alle questioni per lo più lasciate irrisolte dai tavoli delle trattative; mentre, quasi in parallelo Salvemini si occupa sia da storico che da politico della spinosissima questione adriatica, offrendo un contributo che ancora oggi appare esemplare per contenuti e metodo. Nell'intrecciarsi di storia, giornalismo e politica andava prendendo così forma lo storico del presente, giunto a piena maturità nel Salvemini antifascista: forse il più frequentato dalla critica storica, ma di cui abbiamo creduto di non trascurabile utilità mostrare stralci dei 5 documenti del regime che lo riguardano e che ci restituiscono bene l'immagine di un antifascismo coraggioso, capace di attaccare e indebolire l'immagine della dittatura all'estero, ottenendo risultati poi rivelatisi decisivi. Anche nei panni del sorvegliato speciale, Salvemini riesce a porre questioni fondamentali sui cambiamenti in atto nel paese e sulla transizione dall'Italia liberale e giolittiana all'ascesa delle camicie nere. L'autore del Ministro della mala vita, durante la prima metà del Novecento, intercetterà continuità e linee di frattura tra alcuni eventi e alcune personalità, suscitando, con le sue tesi, puntuali e accese discussioni fra i suoi avversari, a riprova dell‘importanza di un magistero con cui anche storici attestati su posizioni ideologiche e scientifiche divergenti ritennero fondamentale il confronto polemico. Vorremo ancora aggiungere che la nostra bibliografia, senza aspirare alla completezza, può ritenersi integrazione dell‘imponente lavoro di Michele Cantarella, che però si arresta al 1984. In appendice, sulla scorta degli Atti parlamentari della XXV Legislatura, è riprodotta l‘attività salveminiana in parlamento, di cui è noto l'indirizzo generale, ma di cui meno noti sono certamente alcuni interessi e alcune vicende particolari. Del materiale che abbiamo consultato e raccolto, soprattutto tra le carte salveminiane conservate presso l'Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana e presso molti fondi dell'Archivio Centrale dello Stato, ci preme infine ribadire che si tratta di documenti che segnalano possibili e importanti espansioni della ricerca in particolare verso le principali idee pedagogico-politiche di Salvemini e le vicende in cui esse erano maturate; e verso le ragioni del suo anti-corporativismo in un clima fortemente influenzato dalla dottrina corporativa fascista e in un momento in cui, proprio grazie a questo indirizzo, il regime, al massimo dei livelli di apprezzamento in patria, riscuoteva consensi anche oltre i confini nazionali. E sono meritevoli senz'altro di un supplemento 6 d'indagine anche il peculiare federalismo salveminiano e le interconnessioni ― da lui stabilite ― tra l'assetto federale e la sempre attuale questione meridionale; nonché alcune proposte interpretative circa la storia medievale o la politica estera dell'Italia giolittiana e di quella fascista. Riflettendo sul peculiare approccio di Salvemini alla ―politica‖, non si può non rilevare – come molto opportunamente ha fatto Giuseppe Giarrizzo in occasione del Convegno internazionale messinese del 1985 – l‘esistenza di un «intrico inestricabile e vitale di lavoro storico e di azione politica».1 Per Salvemini, studiare storia può avere il solo fine «di prepararsi alla vita civile, rendendosi conto, mediante lo studio dei fatti passati, delle origini delle istituzioni moderne, e avvezzandosi ad osservare la complessità della struttura sociale, la continuità del processo storico, i rapporti di causalità e d‘interdipendenza fra i fenomeni consecutivi e contemporanei»: dopo studi siffatti, abituato «ad osservare i fatti politici e sociali, che si svilupperanno intorno a lui, con un po‘ meno di pregiudizi e un po‘ più di serenità e d‘originalità», l‘alunno sarebbe «meno intollerante, meno giacobino, meno violento di prima».2 Da questo punto di vista «Salvemini non fu mai ―il socialista che si contenta‖: capire le ragioni del potere non volle mai significare accettazione del successo come discriminante del giudizio storico. La ―politica‖ fu dunque per lui il modo di liberarsi della ―storia‖ contribuendo a farla: l‘anti-ideologismo di Salvemini non servì perciò a sostenere scorciatoie opportunistiche né un appiattimento relativistico