CXX 2013

SIENA ACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI 2013 Direttore responsabile: DUCCIO BALESTRACCI Comitato di redazione: ALESSANDRO ANGELINI, MARIO DE GREGORIO, ENZO MECACCI, STEFANO MOSCADELLI, ROBERTA MUCCIARELLI Segretaria di redazione: BARBARA GELLI

Comitato scientifi co: Presidente: GIULIANO CATONI Membri: MARIO ASCHERI, MONICA BUTZEK, PAOLO CAMMAROSANO, GIOVANNI CHERUBINI, MONICA DONATO, GIANFRANCO FIORAVANTI, ROBERTO GUERRINI, FILIPPO LIOTTA, GIOVANNI MINNUCCI, PAOLO NARDI, LEOPOLDO NUTI, MARCO PIERINI, GIULIANO PINTO, COL- LEEN REARDON, ROBERTO ROCCHIGIANI, BERNARDINA SANI, THOMAS SZABÒ

Collaborano con la redazione: SAVERIO BATTENTE, MARTA FABBRINI, ROBERTO FARINELLI, BENEDETTA LANDI, DOMENICO PACE, IRENE SBRILLI, LOLA TEALE

Collaboratori informatici: GIACOMO GANDOLFI, LUCA RABAZZI

La corrispondenza per la redazione e l’amministrazione va indirizzata all’Accademia Se- nese degli Intronati, Palazzo Patrizi-Piccolomini, Via di Citttà 75, 53100 . E-mail: [email protected] I collaboratori ricevono una copia in formato pdf dei loro contributi.

I contributi scientifi ci pervenuti alla rivista sono sottoposti alla lettura e al giudizio di referees di fi ducia del Comitato di Redazione.

Gli abstracts degli articoli, in italiano e in inglese, sono disponibili sul sito dell’Accade- mia (http://www.accademiaintronati.it/anteprima.html e http://www. accademiaintronati.it/preview.html) Sede Legale Via Cassia Nord, 2/4/6 Loc. Fontebecci, Monteriggioni (SI) la banca delle comunità Tel. 0577 297000 Direzione Generale Piazza Arti e Mestieri, 1 nel cuore della Toscana San Casciano in Val di Pesa (FI) Tel. 055 8255200

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Siena

Siena - Montanini Siena - Porta Pispini Siena - Logge del Papa Siena - Le Grondaie Siena - Coroncina

Monteriggioni - Fontebecci Foto Sandro Santioli Colle Val D’Elsa Gracciano San Gimignano - Steccaia Poggibonsi Bellavista Castellina in Chianti

Arezzo Bucine - Ambra

Firenze

Firenze - Campo di Marte Firenze - Legnaia Firenze - Ferrucci Firenze - Gordigiani Firenze - Savonarola Firenze - Bel´ ore Firenze - Traversari San Casciano in V. P. Mercatale V.P. Cerbaia V.P.

Scandicci - Casellina Empoli Montespertoli Martignana Tavarnelle V.P. Sambuca V.P. San Donato in Poggio Barberino V.E. (via Pisana) Campi Bisenzio - Buozzi Campi Bisenzio - Magenta Sesto Fiorentino Calenzano

Prato Prato Repubblica

CBppub17x24BulletinAccSenIntron_st.indd 1 8-01-2013 18:16:06 IL VOLUME ESCE GRAZIE AL CONTRIBUTO DEL

HANNO CONTRIBUITO ANCHE:

Alessandro Angelini Alessandro Leoncini Duccio Balestracci Mario Luccarelli Giovanni Barsacchi (sostenitore) Paola Maffei Roberto Barzanti (sostenitore) Augusto Mazzini Marilena Caciorgna Doriano Mazzini Claudio Cesa Enzo Mecacci (sostenitore) Elisabetta Cioni Stefano Moscadelli Mirella Cirfi Walton Ettore Pellegrini Alberto Cornice Giancarlo Petri Alessandro Falassi (†) Marco Pierini Gianfranco Fioravanti (sostenitore) Petra Pertici Andrea Giorgi Roberto Rocchigiani INDICE

SAGGI

MARCO MERLO, Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma negli anni Cinquanta del Duecento e il fatto di Torniella ...... pag. 11

VALENTINA COSTANTINI, Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento: appunti per la ricerca ...... » 198

NOTE E DOCUMENTI

ANGELO BIONDI, La scritta sul portale di un vescovo senese e note di crono- logia del duomo di Sovana ...... » 137

PETRA PERTICI, Ornamenta domus. Memorie di casa Petrucci...... » 150

GERMANO PALLINI, «Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati ...... » 153

INCONTRI E DIBATTITI

MAURO MUSSOLIN, Virginis templum ...... » 167

GABRIELLA PICCINNI, Siena, il grano di Maremma e quello dell’Ospedale. I provvedimenti economici del 1382 ...... » 174

ISABELLA GAGLIARDI, Relations between Giovanni Colombini, his followers and the sienese “Reggimento civile” (1355-1450) ...... » 190

PATRIZIA TURRINI, Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca. La do- nazione del conte Scipione Bichi-Borghesi all’Archivio di Stato di Siena . » 200

BARBARA GELLI, Per sospetto dello ’nperdore. Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) ...... » 217

FRANCO CARDINI, - Politico, mercante, viaggiatore, islamologo - Una ricerca su Beltramo di Leonardo Mignanelli senese ...... » 230

MAURIZIO SANGALLI, Storie di carte, uomini. giustizie ...... » 235 8 Indice

A PROPOSITO DI

ROBERTO BARZANTI, Appunti e una bozza di cronologia sulle prospettive del Santa Maria della Scala ...... » 245

INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO

ALESSANDRO ORLANDINI, A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche ...... » 255

L’OFFICINA DEL BULLETTINO

GABRIELLA PICCINNI, Senae VirGo. Progetto di un museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese (metà XIII-metà XIV secolo) ...... » 271

LAVORI IN CORSO

STEFANO MOSCADELLI, Gli archivi delle personalità della cultura dell’Otto cento e del Novecento conservati nell’area senese: alcuni dati da un cen- simento in corso ...... » 291

NECROLOGI

MARILENA CACIORGNA, Roberto Guerrini, un ricordo per i suoi allievi ...... » 327

ROBERTO BARZANTI, Alessandro Falassi (Castellina in Chianti, 3 ottobre 1945- Siena 20 febbraio 2014) ...... » 331

NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO

Mario Ascheri, Storia di Siena. Dalle origini ai giorni nostri (DUCCIO BALESTRACCI) ...... » 339 Comune di Capalbio, Capalbio. Storie di un castello (ENZO MECACCI) ...... » 342

Pseudo Gentile Sermini, Novelle. Edizione critica con commento (PETRA PERTICI) ...... » 343 Letizia Pellegrini (a cura di), Il processo di canonizzazione di Bernardino da Siena (1445-1450) (BARBARA GELLI) ...... » 349 Annalisa Pezzo, Le tesi a stampa a Siena nei secoli XVI e XVII. Catalogo degli opuscoli della Biblioteca comunale degli Intronati (PIERO SCAPECCHI) ...... » 351 Indice 9

Donatella Cherubini, Stampa periodica e Università nel Risorgimento. Giornali e giornalisti a Siena (GIULIANO CATONI) ...... » 353 Carlo Nepi, Una città laboratorio Gli anni senesi di Giancarlo De Carlo (ROBERTO BARZANTI) ...... » 355

Segnalazioni Diocesi di Grosseto - Uffi cio beni culturali ecclesiastici, Restauri e valoriz- zazione del patrimonio artistico. Contributi per l’Arte in Maremma (ENZO MECACCI) ...... » 359 Badia Elmi. Storia ed arte di un monastero valdelsano tra Medioevo ed Età moderna, a cura di Francesco Salvestrini (ENZO MECACCI) ...... » 360 Francesco Angelini – Roberto Farinelli, Il Tino di Moscona. Guida archeo- logica al castello di Montecurliano (ENZO MECACCI) ...... » 361

Marco Lisi, Sulle tracce della Vernaccia dal XIII al XXI secolo (ENZO MECACCI) » 362 Maria Assunta Ceppari Ridolfi – Patrizia Turrini, Montaperti. Storia Icono- grafi a Memoria (ENZO MECACCI) ...... » 363

Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni, Bucoliche, (a cura di I. Tani) (ENZO MECACCI) » 365 Maria Assunta Ceppari Ridolfi , Cecilia Papi, Patrizia Turrini, La città del Costituto. Siena 1309-1310: il testo e la storia (BARBARA GELLI) ...... » 366 Otello Mancini – Antonio Vannini, Cartusiæ prope Senas. Le certose in terra di Siena (ENZO MECACCI) ...... » 367

Piero Bargellini, San Bernardino da Siena (ENZO MECACCI) ...... » 368 Francesca Monaci, Piero Simonetti, Gavorrano alla fi ne del Medioevo. Lo Statuto del 1465 (BARBARA GELLI) ...... » 369 Francesca Vannozzi, L’esercizio dell’arte sanitaria in Siena (secoli XVI-XXI) (ENZO MECACCI) ...... » 370

Statuti della Comunità di Seggiano, (a cura di D. Ciampoli) (ENZO MECACCI) . » 371 G. Della Monaca, La presa di Porto Ercole. Orbetello e il Monte Argentario nel XV e XVI secolo fi no alla fi ne della Guerra di Siena in Maremma (BARBARA GELLI) ...... » 372 Simonetta Soldatini, La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Roccatede- righi e il suo archivio (1881-1974) (ENZO MECACCI) ...... » 373

Achille Mirizio, La sorella dei poveri. Storia di Savina Petrilli (DUCCIO BALESTRACCI) ...... » 374

Giuliano Catoni, Un talento contradaiolo. Virgilio Grassi (1861-1950) (DUCCIO BALESTRACCI) ...... » 375

Contrada della Lupa, Le pietre raccontano. Vallerozzi e dintorni (ENZO MECACCI) ...... » 376 10 Indice

NOTIZIE DALL’ACCADEMIA Consiglio direttivo: Soci onorari, ordinari e corrispondenti ...... » 379 Attività accademica ...... » 382 Pubblicazioni dell’Accademia ...... » 386 Pubblicazioni dell’Amministrazione Provinciale di Siena ...... » 392 ASPETTI MILITARI DELL’ESPANSIONE SENESE IN MAREMMA NEGLI ANNI CINQUANTA DEL DUECENTO E IL FATTO DI TORNIELLA

Premessa Nella prassi della guerra medievale le operazioni d’assedio costituirono senza ombra di dubbio una delle principali attività belliche; nel suo fondamentale saggio Contamine notava: «La guerra è fatta soprattutto di saccheggi, spesso di assedi, qualche volta di battaglie»1. Ciò che contraddistingue il Medioevo, anche nell’immaginario comune, sono i castelli e i cavalieri, i due aspetti fondanti della guerra dell’epoca. Settia ha avuto modo di sottolineare con effi cacia il rapporto che intercorre tra questi due “protagonisti” della civiltà medievale2. In particolare ha messo in luce come le operazioni d’assedio costituissero una realtà quantita- tivamente, e spesso qualitativamente, superiore rispetto alle battaglie in campo aperto; e se in quest’ultime il cavaliere aveva imposto la propria superiorità sugli uomini appiedati, negli assedi si trovava impotente di fronte alle fortifi cazioni. Le località fortifi cate rappresentavano un vero ostacolo per gli eserciti cam- pali del Medioevo, in particolare tra XI e XIII secolo. A quest’epoca gli eserciti europei, normalmente radunati per un breve periodo di tempo, diffi cilmente erano in grado di affrontare un assedio che implicava un dispiegamento imponente di forze, operazioni durature nel tempo e uno gruppo di specialisti in grado di co- struire macchine da lancio e macchine d’assalto per demolire le mura e superare le difese. In più l’élite di questi eserciti era costituita appunto dalla cavalleria, terribile nelle operazioni in campo aperto, soprattutto grazie alla carica lancia in resta, ma del tutto inutile sotto le mura di un castello o di una città. D’altro canto i castelli garantivano una notevole protezione: costruiti in punti strategici del ter- ritorio, in luoghi di diffi cile accesso, permettevano a una guarnigione anche non particolarmente esperta di esercitare accanite resistenze. Se ben approvvigionati di acqua e cibo, i difensori potevano contare su posizioni di vantaggio difensivo, come torri e parapetti, dietro ai quali poter bersagliare gli assalitori con le armi lanciatoie e anche con armi improprie come pietre e mattoni, restando al con-

1 Ph. CONTAMINE, La guerra nel Medioevo, Bologna 1980, p. 365. 2 A.A. SETTIA, Tecniche e spazi della guerra medievale, Roma 2006, pp. 33-53.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 12 Marco Merlo tempo meno esposti alle armi nemiche. In effetti la maggior parte degli assedi si concluse dopo lunghe e inconcludenti operazioni militari; buona parte delle for- tifi cazioni che furono espugnate non furono prese con la forza, ma grazie ad altri espedienti: ad esempio tagliando ogni rifornimento di cibo e acqua alla località, in modo da obbligare la guarnigione alla resa, o con il ricorso alla corruzione o al tradimento di qualcuno dei difensori3. Durante l’espansione senese in Maremma fu indispensabile per il comune attuare strategie offensive e difensive verso gli insediamenti fortifi cati, i centri del potere degli Aldobrandeschi e delle signorie rurali della regione, sfruttando ogni mezzo a disposizione. Dai primi decenni del XIII secolo Siena era riuscita a ricavarsi una sfera d’infl uenza nella Maritima, tanto che già nel 1251, in un celebre documento in cui Siena e Grosseto s’impegnarono a difendere i territori della Maremma, ven- gono disegnati i confi ni di quella che è chiamata la Maremma senese4, evidente- mente contrapposta all’area maremmana controllata indirettamente da Orvieto, per mezzo degli Aldobrandeschi di Pitigliano, e alle aree costiere settentrionali inserite nel contado di Pisa. Tuttavia le guerre del Duecento spostarono di continuo l’asse politico, ob- bligando Siena, uscita quasi sempre sconfi tta da questi confl itti, a riaffermare di continuo la propria supremazia nella Maritima. Il 1255 fu in tal senso un anno cruciale per il potere senese che, alla fi ne del confl itto combattuto tra il 1251 e il 1254, poteva rivolgere tutti i suoi sforzi verso le signorie maremmane, acquisendo il controllo sui castra della regione con tutti gli strumenti che il proprio apparato istituzionale le offriva. Queste vicende pos- sono essere ricostruite con una certa precisione grazie alla ricca documentazione offerta dai registri senesi, che tuttavia rimangono mutili per alcuni mesi dell’an- no: ad esempio, ci sono giunte le registrazioni dei libri della Biccherna solo a par- tire dal mese di agosto. Tuttavia, se per le vicende del castello di Campagnatico, Montorsaio e Sassoforte, importanti centri di potere, non possiamo confrontare gli eventi dibattuti nelle sessioni dei Consigli senesi (privi di alcune carte) con la fonte contabile, mutila delle carte riguardanti i mesi precedenti all’agosto, per il factum de Tornella, avvenuto nel settembre, possiamo avvalerci per intero dei dibattimenti del Consiglio Generale, dei patti registrati nel Caleffo dell’Assunta, nel Caleffo Vecchio5 e le spese annotate dagli uffi ciali della Biccherna, potendo

3 A.A. SETTIA, Castelli, popolamento e guerra, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’E- tà Contemporanea, I, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, Torino 1997, pp. 117-143. 4 Archivio di Stato di Siena (da ora ASS), Caleffo dell’Assunta, cc. 31v-34r. 5 I patti stipulati nel XIII secolo tra Siena e la comunità di Tornella, nonché le condanne penali, furono raccolti e ricopiati all’inizio del 1308 in un registro a parte, Capitoli 16, a cui faremo specifi co riferimento. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 13 così restituire un quadro esaustivo sia sotto il profi lo politico e diplomatico, sia sotto quello economico e militare. Proprio su quest’ultimo aspetto la documentazione getta luce sui mecca- nismi istituzionali della macchina bellica senese, altrimenti intuibili solo dalle disposizioni statutarie del 1262. Inoltre forniscono un quadro esauriente sugli aspetti materiali delle guerre di Siena, come lo spionaggio militare e la capacità dell’esercito di armarsi. In questo contributo ci si è proposti l’intento di fornire un quadro dell’e- spansione senese in Maremma fi no al 1254, l’anno della pace con Firenze e Or- vieto; successivamente comprendere l’attitudine al combattimento dei signori della Maritima e dei propri uomini, le istituzioni militari che permisero a Siena di contrapporre loro il suo esercito; gli strumenti bellici, soprattutto gli armamen- ti individuali e le macchine d’assedio, usati durante queste campagne militari. Defi nito ciò verranno inquadrati gli eventi del 1255 che portarono all’assedio di Torniella, per poterne infi ne descrivere gli eventi, dai dibattimenti dei Consigli alla sorte toccata ai prigionieri, fi no agli ultimi trattati di concordia con i signori del castello.

1. L’espansione senese in Maremma: strategie, istituzioni militari e armamenti 1.1. Le premesse: dall’inizio del Duecento agli anni Cinquanta Nel corso della prima metà del XIII secolo Siena fu impegnata in incessanti attività militari, che tentava di bilanciare con paci e alleanze più o meno durature. Al termine del confl itto scaturito nel 1251, che vide Siena, Pisa, Pistoia e Arezzo contrapposte a Firenze, Lucca e Orvieto, la pace del 1254, fi rmata nella chiesa di Stomennano, riconobbe a Siena, sebbene sconfi tta, la sua sfera d’in- fl uenza fi no all’Albegna, il confi ne delle terre del conte Guglielmo alleato di Or- vieto, anche se fu obbligata a restituire al conte le terre sottratte6. Siena quindi, circondata dai territori fi orentini e orvietani, individuava nella Maremma uno spazio d’espansione naturale, priva di poteri politici in grado di contrastarne effi cacemente l’avanzata. La regione si rendeva appetibile per la produzione e la vendita del sale7, l’estrazione e la lavorazione dei metalli8, la

6 O. REDON, Lo spazio di una città. Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Roma 1999, p. 134. 7 D. BIZZARRI, Il monopolio del sale a Grosseto, in «BSSP», XXVII, 1920, pp. 349-380. 8 D. MARRARA, Storia istituzionale della Maremma senese, Siena 1961, pp. 264-271; R. FARINELLI, R. FRANCOVICH, Paesaggi minerari nella Toscana medievale: castelli e metalli, in Castrum 5. Archéologie des espaces agraires méditerranéens au Moyen Âge, actes du colloqui de Murice, 8-12 maggio 1992, Madrid-Roma-Murcia 1999, pp. 467-488. 14 Marco Merlo gestione dei pascoli e dell’incolto9, le coltivazioni viticole e cerealicole10 e al contempo offriva quello sbocco al mare che i senesi agognavano da tempo11. In quest’espansione Siena non condusse una politica esclusivamente aggressiva attraverso lo strumento militare, come invece aveva fatto Firenze per la conqui- sta dei territori del proprio contado, piuttosto tentò di scendere a compromessi, soprattutto con patti di concordia e di sottomissione politica con i signori rurali e le comunità12. Già nel 1203, e in seguito nel 1221, Siena aveva progettato la proprio espansione verso il meridione della Toscana rispettando i confi ni con Orvieto,

9 R. FARINELLI, I castelli nella Toscana delle “città deboli”. Dinamiche del popolamento e del potere rurale nella Toscana meridionale (secoli VII-XIV), Firenze 2007, pp. 170-172. 10 M. BORRACELLI, Lo sviluppo economico di Grosseto e della Maremma nei secoli XII e XIII nell’ambito dell’area economica senese, in Siena e Maremma nel Medioevo, a cura di M. Ascheri, Siena 2007, p. 138. 11 In particolare interessavano i porti di Grosseto e Telamone. Quello di Grosseto, modesto scalo commerciale che era situato alla foce dell’Ombrone, seguendone il corso fi no alla città (BORRACELLI, Lo sviluppo economico di Grosseto e della Maremma cit., pp. 134-137), cadde in mano senese nel 1224. Tuttavia nelle fonti si trovano spesso riferimenti a scali portuali dipendenti dal comune maremmano (M. MORDINI, Le forme del potere in Grosseto nei secoli XII-XIV dimensione archivistica e storia degli ordinamenti giuridici, Firenze 2007, pp. 56-57). Mentre il più grande porto di Telamone ebbe una storia più travagliata, come ricordava lo stesso Dante nella Commedia: «Tu li vedrai tra quella gente vana / che spera in Talamone»: DANTE, Divina commedia, Purgatorio, XIII, vv. 152-153. Nel 1302 Talamone, insieme a Castiglione d’Orcia, fu ceduta dagli Aldobrandeschi a Siena per 2000 lire, tanto che fi gura nel panorama del contado senese nell’affresco del Lorenzetti (Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Consiglio dei Nove, Effetti del Buongoverno) databile tra il 1338 e il 1339 (sull’allegoria dell’affresco si veda: M.M. DONATO, La “bellissima inventiva”: immagini e idee nella Sala della Pace, in Ambrogio Lorenzetti. Il Buon Governo, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1995, pp. 23-41). Un primo accordo di sfruttamento del porto di Talamone da parte di Firenze fu stipulato il 30 aprile 1251 con Guglielmo Aldobrandeschi, fortemente incentivato da Orvieto in funzione anti pisana, città che precludeva lo sbocco al mare sia a Firenze sia a Orvieto, e anti sense (L. FUMI, Trattato Ira il Comune di Firenze e i Conti Aldobrandeschi per i porti di Talamone e d’Ercole, in «Archivio Storico italiano», XXIII, 1876, pp. 218-222) ), mentre nel 1303 fu ceduto dai monaci di S. Salvatore a Siena (G.B. BELLISSIMA , Esecuzione dell’atto di cessione del porto di Talamone fatto alla Repubblica di Siena dai monaci di S. Salvatore di Montamiata secondo un documento latino inedito del XII settembre MCCCIII, in «BSSP», XXVIII, 1921, pp. 433-443). Dal 1356 al 1364 Talamone conobbe un momento di prosperità, divenendo il porto commerciale di Firenze, in base ad un trattato tra Siena e Firenze. Il governo dei Nove si impegnava a mettere a disposizione il porto ai mercanti fi orentini; a curare la manutenzione della strada che attraverso Paganico conduceva a Siena e a Firenze, badando che lungo il tragitto ci fossero luoghi di ristoro e cambi per i cavalli. Successivamen- te, con la concordia tra Firenze e Pisa, il porto iniziò a perdere d’importanza (B. SORDINI, Il porto della “gente vana”. Lo scalo di Talamone tra il secolo XIII e il secolo XIV, Siena 2000). 12 Anche da quanto emerge dagli studi sugli insediamenti castrensi, soprattutto nel grossetano e sulle colline metallifere, la presenza senese dimostra l’alternarsi di rapporti diplomatici con gli scontri bellici per tutto il XIII e XIV secolo: R. FARINELLI, M. PELLEGRINI, Casseri e fortezze senesi a Grosseto e in altri centri della Toscana meridionale (secc. XIII-XIV), in Castelli e fortezze nelle città italiane e nei centri minori italiani (secoli XIII-XV), a cura di F. Panero, G. Pinto, Cherasco 2009, pp. 161-195. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 15 non rivolgendosi mai verso la valle dell’Albegna13. Alla metà del Duecento gli interventi senesi in Maremma furono pianifi cati di circostanza in circostanza, assoggettando un castello o un’area dominata da più fortifi cazioni, a volte solo usando abilmente la sua macchina diplomatica, altre volte, quando questa falliva, impegnando il proprio esercito; in altre circostanze riuscì a entrare nella vita po- litica ed economica delle comunità per riceverne la sottomissione oppure dirigere i propri sforzi verso l’intera contea Aldobrandesca, sempre alternando trattati di natura politica a interventi militari. È evidente però come in molte circostanze le autorità senesi, nello stipulare patti di alleanza, sembrassero attendere il momento in cui l’altra parte avrebbe in- franto almeno una clausola, per poter quindi intervenire energicamente in ragione del proprio diritto giuridico. Un signifi cativo esempio fu il secondo trattato stipu- lato nel 1221 con gli Aldobrandeschi, nel quale erano imposti ai conti maggiori periodi di residenza in città, più lunghi rispetto a quelli stabiliti nei precedenti patti del 1203; la promessa di non violare il proprio contado e il versamento di tributi: a garanzia del rispetto dei patti le autorità senesi ottennero i castelli di Belforte e Radicondoli, imponendovi la propria autorità, certa che questi accordi sarebbero stati infranti14. Sebbene Siena avesse avuto con Grosseto un rapporto di diversa natura rispetto a quelli che intratteneva con i castra, anche il grande comune maremma- no fu investito da questa strategia politica. Proprio a Grosseto venne istituita nel 1203 una dogana adibita alla gestione del commercio del sale, il cui scopo era quello di controllare e dirigere la vendita di tutto il prezioso prodotto fornito dalla città, al cui controllo furono preposti i priori della città, il conte Ildebrandino e una compagnia mercantile senese. Tuttavia alcuni mercanti senesi denunciarono la richiesta da parte dei grossetani di pedaggi non previsti negli accordi commer- ciali. Siena fece formale richiesta di risarcimento, ma la provocatoria ironia con cui i grossetani avevano risposto fu l’occasione per Siena d’inviare il proprio esercito, che nel 1224 assediò la città espugnandola e, come brevemente annotato nel Kalendarium15, le mura furono distrutte, le case date alle fi amme, gli abitanti deportati a Siena16 e il porto fu occupato militarmente17.

13 REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 131-132. 14 Op. cit., pp. 33-34. 15 Kalendarium Ecclesaie metropolitanae Senensis, in Rerum Italicarum Scriptores, a cura di A. Lisini, F. Iacometti, n.s., t. XV, part. XV/6.1, Bologna 1939, p. 26. 16 Dell’assedio ci è pervenuto un breve resoconto, il Memorialis offensarum. La trascrizione e traduzione in: REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 160-163. Sulla vicenda si veda: MORDINI, Le forme del potere cit., pp. 72-74. 17 BORRACELLI, Lo sviluppo economico di Grosseto e della Maremma cit., pp. 169-170. 16 Marco Merlo

Negli anni Quaranta il comune sembra intenzionato a usare con parsimo- nia il proprio apparato bellico, affi dandosi molto più alle capacità delle proprie istituzioni consiliari e diplomatiche: Federico II, dopo aver sollecitato più volte Siena per un intervento armato di maggiore entità, si recò di persona in città, ma ottenne solo venticinque cavalieri per la spedizione su Pontremoli; mentre per l’operazione contro Arezzo professò fedeltà imperiale ma non inviò truppe in aiuto di Federico. Lo stesso atteggiamento fu mantenuto con i pisani, quando questi chiesero rinforzi per la spedizione in Lunigiana, ai quali promisero aiuti di fatto mai inviati18. Un metodo d’espansione, che dimostrò tutta la sua effi cacia solo verso la fi ne del Duecento, fu l’acquisto dei castelli. Siena aveva già tentato con succes- so questa strada per l’espansione nel proprio comitato, e alla metà del Duecento applicò tale strategia anche in Maremma, incoraggiando in queste iniziative anche privati cittadini e comunità fedeli, come Massa Marittima19: sebbene gli accordi del 1203 con gli Aldobrandeschi proibissero l’alienazione dei castra, tale clausola era decaduta intorno agli anni Cinquanta. Il primo acquisto, me- diato dall’abate del monastero di San Salvatore, fu la metà del castello di Ca- stiglioncello20; nel 1254 fu venduto a Siena da Ranieri Cappuccini il castello e la curte di Sticciano21; tra il 1255 e il 1257 fu comprato Montorsaio. Allo stesso tempo, il 18 giugno del 1255, iniziava trattative per comprare le terre di S. An- timo22. Alla fi ne del secolo poteva quindi acquistare vaste aree maremmane e dell’Amiata: tra il 1282 e il 1298 comprò Campagnatico, nel 1294 Sassoforte, nel 1294 Monteverdi, tra il 1293 e il 1297 Roccalbenga e Rocca Tederighi e tra il 1293 e il 1310 Prata; nel 1331 fu la volta di Sassoforte e l’anno successivo di Arcidosso e Castel del Piano23. Tuttavia, nel momento stesso in cui Siena individuava nella Maremma uno spazio d’espansione, la regione diveniva inevitabilmente anche un fronte di guerra. Il principale obiettivo senese fu la destabilizzazione del potere degli Aldo- brandeschi.

18 G. CIACCI, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, Roma 1980, p. 126. 19 Nel 1254, ad esempio, con la morte del conte Ugolino di Rolando Galleana metà del castello di Castiglion Bernardi passò al comune di Massa; allo stesso tempo anche l’altra metà, di appartenenza a Bernanrdino di Bonifacio Pannocchieschi, fu concessa alla città maremmana, che ridette in feudo il castello allo stesso Bernardino: L. PETROCCHI, Massa Marittima, arte e storia, Firenze 1900, p. 256. 20 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 137. 21 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Sedicesimo libro, anno 1255, Siena 1940, d’ora in avanti Biccherna XVI, p. V. 22 ASS, Consiglio Generale 4, c. 76v. 23 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 140. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 17

Tra il 1229 e il 1235 Siena, in alleanza con Pisa, era in guerra contro Fi- renze e Orvieto, confl itto da cui uscì sconfi tta anche per l’intervento di uno dei suoi più temibili avversari, il conte Guglielmo Aldobrandeschi, abile stratega, uomo vicinissimo a papa Gregorio IX e ben inserito nella vita politica orvietana. La profonda rivalità tra Siena e il conte fu evidente nel 1236 quando, nonostante i tesi rapporti con Grosseto, in particolare dopo il cruento assedio del 122424, i senesi intervennero militarmente al fi anco del comune maremmano appoggiando una ribellione contro Guglielmo25. Con la guerra del 1251-125426 era evidente che Siena tentò di attrarre a sé molti signori maremmani. Nei tre giorni immediatamente successivi all’inizio uffi ciale delle ostilità, tra il 28 e il 30 gennaio, il comune riuscì a ottenere la sot- tomissione dei signori di Montorsaio, di Ranieri di Torniella e dei suoi fi gli, dei signori di Montorgiali, di Ranieri di Rinaldo di Sticciano, di Bertoldo di Bernar- dino di Cinigiano e di Bertoldo di Sassoforte27. Tuttavia le vittorie di Guglielmo, capitano delle forze orvietane, con l’invasione di Santa Fiora e l’occupazione di Casteldelpiano, Arcidosso e Piancastagnaio, ponevano sotto la sfera d’infl uenza di Orvieto Saturnia, Montorio e Proceno28. Una logica conseguenza fu l’avvici- namento allo schieramento senese di Ildebrandino di Bonifacio di Santa Fiora, nipote di Guglielmo, divenendone importante alleato. In questo modo avveniva la defi nitiva frattura tra il ramo che aveva il suo centro di potere nel forte castello di Pitigliano e quello aveva residenza nella rocca di Santa Fiora. Ma ancora in quest’anno da parte senese non fu abbandonato lo strumento diplomatico che, nonostante l’andamento del confl itto, raggiungeva ottimi risultati, soprattutto ri- uscendo a imporre il proprio arbitrato, apparentemente super partes, tra signori o comunità in guerra. Infatti fu proprio nel 1251 che il Consiglio Generale convocò gli uomini di Trequanda per mediare negli scontri che opponevano costoro, uni- tamente alle genti del castello di , al conte Ildebrandino29. Con- temporaneamente, sempre in quest’anno, Siena inviò cavalieri, sia cittadini sia mercenari, e fanti per una cavalcata sull’Amiata e in Maritima30.

24 La devastazione di Grosseto nel 1224 deve essere stata condotta in modo sistematico se nel luglio del 1226 il priore dell’Ordine Gerosolimitano di Pisa ricevette un indennizzo per i danni inferti in quella circostanza dalle truppe senesi all’ospizio Gerosolimitano di Grosseto: BORRACELLI, Lo sviluppo economico di Grosseto e della Maremma cit., p 135 e nota 73. 25 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., pp. 142-143. 26 Nel corso della quale Siena stipulò alleanza con Arezzo, Pistoia, Pisa e i ghibellini di Firenze e Prato solo il 7 novembre: Caleffo Vecchio, a cura di G. Cecchini, Siena 1934, II, pp. 757-759. 27 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., pp. 161-163; MORDINI, Le forme del potere cit., pp. 88, 127 e nota 67. 28 Op. cit., p. 115. 29 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 98 30 ASS, Consiglio Generale 3, c. 21v. 18 Marco Merlo

Nei primi anni Cinquanta del Duecento l’impresa verso la Maremma, che appariva semplice dal punto di vista politico, in realtà sul piano militare si rive- lava piuttosto intricata. Da un lato vi erano le caratteristiche del territorio, rese diffi cili da colline piuttosto impervie, stretti fondovalle, fi tta macchia, pianure in- salubri e spesso acquitrinose. Dall’altro vi erano le caratteristiche peculiari delle famiglie che lì detenevano il potere, aristocrazie bellicose e irruente molto prati- che di guerra, radicate nei centri di potere castrensi che dominavano l’aspro ter- ritorio, che da Siena erano viste come pericolose minacce alla sua espansione31.

1.2. Capacità militare dei signori maremmani Negli equilibri toscani la Maritima fu nei confl itti del Duecento il fronte meridionale di tutte le guerre. Nella prima metà del secolo la stabilità dell’Aldobrandesca si reggeva tra la fedeltà imperiale e l’obbedienza ai pontefi ci, fatto che aveva portato all’accani- mento delle truppe imperiali nell’intera area, soprattutto contro il ramo insediato a Pitigliano32. Il conte Guglielmo fu il principale artefi ce delle vittorie contro Federico II in area toscana e laziale, dimostrando tutta la sua abilità di coman- dante: fu proprio lui nel 1243 a riportare nell’asse guelfo la città di Viterbo, dopo averla conquistata grazie a un abile colpo di mano notturno, con cui s’impossessò di porta Salcicchia e alcune torri, attraverso le quali, nella mattinata successiva, fece il suo ingrasso alla testa delle proprie truppe, obbligando la guarnigione te- desca a ritirarsi nella rocca di San Lorenzo33. Fu sempre lui a guidare la vittoriosa resistenza di Viterbo quando, in un secondo momento, l’esercito imperiale co- mandato da Federico in persona, in cui militavano anche le truppe senesi34, arrivò in soccorso dei tedeschi e dei ghibellini viterbesi che si erano asserragliati nella rocca35. Dopo che i viterbesi respinsero due potenti assalti imperiali condotti in novembre, l’imperatore fu costretto a lasciare la città in mano a Guglielmo. Nel 1248 Guglielmo e i fi gli si trovavano nuovamente in guerra con Siena, quando il comune intervenne militarmente nella contea a nome dell’imperatore e del vica- rio generale per l’Aldobrandesca e la Maremma.

31 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 147. 32 Ad esempio il castello di Selvena fu assediato per diversi mesi dalle truppe di San Gimignano: Archivio di Stato di Firenze, San Gimignano, Carte 34, cc. 17r, 24r, 28v, 65v. 33 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 110. La fortezza era guarnitissima, in posizione dominante, nella quale si asserragliarono più di quattrocento milites: E. WINKELMANN, Acta imperii inedita speculi XIII et XIV, I, Innsbruck 1880, doc. 693, p. 547. 34 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 151. 35 Quest’assedio si segnala per la diffi coltà da parte delle truppe guelfe comandate dal conte Guglielmo, poiché si trovarono costrette tra l’esercito imperiale, accampato fuori le mura cittadine, e i cavalieri tedeschi con i viterbesi fi lo imperiali, attestati sulla rocca dominante la città: WINKELMANN, Acta imperii cit., doc. 693, p. 546 sgg. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 19

Dal 1251 al 1254 le battaglie avvenute nella regione furono determinanti per l’intera guerra, spostandone quasi ogni anno l’asse politico. Tutto ciò permise ai signori della Maritima di accumulare esperienze militari importantissime, che permisero loro di avere occasione di misurarsi anche con eserciti stranieri. La Maremma era dominata da signori rurali, tra cui gli Aldobrandeschi spiccavano per prestigio. Famiglie che fi no agli inizi del XIII secolo ebbero scar- si rapporti con le città comunali36, come gli Ardengheschi37, i Pannocchieschi e

36 Caratteristica analoga ad altre realtà periferiche coeve, come le signorie del Trentino, del Friuli o del Piemonte occidentale: P. CAMMAROSANO, L’organizzazione dei poteri territoriali nell’arco alpino, in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, Bologna 1994, pp. 71-80; L. PROVERO, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici (secoli XI-XII), Torino 1992; S.M. COLLAVINI, I conti Aldobrandeschi nel contesto storico generale e locale, in Gli Aldobrandeschi.La grande famiglia feudale della Maremma toscana, a cura di M. Ascheri, L. Niccolai, Arcidosso 2002, pp. 21-36. Si tratta di un comportamento molto differente da quello della maggior parte delle aristocrazie italiane, in particolare quelle del nord Italia, che avevano iniziato ad attuare politiche di inurbamento fi n dal XII secolo: R. GUIDONI, Residenza, casa e proprietà nei patti tra feudalità e Comuni (Italia, secc. XII-XIII) in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident médi- terranéen (Xe-XIIIe siècles), Roma 1980. Uno dei numerosi esempi di questa politica dei comuni nella seconda metà del XII secolo, è fornito dal comune di Asti: il comune piemontese nel 1173 concesse la cittadinanza ai signori rurali di Montemagno facendoli giurare di essere alleati del comune in qualsiasi guerra, soprattutto contro il marchese del Monferrato . Dal canto suo Asti, in caso di guerra, s’impegnava a mantenere a proprie spese presso Montemagno un presidio di venti cavalieri e venti fanti, trasformando così questa località in un avamposto astigiano, soprattutto contro il marchesato del Monferrato. In questo modo la famiglia nobile si assicurava di entrare nel vivo del gioco politico del comune e, per contro, il comune si garantiva un valido sostegno militare: Codex Astensis qui de Malabaya communiter nuncu- patur, a cura di Q. Sella, Roma 1887, doc. 723. In area senese un caso precoce di alleanza tra Siena e una signoria rurale è rappresentato dai giuramenti dei conti Ardengheschi del 1179, che possedevano vasti interessi patrimoniali anche in Maremma: questi giurarono alleanza e fedeltà al comune, soprattutto sul piano militare, ma dai patti non risultano obblighi o diritti di residenza. In questi giuramenti erano indicati i signori verso i quali la casata ardenghesca era tenuta a muovere guerra in aiuto di Siena. Tra questi fi gurano alcuni rami degli Aldobrandeschi, i Pannocchieschi e i signori di Sticciano e Torniella (R. ROCCHIGIANI, Un’altra grande famiglia nel senese: gli Ardengheschi, in Gli Aldobrandeschi cit., a cura di M. Ascheri, L. Niccolai, Arcidosso 2002, p. 82). Nel XII secolo era frequente che Siena stipulasse patti de placito et bisonnio con signori del contado a scopo di reciproca difesa, ma anche questi non prevedevano l’inurbamento dei titolari del castello, semmai in genere era stabilito che questi concedessero in pegno, per un periodo di tempo prestabilito, il proprio castello al vescovo di Siena (A. SPICCIANI, Per la difesa di un castello: parti e alleanze nel senese tra XI e XII secolo, in Fortilizi e campi di battaglia nel Medioevo intorno a Siena, Siena 1998, pp. 337-355). Ma ancora in questi anni le aristocrazie rurali sembrano essere un potere alternativo al comune senese che tuttavia ricevette riconoscimenti imperiali a scapito delle signorie: nel 1158 Siena fu benefi ciaria di un diploma imperiale, emanato dal Barbarossa, che tutelava il suo suburbio e il suo contado dalle mire espansionistiche dei conti di Orgia, che evidentemente erano in confl itto con la città: R. FARINELLI, A. GIORGI, «Castellum refi cere vel aedifi care»: il secondo incastella- mento in area senese. Fenomeni di accentramento insediativo tra la metà del XII e i primi decenni del XIII secolo, in Fortilizi e campi di battaglia cit., p. 193 37 P. A NGELUCCI, L’Ardenghesca tra potere signorile e dominio senese (Secoli XI-XIV), Napoli 2000; ROCCHIGIANI, Un’altra grande famiglia cit., pp. 77-85. 20 Marco Merlo gli Alberti, con la signifi cativa eccezione dei Gherardeschi, originari della Ma- remma, che instaurarono precoci rapporti con Pisa per divenire, alla fi ne del XII secolo, una delle aristocrazie cittadine38. Al contrario del suburbio e del contado senese, in Maremma erano rare le terre prive di signori39, alle quali i senesi guardano, ancora nel 1309, come terre tenute da nobili e vassalli dei conti Aldobrandeschi e da altri maremmani40. Questi signori, fi n dalla fi ne del XI secolo, avevano condotto un’intensa politica d’incastellamento dei propri patrimoni fondiari e centri curtensi, modifi cando profondamente il territorio, che in questo modo poteva essere facilmente gesti- to e controllato. Buona parte di questi centri fortifi cati trovò sviluppo tra XII e XIII secolo, principalmente per necessità difensive, quello che è stato defi nito il “secondo incastellamento” in Toscana meridionale41. In quest’area, ancora più che nelle altre aree del territorio toscano, si calcolava l’estensione di un dominio sulla base del numero di castelli sottoposti all’autorità del medesimo signore42, poiché questi, data la scarsità di villaggi aperti e di insediamenti spar- si, rappresentavano la forma quasi esclusiva d’insediamento43. Tutta l’attività produttiva era quindi inquadrata all’interno delle strutture signorili, che si reg- gevano sul castello stesso. Dai primi decenni del Duecento signori e abitanti di molti castelli, soprat- tutto nell’area amiatina, costituirono delle comunità di castello, dandosi pecu- liare forma politico-istituzionale44, in cui il castrum, o in alcuni fonti arx45, era

38 M.L. CECCARELLI LEMUT, I conti Gherardeschi, in I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomu- nale, atti del I convegno del Comitato di Studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze 2 dicem- bre 1978, Pisa 1981, pp. 165-190; R. FARINELLI, R. FRANCOVICH, Potere e attività minerarie nella Toscana altomedievale, in La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, a cura di R. Francovich, G. Noy, atti del convegno internazionale, Siena, 2-6 dicembre 1992, Firenze, 1994, pp. 458-459; R. BORDONE, L’aristocrazie territoriale tra impero e città, in Le aristocrazie dai signori locali al patriziato, a cura di R. Bordone, Roma-Bari 2004, p. 16 39 Per altre famiglie che in Maremma imposero un dominio sulla base del controllo e della ge- stione dell’estrazione mineraria alla fi ne del XII secolo, si veda: FARINELLI, FRANCOVICH, Potere e attività minerarie cit., pp. 461-462 e bibliografi a ivi citata. 40 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 130. 41 FARINELLI, GIORGI, «Castellum refi cere vel aedifi care» cit., pp. 157-263. 42 R. FARINELLI, Castelli e popolamento nel territorio di Roccastrada (secoli X-XIV), in S. Salva- tore di Giugnano, un monastero tra storia e architettura nel territorio di Roccastrada, Roccastrada 2001, pp. 172-198. 43 G. CHERUBINI, R. FRANCOVICH, Forme e vicende degli insediamenti nella campagna toscana dei secoli XIII-XIV, in «Quaderni storici», XXIV, 1973, pp. 877-904. 44 Sull’argomento si veda: O. REDON, Le Comunità di castello sull’Amiata e nei domini aldobran- deschi nel Duecento, in Gli Aldobrandeschi cit., pp. 65-75; ID, Uomini e comunità del contado senese nel Duecento, Siena 1982. 45 Alternativo al termine castrum o castellum in alcuni casi si trova arx, rocca, come a Tintinnano il cui toponimo attuale è effettivamente Rocca d’Orcia. Si veda: C. WICKHAM, Comunità e clientele nella Toscana del XII secolo. Le origini del Comune rurale nella Piana di Lucca, Roma 1995. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 21 la principale struttura gestita e amministrata dalla comunità. L’esempio di Mon- tepinzuto, oggi Monticello sull’Amiata, dimostra come il castrum avesse come principale funzione quella di residenza degli uomini che costituivano la comu- nità e fosse il centro di potere del signore, e solo in seconda analisi un punto strategico-militare. Tra le conseguenze della gestione comunitaria vi era però il rischio di interventi architettonici che potessero compromettere la funzionalità delle strutture castrensi, cosa che metteva in serio pericolo le possibilità di difesa: le concessioni fatte da Ranieri di Torniella nel 1233 ad esempio, introducendo la possibilità di apportare modifi che agli edifi ci46, poteva infi ciare l’effi cienza delle strutture difensive e, di conseguenza, minare un aspetto importante del potere si- gnorile. Pertanto a Tintinnano, dove veniva data maggiore importanza agli edifi ci all’interno delle mura rispetto a quelli esterni, veniva immessa la clausola per cui solo al signore spettava la responsabilità della difesa, e gli abitanti della comunità erano tenuti a fornire il vitto a metà della guarnigione e garantire l’alloggio a tutti gli uomini d’arme, e solo in caso di guerra l’intera comunità avrebbe dovuto prendere servizio armato47. Quindi la materia militare, come la decisione di muo- vere guerra o sottoscrivere una pace, stipulare o rompere alleanze, competeva esclusivamente al signore48. Alla comunità spettava prevalentemente fornire turni di guardia a torri e porte oppure prestare servizio nell’esercito e nelle cavalcate, venendo esclusa dalle prerogative decisionali, la cui unica eccezione potrebbe essere proprio Torniella. Risulta evidente come in Maritima i castelli fossero i reali centri di potere, castra per la maggior parte di modeste dimensioni, ma che tutti insieme formava- no il vero tessuto socio-politico della regione49. Il potere dei signori continuava a essere supportato, come da antica tra- dizione, dalla propria capacità militare, dalle possibilità di attacco e di difesa fornite dai vassalli e dalle clientele armate al loro servizio. Gli Aldobrandeschi in particolare, famiglia comitale fi n dall’età carolingia, tra la fi ne del XII e il XIII se- colo riuscirono a imporsi come famiglia egemone, divenendo signoria territoriale usando lo strumento feudo-vassallatico, creando un corpo di uffi ciali comitali, che nel Duecento risultarono fondamentali nell’assetto politico della contea, e

46 La charta libertatis concessa da Ranieri di Tornella e dai fi gli agli uomini della comunità è trascritta in: REDON, Uomini e comunità cit., pp. 147-151. 47 ASS, Caleffo dell’Assunta, cc. 698v-700r. Copiato in Capitoli 16, cc. 1r-2v. Trascritto in REDON, Uomini e comunità cit., pp. 109-111. 48 In alcuni casi, quelli delle comunità assoggettate a un potere superiore, come l’imperatore, il papa o un comune cittadino, era quest’ultimo ad arrogarsi tali diritti: Op. cit., pp. 130-131. 49 Sulla capacità demografi ca nei territori senesi: Sull’argomento: A. GIORGI, Aspetti del popola- mento del contado di Siena tra l’inizio del Duecento ed i primi decenni del Trecento, in Demografi a e società nell’Italia medievale, a cura di R. COMBA, I. NASO, Cuneo 1994, pp. 253-291. 22 Marco Merlo arrogandosi diritti pubblici, come la convocazione dell’esercito e la dichiarazione dello stato di guerra50. La forza militare era principalmente retta dagli stessi signori, investiti del cingulum militiae, la cui tradizionale e principale attività continuava a essere il combattimento, in particolare quello montato; signori «forti, rudi e bellicosi», come Ciacci ebbe modo di defi nire i Pannocchieschi51, possessori di 37 castelli, tra cui quello di Rocchette, base di quasi tutte le loro scorrerie52, e il castello di Pietra, vero centro di potere familiare53. A loro si univano i propri vassalli e clienti, anch’essi combattenti a cavallo, e abbiamo traccia di alcuni uomini che comandavano le truppe durante le operazioni, come Stefano d’Aversa, che nel 1275 fu capitano d’armi del conte Guglielmo54. La cavalleria quantitativamente non era imponente, ma d’indubbia effi cacia, temprata nelle piccole ma quasi con- tinue guerre che vedevano affrontarsi tra loro i vari signori, tipico esempio di quel «bellicismo endemico»55 che ha fortemente caratterizzato il Medioevo. I Pannoc- chieschi, quando furono al servizio di Siena nel 1230, potevano contare poco più di una decina di cavalieri, tutta la loro masnada56, e nel 1232 il comune stipendiò i masnadieri de Tintinnano57. Anche nelle comunità di castello la prestazione arma- ta era garantita dagli uomini a cavallo, detti a Torniella lambardi, sinonimo di mi- lites, termine usato anche a Roccatederighi dal 122058, nello statuto di Siena del 126259 e a Sovicille nel 127660. Costoro erano esonerati dalle corvées e in alcuni casi sappiamo che ricoprivano incarichi istituzionali, come a Montelaterone dove i quattro capitani del comune potevano essere sostituiti dai milites del castello61.

50 FARINELLI, FRANCOVICH, Potere e attività minerarie cit., pp. 456-458; S.M. COLLAVINI, “Honora- bilis domus et spetiosissimus comitatus”. Gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” (secoli IX-XIII), Pisa 1998; ID, I conti Aldobrandeschi cit., pp. 21-36. Sulla loro infl uenza in Grosseto: MORDINI, Le forme del potere cit., pp. 63-80. 51 Famiglia che, tra XII e XIII secolo, vide accrescere il proprio prestigio sociale e politico grazie a un vasto patrimonio fondiario situato nelle aree di estrazione metallifera della Maritima: CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 306; FARINELLI, FRANCOVICH, Potere e attività minerarie cit., pp. 459-460. 52 Guida alla Maremma Medievale, a cura di R. Farinelli, R. Francovich, Siena 2000, pp. 39-40, 65-66; FARINELLI, I castelli nella Toscana cit., repertorio, sito n. 23.9. 53 Op. cit., repertorio, sito n. 36.6. 54 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 249. 55 G. SERGI, I confi ni del potere. Marche e signorie fra due regni medioevali, Torino 1995, p. 14. 56 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Libro terzo (anno 1230), Siena 1915, d’ora in avanti Biccherna III, p. 214. 57 D. WALEY, Siena e i senesi nel XIII secolo, Siena 2003, p. 236. 58 FARINELLI, Castelli e popolamento cit., p. 47. 59 Il Costituto del comune di Siena dell’anno 1262, a cura di L. Zdekauer, Bologna 1897, dist. I. rub. CCCLX, p. 137. 60 REDON, Uomini e comunità cit., p. 106. 61 Op. cit., p. 106. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 23

Ai cavalieri si aggiungevano le truppe appiedate, tra le quali dovevano senz’altro fi gurare alcuni uomini d’arme direttamente dipendenti dai signori, la cui principale attività era la guerra: a Tintinnano la guarnigione del castello era infatti composta da uomini d’arme a cui la comunità doveva procurare la metà del vitto e garantire a tutti l’alloggio62, mentre alcuni decenni dopo Inghiramo di Bi- serno, come emerge da un pagamento fi orentino del maggio 1291, teneva presso di sé 25 cavalieri e 50 fanti mantenuti sempre in armi63. Tuttavia il grosso della fanteria era composto dalle milizie rurali e dagli abitanti dei castelli, dei centri fortifi cati e delle campagne, come nel documentato caso delle comunità di castello. Dai patti del 1300 in cui Siena, in confl itto con gli Aldobrandeschi, ottenne l’alleanza dei castelli di Belforte, Radicondoli e Mon- teguidi, emerge con chiarezza che la capacità militare fosse ancora dipendente dall’ampiezza demografi ca e l’abilità al servizio armato degli individui adulti64. A Torniella, sulla base dei patti di sottomissione degli uomini incarcerati e di quelli liberi65, in conseguenza all’espugnazione del castello nel 1255 come vedremo meglio oltre, Odile Redon conta circa 100 adulti66, che se confrontato con quelli di Tintinnano, che raggiungeva 150 uomini67, risulta essere a bassa concentra- zione demografi ca. Ma vi erano castelli più popolosi e, di conseguenza, con un esercito più nutrito, ad esempio il castello di Prata prima del 1306 poteva contare circa 137 capifamiglia, come indica l’atto di sottomissione a Siena68. Il numero dei soli fanti quindi poteva raggiungere cifre ragguardevoli: sappiamo che nel 1259 Gherardo da Prata partecipò all’oste senese, nella guerra contro Firenze, con ben 100 pedites69; all’assedio di Grosseto del 1260 le truppe senesi furono affi ancate da 100 unità inviate da Massa Marittima, da 100 uomini di Chiusdino, 100 di Monticano e 100 di Casole; 100 fanti da Radicondoli e altrettanti sia da Belforte sia da Roccatederighi; Gherardo da Prata inviò anch’egli 100 fanti e lo stesso fece . Da arrivarono 25 uomini e altri 50 da Boccheggiano70.

62 Op. cit., p. 111. 63 GAMBAZZA, Massa e la Maremma cit., p. 188. 64 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 136. 65 ASS, Capitoli 16, cc. 5v-8r, 8v-10r. 66 ASS, Capitoli 16, cc. 5v-8r, 8v-10r. REDON, Lo spazio di una città cit., p. 99. 67 L. ZDEKAUER, La carta libertatis e gli statuti della rocca di Tintinnano (1207-1297), in «BSSP», III, (1896), pp. 362-371. 68 M. SICA, Statuti della comunità di Prata, Roma 1994, p. 89. Quindi gli abitati dovevano oscilla- re tra i 500 e 600. Probabilmente prima dell’assedio, condotto dal 1285 al 1289, il castello doveva essere anche più popoloso poiché, quando il notaio senese Ubaldino entrò all’interno delle mura per formalizza- re la resa, trovò il castello quasi del tutto disabitato: ASS, Consiglio Generale 38, c. 30r. 69 MALAVOLTI, Dell’historia di Siena cit., II, p. 5b. 70 GAMBAZZA, Massa e la Maremma cit., p. 149. 24 Marco Merlo

Queste popolazioni, proprio a causa delle continue guerre, avevano accu- mulato una non trascurabile esperienza militare, un’abitudine alla violenza e agli scontri armati, che poteva compensare un armamento non paragonabile a quello dei milites. Siena stessa nel 1230 pagò numerosi mercenari, per la maggior parte semplici contadini, arruolati nella diocesi di Massa Marittima71. Proprio sull’esercito di questa città maremmana possediamo qualche noti- zia72. La decisione di muovere guerra o stipulare la pace era presa dal Consiglio Maggiore della città, e in queste occasioni i 90 consiglieri erano portati a 120. Mentre in forma permanente vi era un consiglio di cinque uomini, detto Consi- glio di Pace e di Guerra, con l’incarico di provvedere e mantenere gli armamenti e tutto il materiale bellico, assoldare masnade e mercenari e stilare le tregue. Il comando dell’esercito era affi dato al capitano del Popolo di San Cerbone, coa- diuvato dai tre capitani dei tre Terzi cittadini. La composizione dell’esercito si basava sulle cinque societates di ogi Terzo. Era previsto per i proprietari di cavalli, come nei comuni più grandi, poter pagare un sostituto per il servizio armato in tempo di guerra73. La fanteria era suddivisa in balestrieri, arcieri, pavesari, mentre i guastatori erano generalmente arruolati nelle campagne. Al suono a stormo delle campane tutti gli uomini abili alla leva dovevano radunarsi nella piazza del comune, per essere inquadrati dai capitani delle società, da quelli dei Terzi e dal Capitano del Popolo, che distribu- ivano gonfaloni e vessilli. In ambito maremmano la forbice d’età che riguardava gli abili al combat- timento doveva essere molto più ampia rispetto a quella delle città comunali, proprio a causa delle incessanti necessità difensive e del forte bellicismo che ca- ratterizzava la regione: il conte Umberto Aldobrandeschi era poco più che ragaz- zino quando prese parte all’assedio di Sovana, durante il quale fu anche ferito74. Nelle comunità di castello, su cui possediamo dati precisi, generalmente erano considerati uomini adulti, ritenuti abili alle armi, coloro che avevano compiuto i 14 anni di età, fi no agli anziani di oltre 70 anni75.

71 Biccherna III, pp. 120, 145, 192-193. 72 Si veda: E. LOMBARDI, Massa Marittima e il suo territorio nella storia e nell’arte, Siena 1985, pp. 41-42. 73 GAMBAZZA, Massa e la Maremma cit., p. 131. 74 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 121. Nel Medioevo era frequente che i nobili iniziassero a praticare l’esercizio delle armi già in tenera età e ancora molto vecchi continuassero a combattere. A titolo di esempio riportiamo due celebri casi. Baldovino IV, re di Gerusalemme, salì al trono ad appena 13 anni e, nonostante fosse lebbroso, guidava l’esercito in battaglia. Mentre Enrico Dandolo, doge di Venezia, era molto vecchio, e quasi cieco, quando comandò l’assalto a Costantinopoli nel 1204. S. RUNCIMAN, Storia delle Crociate, I, Torino 1993, p. 534, 785. 75 REDON, Uomini e comunità cit., p. 105; ID, Lo spazio di una città cit., p. 136. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 25

Queste caratteristiche restituiscono un’immagine di signorie avvezze alla guerra nel senso più tradizionale. Pertanto nella sua espansione verso la Maremma Siena trovava più diffi - coltà rispetto a quelle previste. Il territorio era diffi cile da piegare e pacifi care, ma il comune riuscì a collezionare un gran numero di rapide vittorie, dovute alla velocità e la fl essibilità con la quale le sue istituzioni militari permettevano l’or- ganizzazione di una cavalcata o il dispiegamento di un esercito76.

1.3. Le istituzioni militari senesi alla metà del Duecento A Siena la decisione di muovere guerra doveva essere confermata con la maggioranza dei due terzi del Consiglio Generale e reiterata da altre due votazio- ni (che dovevano sempre raggiungere almeno i due terzi) in altrettanti Consigli Generali distinti, convocati appositamente per prendere tale decisione77. I Consi- gli si tenevano in giorni diversi, a volte consecutivi, altre volte tra un Consiglio Generale e l’altro potevano passare più giorni: tutto dipendeva dall’urgenza della situazione78. Tale prassi venne confermata nello statuto del 1262 alla rubrica De non fi enda cavalcata vel exercitus sine tertio consilio campane79. Nel terzo dei consigli tenuti per deliberare la decisione di muovere guerra veniva anche stabi- lita l’entità del contingente militare, che comunque poteva essere dibattuto anche nei precedenti due consigli (come il caso di Torniella dimostra). La prima delle decisioni da prendere era se organizzare una cavalcata o un esercito80. La cavalcata, tra l’XI e XIII secolo, era una delle più diffuse operazioni in campo aperto. Essa era una spedizione armata di piccolo o medio raggio, limi- tata nel tempo e con obiettivi circoscritti al guasto di un’area nemica o l’attacco fulmineo a posizioni avversarie. Il numero dei partecipanti era variabile, ma mai numeroso, composto prevalentemente da truppe montate, in alcune circostanze affi ancate da un certo numero di fanti81. A Siena l’organizzazione di una cavalca-

76 Lo studio delle istituzioni militari senesi recentemente ha visto un rinnovato interesse. Per il Duecento si segnalano per spessore e interesse: F. BARGIGIA, L’esercito senese nei più antichi libri di Biccherna (1226-1231), in «BSSP», CIX (2002), pp. 9-87; F. TRICOLMI, L’«Exercitus» di Siena in età novesca (1287-1355), in «BSSP», CXII (2005), pp. 9-246; G. MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, in Alla ricerca di Montaperti. Mito, fonti documentarie e storiografi a, a cura di E. Pellegrini, Siena 2009, pp. 141-230. 77 L. ZDEKAUER, La vita privata dei senesi nel Dugento, Firenze 1896, p. 21. 78 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., p. 145. 79 Il Costituto cit., dist. I. rub. CCXXI, pp. 88. 80 Per una trattazione organica sulle differenze tra esercito e cavalcata: F. BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale. Organizzazione e logistica (1180-1320), Milano 2010, pp. 55-73. 81 A volte era stabilito uffi cialmente che i fanti, in particolare gli specialisti nel maneggio delle lance lunghe, gli arcieri e i balestrieri, dovessero seguire i milites nelle cavalcate fuori dal territorio 26 Marco Merlo ta82 è regolamentata nello statuto del 1262 in quattro rubriche della distintio I83 e i dibattiti consiliari su come muovere contro Torniella, come si vedrà più oltre, rap- presentano dei rari, quanto preziosi, documenti che ne chiariscono le modalità. La formazione di un esercito, differentemente, richiedeva modalità più complesse. Nelle città comunali italiane gli uomini venivano arruolati all’interno delle ripartizioni topografi che amministrative: a Siena si richiamavano gli abili, com- presi tra i 18 e i 70 anni84, dai Terzi (Terzo di Città, Terzo di San Martino e Terzo di Camollia) che costituivano autonome unità militari, comprensive di milites e pedites. L’entità numerica del contingente variava a seconda della gravità della situazione: si poteva richiamate un solo Terzo o due Terzi, in più potevano essere mobilitati gli abitanti del contado di pertinenza amministrativa dei singoli Terzi. Nei casi in cui era prevista la mobilitazione di un solo Terzo, la decisione su quale dovesse essere mobilitato era in genere presa per sorteggio85, e nelle spedizioni successive venivano mobilitati gli altri due su rotazione. In questi casi la ferma per ogni contingente era stabilita al massimo di quindici giorni, ma molto spes- so le operazioni duravano più tempo, quindi il Consiglio Generale prescriveva l’ordine con il quale le truppe dovevano avvicendarsi86. L’esercito così formato cittadino, con una remunerazione stabilita per ogni singolo fante, come accadeva a Firenze: Il libro di , a cura di C. Paoli, Firenze 1889, pp. 35-36. Per una trattazione organica sulle differenze tra esercito e cavalcata: BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale cit., pp. 55-73. Si veda inoltre la sintesi in P. GRILLO, Cavalli, cavalieri e cavallate nell’Italia Comunale, in Cavalli e cavalieri. Guerra, gioco, fi nzione, a cura di F. Cardini, L. Mantelli (atti del convegno internazionale di studi, Certaldo Alto, 15-18 settembre 2010), Pisa 2011, pp. 170-171. 82 Si veda, soprattutto per le implicazioni economiche delle cavalcate senesi: WALEY, Siena e i senesi cit., pp. 228-232. 83 Il Costituto cit., pp. 65-67. 84 Una delle più antiche leggi che si ricordi a Siena, probabilmente la più antica, sono i provve- dimenti disposti dai quindici inventores, redatti il 6 dicembre del 1208 (ASS, Diplomatico Riformagioni 1208, 6 dicembre). Qui sono esonerati dal servizio armato i minori di 18 anni e gli anziani oltre gli 80: M. ASCHERI, M.A. CEPPARI RIDOLFI, La più antica legge della repubblica di Siena, in Siena e Maremma cit., p. 212. 85 Il Costituto cit., p. 66. 86 Questa è una prassi diffusa negli eserciti comunali fi n dal XII secolo. A Milano durante le guerre contro il Barbarossa, l’esercito cittadino era suddiviso tra le quattro porte urbiche. Nelle operazioni fuori dai territori milanesi l’esercito era composto dagli uomini di due porte, che venivano sostituiti dopo un periodo di tempo non specifi cato dai commilitoni di altre due porte. Nel fallito tentativo dei milanesi di occupare la località di Sale, il cronista narra: Postea namque aliarum duarum portarum, videlicet porte Romane et porte Arienze, omnes equites et pedites Terdona inverunt, una volta raggiunta questa città il contingente appena arrivato si avvicenda con quelli che erano già sul posto, Alio die, scilicet Veneris, omnes equites et pedites porte Ticinensis et porte Vercelline Mediolanum redierunt, aliarum duarum portarum equitibus et peditibus, che accolsero i sostituti cum magno gaudio: OTTONIS MORENAE et conti- nuatorum Historia Federici I, a cura di F. Güterbock, Berolini 1964 (M.G.H. Scrip. In Us. Schol., N.S. t. 7), p. 25. Mentre l’Anonimo Milanese racconta che gli uomini di porta Comancina e porta Nuova furono Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 27 si defi nisce “per Terzo”, ma le situazioni più gravi richiedevano l’adunata di tutto l’esercito87, exercitus generalis o exercitus per civitatem et comitatum. Presa la decisione si passava al raduno del contingente militare. Di norma venivano eletti dei notai con lo scopo di redigere gli ordinamenti. Questi erano passati ai banditori, letti alle truppe e custoditi dai notai88; anche le milizie rurali del contado dipendente dalla città potevano venire convocate grazie agli ordi- namenta, affi dati ad appositi banditori e con ogni probabilità, almeno a partire dagli anni Cinquanta del XIII secolo, attraverso comunicazione scritta89. Il ruolo dei notai in guerra anche a Siena, come in molti atri comuni italiani, non fi niva qui: sovente avevano il compito di formalizzare la resa dei castelli e delle città nemiche90. L’adunata delle truppe era segnalata da un particolare suono delle campane, forse “a martello” come si chiarisce in un documento più tardo91, detto proprio ad exercitum. A questo punto i banditori si recavano a cavallo nei Terzi o nel contado che veniva mobilitato, in luoghi preposti appositamente per dare pubblica lettura di bandi e disposizioni uffi ciali, e lì davano comunicazione degli ordinamenta. Le indicazioni erano precise: alcuni notai redigevano l’elenco degli uomini da richiamare, altri il numero dei cavalli, il nome dei proprietari e il nome di coloro che li dovevano montare (che poteva non essere la stessa persona)92. Successiva- mente si procedeva alla consegna dei gonfaloni, vero e proprio rito che sanciva solennemente l’adunata dell’esercito, come in altre città. A Siena la cerimonia, ben documentata per tutto il XIII secolo93, veniva mandati a presidiare Tortona; il 20 maggio 1155 le autorità comunali di Milano decisero di avvicendare le truppe, che ormai erano stremate dagli attacchi nemici, quindi missi sunt due alie porte, porta Romana et porta Horientalis, per terram Placentium et marchionum Malaspine e quando arrivarono dai commi- litoni che presidiavano Tortona alie due riverse sunt: Gesta Federici I imperatoris in Lombardia, autore cive Mediolanensi (Annales Mediolanenses maiores), O. HOLDER EGGER (a cura di), Hannoverae 1892 (M.G.H., Scr. In U. Schol. 27), p. 19. 87 Il Costituto del comune cit., p. 66, dist. I, rubr. CLVI. 88 BARGIGIA, L’esercito senese nei più antichi libri di Biccherna cit., pp. 18-23; 89 F. BARGIGIA, G. DE A NGELIS, Scrivere in guerra. I notai negli eserciti dell’Italia comunale (secoli XII-XIV), in «Scrineum», V (2008), pp. 1-69. 90 Un esempio senese è la resa, dopo tre anni di assedio, del castello di Prata nel 1289. Il 25 set- tembre entrò nel castello, alla testa delle truppe senesi vittoriose, il notaio Ubaldino, per formalizzare la resa, ma di fatto trovò il castello quasi disabitato: ASS, Consiglio Generale 38, c. 30r. Anche Federico Barbarossa impiegò i notai italiani per questo scopo. Celebre è il caso di Acerbo Morena. Questi aveva seguito l’esercito imperiale fi no all’assedio e la conquista di Roma da parte delle truppe imperiali nel 1176, servendo nella cavalleria insieme ai suoi scudieri. Nell’Urbe conquistata ebbe l’ordine di ricevere e registrare i giuramenti di fedeltà fatti all’imperatore: OTTONIS MORENAE Historia cit., p. 206 sgg. 91 ASS, Biccherna 130, c. 48. 92 Il testo di Mazzini offre numerosi esempi per ognuno di questi casi: MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, cit., pp. 150-151. 93 Op. cit., p. 154. 28 Marco Merlo annunciata attraverso il suono della campana comunale (lo stesso che segnalava l’adunanza del Consiglio Generale) e i banditori ordinavano ai cittadini destinati all’exercitus, o oste di raccogliersi in piazza San Cristoforo, di fronte alla chie- sa omonima (nella quale si riuniva anche il Consiglio Generale). Qui il podestà ordinava che tutti i milites seguissero il suo personale vessillo e ogni combatten- te seguisse la bandiera del proprio reparto d’appartenenza, raccogliendosi in un punto prestabilito94. Anche durante la spedizione contro i ribelli maremmani del 1260 le operazioni militari furono precedute da questa cerimonia, come delibe- rato dal Consiglio Generale: super facto gonfalonum conuluit quod gonfalones debeant dari in platea Sancti Cristofori hoc modo: quod pulsetur ad Consilium Campane Comuni set Populi ut videatur quod fuit occasione Consilii et perce- piatur per bannitorem quod homines veniant ad dictam plateam quia dabuntur ibi gonfalones95. Dopo la consegna dei gonfaloni l’esercito si trovava riunito, ogni reparto sotto la propria bandiera, pronto per mettersi in marcia. L’importanza di questo rito non era solamente simbolica, ma anche di or- dine pratico. È con la consegna dei gonfaloni che si stabiliva l’ordine di marcia e, in tutte le operazioni belliche, il principale strumento con il quale segnalare gli ordini era proprio il gonfalone; come del resto assumevano grande importanza i gonfalonieri (o alfi eri o vessilliferi a seconda delle fonti), uffi ciali incaricati di tenere i vessilli e con questi impartire gli ordini. Erano talmente importanti che era antica prassi sancire la resa defi nitiva e incondizionata di un esercito con la consegna dei gonfaloni e dei vessilli96. Il comune prevedeva che moltissimi cittadini si sarebbero rifi utati di par- tire per la guerra, e quindi regolamentava le punizioni per i renitenti alla leva in

94 La consegna dei gonfaloni era un vero e proprio rituale che, in ogni città comunale, sanciva solennemente l’adunata dell’esercito. Non era solo un rito ma aveva la fi nalità pratica di inquadrare gli uomini all’interno dei reparti e impartire gli ordini di marcia. Da qui l’importanza pratica dei gonfalo- nieri, che in battaglia avevano il compito di fornire un punto di riferimento visibile alle truppe. Quanto questa carica fosse determinante per le operazioni militari lo testimonia Dante nella Commedia, quando riporta l’episodio di Bocca degli Abati, accusato di aver mozzato la mano di Jacopo de’ Pazzi che portava il gonfalone dell’esercito fi orentino a Montaperti, imputando quindi la sconfi tta all’impossibilità del gon- faloniere di comunicare gli ordini all’esercito a causa del tradimento di Bocca. La romantica leggenda, al di là della sua veridicità, dimostra quanto fossero considerati importanti gli ordini visivi impartiti sul campo dai gonfalonieri: DANTE, Divina commedia, XXXII, vv. 79-114. A Siena la consegna dei gonfaloni è documentata per tutto il Duecento, per una precisa trattazione su come si svolgeva materialmente: MAZZINI, L’esercito senese, p. 153-154. Sull’importanza dei gonfaloni negli eserciti comunali: BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale, pp. 140-145. 95 ASS, Consiglio Generale 9, c. 35 96 Quando Milano si arrese al Barbarossa, in segno di resa gli furono consegnati dagli alfi eri cit- tadini i vessilli dei vari reparti, solo quelli dei pedites ammontavano a novantaquattro: OTTONIS MORENAE Historia, p. 153; Gesta Federici cit., p. 53. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 29 cospicue multe, che divennero una delle entrate più remunerative per le casse cittadine. L’entità delle sanzioni, proprio a causa della prevedibile frequenza del reato, venivano discusse di volta in volta, quando il Consiglio dibatteva il raduno di un esercito o di una cavalcata e in genere i renitenti erano puniti con una multa pecuniaria per ogni giorno di assenza dall’esercito97. Le forze armate al servizio di Siena, come per tutti gli eserciti medievali, si reggevano fondamentalmente sulla cavalleria, la classe sociale che fi n dagli albo- ri della civiltà comunale risiedeva ai vertici istituzionali delle città e che deteneva il monopolio della guerra. Quando veniva mobilitato un intero Terzo cittadino era nominato un capi- tano della cavalleria per ogni Terzo, il dominus militum, come confermato nello statuto del 126298, che ricopriva un ruolo fondamentale nella politica cittadina an- che in tempo di pace come capo della fazione dei milites; mentre per i contingenti più piccoli erano eletti dei capitanei militum. Ad affi ancare i domini militum vi erano i vexilliferi militum, gli uffi ciali con il compito di tenere anche in battaglia le insegne della cavalleria e con esse impartire gli ordini agli uomini99. Come già accennato il ruolo di gonfaloni e insegne era di primaria importanza per comunicare gli ordini, in particolare ai cavalieri che durante la carica seguivano il vessillo e nei ripiegamenti, qando si radunavano dove vedevano sventolare le proprie insegne100.

97 Questa modalità implica il fatto che il renitente potesse decidere di aggregarsi all’oste anche in un secondo momento. Nei provvedimenti disposti dai quindici inventores nel 1208, sono elencate le multe previste per i renitenti alle cavalcate e alle guerre combattute dal comune: in questo documento è specifi cato che sarebbe stato compito dei banditori denunciare i renitenti: ASCHERI, CEPPARI RIDOLFI, La più antica legge cit., pp. 210-212. Le multe previste per i renitenti durante la spedizione contro la Maremma del 1260 ammontavano a 10 lire per i cavalieri e a 100 soldi per i fanti, per ogni giorno di assenza: ASS, Consiglio Generale 9, c. 36. Mentre lo statuto del 1262 stabiliva l’incandidabilità a qua- lunque magistratura cittadina per chiunque si fosse rifi utato di partecipare a un esercito o una cavalcata: Il Costituto del comune cit., dist. I, rub. CCCLXXXIIII, p. 145. Un celebre renitente fu il pittore Duccio di Buoninsegna, il quale nel 1280 e nel 1302 fu pesantemente multato per il rifi uto di andare in guerra: J.H. STUBBLEBINE, Duccio di Buoninsegna and His School, Princeton 1979, pp. 191-192. Sull’argomen- to si veda l’intervento M. MERLO, Renitenza alla leva a Siena tra il XIII e prima metà del XIV secolo, tenuto durante la giornata di studi Gouverner, négocier, punir. Pouvoir publics,recrutement militaire et insoumission à la fi n du Moyen Âge, Méditerranée-Région alpine XIIIe-XVIIe s., a cura di M. MAGNANI, F. OTCHAKOVSKY-LAURENS, P. BUFFO, MMSH, Aix-en Provence, 8 novembre 2013, di cui è prevista la pubblicazione degli atti. 98 Il Costituto del comune cit., dist. I, rubr. DXVI, p. 189. 99 Sulle carriere militari dei vessilliferi nei comuni italiani: BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia co- munale cit., pp. 138-140. 100 Sappiamo che il vessillo era seguito spesso in modo incondizionato dai cavalieri. Circa cento anni prima degli eventi che stiamo esaminando, il 25 maggio 1155, due consoli di Milano, Margalia e Ugone Pasciluco, di fronte alle truppe pavesi loro nemiche, discussero animatamente sul da farsi, Marga- lia, in un impeto d’irruenza, tagliò corto la discussione e, preso il proprio vessillo, caricò contro i pavesi; 30 Marco Merlo

I contingenti di cavalleria di ogni Terzo erano poi suddivisi in venticinqui- ne, la cui composizione era stabilita da uffi ciali pubblici coadiuvati da notai101, ognuna contraddistinta dal proprio vessillo. I milites, com’è ormai noto, erano una classe sociale eterogenea, il cui uni- co denominatore comune era l’attitudine al combattimento. Nelle città comunali era composta dall’aristocrazia urbana, dove per aristocrazia s’intende «quel ceto dirigente, presente in tutte le società umane, i cui membri godono di conside- razione e infl uenza grazie alle loro ricchezze e al prestigio politico»102 e quindi attraeva ad essa nobili sia di antica tradizione urbana, signori inurbati e la recente aristocrazia di matrice mercantile e artigianale103. Alla metà del XIII secolo a Siena era previsto che a prendere effettivamente parte alle operazioni militari, montando un cavallo da guerra, potessero non essere direttamente i proprietari dei cavalli stessi. Era previsto che essi potessero nominare degli scambii, o come altre fonti li chiamano equitatores o cavalcatores104, probabilmente stipendiati dai possessori dei cavalli e dalla città, come succedeva in molti altri comuni105, ma che a Siena sembra essere pratica largamente diffusa106. In molti casi i pos- sessori di cavalli non nominavano un cavalcator per esimersi dal servizio armato ma perché erano impegnati in altre operazioni107. Altri ancora, che possedevano gli altri cavalieri, vedendo alla carica il vessillo che dovevano seguire, montati a cavallo caricarono anch’essi dietro al console. Ne conseguì una furibonda battaglia che vide i milanesi avere la peggio: Gesta Federici cit., p. 20. Alla fi ne del Duecento una tradizione nata all’indomani della battaglia di Montaperti, imputava la sconfi tta fi orentina al tradimento di di Bocca degli Abati, che avrebbe mozzato la mano del gonfaloniere Jacopo de’ Pazzi, impossibilitandolo quindi a impartire gli ordini all’esercito. L’aneddoto, di cui ne fornisce una drammatica descrizione Dante (DANTE, Divina commedia, Inferno, XXXII, vv. 79-114), al di là della genuinità, dimostra l’importanza pratica del gonfaloniere, senza i cui ordini, l’esercito rischiava la paralisi. 101 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., p. 163. 102 R. BORDONE, Nascita e sviluppo delle autonomie cittadine, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, vol. 2, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, Torino 1997, p. 146. 103 Per una precisa e puntuale trattazione sulla cavalleria comunale italiana: J-C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra, confl itti e società nell’Italia comunale, Bologna 2004. 104 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, cit., pp. 150-151. 105 MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., p. 493. 106 F. CARDINI, L’argento e i sogni: cultura, immaginario, orizzonti mentali, in Banchieri e mer- canti a Siena, Roma 1987, p. 306. Già la fonte giuridica più antica senese esonerava dalle multe per renitenza, oltre che i non vedenti, tutti quei cavalieri che avevano prestato il loro cavallo a terzi per le spedizioni passate: ASCHERI, CEPPARI RIDOLFI, La più antica legge cit., p. 212. 107 Tuttavia siamo a conoscenza di un episodio che forse può risultare eccezionale. Nel 1255, pro- prio in concomitanza con il fatto di Torniella che analizzeremo più oltre, Siena dovette mandare 100 ca- valieri al servizio del comune di Firenze, ma il Consiglio Segreto decretò che chi non fosse voluto andare avrebbe potuto scegliere un sostituto: ASS, Consiglio Generale 5, c. 31. Nel Duecento modalità di sostitu- zioni di questo genere invece erano permesse e regolamentate dal comune di Pavia: L. BERTONI, La pratica delle sostituzioni negli eserciti cittadini: il caso di Pavia nella seconda metà del Duecento, in Cittadini in armi. Eserciti e guerre nell’Italia Comunale, a cura di P. Grillo, Soveria Mannelli 2011, pp. 51-69. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 31 più d’un cavallo da guerra, potevano nominare dei cavalcatores tra coloro che non lo possedevano ma che, verosimilmente, avevano un armamento idoneo al combattimento montato108. È molto complesso riuscire a fornire un profi lo sociale dei cavalcatores109: gli elenchi dei cavalcatores venivano esaminati dalle autorità cittadine, che si riservavano di decidere se approvare o respingere la scelta, pare sulla base del grado di onorabilità del candidato110. Altre volte il comune acquistava i cavalli dai proprietari, ma non è ancora chiaro in che modo venissero assegnati ai cavalcatores111. In ogni caso questi do- vevano prendere posto sotto le insegne del Terzo di appartenenza del proprietario del cavallo. Possiamo però essere certi che i cavalcatores non fossero mercenari, in quanto cittadini senesi e quindi obbligati a prestare servizio armato per il pro- prio comune. Siena, come tutti gli altri comuni italiani, faceva regolare ricorso ai mercenari per ingrossare la propria cavalleria112. È ben documentato e studiato il caso dei berrovieri radunati da tale dominus Zucca113. Costui si era impegnato a offrire a Siena 100 berrovieri: partito per la Lombardia ritornerà in città con 170 cavalieri mercenari, a cui si aggiunsero 23 che erano arrivati a Siena prima della sua partenza. Questi serviranno il comune nelle operazioni dell’estate del 1230. Tra il 1229 e il 1231 Siena arruolò milites mercenari da città come Milano e Cremona, dalla Lombardia, dall’Appennino Tosco-Emiliano e dalla valle di Spoleto114. Addirittura nel 1231 la quantità di cavalieri mercenari presenti in città superava di gran lunga il numero necessario al comune, tanto che molti furono licenziati e altri, che stavano per raggiungere la città, furono respinti115. Sappiamo che Zucca, anticipando i caratteri che saranno del condottiero trecentesco, comandò personalmente sul campo i cavalieri da lui ingaggiati116, probabilmente inserendosi nell’organigramma dell’esercito come unità autono-

108 Il Costituto del comune cit., p. 66, dist. I, rubr. CLVI. In alcune circostanze sappiamo che anche l’armamento era fornito dal proprietario del cavallo, com’è ordinato dal Consiglio Generale per l’invio di 100 cavalieri da mandare nel 1255 in rinforzo all’esercito fi orentino: ASS, Consiglio Generale 5, c. 31. 109 Mazzini segnala l’interessante caso del pescaiolo Guido di Jacopo, nominato cavalcator per Buoncompagno Giugnoli nell’esercito super Lucenses: MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Monta- perti, cit., p. 159. 110 ASS, Consiglio Generale 5, cc. 32r-32v. 111 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, cit., p. 159. 112 WALEY, Siena e i senesi cit., pp. 235-241. 113 SETTIA, Comuni in guerra cit., pp. 71-80; MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 132-137. 114 Biccherna III, pp. 138-139, 144-135; I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Libro quarto (anno 1231), Siena 1926, d’ora in avanti Biccherna IV, pp. 136, 159-160. 115 Biccherna IV, pp. 132, 184. 116 MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 132-133. 32 Marco Merlo ma, come apparirebbe da un pagamento del 1252: per la battaglia di Figline, tra i cavalieri tedeschi e altri cavalieri mercenari, venne remunerata la capitania del dominus Zucca, che evidentemente esisteva ancora, insieme a quella del dominus Becchi di Milano117. Tali compagnie quindi, identifi cate attraverso la fi gura del “procuratore”, costituivano vere e proprie unità militari a sé stanti. Nel 1230 Siena schierò alcuni balestrieri a cavallo118, ma anche per que- sti non sappiamo come agissero: se tiravano da cavallo o fungevano da fanteria montata. Altri combattenti a cavallo, impegnati sul fronte maremmano119, erano i sergentes eques. Si trattava di esperti nel combattimento montato ma non appar- tenenti alla classe dei milites120. In altre circostanze poteva stipendiare masnadieri di differente provenienza: nel 1230 i Pannocchieschi erano al servizio di Siena con poco più di una decina di cavalieri, tutta la loro masnada, evidentemente non apprezzata per la quantità ma per la qualità121; mentre nel 1256 le autorità senesi inviarono sei masnadieri per la custodia del cassero del castello di Prata, coman- dati dal castellano Ugone Donosdei122. In molte occasioni il comune riuscì a ottenere contingenti di cavalleria dai signori loro alleati o assoggettati, soprattutto provenienti dalla Maremma, guer- rieri per tradizione e vocazione, i quali, secondo patti sanciti da ambo le parti, do- vevano prestazione armata alla città della Balzana, fornendo anche contingenti di fanteria123. Già nel 1203, sulla base dei patti stipulati con i conti Aldobrandeschi, si apprende come il trattato fosse spiccatamente di natura militare: due clausole garantivano a Siena di incrementare la propria cavalleria in modo qualitativo. Infatti era stabilito che nessuno, signori o città, avrebbero acquistato signorie

117 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Tredicesimo libro, anno 1252, Siena 1936, d’ora in avanti Biccherna XIII, p. 81. 118 Biccherna III, pp. 60, 86, 252. 119 Ad esempio i cinque sergenti della guarnigione senese a Sticciano nel 1255 oppure i due ser- genti inviati nello stesso anno a guardia di Montorsaio: rispettivamente ASS, Consiglio Generale 4, cc. 70r, 74r-74v. 120 CONTAMINE, La guerra nel Medioevo cit., p. 107. 121 Biccherna III, p. 214. 122 Venture Rugieri de populo Sancti Donati; Rustichello Perini dicto populo; Ranerio Ildibran- dini, qui vocatur Mancinus, dicto populo; Maghinardo Dietavive de populo Sacti Martini; Ildibrandino Venture de populo Sancti Clementis; Bonamico Guidi de pollo Sancti Cristofori; Vivolo Brandi de populo Sncti Donati. Costoro ricevettero tutti 30 soldi di pagati per un servizio di sette giorni a marzo e ventitré ad aprile: I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Diciassettesimo libro, anno 1257, Siena 1942, d’ora in avanti Biccherna XVII, p. 91. 123 Come vedremo nel caso di Torniella, quando l’esercito senese sarà affi ancato dagli uomini dei Pannocchieschi. Sull’argomento in generale si veda: WALEY, Siena e i senesi cit., pp. 233-235. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 33 castrensi all’interno dei territori dell’altro. Ma Siena imponeva anche che tutti i milites, di entrambi gli eserciti, dovevano essere soggetti agli usi giuridici del comune e che i principi avrebbero dovuto periodicamente risiedere in città, so- prattutto durante le guerre contro Firenze124. È comunque da ritenere, come si vedrà meglio nel caso dell’assedio di Tornella, che questi contingenti operassero al fi anco dell’esercito senese, ma con comando autonomo. A questi cavalieri si aggiungevano quelli dei signori rurali del contado di- rettamente dipendente dal comune, i milites de comitatu, che erano anche loro in- quadrati nei Terzi del comitato. Da tutto ciò ne consegue che Siena poteva contare su una cavalleria numerosa, effi ciente e ricca di esperienza militare. Una delle maggiori spese che un cavaliere avrebbe potuto affrontare in guerra, era il riscatto per la propria prigionia, qualora fosse stato catturato125. All’indomani di Montaperti, fra i numerosi cavalieri catturati, vi fu anche il conte Ildebrandino di Pitigliano, per il quale i senesi chiesero la ragguardevole cifra di 10000 fi orini di riscatto126. Siena sembra essersi preoccupata anche di questo aspetto nella gestione del suo esercito: i registri della Biccherna conservano trac- cia di un fondo appositamente destinato al riscatto dei cavalieri catturati durante le operazioni militari del comune127, le cui spese maggiori risalgono alla guerra contro Firenze combattuta tra il 1229 e il 1235128, che in alcune circostanze copri- vano anche il prezzo dell’armamento del combattente catturato129. Il grosso dell’esercito era però costituito dalla fanteria, dai pedites. Questa era composta dal ceto dei populares, di quanti non riuscissero a raggiungere le sostanze economiche per l’acquisto di un cavallo da guerra e l’armamento ido- neo. Anche questi erano reclutati all’interno dei Terzi, comandati da un vexilli- fer populi o, in altre fonti, vexillifer peditum per ogni Terzo. Le unità erano poi ripartite in cinquantine, ognuna con il proprio vessillo. Queste dovevano essere composte dagli abitanti dei rioni o contrade, che erano le ulteriori suddivisioni amministrative dei Terzi130. Dalla metà del Duecento le fanterie si specializzarono

124 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 132. 125 Questa era una delle attività militari che più garantivano ricchi e facili guadagni, tanto che Maire-Vigueur l’ha defi nita una delle “mammelle” della guerra medievale: MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 79-93. 126 PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese, in Rerum Italicarum Scriptores cit., p. 90. 127 MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 90-91. 128 Biccherna IV, pp. 25-26. 129 In alcune circostanze veniva riscattato anche l’armamento del combattente catturato, come nell’interessante caso del calzolaio Bencivenne di Brunetto, catturato nel 1229 presso Castagnolim: I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Libri primo e secondo (anni 1226-1229), Siena 1914, d’ora in avanti Biccherna I-II, p. 190. 130 Si badi bene che il termine contrada a quest’epoca è di signifi cato molto differente rispetto alle contrade attuali, che nel XIII secolo erano più numerose. 34 Marco Merlo nel maneggio di differenti armi, creando corpi autonomi, e a Siena, come si ve- drà, i balestrieri erano gli specialisti più richiesti. Tuttavia non vi era distinzione di paga tra i pedites specializzati e tutti gli altri131. Alla fanteria dei Terzi si aggiungevano le societates, societates armorum o societates peditum132, organizzazioni su base rionale formate da «quella parte della cittadinanza, organizzata in sue peculiari forme territoriali e (meno spesso) corporative, che partecipa alla vita politica coalizzando interessi e gruppi fami- liari soprattutto mercantili e artigiani, di formazione relativamente recente e per lo più estranei alla gestione del potere nell’età dei consoli e del podestà di estra- zione locale»133, che si riunivano in società proprio intorno alla propria capacità di combattimento, in forme spiccatamente militari per assolvere a «esigenze di ordine, pacifi cazione e autodifesa» che «resero dunque permanente l’organizza- zione rionale dei pedites e la immisero nel vivo del gioco politico cittadino»134. A Siena anche queste prendevano parte all’exercitus, seguendo i propri gonfaloni, ma non è ancora chiaro secondo quali modalità135. A completare le schiere dei pedites vi erano le milizie rurali richiamate nel contado senese diviso in Terzi. Infi ne Siena arruolava mercenari anche per infoltire le fi la della fanteria. Nel 1230, l’anno di maggiore sforzo bellico che fi no a quel momento il comune aveva sostenuto136, sono registrati numerosi pagamenti per più di mille uomini, tutti fanti arruolati nelle diocesi di Volterra, Massa e Cortona per presidiare i ca- stelli del contado137 e a numerosi balestrieri provenienti da diverse città del nord Italia, soprattutto Cremona138; mentre nel 1231 furono al soldo del comune no- vanta balestrieri provenienti da differenti città, in particolar modo da Marsiglia139. Nello stesso anno furono stipendiati anche i prezzolati balestrieri genovesi, molti in servizio per una sola stagione, generalmente da aprile alla fi ne dell’estate o dell’autunno140.

131 WALEY, Siena e i senesi cit., p. 232 e tabella 8. 132 Per un inquadramento delle societates: G. FASOLI, Le compagnie delle armi, Bologna 1934. 133 E. ARTIFONI, Tensioni sociali e istituzioni nel mondo comunale, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, vol. II, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, Torino 1997, p. 472. 134 Op. cit., p. 474. 135 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., pp. 176-177. Sull’argomento si veda il recente volume: G. MAZZINI, Innalzare gli stendardi vittoriosi! Dalle compagnie militari alle contrade (Siena, secoli XIII-XVI), Siena 2013. 136 MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., p. 130. 137 Biccherna III, pp. 120, 145, 162, 177, 179, 181, 192-193, 195, 247, 249, 290, 296. 138 Op. cit., pp. 123, 247, 322, 139 Biccherna IV, pp. 10, 108-109, 130. 140 Op. cit., p. 148. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 35

1.4. Gli armamenti individuali a Siena e in Maremma intorno alla metà del XIII secolo Intorno alla metà del Duecento gli armamenti prodotti in Toscana stavano introducendo grosse novità destinate a infl uenzare l’armamento europeo dei de- cenni successivi. Sebbene nel Memorialis offensarum è raccontato che le armi dell’esercito senese all’assedio di Grosseto del 1224 facevano «risplendere tutta la zona e ricordava il paradiso»141, la descrizione è da ritenersi un artifi cio retorico che, ce- lebrando la potenza militare senese, glorifi cava il podestà, il parmense Bernardo di Orlando Rossi, vero scopo del componimento142. A Siena infatti l’impianto di una fi liera produttiva di settore fu fortemente penalizzata dalle condizioni idrogeologiche dell’area su cui si erge la città, e gli armaioli che compaiono nelle fonti sembrano essere assemblatori o piccoli com- mercianti delle armi prodotte altrove143, forse sul mercato fi orentino, dove negli stessi anni è invece documentato un notevole indotto armiero144. Nel 1255, all’e- poca dei fatti di Torniella, in Siena erano attivi gli spadai Giovanni e Dietifeci145, ma nei pagamenti sono citati per servizi non riguardanti gli armamenti, ed è quin- di probabile che non fossero forgiatori ma montatori delle lame, prodotte altrove, con i fornimenti o più seplicemente commercianti di spade. Negli anni preceden- ti, per l’approvvigionamento di armi, vennero infatti costituite delle commissioni, composte da cittadini scelti in tutti i Terzi e dalle professioni più disparate, inca- ricate di reperire le armi che necessitavano al comune146. Anche nelle situazioni

141 Riportiamo l’intero passo, trascritto e tradotto in: REDON, Lo spazio di una città cit., p. 63. Exer- citum, quem in armorum siquidem apparatu nemo vidit alicubi pulcheriorem. Cuius utique bellatorum agmina per distinctas acies seriatim composita, universorum mirabatur aspectus, dum in clippeis et tora- cibus et temptoribus apparebat, regionem totam splendescere faciebat et sic videbatur altam paradisus. 142 Infatti le immagini retoriche usate nella descrizione dell’esercito senese sono in tutto simili alle parole che alla fi ne del secolo, introno al 1288, Bovesin della Riva usa per la descrizione dell’esercito milanese, non solo con l’intento di glorifi care la potenza militare milanese, ma soprattutto le centinaia di botteghe armiere della città. Per un confronto riportiamo il passo. Non enim equitum solummodo, sed etiam peditum videres in bello decentes catervas in acie coruscantibus armis, loricis, thoracibus, lame- riis, galeis, galeriis, ferreis cerebralibus, collariis, ciritecis, tibialibus, femoralibus et genualibus, ferreis lanceis, pillis, ensibus, pugionibus, clavis, clippeis recentissime coruscantes. Videres equitum acies a pedum plantis usque ad vertices armorum fulgore nitentes et sonipedum tumultus faleris opertorum: BOVESIN DE LA RIVA, Le meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Milano 2009, p. 124. 143 Il più antico che si ricordi è lo spadaio Adamino, attivo nel 1230: Biccherna III, p. 247. Men- tre bisogna attendere il 1245 per avere la testimonianza di un usbergaio, tale Salimbeni: ASS, Caleffo Vecchio, c. 243v. 144 L.G. BOCCIA, L’armamento difensivo in Toscana dal Millecento al Trecento, in La civiltà delle arti minori in Toscana, atti del I convegno (Arezzo 11-15 maggio 1971), Firenze 1973, p. 196. 145 Biccherna XVI, p. 106. 146 Si veda ad esempio le commissioni riunite per reperire le armi necessarie alla città alla fi ne degli anni Trenta (I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei 36 Marco Merlo d’emergenza le forniture di armi erano acquistate presso fornitori privati, pagate dagli uffi ciali del comune che ne stabilivano l’entità: nel 1251 Gicomo Afforzi, Ranieri Cittadino e Cristoforo Mancini, incaricati di comandare un presidio mili- tare nel castello di Montiano, ordinarono e remunerarono i maestri che fornirono gli armamente necessari alla guarnigione147. Mentre nel 1258 Cristoforo Mancini acquistò per il comune una grossa fornitura di balestre per l’esercito cittadino148. Sono invece documentati i pagamenti agli artigiani che fabbricavano i quadrelli per le balestre, da cui si può dedurre la fi liera produttiva. Un esempio signifi cativo è fornito dai registri del 1229 e del 1230. Nel 1229 Avolterone è remunerato per aver ferrato e impennato i quadrelli per conto del comune149. In- vece nel 1230, l’anno più delicato della guerra contro Firenze, fu pagato il fabbro Albertino per aver forgiato seicento ferri di quadrelli per balestre a duos pedes; è remunerato il barbiere Giacomo per averne impennati diverse centinaia; mentre Adote Guidi fornì cinquecento quadrelli già ferrati150. Evidentemente i quadrelli potevano essere acquistati privi di punte e penne, che venivano montate in un secondo momento dagli artigiani della città. A causa della mancanza di una vera produzione armiera le autorità sensi do- vettero impegnarsi enormemente per la conservazione degli armamenti cittadini e la Camera del comune fu l’istituzione preposta a tale scopo. Le più antiche tracce documentarie si trovano nei registri della Biccherna degli anni Quaranta e Cinquanta del Duecento (ad esempio, come si vedrà nel dettaglio, è in più occasioni menzionata nella documentazione su Torniella). Dal- le citazioni nella fonte contabile e nelle delibere dei Consigli senesi appare come in quegli anni la Camera fosse economicamente subordinata agli uffi ciali della Biccherna, ma una sua precisa regolamentazione scritta è tramandata solo dallo statuto del 1262. Qui fu stabilito che le balestre dovessero essere affi date al cancelliere del comune, a cui toccava farne l’elenco descrivendone lo stato di conservazione; doveva poi giurare di custodirle e curarne la manutenzione. È specifi cato che il quattro provveditori della Biccherna. Libro Quinto e Sesto, anno 1236-1246, Siena 1929, d’ora in avanti Biccherna V-VI, pp. 103-104) e la commissione del 1246 (I libri dell’entrata e dell’uscita della repubbli- ca di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Libro Settimo, anno 1246-47, Siena 1931, d’ora in avanti Biccherna VII, p. 57). 147 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Dodicesimo libro, anno 1251, Siena 1935, d’ora in avanti Biccherna XII, p. 81, 95. 148 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Ventesimo libro (1258 secondo semestre), a cura di S. De’ Colli, Roma 1961, d’ora in avanti Biccherna XX, pp. 20, 38, 62, 80, 108. 149 Biccherna I-II, p. 218. 150 Biccherna III, p. 86. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 37 cancelliere dovesse occuparsi di tutte le balestre, ovunque queste si trovassero, che non venissero affi date a terzi, salvo che su espressa volontà del Consiglio della Campana, e dovesse essere suo compito procurarsi il denaro per la manu- tenzione151. Al camerario spettava anche la custodia dei padiglioni e delle tende per gli accampamenti, e doveva controllarne lo stato di conservazione, insieme alle balestre, almeno una volta ogni tre mesi152. Successivamente nove rubriche descrivevano con precisione i compiti che spettavano alla Camera del comune e il suo funzionamento istituzionale. La rubrica CCCXXIIII153 stabiliva che il Consiglio della Campana avrebbe dovuto eleggere tre boni et legales viros, scelti uno per ogni Terzo, che debeant et teneantur et iurent custodire et salvare et guardare omnia furnimenta et bali- stas et canapes camere comunis, et omnia et singola, que sunt vel erunt in ipsa camera pro comuni. Costoro, remunerati solo nei periodi di guerra, erano tenuti a redigere un elenco scritto di tutte le balestre del comune, dei canapi, dei torni, dei quadrelli, di tutti i fornimenta e qualunque altra cosa fosse di proprietà del comune. Questo inventario sarebbe stato redatto in duplice copia: una sarebbe dovuta rimanere ai tre uomini eletti per essere consultata da chiunque lavorasse nella Camera; l’altra doveva arrivare al camerario e ai quattro provveditori della Biccherna. Anche le chiavi della Camera sarebbero dovute essere solo due: una per i tre responsabili e una per i priori, e solamente costoro erano autorizzati ad entrarvi. Veniva inoltre stabilito che a coadiuvare i tre responsabili della Camera in ogni loro attività vi fosse un notaio. Era esplicitamente proibito che nessun oggetto sarebbe stato fatto uscire o rientrare nella Camera senza il parere del camerario e di almeno uno dei provveditori della Biccherna; in caso di infrazione delle disposizioni i tre responsabili sarebbero stati puniti con una multa di cento lire ed esclusi a vita dalle carche pubbliche. La rubrica successiva stabilisce che le armi e le balestre sarebbero dovute essere custodite in una domo ad opus comunis Senensis154, e che il cancelliere e il cameraio del comune avrebbero dovuto giurare di fare tutto ciò che era in loro potere per conservarle al meglio. Ma la stessa rubrica chiariva quali altri compi- ti spettassero ai tre responsabili della Camera. Costoro avrebbero dovuto anche cercare le armi che il comune aveva concesso in uso per alcune azioni militari avvenute in anni precedenti e che non erano state restituite (si parla di fatti av-

151 Il Costituto del comune cit., dist. I, rub. CCCXVI, pp. 120-121. 152 Breve degli offi ciali del comune di Siena, a cura di L. Banchi, in «Archivio Storico Italiano», s. 3, III/2, 1866, p. 24. 153 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXIIII, pp. 123-124. 154 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXV, pp. 124-125. 38 Marco Merlo venuti al tempo dei podestà Guglielmo Amato e Trasmondo Petri di Anibaldo). Una volta individuate sarebbero dovute tutte essere ricollocate nella Camera, in bona fi de e sine fraude, ad esclusione di quelle di proprietà privata di alcuni cittadini, che erano stati obbligati a mettere a disposizione del comune le proprie. Quindi veniva stabilito che nessuna balestra del comune o di proprietà di privati cittadini, che i consigli comunali destinavano all’esercito cittadino, fosse riparata o concessa senza l’autorizzazione dei custodi. A questo scopo le due chiavi della Camera venivano consegnate solo al camerario e al cancelliere del comune. Infi - ne era ordinato che il camerario e i quattro della Biccherna destinassero un fondo di cinquanta lire per la riparazione delle balestre rotte. Nel 1262 veniva anche istituita una inquisitio, per la quale vennero appo- sitamente nominati dei commissari, per recuperare balistis et aliis arnesibus e i soldi che alcuni senesi impiegarono a Montemassi, durante le spedizioni militari al tempo del podestà Francesco Trochisio, e a Montepulciano al tempo del pode- stà Giordano. La commissione avrebbe dovuto riportare le balestre e le armature alla Camera, mentre i soldi recuperati sarebbero stati incamerati dal tesoro del comune155. Per il regolare e trasparente svolgimento dei lavori veniva stabilito che fos- se tenuto unum librum cum tabulis156, in cui registrare ogni movimento delle ba- lestre, dei canapi e delle altre masserizie conservate nella Camera. Il comune si premurava anche di impedire che tutte le armi conservate nella Camera non fossero vendute, pignorate, donate o prestate. Solo il Consiglio della Campana poteva ordinarne l’assegnazione e solo in tempo di guerra. Veniva inol- tre ordinata la costruzione di un palco nella casa dove erano conservate le armi, per meglio custodirle157. Nella Camera dovevano essere custodite anche le bonas et utiles balestre grosse, sia a tornio sia a verrocchio. Gli operai non solo dovevano custodirle, ma riparare qualunque danno in modo che fossero sempre effi cienti158. Le balestre venivano distribuite in tempo di guerra ai balestrieri che ne avevano necessità, secondo le istruzioni del Consiglio della Campana (come si vedrà meglio con l’e- sempio di Torniella) e, per controllare che non venisse fatto uso improprio delle balestre del comune e recuperare quelle perdute, vennero appositamente istituiti due commissari159. Tuttavia durante lo operazioni, nei teatri di guerra, per la manutenzione

155 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXVI, p. 125. 156 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXVII, p. 125. 157 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXVIII, p. 126. 158 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXX, p. 126. 159 Op. cit., dist. I, rub. CCCXXXI, pp. 126-127 Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 39 e la riparazione dei pezzi danneggiati o usurati venivano aggregati ai reparti di balestrieri degli artigiani160. Per le altre armi sappiamo che in molte circostanze venivano trasportate sui luoghi delle operazioni da vetturali del comune: nel 1230 furono pagati due vetturali per portare unius salme armorum a Montichiellum161. Alla metà del Duecento sui campi di battaglia comparivano armamenti più vecchi rispetto a quelli di uso corrente che, si badi bene, risultavano ancora fun- zionali come quelli nuovi. Possiamo fornire con sicurezza questo dato poiché era prassi signorile lasciare in eredità il proprio armamento162, da cui risulta che i fi gli dei signori scendevano sui campi di battaglia con le armi dei padri, se non dei nonni. Alcune volte queste erano rifuse per poter essere forgiate in nuovi modelli; altre ancora, come nel caso delle spade, si poteva tenere la parte ancora funzio- nale e sostituire le altre, ma più spesso era conveniente tenere l’arma così come ereditata, in modo da essere ancora portata da due o tre (se non più) generazioni. D’altra parte per gli armamenti nel Duecento, ma più in generale nel Medioevo, «il riuso, la modifi cazione, l’aggiornamento e la riparazione erano dunque non eccezione ma regola di mercato, mai saturo per l’incessante richiesta»163. Non solo gli armamenti più vecchi passavano di generazione in generazione attraverso le volontà testamentarie, ma spesso vi era un commercio «appannaggio di mer- ciai ma pur non disdegnato dagli armaioli stessi»164. Un altro modo di approvvi- gionamento era quello di depredare i prigionieri delle loro armi165, antica prassi militare medievale, che si riscontra in Maremma ancora nei decenni a cavallo tra XIII e XIV secolo: nel 1291 vennero condannati dalle autorità di Siena Niccolò e Gaddo di Gherardo da Prata e Ghino di Belforte per aver assalito nel 1289, con vessilli spiegati, cavalieri stipendiati da Massa, mettendoli in fuga non prima di averli derubati di armi e vestiti166. Ancora nel 1308, Nello Pannocchieschi ave-

160 Questi artigiani sono presenti nell’esercito inviato in Maremma nel 1260 : ASS, Consiglio Generale 9, cc. 22r-22v. Altre volte poteva essere un balestriere ad effettuare le riparazioni, e per questo veniva stipendiato dal comune, come il balestriere Tarlato che nella spedizione contro Grosseto ricevette 6 lire in pagamento per questo servizio: ASS. Biccherna 31, c. 48r. 161 Biccherna III, p. 175. 162 A titolo di esempio si veda il testamento del conte Guido Guerra che, nel 1239, lascia in eredità quattordici elmi con visiera dipinta: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Carte Borghini, CI, p. 141. 163 M. SCALINI, Le armi della Battaglia, in La Battaglia di Campaldino e la Toscana del ‘200, con- vegno di studi storici (Firenze, Poppi, Arezzo 27-29 settembre 1989), Tavernelle Val di Pesa 1994, p. 70. 164 L. cit. 165 Anche i tornei a quest’epoca sono ancora, come nel secolo precedente, delle battaglie molto poco simulate, occasione per i cavalieri non solo di distinguersi, ma di arricchirsi catturando le armi dei milites fatti prigionieri (per i quali veniva richiesto un riscatto). La bibliografi a è vasta e autorevole, per un’effi cace sintesi: D. BALESTRACCI, La festa in armi. Giostre, torenei e giochi del Medioevo, Roma Bari 2001, pp. 17-21. 166 ASS, Diplomatico, Riformagioni (Massa), all’anno. 40 Marco Merlo va assalito un contingente massetano a guardia della strada di Pietra, e aveva spogliato i prigionieri di ogni loro arma, rimandandoli indietro nudi167. Al di là dell’evidente scopo di dileggio, questo era ancora uno dei metodi più pratici per procurarsi gli armamenti. Le principali novità in campo armiero, introdotte in questi anni, riguardava- no soprattutto l’armamento difensivo dei milites, una delle spese più elevate che doveva sostenere un cavaliere per il proprio equipaggiamento militare168. A Siena, diversamente da altre città comunali, le norme statutarie non pre- scrivevano ai milites un armamento minimo sulla base del censo169. Lo statuto del 1262 però stabiliva una donazione di cento soldi da parte del comune per la cerimonia di addobbamento di un nuovo cavaliere, cerimonia documentata a Siena almeno dal 1227170, dove era estesa anche ai cavalieri forestieri, a patto che questi avessero ricevuto honerm militie a Siena o in servizio presso il comune di Siena171. Il denaro donato per la cerimonia, che si svolgeva in Campo Fori172, ser- viva, come meglio chiarito nelle norme statuarie successive, per l’acquisto della spada e degli speroni173, oggetti, non solo indispensabili nella cerimonia, ma di uso quotidiano per un cavaliere. Il corpo del cavaliere, come nei secoli precedenti, continuava a essere protetto dall’usbergo a maglie di ferro, ma dai confronti iconografi ci sembra che dai primi decenni del XIII secolo questo si accorci alla coscia, e non più lungo fi no al polpaccio. A proteggere le gambe vi erano dei calzoni, sempre a maglie di ferro, che a volte proteggevano solo la parte frontale dell’arto (coscia, ginocchio, stinco e piede), lasciando scoperta la parte posteriore174. Un’impor- tante innovazione, documentata iconografi camente proprio in Toscana alla fi ne del secolo175, furono gli schinieri in cuoio bollito o cotto nella cera. Ma a Siena

167 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 308. 168 MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini cit., pp. 100-101. 169 Ad esempio negli statuti di Bologna, alla metà del XIII secolo, è previsto che chi era stimato per più di 200 lire dovesse possedere un hosbergum, mentre chi era stimato in somme che oscillavano tra le 100 e le 200 lire dovesse almeno procurarsi una pancera: Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di L. Frati, I, Padova 1937, p. 319; II, p. 83. 170 A. GIORGI, Il confl itto magnati/popolani nella campagne: il caso senese, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, atti del Quindicesimo Convegno di Studio (Pistoia 15-18 maggio 1995), Pistoia 1997, p. 146 e nota 20. 171 Il Costituto del comune cit., dist. I, rub. XX, p. 31. 172 Op. cit., dist. III, rubr. LV, p. 291. 173 WALEY, Siena e i senesi cit., p. 114. 174 Un esemplare si vede nitidamente nel taccuino di Villar d’Honnencourt: Parigi, Bibliothéque Nazionale de France, ms. Fr. 19093, c. 23v. 175 Si tratta degli affreschi nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di San Gimignano, realiz- zati nella seconda metà degli anni Ottanta del XIII secolo. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 41 unum par gamberarum corii sono già compresi nel 1202 tra i beni lasciati dal medico Nicola ai fi gli176. La testa era protetta dal cappuccio di maglia, anch’esso collegato all’usber- go, sotto il quale il guerriero portava una cuffi a di stoffa a volte imbottita (prote- zione ulteriore dai colpi di botta), che serviva principalmente a non far impigliare i capelli tra gli anelli. Ma la vera innovazione dell’armamento difensivo risiede negli elmi. I ca- valieri potevano scendere sul campo di battaglia solo con il cappuccio di maglia, ma dai primi decenni del Duecento si diffonde in tutta Europa l’elmo cilindrico, detto a staro177, che chiude completamente la testa del guerriero lasciando piccoli fori per gli occhi e per l’aerazione. A Sansepolcro, sul fregio di casa Gennaioli, databile 1240 circa, l’elmo chiuso del guerriero appiedato è conico con una vi- siera a griglia, che permette maggiore visuale e traspirazione. Senz’altro l’elmo cilindrico fu più adatto ai climi freddi del nord Europa, e infatti in Toscana si osservano anche per i cavalieri bacinetti tondeggianti con tesa a spiovente, come si vede sempre nel fregio di Sansepolcro a protezione del capo dei due milites a cavallo. L’uso di copricapi aperti sul viso non era solo utile alla ventilazione178, ma serviva anche al combattimento smontato, che rendevano il miles guerriero versatile sia nel combattimento montato sia in quello appiedato. Tuttavia, nono- stante gli elementi di novità che in questi anni si riscontrano negli armamenti toscani, l’elmo conico con nasale, tipico del XII secolo, ricavato da una o più piastre metalliche, continuava ancora ad essere largamente usato ovunque. Lo scudo era sempre il principale elemento difensivo portatile del cavalie- re. Questo si evolse dalle forme allungate a mandorla dei secoli precedenti (che è ancora impiegato in guerra)179 a forme triangolari che nel corso del secolo diven- nero di dimensioni più ridotte, molto più adatte al combattimento appiedato180.

176 Le altre armi lasciate in eredità comprendevano un elmo di cuoio, un cappello di cuoio, uno scudo e una spada: ZDEKAUER, La vita privata dei senesi cit., p. 92. 177 Così defi nito per la somiglianza con il recipiente con il quale si misuravano le granaglie, la cui unità di misura era appunto lo staio. 178 Probabilmente i trombettieri, per poter suonare lo strumento anche durante le concitate fasi di una battaglia, dovevano prediligere una tipologia di elmo senza visiera. 179 Nel sottarco del portale della Pieve di Santa Maria di Arezzo, eretta nel 1216, per il mese di maggio è rappresentato un cavaliere che porta uno scudo di questo modello. 180 Si passa, quasi contemporaneamente dagli ampi scudi triangolari dei tre cavalieri del basso- rilievo di casa Gennaioli a quelli più piccoli che sono rappresentati in una cassettina di legno dipinto, prodotta a Lucca nel XIII secolo (Berlino, Kunstgewerbemuseum, inv. 60,6). Questa evoluzione dello scudo ci induce a credere che le dimensioni dell’arcione anteriore della sella sia per contro aumentato, in modo da offrire al combattente a cavallo una protezione al basso ventre. In questo modo l’introduzione di elementi protettivi di cuoio per gli arti assume maggiore signifi cato. Ma dall’analisi della documentazio- ne iconografi ca è diffi cile stabilire se questo cambiamento sia stato sistematico. 42 Marco Merlo

Anche il cavallo era corazzato, come testimonia la matrice del sigillo di Ca- valcante de’ Cavalcanti, databile tra il 1250 e il 1260181, padre del celebre Guido, nel quale il nobile fi orentino monta, armato di tutto punto, un destriero bardato con una gualdrappa ad anelli di maglia. Le spade, arma simbolo del miles, avevano ancora, come nel secolo pre- cedente, le punte smussate, tanto che negli esemplari superstiti le lame sono datate anche a diversi secoli prima182. Ma se la lama poteva essere antica, i fornimenti venivano rinnovati, e in Toscana ve ne erano grandi varietà dalle linee altamente decorative. Alcuni di essi si possono osservare nei fermi per anelli a forma di spada del palazzo dei monaci di San Galgano a Siena, in cui le fogge di quattro dei sei elsi, datati tra il Duecento e il Quattrocento secondo la classifi cazione di Terenzi183, seguono criteri squisitamente estetici. In Toscana meridionale l’arma bianca corta era la daga sul modello comunemente noto come basilarda, riscontrabile in mano a una fi gura femminile, scolpita su un elemento scultoreo di riuso del campanile della cattedrale di Grosseto, databile alla metà del XIII secolo184. La vera arma del cavaliere però era la lancia, strumento che permetteva di mettere in pratica la terribile carica lancia in resta. In legno duro come frassino, melo o quercia, in punta possedeva una cuspide di ferro: dal XIII supera i 350 cm e pesa poco meno di 10 kg185. I vessilli, per i quali abbiamo già citato la loro importanza, erano legati alla parte superiore delle aste delle lance dei cavalieri, come confermato da un pagamento del settembre 1227 al gastaldo Ildebrandino, che acquistò per 10 soldi sei lance per i tre gonfaloni dei milites e i tre dei pedi- tes186; mentre nel 1230 è registrato il pagamento di 24 soldi a Onorio barlettarius per duodecim lanceis ferrartis in quibus sunt vexilla militum187. Ma i gonfaloni dei Terzi dovevano essere di dimensioni maggiori: da un altro pagamento ap- prendiamo che i gonfaloni dei Terzi di Città e di San Martino erano di zendalo rosso e bianco188, da cui Mazzini deduce che quello di Città fosse rosso con la croce bianca, mentre quello di San Martino rosso con l’immagine del santo189. È

181 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 771. 182 È il caso, non unico, di una spada la cui lama è databile al XI secolo, probabilmente di origine scandinava, ma il fornimento è sicuramente stato forgiato a Firenze nel Duecento: A bon droyt, spade di uomini liberi, cavalieri e santi, a cura di M. Scalini, Cinisello Balsamo 2007, pp. 124-125. 183 P. PINTI, Armi e arte, Ascoli Piceno 1997, p. 215. 184 Guida alla Maremma cit., p. 144. 185 J. FLORI, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, Torino 1999, pp. 103-104. 186 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 125. 187 BARGIGIA, L’esercito senese cit., p. 48. 188 ASS, Biccherna 40, c. 64. 189 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., p. 168. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 43 quasi certo invece che le insegne delle venticinquine riportassero i colori della Balzana190. Gli armamenti della fanteria erano più semplici. La testa poteva essere pro- tetta da un elmo come una cervelliere191, oppure solo da un cappuccio di maglia o di semplice stoffa imbottita. Il corpo era protetto da una maglia di ferro che si differenziava da quella dei milites, generalmente corta ai fi anchi, priva di guanti e, a volte, di cappuccio. Le corazze e le pancere sembrano essere impiegate più spesso dai pedites che dai cavalieri. Erano diffuse presso i fanti meglio armati le corazze a scaglie192: a Siena si riscontra nel 1259 il pagamento per 300 corazze di cuoio assieme a 300 cappelli, anch’essi di cuoio193, che sembrano destinate ai pavesari, e in anni successivi si trovano abbondantemente documentati negli inventari dei casseri controllati dal comune di Siena194. Invece le fanterie, nel corso del Duecento, svilupparono differenti tipologie di armi in asta, tra cui spiccano in Italia centrale i falcioni, le ronche195 e, peculiari delle aree appenniniche, i pennati196. La loro larga diffusione presso i pedites se- nesi è testimoniata dalla proibizione del 1230, convenuta nello statuto del 1262, sul porto di cultellos, roncones de malitia, pennatos et mannarenses, transfi eros all’interno delle mura urbiche197. Un’altra arma in asta usata dai fanti erano gli un- cini inastati utili per contrastare i cavalieri, tirandoli giù dai cavalli, arpionare i ne- mici e sgarrettare i cavalli, diffusi in Maremma e che Guglielmo Aldobrandeschi fece forgiare dai fabbri di Viterbo, insieme ad altre armi di fortuna come falci ina- state e scuri con manici lunghi, in attesa dell’attacco imperiale del 1243198; si tratta

190 P. B ROGINI, G. MAZZINI, Templari, crociate e politica a Siena nella prima metà del Duecento. Primi appunti per una ricerca, in «Sacra Militia. Rivista di storia degli Ordini Militari», III, 2002, pp. 222-224. 191 Come la cervelliera rinvenuta durante gli scavi del cassero di Grosseto che, anche se datata ai primi anni del XIV secolo, non si discosta quasi per nulla dagli esemplari del secolo precedente: L.G. BOCCIA, Nota sulla cervelliera della fortezza Vecchia di Grosseto, in Archeologia e storia di un monumento mediceo. Gli scavi nel “cassero” senese d Grosseto, a cura di R. Francovich, Bari 2002, pp. 180-181. 192 In Toscana quest’armamento difensivo dei fanti si può osservare indossato da due guerrieri nelle Storie dei Santi Pietro e Paolo nella chiesa di San Pietro a Grado di Pisa, opera datata agli anni Novanta del XIII secolo. 193 I libri dell’entrata e dell’uscita del comune di Siena detti della Biccherna. Registro 30 (1259, secondo semestre), a cura di G. Catoni, Roma 1970, pp. 73-75. 194 BOCCIA, L’armamento difensivo in Toscana dal Millecento al Trecento cit., p. 199. 195 M. TROSO, Le armi in asta delle fanterie europee (1000-1500), Novara 1988. 196 G. DONDI Del roncone, del pennato e del cosiddetto scorpione. Loro origini, in «Armi antiche», 1976, pp. 11-48; G. DONDI, Armi in asta del Museo Storico Nazionale di Artiglieria di Torino, Collegno 2005, pp. 37-63. 197 Il Costituto cit., p. LXI. 198 Uncinos in lanceis, falces, arietes et et alia ingenia oportuna dolabra quoque inserta proceris astilibus et secures longis innexas manubris ad pugnandum: WINKELMANN, Acta imperii cit., doc. 693, p. 44 Marco Merlo degli stessi uncini in asta presenti anche nell’inventario del cassero di Chianciano controllato dai senesi nel 1235199. I pedites usavano anche armi apparentemente improprie, come le pietre e i bastoni, ma nel cui maneggio erano particolarmente esperti contadini e pastori200. La vera novità introdotta presso i pedites risiede nel fatto che gli eserciti comunali, a partire grossomodo dalla metà del Duecento, sperimentarono l’uso combinato delle specializzazioni della fanteria, in particolare furono sfruttati gli esperti nel tiro con la balestra, nell’uso del pavese e nel combattimento con la lancia lunga, quella che Settia ha effi cacemente defi nito «tripartizione funzio- nale» delle fanterie comunali201. I pedites iniziarono a essere inquadrati in unità a sé stanti a seconda della specialità e dalla metà del secolo iniziò a essere spe- rimentata la combinazione tra i tre corpi. Mentre i documenti toscani non fanno menzione di lance lunghe fi no al 1289, quando i fanti di Grosseto le impiegarono in combinazione con i pavesari, contro i pisani in Maremma, non lontano da Castiglione della Pescaia202, i pavesi e le balestre sembrano essere il principale armamento delle fanterie. Le più antiche attestazione del pavese si hanno a San Gimignano, nel 1231203 e nel 1250204. Questi servivano a creare delle barricate mobili, dietro alle quali le linee d’assalto e di difesa trovavano riparo. Quindi usati spesso come trinceramento per la prima linea, come tramandano gli aneddoti sulla battaglia di Campaldino205, questa non era necessariamente una formazione statica, come la

550. Sull’argomento si veda: M. MERLO, Raffi , uncini e rampiconi: impiego, forme e rappresentazione di un’arma da fanti (secoli XI-XV), in «Armi Antiche», 2012, pp. 35-94, in particolare pp. 49, 63. 199 D. DE LUCA, R. FARINELLI, Archi e balestre. Un approccio storico-archeologico alle armi da tiro nella Toscana meridionale (secc. XIII-XIV), Firenze 2003, p. 9 (estratto da «Archeologia Medievale», XXIX, 2002, pp. 455-487). 200 M. MERLO, Cum rumfi s et lapidibus. Con bastoni e sassi: la guerra dei poveri, in «Armi Anti- che», 2007, pp. 68-104. 201 A.A. SETTIA, I mezzi della guerra. Balestre, pavesi e lance lunghe: la specializzazione delle fanterie comunali nel secolo XIII, in Pace e guerra nel basso medioevo, Atti del XL Convegno storico in- ternazionale. Todi, 12-14 ottobre 2003, pp. 153-200. Adesso anche in A.A. SETTIA, De re militari. Pratica e teoria nella guerra medievale, Roma 2008, pp. 207-246. 202 Fragmenta Historiae Pisanae dialecto conscripta ab anno MXCI usque ad MCCCXXXVII auc- tore anonimo, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIV, Mediolani 1738, coll. 657-658. Su questa battaglia si vedano le considerazioni in: SETTIA, De re militari cit., p. 210. 203 San Gimignano. Fonti e documenti per la storia del Comune. Parte I. I Registri di entrata e uscita (1228-1233), a cura di O. Muzzi, Firenze 2008, pp. p. 283; SETTIA, De re militari cit., p. 246; BAR- GIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale cit., p. 180. 204 P. S ANTINI, Documenti dell’antica costituzione del comune di Firenze, Firenze 1952, doc. 4, pp. 274-275; SETTIA, De re militari cit., p. 225. 205 G. VILLANI, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Roma 1990, p. 600; D. COMPAGNI, Cronica, a cura di G. Luzzatto, Torino 1968, X, pp. 21-22. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 45 celebre considerazione del vescovo di Arezzo farebbe supporre206, poiché poteva richiedere un avanzamento o, alla bisogna, un ripiegamento. Molte volte, come descrive il Villani, erano usati alle ali per proteggere la cavalleria. I pavesari sembrano trovare impieghi tattici versatili, da soli o in coope- razione con atri specialisti, soprattutto balestrieri e fanti armati di lance lunghe, come il caso grossetano dimostra207. Tuttavia a Siena non sembra essere stato formato un corpo di pavesari au- tonomo, contrariamente a Firenze dove nel 1260 vi erano ben tre gonfalonieri dei pavesari208. Infatti nella documentazione senese, nella maggior parte dei casi, il numero di pavesari è quasi sempre il medesimo di quello dei balestrieri. Solo a titolo di esempio, tra i moti che si potrebbero presentare, il contingente inviato a Montelaterone nel 1260 contava 25 balestrieri e altrettanti pavesari209; mentre nel settembre 1273 furono inviati in aiuto del conte Rosso 50 balestrieri e 50 pa- vesari210. Ma vi furono delle signifi cative eccezioni: oltre che a Torniella, come si vedrà meglio, nell’agosto del 1261 i pavesari mobilitati furono 69, mentre i balestrieri 70211. Altre volte invece incontriamo uffi ciali nominati solo per guidare i pavesari, come Ugolino, uffi ciale dei pavesari che nel 1261 furono mandati a Fucecchio212. Mentre le compagnie di popolo erano dotate di 10 pavesi, ma non si fa menzione dei balestrieri213. Questi dati lascerebbero supporre che anche a Siena i pavesari potessero operare autonomamente, nonostante che le tattiche cittadine favorissero la cooperazione con i balestrieri. I pavesi in Italia, di forma grossomodo rettangolare leggermente più stretti alla base, avevano una superfi cie curva e la sommità arcuata, come si deduce dall’iconografi a duecentesca e come testimoniano alcuni reperti toscani ancora conservati, ma di epoca più tarda214. Anche a Siena era largamente diffusa la pratica di far dipingere sulla parte fron- tale dei pavesi motivi decorativi che spesso richiamavano l’emblema comunale215

206 Op. cit., p. 22. 207 SETTIA, De re militari cit., pp. 207-211. 208 Op. cit., p. 225. 209 ASS, Consiglio Generale 9, cc. 128v-129r. 210 ASS, Consiglio Generale 17, cc. 47r-48r. 211 ASS, Biccherna 33, cc. 37v-38r. 212 ASS, Biccherna 33, c. 78v. 213 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., p. 188. 214 Ad esempio due pavesi, uno fi orentino e uno senese, di fi ne XIV secolo. Rispettivamente Fi- renze, Museo Bardini, inv. 308; 310. Museo Bardini. Le armi, a cura di L.G. Boccia, Firenze 1985, pp. 34-35. 215 Sul ruolo dei simboli “politici” dipinti sui pavesi e scudi Dante cantava: «L’un al pubblico segno i gigli gialli / oppone, e l’altro appropria quello a parte, / sì che forte veder chi più si falli. / Faccian li Gibellin, faccian lor arte / sott’altro segno; chè mal segue quello / sempre chi la giustizia e lui dipar- 46 Marco Merlo oppure altre armi araldiche216, attività che in tutta Europa dava «fi or di lavoro a legioni di pittori»217: sono registrati nel 1259 pagamenti per la pittura di pavesi e cappelli di cuoio218; nel 1264 venne multato per l’ingente somma di 25 lire il pittore Ventura Gualtieri, del popolo di Sant’Egidio, per aver dipinto su un pavese un motivo satirico: un leone, simbolo del Popolo senese, che faceva sanguinare il muso di una lupa, emblema cittadino219. Anche i pavesi delle società di popolo senesi recavano dipinto l’emblema della società220. Il denaro per l’acquisto dei pavesi era anticipato da alcuni cittadini e, in seguito, rimborsati dal comune. La prima testimonianza senese della presenza dei pavesi riguarda proprio un rimborso ad Accorso Pazzuolo per l’acquisto di sei pavesi da aggiungere ai 20 già presenti, che nel 1252 avrebbero dovuto essere inviati a Lucignano221. Questi fece l’acquisto su richiesta del comune: nel registro sono annoverate anche le spese per le funi e per la legatura necessaria al traspor- to dei pavesi. Nello stesso anno un lotto di pavesi venne mandato all’assedio di Montalcino: le spese riguardano la ricompensa per l’incaricato del trasporto e il rimborso a cinque persone che acquistarono pavesi, elmi e cappelli per le truppe impegnate nelle operazioni222. Il trasporto avveniva legando i pavesi in salme e trasportati con balestre e quadrelli, a ulteriore riprova che a Siena le due armi venissero comunemente usate insieme: nel 1254 vennero inviati 555 uomini a Piancastagnaio, tra pavesari e balestrieri con relative armi e munizioni, in soccor- so del conte Ildebrandino, alleato di Siena, contro il conte Guglielmo223. Anche i pavesi erano conservati presso la Camera del comune, come si deduce da una delibera del Consiglio Generale del 1260, che decise di inviare all’esercito im- pegnato contro i maremmani 100 pavesi del comune e 100 cappelli di cuoio224. Il documento implicitamente testimonia che dovessero esserci anche pavesi in

te»: DANTE, Divina Commedia, Paradiso, VI, vv. 100-105. Un importante testimonianza iconografi ca su questo fenomeno, sebbene datata agli Venti del XIV secolo, è visibile alla carta 43v del Codice Vanesse (Heidelberg, Universitätsbibliothek, Codex Pal. Germ. 848), in cui sono ritratti gli uomini del vicario imperiale, il conte von Honberg, combattere alle porte di una città italiana: il fante italiano in primo piano brandisce uno scudo giallo con un giglio rosso, simbolo del partito fi lo angioino. 216 M.D. PAPI, Araldica e simbologia di guerra, in La Battaglia di Campaldino cit., pp. 258-259. 217 F. CERVINI, Lame benedette. Qualche rifl essione per studiare le armi e i loro committenti, in Medioevo: i committenti, atti del convegno internazionale di studi, Parma 21-26 settembre 2010, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2011, p. 376. 218 I libri dell’entrata e dell’uscita del comune di Siena detti della Biccherna. Registro 30 (1259, secondo semestre), a cura di G. Catoni, Roma 1970, d’ora in avanti Biccherna XXII, pp. 73-75. 219 L. ZDEKAUER, La vita privata dei senesi nel Dugento, Firenze 1896, p. 57. 220 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., p. 188. 221 Biccherna XIII, pp. 113; 153-155. 222 Op. cit., p. 178. 223 SETTIA, I mezzi della guerra cit., p. 179-180. 224 ASS, Consiglio Generale 9, c. 22v. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 47 possesso di privati cittadini, concessi in prestito all’esercito comunale, come suc- cedeva con le balestre225. Non sappiamo con esattezza come si comportassero sul campo i pavesari, ma deduciamo che il loro armamento individuale, oltre al pavese, comprendesse un cappello di cuoio, una corazza in cuoio e una mannaia, come emerge da un pagamento del 1259226. Grande fortuna in Italia, come altrove, ebbe la balestra, l’arma lanciatoia più diffusa negli eserciti comunali. A Siena i balestrieri servivano l’esercito in unità indipendenti, come i cavalieri e i fanti, suddivisi secondo il Terzo di re- sidenza, quindi in tre reparti. A capo di ogni reparto vi era un uffi ciale, che alla metà del Duecento non ha ancora un nome specifi co. Le unità erano suddivise in cento uomini l’una, da cui il nome di centurione dell’uffi ciale in età novesca; i reparti potevano essere affi ancati da balestrieri provenienti dal contado, divisi in unità a seconda della provenienza, fatto che testimonia ulteriormente la larga dif- fusione della balestra anche nelle campagne227. Dalla documentazione nota siamo in grado di fornire i nomi dei portabandiera del 1253: per il Terzo di San Martino Gualcherino da Monte Capraia, per quello di Città Aringherio di Palmerio Pe- ruzzi, per Camollia Gisberto228. Anche i balestrieri avevano il proprio stendardo, che era portato da un uffi ciale a cavallo. I gonfaloni dei balestrieri erano identici a quelli degli altri pedites, con la differenza che vi era cucita una balestra229. Nel Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi di Simone Martini230, datato 1330, nell’accampamento senese sono riconoscibili le tende dei balestrieri pro- prio perché sventolano gonfaloni con i colori della balzana con, inserito nella metà bianca, una balestra rossa. La balestra è un’arma le cui prime testimonianze risalgono al XI secolo231. Da questo momento trovò immediatamente largo impiego nella guerra maritti- ma, tra i fanti delle città marinare, in particolar modo quelli di Genova e Pisa, che diventarono presto celebri specialisti nel loro maneggio232. L’importanza dei

225 SETTIA, I mezzi della guerra cit., p. 179. 226 Biccherna XXII, pp. 73-75. 227 Per una precisa trattazione sulla mobilitazione e la composizione dei reparti di balestrieri a Siena tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del XIII secolo: MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., pp. 182-187. 228 ASS, Consiglio Generale 388, c. 11. 229 Nel 1268 venne pagato un mercante di zendali, Aringerio, per la cucitura delle effi gi delle balestre sui gonfaloni destinati ai balestrieri: ASS, Biccherna 42, c. 66v. 230 Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Consiglio. Nella stessa sala il vessillo dei balestrieri senesi è visibile anche nell’affresco di Lippo Vanni raffi gurante la Battaglia della Valdichiana. 231 C. GAIER, Quand l’arbalète était une nouveauté. Réfl exions sur son rôle militaire du Xe au XIIIe siècle, in «Le moyen age», XCIX (1993), pp. 201-229. 232 Molto studiato il caso ligure: N. CALVINI, Balestre e balestrieri medioevali in Liguria, Sanremo 1982. 48 Marco Merlo balestrieri nelle operazioni militari del Duecento è testimoniata dalla massiccia richiesta di mercenari armati di quest’arma lanciatoia: a Siena tra il 1229 (anno in cui compare menzionata l’arma per la prima volta nei documenti cittadini)233 e il 1231 prestarono servizio balestrieri genovesi, tedeschi, provenzali, lombardi e dell’Italia meridionale234. Tuttavia nel 1253 i soli balestrieri senesi selezionati in tutti i Terzi della città, per il servizio di una sola settimana, ammontavano a ben 783 uomini235. La potenza delle balestre era impressionante: poteva trapassare da parte a parte un cavaliere corazzato e il rumore, emesso dal crocchiare durante le opera- zioni di lancio, poteva avere un effetto psicologico devastante236. La capacità di penetrazione era dovuta allo spessore e alla qualità del materiale con cui era co- struito l’arco, in genere legno o corno, più che dalle dimensioni dell’affusto, detto teniere237. Ma la resistenza esercitata dall’arco rendeva le operazioni di ricarica, come noto, piuttosto lente. I modelli del Duecento238, rispetto a quelli precedenti, tentarono di ovviare a tale lentezza: negli esemplari di inizio secolo, alla sommità del teniere, sotto l’arco, venne inserita una staffa che serviva a tenere ferma l’ar- ma bloccandola col piede in posizione verticale, mentre con le mani si tirava la corda per assicurarla alla noce. Nel corso del secolo venne ideato il crocco, una cintura di cuoio, legata alla vita del balestriere, con attaccato un uncino metalli- co. Il balestriere, sempre mettendo il piede nella staffa, si chinava, agganciava la corda dell’arco all’uncino e, rialzandosi, trascinava a sé la corda fi ssandola alla noce239. Tuttavia bisogna credere che nella Camera del comune fossero conserva- te anche balestre prive di staffa, poiché nel 1260 è esplicitamente segnalato che ai

233 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 9 (estratto da «Archeologia Medievale», XXIX, 2002, pp. 455-487). 234 WALEY, Siena e i senesi cit., pp. 236. Questo fatto conferma che i balestrieri mercenari non provenissero esclusivamente da Genova (che comunque rimanevano mercenari prezzolati), come una vecchia storiografi a ha preteso: SETTIA, I mezzi della guerra cit., pp. 159-160 235 I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Quattordicesimo libro, anno 1253, Siena 1937, d’ora in avanti Biccherna XIV, pp. 131-156. 236 All’assedio di Viterbo del 1243 il crocchio delle balestre faceva indietreggiare i nemici: WIN- KELMANN, Acta imperii cit., doc. 693, p. 551. 237 La dimensione del teniere non infl uisce in alcun modo nella potenza di una balestra. Chia- ramente, prima dell’introduzione del ferro e dell’acciaio nella produzione degli archi per balestra, le dimensioni del teniere erano proporzionali alla lunghezza dell’arco, contrariamente a quanto in genere affermato dagli studi di settore fi no a una ventina di anni fa. Sulle balestre rinvenute a Montemassi si veda: D. DE LUCA, Le armi, in Archeologia a Montemassi un castello fra storia e storia dell’arte, a cura di R. Parenti, S. Guideri, Firenze 2000, p. 217). 238 Per una precisa trattazione: DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., pp. 9-11. 239 Una particolareggiata immagine di questa cintura è visibile nel balestriere di carta 10v della Bibbia Maciejowski. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 49 balestrieri operanti a Montemassi fossero state assegnate 30 balestre con staffa240. Sono spesso menzionate balestre ad duos pedes241, la cui denominazione indica il sistema di ricarica: veniva ricaricata mettendo entrambi i piedi sull’arco e tiran- do a sé, con entrambe le mani, la corda per fi ssarla alla noce, ed è probabile che l’operazione avvenisse spesso da seduti242. In altre fonti è documentato l’utilizzo di torni, conservati nella Camera del comune243, destinati a tendere le corde delle balestre244: queste erano riposte nei magazzini sganciando la corda dall’arco, per non intaccarne la resistenza. Quando dovevano entrare in servizio i balestrieri erano obbligati a piegare l’arco per riarmare la corda, e proprio a tale scopo era indispensabile l’uso di un tornio. La fortuna riscossa in Italia dalla balestra rispetto all’arco fu dovuta alle caratteristiche stesse dell’arma. L’arco necessita di una particolare prestanza fi - sica per essere teso, richiedendo un addestramento che inizia in giovane età e una pratica continua; al contrario la balestra nelle operazioni di tiro non presenta particolari diffi coltà e non richiede alcuna prestanza fi sica245. Tuttavia ciò non signifi ca che negli eserciti comunali non militassero arcieri. L’arco in Italia era arma prevalentemente venatoria246 e a Siena sono docu- mentati gli archi a pallottole per la caccia ai volatili247, anche se probabilmente qualche cittadino di bassa estrazione sociale possedeva tale arma e con questa aveva preso posto nell’esercito248, soprattutto tra il 1229 e il 1230, anni in cui esiteva un vessillo degli arcieri249. In un documento del 1262, proveniente dal comune di Massa Marittima250, sono elencati trenta arcieri del comune, suddivisi nei tre Terzi della città, che andavano ad affi ancare i balestrieri251. Sembra quindi

240 ASS, Consiglio Generale 9. c. 123v. 241 Biccherna I-II, pp. 140-141. 242 In un capitello della basilica di St. Serinin a Tolosa, databile al XI secolo, sono raffi gurati dei diavoli nell’intento di ricaricare le balestre da seduti, fermando con i piedi l’arco e tirando con le mani al corda. 243 Il costituto cit., dist. I, rub. CCCXXIIII, pp. 123-124. 244 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 12; V. SERDON, Armes du diable. Arcs et arbaléte au Moyen Âge, Rennes 2005, p. 149. 245 Anche se, ovviamente, un esercizio costante poteva senz’altro aumentare la precisione e la cadenza di tiro. A Firenze le balestre in possesso del comune erano assegnate solo ai balestrieri che si esercitavano assiduamente nel tiro: Il libro di Montaperti cit., p. 98. 246 Sull’argomento: A. CENNI, L’arco e gli arcieri nell’Italia medioevale, Bologna 1997. 247 Un esemplare è rappresentato nella Tebaide di Santa Maria della Scala, affresco datato tra il 1340 e il 1345. Ringrazio Maria Corsi per la segnalazione. 248 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 9; 249 Evidentemente in questi anni gli arcieri costituivano un reparto autonomo: Biccherna I-II, pp. 157, 219; Biccherna III, p. 60. Tuttavia negli anni successivi non si riscontrano più arcieri militari. 250 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 20. 251 V. D INI, Dell’antico uso della balestra in Gubbio, Sansepolcro, Massa Marittima e nella repub- blica di S. Marino, Arezzo 1969. 50 Marco Merlo un’arma usata da strati sociali di bassa condizione economica o da uomini di aree prevalentemente rurali. A Massa Marittima le forniture d’armi erano garantite e mantenute dalla magistratura permanente detta Consiglio di Pace e di Guerra, formata da cinque cittadini. In particolare, verso la fi ne del XIII secolo, inizia a comparire esplici- tamente la fi gura del magister balestrarum e del camerario delle armi: il primo, a partire dall’inizio del XIV secolo, sembra avere il compito di addestrare gli uo- mini al maneggio delle balestre e comandarli sul campo, mentre al secondo, coa- diuvato da due boni homines, competeva la manutenzione e la distribuzione delle armi in tempo di guerra252. Anche a Massa si svolgevano regolari esercitazioni al tiro con la balestra, documentate dalla prima metà del Duecento, e un documento quattrocentesco chiarisce che tali esercitazioni dovessero essere destinate princi- palemente ai giovani253. Uno dei documenti iconografi ci sulle fanterie maremmane del XIII secolo si trova proprio a Massa Marittima: si tratta dei bassorilievi della vasca del fonte battesimale del duomo, scolpiti da Giroldo da Como nel 1267. Due guerrieri sono rappresentati con un armamento piuttosto modesto: uno possiede una cervelliera crestata (probabilmente composta da due metà congiunte insieme da una lista metallica che traversava tutta la metà della scatola cranica, dalla fronte alla nuca), indossata sopra un cappuccio di stoffa (supponiamo imbottito) e, di sotto ancora, un cappuccio di maglia di ferro che ricadeva sulle spalle coprendo anche il collo. L’altro invece è protetto solamente dal cappuccio di maglia, traversato orizzontal- mente, intorno al cranio poco sopra la fronte, da una striscia di cuoio che serviva a fi ssarlo. Nessuno dei due porta altre armi difensive. Entrambi sono armati di spada, due modelli molto raffi nati, forse bottino di guerra, con bracci incurvati verso l’alto, cappa decorata e pomi sferici; inoltre, come seconda arma offensiva recano al cinturone la daga, i cui dettagli sono coperti dalle braccia delle fi gure, ma che paiono essere basilarde. Un armamento molto più povero rispetto a quello dei pedites senesi, come risulta dalla documentazione scritta. Ipotizziamo, proprio sulla base della povertà degli armamenti massetani, che in area maremmana, essendo particolarmente diffusa la pastorizia, doveva es- sere altrettanto diffusa anche la fi onda, arma umile ma terribile in mani esperte254. L’inventario dei beni posseduti da Alessio di Brnardo Tolomei nel suo pa- lazzo di Prata255, compilato nel 1308, restituisce un quadro piuttosto esaustivo

252 LOMBARDI, Massa Marittima cit., p. 43. 253 L. cit. 254 MERLO, Cum rumfi s et lapidibus cit., pp. 79-80 255 Il documento è edito in: DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., pp. 20-21. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 51 sugli armamenti diffusi in Maremma che, ancora all’inizio del XIV secolo, risul- tano essere umili. L’inventario comprende dieci balestre fornite, conservate con i crocchi e i quadrelli; sei elmi d’aciaio e crestate e panpalune con uno bacinetto, dove per crestate probabilmente s’intende il tipo di elmo indossato dal fante del fonte battesimale di Massa; e come arma difensiva un targone dipinto con l’arme Tolomei, sicuramente da parata. Tuttavia fi gurano anche alcuni utensili che nel Duecento venivano portati in guerra, come due ronconi di ferro (di cui è specifi - cata la funzione per tagliare la legna), una scure (sempre per tagliare la legna) e un piccone.

1.5. La pratica dell’assedio e del guasto Quando tra gli obiettivi della spedizione militare vi era l’assalto di una fortifi cazione, l’esercito si dotava di personale specializzato: «Impadronirsi di città fortifi cate o di castelli costituisce molto spesso l’obiettivo primario delle operazioni militari. I cavalieri, seguiti da scudieri, sergenti e fanti, costituivano la prima fi la delle truppe d’assalto, quando ciò era reso possibile salendo scale poggiate contro le mura o, meglio ancora, praticando una breccia nei bastioni, oppure erigendo torri mobili in legno, che permettevano di sopraffare le difese avversarie. Queste mansioni toccavano ai numerosi specialisti degli assedi: mu- ratori, carpentieri, guastatori, costruttori di macchine d’assalto come catapulte, mangani, trabocchi, petriere, baliste e così via. Queste macchine erano costruite su indicazioni degli ingegneri»256. Il trovatore Guiot de Provins denunciava già nel 1206 le infi me qualità militari dei principi, dispiaciuto che i veri “artisti” della guerra, i cavalieri, fossero divenuti meno importanti e “virtuosi” di «balestrieri, minatori, tagliapietre e ingegneri»257, fatto che di per sé segnala una grande consi- derazione per i carpentieri e gli specialisti nella costruzione di macchine belliche. Siena, come tutte le città comunali, richiamava con l’esercito mastri in gra- do di lavorare il legname e la pietra. Anche questi venivano inquadrati nei con- tingenti dei Terzi di appartenenza (al contrario di quanto accadeva nell’esercito fi orentino, dove erano inquadrati in un’unità composta solo da tecnici che veni- vano aggregati alle masserizie)258 e il loro quantitativo variava a seconda dell’im-

256 Flori, Cavalieri e cavalleria cit., p. 121. 257 «Et chevalier sont perdu / sil ont auques lor lor tens perdu / abelestrier, et menour / et perrier, et engeneor / seront de or ant plus chier»: GUIOT DE PROVINS, Oeuvres, a cura di J. Orr, Manchester Paris 1915, p. 15. 258 Il libro di Montaperti cit., p. 28. Ogni specialità aveva le proprie insegne: conosciamo i vessilli dei mastri, dei mastri di mannaia, la bandiera dei mastri d’ascia e di sega; quella dei mastri di piccone e i vessilli dei mastri di mannaia e di pali. 52 Marco Merlo portanza strategica rivestita dalla conquista di una fortifi cazione. Per esempio, per attaccare Grosseto, il Consiglio Generale deliberò che fossero inviati tutti i mastri del Terzo di Città e di San Martino, arrivando al numero complessivo di 24 mastri259, che quindi era il numero totale dei mastri abili alla leva di due Terzi. Anche a Siena, come a Firenze, i mastri avevano i propri vessilli issati sulle lan- ce260, e a capo delle unità vi era un soprintendente dei magistri lapidum et mana- rie261. I mastri di mannaia, di pietra e i carpentieri avevano il compito di diroccare le difese avversarie262 e, se l’occasione lo richiedeva, ripristinare difese distrutte o apparecchiarne di nuove. A Siena erano reclutate anche truppe di zappatori (come i marzaioli e palatoli fi orentini rimanevano distinti dagli altri tecnici)263, chiamati assapaiolii, che, come a Firenze, avevano un loro stendardo, fatto che indurrebbe a pensare che fossero tutti inquadrati in una sola unità. Probabilmente anche a Siena, come nell’esercito fi orentino, erano mastri “genieri” specializzati nei lavori di zappa e vanga264; è anche probabile che fossero questi specialisti, con zappe e vanghe, a preparare le strade sulle quali poi doveva passare il grosso dell’esercito, come è documentato per l’esercito perugino nel 1282265. A questi si aggiungevano i fabbri con il compito di fornire gli attrezzi necessari ai carpentieri e, si può supporre dalle fonti, altri compiti legati all’attrezzatura bellica in metal- lo, la mascalcia e la riparazione delle armi. Infi ne vi erano gli addetti al trasporto dei materiali266, a Siena chiamati vet- turali, che per altri eserciti coevi sappiamo essere armati di mannaia, probabil- mente usata per “pulire” le strade in modo da far passare comodamente i carri267. Per costruire le macchine d’assedio erano chiamati architetti e ingegneri reclutati appositamente: nelle fonti senesi queste sono dette edifi cia268, divise in macchine da lancio e macchine d’assalto. Le prime erano macchine che serviva-

259 ASS, Consiglio Generale 9, c. 93r. 260 Sappiamo con certezza che il vessillo dei mastri operanti contro Grosseto era proprio issato su una lancia e costò 18 denari: ASS, Biccherna 31, c. 39v. 261 Nel 1260 l’uffi ciale era Bonaventura di Guido: ASS, Biccherna 32, c. 28r. 262 Nel novembre 1289 furono pagati 15 magistri lapidum per lo smantellamento del castello di Sticciano. 263 Il libro di Montaperti cit., pp. 84; 98. 264 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., pp. 190-192. 265 A.I. GALLETTI, La società comunale di fronte alla guerra nelle fonti perugine del 1282, in «BDSPU», 71 (1974), p. 90. 266 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., pp. 188-190. 267 SETTIA, Tecniche e spazi della guerra nel Medioevo cit., p. 271. Nella Bibbia Maciejowski, a carta 27v, si vede un carro per il trasporto del materiale bellico: sono caricati scudi, elmi, vessilli, usber- ghi e pentolame. 268 A Siena il termine continuerà a indicare macchine belliche per lungo tempo. Ancora nel XVI secolo viene usata la sua forma volgare (edifi zio o difi zio) nella raccolta di disegni di Bartolomeo Neroni detto il Riccio. Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Autografi e disegni, S.IV.6. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 53 no a scagliare proiettili contro le difese avversarie: nel XIII secolo le principali erano le petriere (a trazione meccanica, sfruttando meccanismi a molla), i manga- ni (a trazione manuale) e i trabucchi (a contrappeso)269. Alla metà dello stesso secolo i “parchi macchine” erano particolarmente innovativi, spesso dai terribili effetti materiali e psicologici270, in grado di sca- gliare proiettili in pietra di grandi dimensioni271, ma a un’analisi più approfondita non sembra che queste, almeno nelle guerre condotte da Federico II, abbiano mai avuto un ruolo decisivo per ottenere la vittoria in battaglia o nella presa di una fortifi cazione272: ancora nel 1328, all’assedio di Montemassi, per l’esercito senese fu risolutivo il battifolle più che il portentoso trabucco eretto al suo interno (che in pratica era un grande braccio con fi onda, inserito in un pozzo apposita- mente scavato)273. Le macchine d’assalto erano invece protezioni mobili che permettevano l’avvicinamento e l’assalto alle mura. Tra queste primeggiavano le torri mobili, in grado di far avvicinare interi contingenti agli spalti nemici, spesso sovrastandoli in altezza; vi erano le tettoie mobili che consentivano agli uomini di avvicinarsi alle mura per scalzarle o ai portoni per abbatterli con scuri o travi di legno rinfor- zate in punta con ferri; venivano costruite macchine più semplici, come tavolacci e mantelletti mobili e semplici scale a pioli; vi potevano essere anche macchine più complesse come ponti mobili che venivano calati dalle sommità delle torri d’assalto o trivelle in grado di operare buchi nel terreno per la creazione di galle- rie di mina o fori nelle mura274. La loro costruzione però risultava diffi coltosa e richiedeva le conoscenze di maestri di grande esperienza, sopratutto per quanto riguarda il trabucco. Questa era un’artiglieria sviluppata proprio all’inizio del XIII secolo, molto più potente delle macchine precedenti, ma la sua costruzione era davvero complessa, tanto che un progetto per costruirne una è disegnato nel celebre taccuino di Villard

269 Per un approfondimento su queste macchine: M. MERLO, Genieri e machinae nelle guerre del Barbarossa in Italia, in «Armi Antiche», 2004, pp. 97-100. 270 A.A. SETTIA, Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell’Italia delle città, Bologna 1993, pp. 307- 315. 271 Durante gli scavi archeologici a Grosseto, in via San Martino, fu rinvenuto un proiettile, proba- bilmente scagliato da un trabucco senese nel 1260, di forma cubica, in cui sono visibili le tracce dei lavori di levigatura dei mastri di pietra: Guida alla Maremma medievale cit., p. 144. 272 R. GRECI, Eserciti cittadini e guerra nell’età di Federico II, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert, A. Paravicini Baliani, Palermo 1994, p. 348. 273 R. PARENTI, Iconografi a e strutture materiali. L’assedio di Montemassi. L’affresco come evi- denza materiale dell’assedio del 1328 di Guidoriccio da Fogliano a Montemassi, in Archeologia a Mon- temassi cit., pp. 175-179; Guida alla Maremma cit., pp. 89-91. 274 SETTIA, Comuni in guerra cit., pp. 93-97. 54 Marco Merlo de Honnecourt275, corredato da un particolareggiato testo esplicativo276. Anche a Siena i maestri che si occupavano delle macchine belliche si differenziavano da- gli altri maestri carpentieri. Si tratta di fi gure professionalmente vicine al mondo dell’architettura e dell’ingegneria277, che in tempo di guerra erano richiamati per la costruzione di strumenti bellici: dalla fi ne del XI secolo compaiono in Italia i primi nomi di genieri militari, e sappiamo che questi lavoravano non solo durante gli assedi, costruendo macchine da attacco e da difesa, ma erano noti anche in capo “civile”278, come testimonia ulteriormente la carta sopra citata del taccuino di Villard de Honnecourt, poiché il trabucco è l’unica macchina bellica presente nell’opera. Anche a Siena a metà Duecento possiamo rilevare questo dato: il ma- stro di mannaia Simone fu pagato 24 lire per sei giorni di lavoro per la costruzio- ne di scale nel palazzo del vicario del conte Guido e 4 soldi per aver lavorato al seggio del vicario279. Conosciamo il nome dell’ingegnere che costruì il mangano usato a Montemassi280. Altre volte sappiamo che le città comunali, e non solo, ricercavano questo tipo di personale specializzato altrove281, e a Siena furono al servizio del comune per almeno due anni, tra il 1260 e il 1261, i mastri Gianni e Romano richiamati da Roma282. Data la complessità richiesta nella costruzione degli edifi cia, la maggior parte di essi (quelli non distrutti al termine delle operazioni militari)283 venivano custoditi e mantenuti in funzionamento in città: almeno dal 1246 erano tenuti in varie piazze nel Terzo di Camollia284; nel 1260 molte macchine erano ancora te-

275 Parigi, Bibliothéque Nationale de France, ms. Fr. 19093, c. 30r. Nel testo è detto che nella carta successiva sarà presentato l’alzato del trabucco, ma questo disegno manca. 276 S. DI PASQUALE, Il manoscritto fr. 19093 della Bibliothèque Nationale de France: una rilettura del cosiddetto taccuino di Villard de Honnecourt, tesi di laurea, Università degli Studi di Siena, sede in Arezzo, a.a. 2010-2011, relatore prof. F. Franceschi, pp. 114-119. 277 All’inizio del XIII secolo è documentata in Francia l’attività di uno di questi professionisti, di nome Simone. Per la sua abilità nel costruire fortifi cazioni, come nel demolirle, viene appellato magister fossarium, ma costui progettava, costruiva e soprintendeva anche i lavori di edifi ci “civili”. Mastro Simo- ne, come tutti gli altri mastri costruttori, risulta possedere molteplici capacità professionali nell’ambito dell’edifi cazione, in grado di gestire ogni fase di questi lavori, sia in guerra sia in tempo di pace, tanto che la fonte specifi ca essere in generale doctus geometricalis: V. MORTET, P. DESCHAMPS, Recueil de textes relatifs à l’histoire de l’architecture et à la condition des architectes en France au Moyen Âge, XIe-XIIIe siècle, II, Paris 1995, doc. XC, pp. 181-191. 278 A.A. SETTIA, Esperienza e dottrina nel mestiere delle armi, in La trasmissione dei saperi nel Medioevo, Pistoia 2005, pp. 32-34; MERLO, Genieri e machinae cit., p. 90. 279 ASS, Biccherna 33, c. 63v. 280 Si chiamava Mallietato e fu pagato ben 10 lire: ASS, Biccherna 31, c. 82v. 281 MERLO, Genieri e machinae cit., p. 90. 282 ASS, Biccherna 31, c. 82v. 283 ASS, Biccherna 33, c. 38v. 284 BROGINI, MAZZINI, Templari cit., pp. 219-220. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 55 nute all’aperto, ma veniva pagato un affi tto per un luogo chiuso dove conservarne alcune285. Che molte macchine d’assedio fossero “prefabbricate” è fatto che appren- diamo non solo dalla documentazione scritta286, ma anche dall’iconografi a. Nella Bibbia Maciejowski, a carta 23v, si osserva un mangano: questo ha l’affusto co- struito con assi ben levigate, cosa che induce a pensare che fossero state traspor- tate sul luogo dello scontro, già lavorate e predisposte; mente il braccio è formato da tronchi di legno grezzi, con le nodosità dei rami recisi ben visibili, che fanno supporre che questi fossero stati tagliati sul luogo e montati sulla macchina. Del resto la parte più complessa nella costruzione di un trabucco era proprio l’affu- sto, che doveva essere stabile e proporzionato, mentre il braccio poteva essere di dimensioni variabili. Altre armi “pesanti” erano le balistas grossas, documentate alla metà del secolo sia a Siena sia a Firenze. Sappiamo che erano trasportate con l’esercito sui carri e che per queste operazioni a Firenze fossero nominati degli uffi ciali appo- siti287. A Siena invece, tra il 1230 e il 1231, per il trasporto di sette balestre grosse con il tornio e gli altri oggetti necessari al funzionamento, erano indispensabili tre asini288. Apprendiamo dalle fonti fi orentine che queste balestre non servivano esclusivamente come armi da “posta”, ma potevano essere usate anche in campo aperto. Agnolo di Tura nella sua cronaca ci informa che, ancora all’inizio del Tre- cento, queste erano usate nelle battaglie campali e fossero molto effi caci contro i cavalieri; il cronista aggiunge che quelle usate a Roma nel 1312, erano state portate proprio da fi orentini e senesi289. Erano caricate con quadrelli di grandi dimensioni290, con la punta in ferro di circa mezzo chilogrammo e l’asta di legno impennata con piume d’avvoltoio291, e nel 1230 la loro produzione fu affi data al balestriere Raimondo di Provenza292. Per mettere in trazione la corda delle balestre grosse era necessario con un tornio, che spesso era un vero e proprio edi- fi cium realizzato da mastri carpentieri. Uno di questi, detto soave probabilmente perché in grado di esercitare con minimo sforzo e per gradi la trazione della corda

285 ASS, Biccherna 31, c. 80v. 286 A.A. SETTIA, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984, pp. 356 sgg. 287 Il libro di Montaperti cit., pp. 76-77. 288 SETTIA, Comuni in guerra cit., p. 301 e note 54, 65. 289 Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso, in Cronache senesi, a cura di A. Lisi- ni, F. Iacometti, in Rerum Italicarum Scriptores, n.s., t. XV, part. XV/6.1, Bologna 1939, p. 320. 290 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 15. 291 SETTIA, Comuni in guerra cit., p. 301. 292 Op. cit., pp. 300-301. 56 Marco Merlo di seta fi lata di 30 grammi293, fu ideato da mastro Albertino nel 1230294 e data l’effi cacia ne furono costruiti altri. Le macchine da lancio potevano scagliare anche proiettili incendiari, come documentato in Italia fi n dal XII secolo295 e i senesi furono i primi in Italia, e forse in Europa, a impiegare miscele esplosive proprio nel Duecento. Nel 1229 il me- dico Simone e lo speziale Bartolo avevano preparato delle miscela esplosive da mettere in vasi di vetro muniti di micce, da gettare sugli aggressori per mezzo di fi onde296, probabilmente la funda malliarum ferri, di cui troviamo un pagamento nel 1230297. Da queste ricette apprendiamo che Siena era riuscita a procurarsi oleum petroleum, che usò all’assedio di Montefollonico298, mentre altre ricette, come quella di Bartolo, sono composte da un misto di sulfo et pegola et pece et rascia299, altre con materiali genericamente indicati come oliis portati a Querci- grossa300. Si tratta probabilmente dei medesimi ingredienti che venivano usati dal 1230, sempre a Siena, per gli stomboli. Questi dovevano essere una sorta di lancia razzi costruiti con canne forate contenenti materiali resinosi, oli, bitumi che al momento dell’innesco producevano uno scoppio, detto appunto stombolo301. Del resto la più antica menzione di un’arma da fuoco è proprio toscana, un provve- dimento fi orentino del 1326302, ma le miscele dei documenti senesi, sebbene si

293 DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 12. 294 SETTIA, Comuni in guerra cit., p. 302. 295 MERLO, Genieri e machinae cit., pp. 99-100. Durante l’assedio di Ancona, condotto dal Bar- barossa e dai veneziani, per distruggere le macchine nemiche i difensori unde tunc quidam vegeticulum resina et pice plenum ante strem lignorum proiecit, set nullus audebat apponete ignem, quia locus in me- dio bellantium consistebat. Eadem autem hora venit quidam femina vidua, nomine Stamira, et apprehen- des ambabus manibus mannariam divisit prope ipsum vegeticulum, currensque postea faculam accendit et eam tamdiu, videntibus universis, tenui inter hedifi ciorum ligna, donec focus vires potuit proprias exercere, sique combuste sunt machine ac pedrerie per audaciam viraginis, quam prelii crudelitas et pugnantium furor terrere minime potuerunt: BONCOMPAGNO DA SIGNA, Liber de obsidione Ancone, a cura di P. Garbini, Roma 1999, pp. 123-124. 296 BOCCIA, L’armamento difensivo in Toscana dal Millecento al Trecento cit., pp. 201-202; SETTIA, Comuni in guerra cit., pp 302-303 e nota 71; ID, Rapine, assedi, battaglie cit., p. 164. 297 Biccherna III, p. 142. 298 Biccherna IV, p. 208. 299 La Toscana meridionale era ricca di zolfo e carbone. Ma è molto probabile che contenesse so- luzioni a base di alcool, come l’acquavite (presente in molte miscele esplosive medievali), fatto provato dalla necessità di utilizzare contenitori di vetro anziché in quelli più economici di terracotta. Infatti il ve- tro, al contrario della terracotta, non permette l’evaporazione delle sostanze alcoliche. Altro ingrediente che probabilmente era presente è la colla, utilizzata per le sostanze incendiarie che in qualche modo si devono appiccicare sul bersaglio da ardere. 300 Biccherna III, p. 173. 301 A. ANGELUCCI, Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane, parte 2, Torino 1870, pp. 495-497; SETTIA, Comuni in guerra cit., pp. 302-303 e nota 72. 302 Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, all’anno, c. 65. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 57 tratti ancora di “fuochi” e non di una polveri, si pongono quasi trent’anni prima della testimonianza di Ruggero Bacone sulle polvere nera, ed è da considerarsi di esclusiva ideazione senese303. Il compito di ingegneri e architetti non si limitava alla costruzione delle macchine, ma ne soprintendevano il funzionamento anche durante la battaglia, come si deduce da molte fonti iconografi che, compresa una miniatura della Bib- bia Maciejowski304. Sappiamo che molti di questi scendevano in battaglia anche nei combattimenti veri e propri e nell’iconografi a sono sempre rappresentati ar- mati305; anche i carpentieri combattevano, a volte usando gli stessi strumenti da lavoro, come picconi, scuri e mannaie306. A ulteriore conferma abbiamo detto come secondo una certa critica (a dire il vero piuttosto datata) il fante di carta 2r del taccuino di Villard de Honnecourt, armato di tutto punto, possa essere lo stes- so Villard. Nelle fonti senesi ne troviamo conferma: nel 1260 un mastro Jacopo venne ferito durante l’assedio di Montalcino307, mentre un altro mastro fu colpito durante un assedio (la fonte non chiarisce se quello di Montalcino o quello di Montemassi) e trasportato a Siena308. Le artiglierie servivano anche come mezzi di difesa delle fortifi cazioni, sia delle città sia dei castelli del contado. Nel 1308 l’inventario degli oggetti con- servati nel palazzo dei Malavolti a Prata compare un palo di ferro da petraia che potea pesare da quaranta libre309, fatto che porterebbe a dedurre che nel castello vi fosse una petriera. In un inventario del cassero di Chianciano controllato dai senesi, relativo all’anno 1235310, fi gurano due mangani e quattro manghanellas (probabilmente artiglierie di dimensioni minori, altrove dette petriere), con nove

303 Nella storia delle miscele incendiarie ed esplosive l’espediente del medico e dello speziale senese è da considerarsi una novità. Il documento rimane poco noto e non è compreso tra le fonti analiz- zate dallo studio più autorevole del settore: J.R. PARTINGTON, A History of Greek Fire and Gunpowder, Cambridge 1999, pp. 1-143. 304 Alla carta 46v si vede l’ingegnere dare indicazioni ai serventi. Che si tratti dell’ingegnere lo deduciamo dal fatto che nella maggioranza dell’iconografi a coeva rappresentante lavori di costruzione di vario genere, il sovrintendente ai lavori si distingue dagli altri per l’atto di dare indicazioni, con l’indice puntato, alla manovalanza. 305 MERLO, Genieri e machinae cit., p. 91. 306 Le mannaie da lavoro si differenziavano da quelle da guerra per la minore lunghezza del manico; infatti nelle fonti le mannaie da guerra sono indicate come armi dal manico lungo: SETTIA, Tec- niche e spazi della guerra nel Medioevo cit., pp. 267-287. Mentre l’uso in battaglia di picconi e zappe è documentato da diverse fonti iconografi che, la più celebre delle quali è l’architrave ad archivolto della Porta della Pescheria del duomo di Modena: Utensili, armi e ornamenti di età medievale da Montale e Gorzano, a cura di F. Sogliano, Modena 1995, p. 64. 307 ASS, Biccherna 31, c. 77v. 308 ASS, Biccherna 31, c. 79v. 309 Il documento è edito in: DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., pp. 20-21. 310 Edito in DE LUCA, FARINELLI, Archi e balestre cit., p. 20. 58 Marco Merlo

fi onde di riserva, e un gittasocto. Evidentemente queste artiglierie servivano a bersagliare le macchine d’assedio nemiche e le truppe d’assalto. È interessante osservare che nell’inventario, insieme a un coppo e dimidium oleii, sono contate collam, solffum, rasciam, bernice et pece. Sicuramente parte di questi materiali potevano servire per lavori di carpenteria e per le riparazioni, ma va notato che siamo a pochi anni di distanza dalla miscela incendiaria usata a Montefollonico, soprattutto zolfo e pece potevano essere usati per gli stomboli oppure per riempi- re proiettili infi ammabili o esplosivi da lanciare con il gittasocto. Questo poteva essere una sorta di scivolo in legno, fi ssato sugli spalti in modo da essere orien- tato in varie direzioni. Nell’assedio di Crema, avvenuto tra il 1159 e il 1160, fu costruito da un mastro architetto uno strumento simile, con il quale venivano fatti scivolare sulle macchine nemiche barili incendiati con l’ausilio di un mantice, riempiti di legna secca, zolfo, grasso, olio, sugna e pece (una mistura incendiaria e non esplosiva)311, che una volta rotti, spargendo il contenuto, appiccavano il fuoco su mezzi e uomini312. Se la deduzione fosse corretta, dimostrerebbe una certa diffusione di ordigni incendiari proprio in area senese. Già nel 1208 i fi o- rentini, aggressori del castello senese di , furono da prima ostacolati con il tiro di sassi che ruppero le scale degli attaccanti; quindi tentarono la scalata sorreggendosi vicendevolmente e i difensori riversarono su di loro fuoco misto a zolfo313. Non stupirebbe trovare indizi su un utilizzo di miscele incendiarie anche in Maremma. Infatti sempre all’assedio di Viterbo del 1243, le cui difese abbiamo detto essere state comandate da Guglielmo Aldobrandeschi, i difensori prepararo- no grandi quantità di aceto per spegnere gli incendi appiccati dagli assedianti con il celebre fuoco greco, che prepararono in grandi quantità314. Ma a Viterbo si spe- rimentarono altri proiettili infuocati: i fabbri della città prepararono con le fornaci ignitas incudes et acuta massas ferreas da scagliare contro gli aggressori315. Men- tre l’imperatore attaccò anche con carrelli incendiari cosparsi di grasso e lanciati nel fossato, su cui venivano gettate fascine di sarmenti per appiccare fuoco allo steccato di legno316. Tutti stratagemmi che quindi erano noti anche in Maremma.

311 Sui differenti usi del fuoco nella guerra medievale vedere: J-.F. FINÓ, Le feu et ses usages mili- taires, in «Gladius», IX, 1970, pp. 15-30; A. ROLAND, Secrecy, Technology, and War: Greek Fire and the Defense of Byzantium, 678-1204, in «Technology and Culture», XXX, 4, 1992, pp. 655-679 312 MERLO, Genieri e machinae cit., p. 99. 313 Le fi amme furono spente dalla pioggia e dalla grandine, ma quest’ultima provocò ferite agli uomini non corazzati: SANZANOME IUDICIS Gesta Florentinorum, in Quellen und Forschungen zur ältesten Geshichte der Stadt Florenz, I, a cura di O. Hartwig, Marburg 1875, p. 20. 314 Fecit etiam faces plurimas congregari sepo perunctas oleo atque pice. Ignem vero Grecum in multo iussit confi ci quantitate necnon afferri sarcinas picis Grece: WINKELMANN, Acta imperii, doc. 693, p. 550. 315 Op. cit., p. 551. 316 Op. cit., p. 550. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 59

In battaglia i carpentieri avevano principalmente compiti che, usando una categoria moderna, potremmo defi nire da “genieri assaltatori”: protetti da usber- ghi e cervelliere, coperti dagli scudi dei compagni e dal tiro dei balestrieri o sotto tettoie mobili scalzavano le mura con delle corte zappe, documentate in molte regioni europee: nella Bibbia Maciejowski se ne vedono diverse317, e sono anche documentati zappatori in combattimento318. Durante gli assedi condotti in aree limitrofe a zone di estrazione metallifera, venivano richiamati molto spesso i minatori locali, che erano tenuti a prestare servizio in guerra, proprio fornendo manodopera specializzata in lavori di scavo e demolizione, aspetto molto ben documentato nella Toscana del XIII secolo319. In particolare i minatori montierini erano stati assoldati anche da Firenze tra il 1220 e il 1231320, chiamati guerci nelle fonti senesi e fi orentine321. I loro servigi erano preziosissimi durante gli assedi poiché le tecniche usate all’epoca per la distruzione di torri erano affi ni al lavoro del minatore: il metodo principale consisteva nel creare una frattura a una delle basi di una torre, puntellarla con travi e in un secondo momento farla crollare (spesso dando fuoco alle travi), in modo tale che la torre si accasciasse al suolo322. Nel 1252 Siena riuscì a penetrare

317 A carta 10v e a carta 46v. Ma sono visibili in numerose altre rappresentazioni. Nella Croniques de France or St. Denis, ad esempio, si vedono quattro genieri che, sotto una tettoia mobile, con queste zappe stanno scalzando le mura, mentre i difensori gettano su di loro materiale infi ammabile, pietre e travi: Londra, Britsh Library, ms Royale 16 G VI, c. 74r. 318 Un fante che combatte armato di piccone è visibile in un bassorilievo della Cattedrale di Mo- dena, rappresentante La leggenda di re Artù, del 1010. In un commentario catalano dell’Apocalisse (Pa- rigi, Bibliothèque Nationale de France, Nouv. Acq. Lat. 2290) è visibile una mischia in cui uno dei fanti brandisce un piccone. 319 SETTIA, Rapine, assedi, battaglie cit., pp. 141-142. Si veda: A.A. SETTIA, Rapine, assedi, batta- glie. La guerra nel Medioevo, Roma-Bari 2002, pp. 141-142. L’apporto dei minatori in guerra, soprattutto durante gli assedi, era molto prezioso e ne fu fatto ricorso ogni qualvolta era possibile, in Italia come nel resto d’Europa. Per i minatori delle Valli di Lanzo: M. MERLO, Il castello di Baratonia e le strutture difen- sive del XIV secolo, in Baratonia. Dinastia e castello, a cura di G. Chiarle, Borgone Susa 2012, p. 73, nota 86 e bibliografi a ivi citata; per i minatori di Liegi: C. GAIER, Armes et combats dans l’unvers médiéval, Bruxelles 1995, pp. 79-90. In anni posteriori è stabilito per i minatori delle miniere dipendenti da Siena che «Se per caso intervenisse, il quale Idio cessi, che la guerra alcuna si movesse per la quale si potesse turbare o impedire il loro lavorare, acciò che si possino sostentare, domandano avere soldo dal vostro comune durante essa guerra per quelli che fra loro fussero suffi cienti in quel modo et forma et con quelle condictioni et observantie che gli altri vostri soldati»: G. PICCINNI, Le miniere nel senese. Contributo alla messa a punto della cronologia dell’abbandono e della ripresa delle attività estrattive, in La Toscane et les Toscans autor del la Renaissance. Cadres de vie, société, croyances, Mélanges offert a Charles Marie de La Roncièr, Aix-en-Provence1999, p. 15. 320 Gesta Florentinorum cit., pp. 21-22; 35. 321 Rispettivamente: Biccherna III, p. 208; R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, 8 voll., Firenze 1956- 1958, II, p. 578. 322 Pratica largamente usata in Toscana, come testimoniano i resti delle torri abbattute con questa tecnica: una delle più celebri è ancora visibile a Montecastrense, presso Camaiore; mentre in Maremma 60 Marco Merlo a Figline facendo scavare, dai minatori arruolati da Ailmenghino di Ugo di Gilio a Massa Marittima, gallerie di mina323. Operazioni militari svolte da minatori si possono osservare attentamente in alcune fonti iconografi che. In due miniature del manoscritto Chigi contenete la Cornica del Villani si vede come i genieri fi o- rentini scavino delle gallerie sotto il castello di Monteaccinico, a lume di candela, con zappe e cesti per portare via la terra, lavoro esattamente identico a quello che si svolgeva nelle miniere; mentre in un’altra miniatura, sempre dello stesso ma- noscritto, sono rappresentati i lavori di demolizione di Fiesole: un uomo appicca il fuoco con una torcia alla base delle torri, precedentemente puntellate324. Invece in una miniatura delle Cantigas de S. Maria (databile alla seconda metà del XIII secolo)325 si osservano gli effetti di queste operazioni: le torri di una città sono crollate e il fuoco divampa tra gli edifi ci, mentre l’esercito vincitore assiste com- piaciuto all’incendio. Anche a Viterbo nel 1243 gli assediati costruirono gallerie che dall’interno della città sbucavano nell’accampamento imperiale riuscendo così ad appiccare incendi tra gli alloggiamenti nemici326. Infi ne vi erano le truppe addette al guasto. Questa è forse la pratica militare più diffusa nel Medioevo327. Era fi nalizzata alla devastazione del territorio nemi- co, in modo da privarlo di vigneti, alberi da frutto e coltivazioni varie; all’ucci- sione o al saccheggio del bestiame; al saccheggio sistematico dei centri minori e al terrorizzare le popolazioni. La distruzione sistematica del territorio e l’effetto psicologico derivato rendevano incapace il nemico di una qualunque azione osti- le, anche per gli anni a venire. I guastatori erano uomini con strumenti appositi, arruolati per effettuare la distruzione sistematica del territorio nemico. Sembra che queste truppe fossero arruolate in unità specifi che solo nei comuni maggio-

questa tecnica fu usata per la demolizione delle torri di Montemassi, dopo l’assedio del 1260 (G. BIANCHI, D. DE LUCA, S. GUIDERI, Le indagini archeologiche del deposito e delle emergenze in elevato, in Archeo- logia a Montemassi cit., pp. 133-134). Mentre una torre così abbattuta si può osservare sulla sommità del paese di Sticciano (ringrazio il dott. arch. Alessio Caporali per questa informazione). 323 Biccherna XIII, pp. 81, 84. 324 Rispettivamente: Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Chigi, L. VIII. 296, cc. 189r.; 27r. In un manoscritto francese del 1290 è raffi gurato un assedio che si distingue per la ricchezza di macchine belliche e stratagemmi applicati dai combattenti. In particolare sono ben visibili i lavori di sca- vo delle gallerie, con uomini in usbergo (uno addirittura con un elmo chiuso) raffi gurati mentre scavano e portano via le terra: Parigi, Bibliothèque National de France, Traité de l’art militare de Vègéce, Ms. Fr, c. 57v. 325 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. B.R. 20, c. 6r. 326 Gallerie probabilmente scavate dagli uomini del conte Aldobrandeschi: WINKELMANN, Acta imperii cit., doc. 693, p.553. 327 A.A. SETTIA, Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo, Roma Bari 2002, pp. 31-55; F. BARGIGIA, Ita quod arbor viva non remaneat: devastazioni del territorio e prassi ossidionale nell’Italia dei comuni, in «Reti Medievali Rivista», VIII, 2007. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 61 ri, mentre negli altri eserciti tutti i combattenti erano tenuti a condurre queste operazioni: nel 1280 le città di Matelica e Macerata dovevano mandare i propri milites e pedites all’esercito papale con tutto il necessario per procedere al guasto del territorio nemico328. Invece Firenze nel 1260 riuscì a schierare 200 guastatori armati di mannaie e di scuri, e ne disponeva di altri 600, tutti con il solo compito di devastare i territori nemici329. A Siena sembra che le due situazioni convives- sero: in alcuni casi vi erano veri reparti di guastatori, ogni squadra con le proprie insegne, di cui abbiamo la prima notizia nel 1229330. In altre circostanze veniva ordinato a tutti i combattenti di prendere parte alle opere di guasto: a tutti gli uomini che combatterono all’assedio di Montalcino nel 1260, prima di prendere congedo dall’esercito, dovettero ultimare il guasto del territorio331. Erano armati anche loro di scuri e mannaie, di roncole, pennati e picconi. Inoltre per quest’oc- casione furono appositamente fabbricate 1000 falci fi enaie, e fu ordinato, a quanti tra le milizie rurali del contado ne possedessero una, di portarla332.

2. L’espansione senese in Maremma negli anni Cinquanta e l’esempio di Tornella 2.1. Il 1255: l’anno dell’affermazione senese in Maremma Con la pace del 1254 Orvieto si garantiva ancora una volta l’appoggio dei conti di Pitigliano, confi dando nelle capacità militari degli Aldobrandeschi come forza armata per arginare la minaccia senese. Proprio in quest’anno il conte Um- berto fu capitano dell’esercito di Orvieto, riportando successi militari contro Todi e Foligno333. Come già accennato, il trattato di pace di Stomennano del 1254 obbligava Siena a restituire agli Aldobrandeschi di Sovana e Pitigliano le terre sottratte loro durante la guerra, ma riconosceva a Siena la sua infl uenza su gli altri territori ma- remmani. Probabilmente approfi ttando della forte posizione di Piancastagnaio e dell’impegno nelle guerre orvietane di Umberto, i senesi tentarono di incunearsi nelle terre degli Aldobrandeschi: quasi subito dopo gli accordi di pace poterono ottenere la sottomissione dei signori di Sticciano, Montorsaio, Sassoforte, Cini- giano, Fornoli, Civitella e Pari334. Questi si erano già sottomessi a Siena nel 1251,

328 A. ZONGHI, Carte diplomatiche fabrianesi, Ancona 1872, doc. 230, p. 269. 329 Il libro di Montaperti cit., pp. 16-17; 99. 330 Biccherna I-II, p. 181. 331 ASS, Consiglio Generale 9, c. 149v. 332 ASS, Consiglio Generale 9, cc. 148r-150r. 333 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 128. 334 REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 135-136. Si veda inoltre: CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 176. 62 Marco Merlo ma la vittoria fi orentina e orvietana aveva fatto decadere tali patti, ricollocandole nell’area Aldobrandesca, per cui era necessario redigere nuovi trattati. In Campagnatico Siena, apparentemente interessata a mediare i confl itti interni ai Visconti di Campiglia, veri detentori del potere signorile sul castello, sollecitata nel 1254 proprio da uno di loro, Ugolino Visconti335, uomo vicinissimo alle politiche senesi, inviò un proprio rettore336 e continuò a tenere nella torre una propria guarnigione, già insediata nel 1249337, a spese della comunità locale, con l’evidente intento di incrinare l’autorità aldobrandesca, a cui il castello doveva fedeltà. Le dispute interne furono risolte con l’invio del giudice Sinibaldo il 10 gennaio338 e il 3 marzo veniva imposta una guarnigione che garantisse la pace tra le parti in lotta e l’obbligo di non alienare il castello339. Allo stesso modo, nel 1255, una discordia intestina a Montorsaio procu- rava a Siena il pretesto di intervenire. L’intento di portare sotto di sé il castello era palesato da due consigli segreti che esplicitavano come fosse necessario che quella terra deveniat ad manus Sensium340, ma non con un interevento diretto, bensì inviando degli uomini che in illa contrata ut summoneant terras secrete ita quod, si expedierit, vadant ad terram dictam et fi at ita quod habeatur pro comuni senensi341. Al notaio Ildebrandino, che si trovava sul luogo fi n dall’inizio della vicenda, Siena affi ancò due boni homines, Cristoforo Mancini e Chiarimbaldo Boccacci, a cui però fu impedito di entrare a Montorsaio. Quindi Siena ordinò loro di non tentare un’azione armata e di attendere a Campagnatico, dove ormai la presenza senese si era consolidata, l’invio di Sterpolo, che era impegnato in missione a Sassoforte342, a cui un Consiglio Segreto aveva dato pieni poteri343. Non sono noti i dettagli delle iniziative intraprese da quest’ultimo, ma sembra che fosse riuscito, grazie a una sua personale rete di contatti, a portare verso l’asse senese gli uomini di Montorsaio, consegnando al comune il castello. Infatti il 21 gennaio, quando un Consiglio Generale volle inviare il giudice Giacoppo presso di lui con i denari utili al successo della missione (evidentemente la corruzione rientrava nei metodi di Sterpolo), i membri del Consiglio ne avevano perso le tracce, non sapendo se si trovasse a Civitella o in altra località344; in quei giorni

335 ASS, Consiglio Generale 4, c. 11v. 336 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 1v, 5v, 20r. 337 ASS, Consiglio Generale 1, c. 9r. 338 ASS, Consiglio Generale 4, c. 12v. 339 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 32r-32v. 340 ASS, Consiglio Generale 4, c. 12r. 341 ASS, Consiglio Generale 4, c. 12r. 342 ASS, Consiglio Generale 4, carta inserita tra le cc. 13v e 14r. 343 ASS, Consiglio Generale 4, c. 15r. 344 ASS, Consiglio Generale 4, c. 19r. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 63 i contatti con Siena erano tenuti da Cristoforo Mancini, che continuava a inviare rapporti sulla situazione. Nonostante ciò l’azione di Sterpolo, soprattutto presso il signore di Civitella e i signori di Montorsaio, dette i suoi frutti. Il 23 gennaio il Consiglio della Campana approvava l’invio di quattro uomini a custodia del castello e delle torri di Montorsaio345. Il 30 marzo i signori di Montorsaio fu- rono chiamati a Siena con lo scopo di dirimere le dispute346; ma nel frattempo i senesi iniziavano segretamente i lavori per la costruzione di un cassero ai piedi della torre347 e, dopo aver tentato di trattenere i signori in città con diverse scuse, costoro, quando palesarono la volontà di ritornare presso le proprie terre, furono imprigionati348. Durante la detenzione furono persuasi ad alienare a Siena, per 2000 lire, la propria metà di castello, ma dovettero rimanere in prigionia fi no alla conclusione dei lavori di costruzione del cassero senese349. Nel maggio dello stesso anno, recuperati i fondi necessari all’acquisto350, i signori di Montorsaio351 furono obbligati ad abbandonare le proprie terre352, e l’autorità di Siena vi insediò un castaldo per amministrarlo, un capitano, Ugone Aldelli353, con due sergenti e un uomo di guardia alle torri per difenderlo354. A questo punto Siena poteva riprendere i rapporti con Sassoforte. L’obiet- tivo era quello di far divenire il castello maremmano il fulcro della rivolta contro gli Aldobrandeschi. Sterpolo infatti, prima di essere richiamato per la questione di Montorsaio, si trovava proprio a Sassoforte come ambasciatore senese presso il signore del castello. Le autorità senesi gli garantirono appoggio economico e logistico se avesse formato una lega di signori maremmani che impegnasse mili- tarmente gli Aldobrandeschi355. Tuttavia i senesi si preoccupavano di non arrivare ad brigam et guerra, andando contra formam pacis stipulata con Firenze356, cosa che non favorì i rapporti con Sassoforte e nelle riunioni consiliari del comune si iniziò a parlare del factum de Saxoforte357. Infatti nella questione era intervenuto

345 ASS, Consiglio Generale 4, c. 19v. 346 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 40r, 41r-42v. 347 ASS, Consiglio Generale 4, c. 45v. 348 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 45v, 47r-48r. 349 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 48v, 52v, 58v. 350 ASS, Consiglio Generale 4, c. 61r. 351 Per una precisa e dettagliata analisi delle vicende di Montarsaio nel 1254 e nel 1255 si veda: M. MORDINI, La comunità di Montorsaio e i suoi stauti. Sviluppi storico-isituzionali dalla signoria rurale all’inserimento nello stato di Siena, Grosseto 2004, pp. 30-42. 352 ASS, Consiglio Generale 4, c. 68r. 353 Biccherna XVI, p. 64. 354 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 74r-74v. 355 ASS, Consiglio Generale 4, c. 14r. 356 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 37r-38r. 357 La prima menzione è del 17 febbraio: ASS, Consiglio Generale 4, 27v. 64 Marco Merlo

Ildebrandino di Bonifacio che, sebbene alleato di Siena, si opponeva con fermezza a colpire il cugino Umberto. Ciò probabilmente non fu dettato da un riavvici- namento dei due rami degli Aldobrandeschi, ma piuttosto dalla convinzione che i senesi tentassero di esacerbare i rapporti con Umberto col fi ne di provocarne una reazione armata e quindi intervenire in virtù del proprio diritto giuridico. Già Ciacci aveva osservato come Siena stesse consapevolmente tramando contro il conte di Pitigliano e si premurava solamente di non fornire pretesti a Firenze per intervenire nelle questioni maremmane358. Difatti i senesi il 6 marzo autorizzavano le autorità grossetane, sempre con la mediazione di Sterpolo, a intervenire libera- mente verso Istia, minacciata dal conte Umberto, e unirsi con altri signori della Maremma359, ma avvertivano che Siena non si sarebbe impegnata direttamente360. Il conte Umberto, tornato alle sue terre dopo aver condotto la vittoriosa compagna in Umbria al comando dell’esercito di Orvieto, dovette trovare la re- gione ormai fortemente destabilizzata e la sua reazione fu quella di un aristocra- tico avvezzo alla guerra. Saputo di un abboccamento presso Scansano tra i signori che progettavano la ribellione fi lo senese, tra cui il signore di Sassoforte e il signore di Montorgiali, attaccò la località, ma i congiurati riuscirono a riparare a Grosseto361. In seguito fomentò ribellioni presso i castelli ormai fedeli a Siena e nelle aree amiatine. Il primo castello a temere un’azione del conte fu quello di Prata. La sua signora Adalasia, fi glia di Rinaldo degli Alberti di Monterotondo e vedova di Gherardo da Prata che, secondo gli accordi stipulati con Siena, sarebbe stata reggente del castello di Prata fi no al ventunesimo anno di età dei fi gli362, scriveva già il 7 febbraio al Consiglio della Campana, avvertendo del timore che Umber- tus cum exercitu ad depopulationem terre sue accedat363. L’8 marzo, durante un Consiglio Generale, vennero lette altre lettere di Adalasia nelle quali denunciava gli uomini dei Pannocchieschi che disturbavano con azioni di guerriglia i lavori di scavo nelle miniere del Monte Ciriota364. Le autorità senesi decisero di inviare degli ambasciatori per verifi care la realtà dei fatti. È documentato il pagamento, in più rate, a Bernardino Mezzolombardo per la sua missione uffi ciale presso il

358 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., pp. 127-128, 139-141, 150. 359 ASS, Consiglio Generale 4, c. 34r. 360 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 41v-42r. 361 ASS, Consiglio Generale 4, 15r. 362 ASS, Caleffo dell’Assunta, cc. 473v-474r. Nei patti stipulati il 10 settembre 1254 era previsto, tra le altre cose, che Adalasia in cambio della protezione senese cedesse al comune la terza parte del me- tallo estratto dalle miniere d’argento del Monte Ciriota. Su questi patti e l’incidenza dell’argento estratto dal Monte Ciriota nelle politiche senesi: FARINELLI, FRANCOVICH, Paesaggi mineraricit., p. 479. 363 ASS, Consiglio Generale 4, c. 25v. 364 ASS, Consiglio Generale 4, c. 35v. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 65

Monte Ciriota; altri tre pagamenti sono destinati a Palmerio Donaccorsi, Forte- guerra Giuinisi e al notaio Giacomo di Chianciano qui vadunt, pro Comuni, ad capiendam tenutam Montiscirioti et eius curie ex forma Consilii Campane365. Il 21 maggio gli ambasciatori, di ritorno dalla missione, confermarono i fatti de- scritti da Adalasia, e quindi Siena decise d’intervenire poiché in quegli anni rice- veva regolarmente la terza parte dell’argento estratto da quel monte: fu deliberato di trattare con i Pannocchieschi per tentare di fermare le loro azioni di disturbo pro recipienda parte sua366 e il 21 marzo la signora di Prata fu rassicurata che i la- vori di estrazione potevano proseguire con sicurezza. Tuttavia le preoccupazioni di Adalsia non erano infondate: il 25 marzo 1256, a un anno di distanza dall’inter- vento diplomatico senese, Rosso di San Lorenzo occupò militarmente il castello, intimando agli abitanti con la violenza di non ubbidire ad Adalasia. Ma a questo punto Siena inviò milizie con l’obiettivo di assalire il castello e distruggere torri e cassero367. L’assedio si concluse il 25 ottobre 1256 con il ripristino dell’autorità di Adalasia e la riconferma dei patti con Siena368, che insediò nel cassero del castello sei masnadieri pagati dal comune369. Mentre il 17 marzo 1255 Ranieri di Sticciano denunciava cinquanta uomini del suo castello che si erano mossi per consegnare Sticciano stessa a Umberto, e pertanto chiedeva a Siena l’invio di venticinque balestrieri e venticinque sergen- ti370. Siena, non ritenendo prudente intervenire direttamente, ingiungeva al conte Umberto e a suo fratello Ildebrandino e al conte Ildebrandino di Santa Fiora, di non dare ricetto ai fuoriusciti di Sticciano, come stabilito dal trattato di pace371, che proprio Siena aveva infranto di continuo, ma allo stesso tempo esortava tutti i suoi alleati nella regione a intervenire in aiuto di Ranieri372. Umberto richiese il supporto di Firenze, questione seguita con attenzione dalle spie senesi373, ma di fatto i fi orentini non accennavano alcuna mossa. Ciò permise a Siena di intervenire con maggiore vigore, senza più delegare la faccen- da a Bertoldo di Sassoforte, che ancora all’inizio di maggio era defi nita mena374, a indicare oramai più un oneroso impegno diplomatico che un vantaggio strategico.

365 Biccherna XVI, pp. 19; 57; 81; 83; 86; 87. 366 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 67r-67v. 367 ASS, Consiglio Generale 7, c. 53r. 368 A. LISINI, Notizie delle miniere della Maremma toscana e leggi per l’estrazione dei metalli nel Medioevo, in «BSSP», XVII, 1935, p. 247. 369 Biccherna XVII, p. 91. 370 ASS, Consiglio Generale 4, c. 40r. 371 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 40r-40v. 372 ASS, Consiglio Generale 4, c. 41v. 373 ASS, Consiglio Generale 4, c. 36v. 374 ASS, Consiglio Generale 4, 58v. 66 Marco Merlo

Il conte Umberto per rappresaglia attaccò Belagaio, Fornoli e Seggiano saccheggiandole375 e Siena, sempre confi dando nel suo apparato diplomatico, mi- nacciava sia i conti di Pitigliano sia Ildebrandino di Santa Fiora, che continuava a opporsi alla politica senese, di denunciarli presso le autorità fi orentine376. Siena del resto aveva anche tentato una pace, ovviamente a suo vantaggio, con il conte Umberto377. In un secondo momento, il 23 aprile, addirittura propose una pace te- lem qualem fecerunt Florentini nobiscum378 e il 4 luglio furono inviati ambascia- tori cum articulis pacis scripti, che però avevano ricevuto segretamente l’ordine di piegare al dominio senese le terre di Umberto379, ma non essendo registrata alcuna risposta possiamo supporre che il conte non abbia voluto scendere a patti, forse intuendo l’inganno. Siena infatti tra la proposta del 23 aprile e l’invio degli ambasciatori il 3 luglio, potenziava la lega contro Umberto. Il 24 giugno si apprese a Siena che in Montegiovi si stava conducendo una lotta intestina poiché una fazione voleva consegnare al conte l’autorità sulle loro terre380. Un Consiglio Segreto propose l’invio di dodici masnadieri381 e il coinvolgimento di Montelaterone, Seggiano e le genti di San Quirico d’Orcia, ordinando al locale vicario senese, Arrisolo d’Ac- carisio, di fornire tutto l’aiuto possibile contro gli Aldobrandeschi382. Il 28 settembre Montanello da Sovicille lesse una lettera inviata da Sasso- forte in cui veniva avvertito il Consiglio della Campana che anche i signori di Rocca Tederighi avrebbero voluto sottomettersi all’autorità senese383: i contatti politici senesi in Maremma continuavano a dare frutti. Intorno al novembre 1255 Ildebrandino di Bonifacio face rapire dai Pan- nocchieschi di Montemassi Uguccione, fratello di Bertoldo di Sassoforte, men- tre combatteva contro i fi gli del conte Guglielmo384. Siena provò persino a or- ganizzare quella che sembra essere un’avventurosa missione segreta presso il castello di Montemassi, dove era detenuto Uguccione, inviando qualcuno che segretamente lo facesse evadere385, missione per la quale è registrato un paga-

375 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 52v-53v. 376 ASS, Consiglio Generale 4, c. 55v. 377 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 41v.42r. 378 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 53r-53v. 379 ASS, Consiglio Generale 5, c. 3v. 380 ASS, Consiglio Generale 4, c. 78v. 381 ASS, Consiglio Generale 4, c. 79r. 382 ASS, Consiglio Generale 4, cc. 60v, 79v. 383 ASS, Consiglio Generale 5, c. 38r. 384 FARINELLI, Castelli e popolamento cit., p. 46; ID, Il castello di Montemassi attraverso la docu- mentazione del XIII secolo (1203-1266), in «Bollettino della Società Storica Maremmana», 70-71, 1997, p. 45. 385 ASS, Consiglio Generale 5, cc. 50r-50v. Si veda anche Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 67 mento a Fede di Adote386, che probabilmente fallì poiché Uguccione fu liberato nel 1256. Era quindi di vitale importanza per Siena, che si trovava con le casse vuo- te387, riuscire a dominare con qualunque mezzo tutti i centri castrensi, anche di dimensioni ridotte, come le importanti posizioni di Montelaterone e Montorsaio, o Campagnatico che controllava la Maremma grossetana e la valle dell’Ombrone. In questo contesto strategico si inseriscono gli eventi che portarono all’as- sedio di Torniella. Un altro aspetto problematico legato alla Maremma riguarda- va le vie di comunicazione. Le strade maremmane, sebbene strette e disagevoli, collegavano le coste della Toscana meridionale alle importanti arterie stradali del centro Italia. Siena si era impegnata già nei decenni precedenti nella manutenzio- ne delle strade che dalla città si dipanavano verso le altre terre388, ma molte rima- nevano sempre di diffi cile percorrenza, soprattutto l’impervio territorio collinare maremmano. Proprio nel 1255 furono nominati tre uffi ciali posti alla revisione e manutenzione delle strade entro due miglia dalla città389. Anche Pisa, quando negli anni Ottanta del XIII secolo riprese il suo espansionismo in Maritima, si preoccupò di creare nuovi collegamenti stradali, come quella detta “via di Vigna- le”, che traversava Suvereto, Campiglia, Piombino, Vignale e Scarlino390. Le strade della Maremma preoccupavano Siena anche per la sicurezza dei propri cittadini: il 23 gennaio 1254 il Consiglio della Campana dibatteva sulla sicurezza delle strade maremmane per i cittadini senesi, la cui delibera fu rie- laborata e immessa nello statuto del 1262, alla rubrica De consilio fi endo super pedaggio, quod civibus sensibus auferetur in Maritima391; ancora negli anni Set- tanta mercanti e vetturali senesi subivano furti di strada da parte degli abitanti dei castelli maremmani: solo a titolo di esempio, l’11 settembre 1279 Siena ingiunse a quelli di Prata di restituire a Dono e Giunta, vetturali senesi, ciò che gli aveva- no rubato quando si trovarono a passare per le loro terre, indicando i nomi dei dodici presunti colpevoli392, e nel 1299 vennero scritti gli Ordinamenti a evitare li passagi e le maltolte in Maremma, convenuti nello statuto del 1309393, che si

386 Biccherna XVI, p. 87. 387 Per trovare i soldi per l’acquisto del castello di Montorsaio un Consiglio senese stabilì di chiedere un prestito di 2000 lire, che ottenne minori merito vel usura XVIII librarum per centenarium: ASS, Consiglio Generale 4, c. 61r. Sull’argomento si veda: CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., pp. 142-143. 388 BARGIGIA, L’esercito senese cit., p. 74. 389 Biccherna XVI, p. 117 390 Satuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a cura di F. BONAINI, vol. I, Firenze 1854, p. 491. 391 Il Costituto del comune cit., p. LXXXI e dist. IIII, rubr. XVIIII, p. 408. 392 ASS, Consiglio Generale 18, c. 78r. 393 REDON, Lo spazio di una città cit., p. 146-147. 68 Marco Merlo preoccupavano soprattutto dei percorsi che conducevano a sud di Petriolo, verso l’Ardenghesca e Grosseto, e del cammino che conduceva verso il mare. Chiara- mente Siena mirava a garantirsi uno spazio economico e commerciale per sfrut- tare le risorse naturali offerte dalla Maremma ma, contemporaneamente, teneva sotto osservazioni percorsi stradali utili al passaggio delle truppe394. Proprio dal castello di Torniella, che si ergeva sul crocevia che segnava il confi ne tra i territori senesi e quelli degli Aldobrandeschi, si dipanavano in di- verse direzioni alcune importanti arterie stradali che agevolavano la circolazione nella regione395, altra rilevante motivazione dell’interesse senese.

2.2. L’assedio di Torniella Torniella, retta per lungo tempo da una consorteria, nel 1233 divenne una comunità di castello396. I rapporti con Siena sono documentati dal giugno 1229, quando il bali- tore Toscanello si recò per tre giorni presso Ranieri di Torniella e Bonifacio di Civitella397. Il 28 gennaio 1251 a Grosseto Ranieri di Torniella in persona giurò sottomissione alle autorità senesi e, nel medesimo giorno, i suoi fi gli Guido e Ugo formalizzarono lo stesso giuramento in Siena: l’atto obbligava i signori di Torniella a divenire cittadini senesi e nemici dei conti Guglielmo e Ildebrandino, già nemici di Siena398, e nel 1254 furono tra i primi signori a sottoscrivere nuova- mente il giuramento. Il 22 agosto 1255 venne convocato il Consiglio della Campana per discute- re super facto de Tornella399. Qualche settimana prima, il 17 luglio, un consiglio speciale aveva esaminato la richiesta di Alberto di Torniella e dei suoi fratelli, nella quale affermavano che avrebbero voluto redire ad mandata potestatis et comunis Senarum400; le autorità senesi sembrano non avere particolari obiezioni e deliberano di accoglierli e di mandare ai fratelli tale Ferrum de Senis con le opportune credenziali per trattare401.

394 Sull’uso militare delle strade toscane nel Duecento: E. SALVINI, Il territorio e le strade nel XIII secolo, in Guerre e assoldati cit., pp. 157-166. Sulle politiche stradali nella Toscana medievale: T. TSABÒ, Comuni e politica stradale in Toscana e in Italia nel Medioevo, Bologna 1991. 395 Le strade che si dipanavano dal castello di Torniella emergono chiaramente anche dalla celebre carta libertatis del 1233, trascritta in: REDON, Uomini e comunità cit., pp. 148-151. 396 REDON, Le Comunità di castello cit., p. 67. 397 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 134. 398 ASS, Capitoli 16, c. 3r; CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 162. 399 ASS, Consiglio Generale 5, c. 19v. 400 ASS, Consiglio Generale 5, c. 10v. 401 Non conosciamo l’identità esatta di questo Ferro, ma l’anno precedente era stato pagato Ferro Bencivenni per un’ambasciata ad Arezzo (I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 69

Le vicende che portarono all’assedio di Torniella sono poco chiare: il 19 agosto 1255, a quasi un mese di distanza dalla decisione di trattare con i fi gli di Ranieri, si riunì un Consiglio Speciale e di Balìa che organizzò una missione presso Torniella, riguardante proprio i fi gli di Ranieri, che ha tutta l’aria di essere segreta ed enigmatica402. Questa era fi nalizzata a ottenere delle informazioni (non specifi cate) dai signori di Torniella, senza che però questi sapessero che tali infor- mazioni sarebbero arrivate a Siena. Senz’ombra di dubbio siamo in presenza di una di quelle missioni di spionaggio per le quali Siena aveva creato fi n dal 1229 una complessa, quanto effi ciente, rete di agenti verso tutti i territori con i quali in- tratteneva rapporti politici403, che aveva usato effi cacemente nei mesi precedenti proprio nelle questioni maremmane404. In virtù dei patti di sottomissione del 1251 e del 1254, Siena aveva diritto giuridico di intervenire manu militari nel caso in cui i signori del castello di Torniella avessero infranto i giuramenti. Nell’introdu- zione all’edizione del sedicesimo libro di Biccherna è detto che la guerra contro il castello maremmano fu mossa poiché i fi gli di Ranieri avevano assalito e incen- diato il castello di Lugnano, retto da Gualfredo, Alifonso e Buonaccorso di Pane, fedeli di Siena, contravvenendo ai patti stipulati nel 1254405. Dalle fonti documentarie apprendiamo che Ugo di Torniella fu effettiva- mente a capo di una piccola spedizione contro il castello di Lugriano (quindi Luriano e non Lugnano), la cui curia confi nava con quella di Torniella, e ci fu davvero uno scontro armato, una rixa precisa la fonte, con Bonaccorso di Pane, che reggeva il castello per conto di Gualfredo di Alifonso, durante il quale Ugo ruppe la porta del castello e colpì a morte il cavallo di Bonaccorso. Ma per tale azione fu condannato a Torniella, secondo gli ordinamenti di giustizia senesi, del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Quindicesimo libro, anni 1253-1254, Siena 1939, d’ora in avanti Biccherna XV, p. 77). Dalla documentazione fi n’ora nota non è possibile sapere se si tratti della stessa persona o di un caso di omonimia. 402 ASS, Consiglio Generale 5, c. 19r: quod duo propinqui seu amici […] fi liorum olim domini Ra- nerii de Tornella vadant ad Tornellam, et non videatur quod vadano pro comuni, et debeant dicere dictis fi liis Ranerii quod a quodam eorum amico intellexerunt quod unus amicus eorum tractaverit cum comuni Senarum pro actando eos cum comuni senensi propter quod dicano se intellexisse quod ipsi non fecerunt aliquam responsionem inde comuni, de quo dicano se fortiter mirati fuissent quando illud intellexerunt, et dicano eis: no venimus ad faciendum ut propinqui et amici qualiter ista se habuerunt, et ipsi ut sapien- tes sentiant quicquid inde fi eri poterit, mittere ad istud consilium vel cum pluribus ut eis videbitur et d. concedente inde capietur illud quod erit honor potestatis et comunis senensis, et si petierint securitatem Senas venienti, detur eis. 403 A.A. SETTIA, Pro novis inveniendis. Lo spionaggio militare senese nei libri della Biccherna (1229-1231), in Fortilizi e campi di battaglia cit., p. 31-49, oggi riedito in SETTIA, Tecniche e spazi della guerra medievale cit., pp. 167-187 404 A. CIRIER, Un altro aspetto della battaglia di Montaperti, in Alla ricerca di Montaperti cit., pp. 126-133. 405 Biccherna XVI, p. V. 70 Marco Merlo al pagamento di settanta lire come risarcimento. Durante il processo Ugo in un primo momento negò la sua responsabilità, appoggiato dal falso giuramento in suo favore del padre Ranieri e dei fratelli. Il giudice convocò ancora il signore di Torniella e i suoi fi gli, ma questi non si presentarono. Fu scoperto che costoro non solo avevano spergiurato, ma che anch’essi erano responsabili dell’attacco a Lu- riano, autori di incendi e ruberie all’interno del castello, e pertanto vennero tutti condannati406. Su questa vicenda le fonti note non fanno più menzione, lasciando pensare che si sia tutto risolto con il pagamento delle pene pecuniarie. Tuttavia, considerata la malizia con cui Siena strutturava le proprie relazioni diplomatiche, non sarebbe fuori luogo credere che il comune avesse deliberatamente, e con se- gretezza, deciso di creare un casus belli, sfruttando i fatti avvenuti a Luriano, per intervenire anche su Torniella, uno degli ultimi castelli su cui il conte Umberto avrebbe potuto riaffermare la propria autorità. Al di là delle ipotesi il 21 agosto, due giorni dopo la decisione di inviare Ferro, in una sessione del Consiglio Generale, si parla già del “fatto di Torniel- la”407. Questo Consiglio è tenuto a deliberare riguardo alla relazione fatta, proprio sul caso, da Nepoleone Ciampoli408. Nepoleone era uomo noto per la sua abilità ed esperienza militare: nel 1253 fu pagato dal comune per aver arruolato, addestrato e inquadrato nell’esercito senese uomini del contado409. Tra gli anni 1253 e 1254 risulta essere il castellano di Castiglione del Trinoro410, carica che anche a Siena, come altrove, garantiva una rapida carriera militare411. Fu proprio lui il capitaneo militum del contingente senese inviato in aiuto di quello fi orentino contro Arezzo412. Nel 1256 è a capo di un’ambasciata delicata presso Villa Scarcia ad loquendum cum ambaxatoribus de Colle Vallis Else, occasione exbannitorum partis utrisque413. Nel 1258 fu nuova- mente ambasciatore presso Colle Val d’Elsa e si recò a Poggibonsi per prelevare le salme, molto probabilmente per uso bellico, preparate dallo speziale Maffeo414. Ancora nel 1258 fu uno dei 12 uffi ciali posti alla supervisione dei lavori di costru-

406 ASS, Capitoli 16, c. 11v 407 ASS, Consiglio Generale 5, c. 19v. 408 In sole due occasioni, nei registri del Consiglio Generale Nepoleone viene trascritto come Lepoleone. Si tratta sicuramente di una svista del trascrittore poiché anche nei Libri di Biccherna, proprio per questa missione e per la relazione, i pagamenti sono intestati a Nepoleone Ciampoli: Biccherna XVI, p. 64. 409 Biccherna XIV, p. 77. 410 Biccherna XV, pp. 56, 79. 411 Per il Mezzogiorno d’Italia, a partire dalla metà del Duecento: R. LICINIO, Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai normanni a Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1994, pp. 246-251. 412 Op. cit., p. 70. 413 Biccherna XVII, p. 87. 414 Rispettivamente: Biccherna XIX, pp. 144-190. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 71 zione dei fossati e della cerchia muraria delle castellacce415, incarico riconfermato l’anno successivo416, durante il quale fu anche mandato dal comune al servizio del vescovo di Arezzo417. Nel primo semestre fu pagato per aver comandato i 21 masnadieri mandati a Campagnatico nei giorni precedenti alla misteriosa morte del conte Umberto418, e in seguito svolse un’ambasciata a Mensano419. Proba- bilmente a seguito dell’incarico ad Arezzo del 1258, nel maggio del 1260, fu nominato capitaneus militum di 84 milites appositamente scelti in tutti i Terzi, per soccorrere i ghibellini di Arezzo, combattendo contro i lucchesi a Fucecchio e condusse almeno due ambasciate dal campo senese420. Ancora nel 1260 fu posto al comando di un corpo di spedizione in soccorso del castello di Montelaterone, che contava da 33 milites del Terzo di San Martino e 67 cavalieri degli altri due Terzi, 25 balestrieri e altrettanti pavesari.La comprovata attitudine militare del Ciampoli ci induce a pensare che la relazione sia stata ordinata a scopi bellici, e la sua missione sia stata appositamente pensata per l’imminente intervento armato. Per svolgere la missione a Torniella, ex forma Consilii secreti, Nepoleone fu affi ancato da Ildebrandino di Tolomeo421 che ebbe anche l’incarico, insieme a Maconcino domini Viviani, di recarsi per comitatum Terzerii Civitatis ad micten- dum homines et Comunia in exercitu de Tornella422. Anche Ildebrandino doveva essere un uomo pratico di guerra poiché fu uno dei fi nanziatori, in seguito rim- borsati, della spedizione su Torniella423. A complicare le cose Firenze, sulla base dei trattati del 1254, richiese ai senesi d’inviare un corpo di spedizione che affi ancasse le milizie fi orentine424, contro Arezzo. Quest’ultima era colpevole di aver assalito un contingente fi o- rentino, al comando di Guido Guerra, mentre si recava in aiuto di Orvieto. Siena quindi dovette radunare un contingente ragguardevole che fu impegnato in questa campagna, al cui comando fu messo proprio Nepoleone Ciampoli425. Quindi il fatto de Tornella andava trattato con una certa delicatezza e urgen-

415 Biccherna XIX, p. 203. 416 Biccherna XX, p. 111. 417 Biccherna XX, p. 44. 418 Biccherna XXI, p. 24. 419 Biccherna XXI, p. 48. 420 MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, cit., pp. 164-165. Da questo documento apprendiamo che ad affi ancare Napoleone durante la missione vi fu Giusberto Rodolfi ni. 421 Biccherna XVI, p. 64. 422 L. cit. 423 Op. cit., pp. 19-20 424 Sulla base di patti stipulati il 31 luglio 1255 a San Donato in Poggio. 425 L’elenco dei cavalieri e dei fanti di questo corpo di spedizione si trova in Biccherna XVI, pp. 65-72. 72 Marco Merlo za. Ciò lo si evince bene dalla decisione di aggiungere al Consiglio Segreto otto boni homines per ogni Terzo. Il Consiglio riunito il 22 agosto ascoltò le proposte di vari consiglieri426: tutti coloro che presero parola, Bernardino Mezzolombardo, Renaldo Gili, Gen- tile di Monticiano e Arrigo di Jacopo, concordarono sul fatto che la questione andasse trattata con riservatezza, ma ognuno di loro suggerì differenti modalità di intervento. A questa fretta e a questa segretezza va imputata la richiesta di Firen- ze, poc’anzi ricordata, di ricevere da Siena un aiuto militare. Infatti Bernardino, continuando la politica senese che tentava di non causare un coinvolgimento dei fi orentini nelle questioni maremmane, spiegò che il fatto di Torniella retineatur secretum et differatur donec exercitum fl orentinus fi et si fi et vel non fi et, et si fi eret dictus exercitus, differatur dictum factum donec fuerit reversus dictus exercitus, et postea potestas faciat consilium de dicto cum sibi videbitur et in eo mittetur et Domino concedente inde melius capietur. Renaldo Gili sembra essere più pruden- te e, dopo aver sottolineato anche lui che il fatto richieda segretezza, suggerisce che venga riunito un Consiglio apposito che decida come e quando organizzare una cavalcata su Torniella427, e indica inoltre da chi debba essere composto. In- vece l’intervento di Gentile di Monticiano è decisamente più risoluto e bellicoso: propone il raduno immediato di quanti a Siena possedessero un cavallo. Costoro nella notte successiva avrebbero dovuto fare una cavalcata su Torniella e, con- temporaneamente, suggerisce l’invio di nunzi nel Terzo di San Martino affi nché venissero convocati gli uomini in armi e anch’essi raggiungessero Torniella428. Possiamo dedurre che l’idea di Gentile fosse quella di aggredire il castello con un esercito composto da tutti gli uomini del Terzo di San Martino: ma dato che per organizzare la cosa attraverso il sistema dei banditori si sarebbe impiega- to diverso tempo, egli pensa che intanto sarebbe stato indispensabile organizzare una cavalcata composta da quanti in quel momento avessero un cavallo, i quali avrebbero avuto il compito di attaccare Torniella nella notte. In questo modo, secondo l’idea di Gentile, l’esercito avrebbe potuto essere inviato il giorno suc- cessivo. La registrazione dell’intervento di Gentile è di grande rilevanza poiché pa- lesa le differenze istituzionali che a Siena intercorrevano tra l’organizzazione di una cavalcata e di un exercitus.

426 ASS, Consiglio Generale 5, cc. 20r-20v. 427 Quod per potestatem et eius curiam et per VI boni homines pro eo et antiano set per consules utrisque mercantie videtur et ordinetur quomodo et qualiter fi at cavalcata apud Torniellam. 428 Quod omnes habentes equos in civitate Senarum equitent hoc sero ita quod nocte proxima ventura sint circa Tornellam, et quod mittantur hoc sero nuntium in civitate ex parte terzerii Civitatis quod crostino die sint et esse debeant apud Torniellam et inter cras et post cras exeat terzerius Civitatis et vadant apud Torniellam. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 73

Infatti è sottolineato di convocare immediatamente chiunque avesse imme- diata disponibilità di un cavallo e, presumiamo, l’equipaggiamento idoneo. Nello statuto del 1262, alla rubrica CLVI della Distintio I429, è specifi cato che alla caval- cata non avrebbero potuto prendere parte coloro che non teneat equum secundum modum ordinamenti seu statuti, vale a dire che, secondo la rubrica CLV, avrebbe- ro potuto parteciparvi solo chi era obbligato a tenere equum pro comuni430 e che, al momento della necessità ne potesse disporre, mentre tutti gli altri possessori di cavalli avrebbero partecipato solo all’esercito generale431. Da queste osservazioni ne consegue che il contingente inviato nello stesso anno ad Arezzo non fosse una cavalcata432, ma un corpo di spedizione composto da uomini selezionati in ogni Terzo cittadino a rinforzo dell’esercito fi orentino433, il cui comando spettava uni- camente ai fi orentini, tanto che il trombettiere del contingente senese, Guidone Rubeo, fu remunerato per il servizio reso in exercitu fl orentino, come specifi ca la fonte contabile434. Il parere di Arrigo di Jacopo fu quello di lasciare che la decisione sul come agire fosse presa dal Consiglio Segreto e dal podestà, con l’aggiunta ad hoc di otto boni homines per Terzo, e mettere in pratica quello che avrebbero deciso e ordinato. Alla fi ne il Consiglio deliberò che quod electio militum et balistariorum mictentium in servitio comunis fl orentini fi at primo quam ordinetur factum Tor- niella, et item est consilium in concordia quod sicut per potestatem et curiam et secretum consilium et VIII bono homines addicto dicto consilio secreto fuerit ordinatum et tractatum de facto et circa de Torniella, ita fi at et observatur dum tamen quod non reducatur amplius consilium. Pare quindi che il consiglio di Arrigo sia stato favorito dalle votazioni poiché il giorno successivo è registrata la sessione di un Consiglio Segreto con l’aggiunta di otto boni homines per Terzo che, in esecuzione del mandato del Consiglio Generale del giorno precedente, deliberarono che il giorno seguente venisse convocato un Consiglio per i fatti di Torniella, specifi cando che in eo

429 Il Costituto cit., pp. 65-66. 430 Quelli che Mazzini sostiene essere i veri guerrieri a cavallo: MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti, cit., p. 157. 431 Ciò nel Duecento provocò non poche diffi coltà, poiché i proprietari dei cavalli potevano essere anziani, infermi oppure deceduti. In quest’ultimo caso l’erede poteva essere un minorenne o una donna, portando al paradosso che in molti anni in città c’erano più cavalli che cavalieri. In altri casi alcuni indivi- dui vennero erroneamente inseriti nelle liste dei proprietari dei cavalli per il servizio armato del comune. Sull’argomento: WALEY, Siena e i senesi cit., pp. 227-232. 432 Come sostenuto in : BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale cit., p. 65. 433 Come specifi cato nei documenti: ASS, Consiglio Generale 5, cc. 20r-20v. 434 Biccherna XVI, p. 86. 74 Marco Merlo consilio legatur capitulum costituti quod loquitur de exercitu vel cavalcata quan- do fi eret per comune senense: sarebbe stato poi questo a decidere se organizzare un esercito o una cavalcata e le decisioni che avrebbe preso si sarebbero dovute rispettare435. Puntualmente il 23 agosto si riunì il Consiglio Segreto con gli otto boni homines per decidere in che modo intervenire. Questo deliberò che venisse orga- nizzato un esercito da inviare a Torniella436. Il documento è interessante perché descrive nel dettaglio le modalità con le quali Siena riuniva un corpo di spedizio- ne. In questo caso fu deciso di richiamare tutti gli armati del Terzo di San Marti- no, a questi dovevano aggiungersi tutti i balestrieri e tutti i mastri di mannaia dei Terzi di Città e Camollia. In più omnes comunitates comitatus Terçerii Civitatis incontinenti aut per litteras aut per nuntios aut per ambasciatores ut videbitur camerario et iiii dictis, requirantur quod vadant incontinenti in dictum exercitum et quod requirantur per ambasciatores dominos Pannochienses, ut cum fi delibus suis omnibus et Comune Monterii ut vadant in dictum exercitum, et cetera ordi- namenta et alia omnia necessaria ad dictum exercitum fi ant. Qui i dettagli sono di particolare rilevanza, perché fanno chiarezza su alcuni meccanismi istituzionali. Prima di tutto vediamo come sia mobilitato il comitato di Città, e non quel- lo di San Martino, con i cui uomini sarà composto l’exercitus; questo signifi ca che non necessariamente alla mobilitazione di un Terzo fosse ordinato al suo comitato di pertinenza seguirlo in battaglia. Ma apprendiamo che, fatto anche più interessante, gli ordinamenta venivano comunicati al contado non solo attraverso la comunicazione orale dei banditori, ma anche con ordini scritti, litteras, com- pilati dai notai. Questa prassi sembra nuova: tra gli anni 1226 e 1231 non si ha notizia di comunicazioni scritte, venendo usati solo i banditori437; alla metà del secolo però compaiono le prime testimonianze di comunicazioni scritte, anche se le fonti che le menzionano non forniscono la certezza sul loro reale contenu- to438. La decisione di questo Consiglio Segreto, invece, esprime chiaramente che le comunicazioni scritte erano uno degli strumenti alternativi ai banditori. È da osservare che hanno parte attiva nella convocazione dell’esercito il Camerlengo e i Quattro di Biccherna, cosa che risulta a nostro avviso solo da questa fonte; pertanto è diffi cile dire quanto fosse comune, o in quali circostanze, questi si oc- cupassero direttamente di questioni di materia militare.

435 ASS, Consiglio Generale 5, c. 21v. 436 ASS, Consiglio Generale 5, c. 21v. 437 BARGIGIA, L’esercito senese cit., p. 36. 438 BARGIGIA, DE ANGELIS, Scrivere in guerra cit., p. 13. Per il fatto di Torniella abbiamo i paga- menti a tre notai, Baldo Cittone, Guiduccino e Bonaventura Silvestri, per servizi, non meglio specifi cati, resi a Torniella: Biccherna XVI, pp., 100; 127; 132. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 75

Furono mobilitati numerosi banditori e nunzi, quest’ultimi contraddistinti dal berretto di panno rosso detto infule439, che a quanto emerge dai pagamenti dovettero stare per il contado più di un giorno. 23 soldi sono pagati a Conti ban- ditori, pro bannis que misit et servitisi pluribus que fecit apud Tornellam440. Il nunzio Paci, che evidentemente stette in missione per il comitato più giorni, ricevette un pagamento pro suo salario V. dierum quibus stetit per comi- tatum pro facto exercitus de Tornella441. Ancora sono pagati Gherardo, nunzio, qui ivit pro comitatum pro facto exercitus de Tornella442, e il nunzio Bonaiuto, qui ivit ad faciendum ire in exercitu apud Tornella443. Interessante è anche la composizione dell’esercito: tutti gli uomini di San Martino444 con tutte le comunità del contado del Terzo di Città, ma è deciso che vi si aggiungano anche tutti i balestrieri e i mastri di mannaia degli altri due Terzi. La presenza dei mastri indica che, fi n dalle discussioni preliminari, ci fosse la volontà di distruggere il castello. Mentre la presenza di tutti i balestrieri cittadi- ni indica che non sempre i balestrieri agissero coordinati con i pavesari, infatti nei libri di Biccherna sono registrati i pagamenti per la legatura e il trasporto di cinque salme di pavesi (procurate da Federico Sgabelli e Giacomo Montanini, e legate da Azzolino e Palmerio)445 e il pagamento per diciassette balestrieri446. Per le balestre è evidenziato il ruolo della Camera del comune: per fornire ai bale- strieri armi in ottime condizioni venne stabilito di dotare l’esercito delle migliori balestre conservate nella Camera del Comune, ma l’esatta quantità sarebbe stata decisa dagli uffi ciali della Biccherna447. E infatti troviamo i pagamenti per quat-

439 I nunzi svolgevano molteplici attività in guerra: non solo recavano dispacci dall’accampamen- to alla città e viceversa, ma assistevano gli uffi ciali del comune con differenti mansioni, montavano le tende e i padiglioni degli accampamenti, fi no a compiti di scorta montata. È certo che in molte circostanze si trovassero a operare durante battaglie e scontri armati, poiché in tali circostanze è documentato che molti di essi furono feriti: MAZZINI, L’esercito senese nel sabato di Montaperti cit., pp. 193-194. 440 Op. cit., p. 93. 441 Op. cit., p. 93. 442 Op. cit., p. 74. 443 Op. cit., p. 75. 444 La notizia è riportata anche nella cronaca Montauri: PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese, in Rerum Italicarum Scriptores a cura di A. Lisini, F. Iacometti, n.s., t. XV, part. XV/6.1, Bologna 1939, p. 183. 445 Biccherna XVI, pp. 78-79. Proprio su questo dettaglio si vedano le considerazioni di Settia in: A.A. SETTIA, De re militari. Pratica e teoria nella guerra medievale, Roma 2008, p. 225. 446 Op. cit., p. 79. Il salario di questi balestrieri fu retribuito in due rate: VI. libr. et VII. decem et septem balistariis, qui iverunt apud Tornellam, pro complemento eorum salarii, nomina quorum scripta sunt in isto libro expensarum factarum de mense octubris, quos habuit et portitit Barbarinus nuntius. Op. cit., p. 101. 447 ASS, Consiglio Generale 5, c. 25r. 76 Marco Merlo tro notai: Alessio di Arrigo e Manuele di Guido, positis ad invenindum balistas mictendas ad exercitum apud Tornellam; Bonaventure Silvestri, notario, qui ste- tit cum bonis hominibus pro invenindis balistariis mictendis ad exercitum apud Tornellam; e un’altro a Forese di Piero Favulis, pro invenindis balistis mictendis apud Tornellam, e Boninsegna che assistette Forese448. I tre provveditori della Ca- mera, responsabili delle balestre e dei quadrelli del comune, nominati per questa guerra furono Federico Sgabelli, Ranerio di Chiaramente, Giacomo Montanini, coadiuvati dal notaio Giuseppe di Pirotto, detto Puceto449. Ciò dimostra che negli anni Cinquanta la Camera del comune funzionasse già con gli stessi meccanismi istituzionali descritti nello statuto del 1262. Viene inoltre ordinato a un Pannocchieschi di raccogliere tutti i suoi uomini e quelli di Montieri, affi nché si uniscano anche loro a questo esercito. Si tratta quindi di un vero e proprio esercito, diviso per specialità e numericamente rile- vante. Il documento indica anche i due comandanti nominati dal Consiglio. Si tratta di milites de melioribus et utilioribus residenti nel Terzo di San Martino: Sinibaldo, giudice del comune, e il miles potestatis Adinolfo450. Per il primo pos- siamo rilevare che i giudici, come i notai, potevano avere delle rilevanti e rino- mate esperienze militari. In particolare Sinibaldo, che all’inizio di gennaio aveva pacifi cato le fazioni in lotta a Campagnatico451, era iudex comunis forestiero452, proveniente da Viterbo453. Nel secondo caso invece dobbiamo trovarci davanti a uno dei cavalieri direttamente dipendenti dal podestà. Infatti, da quando il pode- stà forestiero, miles anch’esso, era divenuto una vera e propria professione, questi si dotavano di una propria curia composta da differenti fi gure. Tra queste vi erano dei milites, il cui mestiere era esclusivamente quello delle armi, che non avevano come unico incarico la protezione del podestà, ma normalmente fungevano da “consiglieri militari”454 e, alla bisogna come in questo caso, da comandanti di truppe. Dai pagamenti apprendiamo che vi era un altro capitano, Pietro di Boccio, remunerato insieme a Sinibaldo455, forse scelto come suo comandante in seconda,

448 Biccherna XVI, pp. 98; 99. 449 Op. cit., p. 100. 450 Che nei pagamenti è trascritto Aghinolfo: op. cit., pp. 57; 61. 451 ASS, Consiglio Generale 4, c. 12v. 452 Lo statuto del 1262 regolamenta con precisione i doveri e le mansioni del giudice del comune forestiero: Il Costituto cit., pp. 89-91. 453 ASS, Capitoli 16, c. 3v: Sinibaldi de Viterbio judice. 454 M. VALLERANI, Le leghe cittadine: alleanze militari e relazioni politiche, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert, A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 389-402. 455 Il salario di Sinibaldo fu diviso in due rate: Biccherna XVI, pp. 78, 131. op. cit., p. 78. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 77 e che per il trasporto dei loro armamenti furono appositamente pagati due vet- turali456: evidentemente i due comandanti possedevano un’armatura di pregiata fattura. A portare la bandiera del podestà fu Stefano di Barroccio, familiare del podestà, probabilmente il vexilliferi militum dell’esercito, com’è precisato nel pagamento per il suo salario457. Questi capitani impartirono gli ordini all’esercito con le trombe, suonate dai trombettieri Guidone Rubeo e Gabardino458, lo strumento musicale più diffuso nell’esercito senese almeno a partire dal 1229459. Ancora nello statuto del 1262 viene stabilito che in Siena dovessero esserci tria paria tubarum cum tubatori- bus460. Abbiamo detto più sopra che a Siena, per mobilitare un esercito, era ne- cessario che la decisione fosse confermata con la maggioranza dei due terzi del Consiglio Generale e reiterata da altre due votazioni in altrettanti consigli, che si tenevano generalmente in giorni distinti. Lo stesso 23 agosto, nel corso di un Consiglio Segreto, mentre i consiglie- ri stavano per dare esecuzione al mandato, inventum fuit capitulum constituti […] quod loquitur de exercitu et cavalcata quando fi eret per comune civitatis Senarum461. Evidentemente la decisione del Consiglio del 22 agosto di agire leggendo e rispettando le indicazioni del capitolo dello statuto fu eseguita462; i due passi delle delibere implicitamente ci confermano che esisteva una norma- tiva scritta sulle modalità di organizzazione di una cavalcata o di un esercito prima dello statuto del 1262, di cui queste delibere sembrano essere l’unica testimonianza. Ma i senesi vollero agire velocemente, sicuramente a causa della gravità della situazione. Non si volle perdere tempo, e si radunò immediatamente il Consiglio Generale. Qui comparve il “genio italico” che, su proposta di Ra- niero di Matteo, suggerì che il presente Consiglio fosse da conteggiare come il secondo de exercitus et cavalcata fi enda. E infatti in serata, sempre dello stesso giorno, si radunò un altro Consiglio Generale, che quindi fu conteggiato come

456 Giovannello di Filippo, che portò fornimenta del giudice, e Cristoforo Saracini, che portò quelli di Boccio: Op. cit. p. 78. 457 L. cit.: pro salario suo andate quam fecit apud Tornella cum capitaneis supradictis pro ban- deria Potestatis portanda. 458 L. cit. p. 78. 459 BARGIGIA, L’esercito senese nei più antichi libri di Biccherna cit., pp. 69-72. Ma questa consi- derazione vale per tutte le città comunali: verso la fi ne del secolo, precisamente nel 1288, anche Bovesin de la Riva afferma che i trombettieri del comune, impegnati anche in guerra, erano di alta condizione sociale: BOVESIN DE LA RIVA, Le meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Milano 2009, p. 131. 460 Il Costituto del comune cit., p. 117. 461 ASS, Consiglio Generale 5, c. 22r. 462 ASS, Consiglio Generale 5, c. 21v. 78 Marco Merlo il terzo ed ultimo intorno alla decisione di mandare l’esercito ad attaccare Tor- niella463. Quest’ultimo Consiglio approvò la decisone di mandare l’esercito così come stabilito nel consiglio precedente e passò subito alle decisioni operative: il podestà con la sua curia, il Consiglio Segreto e gli otto boni homines aggiun- ti dovettero organizzare quanto necessario per la spedizione. Inoltre, siccome il periodo di ferma per ogni Terzo previsto all’interno di una singola spedizione militare era di quindici giorni, come già ricordato, si stabilì che, nel caso in cui le operazioni dovessero dovuto avere una durata maggiore, ad avvicendare gli uomini del Terzo di San Martino e quelli del contado di Città, sarebbero stati quelli di Camollia con gli eserciti del proprio contado. Se le operazioni avessero richiesto ancora più tempo, questi sarebbero stati avvicendati con gli uomini del Terzo di Città e con quelli del contado di San Martino. Qui abbiamo ulteriore conferma che non sempre i Terzi cittadini muovessero guerra con gli uomini del proprio contado. Invero le operazioni non richiesero nessun avvicendamento, fatto confer- mato ulteriormente dalla delibera del Consiglio Generale che stabilì quale Terzo dovesse muovere su Grosseto nel 1260: l’esercito fu composto dagli uomini di Camollia e del suo contado, poiché quelli del Terzo di Città avevano già combat- tuto a Montalcino e quelli di San Martino a Torniella464. Le autorità senesi nella faccenda di Torniella dimostrarono quindi una gran fretta in ogni passaggio del dibattimento: tra il 19 e il 23 agosto convocano con urgenza ben sei consigli; abbreviarono le procedure saltando un Consiglio Gene- rale necessario nelle regolamentazioni comunali al raduno dell’esercito; il terzo consiglio venne convocato nella serata dello stesso giorno, fatto quest’ultimo che forse rappresenta un’eccezione nella storia delle istituzioni militari senesi465. Ma la fretta non è l’unica caratteristica. Scartata l’ipotesi di una cavalcata in favore della formazione di un esercito “per Terzo”, con l’aggiunta di tutti i balestrieri e i mastri di mannaia della città e uomini dei Pannocchieschi e di Mon- tieri, Siena è determinata a vincere, a piegare con pugno di ferro il castello, ma

463 ASS, Consiglio Generale 5, c. 22v. 464 ASS, Consiglio Generale 9, cc. 21r-22r. Dalla proposta di Gentile di Monticiano, nel consiglio del 22 agosto, di radunare l’esercito del Terzo di San Martino, capiamo che secondo questa rotazione basata su turni, per questa campagna militare fosse il turno proprio di San Martino, che effettivamente poi fu mandato a Torniella: ASS, Consiglio Generale 5, cc. 20r. 465 La distanza tra un consiglio e l’atro dei tre necessari per muovere guerra avveniva spessissimo in giorni molto distanti tra loro, a volte settimane, causando spesso problemi logistici o diplomatici. Nel 1288 furono i fi orentini a protestare contro la lentezza delle assemblee. In età novesca il problema si presentò sempre più spesso fi no alla quasi totale modifi ca della legislazione nello statuto del 1337-1339: TRICOLMI, L’«exercitus» di Siena in età novesca cit., pp. 57-58. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 79 per le operazioni belliche dimostra meticolosità senza fornire tempi prestabiliti: scegliendo come avrebbero dovuto avvicendarsi le truppe, dimostra di non sapere con esattezza quanto tempo ci vorrà per avere ragione sul castello ed è forse per questo che schiera un esercito “per Terzo” insolitamente così numeroso.

2.3. Le operazioni militari Il 30 agosto, a sette giorni di distanza dalla decisione di muovere l’esercito su Torniella, il podestà di Siena, il romano Giovanni Poli, comunicò al Consiglio Generale che il castello di Torniella era stato espugnato combattendo e, sempre in quest’occasione, chiese cosa si dovesse fare dei prigionieri466. Tra i preparativi necessari alla partenza, raggiungere e attestarsi sulla zona delle operazioni e far pervenire a Siena la notizia della vittoria, è possibile che la capitolazione del castello possa essere avvenuta in molto meno di sette giorni. Potrebbe non esser- ci stato il rituale della consegna dei gonfaloni, visto che, da quanto emerge dal pagamento al mercante di zendali Arengario, l’esercito era dotato di una banderia de mala peza467, ma sicuramente ci fu la consegna, magari non in pompa magna, poiché furono pagati, Domino Buonincontro e Stracche Tebalduccii pro vectu- ris equorum qui fuerunt confalonerii militum et peditum qui iverut apud Tornel- lam468. Anche qui, con ogni probabilità, ci troviamo di fronte a una normativa del comune, in quanto lo statuto del 1262 prevedeva che ai gonfalonieri e vexilliferi, sia dei cavalieri sia dei fanti, per tutto il tempo delle operazioni militari in cui si trovavano a operare, fosse pagata dal comune la vectura di un ronzino469. Devono esserci stati alcuni combattimenti, poiché il podestà comunicò al Consiglio Generale quod castrum de Tornella pugnando sit obtenutum utiliter et potenter470 e, quando si deciderà sul da farsi con i prigionieri, si dirà esplicitamen- te che molti fuerunt capti pugnando. Gli assalitori devono aver fatto ricorso a un intenso uso del tiro dei balestrieri, tanto da rompere alcune balestre per l’usura, per la cui riparazione fu pagato il balestriere Piero, stipendiato anche per aver custodito salmarum et rerum Comunis durante l’assedio di Torniella471. Se il podestà riuscì a riferire al Consiglio la caduta del castello il 30 ago- sto, signifi ca che la notizia era già vecchia di qualche ora e quindi il castello era senz’altro caduto in meno di sette giorni. C’è la certezza che il podestà non abbia preso parte alle operazioni militari, poiché nello stesso Consiglio del 30 gli viene

466 ASS, Consiglio Generale 5, cc. 24v-25r. 467 Biccherna XVI, p. 103. 468 Op. cit., p. 131. 469 Il Costituto cit., dist. I, rubr. DXVI, p. 188-189. 470 ASS, Consiglio Generale 5, 24 v. 471 Biccherna XVI, p. 86. 80 Marco Merlo ordinato di non recarsi a Torniella. Questa disposizione probabilmente fu dettata da una consuetudine o una normativa scritta, in quanto nello statuto del 1262, è esplicitato che, quando un esercito muove contro un nemico fuori dal territorio senese, solo il podestà o solo il capitano avrebbe dovuto seguire l’esercito, men- tre l’altro sarebbe dovuto obbligatoriamente rimanere alla difesa della città472. Forse proprio per questo fu nominato comandante dell’esercito Adinolfo, miles alle sue dirette dipendenze. Adinolfo in effetti avrebbe potuto fare le veci del podestà e quindi potreb- be essere stato lui a far pervenire al podestà stesso un dispaccio nel quale co- municava la vittoria e chiedeva ordini sui prigionieri. Sappiamo che prese parte alle operazioni tale Stefano, familiari Potestatis473, che potrebbe essere il messo che portò le lettere. Ma sono conservati i pagamenti ad altri nunzi per aver portato lettere verso e da Torniella: Boninsegna qui portavit quasdem licteras apud Tornellam474; Provenzano domini Ildebrandini pro andata qui fecit apud Tornellam XI dierum475 (per la cui missione venne pagato Bernardo, fl orentino, pro perfacimento unius ronzini quem duxit Provenzanus domini Ildebrandini apud Tornella)476; Iohannis, nunzio, pro licteris quos retulit a Tornella Senas477 e al nunzio Cittadino, sempre per lettere portate a Torniella478. Ma da quanto appare dalla documentazione chi aveva al suo seguito diversi nunzi era il giu- dice Sinibaldo: il nunzio Giovanni venne retribuito pro suo feudo VIII dierum quibus stetit cum domino Sinibaldo Iudice, apud Tornellam, a cui si aggiungono altri quattro nunzi sempre al seguito di Sinibaldo479 e Venture, nuntio, qui ivit cum iudice480, e altri due nunzi pro andata quam fecerunt apud Tornellam, quos portitit Barbarinus nuntius Biccherne481. Pertanto è possibile ipotizzare che le comunicazioni tra Siena e l’esercito fossero tenute più da Sinibaldo che da Adi- nolfo. Ma ci furono anche dei cursori che si muovevano tra Siena e Torniella, come Casellino pagato pro duabus vicibus quibus ivit apud Tornella; per altri è specifi cato che portarono lettere uffi ciali come Ihoanello, cursori, pagato pro

472 Il Costituto cit., dist. I, rubr. CCXXI, nota 3. 473 Biccherna XVI, p. 129. 474 Op. cit., 61. 475 Op. cit., 73. 476 Op. cit., p. 118. 477 Op. cit., p. 83. 478 Op. cit., p. 128. 479 Op. cit., p. 74. 480 Op. cit., p. 108. 481 Op. cit., p. 94. Non sappiamo esattamente quale fu il ruolo di Barberino, ma nello stesso docu- mento è pagato quindici soldi Saracino, notario de Radi, pro andata trium dierum quam fecit apud Radi ad precipiendum exercitum, quos portit Barberinus nuntius. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 81 duabus vicibus quibus ivit apud Tornella cum licteris Comunis, oppure Vollie e Cambio, entrambi pagati poiché ognuno di loro ivit apud Tornella cum licteris Comunis482. Per conseguire la vittoria i senesi poterono contare sull’effetto sorpresa: la rapidità con la quale fu radunato l’esercito e la segretezza con cui furono stati trattati tutti i passaggi istituzionali possono aver offerto questo vantaggio. In più è probabile che il ruolo delle spie senesi possa essere stato determinante, ed è pos- sibile che la relazione di Nepoleone Ciampoli rientrasse proprio in uno schema del genere. I signori di Torniella quindi possono aver avvistato l’esercito nemico solo all’ultimo momento e non aver avuto il tempo necessario per raccogliere adeguati rifornimenti di cibo e acqua. Torniella nel 1255 doveva contare circa cento uomini abili alla guerra483, esclusi i forenses, l’esercito senese complessivamente doveva essere numeri- camente ragguardevole: nel 1250 solo i fanti del Terzo di Camollia erano 495; quelli di San Martino erano 166 a cui si aggiungevano gli uomini delle socie- tates (della Favilla, di Casteldimontone, della Scala)484. Anche i cavalieri dove- vano essere numerosi, se proprio nel novembre 1255 Siena rimborsò il giudice Filippo, Donosdeo Trombetti e il notaio Jacopo come ambaxatoribus trasmissis apud Perusium pro denariis recolligendis a militibus stipendiariis qui eos re- cerant a comuni Senensi tempore guerre et non serviverunt485. Questo, come abbiamo accennato, accadeva quando il comune aveva un esubero di cavalieri mercenari. Infatti per il 1255 sono documentati due pagamenti a tre notai: uno a Guiduccino, pagato anche per i servizi resi a Tornella,486 per strumentorum, que fecit tempore guerre, de solutionibus factis militibus stipendiariis qui pro Comuni Senensi iverunt Pistorium e l’altro al notaio Ildebrandino di Ranieri e Giovanni, magister, notario pro pretio strumentorum que fecerunt tempore guerre, de solutionibus factis militibus stipendiariis qui pro Comuni Senensi487. Dovevano essere presenti molti cavalieri mercenari provenienti da Viterbo488, che furono impegnati nelle operazioni militari poiché uno di questi, Angelo di

482 Op. cit., p. 78-79. 483 ASS, Capitoli 16, cc. 5v-8r, 8v-10r. REDON, Lo spazio di una città cit., p. 99. 484 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, G. MILANESI, Inventario topografi co, ms. P. III 28, voce Milizia, c. 180v. 485 Biccherna XVI, p. 81. 486 Op. cit., p. 126. 487 Op. cit., pp. 126; 129-130. 488 È registrato il pagamento di CLVIII. libr. quos prefati Quattuor, cum Camerario, mutuo re- ceperunt ab Ugolino et Arrigaccio Neri pro ipsis dandis et solvendis stipendiariis militibus de Viterbio qui servirunt comuni Senensi tempore guerre, ex forma Generali Consilii Campane, sicut inde apparet instrumentum per manum Ugolini Iuncte notarii: op. cit., p. 4. 82 Marco Merlo

Alberico da Todi, dovette essere risarcito per la morte del proprio cavallo du- rante il suo servizio per il comune489. Siamo nell’impossibilità di stabilire l’entità esatta della cavalleria, ma i ca- valieri senesi che, all’incirca gli stessi giorni di questo assedio, furono inviati in rinforzo all’esercito fi orentino nella campagna contro Arezzo contavano 36 cavalieri del Terzo di Città, 29 di San Martino e 37, compresi i due trombettieri, di Camollia 490. Mentre, per la medesima circostanza furono selezionati 35 bale- strieri dal Terzo di Città, 30 da San Martino e 35 da Camollia491 Anche il numero dei mastri di mannaia doveva essere imponente per un esercito del Duecento: abbiamo visto che cinque anni dopo, durante l’attacco a Grosseto, tutti i mastri di mannaia di due Terzi, quelli di Città e San Martino, am- montavano a 24492. Dai pagamenti del 1255 apprendiamo che a Torniella i mastri del Terzo di Città erano 20, tra cui un mastro Gregorio di Fredo di San Quirico, che conduceva un carro trainato da un cavallo, che ricevette il pagamento in due rate, e 20 quelli di Camollia493. A questi vanno aggiunti Maffeo Dietisalvi, Bo- naguida di Ughetto e il notaio Jacopo Dietisalvi, che furono rimborsati di 58 lire e 7 soldi per i materiali necessari alla distruzione della torre di Torniella494, tre vetturali del Terzo di Camollia, che portarono omnia ferramenta magistrorum Terzerii Civitatis e Adote Orlandi che portò tre somari sempre per il trasporto di ferramenta, ma questa volta per i mastri di Camollia495. I mastri di San Martino non sono contati, ma il loro numero non doveva discostarsi molto dalla ventina. Non sappiamo quali e quante macchine d’assedio costoro possano aver co- struito ma sappiamo che furono pagati pro facendo hedifi ciis ad destructionem ipsius castris496. Diffi cilmente furono impiegate le macchine “prefabbricate” cu- stodite in città, poiché per queste fu pagato 2 soldi e 6 denari Lanberto Iacobi Fuccii pro custodia hedifi ciorum Comunis497 e non vi è alcuna alcun documento che testimoni un loro trasporto sul campo di battaglia.

489 Op. cit., p. 57: VIII. libr. Angelo Alberichi de Todi, et fuit scriptus de Viterbio cum militibus viterbiensibus, quos habere debeat pro mendo unius equi qui mortuus fuit in servitium Comunis, tempore guerre, et restituit instrumentum factum inde per manum Palmerii Ranuccii notarii et fecit refutatione per manum Ugolini Iunte notarii. 490 Op. cit., pp. 65-66; 68; 70-71. 491 Op. cit., pp. 66-67, 69, 71-72. 492 ASS, Consiglio Generale 9, c. 93r. 493 Biccherna XVI, pp. 77-78. Sono pagati altri mastri di Camollia: magistro Adamo Rustichelli recipienti pro se et XVIIII. aliis magisteri de Terzerio Camollie qui eos recipere debebant pro completa- mento eorum salarii, servitii quod fecerunt apud Tornellam: p. 96. 494 Op. cit., p. 76. 495 Op. cit., p. 78. 496 Op. cit., p. 77. 497 Op. cit., p. 93. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 83

Nell’impossibilità di stabilire con precisione quali macchine abbiano co- struito possiamo però osservare che i lavori dovettero essere intensi poiché quat- tro i vetturali furono pagati per portare ferramenta ai mastri, mentre fu pagato 5 soldi a Maffeo de Ovile pro pretio lignaminum et pro suo salario unius diei et dimidii e 10 soldi Iacobo Boccanera pro andata quam fecit per comitatum pro bubus et bufalis pro lignaminibus reducendis apud Tornellam498. Probabilmente furono costruiti mantelletti, tettoie mobili, “arieti” e proba- bilmente anche artiglierie, forse costruite da Raniero Viviani, pagato pro offi cio quod fecit apud Tornellam hedifi ciorum, insieme a Seracino Gherardini, pro dicto offi cio factum apud Tornellam499. La decisione di mandare tutti i balestrieri e i mastri dei tre Terzi deve aver avuto alla base un’idea tattica. Probabilmente le strategie adottate, che evidente- mente sono risultate vincenti, potrebbero essere state suggerite dalla relazione di Nepoleone Ciampoli. Sappiamo che a un certo punto dell’assedio ci fu almeno uno scontro corpo a corpo, non solo sulla base dell’affermazione che molti difensori furono catturati combattendo500, ma perché sono registrati i rimborsi a coloro che procurarono i carri per il trasporto dei feriti: Bonaventure Mancuccii quos expendit in vectu- ris pro reducendis quibusdam vulneratis apud Tornellam e Buonsignori Pispari, quos expendit pro vectura cum redierit vulneratus de Tornella501. Tra l’altro ap- prendiamo dal pagamento a Tinaccio Piccholi pro vecturis et salario hominum qui eundem Senas retulerunt vulneratum a Tornella che tale rimborso era stabilito dalla legislazione scritta precedente a quella dello statuto 1262, iuxta formam capituli costituti com’è precisato nel documento502. Sappiamo inoltre che fu impegnata la cavalleria poiché ci fu la necessita di pagare il ferratore Bonifacio qui portavit ferros ad exercitum pro equis fer- randi503. Non sarebbe insolito che i difensori possano aver tentato una sortita o che i senesi siano riusciti ad aprire una breccia nelle difese nemiche. Qui la resistenza potrebbe essere stata durissima. Sappiamo che nel castello vi erano anche dei forenses, che deduciamo aver preso parte attiva ai combattimenti, poiché, come diremo tra poco, ne venne proposta l’impiccagione come per tutti coloro che ave- vano opposto resistenza armata504.

498 Op. cit., pp. 75; 97; 103. 499 Op. cit., p. 130. 500 ASS, Consiglio Generale 5, c. 24v. 501 Rispettivamente: Biccherna XVI, pp. 98 e 130. 502 Op. cit., p. 83. 503 Op. cit., p. 61. 504 ASS, Consiglio Generale 5, c. 24v. 84 Marco Merlo

È molto interessante osservare nel dettaglio anche il modo con cui le isti- tuzioni militari senesi crearono sul campo un mercato per l’approvvigionamento alimentare. Per questo compito furono nominati sette uffi ciali postis pro comuni Senen- si super facto misse apud exercitum de Tornella e furono pagati venti soldi duo- bus nuntiis et uni domino asinariorum quos habuerunt pro eorum salario more quam fecerunt pro facto dicte vendite cum predictis offi cialibus; quarantaquattro soldi per vigenti duobus asinariis qui retulerunt cum eorum bestiis panem ad exercitu dicto qui superaverat et vendi non poterat; due soldi quidam Mantellato qui vendidit panem predicti505; dodici denari quidam nuntio qui ivit apud Tornel- lam pro asinariis et somariis qui portarent venditam ad exercitum supradictum e venti soldi in storiis et agutis computatis in hiis denariis perdite panis fracti506. In parte questo fu fi nanziato da privati cittadini, che furono in seguito rimborsati: sessanta lire di denari a Bencivenne Baroccii e Ildebrandinus Palliarensis pro faciendis expensis vendite pro exercitus de Tornella, de quibus expensis rationem intellexerunt Quattuor; mentre il piczicariolo Renaldo fu remunerato pro pretio acutorum emptorum pro facto exercitus dicti507. È possibile che a sovrintendere il mercato potessero essere alcuni dei notai pagati per i servizi resi a Torniella508. Probabilmente per gestire tutte le spese, non solo quelle legate al mercato, e re- gistrare i debiti che il comune stava accumulando con i cittadini, fu inviato a Torniella anche lo scrineario Gianni, che fu stipendiato pro andata quam fecit apud Tornella509.

2.4. La distruzione del castello e i prigionieri Alla domanda del podestà su come avrebbe dovuto trattare i prigionieri, alcuni consiglieri avanzarono delle proposte510. Il primo a prendere parola fu Gentile di Monticiano, lo stesso che nel Consiglio del 22 agosto avrebbe voluto un intervento risoluto e immediato. Questi vorrebbe una dura punizione per gli abitanti di Torniella, inducendoci a pensare che i suoi interessi fossero sempre

505 Probabilmente si tratta dello stesso Mantellato che nello stauto del 1262 tale Mantellato è l’operaio della Camera del comune, l’arsenale cittadino, indicato come bono et legales: Il Costituto cit., dist. I, rubr. CCCXXVIII, p. 126. 506 Biccherna XVI, p. 81. 507 Op. cit., p. 81. Per il fatto di Torniella è rimborsato anche tale Ranerio Renali Villani, forse anch’esso per il mercato: op. cit., p 80. 508 Sui mercati militari negli eserciti comunali si veda: BARGIGIA, Gli eserciti nell’Italia comunale cit., pp. 197-213. 509 Biccherna XVI, p. 63. 510 ASS, Consiglio Generale 5, c. 24v. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 85 stati contro i signori del castello. Prima di tutto consiglia che tutte le torri, il cassero e tutte le abitazioni di Torniella siano distrutte affi nché il luogo non ven- ga più reso abitabile. Poi per i prigionieri vorrebbe che venissero trattati in due modi differenti: coloro che furono catturati con le armi in pugno e i forenses, che evidentemente avevano combattuto in difesa del castello, sarebbero dovuti essere suspendatur per singola, mentre tutti gli altri accecati. A questo poco “gentile” consiglio segue quello altrettanto crudele di Rinaldo Gigli, nel cui intervento è chiarito che le opere di demolizione furono condotte dai mastri di pietra, e quello di Lepoleone Salvani. Anche quest’ultimo volle che il castello venisse totalmente distrutto, ma consigliò che a tutti i prigionieri venisse cavato un occhio, amputato un piede e una mano. Artufo Rimbaldi concordò con la decisione di distruggere il castello, ma suggerì che per il momento i prigionieri fossero detenuti sul luogo. Con lui concordarono Ugo Aldelli, Ugerio Beringeri, Arrigo di Iacopo, Cristoforo Mancini, Ugerio Anconetano, Bernardino Mezzolombardo e il signore Tommaso, tutti suggerendo quale forma istituzionale potesse essere la migliore per risolvere il problema. Il Consiglio quindi deliberò che il castello fosse distrutto, ma che il podestà non si recasse ancora a Torniella. Per la demolizione furono nominati uffi ciali Maffeo Dietisalvi et Bonaguide Uguecti e il notaio Giacomo Dietisalvi positis ad faciendas expensas pro facto exercitus de Tornella quos ipsi expende- runt in dextructione turris de Tornella et aliis expensis nescessariis pro facto dicti exercitus511. Per decidere le sorti dei prigionieri, argomento molto delicato, si stabilì che fosse opportuno radunare un Consiglio apposito con l’aggiunta dei Ventiquattro, dei loro Consigli e di tutti i Signori delle Società delle Arti. Questo Consiglio si riunì il giorno successivo512 e incominciò con la relazione del podestà su come stessero procedendo i lavori di demolizione (evidentemente, visto che gli era sta- to ordinato di rimanere a Siena, riceveva dispacci direttamente da Torniella, sem- pre dai nunzi e dai cursori). Egli dichiarò che il castello era quasi completamente distrutto. Il consigliere Sterpolo, la stessa persona che aveva svolto numerose missioni segrete in Maremma nello stesso anno, sembra essere compiaciuto, ma non volle che le opere di demolizione cessassero fi no a quando non fosse rima- sta nemmeno una pietra. Per i prigionieri invece vorrebbe un trattamento meno feroce: che il podestà in persona vada a Torniella a prendere in consegna tutti i prigionieri e li conduca in catene a Siena, solo una volta arrivati in città si decida sulla loro sorte. È Gentile da Monticiano a sollevare un’obiezione, probabilmen- te giudicando l’idea di Sterpolo troppo morbida: insiste ancora affi nché tutti gli

511 Biccherna XVI, p. 76. 512 ASS, Consiglio Generale 5, c. 25v. 86 Marco Merlo uomini catturati mentre combattevano fossero impiccati assieme ai forestieri, che tutti gli altri vengano accecati e i due bambini, che evidentemente si trovavano nel castello, siano incarcerati a Siena513. Ma a questo punto intervenne Cristoforo Mancini, che non volle in alcun modo che il Consiglio si macchiasse di tali crimi- ni e si oppose a chi aveva proposto accecamenti e mutilazioni. Suggerì quindi che si aspetti il rientro in città dell’esercito del Terzo di San Martino e nel frattempo il podestà si rechi a Torniella fi no a quando il castello non fosse stato completa- mente diroccato dagli uomini di Montieri, Monticiano e di altri posti vicini, in modo che il luogo non fosse più abitato. Alla fi ne delle operazioni di demolizione il podestà dovrà tenere un “parlamento” nel quale ringraziare gli alleati che hanno affi ancato Siena in questa operazione militare; che dichiari che il comune non vuole che il luogo venga più abitato e che scorti sub fi da custodia, quindi sani e salvi, i prigionieri a Siena. Cristoforo deve aver tenuto un discorso molto convincente perché il Consi- glio deliberò che venisse attuato il suo piano. Le operazioni di demolizione furono eseguite dai mastri di pietra514, e sicuramente queste erano già state previste nei consigli riuniti il 23 agosto, fatto che spiegherebbe la mobilitazione di tutti i mastri della città. Dobbiamo credere che i lavori furono intensi, fi no alla distruzione del castello, poiché il fabbro Bartolo di Giovanni fu pagato esclusivamente pro servitii quod fecit in exercitu de Tornella acuendo piccones et alia ferramenta Comunis515. Mentre vennero rimborsati magistro Fiorenzecto, magistro Dietaiuti, magistro Venture pro mendo trium picconum deperditorum apud Tornellam quos habuit Barba- rinus nuntius Biccherne516. Dall’intervento di Cristoforo Mancini, apprendiamo che le demolizioni fu- rono eseguite anche dagli uomini di Montieri e Monticiano e altri luoghi vicini a Torniella. Non si parla più degli uomini dei Pannocchieschi, che sappiamo essere esclusivamente cavalieri (i Pannocchieschi nel 1230 avevano una masnada di cir- ca 20 milites)517, quindi inutili nei lavori di demolizione. A un certo punto devono essere arrivati gli uomini di Monticiano e di altri castelli e villaggi vicini, che non erano stati contemplati in nessuna delibera precedente. Sappiamo come Mon- ticiano avesse un’antica rivalità con Torniella, dovuta alla vicinanza dei confi ni

513 Probabilmente si tratta dei due fi gli di Alberto, che in un documento successivo sono menzio- nati come gli infanti reclusi a Siena con il padre: ASS, Consiglio Generale 7, c. 72v. 514 Come chiarito dalle parole di Rinaldo Gigli: per magistros lapidum faciat totum castrum de- strui et dissipari, et turrim et casserum et omne domos eius. ASS, Consiglio Generale 5, c. 24v. 515 Biccherna XVI, p. 131. 516 Op. cit., p. 94. 517 Biccherna III, p. 214. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 87 castrensi, da cui i feroci interventi del consigliere Gentile di Monticiano518. Molto probabilmente tra questi uomini, soprattutto tra quelli di Montieri, vi dovevano essere dei minatori che lavoravano nelle miniere locali, sempre molto utili duran- te gli assedi. Gli ordini sul da farsi con i prigionieri arrivarono attraverso Ristoro, nunzio Comunis, che fu pagato pro andata quam fecit, quorum dierum, apud Tornellam et unius diei quo stetit Senis pro faccenda fi eri captione dictorum prescionum519. Il podestà si recò effettivamente a Torniella, accompagnato da dodici persone selezionate in tutti i Terzi cittadini, retribuite poiché iverunt cum Potestate apud exercitum de Tornella pro facto prescionum520. I prigionieri furono condotti a Sie- na in catene521 e la loro incolumità fu garantita dalla custodia del podestà in per- sona, che affi dò la scorta a uomini di fi ducia522. Le altre notizie pervenute con- fermano che i prigionieri furono trattati con riguardo: tre persone furono pagate pro andata quam fecerunt apud Tornellam ad inveniendum si pactum aliquod securitatis factum erat captivis de Tornella, quos portitit Orlandinus nuntius Bic- cherne523 e la questione fu seguita da tre notai524. Anche se rimane oscuro il ruolo di Foresi Pieri Favulis, pagato poiché stetit super facto prescionum Tornella e di Ugoni Guicciardi, pagato suprastanti prescionum de Tornella pro facendis fi eri precionibus sive captionibus525. A Siena furono detenuti in residenze private: Giacomo di Giacomo di Piero mise a disposizione la propria torre; il fi glio di Giacomo de Platea concesse il proprio palazzo; Dieceldie, notario, pro pensione palatii Machonum in quo de- tinentur pregiones de Tornella, forse non casualmente il palazzo della famiglia del consigliere Bernardino Mezzolombardo. Mentre Nicchole Roczi fu addirittu- ra rimborsato pro perfacimento domus eius in qua debebant detineri captivi de Tornella526. Il 1 di ottobre 1255 il Consiglio Generale decretò che siano “accolti” tutti

518 Senza altre indicazioni non si può escludere a priori che sia stato proprio Gentile a volere che nelle ultime fasi dell’assedio intervenissero anche gli armati di Monticiano. 519 Biccherna XVI, p.124. 520 Op. cit., p. 94. 521 Abbiamo il pagamento a Gilio, fabro, pro pretio LXXXV. librarum ferri laborati in cappionibus pro prescionibus de Tornella e a mastro Biencivenne per VI clavium peschulis et unius catene pro pregio- nibus de Tornella: op cit., p. 85; 126. 522 Per la loro custodia furono spesi 7 soldi da Ugone di Guicciardo e a Viviano di Fiammingo pro faciendis expensis prescionum: op. cit., p. 25. 523 Op. cit., p. 93. 524 Op. cit., p. 131: Viviano Fiamminghi et Ugoni Guicciardi et Manovello, notario, pro completa- mento eorum salarii servitiorum que fecerunt Comuni pro facto pregionum de Tornella. 525 Op. cit., pp. 99; 125. 526 Op. cit., pp. 126; 125; 131. 88 Marco Merlo gli abitanti di Torniella che avevano nominato un procuratore e che avessero vo- luto facere mandata comunis527. Il 18 dello stesso mese il Consiglio Segreto deci- se di incaricare due sapientes per trattare con gli abitanti di Torniella, che fossero già liberi o ancora prigionieri, affi nché tutti venissero ad mandata comunis528 ed è registrato un pagamento a tre giudici pro andata quam fecerunt apud Tornellam ad inveniendum si pactum aliquod securitatis factum erat captivis de Tornella, quos portitit Orlandinus nuntius Biccherne529. Molto interessante è osservare che in questi patti di concordia530, fu inserita la clausola per cui nessuno di Torniella avrebbe agito contra aliquem vel aliquos qui in exercitu de Tornella fuerunt, oc- casione alicuius iniurie seu dampni offesnionis vel offensionum dati illati nobis […] a Comuni Senesi531. Da qui in avanti non si avranno più notizie specifi che sugli abitanti, ma possiamo affermare che furono tutti liberati, visto che l’11 dicembre si riunì un Consiglio Speciale per redigere articoli concordie con i signori di Torniella e gli abitanti532 e di questi patti ci rimane il pagamento a sette giudici pro eorum sala- rio contractus et notarum quas fecerunt pro contractibus dominorum et hominum de Tornella533 e undici lire pagate al notaio Cambio, proprio per aver redatto i patti di concordia tra Siena e quelli di Torniella534. Invece sorte differente toccò ai fi gli di Ranieri, forse vero obiettivo della spedizione. Già all’indomani della vittoria, il 4 settembre, intervennero nella faccen- da i fi orentini, probabilmente sollecitati dal conte Umberto535, esattamente come aveva temuto Bernardino Mezzolombardo nel Consiglio Segreto del 22 agosto. Gli ambasciatori del comune di Firenze, forse tentando di guadagnarsi l’amici- zia dei signori della Maremma, tam de rogando de facto Tornielle quam de non fi endo novitate exercitus in illis contratibus, amore et gratia Comunis fl orentini et potestates fl orentini et capitanei et antianorum populi fl orentini, donec exercitus fl orentini redierit de Aritio, et relaxando amore et gratia predicotrum dominos de Torniella536. I fi gli di Ranieri erano tenuti prigionieri in una torre537, dalla quale

527 ASS, Consiglio Generale 5, c. 41r. 528 ASS, Consiglio Generale 5, c. 45r. 529 Biccherna XVI, p. 94. 530 Conservati nel Caleffo dell’Assunta e copiati all’inizio del secolo successivo in Capitoli 16. 531 ASS, Capitoli 16, c. 7r. 532 ASS, Consiglio Generale 5, c. 58v. 533 Biccherna XVI, p. 124. 534 Op. cit., p. 131. 535 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 153. 536 ASS, Consiglio Generale 5, c. 26r. 537 Furono detenuti in turri Ghinibaldi e in turri Maconum: Biccherna XVI, pp. 82; 94. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 89 furono trasferiti il 30 settembre per essere rinchiusi nella torre del conte Gual- tierotto538. Ai signori di Torniella fu imposto di risarcire il comune entro il giorno successivo delle spese che questo aveva sostenuto per la loro detenzione in pri- gionia, fi n dal giorno della cattura. Venne deliberato che venissero tenuti senza cibo e acqua per i giorni necessari al risarcimento totale delle spese. Il 13 ottobre erano ancora in carcere e il Consiglio della Campana ordinò che i fi gli di Ranieri che si trovano contumaci non fossero accolti in nessun luogo alleato di Siena, Firenze compresa539. Il 18 ottobre le spie senesi inviavano nuove notizie: i fi gli di Ranieri, che si erano sottratti alla cattura, si trovano proprio a Firenze, dove furono pedinati e, sostenevano le spie, tentassero di portare i fi orentini a un inter- vento in loro favore540. Forse anche per questa ragione le autorità senesi vollero risolvere il factum de Tornella in dicembre. Il 10 il Consiglio Generale incaricò il podestà di convocare presso il Consiglio Generale dei giurisperiti affi nché in- dicassero in quale modo, secondo la legge, fosse necessario trattare con i signori di Torniella541. L’11 un Consiglio Speciale decretò che i giurisperiti scrivessero gli articoli di concordia con i signori di Torniella, che sarebbero dovuti essere approvati il giorno successivo dal Consiglio della Campana e dal Consiglio del Popolo542. Ma il podestà osservò che l’indomani Ranieri, fi glio di Ranieri, per la sua sicurezza non avrebbe potuto essere presente, e quindi comunicava che i due Consigli si sarebbero dovuti riunire più opportunamente il giorno succes- sivo ancora. Il giovedì 13 effettivamente si riunirono i due Consigli e i patti di concordia furono pronti, ma la decisione venne rimandata per più giorni fi no al 16, poiché fu eletto un nuovo podestà. Sarà quest’ultimo, con il Consiglio della Campana e i Capitani del Popolo, ad approvare i patti543. I signori di Torniella furono quindi sottratti dalla prigionia ma obbligati a risiedere a Siena, poiché il 21 il podestà interrogò il Consiglio della Campana su dove devessero alloggiare i fi gli di Ranieri di Torniella544. La cosa venne decisa il 22 dicembre, scegliendo la casa Guiduccini nel Terzo di San Martino e vennero nominati sei boni et ydo- neis custodi545. Apprendiamo che nello stesso giorno Alberto e Guido di Torniella

538 ASS, Consiglio Generale 5, c. 40v. Per questo sevizio il conte ricevette 30 soldi: Biccherna XVI, p. 126. 539 ASS, Consiglio Generale 5, c. 44v. 540 ASS, Consiglio Generale 5, c. 45v. 541 ASS, Consiglio Generale 5, c. 57v. 542 ASS, Consiglio Generale 5, c. 58v. 543 ASS, Consiglio Generale 5, cc. 58v-59v, 61r, 63r. 544 ASS, Consiglio Generale 5, c. 63v. 545 ASS, Consiglio Generale 5, c. 64r. 90 Marco Merlo dimostrarono la propria gratitudine al comune di Siena per la loro scarcerazione facendo giuramento di cittadinanza e promettendo di risiedere in città546: dovette- ro quindi ripetere i giuramenti già pronunciati dal padre Ranieri, anche in qualità di eredi del fratello Ugo, deceduto nel frattempo. Il 28 il “caso Torniella” sembra chiudersi: il comune di Siena e i signori di Torniella Guido, Alberto e Ranieri, con tutti gli abitanti del castello sottoscrissero la concordia tra le parti547. Ma i signori di Torniella furono ancora obbligati a risiedere in città, sempre sorvegliati dai sei custodi. Appare però come questo provvedimento, raggiunta la concordia, fosse per il comune più un fastidio e una spesa che un vantaggio politico. Più volte, negli anni a seguire, i vari Consigli torneranno a parlare dei signori di Torniella a volte per questioni, non meglio specifi cate, sulla loro custodia548, più spesso per cercare denaro per stipendiare i loro custodi549, fi no al 20 aprile del 1257, quando questi da sei saranno ridotti a quattro550, ma ancora i loro stipendi sembrano trop- po onerosi per le casse comunali551. Fu in quest’anno che il conte Umberto tentò un intervento diretto poiché, a seguito degli insuccessi delle ribellioni anti-senesi in Maritima, con la capitolazione del castello di Torniella aveva perso un impor- tante appoggio strategico. Nelle ultime settimane del 1256 il conte catturò gli ambasciatori senesi Bernardino Bianco Salvolesi de’ Malavolti e Graziano Giu- dice. Nel gennaio successivo, tentò di scambiare la loro libertà con quella dei fi gli di Ranieri552: un ambasciatore senese e Ildebrandino di Santa Fiora si recarono presso Umberto, per un abboccamento su come poter risolvere la questione degli ambasciatori rapiti. Qui Umberto propose lo scambio con i fi gli di Ranieri553, ma Siena rifi utò l’offerta554, e ancora il 21 aprile il comune non volle scendere a patti, tentando ancora di fare pressione sul conte tramite il cugino Ildebrandino e le autorità di Orvieto555. Con il passare del tempo, la detenzione dei signori di Torniella per Siena di- veniva un non trascurabile onere economico, tanto che già nel 1255, all’indomani della cattura, i fi gli di Ranieri fecero spendere a Siena una gran quantità di denaro per la loro custodia. Gli esborsi maggiori furono sempre per i guardiani556. Ma ci

546 ASS, Caleffo dell’Assunta, cc. 700v-702r. 547 ASS, Consiglio Generale 5, c. 65v. 548 ASS, Consiglio Generale 7, cc. 19r, 23v-24r. 549 ASS, Consiglio Generale 6, cc. 90r, 96r-97v. 550 ASS, Consiglio Generale 7, c. 64r. 551 ASS, Consiglio Generale 7, c. 75v. 552 CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., p. 153. 553 ASS, Consiglio Generale 7, cc. 25v, 28v. 554 ASS, Consiglio Generale 7, cc. 29v-30r. 555 ASS, Consiglio Generale 7, c. 60v. 556 Biccherna XVI, pp. 62; 85, 72; 84; 85; 123; 124. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 91 sono anche pagamenti per quodam pario ferrorum pro Alberto domini Ranerii de Tornella557; a Paganello Comitis pro pretio legnorum et olei combustorum pro cu- stodia dominorum de Tornella558; mastro Bencivenni, clavarius de Ovili, è pagato per duecentosettandue libbre di ferro, dieci catene per gli sportelli, la toppa, le chiavi e un palo di ferro della prigione559 e Viviani Fiamminghi è rimborsato per un fascio di legna usato dai signori di Torniella560. Nel 1256 vennero acquistati puntellis agutis et sportellis per le loro stanze561, ed è registrata la spesa per lo spostamento dei prigionieri da casa Guiduccini alla torre del conte Gualterotto562. L’anno successivo le spese continuarono a lievitare al punto che, il 23 marzo 1257, un Consiglio della Campana ordinò che venisse presa nota di ogni spesa sostenute per la loro prigionia affi nché questi risarcissero il comune563. Tuttavia nel 1259 i signori di Torniella erano ancora costretti a Siena. L’8 gennaio il Consiglio del Popolo s’interrogò su come comportarsi con i fi gli mino- renni di Alberto di Torniella, che furono affi dati al podestà che ne avrebbe deciso la sorte564. Apprendiamo da un documento del 23 e 24 febbraio che i signori di Torniella Ranieri, Melano e suo fi glio Alberto, erano a questa data ancora dete- nuti in carcere; le autorità di Siena si interrogarono se accogliere la domanda di questi per trattare la propria libertà565. Il 9 marzo del 1260 i signori di Torniella, che avevano fatto domanda di scarcerazione il 24 febbraio precedente, sembrano essere stati liberati, poiché il comune garantì loro protezione e immunità, sia in città sia nel contado, per recarsi a Siena per trattare un patto di concordia566. E infatti il giorno seguente Ranieri e Melano, fi gli di Ranieri, e Ranieri, fi glio di Al- berto, signori di Torniella (i rispettivi padri nel frattempo erano morti) si trovano a Siena per alienare ogni giurisdizione sul castello, sul contado e sugli uomini di Torniella e stipulare la sottomissione dei signori di Torniella567. È probabile che tali decisioni siano state deliberate a seguito della ripresa delle ostilità con Firen- ze, che in quegli anni tentava di persuadere le città e i signori della Maremma a prendere le armi contro Siena. Appare pertanto sicuro che, tra il 1255 e il 1259 a seguito dei patti di concordia, il castello di Torniella debba essere stato ricostru-

557 Op. cit., p. 90. 558 Op. cit., p. 129. 559 Op. cit., p. 126. 560 Op. cit., p. 130. 561 Biccherna XVII, pp. 117-118. 562 Op. cit., p. 184-185. 563 ASS, Consiglio Generale 6, cc. 96v-97r. 564 ASS, Consiglio Generale 7, c. 72v. 565 ASS, Consiglio Generale 9, cc. 75v-76r. 566 ASS, Consiglio Generale 9, c. 91v. 567 Caleffo Vecchio cit., II, pp. 834-835. 92 Marco Merlo ito e i suoi signori fossero ritornati a reggerlo. Fatto confermato dai documenti del 1260: il 10 marzo il comune proibì il potenziamento delle difese castrensi568. Mentre il 25 novembre i fi orentini, all’indomani della sconfi tta di Montaperti, rinunciarono a ogni ingerenza verso alcuni castelli maremmani, tra i quali il ca- strum di Torniella, i cui signori sono menzionati tra i principali sostenitori dei guelfi di Maremma569. La vittoria di Siena sui signori di Torniella deve essere stata un’occasione per le autorità del comune per aumentare il proprio prestigio e il proprio consen- so. Dopo la conquista, dal castello furono prelevate tutte le campane e portate come trofeo a Siena570, per essere collocate nel campanile di San Martino571. Ma ancora più signifi cativa fu la decisione del Consiglio della Campana di pagare con un paio di panni ioculatori qui fecit ballatam de Torniella et expendatur in dictis pannis C solidos denarii per Camerarium et IIII comunis Senarum572; mentre nei libri di Biccherna è registrato il pagamento di cento soldi di danari a Guidaloste ioculatori de Pistorio, pro uno pario pannorum ex forma Consilii Campane qui fecit cantionem de capitione Tornielle573. Non è insolito che Siena celebri una sua vittoria militare commissionando una canzone. Accadrà anche nel 1285, quando verranno pagati 3 soldi a Cione del Casato per aver recitato e cantato una ballata sulla vittoria senese contro il castel- lo di Prata574. Ma il fatto di Torniella appare molto più signifi cativo di quanto pos- sa sembrare: Siena fece un uso “pubblico” di una vittoria che era stata preparata nella più assoluta segretezza, sfruttandola anche in senso propagandistico575. La ballata sembra essere andata perduta, ma il D’Ancona la segnala come «cospicuo

568 FARINELLI, Castelli e popolamento cit., pp. 44-45. 569 Caleffo Vecchio, II, cit., p. 838. 570 Nella prassi della guerra medievale le campane costituirono «una preda ambita, sia per il loro intrinseco valore di oggetti metallici, sia per il signifi cato simbolico loro attribuito»: SETTIA A.A., “Quando con trombe e qundo con campane!”: segnali militari nelle città dell’Italia comunale, in REDI F., PETRELLA G. (a cura di), Dal fuoco all’aria. Tecniche, signifi cati e prassi nell’uso delle campane dal Medioevo all’Età Moderna, Pisa 2007, p. 363. 571 Conte di Federico fu pagato proprio per aver rimosso le campane da Torniella e averle collocate nel campanile di San Martino: Biccherna XVI, p. 74. 572 ASS, Consiglio Generale 5, c. 32v. 573 Biccherna XVI, p. 64. Il documento è edito anche dal D’Ancona, il quale dice che la trascri- zione gli fu mandata da Lisini. Ma qui il testo appare differente: Guidaloste joculatori de Fistoria prò uno pario pannorum, quia fecit cantionem de capitione Tornielle quandam Ballatani. A. D’ANCONA, La poesia popolare italiana, Livorno 1906, p. 9. 574 ASS, Biccherna 89, c. 387r. 575 G. PICCINNI, Un intellettuale ghibellino nell’Italia del Duecento: Ruggieri Apugliese, dottore e giullare in Siena. Note intorno all’uso storico di alcuni testi poetici, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo», 105 (2003), p. 53. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 93 esempio di poesia popolare»576 proprio per la natura della committenza, al con- trario delle ballate dell’Anonimo Genovese che hanno come oggetto le vittorie della repubblica marinara, le quali ci sono pervenute ma non sappiamo se fossero state commissionate uffi cialmente dalle autorità cittadine577. In più il cantastorie Guidaloste di Pistoia era poeta molto noto alla sua epoca, per lungo tempo alla corte di Guido Pace Guidi578, e potrebbe essere quel «buon Guidaloste» ricordato da Guittone d’Arezzo, nella lettera al conte da Romena, come colui «che sol valer si dice in giostrar motti» meglio adoprando la lingua della spada579.

Conclusioni Con la presa del castello di Torniella e la sottomissione dei suoi signori, Siena aveva conquistato tutti i piccoli, ma importanti, centri di potere che dai confi ni del suo contado conducevano verso Grosseto e il mare. Con queste azioni era riuscita destabilizzare defi nitivamente l’autorità di Umberto Aldobrandeschi e, sebbene la guerra contro il conte continuasse negli anni successivi, nel 1259, non a caso lo stesso anno in cui tutti i signori di Torniel- la furono liberati, si arrivò inevitabilmente all’epilogo della vicenda nel castello di Campagnatico, ricordato anche da Dante580, in cui il conte trovò la morte581. Un ulteriore e importante risultato fu ottenuto nei rapporti tra Siena e Firen- ze. I senesi nella loro azioni in Maremma furono sempre attenti a non fornire ai fi orentini prestesti per un intervento diretto nella regione, ma questi, su pressioni di Umberto Aldobrandeschi e di altri signori, come gli esuli fi gli di Ranieri, cer- carono il loro appoggio. Gli interessi di Firenze nella regione, che si avvertirono anche nelle vicende di Torniella, furono perseguiti prevalentemente sul piano di- plomatico582, probabilmente confi dando sulla presenza militare dei conti di Piti-

576 D’ANCONA, La poesia popolare italiana cit., p. 9. 577 Op. cit., pp. 9-10. 578 M. CERRONI, Guidaloste da Pistoia, in Dizionario Biografi co degli Italiani, LXI, Roma 2003, pp. 173-174. 579 GUITTONE D’AREZZO, Le lettere di fra’ Guittone d’Arezzo, a cura di G.G. Bottari, Roma 1745, p. 32. 580 DANTE, Divina commedia, Purgatorio, XI, vv. 52-72. 581 Non è ancora chiaro come avvenisse la morte del conte, se in combattimento o strangolato. Sulla vicenda si vedano le considerazioni in: CIACCI, Gli Aldobrandeschi cit., pp. 157-161; D.G. FALDINI, Cenni storici su Campagnatico, in «Bollettino della Società Storica Maremmana», 7, 1963, p. 21. L’am- biguità e le lacune nei documenti fanno supporre un intervento nella vicenda delle spie di Siena, ma allo stato attuale delle ricerche non vi sono ancora prove certe. 582 Anche sul piano commerciale Firenze tentò di sovrapporsi agli interessi senesi: nel 1256 i fi orentini inviarono mercanti a Grosseto pro facendo dogana salis, cercando così di fare concorrenza eco- nomica a Siena, a dispetto dei patti commerciali tra quest’ultima e il comune maremmano: BORRACELLI, Lo sviluppo economico di Grosseto e della Maremma cit., pp. 171-172. 94 Marco Merlo gliano loro alleati583, e l’intervento armato in aiuto del conte Umberto, ordinato alle milizie di San Gimignano solo nel 1258584, fu evidentemente tardivo. Siena, che con la morte di Umberto, l’unico suo oppositore, aveva a questo punto il con- trollo della maggior parte dei castra. Ciò provocò anche una reazione di Orvieto, che nel maggio del 1260 inviò milizie a occupare Montelaterone, ma l’ormai incontrastata egemonia senese nella regione permise al Consiglio Generale di prendere contromisure che neutralizzarono l’azione orvietana585: la Maremma era quindi diventata un dominio senese e, all’indomani della sconfi tta fi orentina sul campo di Montaperti, Siena riuscì a estromettere Firenze da ogni ingerenza sui castelli della Maritima. Dalla documentazione emerge non solo il ruolo determinante che giocarono le spie senesi nelle strategie espansionistiche, ma anche la presenza di una classe dirigente cittadina che, grazie a stretti rapporti di natura personale, politica e diplo- matica, era divenuta esperta nelle questioni maremmane, contribuendo in modo si- gnifi cativo e determinante all’attuazione delle delicate strategie di Siena nell’area. Fu grazie alle competenze e all’esperienza di membri del Consiglio della Campana, come emerge dalle registrazioni dei libri di Biccherna586, quali Cristoforo Mancini587,

583 Probabilmente i fi orentini decisero di impegnarsi maggiormente contro Pisa, con la quale sce- sero in guerra nel 1256. 584 Archivio di Stato di Firenze, S. Gimignano 90, c. 13r, 28r. 585 ASS, Consiglio Generale 9, cc. 129v, 132r-133v, 144r. 586 I libri di Biccherna, più di qualunque altra fonte senese, permettono di seguire nel dettaglio in quale modo queste personalità svolsero materialmente le proprie missioni, e proprio per tale ragione, in questa sede, si prenderà in considerazione solo la fonte contabile. 587 Cristoforo Mancini sembra aver iniziato la sua carriera politica proprio con incarichi militari, in particolar modo in Maremma. Nel 1251 fu uno dei cavalieri del contingente inviato sul Monte Amiata e in Maremma. Subito dopo fu uno dei tre uffi ciali chiamati a munire i castelli di Siena e gestire i balestrieri e gli arcieri da inviare nei castra; fu sempre lui a essere incaricato di gestire i balestrieri mercenari, i fanti e i due trombettieri del comune che Siena destinò al servizio dei ghibellini di Toscana e al conte Guido (Biccherna XII, pp. 52, 71-72). Nello stesso anno fu inviato a Montiano e a Gangareta con cavalieri e fanti, ma fu soprattutto a Montiano che ebbe le maggiori responsabilità, dimostrando capacità organizzative notevoli: stipendiò i fanti senesi inviati nel castello (Biccherna XII, p. 87); dovette procurare e stipendiare i masnadieri (Biccherna XII, pp. pp. 111, 113, 136), i cavalieri e i fanti mercenari di stanza nel castello (Biccherna XII, pp.78, 81, 95, 97); procurò gli armamenti alla guarnigione e remunerò il maestro che li fornì (Biccherna XII, pp. 81, 95); fece costruire nel castello macchine belliche e organizzò missioni di esplorazione nei territori nemici (Biccherna XII, pp. 87). Verso la fi ne dell’anno fu incaricato di fornire il soldo a 20 balestrieri mandati a Monticello e fu responsabile dei cavalieri e fanti in presidio a Montereg- gioni, Querciagrossa, Cerreto per il tempo in cui i cavalieri di Siena stettero ad Arezzo (Biccherna XII, pp. 98, 120). Queste missioni dovevano averlo portato anche molto vicino al nemico durante i combattimenti, poiché fu rimborsato per la perdita di un cavallo proprio durante una missione (Biccherna XII, p. 116). Probabilmente per le sue qualità amministrative l’anno seguente gestì la logistica dell’esercito senese a Figline: fu lui a raccogliere le masserizie e, insieme a Ugolino di Piccolo e il notaio Cambio (Biccherna XIII, p. 186; probabilmente Cambio fu lo stesso notaio che redasse l’atto di concordia con i signori e gli uomini di Torniella: Biccherna XVI, pp. 124, 131), tenne le casse dell’esercito (Biccherna XIII, pp. 19, 72, 81, 120, 184). Insieme a Bernardino Mezzolombardo nel 1252 fu uno dei cinque uffi ciali “sopra le lettere, Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 95

Bernardino Mezzolombardo588, Sterpolo589, il giudice Sinibaldo590 e il miles Ne- spie e messi” (CIRIER, Un altro aspetto della battaglia di Montaperti cit., p. 126). In tale veste organizzò missioni di spionaggio nel castello di Marti, in seguito distrutto; condusse a Siena i prigionieri lucchesi e stipendiò i fanti senesi inviati ad Arezzo (Biccherna XIII, pp. 70, 119). Negli anni seguenti svolse il proprio ruolo di consigliere nel Consiglio della Campana essenzialmente all’interno delle mura cittadine (insieme a Bernardino Mezzolombardo, fu uno 15 uomini che scrissero gli ordinamenti quomodo comune Senese posset exire de debito: Biccherna XX, p. 161), occupandosi sempre degli armamenti, come nel 1258, quan- do acquistò per il comune una fornitura di balestre (Biccherna XX, pp. 20, 38, 62, 80, 108). Nonostante ciò continuò a essere la fugura chiave nella gestione della rete di spionaggio senese (CIRIER, Un altro aspetto della battaglia di Montaperti cit., p. 126); nel delicato anno 1259, fu chiamato a svolgere missioni segrete in Maremma: corruppe per conto del comune Ildebrandino di Genetasio per stare tacitum et contemptum riguardo un crimine commesso ai danni del conte Ildebrandino di Pitigliano e fu uno dei 9 ambasciatori, tra cui vi era anche Lepoleone Ciampoli, inviati a Grosseto (I libri dell’entrata e dell’uscita della repub- blica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Ventunesimo libro (1259 primo semestre), a cura di S. Fineschi, Roma 1969, d’ora in avanti Biccherna XXI, pp. 111, 112, 143). Nel secondo semestre dello stesso anno è pagato per le missioni in Maremma, al fi ne di causare la guerra contro Ildebrandino di Pitigliano; si occupò dei prigionieri catturati tra le fi la di Ildebrandino il Rosso, tra cui gli uomini di Campagnatico e altri masnadieri del conte (Biccherna XXII, pp. 94, 97). Fu nominato capitano dei masnadieri e dei balestrieri senesi di stanza a Tatti (Biccherna XXII, pp. 102-103, 115) e alla fi ne dell’anno fu uno dei sei boni homines, insieme a Lepoleone Ciampoli, chiamati a condurre il fatto di Manciano e i rapporti con il conte Ildebrandino di Pitigliano (Biccherna XXII, p. 139). 588 Bernardino Mezzolombardo, della famiglia Maconi, fu uno degli uomini politici più in vista nella Siena di metà Duecento. Nel 1253 fu uno dei capi politici della spedizione su Figline: per quest’im- presa arruolò cavalieri mercenari e organizzò missioni di esplorazione nei territori nemici (Biccherna XIII, pp. 4, 44, 61, 81). Nel 1252, insieme a Cristoforo Mancini, fu uno dei cinque uffi ciali posti “sopra le lettere, spie e messi” (CIRIER, Un altro aspetto della battaglia di Montaperti cit., p. 126). Nel 1253 fu uno dei Quattro Provveditori della Biccherna (Biccherna XIV, pp. 3-4). Terminato questo incarico, l’anno successivo fu eletto uffi ciale per le cavalcate e i balestrieri (Biccherna XV, p. 195). Nel 1255, oltre alla missione diplomatica a Prata (Biccherna XVI, pp. 19; 81; 83), fu inviato anche a Firenze (Biccherna XVI, p. 55). Negli anni successivi continuerà a essere ricordato per la gestione di alcuni affari di natura eco- nomica per il comune, ad esempio nel 1258 fu uno dei 15 uomini che scrissero gli ordinamenti quomodo comune Senese posset exire de debito (Biccherna XX, p. 161). 589 Sterpolo di Conte, che ricoprì anche il ruolo di podestà di Massa Marittima, fu forse il per- sonaggio che più degli altri compì personalmente missioni di spionaggio quasi esclusivamente in Ma- remma, dove pare aver avuto importanti contatti personali. Per questo motivo i documenti su di lui sono decisamente più laconici e vaghi. Nel 1251 fu pagato per una missione in Maritima (Biccherna XII, p. 78). Figura nelle fonti contabili del 1252, in cui viene detto «giudice», per aver svolto missioni a Quer- ceto, presso il conte Ildebrandino, a Grosseto e in altre terre della Maremma (Biccherna XIII, pp. 93, 94, 132). Tra il 1253 e il 1254 è uno degli uffi ciali, insieme a Bernardino Mezzolombardo, eletti per gestire le cavalcate e i balestrieri (Biccherna XV, p. 195). Dopo il 1255, durante il quale come visto fu attivissimo in Maremma, nel 1257 fu l’ambasciatore senese a Orvieto per parlare del factum del dominus Graziano e del dominus Bernardino, che riguardava entrambi i rami degli Aldobrandeschi, e successivamente fu inviato a Grosseto (Biccherna XVII, pp. 86, 126, 127). Probabilmente grazie alla sua esperienza nel 1258 fu inviato prima a Firenze e poi a Pisa (I libri dell’entrata e dell’uscita della repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna. Diciannovesimo libro (1258 primo semestre), a cura di U. Morandi, Roma 1963, d’ora in avanti Biccherna XIX, pp. 121, 162). Nei registri della Biccher- na non sono registrate altre operazioni da lui compiute, ma nel 1259 suo fi glio Conte fu pagato per una missione presso Federico di Sassoforte (Biccherna XXII, p. 94): evidentemente Conte aveva ereditato i contatti del padre, che continuò a sfruttare in favore di Siena. 590 Sinibaldo è ricordato solo nei fatti avvenuti nel 1255. In quanto forestiero è possibile che abbia servito Siena solo per un anno. 96 Marco Merlo poleone Ciampoli591 che Siena ottenne il controllo di Campagnatico, Montorsaio e Torniella; sempre grazie a loro poté stringere migliori rapporti con i signori di Sticciano, Sassoforte, Prata, Cinigiano, Fornoli, Civitella e Pari, vigilare le aree amiatine e pilotare le politiche delle città come Grosseto e Massa Marittima. Sul fronte interno le guerre e le missioni in Maremma avevano avuto gran- di e gravi ripercussioni sulle fi nanze senesi, già provate dalla guerra del 1251- 1254. Per la liberazione dei cavalieri senesi catturati dai fi orentini, che proprio nel 1255 militarono volontariamente nell’esercito pisano, le 5000 lire richieste come riscatto furono versate da Pisa592, mentre a Siena non si trovano più tracce documentarie del fondo appositamente adibito al pagamento dei riscatti di guerra, presente fi no al 1235. Il comune aveva ricevuto prestiti a tassi d’interesse enormi, come il 16% per il denaro necessario all’acquisto di Monteorsaio, indebitandosi con le potenti famiglie bancarie, come i Salimbeni, i Tolomei593, i Bonsignori o gli Scotti, che negli anni Cinquanta concessero al comune mutui di considerevole entità594. Ma le potenzialità economiche e mercantili offerte dalla Maremma non

591 Si è ampiamente detto sulla carriera militare di Nepoleone Ciampoli, esponente della famiglia Cerretani (anche il fratello Giacomo era uomo pratico di guerra Biccherna XX, p. 174). La documentazio- ne offerta dai registri della Biccherna indicano che anche lui mise a disposizione le proprie competenze per agevolare le politiche senesi in Maremma. Dopo il factum de Tornella fu nuovamente impegnato in Maritima nel 1257, recandosi a Santa Fiora per parlare con il conte Ildebrandino, circa il factum del dominus Graziano e del dominus Bernardino, questione che lo portò successivamente a Orvieto (Bic- cherna XVII, pp. 108, 117, 119). In primavera fu pagato per alcune ambasciate presso Cornina, Massa Marittima e nelle terre dei Pannocchischi, inerenti l’approvvigionamento di frumento (Biccherna XVII, p. 214). In estate era nuovamente in missione in Maremma, con Maconcino di Viviano Maconi (parente di Bernardino Mezzolombardo) e il notaio Gionte, nelle terre dei Pannocchieschi e a Massa Marittima, per un’ambasciata incentrata sulla sicurezza di quei luoghi (I libri dell’entrata e dell’uscita della repub- blica di Siena detti del Camarlingo e dei quattro provveditori della Biccherna.Diciottesimo libro (1257 secondo semestre), a cura di S. DE COLLI, Roma 1961, d’ora in avanti Biccherna XVIII, p. 87), mentre alla fi ne dell’anno era tra i dieci milites inviati a Campagnatico per trovare la biada necessaria al comune di Siena (Biccherna XVIII, p. 128). Durante i primi sei mesi del 1258 fu ambasciatore a Montelaterone e venne pagato per aver scortato a Siena gli uomini del castello (Biccherna XIX, pp. 90, 125); stipendiò il castellano di Tintinnano, Tinaccio di Guarnerio, e quello di Montorsaio (Biccherna XIX, pp. 123, 164) e stette 7 giorni a Tintinnano e a Monticello per conto del comune (Biccherna XIX, p. 190). Verso la fi ne dell’anno era ancora una volta in missione a Massa Marittima (Biccherna XX, p. 99). L’anno successivo, al comando di alcuni fanti, stipendiò e gestistì i masnadieri e i capitani senesi di stanza a Camapagnatico per il fatto del conte Umberto (Biccherna XXI, pp. 24, 35). Svolse ambasciate a Roccastrada, durante una delle quali rimase infermo a Civitella, presso i Pannocchieschi e, con altri 9 ambasciatori tra cui Cristo- foro Mancini, fu ambasciatore a Grosseto (rispettivamente (Biccherna XXI, pp. 49-50, 73, 76, 106, 112, 143). Nella seconda metà dell’anno fu uno sei boni homines, insieme a Cristoforo Mancini, a essere scelti per gestire il fatto di Manciano e del conte Ildebrandino di Pitigliano (Biccherna XXII, p. 139). 592 Caleffo Vecchio cit., I, pp. 306-308. 593 Sui Tolomei: R. MUCCIARELLI, I Tolomei, banchieri di Siena: la parabola di un casato nel XIII e XIV secolo, Siena 1995. 594 WALEY, Siena e i senesi cit., p. 59. In generale si veda: W.M. BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena: 1287-1355, Firenze 1976. Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma 97 sfuggivano ai banchieri di Siena, e gli interventi armati e diplomatici sui castelli, che avevano determinato la crisi delle famiglie signorili maremmane, potevano divenire un opportunità per il comune di ripagare i suoi creditori e per i banchieri di accrescere i propri interessi commerciali e aumentare il proprio prestigio so- ciale. Infatti negli anni successivi Siena fece in modo di introdurre in Maremma il capitale fi nanziario delle famiglie magnatizie cittadine595, incentivando l’acquisto e l’acquisizione dei poteri signorili nei castelli assoggettati tra il 1254 e il 1259. Montorsaio, Selva in Val d’Elsa, Tintinnano e Castiglione Senese in Val d’Orcia vennero vendute nel 1275 ai Salimbeni. Tra il 1270 e il 1282 a Camapgnatico i Tolomei possedevano la maggior parte del castello e delle terre circostanti, a discapito dei Visconti di Campiglia che furono lentamente estromessi. Nel 1282 il comune poté acquisire l’intero territorio e inserirlo nel proprio contado, eserci- tando i poteri signorili, e riversare il debito contratto per l’acquisto sulla comunità locale; ma nel 1316 il comune lo rivendette all’Ospedale di Santa Maria della Scala. A Prata, in cui Siena aveva comprato porzioni di castello e terreni tra il 1293 e il 1306, nel 1308 s’instaurarono i Malavolti596. Allo stesso modo l’espu- gnazione di Torniella e la caduta in disgrazia dei suoi signori, furono la premessa per introdurre nella regione i magnati senesi Pela Baldinotti e Filippo Malavolti che, dopo aver investito nell’acquisto del castello, dei terreni e delle strutture produttive circostanti, attirando altro capitale fi nanziario senese, nei primi anni del XIV secolo, il Malavolti poté acquisire anche i diritti signorili sul castello, che fi no a quel momento erano stati prerogativa degli eredi di Ranieri597.

MARCO MERLO

595 Ciò avvenne quando ormai nel tessuto socio-politico senese si erano afffermate famiglie prive di una tradizione cavalleresco-militare: GIORGI, Il confl itto magnati/popolani cit., pp. 147-148. 596 Si veda REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 140-143. 597 Su questi temi si veda: E. AZZARO, Torniella dalla signoria locale al dominio cittadino (1230- 1330). Nuove acquisizioni dal diplomatico dell’archivio Bulgarini-d’Elci, tesi di laurea specialistica, Università degli Studi di Siena, relatore M.Pellegrini, aa. 2010-2011. CORPORAZIONI CITTADINE E POPOLO DI MERCANTI A SIENA TRA DUE E TRECENTO: APPUNTI PER LA RICERCA*

Arti deboli sulla «strada» Complice il confronto impari e fuorviante col modello fi orentino – città industriale per eccellenza e archetipo del governo del Popolo delle Arti – la sto- riografi a ha tradizionalmente insistito sulla debolezza delle corporazioni senesi, ricorrendo spesso a defi nizioni forti. Nella città «fi glia della strada», la città senza fi ume, nata quasi contro natura lungo la Francigena, lo sviluppo delle Arti mani- fatturiere era condizionato da un’atrofi a congenita dovuta alla mancanza d’acqua. Nonostante l’abbondante materia prima garantiti dai pascoli maremmani e dalle rotte della transumanza che li attraversavano, le industrie trainanti dell’economia urbana medievale, tessile e cuoio, erano destinate a «vita rachitica» e così le Arti che le rappresentavano1. Lontano dagli assetti economici e politici della vicina Firenze, il populus di Siena rifl etteva, dunque, la fi sionomia economica e sociale di una città di banca e commerci. Le sinergie politiche tra corporazioni e governo erano destinate a vita breve, e lungo tutto il regime dei mercatores (1270-1355) si ridussero alla Mercanzia e ai vertici dell’Arte della Lana che sostanzialmente esprimevano il governo2. Va da sé che le politiche economiche rispetto al mondo delle Arti erano tese a favorire le elite mercantili della Lana e l’industria tessile in generale. Gli statuti senesi degli anni Trenta del Trecento, così duri con le corporazioni citta-

* Per le fonti inedite, conservate tutte presso l’Archivio di Stato di Siena (ASS), ho usato le se- guenti abbreviazioni: Abbondanza (Abb); Collegio Notarile (CN); Concistoro (Conc); Consiglio Genera- le (CG); Diplomatico, Opera Metropolitana (DOM); Diplomatico, Riformagioni (DR); Mercanzia (M); Statuti di Siena (SSi). Ringrazio Valeria Cappelli, Davide Cristoferi e Andrea Giorgi per avermi aiutata a reperire parte del materia inedito qui utilizzato. 1 Le citazioni si leggono, rispettivamente, in: E. SESTAN, Siena avanti Montaperti, «BSSP», LXVIII (1961), pp. 28-74: 30 e U.G. MONDOLFO, Il Populus a Siena nella vita della città e nel governo del Comune fi no alla riforma antimagnatizia del 1277, Genova, Formìggini, 1911, p. 16. 2 M. ASCHERI, Arti, mercanti e Mercanzie: il caso di Siena, in ID., Siena nel Rinascimento. Istitu- zioni e sistema politico, Siena, il Leccio, 1985, pp. 109-37; W. BOWSKY, Un comune italiano nel medioe- vo. Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355, Bologna, il Mulino, 1986, pp. 261-357.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 99 dine, sintetizzano la posizione del governo dei mercanti in un De augmentatione artis Lane che, da solo, riassume un progetto economico e politico3. Il contributo che propongo si inscrive nel solco di una tradizione storiogra- fi ca – quella sulle corporazioni – di lunga data e alterne fortune4, e che a Siena è, salvo rare eccezioni, sostanzialmente latitante e datata. Sul piano documentario, la debolezza delle Arti si traduce, infatti, in fonti interne scarse e frammentarie. La carenza di studi viene di conseguenza, nonostante gli abbondanti riferimenti normativi al mondo del lavoro e delle corporazioni dovuti alle forti ingerenze co- munali. Nell’offrire una piattaforma aggiornata sulle fonti e gli studi disponibili, ripercorro l’evoluzione della normativa comunale sulle Arti dalla metà del XIII agli anni Trenta del XIV secolo, nel tentativo di stimolare nuove ricerche sui me- stieri, le corporazioni e il loro ruolo nella società, nell’economia e nella politica della Siena, cosiddetta, ‘novesca’.

1. Naufragi documentari e limiti alla ricerca Lo sbilanciamento della documentazione corporativa verso l’età moderna è fenomeno noto e causa di una distorsione storiografi ca che, per lungo tempo, ha portato gli studiosi a considerare il medioevo come un «periodo di incuba- zione» delle Arti, pienamente formate – e, dunque, analizzabili – solo nella fase moderna, quando corpose serie archivistiche pubbliche e artigiane permettono di seguirne agevolmente le vicende5. Nel caso di Siena, una delle maggiori città dell’Italia tardomedievale, il naufragio delle fonti artigiane di Due e Trecento è particolarmente grave. Per quanto il peso politico non sia l’unico fattore determinante per la conser- vazione della memoria storica delle Arti, è innegabile che la convergenza istituzio-

3 La rubrica apre la sezione dedicata alla Lana in: SSi 26, IV, 196 (1337-9, d’ora in avanti Con- stituto 1337-9). 4 La bibliografi a sulle Arti è fra le più ampie e articolate. Si vedano i riferimenti in: F. FRAN- CESCHI, «… e seremo tutti ricchi». Lavoro, mobilità sociale e confl itti nelle città dell’Italia medievale, Pisa, Pacini, 2012; A. BARLUCCHI, Gli statuti delle arti e la normativa del mondo del lavoro nella Tosca- na dei Comuni: sguardo panoramico e prospettive di ricerca, «Archivio Storico Italiano», CLXXI/3 (2013), pp. 509-41; D. BEZZINA, Organizzazione corporativa e artigiani nell’Italia medievale, «Reti Medievali Rivista», 14/1 (2013), pp. 351-374 (anche in http://www.rm.unina.it/repertorio/). I rapporti tra Arti e comuni di Popolo rappresentano un fi lone caro alla storiografi a italiana sulle società di me- stiere, sintetizzato nei primi anni Quaranta del secolo scorso da un saggio di G. DE VERGOTTINI, Arti e “popolo” nella prima metà del secolo XIII, Milano, Giuffré, 1943. Si vedano i riferimenti in: A. POLO- NI, Strutturazione del mondo corporativo e affermazione del Popolo a Lucca nel Duecento, “Archivio Storico Italiano” (da ora ASI), CLXV/3 (2007), pp. 449-486. 5 D. DEGRASSI, Tra vincoli corporativi e libertà d’azione: le corporazioni e l’organizzazione della bottega artigiana, in Tra economia e politica: le corporazioni nell’Europa medievale, Atti del XX con- vegno di studi del CISSA (Pistoia, 13-16 mag. 2005), Pistoia 2007, pp. 359-384: 360-361. 100 Valentina Costantini nale tra le corporazioni cittadine e il Popolo rappresenti un presupposto importante in questa direzione. Gli imponenti archivi delle corporazioni fi orentine – vero e proprio specchio di quelli comunali6 –, bolognesi7, perugine o eugubine8 stanno lì a dimostrarlo. A Siena, invece, la politica di coartazione delle Arti contribuì a de- terminare gravi perdite documentarie. Né d’altro canto – nonostante l’incessante lavorio di revisione della documentazione artigiana da parte delle commissioni governative – il Comune senese fu quel naturale veicolo di trasmissione documen- taria attestato, ad esempio, a Verona, Pisa o, ancora, Bologna e Firenze, dove si conservano le copie degli statuti artigiani sottoposti a controllo periodico9. Sintetizzando, tra lacune strutturali e incidentali, i fattori che hanno deter- minato il desolante panorama archivistico delle Arti senesi sono da imputare: 1) per la documentazione prodotta prima del 1355, al forte verticismo della politica comunale rispetto alle autonomie artigiane, da cui le pesanti limitazio- ni giurisdizionali e – soprattutto nei confronti dell’Arte dei carnaioli (macellai- mercanti di bestiame) – le ripetute soppressioni; 2) all’assalto degli archivi comunali – a cominciare da quello della Mercan- zia – durante la ‘rivoluzione’ del 1355 che portò alla caduta dei Nove10; 3) ai trasferimenti di interi fondi archivistici in seguito ad accorpamenti/ scissioni/assorbimenti tra Arti affi ni attestati tra Due Trecento, in occasione della grande riforma del 1355, e poi lungo tutta l’età moderna, fi no alle soppressioni leopoldine11; 4) infi ne, alle distruzioni volontarie delle scritture correnti – considerate

6 F. FRANCESCHI, La parabola delle corporazioni, in Arti fi orentine. La grande storia dell’Artigia- nato, 5 voll., a cura di F. Franceschi e G. Fossi, Firenze, Giunti, 1999, pp. 79-101: 79-81. 7 R. GRECI, Un saggio bibliografi co su corporazioni e mondo del lavoro, in ID., Corporazioni e mondo del lavoro nell’Italia padana medievale, Bologna, Clueb, 1988, pp. 45-92: 47-54. 8 Itinerarium. Università, corporazioni e mutualismo ottocentesco: fonti e percorsi storici, Atti del Convegno di studi del Centro Italiano di studi sull’alto medioevo (Gubbio, 12-14 gennaio 1990), a cura di E. Menestò e G. Pellegrini, Spoleto 1994, pp. 145-158, 202-233, 236-254; “Per lo buono stato de la citade”. Le Matricole delle Arti di Perugia, Catalogo della Mostra (Palazzo della Penna, 20 giugno - 15 settembre 2001), a cura di M. Roncetti, Perugia, 2001. 9 BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit., pp. 518-22. Le matricole delle Arti e delle Armi bolognesi si conservano in copia presso gli uffi ci comunali dal 1267 al 1796 (lacune per il 1275-93, 1312-1409): A.I. PINI, I Libri matricularum Societatum Boniensium e il loro ordinamento archivistico, Archivio di Stato di Bologna, 1967. 10 S. MOSCADELLI, Apparato burocratico e fi nanze del comune di Siena sotto i Dodici (1355-1368), «BSSP», LXXXIX (1982), pp. 29-118: 31-40. 11 Vedi, ad esempio, la mobilità interna ai settori del cuoio, dei metalli, del tessile: G. PRUNAI, Notizie sull’ordinamento interno delle Arti senesi, «BSSP», XLI (1934), pp. 365-420: 370-2; ID., Arti e mestieri, negozianti e fabbricanti e botteghe in Siena all’epoca della “Grande inchiesta” leopoldina degli anni 1766-1768, «BSSP», XCIII (1986), pp. 328-67: 347-50. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 101 carta straccia, una volta esaurita la loro funzione –, alla semplice incuria, o, anco- ra, ad eventi straordinari (guerre, alluvioni, incendi, ecc.). Il risultato è che meno della metà delle Arti, associazioni o federazioni di Arti, che vantano sopravvivenze archivistiche, conservano documentazione due- trecentesca (13 su 28). Su 169 pezzi del fondo Arti, appena 21 datano al XIII-XIV secolo. Anche aggiungendo 3 registri provenienti dal Collegio Notarile – fondo principale di tradizione documentaria per l’Arte dei giureconsulti12 –, e le perga- mene duecentesche contenenti i brevi dei Calzolai (1212, in copia del 1219) e dei Lapidici (1240), la situazione cambia poco. Lana (1292), Giudici e Notai (1303/6) e l’Arte che riuniva le maggiori manifatture del cuoio (Cuoiai e Calzolai, 1329) detengono il primato per quantità di fonti conservate e, almeno le prime due, an- che per varietà tipologica. Le altre – Carnaioli (1288), Chiavai (1323), Pellicciai (1343), Bastieri (1344), Osti e Albergatori (1355), Pittori (1355), Speziali (1355), Orafi e Argentieri (1361), Arte del Fuoco (1394) – conservano, infatti, un solo pezzo archivistico: breve o statuto a seconda dei casi (Tabella e Grafi co 1). Su un totale di 26 testimoni, quindi, dominano incontrastati gli statuti (alme- no uno per Arte). Si tratta di testi uffi ciali, espressione di una normativa interna già matura, normalmente traditi in copia originale, miniati e redatti in bella copia, con poche abbreviazioni – in buona lettera grossa, come si diceva allora – e, tranne i più antichi lacerti, scritti in volgare, nella lingua accessibile a tutti i sottoposti. Per tutto il Due e Trecento, si contano 13 testi normativi redatti tra 1219 e il 1394 e almeno due primati regionali. Rispetto al panorama delle Arti toscane, Siena – al terzo posto per numero di statuti conservati (subito dopo Firenze e Pisa) – vanta, infatti, gli esemplari più antichi sia in latino (breve dei calzolai) che in volgare (breve dei carnaioli, 1288, sulla cui datazione – per quanto il testo risulti mutilo e conservato in copia di XVII-XVIII secolo – non nutro grossi dubbi)13. Degli sta-

12 Versato in ASS in momenti differenti, il materiale dell’Arte dei giudici e notai è conservato nel fondo delle Arti (1-7) e in quello autonomo del Collegio Notarile (254 pezzi tra statuti, delibere e abbon- dante materiale amministrativo). Cfr.: G. CATONI, Il collegio notarile di Siena e il suo archivio, «Studi se- nesi», XCV, 3 (1983), pp. 472-491: 483-491. Il grosso della documentazione delle Arti pervenne in ASS nell’ultimo quarantennio del XX secolo: Il R. Archivio di Stato di Siena nel settembre del 1862, Siena 1862; Indice sommario delle serie dei documenti al 1º Gennaio 1900, Siena 1900. Il materiale del fondo del Collegio Notarile fu versato successivamente, forse nel 1956, certamente entro il 1972: G. CATONI, Statuti senesi dell’arte dei Giudici e notai del secolo XIV, Roma 1972. 13 Per una rassegna degli statuti editi e redatti entro la metà del Trecento: BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit. Per lo statuto dei carnaioli si vedano le considerazioni degli editori: Statuti senesi scritti in volgare nei secoli XIII e XIV, a cura di F.L. Polidori, Bologna, Forni, 1863, I, pp. XI-XXII. Lì è messa in dubbio la datazione proposta dal Gigli e dal Benvoglienti adducendo argomentazioni che ritengo discu- tibili (errori e incongruenze cronologiche, i riferimenti al mercato del bestiame nel Campo, ecc.). Non è il caso che mi dilunghi qui sull’argomento, ma anticipo che, confrontando la copia conservata in ASS, l’edizione del 1863 e i dati raccolti nelle mie ricerche sui carnaioli senesi, la datazione a fi ne Duecento è più che plausibile. 102 Valentina Costantini tuti due-trecenteschi, gli unici a non essere ancora stati pubblicati sono quelli dei Bastieri (1344) e della federazione della Maggiore Arte del Fuoco, che riuniva spadai, forbiciai, agutai, fi biai, coppai e frenai (1394)14. Sul fronte della documentazione corrente, le fonti medievali disponibili sono, se possibile, ancora più scarse. Si contano, infatti, sporadici elenchi di ma- estri (matricole): • Arte della Pietra (DOM 92): 3 pergamene provenienti dall’Archivio dell’Opera del Duomo e contenenti le modifi che apportate al Breve dell’Arte tra il 1235 e il 1277 (originale e copia), con allegato l’elenco dei 48 maestri che approvarono le riforme (Hic sunt magistri qui volunt ut predicta fi ant); • Giudici e Notai (Arti 2). Unico vero e proprio registro di matricole con- servato: dal 5 settembre del 1341 vi fi gurano, giorno per giorno e fi no al 1533, i nomi dei nuovi membri; • Albergatori (Arti 42). Nella copia dello statuto dell’Arte, edita da Curzio Mazzi prima che sparisse in una collezione privata, si conservavano due matri- cole: una di metà XIV secolo (100 iscritti, fra cui 10 donne); l’altra del 1399, rimasta incompiuta15; • Arte del Fuoco (Arti 105): 72 membri approvarono lo statuto dell’Arte nel 139416; e un pugno di registri che conservano materiale in lista, documentazione amministrativa o comunque utile alla gestione interna delle Arti: • Giudici e Notai: elenco degli atti notarili dal 18 agosto 1348 al 26 marzo 1523 (CN 22); tariffario della prima metà del XIV secolo (Arti 3); elenco dei consoli eletti dal 1355 al 1513 (CN 13); elenco di debitori e creditori, 1355-1564 (CN 37); • Lana: copie dei contratti stipulati dall’Arte (1325-53, 1365-1542), trascri- zione dei verbali delle elezioni dei consoli (Arti 70-71) e normativa comunale (Arti 63, 1305-1416); • Capitudini delle Arti: elenco dei 2.411 iscritti alle Dodicini Capitudini delle Arti riformate, redatto nel pieno della peste del 1362-3 (Arti 165). Restringendo il campo di indagine alle sole fonti prodotte durante il periodo di governo dei mercatores (1270-1355), il numero delle Arti che hanno trasmesso

14 Per i rimandi alle edizioni: nota 21 e Guida generale degli archivi di Stato, IV, Roma, 1994, p. 171 anche per le edizioni dei testi quattrocenteschi di Seta, Pietra, Legname, Muratori. 15 C. MAZZI, Il Breve dell’Arte degli Albergatori in Siena compilato nel 1355, «BSSP», IX (1902), pp. 336-66. 16 Per il XV secolo, si conservano le matricole della Lana (Arti 71, cc. 67-68, 1405-7), dell’Arte del Fuoco (Arti 106, 1405-7) e 2 elenchi parziali degli Alberagatori presenti alle adunanze nel 1428 e nel 1447 (MAZZI, Il Breve dell’Arte degli Albergatori, pp. 363-365). Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 103 documentazione scende a 8 – Carnaioli, Lana, Cuoiai e calzolai, Giudici e Notai, Chiavai, Pellicciai. Tra i 16 testimoni superstiti prevalgono ancora gli statuti, per quanto gli archivi di Lana, giureconsulti, e cuoiai mantengano una certa varietà nella tipologia delle fonti tradite (Grafi co 2). Rispetto a un quadro generale così scarno, la Mercanzia offre uno scenario migliore, con un fondo archivistico indipendente e 12 serie. Anche in questo caso, però, dei 921 pezzi conservati tra il 1326 e il 1785, appena 8 risalgono al XIII- XIV secolo (Tabella 2): • 4 registri che conservano: il volgarizzamento dello statuto dell’Arte (M 1, 1338), le 2 edizioni del 1358 – una in volgare (lo statuto ‘verde’, M 2), l’altra in latino (lo statuto ‘rosso’, M 3)17 – e un registro di estratti normativi; • l’elenco dei giuranti alla Mercanzia nel 1326-47 – si contano nomi, so- prannomi, patronimici e residenze di 6.004 artigiani e mercanti – con annessi tariffari per l’estrazione dei contratti rogati dai notai dell’ente e quelli per le pre- stazioni dei sensali (M 12); • il registro di imbreviature di Francesco di Pietro, notaio della Mercanzia nel secondo semestre del 1365 (M 130); • una voluminosa fi lza di materiale giudiziario dal 1381 alla fi ne del XVIII secolo (M 913); • infi ne, gli inventari delle masserizie conservate presso la sede dell’Ar- te (banchi, tavole, tende, bilance, casse, candelabri, un angelo dipinti, ecc.), gli elenchi dei pigionali delle botteghe e quelli dei debitori (M 915, 1391-1476). Selezionando la sola documentazione d’età ‘novesca’, l’afonia dell’archi- vio di un’Arte antica e prestigiosa, espressione diretta del governo dei mercanti, è assordante. Restano infatti solo due voluminosi e prestigiosi testimoni: lo statu- to del 1338 e l’elenco dei giuranti del 1326-47, entrambi – vale la pena anticiparlo – espressione del crescente verticismo della Mercanzia, e dunque del governo, sui commerci, il mondo del lavoro e le corporazioni cittadine.

Dato il quadro della documentazione superstite, i limiti alla ricerca sono piuttosto evidenti. La perdita pressoché totale delle fonti interne di natura corrente restituisce un’immagine parziale, sfuggente e sostanzialmente statica delle Arti senesi e del loro rapporto coi poteri pubblici. Le lacune più gravi riguardano le matricole, i verbali delle riunioni collegiali (e da lì, in sostanza, tutta la vita corporativa, i rap-

17 Lo statuto della Mercanzia del 1472 (M 6) è esemplato dal testimone in volgare (M 3): La Mercanzia di Siena nel Rinascimento. La normativa dei secoli XIV-XVI, a cura di M. Chiantini, Siena, Cantagalli, 1996. 104 Valentina Costantini porti con la concorrenza e con le autorità pubbliche), i registri giudiziari e fi scali (sentenze, multe, tasse, acquisti di materia prima, gestione di immobili, mezzi di produzione, locazione di botteghe, assistenza ai soci malati o in diffi coltà, spese per funerali, sussidi di vedovanza, doti assegnate, ecc.), e, ancora, elenchi degli uffi ciali interni, inventari di beni, contratti e così via. Sfuggono in questo modo il numero, il genere, la posizione sociale degli iscritti; le relazioni e le gerarchie interne, e quelle tra le varie Arti (nonché il numero stesso delle società attive in un determinato periodo sotto il governo dei mercanti); il rifornimento della materia prima e l’organizzazione del lavoro; il controllo sulla produzione e il grado di autonomia delle varie società di mestiere rispetto ai poteri centrali. Le perdite subite dall’archivio della Mercanzia aggravano pertanto uno sce- nario già debole. Considerando le competenze dell’ente in materia economica, commerciale e fi nanziaria, sono giunti fi no a noi solo pochi frammenti, soprav- vissuti alla meglio alle vicissitudini del tempo e della storia. In particolare, per lo studio del mondo artigiano, la perdita dei libri de gli ordinamenti dell’arti – dove erano trascritte le norme corrette e approvate18 – non permette di valutare, al di là dei proclami statutari, il peso effettivo dell’ingerenza pubblica sulla vita delle società di mestieri e, di conseguenza, gli equilibri in essere tra elite di mercanti e mondo artigiano. Insomma, se ampliare lo spettro delle fonti indagate è prassi auspicabile in ogni ricerca, a Siena si tratta di un imperativo, l’unico modo di aggirare i limiti imposti da un naufragio documentario che per alcuni aspetti non lascia scampo.

2. Possibilità per una ricerca sulle Arti Una volta analizzate a fondo le potenzialità della documentazione supersti- te, il panorama risulta meno drammatico di quanto appaia a prima vista. Alcune delle fonti amministrative ricordate rappresentano testimoni eccezionali del rap- porto tra le Arti e il governo cittadino. Se l’elenco dei giuranti alla Mercanzia del 1326-47 è il simbolo del controllo delle elite dirigenti sul mondo corporativo, il quadernetto degli iscritti alle Capitudini delle Arti del 1362-3 fotografa il riasset- to del sistema corporativo e la defi nitiva ‘istituzionalizzazione’ dell’ente Mercan- zia sotto il governo dei Dodici, quando il gruppo dirigente era espresso, almeno formalmente, dalle Arti riorganizzate, appunto, in 12 Capitudini (1355-68). Allo stesso modo, la matricola dei notai del 1341 e l’elenco dei consoli del 1355 rac-

18 Mercanzia 1338, I, 17. Per le gravi perdite subite dall’archivio dell’Arte: M. ASCHERI, Giustizia ordinaria, giustizia di mercanti e la Mercanzia di Siena nel Tre-Quattrocento, in ID., Tribunali giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 23-54. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 105 contano, nell’ordine, la riabilitazione controllata e il recupero delle prerogative di un’Arte invisa al governo dei Nove e, almeno in parte, tenacemente schierata all’opposizione19. Gli statuti – e, come si sa, non solo quelli artigiani – sono fonti per loro stessa natura insidiose che vanno usate con cautela. Essi rendono il senso della normazione, la sua dimensione propositiva. La prassi va letta nell’interlinea, lì dove si intuisce lo scarto, la realtà quotidiana dietro divieti e imposizioni reitera- te. Appena possibile, quindi, le fonti statutarie vanno integrate e messe confronto con l’altro grande canale di informazione sul mondo dei mestieri e delle corpora- zioni medievali: la normativa comunale. Qui le buone notizie non mancano perché il patrimonio documentario conservato presso l’Archivio di Stato di Siena offre ampie possibilità di ricerca. Centinaia di registri comunali (statuti cittadini, raccolte inedite e poco studiate di emendamenti due- e soprattutto trecenteschi, delibere del consiglio generale, registri amministrativi e fi scali) permettono di seguire, spesso giorno per giorno, l’attività normativa del governo – dalla discussione preliminare della legge alla sua ratifi ca fi nale – e ricostruire le dinamiche politiche, gli equilibri tra le correnti interne ai gruppi consiliari. Senza dimenticare, poi, le enormi potenzialità della documentazione privata: una miniera di informazione sui livelli di vita, il tenore degli investimenti degli artieri, le relazioni sociali e commerciali, i rapporti di lavoro, le botteghe, i locali di produzione, ecc.20. Ora, nonostante le potenzialità offerte da uno degli archivi medievali me- glio conservati al mondo, la storiografi a sulle Arti senesi è piuttosto carente. Pesa, senza dubbio, il naufragio delle fonti interne, quelle che offrono informazioni dirette e di facile accesso. Dopo gli sforzi editoriali compiuti sugli statuti due- trecenteschi21 e le prime sintesi proposte da Giulio Prunai negli anni Trenta del

19 Le fonti ricordate sono, nell’ordine: M 12 (1326-47) e Arti 2 (1341), 165 (1362-3); CN 13 (1355). Per l’eccezionalità della fonte nel panorama documentario senese, riporto l’elenco delle Capitu- dini del 1362-3 col numero degli iscitti in: Grafi co 3. Sulla progressiva pubblicizzazione della Mercanzia: M. ASCHERI, Arti, mercanti e Mercanzie, cit., pp. 120-7. 20 Cfr.: Guida generale degli archivi, cit., pp. 83-216 (http://archiviodistato.it/assi/index.php?it/ ordine-alfabetico). 21 Gli statuti dei Pittori (1355) e degli Orafi (1361) furono pubblicati in: Documenti per la storia dell’arte raccolti ed illustrati dal dott. Gaetano Milanesi, Siena, Onorato Porri, 1854, pp. 1-104. Qualche anno dopo gli Statuti senesi scritti in volgare nei secoli XIII e XIV, 2 voll., a cura di L. Banchi e F.L. Po- lidori, Bolgona, Romagnoli, 1863-71, diedero alle stampe quelli di Carnaioli (1288), Lana (1298), Cuoiai e calzolai della vacca (1329), Chiavai (1323). Nel 1902 Curzio Mazzi pubblicò il già citato statuto degli Albergatori (1355): MAZZI, Il Breve dell’Arte degli Albergatori, cit.; cui seguirono, a distanza di qualche decennio, i brevi dei Lapidici e dei Calzolai – conservati in pergamena – e quelli di Speziali, Pellicciai e Giudici e Notai: PRUNAI, Notizie sull’ordinamento, cit., pp. 406-8; Breve degli speziali (1356-1542), a cura di G. Cecchini e G. Prunai, Siena, Reale Accademia degli Intronati, 1942; G. PRUNAI, Lo statuto 106 Valentina Costantini

Novecento sulla scorta dei testi editi22, lo studio sulle corporazioni si è sostanzial- mente arenato. Il recente contributo di Franco Franceschi sulla devozione delle Arti senesi si innesta, così, su un terreno fertile, ma in gran parte sonnolento23. Ad eccezione della Lana – che attende chi voglia riprendere le ricerche interrotte dalla prematura scomparsa di Sandra Tortoli24 –, solo l’Arte-ente della Mercanzia è da tempo oggetto di studio sistematico, grazie anche ai numerosi interventi di Mario Ascheri25. Le ricerche di Maurizio Tuliani sugli albergatori e le strutture ricettive senesi di Tre e Quattrocento26, e quelle della sottoscritta sui carnaioli e le rivolte contro il governo dei Nove27, dimostrano che, ampliando al massimo il ventaglio delle fonti e delle prospettive, è possibile fare la storia dei mestieri e delle Arti, anche di quelle prive o quasi di memoria storica e conside- rate ‘minori’. Si tratta di ricostruire perlopiù dal di fuori elementi e dinamiche fondanti per la società, l’economia e la politica della Siena tardomedievale.

Nelle pagine che seguono propongo una sintesi del rapporto tra le corpora- zioni e il governo fi no alla metà del Trecento, seguendo l’evoluzione degli equi- libri politici tra le società di mestiere e gli assetti costituzionali, e il crescente controllo esercitato dalle autorità centrali sulle Arti e il mondo del lavoro. Per

dell’arte dei pellicciai senesi del 1343, «BSSP», LXII-LXIII (1955-1956), pp. 100-139; CATONI, Statuti senesi dell’arte dei Giudici e notai, cit. 22 Oltre all’articolo del 1934 (PRUNAI, Notizie sull’ordinamento, cit.), vedi anche: ID., Appunti sulla giurisdizione artigiana senese (secc. XIII e XIV), «BSSP», XL (1933), pp. 347-410; e l’Introdu- zione al Breve degli Speziali, cit.. Da segnalare anche la sintesi di Pietro Rossi sull’organizzazione delle corporazioni e delle botteghe artistiche: P. ROSSI, Arte e corporazioni a Siena nel Rinascimento, «Studi Senesi», XXVI (1909), pp. 21-50. 23 F. FRANCESCHI, La pietà nelle associazioni di mestiere, in «Beata Civitas». Pubblica pietà e devozioni private nella Siena del 300, Atti del Convegno internazionale di studi, in stampa. 24 S. TORTOLI, L’Arte della Lana a Siena dall’inizio del Trecento all’inizio del Quattrocento, 2 voll., Tesi di Laurea, facoltà di Lettere e Filosofi a, Università di Firenze, a.a. 1973-74.; EAD., Per la storia della produzione laniera a Siena nel Trecento e nei primi anni del Quattrocento, «BSSP», LXXXII- LXXXIII (1975-1976), pp. 220-238. 25 Per l’ampia storiografi a sulla Mercanzia senese, vedi: BARLUCCHI, La Mercanzia ad Arezzo nel primo Trecento. Statuti e riforme (1341-1347), Roma, Carocci, 2008, p. XXXII, n. 5. 26 M. TULIANI, Luoghi di sosta e di ritrovo a Siena e nel suo contado (alberghi, locande, taverne- secc. XIII-XV), Tesi di Laurea, Facoltà Lettere e Filosofi a, Università degli Studi di Siena, a.a. 1990- 1991; ID., Osti, avventori e malandrini. Alberghi, locande e taverne a Siena e nel contado tra Trecento e Quattrocento, Siena, Protagon, 1994 27 V. C OSTANTINI, Siena 1318: la congiura di «carnaioli», notai e magnati contro il governo dei Nove, «Studi Storici», 52 (2011), n. 1 (gennaio-marzo), pp. 239-252; EAD., Tra lavoro e rivolta: i car- naioli, in Siena nello specchio del suo Costituto in volgare del 1309-10, Atti del convegno (Siena, San- ta Maria della Scala 28-30 aprile 2010), Siena 2014, pp. 219-248; EAD., «Carnifi ces sive mercatores bestiarum»: i macellai senesi tra lavoro, affari, rivolte (metà XIII-metà XIV secolo), Tesi di Dottorato, Università di Siena, 2013. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 107 quest’ultimo aspetto, l’ossatura della documentazione utilizzata è raccolta in quattro statuti, due in latino e due in volgare: il Constituto del 1262 edito da Ludovico Zdekauer alla fi ne del XIX secolo28; il Costituto volgarizzato del 1309- 10, edito una prima volta dal Lisini nel 1903 e tornato in stampa a distanza di un secolo29; il cosiddetto ‘statuto del Buongoverno’ (1337-9), alla cui edizione critica stanno lavorando Andrea Giorgi e Valeria Cappelli30; infi ne, lo statuto della Mercanzia del 1338, edito ai primi del Novecento da Quinto Senigaglia31. Si tratta, com’è noto, di testi chiave per la storia cittadina. Il Constiuto del ‘62 celebrava il trionfo del cosiddetto regime di ‘secondo Popolo’ all’indomani della battaglia di Montaperti. Quello del 1309-10 fu volgarizzato in buona lettera grossa in modo che fosse accessibile a tutti i cittadini, anche a quelli digiuni di latino. Quello del ‘37, scritto in anni di crisi annonaria, economica e fi nanziaria, è stato giustamente defi nito un testo onnicomprensivo, «culmine della cultura statutaria» senese e testimone straordinario per la sua longevità, dato che rimase in vigore fi no al 154432. Infi ne, lo statuto della Mercanzia del 1338 raccoglie e organizza una normativa matura e descrive il funzionamento dell’ente comunale di controllo e coordinamento delle attività produttive e commerciali. Ricostruire la «fenomenologia della legislazione sulle Arti» sulla base de- gli statuti appena ricordati, per quanto utile, non restituisce però che una visione parziale dei rapporti tra il governo e le società di mestiere33. Ad eccezione dell’i- nedito del ’37, gli statuti riportano infatti solo una parte della normazione, una

28 L. ZDEKAUER, Il Constituto del Comune di Siena dell’anno 1262, Milano, Arnaldo Forni Editore, 1897 (d’ora in avanti Constituto 1262). 29 Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, a cura di M. Salem Elsheikh, 4 tomi, Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002 (d’ora in avanti Costituto 1309- 1310). 30 Constituto 1337-9. Per non appesantire le note, indico le singole rubriche solo per questo statuto che, oltre a essere l’unico inedito, presenta discrepanze tra il rubricario edito da D. CIAMPOLI, Il Capitano del Popolo a Siena nel primo Trecento: con il rubricario dello statuto del Comune di Siena del 1337, a cura di M. Ascheri, 1984, e quello realizzato da Giorgi-Cappelli, al quale mi sono rifatta in queste pagine. 31 Recentemente riproposto, nella redazione del 1338, da BARLUCCHI, La Mercanzia ad Arezzo cit., pp. 55-112. Le additiones del 1342-4 e le sezione dedicate a sensali, banchieri e alla normativa comunale del 1309-10 si leggono in: Q. SENIGAGLIA, Lo statuto dell’Arte della Mercanzia (1342-1343), Siena, Com- missione senese di storia Patria, 1911, pp. 65-182 (d’ora in avanti Mercanzia 1338). 32 M. ASCHERI, Legislazione, statuti e sovranità, in Antica legislazione della Repubblica di Sie- na, a cura di M. Ascheri, Siena, 1993, pp. 1-40: 24-5. Sulla crisi degli anni Trenta: G. PICCINNI, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala e il mercato del denaro nella Siena del Trecento, Pisa, Pacini, 2012. 33 BARLUCCHI, Gli statuti delle Arti, p. 530-6, dove è analizzata la normativa degli statuti del 1262 e del 1309-10. 108 Valentina Costantini selezione volutamente elastica che desse al consiglio cittadino un riferimento di massima per aggiornare le leggi alle necessità del momento34. La ricchezza della documentazione pubblica senese offre, ripeto, potenti strumenti di indagine. Il fatto che, rispetto alle questioni scottanti sulle Arti e il mondo lavoro, i Costituti scelti qui – i più noti e citati tra gli studiosi – restino ge- neralmente silenti, impone al ricercatore di seguire e ricostruire il doppio binario normativo dei costituti/emendamenti coevi, oltre al vaglio delle delibere consilia- ri e della normativa prodotta dalle magistrature competenti – statuti dell’Abbon- danza, del giudice sindaco, del capitano del Popolo, ecc. – che spesso conservano nuclei coerenti di norme su mestieri e Arti specifi che, soprattutto annonarie35. Visti i tempi che richiederebbe una ricerca di questo tipo, il mio contributo non può che essere parziale, limitato alle ricerche disponibili, sostanzialmente debito- re delle mie competenze personali e dei dati raccolti durante le ricerche condotte a Siena. Si tratta di una premessa solo in parte necessaria perché, com’è noto, l’insistenza della normativa pubblica sui mestieri annonari e, in particolare, sul settore carneo è un dato di fatto inequivocabile, non esclusivo di Siena, ma che certo qui, data la natura politica del governo dei mercatores, ebbe caratteri propri e conseguenze forti. Per la ricognizione delle linee guida del disciplinamento del mondo arti- giano, terrò a fuoco tre aspetti: il coinvolgimento delle Arti nei meccanismi isti- tuzionali; gli interventi comunali in materia economica – sostegno alle attività produttivo-commerciali, rifornimento della materia prima, controllo sui prodotti immessi sul mercato, regolazione di prezzi e salari36 –; e quelli legati all’igiene pubblica e al decoro cittadino – questioni sensibili per alcuni importanti settori annonari e artigianali. Nonostante i limiti di cui ho detto, in questo modo è pos- sibile seguire a grandi linee l’evoluzione degli equilibri tra il mondo delle Arti e il governo di Popolo, dai XXIV (1240-70) al governo dei mercanti della mecça gente (1270-1355).

34 M. ASCHERI, Il Costituto di Siena: sintesi di una cultura giuridico-politica e fondamento del ‘Buongoverno’, in Costituto 1309-10, 2, pp. 23-57: 40-1. Per un ragionamento esteso ai Comuni toscani: L. TANZINI, Emergenza, eccezione, deroga: tecniche e retoriche del potere nei comuni toscani del XIV secolo, in Tecniche di potere nel tardo medioevo. Regimi comunali e signorie in Italia, a cura di M. Val- lerani, Roma 2010, pp. 149-182. 35 Vedi, ad esempio, i vari riferimenti per vinaioli, fornai, carnaioli in: PRUNAI, Notizie sull’ordi- namento, cit. 36 Su questi aspetti, per Firenze: F. FRANCESCHI, Intervento del potere centrale e ruolo delle Arti nel governo dell’economia fi orentina del Trecento e del primo Quattrocento. Linee generali, «Archivio storico italiano», CLI (1993), pp. 863-909. L’ampia ricognizione del Barlucchi ragiona su questi temi: BARLUCCHI, Gli statuti delle Arti, cit. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 109

3. Verso l’(auto)esclusione: le Arti e il Popolo ghibellino Come per altre città italiane, le prime attestazioni riguardano la Mercanzia, documentata sin dal 1192 nella sua duplice fi sionomia di Arte mercantile che rac- coglieva mercatores-campsores (commercianti di denaro fra i primi in Europa) e picçicarii (in origine, mercanti di spezie su larga scala). In quegli stessi anni, le Arti, riconosciute e legittime dal Comune, si affacciavano sulla scena pubblica. Nel 1202 i dominii dei calzolai, dei pellicciai e dei fabbri sottoscrissero, assieme ai consoli dei mercanti e ai signori delle società di Popolo, il trattato di pace con Montalcino. Sei anni più tardi 4 dominii Artium civitatis fi gurano al fi anco dei consoli dei mercanti nell’atto di donazione di un pezzo di terra nei pressi del ca- stello di Orgiale al comune di Siena (1208). Nel 1212, poi, la consacrazione del ruolo politico delle Arti, chiamate a rappresentare i settori artigiano-produttivi del Popolo nel giuramento di fedeltà tra Siena e la comunità di Asciano. Vi partecipa- rono i dominii di 11 corporazioni: pellicciai, pizzicaioli, calzolai, pelacani, fabbri, corregiai, vinaioli, marmorai, maestri di mannaia, carnaioli e acorai37. Negli anni Trenta del XIII secolo, il processo di affermazione pubblica e consolidamento interno delle Arti può dirsi consolidato. Nel 1231 sappiamo che le società di carnaioli, pellicciai, calzolai e pizzicaioli prestarono denaro al Co- mune38. Nel 1235-40 il breve dei Maestri di Pietra venne addirittura aggiornato con l’introduzione di 7 nuovi capitoli, segno inequivocabile della maturità nor- mativa dell’Arte39. D’altronde, questi sono gli anni dell’affermazione del governo dei Ventiquattro (1233-70), espressione senese del regime di ‘secondo Popolo’ che vide il populus organizzarsi nelle società armate a base rionale e in quelle, appunto, di mestiere40.

37 Ho seguito qui: PRUNAI, Notizie sull’ordinamento cit., pp. 366-8, 394-5. Il giuramento tra Siena e Asciano è: DR 1212, giu. 22 (edito in MONDOLFO, Il Populus, cit., pp. 65-69). 38 I Libri dell’entrata e dell’uscita della Repubblica di Siena detti del Camerlengo e dei Quattro Provveditori della Biccherna, IV, p. 19 (1231, ott. 10). 39 PRUNAI, Notizie sull’ordinamento, cit., Doc. II, 2. La datazione della pergamena al 1235 è in: di A. LISINI, Inventario delle pergamene conservate nel Diplomatico del R. Archivio di Stato in Siena, Siena, Lazzeri, 1908, p. 446. 40 Sulle società armate, attestate dal 1208: NARDI, I borghi di San Donato e di San Pietro a Ovile: “Populi”, contrade e compagnie d’arme nella società senese dei secoli XI-XIII, «BSSP», LXXII-LXXV (1966-68), pp. 39-59; W. BOWSKY, The Anatomy of Rebellion in Fourteenth Century Siena: from Com- mune to Signory, in Violence and civil disorder in Italian cities 1200-1500, a cura di L. Martines, Berke- ley-Los Angeles-London, Ucla Center for Medieval and Renaissance Studies, 1972, pp. 234-237. Sulla formazione del Popolo senese, oltre ai rimandi a nota 1: P. CAMMAROSANO, Tradizione documentaria e storia cittadina. Introduzione al “Caleffo Vecchio” del Comune di Siena, Siena, Accademia senese degli Intronati, 1988, pp. 60-74. Sul ruolo dei milites nel Comune duecentesco: A. GIORGI, Quando honore et cingulo militie se hornavit. Rifl essioni sull’acquisizione della dignità cavalleresca a Siena nel Duecento, in Fedeltà ghibellina affari guelfi , cit., pp. 133-207. 110 Valentina Costantini

La convergenza delle Arti nel populus di primo Duecento ebbe almeno tre conseguenze importanti per il discorso che intendo portare avanti qui. Innanzi tutto, la partecipazione attiva delle corporazioni alla gestione della cosa pubblica, sancita uffi cialmente dal Constituto del 1262. Alla metà del Due- cento, i rappresentanti delle Arti entrarono stabilmente nei consigli cittadini (del Popolo e della Campana, o consiglio generale) e negli uffi ci comunali, fi n su alla magistratura di governo. Gli elenchi dei risieduti nei consigli e nelle magistrature cittadine, compilati nell’Ottocento, restituiscono dati prosopografi ci che, se mes- si a disposizione della ricerca, permetterebbero di valutare meglio il peso delle Arti nel governo di ‘secondo Popolo’, ma anche in quello dei mercatores, dal quale pure erano uffi ciosamente escluse41. Altro punto importante, il rafforzamento del sistema artigiano portò all’ar- ticolazione di una gerarchia, per quanto meno defi nita rispetto a quella delle Arti fi orentine (organizzate, com’è noto, in maggiori, medie, minori). Per antichità e prestigio, alle Arti mercantili e alle professioni era riconosciuto uno status supe- riore rispetto alle altre, evidente nella diversa denominazione dei vertici corpo- rativi. Le due Mercanzie, l’Arte della Lana e il collegio dei giudici e notai erano rette da consules, mentre le altre società da più modesti dominii o rectores – «cioè capi (non padroni o signori)»42. Queste Arti ‘minori’ erano quelle che le fonti duecentesche indicano come Artes manuarum o manualium, guidate con tutta probabilità dai settori legati alla lavorazione dei prodotti dell’allevamento (cuoio e carne) e, in molti casi, anche al commercio del bestiame vivo. Il riferimento a un contemporaneo raggruppamento di Artes guidate da un priorato e, dunque, di maggior prestigio rispetto a quello delle ‘manuali’, resta alquanto oscuro. Così come è ancora tutta da chiarire la natura delle cosiddette XVII Arti attestate, come vedremo, sotto il governo dei mercatores43. Infi ne, il terzo punto riguarda il passaggio delle Arti sotto il controllo del Comune. Fino agli anni Cinquanta-Sessanta del Duecento, questo si limitò al riconoscimento formale delle societates e al controllo periodico dei brevi per eliminare le cosiddette male poste, ossia norme in confl itto con la legislazione co- munale. Attestata sin dal 1226, applicata nel ’44 sui brevi di Fornai e Barbieri (per

41 Alcuni dati di sintesi sulla presenza delle Arti nel consiglio del Popolo, per quanto frammentari, in: D. WALEY, Siena e i Senesi nel XIII secolo, Siena, Nuova Immagine Editrice, 2003, pp. 84-5. Sarebbe auspicabile la digitalizzazione delle migliaia di nomi di ‘risieduti’ negli uffi ci e nelle magistrature citta- dine tra Due e Trecento, così da metterli a disposizione della ricerca. 42 Breve degli speziali, cit., pp. XV-XVI. 43 L’indizio sul priorato delle Arti viene da una delibera del consiglio generale sul ricorso presen- tato dai carnaioli contro il divieto di esportazione di sugna e sego: CG 11, c. 33 (1267, apr. 11). Per la leadership dei settori artigiani e commerciali legali al bestiame rispetto alle Artes manuarum: nota 60. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 111 questioni relative alle vendite e all’apprendistato)44, la pratica della revisione pe- riodica venne codifi cata nel primo ‘statuto’ conservato. Il breve degli uffi ciali del Comune alla metà del Duecento fi ssava 4 revisioni annuali e l’impegno giurato di rectores artium e rectores mercatorum et piczicariorum a rispettare le revisioni, cassando dai brevi le mala pacta et conventiones et malas postas sue Artis45.

Se paragonato alle ingerenze che caratterizzeranno i decenni successivi, il Constituto del 1262 prevede controlli minimi sulla vita delle Arti. Nel testo, in- fatti, la loro giurisdizione è riconosciuta e tutelata in una posizione di sostanziale complementarità con quella comunale46. Su richiesta delle corporazioni, infatti, il podestà imponeva il giuramento all’Arte da parte dei sottoposti e garantiva, presso la sua corte d’appello, l’applicazione della legislazione artigiana vigen- te. I tribunali artigiani erano equiparati a quelli comunali: quicumque iudex vel offi ciali comunis Senarum, cuiuscumque curie vel artis sit. Solo nelle cause per debito – e solo su richiesta delle parti – era previsto l’intervento del governo per la nomina di commissari che oggi diremmo ‘di pace’, col compito di riportare la concordia tra i contendenti. Il Comune manteneva il controllo trimestrale degli statuti, ma, signifi cativamente, senza che i rettori delle Arti partecipassero alle operazioni di revisione47. Guardando alle norme specifi che sulle Arti e i mestieri, due elementi sono immediatamente percepibili già nel 1262: l’importanza dei commerci e della ban- ca, e le ampie competenze istituzionali affi date alle Mercanzie. I consules mer- catorum et picçicariorum sono presenti praticamente in ogni aspetto della vita pubblica. Le cariche semestrali (e non bimestrali come quelle dei governatori), la possibilità di convocare il consiglio generale, l’esenzione dal sistema delle vacationes – che avrebbe temporaneamente escluso dall’aula i parenti più stretti dei consules in carica – e la partecipazione alla stesura delle liste di eleggibili per quello stesso consiglio sono solo alcuni degli aspetti che, fi n dal XIII secolo, fe- cero dei consoli della Mercanzia i garanti della continuità dell’azione di governo nella politica economica, fi nanziaria e commerciale senese. Essi avevano voce

44 Breve degli Speziali, cit., pp. XXVI-XXVI; G. PRUNAI, Notizie sull’ordinamento, cit., p. 395. 45 Breve degli Uffi ciali del Comune di Siena, compilato nell’anno MCCL al tempo del Podestà Ubertino da Lando di Piacenza, ora primamente edito da Luciano Banchi, «Archivio Storico Italiano», III/2 (1866), pp. 3-104: 83-4 (38). 46 PRUNAI, Appunti sulla giurisdizione, cit., pp. 349-350. Ciò non toglie che la produzione norma- tiva del Comune senese fosse già più alta che nelle altre città toscane: BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit., p. 536. 47 Constituto 1262, I, 464-5, 471; II, 104, 108 (da cui la citazione), 172. A Firenze, invece, le commissioni di revisori erano formate dai rappresentatni delle 7 Arti maggiori: FRANCESCHI, Intervento del potere centrale, cit., p. 876. 112 Valentina Costantini praticamente su tutto, godevano di un’immunità pressoché illimitata, gestivano la zecca comunale (il Bolgano) e sorvegliavano l’agilità delle strade necessarie al traffi co delle merci48. Altro dato macroscopico: la Lana è l’unica Arte ad avere il pieno sostegno del Constituto, seconda solo alla Mercanzia in quanto a privilegi. Oltre all’esen- zione dalle vacationes in consiglio, infatti, le due Arti potevano richiedere l’ap- plicazione del divieto per impedire le esportazioni dal distretto di merci strategi- che; insieme regolavano, ogni anno, il passettum di due braccia (misura lineare per i panni), e pesi e misure usati da mercanti e artigiani in città (libras, stateras, cannas). Per garantire l’accesso all’acqua, il Comune costruiva, migliorava e concedeva in uso bottini sotterranei, fonti e lavatoi ad uso esclusivo di mercanti, lanaioli e pelacani (pelatori di pelli fi ni, normalmente sottoposti all’Arte tessile) e dava ai consoli della Lana e della Mercanzia l’autorità per derivare l’acqua verso le proprie piscine49. Del bene dell’altra grande industria medievale, il cuoio, il Constituto del 1262 non si preoccupa affatto. Anzi, anticipo che nessuno degli statuti presi in esame dedica norme in favore della produzione di cuoio e pellami, né, a onor del vero, si registrano norme che limitino la giurisdizione dell’Arte, imponendo prezzi o favorendo il lavoro non corporato. Tutti i testi presi in esame sono, sem- mai, molto attenti a regolare le attività di concia per limitarne l’impatto su fonti, abbeveratoi e ruscelli suburbani, e in generale nelle contrade dove esse si con- centravano. Nel ’62, il Constituto interviene solo sul primo punto – la difesa delle acque – con riferimento ai conciatori, ma anche agli operatori tessili (lavaggio e macerazione di tessuti in fonti non autorizzate) e ai carnaioli che, in mancanza di un fi ume, gettavano gli scarti lì dove trovavano un po’ d’acqua50. In tutte le città medievali i mestieri legati al rifornimento annonario e all’e- dilizia – gli antichi ministeria – erano i più controllati, per ragioni di manteni- mento dell’ordine sociale (garantire cibo alla città) e interesse pubblico (vedi le grandi opere fi nanziate dal Comune e dai grandi proprietari immobiliari nelle città fatte di selce e mattoni e in rapida espansione, da una parte, le entrate fi scali

48 Constituto 1262, I 385-6, 408, 418, 422, 481-3. Una disamina dei capitoli relativi alle funzioni di governo della Mercanzia prescinde dagli obiettivi di questo contributo. Ottime sintesi sulle funzioni della Mercanzia nella Prefazione a Mercanzia 1338 e in: W. BOWSKY, Un comune, cit., pp. 310-57. 49 Constituto 1262, I, 478-479, 485; III, 13, 177-178, 180-181, 247. 50 Le norme a difesa di fonti, lavatoi, e abbeveratoi cittadini costituiscono un nucleo normativo coerente: Constituto 1262, III, 179, 182-3, 186-239. Per i riferimenti alla lavorazione del cuoio: ivi 179, 184. Su questi temi: D. BALESTRACCI - G. PICCINNI, Siena nel Trecento. Assetto urbano e strutture edilizie, Firenze, Clufs, 1977, pp. 145-9. Al problema dell’inquinamento prodotto dalle attività dei macellai ho dedicato alcune rapide considerazioni in: COSTANTINI, Tra lavoro e rivolta, cit., p. 241. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 113 garantite dalla produzione, dal trasporto e dal commercio di bestiame, derrate alimentari e mattoni, dall’altra)51. Siena non fa eccezione. Tra i due settori, però, è quello dell’edilizia, guidato dall’Arte dei Maestri di Pietra e Legame, a subire ingerenze precoci e pesanti. Già alla metà del Duecento, infatti, il Comune re- golava forme, peso e prezzo di mattoni, tegole e calcina, e, per contenere i costi delle prestazioni d’opera, fi ssava la tassa di immatricolazione (10 soldi), vietava ai rettori di limitare l’accesso all’Arte o impedire ai sottoposti di lavorare coi non iscritti. Il Comune interveniva cioè in ambiti di stretta competenza artigiana52. Tra i mestieri annonari, i più controllati erano senza dubbio carnaioli e for- nai, mentre una serie di norme regolava l’attività dei barlectarii, per garantire l’uniformità dei prodotti (i barili, appunti). Controlli regolari erano previsti anche sui contenitori per la vendita di vino, olio e farina (lo staio) usati da albergato- ri, treccoli (venditori ambulanti) e vinaioli53. A carnaioli e tavernai – all’epoca consociati in un’unica Arte –, il Constituto dettava il giuramento annuale sulla sanità, l’abbondanza, la legalità delle carni vendute e gli orari stabiliti per le ma- cellazioni; vietava la costituzione di ‘cartelli’ speculativi; ma accordava il diritto di macellare dentro le botteghe per preservare il decoro urbano e lasciava libertà di scelta sulle modalità di vendita (a peso o ad vistam). Si trattava di interventi normativi minimi e in linea con la legislazione classica sui macellai nelle città medievali. Nei confronti di fornai, panicuocoli, clibanarii, e albergatori, invece, il Constituto imponeva controlli più rigidi per evitare frodi sul peso delle pagnotte. Il dato interessante è che, nonostante sia da sempre il pane l’alimento necessario alla sopravvivenza umana, il Comune era spesso costretto a discutere del rifor- nimento carneo. Fu proprio il Constituto a imporre l’obbligo di riunire ogni sei mesi il consiglio generale per valutare e discutere de malis impostis et ordina- mentis carnifi cum54. La carne era al centro dell’agenda politica per la capacità dei macellai di farne uno strumento di pressione sul governo. In questo Siena non rappresenta un’eccezione. È noto che proprio questa forza contrattuale dei macellai – dovuta al commercio di un alimento fondante per la dieta e l’identità cittadina, all’alto

51 BOWSKY, Un Comune, cit., pp. 292-294; Su questi temi si vedano le considerazioni di: A. I. PINI, Alle origini delle corporazioni medievali: il caso di Bologna, in Città, comuni e corporazioni nel medio- evo italiano, Bologna, Clueb, 1986, pp. 219-258; FRANCESCHI, Intervento del potere centrale, pp. 871-4; BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit., p. 32. 52 Constituto 1262, I, 469, 495-502. Sulla produzione dei materiali edili, i prezzi dei mattoni, il reperimento della materia prima: BALESTRACCI - PICCINNI, Siena nel Trecento, cit., pp. 63-75. 53 Constituto 1262, I, 277, 283-4. 54 La normativa sui carnaioli si legge: ivi I, 487-90. Quella sul pane: ivi, I 491-3. Per alcuni riferi- menti alla normativa in altre città italiane ed europee: COSTANTINI, Tra lavoro e rivolta, cit. 114 Valentina Costantini numero di addetti e a una certa turbolenza politica – permise loro di aggirare i divieti associativi normalmente attivi nei confronti dei mestieri annonari55. Nel Constituto del 1262 simili divieti riguardavano solo venditori di farina e, in gene- rale, portitores o vetturali che trasportavano merci di ogni tipo, non solo annona- rie (vino, mattoni, letame, renam et alias res)56. Nella fotografi a che restituisce lo statuto del ‘62, insomma, fornai, mu- gnai e carnaioli facevano ancora valere il proprio diritto a ‘fare corpo’ di fronte alle istituzioni comunali. Quello che il Constituto non dice è che c’erano già stati i segnali della volontà del Comune di controllare e regolare il rifornimento alimentare alla città, attaccando i settori corporati, a cominciare da carnaioli e mugnai. A leggere i verbali del consiglio generale di quegli anni, è evidente che le resistenze maggiori venissero dai primi. Nel 1259 alcuni consiglieri lanciarono proposte dure per limitare la giurisdizione dell’Arte dei carnaioli e la sua capacità di controllare il mercato del bestiame all’ingrosso. Il solo a sostenere le ragioni dei macellai fu Provenzano Salvani, aristocratico e campione del Popolo senese, evidentemente in cerca del sostegno di quelle Arti che, parlando direttamente alla pancia della città, potevano garantire il consenso delle masse alla sua politica tenacemente popolana e ghibellina57. Ma la debolezza del governo dei Ventiquattro e del populus duecentesco era scritta sia nella precaria architettura politica, che teneva insieme elementi e gruppi diversi per estrazione sociale, condizioni economiche, orizzonti politici (esponenti delle Arti manuali, mercanti e nobili); sia nella logica dell’«equilibrato compromesso» tra la linea ghibellina del governo e gli interessi economici delle famiglie di mercanti e banchieri, impegnate nel commercio del denaro in tutta Europa, a cominciare dalla Curia romana58. Nel 1267, in seguito alla disfatta dei ghibellini a Benevento, il fronte po- polano fu costretto a scendere a patti con le elite mercantili-bancarie. Ne seguì la reformatio pupuli, un atto che la storiografi a di primo Novecento defi nì la «sentenza di morte» del Popolo delle Arti, tacciato di «inettitudine» per non es- sere riuscito a far valere la forza dei numeri nell’agone politico59. Il passaggio di

55 PINI, Alle origini delle corporazioni, cit. 56 Constituto 1262, I, 467, 475, 494. 57 CG 9, cc. 8-10 (1259, dic.). L’intervento del Salvani (non vult quod fi at aliquas novitas contra carnifi ces) a c. 10r. Si vedano le considerazioni di F. TEMPESTI, Provenzan Salvani, «BSSP», n.s. VIII (1936), pp. 3-56: 11-2. 58 R. MUCCIARELLI, Il traghettamento dei mercatores: dal fronte imperiale alla pars ecclesiae, in Fedeltà ghibellina affari guelfi , cit., I, pp. 63-104. 59 Pesò su queste interpretazioni il confronto con le organizzazioni di Popolo di altre città comuna- li, prima fra tutte Firenze: MONDOLFO, Il Populus, cit., pp. 45-61; G. FRANCINI, Appunti sulla costituzione guelfa del Comune di Siena secondo il Costituto del 1274, «BSSP», XLVI (1939), pp. 11-28. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 115

Siena al governo del Popolo dei mercanti della mecça gente fu mediato dai più autorevoli esponenti delle Arti ‘manuali’, tutti legati alla lavorazione dei prodotti dell’allevamento: Bandino di Giovannuzzo carnaiolo, Buonaccorso di Tebalduc- cio cuoiaio, Cambio calzolaio, Guido Cerasa pellicciaio e Ildibrandino di Cristo- foro calzolaio. Questi uomini furono incaricati dal Popolo delle Arti di trovare un accordo con le grandi famiglie bancarie senesi60. Nei fatti, dunque, il Popolo delle Artes manuarum e i magnates traghetta- rono il Comune verso la nuova fase politica, escludendosi reciprocamente dalla magistratura di governo. Nell’estate del 1270, i leader delle Arti manuali furono ancora eletti a guidare il governo dei XXIV – assieme a vasai, lanaioli, fornai, fabbri, correggiai, farsettai, cappellai, ferratori e berrettai –, ma si trattava di uno dei loro ultimi incarichi di livello61. Il futuro era ora nelle mani delle corporazioni mercantili.

4. Le Arti e il Popolo della mecça gente (1270-1355) Nel 1271 il governo senese, espressione del Popolo riformato, si defi nì go- verno di mercanti di ceto medio e Parte guelfa. Ne erano esclusi nobili, famosi ghibellini, medici, giudici e notai62. Né ora né durante gli ottant’anni di dominio politico dei mercanti fu mai emanato un provvedimento che escludesse le Arti dalla gestione della cosa pubblica. L’esclusione, però, ci fu de facto, e riguardò – ad eccezione di Lana e Mercanzia – tutte le corporazioni. L’«industrioso ingan- no», come lo defi nì il cronista Matteo Villani63, determinò, nell’arco di una gene- razione, il ricambio di una parte della vecchia classe dirigente. Le elite artigiane continuarono comunque ad essere presenti in consiglio generale, mediando per gli interessi dei gruppi che rappresentavano e partecipando, nonostante l’appiatti-

60 DR 1267, mag. 13 (ed. MONDOLFO, Il Populus, cit., doc. IV; Fedeltà ghibellina affari guelfi , cit., I, pp. 101-103); 1270, ott. 9. I nomi dei delegati sono stati completati confrontando: CG 13, c. 6v (1270, ago 19) e DR 1271, mar. 13. 61 L’elenco dei governatori nel bimestre agosto-settembre del 1270 si legge in CG 13, c. 6v (1270, ago. 19). Per il ruolo dei magnati nella stabilizzazione politica di quegli anni: R. MUCCIARELLI, Piccolo- mini a Siena, XIII-XIV secolo. Ritratti possibili, Siena, Pacini, 2005, pp. 171-207. 62 La prima defi nizione del governo dei mercatores si legge in CG 14, c. 76 (1271, set. 10) edito in: GIORGI, Quando honore et cingulo militie se hornavit, cit., pp. 192-194. Sulla legislazione antimagnatizia del 1277: ivi, pp. 200-204; MUCCIARELLI, Il traghettamento dei mercatores, pp. 103-104. 63 M. VILLANI, Cronica: con la continuazione di Filippo Villani, 2 voll., a cura di G. Porta, Parma, Fondazione Bembo, 1995, I, pp. 560-561. Sull’informale esclusione delle Arti e i meccanismi di coopta- zione interni al gruppo dirigente: BOWSKY, Un Comune, cit., pp. 106-8; S. RAVEGGI, Il governo dei Nove “cioè dei milliori, più savi e più utili”. La sesta Distinzione del Costiituto, in Siena nello specchio del suo Costituto, cit. 116 Valentina Costantini mento del dibattito e il generale indebolimento del potere consiliare, al confronto politico64. Le esclusioni, com’è noto, portarono alla formazione di un fronte di op- posizione composito, nel quale le aspirazioni di alcuni esponenti dell’antica no- biltà cittadina incontrarono quelle di altri esclusi d’eccezione: giudici, notai e carnaioli. Non è il caso che mi dilunghi qui su aspetti che meritano un discorso a parte, ma certo l’esclusione/inclusione politica dei carnaioli – paradossale per certi versi – rappresenta un elemento chiave dei rapporti tra il governo dei mer- catores e le Arti. I macellai-mercanti che, dopo decenni di marginalizzazione politica, riuscirono ad accedere al governo nell’anno della grande rivolta (1318) esprimevano da un lato l’ambiguità tipica del mestiere del macellaio medievale – a metà tra lavoro manuale e commercio – dall’altro, le potenzialità offerte dai pascoli maremmani e dal mercato del bestiame senese, fra i migliori e più fre- quentati dell’Italia centro-settentrionale. Al tempo stesso, l’inclusione politica di una ristretta elite affi ne al gruppo dirigente per interessi e ricchezze conferma la diffi denza del ceto mercantile nei confronti delle strutture artigiane65. La lotta contro i settori corporati fu d’altronde uno dei tratti distintivi della politica ‘novesca’, che in essi vedeva pericolosi poli di coesione sociale, privilegi economici e, almeno in qualche caso, insidiose alternative politiche66. Mutilazioni giurisdizionali, divieti associativi tra Arti affi ni e ripetute soppressioni furono gli strumenti messi in atto dal governo per frammentare e indebolire il fronte artigiano e, in particolare, quelle Arti che controllavano settori importanti. In questa logica si inseriscono la tenace politica contra carnifi ces inaugurata negli anni Sessanta del Duecento, tesa a spezzare il monopolio dei macellai sul rifornimento carneo alla città e dunque la capacità di condizionare offerta e prezzi sul mercato67; la sot-

64 Gli elenchi degli eletti nei consigli cittadini si conservano per il 1254-1315 con lacune: CG 4-86. Riferimenti alle lunghe carriere politiche tra un regime e l’altro in: WALEY, Siena e i Senesi, cit., pp. 120-7. 65 L’ingresso di potenti famiglie di carnaioli al governo data al 1318, con l’accesso al consolato della Mercanzia di Guiduccio di Cecco Ruffaldi, fi glio di macellaio e, presto, potente novesco: Mano- scritto A 99 (1318, sem. I). Sull’importanza del mercato del bestiame senese e dei pascoli maremmani: G. PINTO, Allevamento stanziale e transumanza in una terra di città: Toscana (secoli XIII-XV), in La pa- storizia mediterranea. Storia e diritto (secoli XI-XX), a cura di A. Mattone, P. F. Simbula, Roma, Carocci, 2011, pp. 463-473. 66 Sulla compressione delle risorse economiche e poltiche a favore del mondo artigiano, si vedano le recenti consiederazioni di PICCINNI, Il banco dell’ospedale, cit., pp. 249-53. 67 I primi segni della volontà del Comune di assumere il controllo sul rifornimento carneo alla città (estromissione dei carnaioli corporati, impianto di macellerie comunali, imposizione dei calmieri) si leggono in: CG 9, c. 9v (1259, dic.); 15, c. 88v (1272, ott. 5); 18, c. 14v (1273, dic. 27). Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 117 tomissione della loro Arte al controllo della Mercanzia (1283)68; le soppressioni che la colpirono assieme ad altri settori annonari sin dagli anni Ottanta (Carnaioli 1284 – riabilitata con riserva nel 1287 e tenuta in regime di semi-libertà fi no al bando defi nitivo nel 1318 –; Fornai 1287; Mugnai 1300?)69; ma anche la lotta al prestigio e al potere dell’Arte dei giudici e notai inaugurata nel 1292 col divieto di rogare qualunque contratto che potesse essere usato contro il Comune70; infi ne, in piena crisi economico-fi nanziaria, la revoca del diritto associativo per forna- ciai, mattonai e tegolai nel 1337 per tenere bassi i prezzi dei materiali e i salari della manodopera71. Solo ai chiavai il Comune concesse il diritto all’esclusiva sulle attività affi nché la corporazione garantisse la buona condotta degli artieri sottoposti, spesso complici di scassi e furti in case e botteghe72. L’apice di questa politica di compressione del mondo artigiano data alla primavera-estate del 1305, quando tutte le corporazioni furono soppresse «pro bono et utilitate» del Comune – fatto salve Lana e Mercanzia. I segni di malumo- re che arrivavano dalla società cittadina imposero la revoca del bando, ma fi no all’ultimo il governo cercò di impedire la riabilitazione incondizionata di tutte le società di mestiere73. Dallo scontro le Arti uscirono indebolite. L’erosione delle competenze dei tribunali artigiani a favore delle Mercanzia – avviata sin dall’ini- zio del regime dei mercatores, che li ridussero a corti di prima istanza e solo per le cause minori74 – impose ora ai rettori di riferire al giudice sindaco ogni azione legale intrapresa dalle proprie corti. Fu in questo contesto che i consoli dell’ente iniziarono a partecipare alla revisione dei brevi artigiani, con lo specifi co obiet- tivo di abrogare qualunque norma garantisse privilegi corporativi, a cominciare

68 L’Arte può riunirsi solo dietro autorizzazione del governo e della Mercanzia: CG 27, cc. 18v-19 (1283, gen. 15). 69 Soppressioni e riabilitazioni per i carnaioli in: SSi8, cc. 85-86 (1284, ott. 26); CG 33, c. 54 (1287, mar. 29); CG 51, c. 31v (1296, dic. 10); SSi 15, c. 98v (1300, dic. 19) e Abb 3, c. 38v (1300) reiterata in Abb 4, c. 429r (1311). Bando per fornai e mugnai: Abb 2, c. 10r (1287, gen. 22), reiterata in Abb 3, IV, c. 34 (1300-1308); ivi, XI, c. 57 (1300). 70 Costituto 1309-10, V, 299 (1292, mag.). Cfr.: G. Catoni, Il collegio notarile di Siena, cit. 71 Constituto 1337-9, IV, 419 Cassatio Artis fornaciorum. 72 Ivi, III, 223 Contra vendentes claves. Per frodi e rischi: Statuto dell’arte de’ Chiavari di Siena, 1323-1402, in Statuti senesi, cit., III, 1-5. 73 Si vedano i riferimenti in: COSTANTINI, Tra lavoro e rivolta, cit., p. 223; BOWSKY, Un Comune, cit., p. 297, che peró interpreta lo scandalo e l’orrore che portarono alla riabilitazione delle Arti come causa della loro soppressione. 74 Fatta eccezione per la Lana, i tribunali artigiani erano competenti solo per le cause di valore inferiore ai 40 soldi; tutte le altre erano giudicate presso la Corte di Mercanzia, già tribunale d’appello. Sotto i 100 soldi, invece, le sentenze dei consoli della Lana erano inappellabili, esattamente come quelle emesse dalla Mercanzia: Consituto 1309-10, I, 474 (1293, mag.); II, 264 e 265 (1291, mag.), 268; Consti- tuto 1337-9, II, 225 De servandis conventionis libri clavium Mercantie et Artis Lane…; Mercanzia 1338, II, 37. Su questi temi: PRUNAI, Appunti sulla giurisdizione, cit. 118 Valentina Costantini dalla capacità di fi ssare i salari. Pena la soppressione «acciò che agli altri sia esempio»75. Il Costituto del 1309-10 riprese alla lettera queste norme. Purtroppo, però, tranne in un caso, restano solo i titoli dei capitoli nel rubricario, a causa delle perdite subite dall’ultima sezione del testo, una specie di compendio normativo a uso del podestà (il Sindacamento). Il numero dei rettori per ciascuna Arte venne limitato a tre, mentre ai consoli della Lana fu accordato il privilegio di discutere coi colleghi della Mercanzia eventuali correzione al proprio breve, «accioché per ignorantia non si cancelli quello che utile sia»76. Alla fi ne degli anni Trenta, la revisione degli statuti artigiani fu affi data a breviatores iscritti alla Mercanzia77. Con uno slittamento indicativo di un regime politico, il Constituto del ‘37 ordi- nava di cassare le norme in previdiium civium et comunis, quello della Mercanzia del ‘38 si riferiva alle norme contro l’onore et lo stato et l’utilità de la Mercantia et de’ suoi sottoposti. Il Bene Comune e quello della Mercanzia, sostanzialmente, coincidevano78. Dal confronto tra i tre statuti trecenteschi presi in esame è evidente l’au- mento della normativa sulle Arti e l’assottigliamento delle norme a tutela della giurisdizione artigiana79. Le società di mestiere tenute sotto più stretto controllo erano, ancora una volta, quelle legate al rifornimento annonario, all’edilizia, e parte del mondo delle professioni: medici, ma soprattutto giudici e notai. Tra i giusperiti e il Comune fu scontro aperto sin dall’inizio del governo dei mercatores. Il Costituto del 1309-10 raccoglie sia la normativa classica (modalità di redazione di atti e imbreviature, il riconoscimento di antichi privilegi, ecc.), sia le disposizioni degli anni Novanta (tra cui la concessione di birri armati per pilliare i sottoposti colpevoli, la liberalizzazione delle tariffe per i rogiti privati, e

75 Le norme del 1305 furono inserite nei brevi delle Arti e dovevano essere lette all’inizio di ogni riunione societaria. L’unico giunto sino a noi per quegli anni è il breve dei carnaioli: Arti 39, cc. 24v-25r (1305, lug. 16). 76 Costituto 1309-10, VI, 75; Sind. 22 (mutilo), 23-24 (mancanti). Il capitolo mutilo riporta parte del testo inserito nel breve dei carnaioli nel 1305, dove si specifi ca che la revisione riguardava «spetial- mente quelle poste, le quali dicessero che li uomini de la detta arte sieno tenuti ricevere cotanto di cotal cosa et contanto di cotale»: Arti 39, c. 25r (1305, lug. 16). 77 I cosiddetti bonifi catori delle Arti: Conc 1, cc. 5v (1339, gen. 4), 9v (1339, gen. 11). 78 Le revisioni avevano ora cadenza annuale e non più trimestrale: Constituto 1337-9, IV, 317 (1337-9) De brevibus (…) Artium civitatis corrigendis; Mercanzia 1338, I, 17. 79 Nel Constituto del 1262 la normativa economica sulle Arti occupa il 9,5%, in quello del 1309 il 10,2% (BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit., p. 24), che sale appena al 10,3% nello statuto del 1337, con 155 capitoli su 1503 totali. Nello statuto della Mercanzia 36 capitoli su 130 riguardano le Arti (27,7%): 12 riguardano la Lana (9,2%), 8 sono disposizioni generali sul mondo artigiano (6,1%). Le norme a tutela della giurisdizione artigiana si leggono in: Costituto 1309-10, II, 109, 151, 293, 341; Constituto 1337-9, II, 232 Quod servetur usus Artis…. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 119 il primo impegno alla formazione di un archivio notarile con l’obbligo di versare presso la curia del podestà le imbrevitarure dei notai defunti)80. Quello stesso statuto, però, porta anche le tracce dello scontro esploso, senza mezzi termini, nel 1301: si tratta di 53 capitoli aggiunti in fondo alla quinta distinctio del testo. Avvocati, giudici e notai furono accusati di essere spergiuri, calunniosi, infi di collaboratori politici, e di operare contro giustizia e verità producendo falsi te- stimoni, corrompendoli e lasciandosi corrompere81. Nel 1302, dopo appena due mesi e dietro evidenti pressioni, il Comune fece marcia indietro e revocò i prov- vedimenti perché giudicati sconvenievoli, e capaci di turbare «lo stato tranquillo de la città». Proclamata su carta l’onorabilità dell’uffi cio, restavano però pesanti ipoteche sull’esercizio della professione82 e nel 1303 il Comune tornò a forzare la mano contro avvocati, giudici e notai malitiosi che ammaestrano i testimoni e producono falsità83. Toni e provvedimenti simili andavano a colpire l’immagine dell’antico e prestigioso collegium, tanto che Mario Ascheri non esclude che il volgarizzamento del Costituto sia stato voluto dal governo proprio per ‘schiaffeg- giare’ e umiliare pubblicamente avvocati e notai84. Toni tanto duri il Comune li usò solo nei confronti dell’altra Arte ‘ribel- le’, quella dei carnaioli. Redatto in una fase di ripresa economica e politica dell’Arte dopo il crollo di fi ne Duecento, il Costituto del 1309-10 riporta solo la normativa classica sul mercato carneo (controlli sulla qualità delle carni e sugli strumenti di pesatura, lotta alle frodi tipiche, orari di macellazione, divie- to di fare incetta e accordi speculativi, smaltimento degli scarti), tralasciando volutamente i duri emendamenti che pure erano stati emanati negli anni imme- diatamente precedenti85. Nel 1318 lo scontro tra il Comune, i notai e i carnaioli esplose nella grande rivolta di ottobre e portò alla soppressione delle due Arti fi no agli anni Quaranta86.

80 Costituto 1309-10, I, 471 (1290, mag.); II, 204 (1255, set.), 207 (1292, mag.), 208 (1296, mag.), 214 (1230, ago). Nel 1262 l’Arte godeva di un prestigio indiscusso: Constituto 1262, II, 132, 135-7, 141-2. 81 I 13 capitoli emanati nel dicembre del 1301 aprono il gruppo degli Ordinamenti sopra ‘l fatto de li giudici et de li notari del 1301-4: Costituto 1309-10, V, 428-57, in particolare 428-40. Per le avvisaglie dello scontro in atto: nota 70. 82 Costituto 1309-10, V, 441-57 (1302, feb. 24). 83 Ivi, 471-93 Ordinamenti accioché non si facciano false accuse… (1303, ott. 27 e 1304, ott. 27). 84 M. ASCHERI - C. PAPI, Il ‘Costituto’ del Comune di Siena in volgare (1309-1310). Un episodio di storia della giustizia?, Firenze, ASKA, 2009, pp. 54-9. 85 Le rubriche sui carnaioli, compresa l’aumento delle consultazioni annuali del consiglio generale da 2 a 4, voluto dai Nove nel momento stesso in cui riabilitarono l’Arte, si leggono in: Costituto 1309-10, V, 357-61, 376-83. Sui silenzi del Costituto e la normativa contra carnifi ces tra Due e Trecento: COSTAN- TINI, Tra lavoro e rivolta, cit. 86 Vedi i riferimenti in EAD., Siena 1318, cit., pp. 239-44. 120 Valentina Costantini

Lo statuto ‘del Buonogoverno’ del 1337 fa allora eco alle ‘paure da scongiurare’ che Ambroglio Lorenzetti si accingeva a dipingere nella sala dei Nove, ricordan- do – come se il tempo si fosse fermato al 1318 – il pericolo della rivolta latente, le minacce all’ordine politico e sociale, l’urgenza di garantire la protezione per- sonale dei Nove87. La reputazione delle Arti colpevoli di sovversione, e in particolare quella dei carnaioli, fu macchiata in maniera indelebile dal più longevo statuto senese. Giudici e notai furono ridotti a un gruppo professionale controllato dal Comune, che rilasciava i diplomi necessari all’esercizio, ne limitava le funzioni, e impone- va controlli trimestrali contra advocatos et procuratores per frenare frodi, corru- zioni e tentativi di estorsione88. Coi carnaioli, lo statuto del ‘37 rompe defi nitiva- mente il muro di silenzio imposto dal Costituto di primo Trecento. Subito dopo le norme in favore dell’Arte della Lana (De augmentatione artis lane), si leggono quelle contra carnaiolos. In tutto 36 capitoli, due dei quali riproponevano la pro- scrizione dell’Arte e l’ordine di deconcentrazione e ridistribuzione delle botteghe emanati all’indomani della rivolta. Gli altri 34 sintetizzavano, invece, le disposi- zioni più dure emanate in piena crisi annonaria (1334-36): iscrizione obbligatoria dei macellai presso gli uffi ci del capitano del Popolo ogni 6 mesi, inasprimento delle condanne per frode alimentare (5 anni di esclusione dalle vendite), controlli serratissimi a bottega, calmieri fi ssati addirittura ogni mese89. Per garantire l’approvvigionamento del mercato cittadino lo statuto riba- diva, sempre all’interno della sezione contra carnaiolos, il divieto di esportare bestiame locale e imponeva la marchiatura della metà di tutti i capi all’ingrasso sul territorio e destinati al mercato cittadino. La crisi annonaria mordeva, il con- trollo sui pascoli passava al capitano di Guerra e il Constituto tornava a vietare gli

87 Constituto 1337-9, III, 182 De consilio fi endo pro securitate dominorum; 183 De pena of- fendentis dominos qui fuerunt millesimo .CCC.XVIII. de mense octubris; 184 Quod domini Novem qui fuerunt dicto tempore habeant famulos... et possint arma portare; 185 De pena dicentium verba iniurio- sa...; 186 De pena facientis iuram.... Il cap. 184 si legge in una delibera del 30 ottobre 1318 (CG 91, cc. 127v-130), il resto del materiale è in: SSi 18, cc. 418-424 (1318, nov. 21). Sul signifi cato politico degli affreschi del Lorenzetti rimando al recente lavoro di P. BOUCHERON, Conjurer la peur, Paris, Seuil, 2013. 88 Constituto 1337-9, III, 119 De angustiandis advocatis…; 120 Quod nullus advocatus… inter- veniat pro exbannito; 121 Quod durante offi tio quis non advocet…; 122 De pena instruentis testes; 123 De advocato et procuratore acquirentis iura…; 124 De inquisitione fi enda contra advocato; 125 De advocato non patrocinante…; 126 Quod magnates non possint esse advocati; 127 De solutione fi enda per advocatos…; 205 De pena notarii facientis scripturas contra comune…. 89 Constituto 1337-9, IV, da 204 (Quod circa carnis offi tium… spectet solum ad Capitaneum) a 238 (Quod non fi ant societates de bestiis macellandis). Molte rubriche ricalcano gli emendamenti conser- vati in: SSi 23, cc. 399-413 (1334, gen. 14), 483-487 (1336, mag. 17), rispettivamente 33 e 10 capitoli. I provvedimenti del 1318, invece, si leggono in: SSi 18, c. 418r (1318, nov. 21), all’interno del pacchetto normativo contra rebelles. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 121 accordi per limitare le macellazioni90, ma al tempo stesso evitava di imporre un limite agli acquisti giornalieri concessi ai carnaioli nel Campo – dove per legge si svolgeva, oltre al mercato alimentare, quello del bestiame – o i prezzi massimi al dettaglio. In entrambi i casi si trattava di aspetti da sempre regolati col sistema degli emendamenti periodici di cui si è detto. L’aumento dell’intervento pubblico si fece sentire su tutte le Arti nel corso del Trecento. Nel settore annonario, dopo i carnaioli, i più controllati erano ta- vernai e albergatori, mestieri affi ni peraltro a quello del macellaio e largamente diffusi in una città ad alta viabilità qual era Siena. Per impedire il controllo del mestiere sulla vendita di carni cotte, negli anni Settanta del Duecento il Comune deve aver imposto la scissione tra carnaioli e tavernai. Questi ultimi si unirono probabilmente agli albergatori, specializzandosi – almeno così diceva la legge – nell’offerta di solo vino alla mescita91. La vendita del vino era regolata soprattutto durante la vendemmia, quan- do il mercato all’ingrosso poteva svolgersi solo nel Campo così da facilitare i controlli e il prelievo fi scale. L’alterazione col nebio (che ne intensifi cava il colore), le rivendite fuori città, la mescita in contenitori e locali non regolari (privi cioè del sugello del comune o del signum pictum sul fronte strada) erano vietati92. A tutela dell’ordine pubblico e a difesa della moralità, taverne e alberghi non potevano ospitare gente di malaffare (robbatori, falsatori, ladroni, giullari e meretrici) e, almeno nelle taverne, non era consentito il lavoro di donne e bambi- ni, a meno che non si trattasse di membri della famiglia del gestore93. Negli anni Trenta, dopo il passaggio dei mestieri annonari alla giurisdizione del capitano del Popolo, fu imposta la registrazione annuale presso gli uffi ci comunali di tutti gli

90 Le norme sul bestiame e i pascoli si leggono in coda alla sezione contra carnifi ces: Constituto 1337-9, IV, 233 De habenda habundantia carnium in civitate…, 234 Quod bestie non nostrate…, 235 De modo dandi licentiam quarte…, 236 De offi ciali super quarto…, 237 De assignando cui bestie sint vendite. 91 All’epoca del Costituto del 1309, tavernai e fornai vendevano abitualmente carni cotte: Costi- tuto 1309-10, V, 286, 320 (1292, mag.); 321. Constituto 1337-9, III, 45 De non parando carnes tempore vigiliam, 46 De pena parantium commedere in taberna. Sulle speculazioni messe in atto tra macellai e tavernai sul prezzo delle lombate di maiale: COSTANTINI, Tra lavoro e rivolta, cit., pp. 226-7. 92 Costituto 1309-10, V, 317-9, 352, 368-9; Constituto 1337-9, III, 44 Ubi teneatur vinum ad vendendum…, 50 De nebbio prohibendo, 286 De pena vendentium vinum ad minutum sine signo publico. 93 Sui personaggi di malaffare: Costituto 1309-10, I, 498, 571; III, 68; V, 34-35; 192. La presenza di donne e bambini nelle taverne è regolata: ivi, V, 402-403; Constituto 1337-9, III, 24 De pena moran- tium vel retinendum aliquem…, 47-48 Quod mulieribus non stent in domo…; IV, 247 De minoribus. In generale, per l’ospitalità e la ristorazione a pagamento, si veda il bel lavoro di TULIANI, Osti, avventori e malandrini, cit. 122 Valentina Costantini albergatori esercenti (i veris hospitatoribus), oltre a una serie di restrizioni sul servizio di ristorazione94. Il rifornimento di pesce fresco – impresa non facile in una città senza fi ume e lontana dal mare, ma che doveva comunque soddisfare le esigenze alimentari nei tanti giorni di vigilia e digiuno – era garantito da accordi coi pescatori del Trasimeno e dall’allevamento in peschiere e laghi artifi ciali. Il mercato era gestito da pesciaioli senesi, ma i forestieri potevano operare in qualità di fornitori. Per impedire la costituzione di ‘cartelli’ in grado di condizionare l’offerta, il Comune vietava la costituzione di compagnie tra operatori senesi e forestieri o con più di tre soci. Come nel caso della carne, nonostante il mercato ittico fosse rigidamente controllato e calmierato, il Costituto ricorda la normativa classica di riferimen- to, imponendo i divieti sulla pesca nei vivai e gli acquisti a scopo di rivendita – pratica vietata per tutti i generi alimentari e le materie prime in genere perché infl uiva sul prezzo fi nale. Solo nel 1337 gli statuti inserirono le norme a tutela del consumatore (esposizione dei pesci sui banchi del mercato, marchiatura di quelli vecchi di un giorno) e l’obbligo di riunire il consiglio generale all’inizio dell’an- no per discutere super piscibus. Per garantire la bundantia del mercato ittico, il settore era stato liberalizzato e messo sotto il controllo diretto del governo95. Come il mercato del pesce, anche quello del grano fu presto liberato dal controllo delle Arti e, lo si è visto, il Comune controllava i contenitori usati per la vendita nel Campo e negli alberghi cittadini già nel XIII secolo. Nel 1299, spinte dalla crisi annonaria, le autorità potenziarono i controlli sul peso del grano prima e dopo la macinatura, fi ssarono i tetti massimi ai salari dei fornai e i prezzi della farina96. Nel 1332, quando, a causa dello sfruttamento dei boschi, scarseggiava ormai la legna per cuocere il pane, i fornai ottennero un allentamento del calmie- re sui prezzi delle pagnotte97. Nei loro confronti, il Comune usava spesso toni e

94 Constituto 1337-9, IV, da 241 (De morsellis et dapibus…) a 251 (Quod revidantur presentia capitula). 95 Costituto 1309-10, I, 209; V, 78, 183-5; Constituto 1337-9, IV, 252 De piscibus et ipsorum abundantia, 253 De vendendis piscibus in Canpo, 254 De providendo super piscibus, 255 De offi cialibus eligendis..., 256 Quod liceat quilibet..., 257 Reprobatio ordinamentorum. Sul rifornimento e la vendita del pesce a Siena: M. TULIANI, Il Campo di Siena. Un mercato cittadino in epoca medievale, «Quaderni Medievali», 46 (1998), pp. 59-100; G. CATONI, «Super facto piscium» (Siena 1291-1486), in Scrivere il Medioevo. Lo spazio, la santità, il cibo. Un libro dedicato ad Odile Redon, a cura di B. Laurioux – L. Moulinier-Brogi, Viella, 2001, pp. 295-303. 96 Costituto 1309-10, III, 49-50; IV, 33, 133; V, 134-6, 416-8 (1299, mag.). 97 «ex incremento gentis habitanti in civitatis Senarum et burgis et sub burgis eiusdem, lignorum combustibilium et stiparum valde creverit carestia et per consequens clibanarii et fornerii civitatis Sena- rum, vera necessitate compulsi, non possint coquere panem pro pretiis antiquitus consuetis»: SSi 23, c. 343v (1332, dic. 11). Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 123 politiche simili a quelle usate contra carnifi ces, ma senza mai incontrare una re- sistenza pari a quella offerta dagli imprenditori della carne, consociati o meno che fossero. Il fatto che non fosse previsto un consiglio generale di routine su mugnai, fornai e panettieri in genere è segno dello scarso peso che questi gruppi poterono esercitare rispetto alle politiche economiche del Comune. Il lavoro di treccole e altri venditori ambulanti di verdura, interiora, polla- me, piccola selvaggina e porchette era diffi cile da controllare, popolato di uomi- ni, donne, fanciulle e garçoni che si muovevano dentro e fuori la città. Il Comune cercò comunque di contenere i prezzi vietando gli acquisti causa revendendi, imponendo il calmiere per lepri e volatili (starne, fagiani, tordi, merli, colombi, cornacchie) e, controllando, anche in questo caso, i contenitori usati per misurare olio, sale e altri prodotti98. Per ragioni igieniche, erano vietate due pratiche ricor- renti fra le treccole: lasciare le verdure al fresco delle botteghe dei barbieri e fi lare nel Campo mentre vendevano i propri prodotti99. I servizi offerti dai fabbricanti di botti (barlectarii) furono messi sotto più stretto controllo durante il XIV secolo per ragioni fi scali, economiche e, direi, di pubblico servizio. Le dimensioni di barili, bigonçi e contenitori vari per la vendita e il trasporto del vino – operato dai vecturales – venivano controllate per evitare frodi ai compratori e al fi sco. La fi ssazione delle tariffe per riparazioni e prestiti (servizio, questo, offerto anche dai pizzicaioli), e l’obbligo di ammaestra- re tutti gli aspiranti apprendisti (purché senesi) miravano a contenere i prezzi e a indebolire il controllo sull’accesso alla corporazione. Ma barlectarii e vecturalii operavano anche nel servizio antincendio della città, prestando e riparando botti, barili e bingonzi, e trasportando acqua dietro compenso comunale100. Riguardo al pericolo del fuoco, infatti, mentre alcuni mestieri erano deci- samente pericolosi, altri potevano tornare utili. Nel primo gruppo si trovavano i fabbri (le cui fornaci dovevano essere coperte di mattoni), tintori (che volentieri bruciavano i residui di lavorazione), bicchierai (tenuti 25 miglia lontani dalla cit- tà), e fornai (che ammassavano fascine di legna accanto ai forni)101. Nel secondo,

98 Costituto 1309-10, V, 179-81. Constituto 1337-9, III, 51 De non emendo certa res causa reven- dendi, 53 De pena ponentium olera…, 290 De ponderibus et mensuris…. Sulle treccole, il commercio ambulante e, in generale, i mestieri di piazza: TULIANI, Il Campo di Siena, cit. 99 Costituto 1309-10, V 123, 177; Constituto 1337-9, IV, 374 De pena fi lantis in Canpo. Sulla presenza delle botteghe dei barbieri nel Campo: Constituto 1262, III, 53; Costituto 1309-10, III, 51; Constituto 1337-9, IV, 378, De non cavando…, ne vietavano le attività all’aperto nella zona post Sanctum Paulum, l’antica chiesa nel Campo. 100 Costituto 1309-10, I, 120-2, 416; Constituto 1337-9, III, 293 De pena portatium aquam…, 294 De pena vendentium vel portantium vinum, 295 De pretio barilium..., 309 Quod portitores et asinari trahant ad ignem.... 101 Nell’ordine: Costituto 1309-10, V, 137, 145, 166, 392. Il tabù del fuoco cadde solo dopo la Peste, nel vuoto demografi co e nella necessità di fare industria. Nel 1351 il Comune concesse a una 124 Valentina Costantini oltre a barlettai e vetturali, rientravano i maestri di Pietra e Legname, obbligati ad accorrere al suono della campana cum ferris congruis et aptis ad destruendum hedifi cia. Nel disperato tentativo di limitare la propagazione delle fi amme, infatti, case e botteghe sulla linea di fuoco venivano abbattute102. A cavallo tra Due e Trecento e ancora nei decenni a venire, il settore dell’e- dilizia vide aumentare le già pesanti ingerenze comunali sulla regolamentazione del settore. A partire dagli anni Ottanta, i ranghi produttivi (mattonai, tegolai, for- naciai, tavolacciai) vennero progressivamente compressi sotto il peso di controlli qualità e calmieri in continuo aggiornamento, e presumibilmente al ribasso. Nel 1292 i mattonai entrarono di routine nel discorso politico del consiglio generale, convocato una volta l’anno per discutere sul da fare de’ mattoni. Quello stesso anno, il Comune riconobbe il diritto dei tavolacciai a costituire un’Arte, ma senza l’esclusiva sulle attività. Negli anni Trenta, come ho ricordato, la corporazione dei fornaciai fu messa al bando. Liberalizzato il settore, chiunque da quel mo- mento poté cuocere e vendere tegole, mattoni e doccios, accordandosi sul prezzo direttamente col compratore103. Nei confronti dei Maestri di Pietra e Legname il Comune fu altrettanto deci- so. Nel 1298 si impegnò a migliorare il rifornimento di materia prima, stabilendo il regime di libero passo sui terreni privati posti tra i boschi da taglio e la strada. Sulla giurisdizione dell’Arte, però, continuavano a pesare le ingerenze del Co- mune soprattutto per le immatricolazioni, la regolamentazione dell’apprendistato (l’Arte non poteva liminare il numero di discepoli per maestro) e l’esclusiva sulle attività. Anche per loro, la crisi degli anni Trenta, signifi cò un irrigidimento del- le norme restrittive, a cominciare dall’imposizione di tetti salariali per maestri, discepoli e gignores (operatori di condizione simile ai discepoli, ma, forse, più giovani)104. Per le stesse ragioni di pubblica utilità, il Comune interveniva a regolare il lavoro di maniscalchi e ferratori, ma a parte l’obbligo di apertura domenicale compagnia di vetrai della Val d’Elsa di installare una fornace dentro le mura: BOWSKY, Un Comune, cit., p. 302. Sul pericolo del fuoco nelle città medievali: D. BALESTRACCI, La lotta contro il fuoco (XIII - XVI secolo), in Città e servizi sociali nell’ Italia dei secoli XII - XV, Atti del XII Convegno di studi del CISSA (Pistoia, 9-12 ott. 1987), Pistoia 1990, pp. 417-38. 102 Constituto 1337-9, III, 109 Quod magistri lignaminis et petre trahant ad ignem extinguendum. 103 Costituto 1309-10, I, 126 (1282-1304); III, 294 (1296, mag.); V, 363 (1292, mag.); Sind. 12 (1302, mag.) e 13 (1291, mag.). Constituto 1337-9, IV, 416 De tegulis et docciis…; 417 De offi tialibus tribus…; 418 Quod sint numerandis mactones et planelle… ; 419 Cassatio Artis fornaciorum; 420 Quod quilibet liceat facere mactones … ; 421 Quod non ematur calcina causa revendendi. 104 Costituto 1309-10, III, 8, 196; IV, 71-72, 73 (1298, mag.); Sind. 25. Constituto 1337-9, III, 57 De pretio magistrorum laborantium et gignorum. Per il fenomeno a livello regionale, vedi i riferimenti in: BARLUCCHI, Gli statuti delle arti, cit., p. 539, nota 87. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 125 delle botteghe, il divieto di ferrare e sanguinare gli animali nelle vie pubbliche e l’imposizione di commissioni di controllo sull’operato de’ marescalchi nelle visite veterinarie ai cavalli comunali, nei testi esaminati non si segnalano tetti remunerativi o tariffari di alcun tipo105.

Nel momento in cui impongono un più rigido controllo ai mestieri, gli sta- tuti trecenteschi codifi cano, in testi prestigiosi e potenti, il ruolo della Mercanzia quale strumento di coordinamento e controllo delle Arti e delle attività commer- ciali in genere. La consacrazione di quello che ormai era uffi cialmente l’organo centrale del governo dei mercatores di ceto medio – alle cui funzioni gli statuti del 1309-10 e del ’37 dedicano centinaia di capitoli – data alla metà degli anni Venti. Subito dopo aver stroncato la seconda congiura di notai e carnaioli (feb- braio 1325), nella Domus Mercantiae – voluta a specchio del palazzo comunale in piazza del Campo – ebbe inizio la compilazione del registro dei giuranti, il cosiddetto ‘libro-alfabeto’, che impose a tutti gli addetti alla produzione e ai com- merci attivi in città un doppio giuramento: alla propria corporazione e all’ente sovra-corporativo. Ne erano esentati solo lanaioli, giudici e notai. La registra- zione garantì alla Mercanzia, e dunque al gruppo dirigente, il controllo sul corpo elettorale dei consoli dell’ente, del Concistoro e, in ultima analisi, del governo. E questo fi no alle soglie della grande peste106. Lo statuto della Mercanzia del 1338, volgarizzamento del testo latino an- dato perduto, è ulteriore celebrazione di un predominio costruito nel corso di più di un secolo. Oltre a regolare il diritto societario, l’esercizio delle rappresaglie, il controllo sui camini e quello su pesi e misure, il testo legiferava sulle Arti, ma senza sovrapporsi allo statuto del ’37. Fatte salve le consuete eccezioni previste per la Lana, alle corporazioni l’ente imponeva le feste comandate, la correzione dei brevi, e, appunto, il giuramento annuale alla Mercanzia, comprendendo soci, fattori, messi o gignori (purché maggiori di 14 anni) al lavoro nelle botteghe107. In particolare, la normativa della Mercanzia interveniva su Arti e settori fi nora sostanzialmente tralasciati dagli statuti comunali. Sappiamo così che i sensali, per operare legittimamente, dovevano essere iscritti all’albo (detto, appunto, il libro de’ sensari), controllato ogni sei mesi da commissioni di mercatanti et huomini giurati alla Mercanzia. Una volta l’anno i

105 Costituto 1309-10, I, 387-9; V, 396. 106 Constituto 1337-9, II, 224 De favore exhibendo consulibus Artis Mercantie…. Le norme per la compilazione del registro dei giuranti in: Mercanzia 1338, I, 18-9. Per il suo signifi cato politico: ASCHERI, Arti, mercanti e Mercanzie, cit., pp. 115-7. 107 Mercanzia 1338, I, 2, 17-9; II, 37; III, 26; IV, 8-14. 126 Valentina Costantini nomi degli operatori erano messi ai voti nel Consiglio dei Trentasei (XII merca- tanti per Terzo): i requisiti minimi per accedere erano la cittadinanza e il giura- mento; i salari erano fi ssati dall’ente108. Gli orafi subivano rigorosi controlli sulla qualità dei loro prodotti ed erano previste almeno due indagini l’anno per controllare gli standard qualitativi e le percentuali d’oro presenti nei manufatti. Ai prodotti regolari, i consoli facevano apporre un marco di garanzia109. Anche speziali e pizzicaioli subivano controlli sulla qualità dello zaffera- no (il gruogo), delle candele e dei medicinali, che dovevano essere confezionati secondo ricetta medica. Trattando di salute pubblica, l’ultimo punto era il più delicato e la Mercanzia interveniva con forza attraverso controlli e aggiornamenti normativi continui che affi dava a specialisti: speziali sì, ma scelti dall’ente110. Vietato qualunque accordo fra speziali, pizzicaioli e medici. Nei confronti di questi ultimi, il Comune calcò la mano, imponendo tetti tariffari, l’obbligo di rilascio della ricetta medica e, per assicurare il controllo della salute pubblica e indebolire un gruppo professionale prestigioso, la messa al bando dell’Arte111. Infi ne, la Lana, della quale sinora non ho detto. Gli statuti cittadini del 1309-10 e del ‘37 moltiplicarono e potenziarono i privilegi concessi all’Arte, l’u- nica, assieme alla Mercanzia, a poter convocare il consiglio generale e a godere di rappresentanze diplomatiche comunali, per quanto a pagamento112. Le competen- ze giudiziarie dei suoi tribunali erano garantite rispetto alle ingerenze della Mer- canzia sin dalla fi ne del Duecento e il Comune mise a disposizione un servizio di polizia comunale per pilliare li loro sottoposti et d’essi ditenere113. Negli anni Trenta le elite mercantili al governo decisero di rompere il mo- nopolio fi n lì garantito alla Lana, andando a toccare per la prima volta elementi

108 Ivi, I, 29; II, 36; III, 20-1. 109 Ivi, III, 14. 110 Ivi, I, 21; III, 17-8. Anche: Constituto 1337-9, IV, 318 Contra piççicaiolos facientes cereos. Sulle frodi tipiche su zafferano, cera e candele: C. FIORILLI, I dipintori a Firenze nell’Arte dei medici speziali e merciai, «A.S.I.», LXXVIII/2 (1920), pp. 5-74: 11-2. 111 Mercanzia 1338, II, 35; III, 19. Una norma dello statuto ‘del Buongoverno’ imponeva ai medici l’obbligo di visita ai commeghi malati: Constituto 1337-9, III, 58 De medicis. 112 Il servizio era ovviamente gratuito per la Mercanzia: Costituto 1309-10, I, 315, 561; II, 107, 114; VI, 41; Constituto 1337-9, II, 226 De consilio fi endo …; 227-8 De ambaxiatoribus dandis.... 113 La cattura dei banditi della Mercanzia, invece, era compito del podestà: Costituto 1309-10, I, 165; II, 108, 112, 277; Constituto 1337-9, II, 231 De auxilio dando ad petitionem consulum…. I privilegi già concessi nel 1262 sono tutti confermati, dall’imposizione del Divieto al giuramento forzato che il podestà poteva imporre agli addetti del tessile e ai mercanti non immatricolati: Costituto 1309-10, I, 413, 173, 548; II, 106, 113 (1280, nov.), 164; IV, 8, 9 (1306, mag.); Constituto 1337-9, II, 172 De ambaxia- toribus dandis…; (s.n.) De deveto servando ad petitionem…. Per una sintesi, si vedano la Prefazione a Mercanzia 1338 e TORTOLI, Per la storia della produzione laniera, cit. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 127 fondanti della giurisdizione artigiana. Il 20 dicembre del 1334, il consiglio ge- nerale di Siena approvò a maggioranza schiacciante una serie di provvedimenti in favore delle Arti cittadine (Pro ordinamentis bonifi candum artis fi rmandis), ma che il governo aveva pensato soprattutto in favore dell’Arte della Lana114. Le norme si leggono almeno in parte nello statuto del ’37, dove il generale Qualiter augmententur artes, generosamente esteso a tutte le società di mestiere, si espli- cita nel signifi cativo De augmentatione artis lane, già ricordato in queste pagine. Più che all’Arte nel suo insieme – e con tutte le sue tutele – il governo guarda- va alla produzione e per incentivarla abolì la tassa di immatricolazione, vietò la lavorazione di panni forestieri – che poi voleva dire, soprattutto, fi orentini – e potenziò i controlli sulla qualità dei panni nei laboratori115. Contemporaneamente la Mercanzia strinse il laccio dei controlli sui ranghi produttivi dell’Arte, ossia la forza-lavoro al servizio delle elite mercantili e che tale doveva rimanere. Le elite mercantili cercavano di impedire che i sarti producessero panni in proprio, comprando lana nelle botteghe dei ritaglieri. L’intervento si inseriva in una gene- rale opera di compressione economica dei lavoratori specializzati, degli strati più umili dell’Arte. E così furono imposti controlli più rigidi sulla qualità dei prodotti e tetti retributivi per tintori, calzettai, tondatori (o cimatori), sarti e ritaglieri116.

Prima di chiudere, ancora due considerazioni. La prima riguarda un silen- zio. All’inizio del Quattrocento, in una delle prediche senesi, san Berardino in- dicò i tre motori dell’economia cittadina: nell’ordine, la lana, il cuoio, l’univer- sità117. Nel Trecento, però, si conferma il sostanziale disinteresse della normativa per il potenziamento di un’industria che, come la lana, poteva contare su uno dei mercati del bestiame meglio riforniti della penisola. Invece di emanare leggi tese ad ‘accrescere’ l’Arte, il Comune si limitò a regolare, e in maniera sempre più stretta, l’impatto delle attività di concia all’interno della città. Così, alla mappa

114 I legislatori erano stati nominati «ad perquirendum et invenendum omnes vias et modos et formas quibus artes civitatis Senarum, et maxime ars lane, augmententur et bonifi centur»: CG 116, cc. 74-75r (1334, dic. 20). 115 Le rubriche a sostegno e regolamentazione dell’industria tessile si leggono in: Costituto 1309- 10, IV, 10; V 132, 272 (1303, mag.), 273; Constituto 1337-9, II, 230 Ubi possint teneri tiratoria…; III, 59 Quod non pignorent res data ad laborerium; IV, 196 De augmentatione artis Lane, 197 Quod vendantur panni Senenses et Francigeni et non alii, 198 De marcatoribus pannis, 199 De marcandis pannis, 200 De non vestiendo de pannis vetitis, 201 De pena lanifi cum vendentium pannum ad ritallium, 202 Qualiter augmententur Artes, 203 Ad quem pertineat executioni…. 116 Mercanzia 1338, I, 22-25, 27, 33; III, 22. Su questi aspetti: TORTOLI., Per la storia della produ- zione laniera, cit., pp. 226-7; BOWSKY, Un Comune, cit., pp. 307-10. 117 D. BALESTRACCI, La lavorazione e la concia delle pelli in area senese XIV-XV secolo, in Il cuoio e le pelli in Toscana: produzione mercato del tardo medioevo e nell’età moderna, a cura di S. Gensini, Pacini 1999, pp. 119-140. 128 Valentina Costantini delle attività inquinanti della Lana, già stabilita nel 1309-10, lo statuto del ’37 sovrappose quella dei conciatori. Tintura dei panni, scarnatura e concia delle pelli erano confi nate nella zona artigianale della città, compresa tra i popoli di San Pel- legrino e Sant’Antonio, dove si trova la fonte ‘industriale’ per eccellenza, Fonte- branda118. D’altronde fu proprio perché consapevole dell’utilità che l’industria del cuoio rappresentava per la città che, nel 1315, il Comune aveva accolto il ricorso dell’Arte contro le richieste degli abitanti della zona che volevano ricacciarla fuori le mura119. La seconda considerazione ha in parte a che vedere con la prima e riguarda la gerarchia interna al sistema delle Arti senesi di cui si sono viste le prime tracce già del Duecento. Ebbene negli anni Trenta, mentre aumenta il controllo comunale sui mestieri e le corporazioni, è attestata l’esistenza di un gruppo ristretto, detto delle XVII Arti. Esso si trovava – per prestigio? forza economica? – in una posizione intermedia tra i mondo delle Arti (‘minori’?) e la Mercanzia, ed era dotato di un proprio breve, al quale, nel 1329 almeno i cuoiai prestavano giuramento. Perché? Erano una delle XVII Arti? Si trattava per loro di un terzo giuramento annuale, dopo quelli dovuti all’Arte e alla Mercanzia? Quali altre societates erano riunite nel gruppo delle XVII? Quali funzioni ricoprivano rispetto alle altre corporazioni cittadine? Nell’incertezza, pochi dati fermi: il numero delle Arti era variabile (se più o mino saranno)120 e la Mercanzia valutava di anno in anno la possibilità di fare compagnia co li rectori delle XVII Arti et co gli altri rettori121. Si tratta di indizi preziosi che dimostrano come anche nella Siena ‘novesca’, la mediazione politica, il calcolo degli equilibri e degli interessi facevano sì che non tutte le corporazioni fossero compresse allo stesso modo dal verticismo della Mercanzia.

Considerazioni conclusive Il discorso delle XVII Arti rompe, a mio avviso, una volta per tutte l’im- magine di cronica inerzia e genetica atrofi a delle Arti senesi. Senza dubbio la progressiva e sempre più effi cace compressione economica e politica dei settori corporati messa in campo dal governo dei mercatores ne ha scolorito l’immagine.

118 Costituto 1309-10, III, 135; V, 145-9; Constituto 1337-9, IV, 282-8 De non faciendo putredine in populo Sancti Pellegrini et populo Sancti Anthoni, 289 Cuius sit congnitio, 363 De pena excutientium pelles…, 390 De pena incidentium carroccias in viis. 119 BALESTRACCI - PICCINNI, Siena nel Trecento, cit., pp. 162-163. 120 Statuto dell’università dell’Arte de’ cuoiai e calzolai della Vacca della città di Siena. 1329- 1335, in Statuti senesi scritti in volgare, cit., II, pp. 271-371, cap. 13. Il rif. al breve delle XVII Arti era già stato segnalato da: PRUNAI, Notizie sull’ordinamento, p. 372; BOWSKY, Un Comune, cit. p. 299. 121 Mercanzia 1338, IV, 3. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 129

Dopo la sostanziale complementarità giuridica duecentesca, nel corso del XIV secolo, le ingerenze comunali si fecero sempre più pesanti e invasive, toccando aspetti qualifi canti per l’identità e l’autonomia delle Arti: le condizioni per l’im- matricolazione, il monopolio del settore, la regolazione di prezzi, salari e tariffe, la gestione dei controlli sul rifornimento, i processi produttivi e il prodotto fi ni- to (o il servizio offerto), l’amministrazione della giustizia, infi ne, la possibilità di eleggere autonomamente i propri uffi ciali. Un’azione eccezionale quella del governo senese che non ha pari in tutta la Toscana e che dimostra il sospetto col quale le elite mercantili senesi guardavano alle strutture artigiane, foriere di iden- tità e coesione sociale, di tutele e privilegi che, agli occhi di una classe dirigente di grandi imprenditori, dovevano apparire come uno scomodo intralcio, quando non ancora un pericolo per l’ordine pubblico e il mantenimento dello status quo. Seguendo un preciso progetto economico e politico, le elite mercantili so- stennero i settori che le rappresentavano: i grandi mercanti, gli imprenditori, uo- mini e famiglie legate al commercio su larga scala. Per questo, e per quanto possa apparire paradossale a prima vista, nella Siena senz’acqua e in piena terra di transumanza, il regime dei mercatores promosse iniziative in favore della Lana e della produzione tessile, mentre represse con forza quelle dell’Arte dei carnaioli. In questo modo impedì che un’Arte popolosa, ‘armata’ e politicamente turbolenta controllasse il mercato del bestiame e dalla carne, settori chiave per l’ordine pub- blico, la fi scalità e l’industria cittadina. Il mondo del lavoro medievale senese attende ricercatori volenterosi, che non si lascino scoraggiare dal silenzio delle fonti interne e siano pronti a spulciare gli archivi cittadini. Il materiale offerto in queste pagine, raccolto in anni di ricer- ca su una delle Arti più turbolente e problematiche per il governo dei mercanti, vuole essere uno stimolo per future ricerche. Le tendenze della medievistica con- temporanea sulle Arti, i mestieri e il mondo del lavoro spingono a lavorare sulle dinamiche socio-economiche interne ai gruppi e alla società cittadina, rompendo l’immagine stereotipata delle Arti come organismi immobili e strutture mono- litiche. A scavare negli archivi senesi si trova materiale suffi ciente per colmare almeno in parte il naufragio documentario delle corporazioni cittadine. Alcune zone d’ombra sono inevitabilmente destinate a resistere, ma questo non deve sco- raggiare la ricerca. Il rischio è quello di passare sotto silenzio settori importanti della società e dell’economia cittadina che, anche attraverso le loro sconfi tte, han- no fatto la storia della grande Siena medievale.

VALENTINA COSTANTINI 130 Valentina Costantini

Tabella 1. DOCUMENTAZIONE DELLE ARTI SENESI ENTRO LA FINE DEL XIV SECOLO122

N.ARTE DOCUMENTO CRONOLOGIA SEGNATURA 1 Calzolai giuramento al Breve 1219, dic. 3 DR (1212) modifi che al Breve, 2 Pietra 1235-1270 DOM 92 elenco dei maestri 3 Carnaioli statuto 1288-1570 Arti 39 4 Lana statuto 1292-1309 Arti 61 5 Lana statuto 1298-1764 Arti 62 6 Lana normativa comunale 1305-1416 Arti 63 7 Lana contratti 1325-1353 Arti 70 8 Lana contratti 1365-1542 Arti 71 9 Cuoiai e calzolai della Vacca statuto 1300-1777 Arti 88 10 Cuoiai e calzolai della Vacca statuto 1329-1335 Arti 89 11 Calzolai e cuoiai statuto 1333-1674 Arti 90 12 Calzolai e cuoiai statuto 1333-1674 Arti 91 13 Giudici e notai statuto 1303/6-1696 CN 1 14 Giudici e notai matricola 1341-1533 Arti 2 15 Giudici e notai imbreviature 1348-1523 CN 22 16 Giudici e notai tariffario ante 1355 Arti 3 17 Giudici e notai quietanze 1356-1564 CN 37 18 Chiavai statuto 1323-1402 Arti 113 19 Pellicciai statuto 1343-1775 Arti 31 20 Bastieri statuto 1344-1613 Arti 116 21 Speziali statuto 1355-1542 Arti 132 22 Osti e albergatori statuto 1355-1617 Arti 42 23 Pittori statuto 1355-1617 Arti 59 24 Orafi e argentieri statuto 1361-1627 Arti 32 25 Capitudines artium elenco degli iscritti 1362-1363 Arti 165 26 Arte del fuoco statuto 1394-1408 Arti 105

122 Le Arti sono riportate secondo l’ordine cronologico del materiale più risalente conservato nella rispettiva serie archivistica: Guida-Inventario, II, cit., pp. 220-8; CATONI, Il collegio notarile, cit., pp. 483-91. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 131

Tabella 2. DOCUMENTAZIONE DELLA MERCANZIA (XIV secolo)123

N. TITOLOGIA DOCUMENTARIA CRONOLOGIA SEGNATURA 1 statuto 1338 M 1 2 statuto 1358-1469 M 2 3 statuto 1358-1542 M 3 4 estratti dallo statuto 1391-1510 M 4 5 giurati alla Mercanzia 1326-1347 M 12 6 imbreviature notarili 1365 M 130 7 atti e carte giudiziarie 1381-1700 M 913 8 inventario di beni 1391-1476 M 915

123 Guida-Inventario, II, pp. 214-7. 132 Valentina Costantini

Grafi co 1. DOCUMENTAZIONE DELLE ARTI (1219-1394)*

6

5

4

3

2

1

0 Lana Pietra Pittori Pittori Chiavai Bastieri Speziali Pellicciai Carnaioli Arti del Fuoco del Arti Giudici e Notai Orafi e Argentieri e Orafi Cuoiai e Calzolai* Osti e Albergatori

tot pezzi statuti matricole altro

Grafi co 2. DOCUMENTAZIONE DELLE ARTI (1270-1355)

6

5

4

3

2

1

0 Lana Pietra Pittori Pittori Chiavai Bastieri Speziali Pellicciai Carnaioli Arti del Fuoco del Arti Giudici e Notai Orafi e Argentieri e Orafi Cuoiai e Calzolai* Osti e Albergatori

tot pezzi statuti matricole altro

* Sotto la voce Cuoiai e Calzolai ho raccolto il materiale conservato in due distinte serie archivi- stiche: Cuoiai e Calzolai della Vacca, 1329; Calzolai e Cuoiai, 1333. Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Siena tra Due e Trecento 133

Grafi co 3. MAESTRI ISCRITTI ALLE CAPITUDINI DELLE ARTI (1362-3)

350

300

250

200

150

100

50 Carnaioli Fabbri Cuoiai Pietra e Pizzicaioli Ritaglieri Lanaioli Giudici e Banchieri Medici Setaioli Rigattieri Legname Notai

totale iscritti iscritti alla prima compilazione

Banchieri: banchieri, orefi ci, sbraghieri; Carnaioli: carnaioli e mercanti di bestiame, albergatori, vinaioli, pollaioli; Cuoiai: cerdonii, cuoiai e calzolai; Fabbri: fabbri grossi, maniscalchi, coltellai e spadai, corazzai, padellai e cervellai, bastieri, pignattai ignis minuti, sellai, fornai, chiavai, fi bbiai, bullettai; Giudici e Notai: giudici, notai, doctori et magistrii in quacumque scentia; Lanaioli: lanaioli, tintori, pelacani e cerbolattai, borsai e cartai, conciatori, tiratori, affettatori, pettinatori e cardatori, tappetai, sensali; Medici: medici, arromatariorii (o arthocopiarii), barbitonsori; Pietra e Legname: maestri di legname, maestri di pietra, pittori, balestrieri, barlettai, tavolacciai, tornatori; Pizzicaioli: pizzicaioli, ferraioli e merciai, sarti, biadaioli e farinaioli; Rigattieri: rigattieri, farsettai, pannilini, linaioli; Ritaglieri: ritaglieri e calzettai, sarti, cimatori; Setaioli: setaioli, pellicciai, zendadari, correggiai, guainai. (Arti 165).

NOTE E DOCUMENTI

LA SCRITTA SUL PORTALE DI UN VESCOVO SENESE E NOTE DI CRONOLOGIA DEL DUOMO DI SOVANA

La Cattedrale di Sovana è un monumento architettonico, che presenta una sua complessa articolazione costruttiva per la contemporanea presenza di elementi romanici e gotici, oltre ad una successione di interventi di consolidamento operati già in antico, durante e poco dopo la sua costruzione, e riveste perciò notevole interesse. Tuttavia è stata a lungo trascurata e sono relativamente pochi gli studi qualifi cati su di essa sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista storico1; in sostanza la no- stra Cattedrale è rimasta -e ancora rimane in parte- una “illustre sconosciuta”, nonostante che questo monumento nelle sue forme architettoniche e decorative pare avere infl uenza- to vari edifi ci religiosi del territorio senese, compreso il Duomo di Siena2. Le diffi coltà di inquadrare cronologicamente la costruzione della complessa Cat- tedrale di Sovana sono apparse ben chiare allo storico dell’arte Italo Moretti: “Il Duomo di Sovana è praticamente l’unica chiesa romanica della Toscana con schema basilicale a tre navate, ad aver ricevuto, sia pure in un secondo tempo, la copertura con volte a crociera costolonate, interpretando così, nella struttura più che nella forma, un modello decisamente lombardo… quell’impressione di unità che si riceve dal Duomo di Sovana… se accettabile sul piano stilistico, in realtà è il frutto di varie fasi costruttive, non sempre facilmente individuabili, ma soprattutto diffi cili da collocare cronologicamente. Del resto diverse per capacità e formazione – ma non sempre necessariamente lombarde di origine - furono le maestranze che vi operarono, talora denunciando contatti abbastanza diretti con la Lombardia… in altre occasioni mostrando invece affi nità culturali con quelle pre- senti nell’Alto Lazio, in particolare a Tarquinia (Santa Maria di Castello)”3.

1 Il primo che se ne occupò fu M. SALMI, L’Architettura romanica in Toscana, Milano, Bestetti e Tumminelli,1926 e Chiese romaniche della campagna toscana, Milano, Electa, 1958; poi E. BALDINI, Architettura preromanica e romanica nel territorio grossetano, “Atti del V Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura 1948”, 1957, M. MORETTI, L’architettura romanica religiosa nel territorio dell’antica repubblica senese, Parma, Scuola Tipografi ca Benedettina, 1962, J. RASPI-SERRA, La Tuscia romana, Mi- lano, Electa, 1972, A. IACCHIA, La Cattedrale restaurata, Grosseto 1974, I. MORETTI-R. STOPANI, Romani- co senese, Firenze, Salimbeni Libreria Editrice, 1981; ultimamente è stato tentato un lavoro complessivo con Il Duomo di Sovana, a c. di F. SALVIATI, Roma, Tip. Mengarelli, 1992. 2 Per i legami tra la Cattedrale di Sovana e il Duomo di Siena vd. M. SALMI, Chiese romaniche, cit., p. 24; per le infl uenze su altre chiese del senese vd. I. MORETTI-M. STOPANI, Romanico senese, cit., passim. 3 I. MORETTI, Prefazione a Il Duomo di Sovana, cit., p. 7; Santa Maria di Castello a Tarquinia fu iniziata nel 1121 e consacrata nel 1208.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 138 Angelo Biondi

Italo Moretti indica tre fasi costruttive del Duomo di Sovana: la più antica nella cripta dai caratteri arcaici, ricollegabile “a certe cripte toscane altomedievali o ritenute tali…”, una iniziale (ma improbabile n.d.r.) fase di costruzione della Cattedrale durante il pontifi cato del papa sovanese Gregorio VII (1073-1085), ripresa da una fase costruttiva più consistente nel XII secolo, che “sembra avere un punto di riferimento nella piccola lapide che ricorda un vescovo Pietro di Siena, se questi è da identifi carsi con quello omonimo che tenne la Cattedra suanense tra il 1153 e il 1175”; infi ne una fase più tarda nel XIII secolo con la costruzione delle volte della navata centrale e delle navate laterali, che presentano diversità nell’impiego l’una dell’arco a tutto sesto e l’altra nell’arco acuto, tipico del gotico. Più recentemente, data la scarsità di documenti, è stata effettuata “un’approfon- dita analisi diretta dell’opera, così da poterne discernere la successione degli eventi co- struttivi e, dunque, delle fasi di consolidamento murario. Il Duomo di Sovana… è il frutto di vari periodi di realizzazione, con ripensamenti progettuali che hanno riguardato, in special modo, l’inserimento delle copertura delle navate con volte a crociera. Queste dovettero costituire la causa scatenante dei dissesti che produssero imponenti lavori di consolidamento dell’intero organismo, già durante il medioevo, quando la chiesa dovette palesemente minacciare, con macroscopiche deformazioni, un imminente crollo”4. L’analisi delle murature ha permesso di individuare nuovi dati, come la rifodera- tura delle pareti laterali e di quella di controfacciata, che rivestirono così completamente i loro prospetti interni nelle navate minori, ottenendo un sostanziale aumento dello spes- sore della muratura per poter reggere l’inserimento delle volte a crociera, che si andavano ad innestare su murature non predisposte5; una soluzione analoga di consolidamento si ritrova in un caso simile in Francia, nella vecchia Cattedrale di Saint Maurice di Angers e ciò aumenta gli elementi di contatto, presenti nella chiesa sovanese e già rilevati in vari particolari architettonici e decorativi, con edifi ci ecclesiastici della Francia occidentale e qui giunti probabilmente attraverso Sant’Antimo6. L’analisi diretta sulle murature ha consentito un notevole passo avanti nella cono- scenza delle vicende architettoniche di questa Cattedrale, portando ad una prima “sintesi cronologica delle fasi costruttive e di consolidamento del Duomo sovanese”:

4 M.A.L. MENGALI, Storia del consolidamento. Romanico e Gotico. Duomo di Sovana Scheda di approfondimento, in Trattato del consolidamento, a c. di P. ROCCHI-L. BUSSI, Roma, Mancosu Ed., 2004, p. 48. Cambiamenti di progetto durante le fasi costruttive, magari più limitati rispetto al Duomo di Sovana, hanno interessato anche altri edifi ci, come la vicina chiesa abbaziale di San Salvatore sul Monte Amiata; L. GIUBBOLINI, La chiesa abbaziale di San Salvatore nella cultura architettonica e scultorea del- l’XI secolo. Problemi, confronti, proposte in Romanico nell’Amiata, Firenze, Salimbeni 1990, pp. 68-70. 5 Il Toesca ha ipotizzato che per la Cattedrale di Sovana fosse prevista in origine una copertura a tetto con arconi traversi impostati sui semipilastri; per Raspi Serra era progettata una copertura a botte, mentre per Iacchia una copertura lignea. P. T OESCA, Storia dell’Arte Italiana. Il Medioevo, Torino, UTET, 1927, p. 585; J. RASPI-SERRA, La Tuscia, cit., pp. 24, 25, 154; A. IACCHIA, La Cattedrale restaurata, cit., p. 46. 6 R. CHIOVELLI, Introduzione a Trattato sul consolidamento, cit., pp. 36, 37; V. ASCANI, Architettu- ra e scultura architettonica in Il Duomo di Sovana, cit., pp. 49-53. La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 139

– l’abside sarebbe stata costruita per prima sulla cripta, che resta la parte più an- tica, il transetto avrebbe avuto due fasi costruttive, mentre in fase iniziale, circa all’inizio della seconda metà del XII secolo, sarebbero state innalzate le mura perimetrali e di facciata; – poi, nella seconda metà o verso la fi ne dello stesso secolo, il ripensamento rela- tivo all’inserimento delle volte a crociera avrebbe portato al rinforzo delle pareti perimetrali, sovrapponendo loro una seconda parete parallela ed ammorsata ad esse, mentre venivano innalzati gli ultimi due pilastri sul lato nord della navata centrale verso la facciata, gli unici predisposti per le crociere; – quindi si sarebbe provveduto alla copertura delle navate laterali in due fasi distin- te, forse ravvicinate, mentre sarebbe successiva la copertura della navata media- na con volte a crociera, dove compare l’uso di tufo rosso diverso rispetto a quello usato nel resto delle murature; – entrati ormai nel XIII secolo sarebbero stati eretti i pilastri della cupola e poi la cupola stessa; – i dissesti che ne derivarono, costrinsero i costruttori a inserire opere di rafforza- mento, come gli spessi sottarchi sotto gli arconi trasversali, su pilastri addossati ai sostegni della cupola, rivestendo anche le colonne dell’arco trionfale con mu- ratura d’impianto quadrangolare, che ne triplicava l’area di base; inoltre vennero costruiti contrafforti e speroni innestati sulle pareti esterne e sulle testate del tran- setto, probabilmente nella prima metà del XIII secolo, a giudicare dalle altezze dei conci di tufo a fi lari isometrici7; tale datazione è avvalorata anche dalla data del 1248, testimoniata dalla lapide presente sul contrafforte del braccio nord del transetto stesso. “Dunque i dissesti e le deformazioni della chiesa, almeno nella zona presbiteriale, dovettero risultare manifesti in un arco di tempo alquanto breve, forse di pochi decenni o anche meno”8. Proprio le trasformazioni e le opere di rinforzo realizzate fi n dalle fasi costruttive nella Cattedrale di Sovana, la rendono uno straordinario esempio, anzi “un particolaris- simo palinsesto”, delle modalità di consolidamento dei costruttori medioevali.

* * *

Sugli scarsi elementi documentari relativi alla Cattedrale sovanese Alessandra Fi- lippone affermava:“Il Duomo di Sovana, che porta il titolo di San Pietro, presenta innu- merevoli e, almeno per il momento, insolubili problemi circa la fondazione ed il proce-

7 L’utilizzazione generalizzata della tecnica muraria, defi nita “a fi lari isometrici”, diffusa in tutta la Tuscia, territorio unitario politicamente ed economicamente nel Medioevo, compresa anche la città di Sovana, si standardizzò a cominciare dal XIII secolo e la sua lettura, basata sulla misurazione dell’altezza dei conci, ne consente una datazione. Vd. su questo argomento R. CHIOVELLI, Tecniche costruttive murarie medievali. La Tuscia, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2007. 8 M.A.L. MENGALI, Duomo di Sovana, cit., p. 51. 140 Angelo Biondi dere della sua storia costruttiva. La documentazione è perduta o quasi … Solo una bolla papale dell’XI secolo fa un po’ di luce sulla sua fondazione. Due piccole lapidi, una quasi sicuramente del XII secolo, e l’altra del XIII (ambedue, per alcuni aspetti, di discussa interpretazione) ci sono unico punto di riferimento…” 9. Il riferimento suddetto è alla bolla del 1161 di papa Niccolò II ai canonici di Sova- na e a due lapidi inserite nella struttura muraria esterna della Cattedrale sovanese, l’una sul contrafforte di rinforzo alla parte sinistra del transetto, datata al 1248, l’altra al centro della lunetta del portale, spostato su un fi anco della Cattedrale, e relativa ad un vescovo Pietro senese. Questi tre elementi, a mio parere, sono stati fi nora analizzati insuffi cientemente e vanno riconsiderati anche in relazione ad aspetti e notizie documentarie fi nora trascurate o ignorate, che possono aiutare a chiarire ulteriormente alcune problematiche cronologiche relative alla Cattedrale di Sovana, fi no a poco tempo fa caratterizzate da molta incertezza.

La lapide del Vescovo senese Prendiamo in considerazione la lapide che si trova sul portale della Cattedrale so- vanese, spostato sul fi anco settentrionale della chiesa a seguito dell’addossamento del palazzo Episcopale alla facciata. La lapide, posta al centro della lunetta, reca scritto: NATVS IN URBE SENA SET PRESVL FACTVS IN ISTA PETRVS UT HE IANUE SIC FIERENT STVDVIT10 Riguardo a questa epigrafe senza data, riportata nella lunetta del portale, sono state fi nora avanzate più ipotesi. Gli scrittori, che si sono occupati della Cattedrale, si sono divisi su due diverse at- tribuzioni per il vescovo Pietro ivi citato: l’una lo identifi ca con il vescovo senese Pietro Blandebelli (1380-1386) 11, l’altra con il vescovo Pietro, che governò la Diocesi di Sovana dal 1153 al 1175. In generale gli scrittori più antichi sono orientati sull’identifi cazione con il Vescovo Blandebelli, mentre più recentemente si è fatta strada, specie con l’autorevole sostegno di Mario Salmi, l’altra ipotesi relativa al vescovo Pietro del XII secolo, che fu scismatico e che dunque, sulla base della epigrafe, sarebbe stato senese12.

9 A. FILIPPONE, Vicende storiche del Vescovado e del Duomo di Sovana, in Il Duomo di Sovana, cit., p. 29. 10 “Nato nella città di Siena ma fatto vescovo in questa (città) Pietro procurò che queste porte fossero così fatte”. 11 F. UGHELLI, Italia Sacra, III, Venezia, S. Coleti, 1721 (2° ed.), c. 834; G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, Venezia, G. Antonelli, 1862. 12 Hanno attribuito la scritta sulla lunetta a Pietro Blandebelli A. ADEMOLLO, La Cattedrale di So- vana, “Arte e Storia”, 9, IX (1890), pp. 137-140; F. GAMURRINI, Dell’antica Diocesi e chiesa di Sovana, La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 141

In realtà quest’ultimo vescovo fu costretto con la forza dal Conte Ildebrandino VII Aldobrandeschi, detto Novello, ad aderire all’antipapa, sostenuto dall’Imperatore Federi- co Barbarossa, in aperta lotta contro Papa Alessandro III ed i Comuni italiani. Ultimamente l’attribuzione a questo vescovo della scritta sulla lunetta è stata so- stenuta, rifacendosi al Salmi, da Alessandra Filippone e Valerio Ascani, sulla base dei caratteri della scrittura ritenuti peculiari del XII secolo, come aveva già osservato in pre- cedenza Evandro Baldini, ed è accettata anche da Marina Anna Laura Mengali. Ma è da considerare con attenzione una notizia, che compare nel “Codice Diploma- tico” di Luigi Fumi e fi nora ignorata dagli storici, che si riferisce ad una nota di Ranieri Vescovo di Orvieto, in cui appare testualmente: “Huius Rustici episcopi temporibus fuit scisma inter Alexandrum papam III et Fredericum imperatorem et fuit Catholicus Episco- pus, et Petrus, de proiene fi liorum Hominisdei, scismaticus” (“ai tempi di questo Rustico vescovo (di Orvieto 1168-1175 n.d.r.) fu scisma tra papa Alessandro III e l’imperatore Federico ed egli fu vescovo cattolico, e Pietro, della progenie dei fi gli di Omodeo, scisma- tico”); e il Fumi senza incertezze aggiunge subito: “Pietro vescovo scismatico di Soana è ricordato più avanti nell’atto 1194 ottobre”, riferendosi agli atti del processo intentato dal Vescovo di Sovana contro quello di Orvieto per l’avvenuta occupazione di varie terre della Diocesi sovanese nella parte occidentale della Val di Lago13. La notizia consente anche di confermare intorno al 1170, come sostiene Simone Collavini, l’adesione forzata allo scisma da parte di Pietro, vescovo di Sovana dal 1153 al 1175, che cercò inutilmente di sottrarsi alle forti pressioni del Conte Ildebrandino No- vello, rifugiandosi in un primo momento all’isola del Giglio; infatti se l’adesione allo

Pitigliano, Tip. Soldateschi, 1891, p. 6; W. BIEHL, Toskanische Plastik des fruhen und hohen Mittelalters, Leipzig, 1926, p. 100; C.A. NICOLOSI, La Montagna maremmana, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafi - che, 1911, pp. 162-163; invece l’attribuzione allo scismatico vescovo Pietro è sostenuta con autorevolez- za da M. SALMI, La scultura romanica in Toscana, Firenze, Rinascimento del libro, 1928, p. 32n, seguito da R. WAGNER-RIEGER, Die Italienische Baukunst zu Beginn der Gotik, I, Koln-Gratz, Sudund Mitteitalien (Publikationen des Osterreichischen Kulturinstituts in Rom, 2), 1956, p. 81, M. MORETTI, Architettura romanica, cit., p. 103, J. RASPI-SERRA, La Tuscia, cit., p. 58, I. MORETTI-M. STOPANI, Romanico senese, cit., p. 160, oltrechè da G. C. FABRIZIANI, Appendice a G. BRUSCALUPI, Monografi a storica della Contea di Pitigliano, Firenze, Tip. Martini e Servi, 1906, pp. 499, 501-502, G. CELATA, Antologia storica della Diocesi di Sovana-Pitigliano, Pitigliano, AGE, 1968, p. 50, A. FILIPPONE, Vicende storiche, e V. ASCANI, Architettura e scultura architettonica in Il Duomo di Sovana, cit., pp. 31-33, 59, M.A.L. MENGALI, Duo- mo di Sovana, cit., p. 48 e ultimamente G. FEO, che addirittura fa precedere erroneamente la Cattedrale da una ipotetica “antica pieve” dell’VIII secolo, sebbene la Diocesi di Sovana (che aveva dunque la sua Cattedrale) sia attestata da un Vescovo già nel 680, G. FEO-A CARRUCOLI, Il Duomo romanico di Sovana, Roma, Stampa Alternativa, 2007, pp. 18, 23, 25; per l’attribuzione al vescovo scismatico Pietro del XII secolo propende anche E. BALDINI, Sovana. La sua storia ed i suoi monumenti, Firenze, Giuntina, 1956, pp. 92-93, mentre tiene una posizione intermedia I. CORRIDORI, La Diocesi di Pitigliano-Sovana- Orbetello nella storia, I, Pitigliano, Laurum, 2000, pp. 203-204, 263. 13 L. FUMI, Codice diplomatico della città d’Orvieto, Firenze, Tip. Cellini, 1884, p. 27. Per il processo del 1193-1194 tra i due Vescovi vd. M. POLOCK, Der prozess von 1194 zwischen Orvieto und Sovana um das Val di Lago, “Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken”, 70, Tubingen, Niemeyer, 1990, pp. 46-151. 142 Angelo Biondi scisma avvenne ai tempi di Rustico, divenuto vescovo di Orvieto nel 1168, la vicenda ben si accorda con gli anni intorno al 1170, quando era Callisto III l’antipapa sostenuto dal Barbarossa, e il Conte Ildebrandino Aldobrandeschi, alleato a sua volta dell’Imperatore e Podestà di Viterbo, stava sviluppando una notevole azione nell’area a sud della sua Contea, in vista di un’espansione in questa direzione14. Dall’importante notizia suddetta, riferita dal Fumi, veniamo perciò a sapere che il vescovo sovanese Pietro apparteneva alla famiglia Omodei ed era evidentemente orvie- tano. Infatti non solo lo suggerisce la notizia fornita dal vescovo di Orvieto Ranieri, che contrappone il vescovo Rustico cattolico e Pietro scismatico come se fossero due concittadini, ma lo conferma il fatto che nel processo del 1194 si trovano altri probabili appartenenti alla famiglia Omodei, che come orvietani testimoniano a favore del vescovo di Orvieto15. Di conseguenza il suddetto Vescovo di Sovana non può essere quel vescovo Pietro “natus in urbe Sena”, a cui si riferisce la lapide della lunetta del Duomo di Sovana, che perciò va riferita ormai con certezza al senese Pietro Blandebelli, vescovo a Sovana dal 1380 al 138616. Decade quindi defi nitivamente l’incertezza fi nora registrata tra chi si è occupato del Duomo di Sovana riguardo all’attribuzione della lapide del portale: non più a quel Pietro, che fu vescovo della Diocesi sovanese dal 1153 al 1175, bensì a Pietro Blande- belli, presule dal 1380 al 1386; dunque non più al XII secolo, come sostenuto, soprattutto recentemente, da alcuni anche autorevoli storici dell’arte, ma al XIV secolo. In relazione a ciò decade pure l’ipotesi che l’accesso alla Cattedrale avvenisse fi n dall’origine per il portale posto sul fi anco, come si è trovato costretto a dire Valerio Asca-

14 S. COLLAVINI, Gli Aldobrandeschi da conti a principi territoriali (secoli IX-XIII), Pisa, ETS, 1998, p. 259; Collavini indica quale antipapa Anacleto III invece che Callisto III, confondendo proba- bilmente con lo scisma precedente dell’antipapa Anacleto II (1130-1138), opposto a papa Innocenzo II (1130-1143), quando l’esercito imperiale conquistò Grosseto nel 1137; se l’adesione allo scisma del vescovo Pietro avvenne ai tempi di Rustico, presule orvietano dal 1168, si deve anche escludere che ciò possa essere avvenuto al tempo dell’antipapa Vittore IV (1159-1164), come indicato da I. CORRIDORI, La Diocesi, cit., p. 199; d’altra parte nel 1160 il Vescovo di Sovana Pietro insieme a quello di Massa Marit- tima, era al seguito del conte Ildebrandino Novello, che giurò fedeltà a Pisa; vd. ancora S. COLLAVINI, Gli Aldobrandeschi, cit., p. 163 n. 145; se poi si tiene conto delle testimonianze del processo del 1194 per la controversia tra i vescovi di Sovana e Orvieto, il vescovo Pietro risulta non più scismatico, avendo già accettato la penitenza dal vescovo di Castro, al momento in cui andò ad amministrare la cresima alle Grotte e a consacrare la chiesa di Montepozzo, che sarebbe avvenuta intorno al 1174 secondo M. POLOCK, Der Prozess, cit., pp. 101-102, 104, 147. 15 Nella causa tra i due vescovi del 1194 si trovano tra i testimoni per Orvieto: “Homodeus Paga- ni” e il soldato “Parte de fi liis Homodei”, ambedue cittadini orvietani. M. POLOCK, Der Prozess, cit., pp. 129-131. 16 Riguardo ai caratteri della scrittura dell’epigrafe, se tipici del XII secolo, è da ritenere che si tratti di un attardamento, come d’altra parte è accaduto nell’area senese per forme decorative e tecniche conservate per più generazioni, che impediscono di datare con sicurezza opere per lunghi periodi. I. MORETTI-R. STOPANI, Romanico senese, cit., passim. La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 143 ni per accordare in qualche modo l’errata attribuzione della lapide sul portale al vescovo Pietro scismatico, che esercitò le sue funzioni in anni in cui la costruzione della Cattedrale doveva essere agli inizi17. Fu dunque il vescovo Blandebelli verso la fi ne del XIV secolo a spostare il portale della Cattedrale su un fi anco e probabilmente a congiungere il Palazzo Vescovile, già esistente18, alla precedente facciata del Duomo, che ne risultò distrutta (secondo una certa tradizione vi era un protiro); ciò evidentemente fu fatto per i problemi di consolidamento statico dell’edifi cio sacro, già emersi in precedenza a causa della considerevole spinta, che esercitavano le volte a crociera con il loro notevole peso.

La scritta del 1248 L’altra lapide, esistente all’esterno della Cattedrale di Sovana, si trova sul contraf- forte costruito sulla testata del transetto settentrionale del Duomo sovanese; da questa parte compaiono altri grossi contrafforti a scarpa atti a rafforzare i fi anchi della Cattedra- le, che le danno un aspetto quasi di fortilizio piuttosto che di chiesa. La scritta, che compare sulla lastra di travertino, decorata lateralmente e poi ri- utilizzata, si compone di tre parti; la prima riporta: “P(res)b(ite)r Brunus canonic(us) suan(ensis) fec(it) f(ieri) hoc opus”; la seconda parte è sotto in caratteri più piccoli: “Ci- tadinus vivens v(otum) s(olvit) op(er)ai” ed infi ne, su una parte rettangolare leggermente aggettante rispetto al resto della lapide: “Anno Domini MCCXLVIII f(ecit) o(pus) f(ieri)”. Anche questa scritta è stata controversa e talora la sua lettura è risultata in parte errata19. Dunque il rinforzo fu fatto costruire nel 1248 dal canonico Bruno, probabilmente con l’aiuto di un tal Cittadino che volle sciogliere un voto; in proposito il Salmi avanza l’ipotesi che possa trattarsi di quel Cittadino, che nel 1226 lavorò come lapicida alla co- struzione del Duomo di Siena, ma potrebbe trattarsi di un altro personaggio20. Quanto al prete Bruno “canonicus suanensis”, lo ritroviamo come testimone alla

17 V. A SCANI, Architettura e scultura, cit., p. 61n. 18 L’attestazione di un documento del 1225, redatto “in platea Episcopii” fa credere che l’Episco- pio esistesse già a quell’epoca e in esso si doveva trovare la “camera del Vescovo”, dove fu redatto nel 1213 un atto di concessione al console di Sovana da parte del Conte Ildebrandino IX Aldobrandeschi. G. CIACCI, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, II, Roma, s.e., 1934, rist. anast. Roma, Multigrafi ca Editrice, 1980, pp. 96, 119. 19 Già il Fabriziani dava la seguente, in parte impropria, lettura della scritta: Presbiter Brunus Canonicus suanensis fecit f. hoc opus anno Domini MCCXLVIII, aggiungendo, per la parte a caratteri più piccoli, una fantasiosa interpretazione:”cicadibus vivens usu operarii” (“vivendo di cicale all’uso di un operaio”); vd. G.C. FABRIZIANI, Appendice, cit., p. 516; anche M.A.L. MENGALI, Duomo di Sovana, cit., p. 50, fornisce una versione piuttosto incerta; una lettura più corretta, anche se non del tutto precisa, ne da E. BALDINI, Sovana, cit., p. 93 e soprattutto M. SALMI, L’Architettura romanica, cit., p. 52n. 20 Ibidem. In L. FUMI, Codice diplomatico, cit., p. 220 si trova però che nel 1258 il Vescovo di Sovana Gualcherino rilasciò quietanza di vari oggetti a Cittadino priore della chiesa di San Giovanni “de platea”. 144 Angelo Biondi concessione fatta dal Vescovo di Sovana, della chiesa di San Martino di Proceno ai fran- cescani, avvenuta il 15 luglio 125821. Non vi è dubbio che la scritta sulla testata del transetto si riferisce al rinforzo ester- no, sebbene alcuni l’abbiano considerata genericamente come attestazione di interventi di restauro o di completamento dell’edifi cio22. La Mengali, sulla base dell’analisi delle muraglie, ipotizza una ricostruzione ed un rafforzamento delle pareti settentrionali del transetto, crollate probabilmente per i noti problemi strutturali creati dalle volte a crociera e dalla cupola; infatti “…tenendo conto che la tecnica a fi lari isometrici risulta diffusa in tutti i centri della Tuscia dall’inizio del XIII secolo, si può concludere che l’intervento di consolidamento con speroni all’esterno dell’edifi cio, in particolare del lato nord, sia databile ai decenni a cavallo della metà del XIII secolo e che la chiesa, nel suo insieme, a quell’epoca fosse già compiuta. Costituisce un’eccezione solo il braccio nord del transetto, forse riedifi cato in seguito ad un crollo in un periodo molto prossimo a quello del consolidamento”23. Questa lapide del XIII secolo costituisce, insieme alla scritta della lunetta del portale e alla bolla di papa Niccolò II del 1061, “unico punto di riferimento”, come dice la già citata Alessandra Filippone, per una cronologia certa della Cattedrale di Sovana24. Infatti se nel 1248 si costruiva un contrafforte esterno di rinforzo, è evidente che la Cattedrale di Sovana a quell’epoca era già stata terminata.

La Bolla di papa Niccolò II del 1061 L’unico documento, che fornisce qualche notizia indiretta, è la Bolla emanata da Niccolò II nel 1061, indirizzata a Vitale Proposto della Cattedrale sovanese di San Pietro. Con questa Bolla il pontefi ce prese sotto la protezione apostolica i beni della ca- nonica di Sovana, la quale, come si dichiara nella bolla stessa, fu edifi cata dal Vescovo Ranieri e “fi rmatam” (confermata, non restaurata) dal successivo Vescovo Giovanni25. Il Vescovo Ranieri è attestato nel 967, mentre il vescovo Giovanni resse a lungo la Diocesi sovanese, almeno dal 1015 al 105926. Riguardo alla canonica di San Pietro, un elemento fi nora mai preso in considerazio- ne è la presenza di una snella colonna rotonda in travertino inserita nei resti della muraglia che si stacca all’esterno del lato meridionale del transetto della Cattedrale; la colonna

21 Gli altri testi sono prete Tebaldo pievano di Proceno e prete Domenico pievano di Selvena. AR- CHIVIO DELLA DIOCESI DI PITIGLIANO-SOVANA-ORBETELLO, Miscellanea di antiche iscrizioni, editti e lettere del 1778. 22 A FILIPPONE, Vicende storiche, cit., p. 33 e V. ASCANI, Architettura e scultura, cit., p. 61; inoltre I. MORETTI- R. STOPANI, Italia romanica. La Toscana, Milano, Jaka Book, 1982, p. 164. 23 M.A.L. MENGALI, Duomo di Sovana, cit., p. 50. 24 A FILIPPONE, Vicende storiche , cit., p. 29. 25 Il testo della bolla si può leggere in L.A. MURATORI, Antiquitates Italicae Medii Evi, V, Milano, Tip. della Società Palatina, 1742, p. 253 e in G.B. VICARELLI, La Bolla di Nicola II ai canonici di Sovana, “Rivista Diocesana della Diocesi di Grosseto”, 11-12, IX (1974), pp. 485-488. 26 I. CORRIDORI, La Diocesi, cit., pp. 167, 172-176. La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 145 sorregge un arco di tufo giallo (la muraglia intorno è di tufo rosso) e doveva essercene un’altra dalla parte opposta a delimitare una porta, sostituita alla meno peggio, come ora si vede, da un pilastro di tufo aggettante. Le caratteristiche della colonna, poggiata su un piede rotondo rialzato e sormontata da un capitello grezzo senza sculture, ha le stesse caratteristiche arcaiche delle colonne della cripta e pare risalire alla stessa epoca. Poiché è molto probabile che le muraglie e la colonna superstite delimitante una porta facessero parte dell’antica canonica sovanese, fondata dal vescovo Ranieri, si può ragionevolmente far risalire anche la cripta “a oratorio” con volte a crociera della Catte- drale alla seconda metà del secolo X, o almeno le sei colonne ivi inserite, se esse furono solo riutilizzate dalla precedente costruzione, come è stato ritenuto27. D’altra parte Joselita Raspi-Serra ritiene che “la tipologia delle volte a crociera senza sott’archi, sorrette da tozze colonne con semplici capitelli trapezoidali è propria di edifi ci anteriori all’XI secolo”28 e ciò si accorda con la constatazione che la cripta del Duomo sovanese fu realizzata con grossi blocchi di tufo non isometrici e poi rivestita con conci di minore altezza per aumentare la capacità di sostenere il carico della costruzione superiore29.

Vicende del Vescovado di Sovana nel XII secolo Qualche altra considerazione si può fare in relazione alle vicende del Vescovado sovanese e all’occupazione, perpetrata dai vescovi di Orvieto, del territorio orientale del- la Diocesi sovanese, corrispondente alle terre di Acquapendente, San Lorenzo, Grotte e Gradoli, e comprendente anche una parte del lago di Bolsena, oltre alla chiesa di Sant’Ip- polito, che secondo un’antica tradizione era stata la culla dell’Episcopato di Sovana. L’occupazione cominciò al tempo del vescovo di Orvieto Guglielmo (1103-1136) e proseguì con i successori; così cominciarono i contrasti tra i Vescovi di Sovana e quelli di Orvieto con alterne vicende, dal processo sospeso di Pitigliano intorno al 1140, al vano compromesso di Proceno intorno al 1170, all’inutile ricorso al Papa del vescovo di Sova- na Paolino nel 1179 fi no al processo di Acquapendente del 1194, quando la situazione di fatto vide prevalere Orvieto solo per la prescrizione ormai intervenuta dopo tanti anni30. L’occupazione orvietana rese incerte o privò del tutto la Diocesi di Sovana delle decime del territorio orientale presso il lago, probabilmente a quel tempo la parte più po- polata e redditizia, sebbene pare che il vescovo Ildizone (1126-1151) sia riuscito ancora a raccogliere le decime ad Acquapendente, Grotte, Gradoli e San Lorenzo; poi però pare

27 V. A SCANI, Architettura e scultura, cit., pp. 45-46, sulla base di alcuni elementi costruttivi, ritiene che anche la cripta sia stata edifi cata insieme al presbiterio della Cattedrale e vi sia stato riutiliz- zato materiale più antico, come le colonne, che sarebbero appartenute ad una fantomatica cripta d’epoca gregoriana. 28 J. RASPI-SERRA, La Tuscia, cit., p. 152, la quale però ritiene che per la rozzezza delle colonne si possa assegnare anche una datazione più tarda alla cripta sovanese. 29 M.A.L. MENGALI, Duomo di Sovana, cit., p. 51. 30 M. POLOCK, Der Prozess, cit., pp. 46-139. 146 Angelo Biondi che i vescovi sovanesi abbiano riscosso per metà solo i tributi delle Grotte, conservando comunque la vicina chiesa di Santa Romana, e il vescovo Pietro (1153-1175) sia riuscito in alcuni periodi a ricevere le decime di varie chiese della zona controversa e il tributo dei pesci del lago dal priore di Sant’Ippolito. Tale situazione, unita a momenti particolarmente diffi cili per i Vescovi di Sovana, come le forti pressioni del Conte Ildebrandino Novello, che costrinse lo stesso vescovo Pietro a rifugiarsi all’isola del Giglio, porterebbe a ipotizzare che i lavori della Cattedrale sovanese siano cominciati intorno alla metà del XII secolo, seguiti da periodi più o meno lunghi di interruzione31, che spiegherebbero anche l’intervento di maestranze diverse, l’una “francesizzante” mediata attraverso l’abbazia di S.Antimo, l’altra lombarda prove- niente dall’Alto Lazio32. Tuttavia i dati di cui possiamo disporre non sono univoci: mentre infatti diminuiva- no le decime per il Vescovado, avevano avuto un notevole incremento i beni e le entrate dei Canonici della Cattedrale di Sovana, come dimostra la bolla di Papa Clemente III a loro diretta nel 118833. Pertanto appare plausibile quanto sostenuto da Valerio Ascani, il quale sulla base del raffronto di elementi stilistici dell’articolata decorazione scultorea e delle murature, avanza l’ipotesi di due fasi ravvicinate nella costruzione della Cattedrale sovanese, che si sarebbero succedute in breve lasso di tempo; egli ritiene che si possa indicare solo “una generica precedenza di alcune parti su altre all’interno di un’unica, prolungata fase di edifi cazione durata buona parte della seconda metà del Millecento”34. In defi nitiva Ascani, pur assegnando erroneamente al vescovo Pietro scismatico la lapide del portale, attribuisce “con ogni probabilità tutte le fasi del Duomo di Sovana, da situare interamente all’interno del periodo romanico in rapida successione entro poco più di un cinquantennio”, alla seconda metà del 1100, specie durante il lungo governo del suddetto vescovo Pietro, cui vengono anche attribuiti contatti internazionali, protra- endosi poi fi no alla fi ne del secolo con la costruzione delle volte della navata centrale e qualche ulteriore intervento sulle coperture nella prima metà del ‘20035. A conclusioni abbastanza simili, ma su basi più articolate e certe, giunge pure l’a- nalisi delle murature condotta da Maria Anna Laura Mengali, che assegna però agli inizi del secolo XIII la realizzazione delle coperture e alla prima metà la realizzazione dei

31 A. FILIPPONE, Vicende storiche, cit., p. 31n, avanza la stessa ipotesi, ma la fa derivare da generici avvenimenti e fattori politici negativi riguardanti la Contea Aldobrandesca, che non dovrebbero aver avuto infl uenza diretta sul Vescovado e la costruzione della Cattedrale di Sovana. 32 Già il Salmi parlò per primo dell’intervento di due diverse maestranze nella Cattedrale di Sova- na. M. SALMI, L’Architettura romanica, cit., pp. 115-116; una analisi più dettagliata in tal senso è condotta da V. ASCANI, Architettura e scultura, cit., pp. 39-67. 33 Per verifi care l’incremento basta confrontare con i beni elencati nella precedente Bolla di papa Niccolò II del 1061. G.B. VICARELLI, La bolla di Clemente III ai Canonici di Sovana (5 aprile 1188), “Rivista Diocesana della Diocesi di Grosseto”, n. 3, VIII (1973), pp. 220-236; il Vicarelli giustamente osserva come quasi un secolo dopo, nelle decime del 1276-1277, la tassa relativa alla Canonica di Sovana sia di 29 lire per due rate, risultando la più elevata della Diocesi, dopo quella della Mensa Vescovile. 34 V. A SCANI, Architettura e scultura, cit., pp. 43, 47-48. 35 Ivi, pp. 59-63, il quale collega il completamento delle coperture alla lapide del 1248, da riferire invece all’esecuzione del contrafforte. La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 147 rafforzamenti dovuti ai dissesti provocati proprio dalla modifi ca delle coperture rispetto al progetto originario, comunque in tempi molto ravvicinati. Di conseguenza la costruzione della Cattedrale di Sovana sarebbe andata più o meno di pari passo con l’edifi cazione delle chiese di S.Maria Maggiore di Tuscania, con- sacrata nel 1206 e di S.Maria in Castello di Tarquinia, consacrata nel 1208; ad ambedue le consacrazioni partecipò il Vescovo di Sovana Viviano.

La primitiva Cattedrale sovanese Infi ne è stato dibattuto il problema di quale fosse la primitiva Cattedrale sovanese, avendo alcuni avanzato l’ipotesi che tale funzione fosse stata assolta in antico dalla chiesa di San Mamiliano, posta sulla piazza di Sovana36. Tale ipotesi è stata largamente smentita da uno studio di Vittorio Burattini, che ha chiaramente individuato l’erezione della chiesa di San Mamiliano in relazione alla trasla- zione delle reliquie del Santo dall’isola del Giglio, avvenuta nell’848 per il pericolo dei pirati saraceni; di conseguenza la chiesa di San Mamiliano ebbe fi n dalle origini funzione cimiteriale delle reliquie del Santo titolare37. Questa primitiva chiesuola, probabilmente in origine coincidente con l’attuale crip- ta, non pare aver avuto ampliamenti prima del XII secolo38. Si deve ritenere perciò che la Cattedrale altomedioevale si trovasse nello stesso luogo dell’attuale, posto ai margini della città, ma subito dopo la porta principale, che era quella di S.Croce e non l’attuale della Rocca, in quanto la viabilità più importante verso la città proveniva dalla valle del fi ume Fiora, a differenza della situazione odierna. Poco rimane della più antica Cattedrale, a cui probabilmente si riferiscono, oltre alle lastre (almeno in parte) riutilizzate nella lunetta del portale39 e forse allo splendido ciborio ora nella chiesa di Santa Maria, anche due frammenti preromanici murati nell’an- drone del Palazzo Vescovile, un piccolo frammento posto alla sinistra della lunetta del portale della Cattedrale ed altri due erratici, che sono stati inseriti nei muri esterni delle

36 Tale interpretazione pare fondarsi su una errato modo di intendere alcune considerazioni dell’ar- cheologo Ranuccio Bianchi-Bandinelli sulla chiesa di S.Mamiliano; R. BIANCHI-BANDINELLI, Sovana. To- pografi a ed arte, Firenze, Rinascimento del Libro, 1929, p. 19. L’ipotesi di S.Mamiliano come antica Cattedrale di Sovana è stata ripresa ultimamente anche da V. ASCANI, Architettura e scultura, cit., p. 41 37 V. B URATTINI, La Santa Chiesa Sovanese, Pitigliano, ATLA, 1997, pp. 67-68. 38 Ciò si evidenzia anche in relazione ai recenti scavi archeologici che hanno interessato il rudere della chiesa di San Mamiliano ed hanno portato all’eccezionale scoperta di un tesoretto di 498 monete d’oro del V secolo d. Cr. Il tesoro ritrovato, a c. di L. ARCANGELI, G. BARBIERI, M. A. TURCHETTI, Pitigliano, Laurum, 2012, in cui vd. P. PISINO, La chiesa di San Mamiliano. La struttura architettonica e i lavori di restauro, p. 15. D’altra parte la cripta è costruita con una muratura esterna in pietre di fi ume, unica a Sovana, dove tutti gli edifi ci sono costruiti in tufo, e si differenzia dal resto della chiesa stessa, anch’essa ampliata successivamente in tufo. 39 Resta il problema se i frammenti inseriti nella lunetta siano contemporanei al resto della deco- razione con gusto arcaizzante o si tratti, almeno in parte, di sculture altomedievali; F. SALVIATI, la scultura ornamentale in Il Duomo di Sovana, cit., p. 77n. 148 Angelo Biondi abitazioni lungo via del Duomo, ai numeri civici 32 e 51; ad essi se ne deve aggiungere un altro, attualmente irreperibile, che fu trovato sotto il pavimento del Duomo nel corso dei restauri del 1974. Questi frammenti non sono stati fi nora presi in considerazione da chi si è occupato del Duomo di Sovana e sarebbe opportuno un loro più preciso inquadramento. I frammenti conservati nell’androne dell’episcopio presentano l’uno, più piccolo, un tralcio di vite intrecciato attorno a grappoli d’uva, l’altro, un po’più grande, lo stesso tema con duplice intreccio; il frammento erratico sul basso muro dell’orto accanto alla casa di via del Duomo n. 51, un tempo usato come gradino della scala, presenta dei me- daglioni dal margine trisolcato uniti tra loro con al centro rispettivamente girale, grappolo d’uva, fi ore; quello murato in alto presso la lunetta del portale della Cattedrale e quello dell’abitazione della stessa via del Duomo n. 32 sono piccoli e vi si riconosce uno stesso motivo a doppio nastro, che si intreccia formando un piccolo cerchio con un bottone al centro.

Conclusioni In conclusione quanto esposto sopra riguardo ai tre elementi documentari: le due lapidi e la Bolla di papa Niccolò II, messo in relazione con le conclusioni dell’analisi delle murature, aiuta a chiarire ulteriormente (e nello stesso tempo pone qualche altro problema) alcuni aspetti cronologici della costruzione della Cattedrale di Sovana, che si possono così riassumere: – i pochi frammenti erratici e quelli riutilizzati almeno in parte nella lunetta del portale, oltre al ciborio in S.Maria, sono quanto rimane della Cattedrale prece- dente, che probabilmente si trovava nello stesso luogo dell’attuale, forse luogo sacro fi n dall’antichità40, essendo priva di fondamento l’ipotesi che la chiesa di San Mamiliano possa essere stata la Cattedrale più antica – le colonne della cripta, se non la costruzione della cripta stessa, sono proba- bilmente da assegnare alla seconda metà del X secolo, in concomitanza con la costruzione della canonica al tempo del vescovo Ranieri – la costruzione della Cattedrale sovanese, escludendo ogni ipotetica relazione con il periodo di papa Gregorio VII (1073-1085), appartenente ad una tradizione di indubbia suggestione, ma di cui non esiste alcun documento né alcun riferimento attendibile41, si può essere sviluppata, forse con interruzioni più o meno lunghe o

40 Alla fi ne dell’Ottocento furono rinvenuti da Riccardo Mancinelli i resti di un tempio etrusco, pare nei pressi della Cattedrale di Sovana. R. BIANCHI-BANDINELLI, Sovana, cit., pp. 25-26 ; E. BALDINI, Sovana, cit., pp. 21-22,; S. RAFANELLI, Un tempio etrusco a Sovana? in Percorsi cultuali e riti magici. Guida alla mostra, a c. di E. PELLEGRINI-L. ARCANGELI, Pitigliano, Laurum, 2007, pp. 35-38. 41 L’ipotesi che la costruzione della Cattedrale sovanese sia iniziata ai tempi del papa sovanese Gregorio VII si trova in M. SALMI, L’Architettura romanica, cit., p. 24, che assegna all’epoca gregoriana la sola cripta, ed è ripresa poi da I. MORETTI, Prefazione e A. FILIPPONE, Vicende storiche in Il Duomo di Sovana, cit., pp. 9, 31, ma non esiste alcun riscontro e non sembra avere fondamento. La scritta sul portale di un vescovo senese e note di cronologia del Duomo di Sovana 149

forse in due fasi ravvicinate, dagli anni intorno alla metà del secolo XII fi no agli inizi del XIII, in un periodo in cui venivano costruite anche le chiese di Santa Maria di Castello a Tarquinia e di Santa Maria Maggiore insieme al rifacimento di San Pietro a Tuscania; oltretutto una delle due diverse maestranze che ope- rarono alla Cattedrale di Sovana pare provenire dal Lazio settentrionale, come sarebbe dimostrato dalle analogie formali tra il Duomo di Sovana e chiese di Tarquinia, a cominciare da S.Maria di Castello42 – il ripensamento dei costruttori di inserire le volte al posto della copertura origina- riamente prevista, potrebbe essere avvenuto tra la fi ne del XII e i primi del XIII secolo, provocando cedimenti, a cui si cercò di provvedere preliminarmente con la costruzione di una “incamiciatura” delle pareti laterali all’interno e succes- sivamente con forti speroni all’esterno; d’altra parte anche la costruzione della cupola provocò dissesto, costringendo a ricorrere quasi subito alla costruzioni di sottarchi interni di rinforzo. I dissesti provocarono probabilmente un crollo della parete della testata settentrionale del transetto, ricostruita e rafforzata da un contrafforte, che giunge fi no alle falde del tetto, nel 1248 – la ricostruzione del portale avvenne con certezza al tempo del vescovo sene- se Pietro Blandebelli (1380-1386), che lo spostò su un fi anco, provvedendo nel contempo ad addossare l’episcopio alla facciata del Duomo per rinforzo, proba- bilmente in presenza di ulteriori dissesti. L’attribuzione certa dello spostamento del portale su un fi anco della Cattedrale al vescovo Pietro Blandebelli, evidentemente per problemi statici, quasi alla fi ne del XIV secolo, impone un ripensamento riguardo ai dissesti, che forse si manifestarono in tempi più lunghi di quanto fi nora ipotizzato, almeno per la parte frontale dell’edifi cio. Riguardo al vescovo Pietro Blandebelli non ci sono altre notizie né possiamo sa- pere se favorì in qualche modo la Repubblica Senese, che era in quegli anni in espansione nella parte meridionale della Maremma, nel cuore del territorio della Contea Aldobran- desca, allora contesa da vari pretendenti43, e pertinente alla Diocesi di Sovana; fu proprio negli anni del governo del Vescovo Blandebelli che Siena ottenne la cessione del castello di Montemerano e quello di Marsiliana da parte dei Baschi e la conferma della sottomis- sione dei Signori di Montorio nel 138244.

ANGELO BIONDI

42 J. RASPI SERRA, La Tuscia, cit., p. 154n e passim. 43 Gli Orsini, grazie al matrimonio di Romano con Anastasia fi glia di Guido di Montfort e di Margherita Aldobrandeschi, si consideravano gli eredi legittimi della Contea di Sovana, ma furono fi e- ramente contrastati da altre casate, che avevano avanzato pretese, come i Caietani, i Prefetti di Vico, gli Aldobrandeschi di Santa Fiora e soprattutto i Baschi. A. BIONDI, Il lungo feudalesimo di un territorio di confi ne in Sorano. Storia di una Comunità, Firenze, CET, 2002, pp. 113-119. 44 I. CORRIDORI, Montemerano, Osio Sotto, Grafi ca Milanese, 1981, pp. 78-79; Il castello di Mon- torio, a c. di A. BIONDI, Pitigliano, Laurum, 2010, p. 44. ORNAMENTA DOMUS. MEMORIE DI CASA PETRUCCI

Qualche tempo fa abbiamo richiamato l’attenzione su una serie di sculture celebrative di sei personaggi di una nobile famiglia senese, i Petrucci, oggi collezionate da un antiquario fi orentino. Sono sei tondi in marmo, più una plaquette sempre in marmo con la scritta Ornamenta domus e gli stemmi di Lucca, Orvieto e Siena, dove i Petrucci hanno fatto parte del patriziato. Secondo l’autorevole attribuzione di Sandro Bellesi esperto del barocco fi orentino, sono da ascrivere alla produzione di Antonio Montauti, un protegé di papa Corsini (P. PERTICI, Il capitano e uomo politico senese Antonio Petrucci (1400-1471) e un suo ritratto fi n qui sconosciuto, «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria», vol. LXXVI, n. s. LXII, 2011, pp. 203-215; EAD., Rinascimento ritrovato. I ritratti di casa Petrucci, «Fontes, periodico di Filologia classica e Storia dell’arte», XIV, 27-28/2011, pp. 121-132). I ritratti scolpiti da Antonio Montauti, se è davvero lui l’autore, rappresentano alcune generazioni nel periodo più glorioso della famiglia, fra ‘300 e ‘500, a cominciare da Niccoluccio. Da annoverare tra i nomi importanti della fi nanza europea come esattore delle entrate della Chiesa, Niccoluccio negli anni ’40 del XIV secolo ha posto le premesse per le fortune familiari, portando il suo banco a competere con quello dei fi orentini Acciaiuoli. Lo indica capostipite il motivo araldico sul mantello, il “trinciato” dello stemma Petrucci. La sua fi sionomia è senz’altro idealizzata, mentre potrebbe essere realistica quella di Antonio, fi glio di Checco Rosso. Questi, che non compare nella serie, era un politico autorevole: nato nel secondo ‘300 e morto nel 1427, è stato tra i notabili che patteggiano nel 1399 la sottomissione di Siena a Gian Galeazzo Visconti, incoraggiando l’asse Milano/Siena con conseguenze di lungo periodo in tutti i settori, dall’economia alla cultura. Antonio di Checco Rosso (1400-1471), rappresentato da Montauti in veste di condottiero e accompagnato dalla data 1432, l’anno della battaglia si San Romano cui ha partecipato, è stato l’eroe della guerra che tra 1429 e 1433 impedisce a Firenze di conquistare Lucca e bloccare la strada Francigena così vitale per i commerci senesi. In sintesi, si deve ad Antonio di Checco Rosso se il processo di unifi cazione della Toscana sotto Firenze arriva a compimento solo un secolo e passa dopo le sue imprese militari, che portano la famiglia al vertice della vita pubblica come comprimaria della grande storia italiana del primo ‘400. In ordine di tempo, seguono Giacoppo, mercante ad alto livello (è stato in società con Lorenzo il Magnifi co), e il fratello di questi, Pandolfo (1452-1512), l’unico princeps riconosciuto come tale nella storia municipale, anche se le tendenze storiografi che attuali tendono a retrodatare l’esperienza signorile in molte città della Toscana, per cui a Siena si dovrebbe tener conto degli episodi di Provenzan Salvani e poi dei Salimbeni. Tuttavia a Siena il “signore” per antonomasia è il Magnifi co Pandolfo, personaggio a tutt’oggi non abbastanza indagato, ma di notevole interesse, non

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Ornamenta domus. Memorie di casa Petrucci 151 fosse altro come patrono di una corte effi ciente, colta e aggiornata, tanto da meritare il noto elogium di Machiavelli e lasciare prove di un mecenatismo di raffi natezza non comune. Bastano a darne un’idea i bracciali di Jacopo Cozzarelli che un tempo ornavano la facciata del palazzo gentilizio: tra i bronzi più ammirati del Rinascimento italiano, rappresentano un groviglio di serpenti stretti da artiglio aquilino (l’aquila era recente concessione araldica dell’imperatore). Il tutto sovrastato da volute imitanti l’acanto dei capitelli corinzi e le anse dei vasi attici. Un capolavoro, dove si realizza un prezioso e molto senese corto circuito tra cultura umanistica, patrimonio precipuo di casa Petrucci, e motivi di propaganda politica, nonché cultura scientifi ca e rivendicazione orgogliosa del ruolo imprenditoriale che vedeva Pandolfo impegnato nel settore siderurgico in quanto proprietario delle miniere e delle ferriere di Boccheggiano e Gavorrano, senza contare l’impulso agli studi di Vannoccio Biringucci, l’autore della Pirotecnia, testo all’origine della moderna metallurgia. Infi ne, il piccolo ciclo comprende i ritratti dei due cardinali Petrucci, Alfonso di Pandolfo e Raffaello di Giacoppo. Il primo, assurto molto giovane alla porpora, aveva avuto come precettore un amico dell’Ariosto, il poeta Severo Varino, formatosi nell’ambiente di Pomponio Leto, dunque espressione di un mondo infatuato dell’antico e incline alla congiura, una prassi politica che negli esempi della classicità trovava legittimazione. E appunto in una congiura ordita contro papa Leone X Medici si compromette e perde la vita a soli ventisette anni il cardinale Alfonso, che Raffaello ritrae accanto al suo principale riferimento, papa Giulio II della Rovere, in un luogo deputato del Rinascimento, la Messa di Bolsena nella Stanza di Eliodoro in Vaticano. Alfonso, insieme ad altri tre prelati vicini al papa in preghiera, è raffi gurato da Raffaello con gli stessi tratti che vediamo nel medaglione ed è particolare sfuggito fi nora, ma importante, sia per il nome del sommo pittore, sia perché attesta che i medaglioni settecenteschi hanno attinto a fonti fi gurative antiche andate disperse, ma nel ‘700 ancora esistenti presso la famiglia. Infatti, un discendente, Franco Bargagli Petrucci, nel 2013 ha depositato presso l’Archivio di Stato di Siena il materiale documentario posseduto dal casato, tra cui un albero genealogico ricostruito ante 1728 con qualche imprecisione da Carlo di Niccolò Petrucci, che lo ha corredato di un disegno, lo stesso riprodotto con assoluta fedeltà nella plaquette di cui dicevamo all’inizio, compresa la scritta Ornamenta domus (ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio Bargagli Petrucci 233). Il documento, pervenuto purtroppo in stato di precarietà e bisognoso di restauro, attesta dunque l’autenticità dei tondi che, seppure segnalati nell’Ottocento da Scipione Bichi Borghesi in casa dei nobili senesi Marsili Libelli, era databili solo per via attributiva. Non sarà superfl uo avvertire che i Petrucci si estinguono nel 1799 con il canonico Giuseppe, per volontà del quale nome e patrimonio passano a un’altra famiglia nobile di Siena, i Bargagli. Per le immagini di cui si parla, si possono vedere quelle on line relative al convegno tenutosi nel 2012 presso l’Archivio di Stato di Siena: L’età dei Petrucci. Cultura e tecnologia a Siena nel Rinascimento. Giornate di studio in onore di Giuseppe Chironi. Di fattura senz’altro pregevole, la collezione è degna di nota soprattutto perché contribuisce a recuperare la continuità dinastica di un casato che s’identifi ca con molta parte della vicenda cittadina quattro e cinquecentesca. Vicenda fi n qui poco nota, spesso fraintesa e penalizzata dalle dispersioni e dai vandalismi di primo ‘900, oltre che dalla 152 Petra Pertici pregiudiziale quanto incomprensibile svalutazione della storia senese dopo il Due e Trecento. In realtà i Petrucci hanno commissionato opere di gusto sempre molto elevato e innovativo. Il loro non è il Rinascimento aulico e algido dei Piccolomini, poiché adotta una cifra che non può certo dirsi dimessa, tuttavia in scala più contenuta, al tempo stesso più sperimentale. In ogni caso, gli interventi di Pandolfo hanno contribuito a defi nire la facies urbana, hanno lasciato traccia nelle arti applicate e rappresentano scelte estetiche all’insegna dell’opposizione al modello fi orentino, proponendo un’alternativa che non è solo di Siena, bensì di una vasta zona dell’Italia centrale che arriva a comprendere Urbino, per cui non è un caso che i mausolei dei Petrucci e dei Montefeltro appartengano a una stessa scuola, quella di Francesco di Giorgio. Non si tratta di osservazione marginale, perché riguarda motivazioni profonde della storia dell’arte italiana, che non è cosa altra rispetto alla storia politica. Senza immagini, è diffi cile che la memoria del passato diventi patrimonio collettivo. Pertanto pare opportuno aggiungere queste precisazioni intorno a una collezione che sarebbe bello tornasse a Siena.

PETRA PERTICI «HAN PRESO DI NUOVO CASA A SAN GIUSTO». NOTE SU UNA ANTICA SEDE DEGLI INTRONATI1

Leggiamo, dal secondo atto dell’Alessandro, commedia di Alessandro Piccolomini recitata nel carnevale del 1544, le seguenti battute di Cornelio e del Querciola:

CORNELIO: […] ho ritenuto Alesandro, che volea cavalcare oggi a la volta di Siena per veder non so che comedia bella che fan questo carnoval gli Intronati. QUERCIOLA: È vero; a questi dì ch’io fui là per conto di vostro padre la mettevan in ordin gagliardamente; e son gli Intronati più fl oridi che fusser mai; han preso di nuovo casa a San Giusto. C.: Dove? In quella strada sì favorita? Q.: Favoritissima! O che divin vicinato, Messer Domenedio! C.: Torniamo al proposito nostro […]2.

Il dettaglio della sede dell’accademia («han preso di nuovo casa a San Giusto») attira la nostra attenzione. La piazza della chiesetta di San Giusto, con la sua antistante fontana, costituiva già lo sfondo previsto per la recitazione dei Prigioni. Questa tradu- zione, e in parte riscrittura, dei Captivi di Plauto era stata preparata dagli Intronati pro- babilmente per la visita di Carlo V a Siena, inizialmente progettata per il carnevale del 1530 e poi avvenuta nel 15363. La diffi coltà incontrata da chi ha cercato di localizzare San Giusto4 deriva dal fatto che questa chiesa non esiste più. Ma nella pianta di Siena che Francesco Vanni realizzò nel 1595, essa è riprodotta minuziosamente (fi g. 1, la chiesa corrisponde al numero 45). Si trovava nel quartiere di Salicotto, e una lapide posta sotto

1 Sono grato a Giuliano Catoni, a Mario De Gregorio e a Alessandro Leoncini. Uno speciale ringraziamento alla contrada della Torre, nelle persone di Laura Brocchi, Davide Orsini e Luca Bruni. Alla cortesia di quest’ultimo, onorando Priore della contrada, devo il permesso di riprodurre le foto del plastico di Salicotto. 2 Alessandro, atto II scena 6. Citiamo dall’edizione del 1864 (Milano, Daelli). 3 I Prigioni di Plauto, tradotti dagli’Intronati di Siena, a cura di N. NEWBIGIN, Siena, Accademia degli Intronati, 2006. Per la menzione di San Giusto, vd. Atto I, scena 1, p. 8. 4 In particolare N. NEWBIGIN, cui dobbiamo peraltro degli studi fondamentali sull’attività degli In- tronati, in nota al passo in questione de I Prigioni, ipotizza che con San Giusto si indichi la Fonte Giusta, vicino a Porta Camollia. Altrove, nella prefazione all’edizione anastatica dell’ Alessandro di Alessandro Piccolomini – non mai pubblicata e disponibile on line -, la studiosa dichiara : « Dove fosse questa nuova sede non mi è stato possibile stabilire. Da una pianta secentesca della città come sarebbe stata nel 1508,

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 154 Germano Pallini a quella che indica il nome odierno di quella strada, via dell’Oro, ricorda l’antico topo- nimo (fi g. 2). Questa zona di Siena fu teatro di pesanti demolizioni durante il Ventennio fascista, nell’ambito del cosiddetto risanamento del quartiere5. La chiesa, in verità, fu demolita a operazioni concluse, nel 1936, uffi cialmente per facilitare la circolazione au- tomobilistica. Il proprietario del terreno decise allora di edifi care, a fi anco di una moderna palazzina, un loggiato (fi g. 3 e fi g. 4), decorandone le pareti con oggetti varii scampati allo sciagurato abbattimento. Ebbene, tra questi oggetti, appese all’angolo superiore del lato mancino, abbiamo ritrovato cinque mascherine che rimandano inequivocabilmente all’attività teatrale che si svolse in quei luoghi (fi gg. 5, 6 e 7). In attesa di un più appro- fondito esame di questi reperti, le nostre ricerche si sono orientate sulla storia di questa chiesa scomparsa6. Sappiamo che la chiesa fu ceduta all’Arte dei Battilana almeno dagli inizi del Quattrocento. E effettivamente, tra le ceramiche esposte nel loggiato, compare l’insegna dei Battilana (fi g. 8). A loro si aggiunsero, nel 1457, gli Scardazieri (pettinatori della lana), i quali, per poter usufruire dei locali, dovettero chiedere il permesso ai cano- nici del vicino convento di San Martino, da cui la chiesa di San Giusto dipendeva. Un documento del 1472 uffi cializza la concessione di San Giusto ai Battilana, che si impe- gnavano a rispettare tutte le condizioni previste nel contratto7. In realtà, come ci informa l’erudito Benedetto Spinelli, i Battilana subaffi ttarono i locali nel 1525, entrando in litigio con i religiosi8. Il manoscritto di Spinelli non dice chi fu il nuovo locatario, ma tutto ci porta a credere che si trattasse degli Intronati, che proprio in quell’anno si riunivano co- difi cando i loro statuti. Possiamo, insomma, ipotizzare che San Giusto sia stata la prima sede dell’accademia. Nei documenti compare più volte la menzione di una attigua alla chiesa. La casa è ancora ben visibile nel plastico del quartiere realizzato nel 1929 da Pedano Pedani e Vittorio Zani su incarico del Comune di Siena (fi gg. 9 e 10): si tratta di una protuberanza sul fi anco sinistro della chiesa che, di per sé, contava una sola navata.

riprodotta dalla Chiancone Isaacs (il rinvio è a A.K. CHIANCONE ISAACS, Popolo e monti nella Siena del primo Cinquecento, in « Rivista Storica Italiana », 82 (1970), pp. 32-80, e particolarmente p. 52, n. 4), si vede che la chiesa di San Giusto corrisponde all’odierna chiesa di Santa Maria in Provenzano, costruita nel 1595 » (cfr. http://www-personal.usyd.edu.au/~nnew4107/Texts/Sixteenthcentury_Siena_fi les/Picco- lominiAlessandroPrefazione.pdf. , a p. 5, n. 9). 5 Cfr. F. FUSI, P. TURRINI, Salicotto com’era, Siena, Il Leccio, 1999. 6 Notizie sintetiche sulla chiesa sono ricavabili da A. LIBERATI, Chiese, monasteri, oratori e spe- dali senesi, sub voc. « Chiesa di San Giusto », in « Bullettino Senese di Storia Patria », XLIX (1942), pp. 125-126; e in P. TURRINI, Religiosità e spirito caritativo a Siena agli inizi della Reggenza lorenese: luoghi pii laicali, contrade e arti, in «Annuario dell’Istituto storico diocesano di Siena», 1994-1995, pp. 9-128. 7 Cfr. P. TURRINI, Religiosità e spirito caritativo cit., p. 105, in nota, e p. 106. Il documento in que- stione è l’atto del notaio Giovanni di Daniele, datato 29 gennaio 1472 (1471 ab incarnatione), Archivio di Stato di Siena, Archivio notarile ante-cosimiano, 522. 8 « Item, nel 1525, li Battilani con li Padri di San Martino di Siena si fecero causa per avere li Bat- tilani ceduto l’appoggio e casetta a pigione, e un padre di San Martino depositò 50 scudi alla Mercanzia per espellere i Battilani di San Giusto ; ma poi fu fatto accordo e li lasciorono stare, con il pagamento di lire 12 l’anno » (B. SPINELLI, Notizie storiche e documenti di alcune chiese della città e diocesi di Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. A VIII 53, c. 267r). « Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati 155

In occasione della visita di Francesco Bossi, arcivescovo di Perugia, venne chiesto ai Battilana di condannare la porta della chiesa che dava accesso proprio a quella casa, occupata da laici9. Questi locatari non possono essere tuttavia gli Intronati, poiché la vi- sita dell’arcivescovo, avvenuta nel 1575, si situa in una parentesi di inattività nella storia dell’accademia. Come è noto, infatti, Cosimo I° decretò nel 1568 la chiusura di tutti i sodalizi senesi, in quanto possibili focolai di dissidenza politica e religiosa, e l’accademia riaprì soltanto nel 1603. Il resoconto della visita Bossi è comunque importante per confermare il legame tra i Battilana e i religiosi di San Martino. In quell’occasione, il priore dell’arte della Lana dichiarò all’arcivescovo: «Questa chiesa era parrocchia et la cura fu unita a la chiesa di San Martino et a noi rimase una casa congionta alla chiesa per la quale paghiamo ogni anno a detta chiesa di San Martino 12 lire»10. Il rapporto tra i Battilana e i religiosi di San Martino non dovette certo essere idilliaco: il subaffi tto della casetta è confermato nel 1629, e ne derivò un nuovo litigio11. Ripercorrere la storia di San Giusto ci permette, tra l’altro, di meglio cogliere l’allusione alla «strada favorita» e al «divin vicinato» nella citata battuta dell’Alessandro. Nelle immediate vicinanze sorgeva infatti un ospizio riservato a «tutti i Tedeschi dimoranti in Siena ed ascritti all’arte della Vacca»12. Questa presenza straniera non doveva essere particolarmente gradita. La precisazione « han preso di nuovo casa a San Giusto» deve essere ricollegata alla ripresa delle attività dell’accademia dopo un periodo di interruzione. Nel 1535, in- fatti, la Balia aveva proibito le riunioni di tutte le associazioni cittadine, ad eccezione di quelle a carattere religioso. Benché gli Intronati venissero provvisoriamente riabilitati nel ’36, in occasione della visita imperiale – per la quale ottennero il permesso di preparare L’amor costante-13, la riapertura vera e propria dovette intervenire poco prima dell’alle- stimento dell’Alessandro14. Il ritrovamento della sede di San Giusto chiarisce un aspetto della preistoria degli Intronati. Sorta nel 1525, l’accademia si trovò a muovere i suoi primi passi nel trascolo- rare della repubblica da una situazione di indipendenza verso il defi nitivo tramonto. Tra i suoi membri ritroviamo esponenti di spicco della vita politica del tempo, sicché essa assunse subito i connotati di respublica litteraria, motore e ruota di un preciso ingranag-

9 «… et mandavit claudi ianuam a latere altaris per quam patet aditus ad domum in qua habitant laici». (Archivio Arcivescovile di Siena 21, cc. 148v-149). 10 Ibidem. 11 « Nel 1629 (…) nacque lite tra i Padri di San Martino contro li Battilani per avere questi ceduto l’appoggio alla casa vicina e parte della chiesa sopra il cupolino, e aperta una fi nestra di detto cupolino che guardava in chiesa» (B. SPINELLI, Notizie storiche cit.). 12 Cfr. A. LIBERATI, Chiese cit., p.125, n. 4. 13 Cfr. G.A. PECCI, Memorie storico-critiche della città di Siena, Siena, Pazzini Carli, 1758, t. III, pp. 80 e ss. . 14 Ancora nel carnevale del 1542 vigeva l’interdetto della Balia: «Adì 9 febbraio, in casa Buon- compagno di Marcantonio della Gazzaia, si fece una veglia e si recitò una commedia: e la Balia, subito nel giorno dopo adì 10, punì gl’intervenuti, i recitanti e gli spettatori, uomini e donne». La notizia è riportata da C. MAZZI, La Congrega dei Rozzi, Firenze, Le Monnier, 1882, vol. 1, pp. 261-263, in base a documenti dell’Archivio di Stato di Siena (Balia ad annum, 10 febbraio 1541 (ab incarnatione), f. 37v.). 156 Germano Pallini gio politico che cercava l’equilibrio tra le fazioni interne dei monti, sullo sfondo del can- giante giuoco di alleanze che Carlo V andava imponendo. Questa indagine archeologica ci ricorda che l’accademia agiva in quel territorio e per quel territorio15. Le sue enigmatiche mascherine, tuttavia, sollevano nuovi interrogativi quanto ai loro caratteri distintivi, al loro numero, e alla loro stessa funzione. Ma vederle oggi, con- sapevoli dei testi che parlano di quel luogo in quel momento, signifi ca forse vedere me- glio il volto originario, o uno dei volti, dell’accademia ; vederla, insomma, concretamente e attraverso una materialità diversa da quella dei libri, cui spesso associamo il fenomeno delle républiques des lettres.

GERMANO PALLINI

15 Cfr. il mio contributo alla conferenza internazionale sulle accademie italiane (The Italian Aca- demies 1525-1700) tenutasi presso la British Library nel mese di settembre 2012, dal titolo Accademie senesi. Tramonto e alba di una respublica litteraria, che verrà pubblicato negli atti del convegno. « Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati 157

Fig. 1. Francesco Vanni, particolare della Pianta di Siena (1595). La chiesa di San Giusto è indicata dal numero 45 (foto di Alessandro Leoncini). 158 Germano Pallini

Fig. 2. Lapide toponomastica (foto dell’autore). « Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati 159

Fig. 3. La palazzina costruita al posto della chiesa di San Giusto. In basso a destra, il loggiato (foto dell’autore). 160 Germano Pallini

Fig. 4. Particolare del loggiato (foto dell’autore). « Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati 161

Fig. 5. Le mascherine di San Giusto: visione d’insieme (foto di Alessandro Leoncini).

Fig. 6. Le mascherine di San Giusto: particolare (foto di Alessandro Leoncini).

Fig. 7. Le mascherine di San Giusto: particolare (foto di Alessandro Leoncini). 162 Germano Pallini

Fig. 8. Loggiato di San Giusto: l’insegna dei Battilana (foto dell’autore). « Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati 163

Fig. 9. Particolare del plastico di Salicotto: la chiesa di San Giusto. 164 Germano Pallini

Fig. 10. Particolare del plastico di Salicotto. La chiesa di San Giusto vista di fronte. INCONTRI E DIBATTITI

VIRGINIS TEMPLUM*

La cattedrale di Siena vanta una bibliografi a di notevolissima estensione con numerose monografi e, saggi apparsi su riviste e libri collettanei. Gli argomenti trattati in questi contributi, tuttavia, sono per lo più di carattere storico e artistico. Mancava un testo di agile consultazione che riguardasse gli argomenti di carattere iconografi co e simbolico, permettendo anche a un pubblico più vasto di seguire un percorso tematico all’interno del complesso monumentale senese. In questa prospettiva, il volume Virginis templum. Siena: Cattedrale, Cripta, Battistero di Marilena Caciorgna (MARILENA CACIORGNA, Virginis templum. Siena, Cattedrale, Cripta, Battistero, Livorno, Sillabe, 2013, 191 pp., 185 foto a colori, 3 piante) si offre come lo strumento più adeguato per la lettura dei signifi cati e dei temi allegorici rappresentati nelle opere d’arte. Risulta facile guardare al libro con entusiasmo, giacché il volume è il frutto di uno straordinario approfondimento scientifi co presentato con grande capacità di sintesi e chiarezza espositiva. Ne deriva che il suo successo editoriale è più che garantito, sostenuto com’è dalla sua traduzione in quattro lingue e da una bibliografi a aggiornata alla quale fa riscontro un esteso apparato di note e un corredo di tre planimetrie con la localizzazione delle opere d’arte rispettivamente divise tra pittura, scultura e scene del pavimento. Il costo del volume così contenuto merita poi un plauso davvero speciale non solo per il committente, ma anche per l’editore Sillabe di Livorno che lo ha stampato con un corredo di quasi duecento fotografi e tutte a colori, splendidamente stampate e spesso a tutta pagina. Dalla sua istituzione nel XII secolo, la Fabbriceria del Duomo ha costituito il più importante fattore di continuità culturale e artistica della città, nonostante i rovesci di fortuna economica e i cambi di governo che hanno caratterizzato la turbolenta storia di Siena: proprio per questo il Duomo ha rappresentato il luogo – in senso civico e istituzionale, religioso e politico, culturale e artistico – nel quale maggiormente si è forgiata l’identità civica cittadina. Quale straordinario monumento liturgico il Duomo ha rappresentato la sede privilegiata dell’unione tra fede e popolo attraverso il linguaggio dell’arte. D’altra parte se la liturgia è azione a favore del popolo fondata sul servizio religioso, essa necessita di messaggi comprensibili e segni condivisi. Da ciò nasce quella fortissima componente identitaria che fa da cemento ideale all’edifi cio del Duomo. A differenza delle comuni chiese, lo spazio di una cattedrale si caratterizza per la grande complessità delle azioni liturgiche e la ramifi cazione dei suoi messaggi che formano un

* Testo del discorso letto alla presentazione del volume tenutosi il 3 luglio 2013, presso la Sala delle Statue del Museo dell’Opera del Duomo, alla presenza di S.E., Mons. Antonio Buoncristiani, Arcivescovo di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, e del Dott. Mario Lorenzoni, Rettore dell’Opera della Metropolitana di Siena.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 168 Mauro Mussolin ipertesto aperto a più livelli di comprensione: una grande opera dalla lettura multipla a più registri, alto e basso, sacro e profano, devozionale e laico, in un dialogo sempre teso fra passato e presente, tradizione ed elementi di novità. Un aspetto perfettamente svolto da questo volume che ha fatto del legame tra spazio architettonico, funzioni religiose e messaggi artistici il suo elemento più caratterizzante. Nell’introduzione al volume, Sua Eccellenza Mons. Antonio Buoncristiani, Arcivescovo di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, e il Dott. Mario Lorenzoni, Rettore dell’Opera della Metropolitana di Siena, hanno ben sottolineato l’eccezionale tesoro artistico, e quindi culturale, rappresentato dalla cattedrale di Siena, suggerendo di leggere questo libro rispettivamente come un “invito” e come un “itinerario” alla scoperta di una delle più straordinarie cattedrali dell’ecumene cristiano: guida tanto per un itinerario di fede quanto per un percorso d’arte. Il volume si apre con un articolato Sommario che funge quasi da indice di artisti, soggetti e opere, con una scansione di paragrafi dai titoli costruiti con funzione esplicativa rispetto alle opere descritte. Il testo mantiene tuttavia l’organizzazione di una guida e per questo segue la disposizione topografi ca delle opere, accompagnando per mano il lettore ambiente dopo ambiente. In questo modo, l’architettura del libro si avvicina molto a quella di una enciclopedia virtuale, con l’inserzione di sotto-paragrafi tematici, quasi fossero dei link di approfondimento. Un modo che, proprio per questo, invita a superare con facilità la divisione spaziale, per aprirsi a una selezione di itinerari tematici secondo percorsi personalizzati. Le mie osservazioni partiranno dal libro come oggetto, guardando ai suoi contenuti, e in conclusione aggiungerò qualche rifl essione personale. Va detto a chiare lettere che Virginis templum riporta ai più illustri esempi della tradizione storiografi ca senese, che dai più recenti volumi dedicati al Duomo pubblicati dal progetto Die Kirchen von Siena, passano per il Duomo di Siena di Enzo Carli del 1979 e procedono a ritroso fi no alle celebri pagine degli eruditi senesi, come Giulio Mancini ed Ettore Romagnoli e a quel seicentesco «Racconto» del Duomo di Siena di Alfonso Landi che del Duomo rappresenta la guida, e insieme la fonte, più celebrata. Come quest’ultimo, anche l’autrice descrive gli spazi, racconta e, narrando storie, popola le pagine di santi, di eroi classici, di profeti e sibille, restituendo loro voce attraverso la corrispondente fonte classica da cui la storia è tratta. In questa narrazione è certamente la Vergine la protagonista assoluta del racconto, attraverso le sue numerose titolazioni e i molti attributi. Dall’altar maggiore, alla Cappella della Madonna del Voto, tante volte invocata dal popolo senese, la madre di Cristo è al tempo stesso protagonista degli affreschi della Cripta e icona cardine del programma iconografi co del Battistero. A ciò fa omaggio il titolo Virginis templum, la cui formula è tratta dall’iscrizione posta all’ingresso della Cattedrale: «CASTISSIMUM VIRGINIS TEMPLUM CASTE MEMENTO INGREDI» (Ricordati di entrare castamente nel castissimo tempio della Vergine, p. 43). Le porte della chiesa si schiudono dunque e l’invito è anche quello di scoprire il signifi cato dei testi latini disseminati nelle iscrizioni epigrafi che e dedicatorie della cattedrale. Un esercizio sempre stimolante che permette al lettore di cogliere il senso più profondo di pagine ricchissime di storia religiosa e culturale della Siena del passato. La sollecitazione a leggere questi messaggi non è rivolta per puro compiacimento Virginis Templum 169 erudito, ma per dar modo di comprendere quei testi con semplicità e naturalezza. Marilena Caciorgna restituisce l’umanità, magnifi ca o fragile, celebrativa o dai toni più familiari, di questo «visibile parlare», spiegandone, attraverso le fonti, le più precise sfumature di signifi cato e il loro più intimo senso. Si pensi ad esempio alla commovente iscrizione di Silvestro posta sul portale destro della cattedrale e dedicata al primo Giubileo romano del 1300 istituito da Bonifacio VIII, scritta in rima latina fatta per essere cantata e ricordata dai pellegrini alla volta di Roma: «ANNUS CENTENUS ROME SEMP(ER) E(ST) IUBILENUS, / CRIMINA LAXANTUR CUI PENITET ISTA DONA(N)T(UR), / HEC DECLARAVIT BONIFATIUS ET ROBORAVIT» (Il centesimo anno a Roma è sempre giubilare, i peccati sono rimessi e condonati a chi si pente, questo dichiarò e confermò Bonifacio, p. 32). Si tratta di un passo che fa subito tornare alla mente la celeberrima rima latina della commovente fi rma- preghiera apposta da Duccio alla sua Maestà di solo qualche anno successiva: «MATER SANCTA DEI / SIS CAUSA SENIS REQUIEI / SIS DUCIO VITA TE QUIA PINXIT ITA» (Santa Madre di Dio, dai tranquillità a Siena e dai a Duccio vitalità che ti dipinse così). Questa attenzione per i fi latteri, i cartigli, i rotoli, le didascalie, in una parola i tituli, di cui è disseminato il Duomo è una delle chiavi per comprendere uno dei suoi aspetti più straordinari: il Duomo come monumento parlante. Proprio per questa felicità di lettura, il libro è innanzitutto una straordinaria dichiarazione d’amore per le fonti letterarie e una puntualissima guida epigrafi ca all’insieme dei testi che accompagnano le opere d’arte disseminate sotto le volte della chiesa. Nessuno meglio di Marilena Caciorgna avrebbe potuto riassumere in questo volume uno studio delle fonti sterminato e di straordinaria complessità. Non a caso gli studi compiuti dell’autrice spaziano su un vasto territorio di interessi e temi che è impossibile ricordare adesso, ma che la collocano tra le più autorevoli studiose della tradizione classica e in particolare a Siena. È noto come nei cicli iconografi ci del Duomo senese si sia fatto ricorso a fonti antiche, iniziatiche, classiche, cristiane, umanistiche. Il Duomo è infatti un monumento alla Sapienza enciclopedica del Medioevo e, al tempo stesso, la fucina del Rinascimento senese, nel quale la cultura di colti ecclesiastici, di raffi nati committenti e di straordinari artisti si evidenzia nella raffi natezza delle opere e nella complessità dei loro messaggi. In questo senso è particolarmente lodevole il modo in cui il lettore viene guidato alla comprensione delle tematiche e delle simbologie degli spazi della chiesa. Un percorso sapienziale che con fi nalità teleologica muove dall’antico Egitto e dalla tradizione giudaica veterotestamentaria, attraverso la conoscenza della fi losofi a greca e romana, quale messaggio profetico della messianicità di Cristo. Ne è esempio l’interpretazione delle scene del pavimento costruito come un cammino di avvicinamento all’altare maggiore attraverso i graduali passaggi della Rivelazione cristiana: dallo spazio delle navate con le fi gure delle Sibille e con i temi di tradizione fi losofi co-simbolica, fi no alle storie del Vecchio Testamento intorno al presbiterio e sotto la cupola e progressivamente incardinate intorno all’altare sulle più complesse tematiche cristologiche e sacrifi cali. Per una maggior facilità di navigazione all’interno del volume ogni descrizione relativa alle scene del celebre tappeto marmoreo è facilmente individuata da due loghi che rispettivamente fanno da capoverso a ciascuna sezione relativa al pavimento e da segnapagina in basso a destra. Altri passaggi di enorme complessità sono chiaramente spiegati attraverso il 170 Mauro Mussolin ricorso alle fonti: è sciolto il diffi cile simbolismo del pulpito di Nicola Pisano; gli affreschi delle volte del Battistero con gli articoli del Credo sono presentati secondo la specifi ca tradizione del Simbolo Apostolico e non secondo quella più comune del Credo niceno-costantinopolitano (p. 166 e ss.); nell’iconografi a della cosiddetta ‘Cripta’ si giunge a suggerire l’origine del nome dello Spedale della Scala, quale attributo mariano derivandone l’interpretazione dalla scena della Crocifi ssione come suggerito dalla posizione della Madonna posta appunto su una scala (p. 153) e, sempre a proposito del ciclo duecentesco della Cripta, con una divertita analisi si comprende la relazione che lega le scene dell’infanzia di Cristo ai corrispondenti passaggi dei Vangeli apocrifi (p. 147). Quanto detto, vale anche per la spiegazione della simbologia degli elementi scultorei delle due acquasantiere di Antonio Federighi (p. 52 e ss.) o per la struttura compositiva delle pinturicchiesche scene della Libreria Piccolomini (p. 72), presentata come il primo compiuto tentativo umanistico di restituire le gesta di un eroe moderno, Enea Silvio Piccolomini eletto papa con il nome di Pio II, attraverso la creazione di un vero e proprio nuovo genere artistico, quello della Biografi a dipinta, su cui l’autrice in altre sedi ha scritto pagine molto importanti. Troviamo poi come molti dei soggetti iconografi ci del pavimento del Duomo di Siena si ispirino non solo alle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (p. 90), ma anche dalle Divinae istitutiones di Lattanzio (pp. 44-47, 56), e più sorprendentemente alle Vite parallele di Plutarco (nella biografi a dipinta del Piccolomini, p. 72 e ss.) e ai Dialoghi degli dei di Luciano (p. 81), così come molte di quelle immagini siano state fortemente infl uenzate da passi di Seneca, Cicerone, Marziano Capella; né l’autrice sottovaluta di considerare via via l’apporto derivato da autori scolastici medievali, come Alain de Lille, sulle arti liberali nel pulpito di Nicola Pisano (p. 103), e Onorio di Autun, per la rappresentazione delle età dell’uomo in rapporto alle ore del giorno (p. 126). Altri celebri testi medievali, come l’Ovide moralisé, sono rintracciati nei suoi volgarizzamenti trecenteschi meno aulici, come quello di “Domenicho fu da Montecchiello, detto el monco, el zoppo, el pover vechiarello” utilizzato nelle terzine della scena pavimentale con la Morte di Assalonne (pp. 129-130), o il coevo poema in ottava rima dedicato alla Passione, di Niccolò di Mino detto “il Cicerchia” seguace di Caterina da Siena, che mostra signifi cative affi nità con l’affresco della Crocifi ssione nella Cripta (p. 153). Non mancano poi importanti chiarifi cazioni, come quelle relative alle collezioni dei corali del Duomo e della Libreria Piccolomini (p. 83). Ma il Duomo è anche il monumento a una narrazione condivisa. Non solo basata su fonti prestigiose e autorevoli, ma anche su aneddoti, fatti di cronaca e di costume di celebri personaggi senesi. L’autrice racconta con leggerezza di gustose curiosità evenemenziali: scopriamo il volto dello storico Giugurta Tommasi nel Battesimo di sant’Ansano di Francesco Vanni (p. 98); apprendiamo come le due vetrate del Ghirlandaio presenti in Duomo provengano dalla chiesa di San Francesco a Colle Val d’Elsa (pp. 98-99); registriamo l’eliminazione del ritratto della papessa Giovanna dalla sequenza dei ritratti delle teste dei papi (p. 52); conosciamo la storia dei pennoni del Carroccio di Montaperti (p. 110); individuiamo i nomi dei volti del corteo muliebre al seguito di Eleonora d’Aragona nelle scene della Libreria Piccolomini (p. 73 e ss.). Altra caratteristica davvero interessante di questo volume è il fatto che ciascuna Virginis Templum 171 opera d’arte venga trattata in funzione della sua collocazione e importanza rispetto allo spazio della chiesa e non rispetto alla rilevanza dell’artista. Una considerazione per niente ovvia, dal momento che, solo in questo modo opere e artisti cosiddetti minori possono fi nalmente ritrovare la loro importanza funzionale nell’economia degli spazi della chiesa. È infatti dall’insieme delle opere del Duomo che si forma quel coro di straordinaria magnifi cenza nel quale ci sono certamente degli assoli, ma nel quale ciascuna voce concorre alla creazione di un capolavoro il cui più straordinario traguardo è dato proprio dall’insieme. Osservati in questo modo, i rilievi di Urbano da Cortona appaiono certamente meni belli di quelli del maestro Donatello, ma non per questo meno commoventi, mentre le opere di artisti dell’Otto e Novecento, sembreranno forse più fredde, ma non per questo meno umane e meno articolate nei contenuti di quelle dei loro precursori. A queste opere e a questi artisti minori è dedicato altrettanto spazio e il volume ci invita pertanto a soffermarci negli ambienti meno conosciuti dell’edifi cio, ma che lo caratterizzano proprio come il più importante monumento della pietà cittadina: si conosce in dettaglio la storia degli altari barocchi delle navate laterali con vicende di storia e devozione cittadina note o poco note (legate alle agiografi e senesi dei Quattro santi protettori, come del beato Pier Pettinaio, di santa Caterina e di san Bernardino; p. 62 e ss.); è descritto il tesoro delle reliquie, tra cui quella importantissima del braccio di San Giovanni Battista donata a Siena da Pio II (p. 85); si spiega l’iconografi a della porta della Riconoscenza (p. 29) e si riscopre l’algida bellezza della fi gura della Religione condotta su disegno di Alessandro Franchi nello spiazzo davanti alla Cappella del Voto (p. 127); si ritrova in Gianlorenzo Bernini l’autore della cancellata della stessa Cappella (p. 122), mentre al suo interno, osservando la Riconoscenza di Arturo Viligiardi del 1927 (p. 124), si apprende il nome del suo committente, il celebre conte Guido Chigi Saracini fondatore dell’Accademia Chigiana, e si scopre come i commoventi rilievi dedicati alle storie della Vergine lì presenti, per la loro bellezza, furono addirittura esposti nel 1746 in Pantheon a Roma (p. 122). Quanto Marilena Caciorgna sia una studiosa che non concede facili scorciatoie lo dimostrano alcuni passaggi dove non si esita a fare ricorso a una terminologia apparentemente impervia o desueta, ma che è invece la più esatta: si parla di “andamento bustrofedico” del senso di lettura del quadrato magico del Sator Arepo (p. 26), si ricordano gli apoftegmata di Zenone di Cizio e di San Paolo (p. 127), si scrive risolutamente Ringkomposition (p. 128) e si distingue tra calcare rosso ammonitico e serpentinite (p. 18): in caso di necessità, qualunque motore di ricerca può fornire in pochi secondi il signifi cato di questi termini che ci permettono di restituire il senso del discorso e arricchire il nostro vocabolario. Da parte dell’autrice vi è poi un garbatissimo omaggio a Enzo Carli, così appropriato in questa sede, affi dato al ricordo di un suo felice giudizio, uno dei pochi testualmente citati, sulla porta del Duomo Nuovo «il più bel portale di tutta l’arte senese» (p. 139). Si arriva alla fi ne del volume con le note per dar conto dei debiti intellettuali e rimandare a maggiori approfondimenti su testi e opere di riferimento. Infi ne è sorprendente vedere come l’intero volume costituisca la più aggiornata sintesi di un pluriennale progetto scientifi co di un gruppo di studiosi che da anni fanno capo all’Opera attraverso la benemerita rivista dei Quaderni dell’Opera e che hanno portato avanti le ricerche sullo studio del Duomo senese con la compilazione di volumi monografi ci 172 Mauro Mussolin dedicati agli argomenti più salienti dell’edifi cio (quali il pavimento, la facciata, le opere di pittura, le opere di scultura) e di cui Marilena Caciorgna è stata sin dall’inizio curatrice insieme al Rettore Lorenzoni. Virginis templum è certamente una guida-monografi a che si pone come un rarissimo esempio di alta divulgazione e di felicissima sintesi e per questo insegna a tutti noi quanto sia fondamentale il sostegno alla ricerca scientifi ca senza la quale la divulgazione si abbassa a livelli inaccettabili di presentabilità. La divulgazione è difatti possibile solo a prezzo di una costante ricerca capace di mettere in discussione ogni precedente acquisizione, pena l’involgarimento dei contenuti e la deriva del senso. Avanzo infi ne una considerazione: «l’Italia è tutta un museo» si sente ripetere spesso, ma sull’argomento nessun giudizio appare più inesatto o fuorviante. Salvatore Settis lo ha ribadito spessissimo sui principali quotidiani italiani e vale ancora la pena ripeterlo con forza. Il museo, per sua stessa costituzione, ci pone di fronte a una rappresentazione «in atmosfera modifi cata», con la sua disposizione che tende a congelarsi nel tempo. L’Italia rappresenta l’esatto contrario di un museo per il semplice fatto di avere ancora un grandissimo numero di opere d’arte capillarmente diffuse in tutto il suo territorio. Le cattedrali ne sono la più viva ed eloquente testimonianza. Differentemente dagli ordinamenti cronologici o tematici caratteristici dei musei, le opere d’arte contenute in una cattedrale invitano lo spettatore a rintracciare autonomamente il senso delle singole opere rispetto al loro contesto, secondo la profondità spirituale e l’esperienza di chi osserva. Chi percorre le cattedrali con dovuto interesse e curiosità si imbatte in incontri inattesi che danno sorpresa e stimolo intelletuale. Per questo motivo le istituzioni culturali devono poter offrire un diversifi cato bagaglio di strumenti informativi scientifi camente validi e diversifi cati a seconda del grado di interesse e di curiosità dei visitatori, così da rinnovare stimoli alla conoscenza. Il libro di Marilena Caciorgna rappresenta tutto questo e si pone come antidoto allo svuotamento di senso dovuto alla globalizzazione del turismo e all’immiserimento dei centri storici, restituendo al visitatore il molteplice ruolo che gli compete: fedele interessato ad approfondire tematiche sacre e aspetti devozionali, visitatore appassionato di storia dell’arte, cittadino cultore di storia locale. Con la sua attenzione per le fonti, il volume costituisce una guida alla scoperta dell’edifi cio e un manuale tematico di storia dell’arte senese, ma anche uno strumento di conoscenza della memoria locale e, per certi versi, un vero e proprio compendio di tematiche religiose. Mi piace concludere queste note, con alcune rifl essioni sulla costituzione pastorale Gaudium et spes di Paolo VI promulgata l’8 dicembre 1965, ultimo giorno del Concilio Vaticano II. Essa ricorda come dalla conoscenza delle cose nasca il rispetto e che dal rispetto proviene quella consapevolezza capace di suscitare sentimenti di humanitas: per essere compreso, amministrato, visitato, un edifi cio religioso richiede una medesima dose di humanitas basata sulla conoscenza profonda della sua storia e della sua materia; storia e materia che affondano le radici nel rispetto di quella antichità e di quella specifi ca tradizione; antichità e tradizione a loro volta che determinano una consapevolezza che alimenta in modo sano e senza false ideologie un carattere identitario spontaneamente condiviso da una collettività che si ritrova unita da un genuino sentimento, sia esso religioso, culturale o più semplicemente di appartenenza a un luogo. Tutti gli interessati Virginis Templum 173 si troveranno d’accordo nell’encomiare l’Opera della Metropolitana di Siena e Marilena Caciogna, autrice di Virginis templum, per l’innegabile merito di aver saputo dare un volume sul Duomo di Siena straordinariamente agile, conciso ed esatto, oltre che pieno di poesia e di senso della memoria, che si pone come una bussola di riferimento per la conoscenza e come un importantissimo modello di sintesi scientifi ca, effi cacia comunicativa e, in ultima analisi, di lungimiranza editoriale.

MAURO MUSSOLIN SIENA, IL GRANO DI MAREMMA E QUELLO DELL’OSPEDALE. I PROVVEDIMENTI ECONOMICI DEL 13821

Nel titolo di questo intervento ho unito quattro elementi: il grano è il primo, e poi una terra, un’istituzione di assistenza e una data. La terra è la Maremma, su gran parte della quale la città di Siena aveva affermato la propria sovranità in un lungo processo che si era aperto già alla metà del XII secolo2. L’istituzione è il ricco ospedale civico senese di Santa Maria della Scala3. Ambedue sono uniti dal fatto di poter essere considerati, per motivi diversi, i ‘granai’ della Siena del Trecento. La data che ho scelto, il 1382, non ha invece un valore particolare, nel senso che le politiche che cercherò di ricostruire potreb- bero avere un signifi cato economico quasi identico qualche anno prima o qualche anno dopo di essa. Nel 1382, però, una commissione di 24 Savi, espressi in quote diverse dalla maggioranza e dalla minoranza politica, ricevette il compito di individuare gli interventi opportuni per accrescere le entrate e diminuire le spese del Comune di Siena: per far questo ricevette delega piena (“piena balìa”)4. I verbali delle riunioni della commissione e le relative delibere sono la fonte principale alla quale attingo per le considerazioni che seguono. Si trattava di anni diffi cili e lo stesso 1382 fu, sotto certi aspetti, un anno cruciale per la vita economica senese. La peste aveva fatto di nuovo la sua comparsa, c’erano stati almeno due fallimenti bancari concomitanti con un acuto bisogno di liquidità, il dissesto

1 Ringrazio Luciano Palermo per avermi autorizzato a pubblicare, con l’aggiunta delle note, il testo della relazione al convegno, dal lui coordinato, del titolo Crisi nel medioevo (III): politiche econo- miche e per l’alimentazione di fronte alle carestie che si è tenuto a Viterbo nei giorni 1-3 novembre 2012. 2 O. REDON, Lo spazio di una città, Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Siena, Nuo- va Immagine, 1999; W. M. BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena 1287-1355, Firenze 1976, pp. 89-90; ID., Un Comune italiano nel medioevo, Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355, trad. ital., Bologna 1986, p. 248. 3 Per i riferimenti bibliografi ci il punto di partenza più aggiornato è Ospedale di Santa Maria della Scala: ricerche storiche, archeologiche e storico-artistiche, a cura di Fabio Gabbrielli, Atti della giornata di studi (Siena 28 aprile 2005), Siena 2011. 4 La balìa, molto ampia, fu composta da 18 cittadini scelti dal governo in base ad una rappresen- tanza territoriale, cioè 6 per ognuno dei Terzi in cui era divisa la città, e completata da una rappresentanza della minoranza politica (3 ‘noveschi’ e 3 nobili). L’originale dei provvedimenti è in Archivio di Stato di Siena (da ora ASS), Statuti di Siena 36 ed edito da A. LISINI, Provvedimenti economici della Repubblica di Siena nel 1382, Siena, 1895 (che da ora citerò solo come Provvedimenti economici). I provvedimenti furono commentati da N. MENGOZZI, Il presto a usura in Siena (1200-1300), in Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende ad esso riunite. Note storiche, cura di P. Piccolomini, vol. I, Il Monte dei Paschi e della Pietà, Siena 1891, p. 80.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 175 dei conti dello Stato di fronte all’impossibilità di aumentare il prelievo fi scale si era fatto evidente5. A tutto questo si aggiunsero nuovi e autentici salassi per le casse pubbliche quando consistenti fl ussi di denaro andarono in vario modo a riempire le tasche di con- dottieri di ventura e delle loro schiere (le ‘compagnie’) che, da tempo ormai, devastavano periodicamente i raccolti e razziavano il bestiame nel territorio toscano, e in particolare maremmano, costringendo le città a pagare perché si allontanassero e le imposte a cre- scere6. Il territorio senese ne uscì stremato7. Così, l’obiettivo dei lavori della balìa nominata nel 1382 venne fi ssato in modo non equivocabile nella delibera di affi damento dell’incarico, e ribadito nelle primissime righe della relazione conclusiva8. Il suo mandato era di riassettare il rapporto tra entrate e uscite del Comune di Siena basandosi su due punti fermi: il prelievo fi scale non doveva aumentare e il continuum economico tra città e aree rurali andava tenuto in piena consi- derazione. Per centrare un obiettivo così impegnativo occorreva nientemeno che l’ausilio dell’intera corte celeste. In aperura della relazione si legge: “Al nome dello omnipotente Idio e della sua benedecta madre vergine Maria e di tucta la corte celeste, a pace e riposo

5 Le informazioni relative al 1382 sono state da me fornite in G. PICCINNI, La strada come affare. Sosta, identifi cazione e depositi di denaro di pellegrini (1381-1446), in G. PICCINNI, L. TRAVAINI, Il Libro del pellegrino (Siena 1382-1446). Affari, uomini, monete nell’Ospedale di S. Maria della Scala, Napoli, Liguori, 2003, pp. 1-81 e G. PICCINNI, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala e il mercato del denaro nella Siena del Trecento, Pisa, Pacini, 2012, pp. 272-273. Il fallimento principale, fraudolento, era stato quello del banco di Conte di Jacomo da Baldera ( che “portossene di molti denari, inperoché pochi dì inanzi andava acatando denari su’ pe’ banchi e acatava coregie d’ariento e anella e ciò che poteva, e poi serrò e andosene”) e di quello di Chimento d’Andrea (Mengozzi, Il presto a usura cit. p. 80). Gli uffi ciali della Mercanzia, istituzione che deliberava su questioni attinenti al commercio e all’economia, dettarono in quell’occasione nuove norme di garanzia esigendo che, da allora, ogni banco della città fosse garantito per almeno 4.000 lire, “féro lege che nisuno tenesse banco se prima no ne avesse dato la ricolta de IV milia lire”: Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, in Rerum Italicarum Scriptores, 2ª ed., t. XV, parte VI, Bologna, 1931-1939, p. 697. Per la mancanza di liquidità Provvedimenti economici, pp. 32-33, dove si legge che “per l’accrescimento del peso del fi orino ne vengono infi niti dampni a’ cittadini di Siena, e’ fi orini in grandissima quantità ne vanno ad altre terre e provincie per la detta cagione”. 6 Sulla presenza di compagnie di ventura in territorio italiano nel corso del Trecento molti dati sintetizzati in D. BALESTRACCI, Le armi, i cavalli, l’oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Bari, Laterza, 2003. Notizie sul Senese sono sparse nel volume: in particolare l’autore utilizza proprio il caso senese, fra la metà e la fi ne del Trecento, come esempio di come si creasse un rapporto diretto tra le spese sostenute da una città e la pressione fi scale che esse mettevano in moto (pp. 68- 69). Ancora utile punto di riferimento e il saggio di C. ANCONA, Milizie e condottieri, in Storia d’Italia, V, Torino, Einaudi 1976, pp. 645-665 7 Una serie di dati relativi al calo della popolazione nel Senese tra il 1364 e il 1382 sono in G. PICCINNI, I ‘villani incittadinati’ nella Siena del XIV secolo, “Bullettino Senese di Storia Patria”, LXXXII- LXXXIII (1975-1976), pp. 158-219: 192-203. In particolare proprio nell’anno 1382 le comunità di Simi- gnano, Pietralata e il castello della Suvera lamentavano una diminuzione degli abitanti che attribuivano al passaggio delle compagnie (ASS, Consiglio generale 191, cc. 98-98v., 1 febbraio 1382. Per la Maremma, ASS, Diplomatico Bichi Borghesi, M 170, 7 febbraio 1382). 8 ASS, Consiglio generale 192, c. 19v., 14 settembre 1382. 176 Gabriella Piccinni di tucta la città di Siena e suo contado, e quali concedino gratia che neuna gravezza s’ab- bia a ponere a la città né al contado”. Il 25 settembre i Savi, che si riunirono con evidente solennità “ne la sala grande del Comune di Siena, dove i consilgli generali si raunano”9, iniziarono a verbalizzare le prime decisioni. Tennero memoria, prima di tutto, di aver avuto tra loro “matura e lunga deliberazione e facte proposte”, di aver proceduto a votazioni interne a voto segreto, e di aver alla fi ne approvato all’unanimità il complesso del provvedimento “per vigore et autorità de la loro balìa” e “per evidente utilità del comune di Siena”. Durante una prima seduta erano state ridotte le spese militari, l’appannaggio dei membri del governo e il numero dei fanti al loro servizio, era stata raddoppiata la tassa sulle azioni giudiziarie, abolita la condotta ‘a leggere’ Ragione Civile, soppressi o riorganizzati alcuni uffi ci, sot- tratte certe entrate alla gestione personale degli incaricati della riscossione, avviata una contabilità separata per il recupero crediti. La balia lavorò con impegno. Nella trentina di sedute successive, protrattesi fi no a Natale, decise di bandire gli appalti delle gabelle del Comune, di affi dare al giudice delle Appellagioni il compito di combattere l’evasione delle gabelle, senza guardare ad amistadi e parentadi, di sospendere per due anni il pagamento degli interessi del 10% ai cittadini che fi nanziavano il debito pubblico, di ‘sigillare’ i fi orini, perché la pratica, invalsa di recente, di aumentarne il peso aveva provocato la fuga all’estero, “ad altre terre e province”, di oro monetato “in grandissima quantità”10. Successivamente la balìa ridusse i salari delle cariche apicali del Comune, decise la riorganizzazione della gestione amministrativa dei castelli, le nuove gabelle delle bestie, del vino, del ‘salsume’, dello zafferano, l’estensione della gabella dei contratti ai comitatini pena la nullità dell’atto, la soppressione dei Cavalieri del contado che erano al servizio del Podestà perché accusati di estorsioni, un condono per chi abitasse a Siena e ancora non avesse chiesto la cittadi- nanza, il passaggio delle utenze dell’acqua dell’acquedotto principale (il bottino maestro) da gratuite a pagamento, l’istituzione della gabella delle ferriere, l’adeguamento della tassa del contado ai movimenti degli abitanti, la riorganizzazione della gestione dei pa- scoli demaniali e la vendita annuale delle licenze di caccia degli uccelli in Maremma11. Infi ne, 12 dicembre, una seduta monografi ca fu dedicata ai problemi annonari. E fu allora che il grano della Maremma balzò in primo piano12. Nella premessa le necessità del Comune venivano subito presentate come stret- tamente legate a quelle del popolo di Siena: “Considerando ch’ el comune di Siena à bisogno di pecunia, el popolo à bisogno di grano e di biado”. Seguiva l’espressione di un convincimento incrollabile: attraverso una serie di incentivi “a ogni persona di venire ne la Maremma e fare grandi lavoriere e grandi semente e grandi ricolte […] certissimamen- te si riceverà e arà grande quantità di grano e di denari, e la Maremma senza misura si bonifi cherà e accrescerà”. Certissimamente e senza misura.

9 Si tratta della sala del palazzo del Comune che è detta oggi del Mappamondo. 10 Provvedimenti economici, pp. 32-33, citato supra. 11 Provvedimenti economici, pp. 61, 64 sgg, 89, 93. 12 Ivi, da p. 95 Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 177

Intendiamoci, la Maremma era ben presente nelle politiche del Comune di Siena da tempo e anche per motivi diversi a quelli strettamente riferibili al mercato del grano. Senza contare le risorse rappresentate dai minerali, dal sale, dal pesce e dal porto di Tala- mone13, uno dei punti forti di quella terra era rappresentato dalla abbondanza di selvaggi- na e un altro dai vasti prati demaniali che venivano sempre più ampiamente destinati ad una pastorizia organizzata. La sua grande debolezza risedeva nello scarso popolamento, divenuto più drammatico dalla metà del Trecento14. Nel 1393, dunque una decina di anni dopo gli eventi di cui qui ci occupiamo, si registrerà che “molte bestie selvatiche sono moltiplicate et spezialmente di lupi”, attribuendone la colpa alle guerre15, e dunque, è da presumere, all’abbandono di spazi coltivati e all’inselvatichimento che esse avevano portato con sé. Ma nei Provvedimenti del 1382 l’obiettivo che si dichiarava di voler perseguire per primo, come motore di un processo virtuoso, era il ripopolamento delle terre ma- remmane perseguito attraverso la collocazione sul libero mercato del prodotto ecce- dente i consumi interni. Gli incentivi (“gratie”, dunque eccezioni) per ottenere tutto ciò erano di due tipi e prevedevano un programma quinquennale. Prima di tutto i comuni di Maremma avrebbero consegnato a Siena, ogni mese di agosto per cinque anni, 3.000 moggia di grano (pesato al moggio senese grosso) al prezzo di 3 fi orini per moggio; i rappresentanti del Comune avrebbero rimborsato ai produttori i 9.000 fi orini “il più tosto che potranno”. La ripartizione tra i comuni maremmani del cari- co da consegnare a Siena sarebbe avvenuta ogni mese di luglio, quando cioè era possibile valutare l’entità del raccolto in corso, nel “rispecto a la ricolta facta in quello anno per quelli de le decte terre di Maremma, acciò che più veramente e mellio si faccia il sortire d’esse tremila moggia di grano e più chiaramente si veggia quanto ne toccha a ciascuna d’esse terre” (e in questo passaggio si nota che portare grano a Siena era considerato già come una sorta di esportazione, un ‘sortire’ dai confi ni di Maremma16). Il grano eccedente la quota da consegnare a Siena, l’autoconsumo delle famiglie e la prossima semente (ciò che serve “per loro vita e seme”), sarebbe rimasto in uso del produttore il quale avrebbe

13 B. SORDINI, Il porto della ‘gente vana’. Lo scalo di Talamone tra il secolo XIII e il secolo XV, Siena 2001. 14 Vedi dati in PICCINNI, I “villani incittadinati” cit., pp. 198-200. 15 ASS, Concistoro, Scritture, ad annum: “per cagione de le guerre molte bestie salvatiche sono moltiplicate et spezialmente di lupi: et questo si vede manifestamente che ogni terzo dì s’ode che essi lupi ànno guasti fanciugli senza altri danni grandi che fanno d’altre cose; et per dar materia a la gente si di- sponghano con ogni ingegno possino appiglià et far pigliare esse bestie salvatiche et lupi maggiormente”. 16 La Maremma era stata confi nata una prima volta nel 1251 e poi di nuovo nel 1325. Vedi nota REDON, Lo spazio di una città cit., p. 127 e la carta alle pp. 286-287. Il documento della confi nazione della Maremma avvenuta il 27 giungo 1325, prima della fase espansiva di Siena datata agli anni Quaranta del Trecento, è trascritto da F. E. BANDINI PICCOLOMINI, La coltivazione della canna da zucchero nella Ma- remma senese nel secolo XIV, “La campagna”, V (1885), pp. 21-22 (da ASS, Gabella, Statuti, anno 1326, c. 83, così citati): “Terminagione de la Maremma”, da Prata alle Rocchette Tederighi, da Roccastrada a Civitella, da Civitella a Monteantico e Casanovola e Argiano e S. Angelo in Colle, da S. Angelo in Colle a Montenero. 178 Gabriella Piccinni potuto liberamente venderlo, fatto salvo l’obbligo di pagare agli Uffi ciali del Biado17 del Comune di Siena una tassa (indicata con il verbo “donare”) pari ad un quinto del prodotto nel caso che il grano fosse esportato via terra o via mare. Come gli altri provvedimenti di ‘grazia’, l’apertura della tratta (cioè la licenza di esportazione legale, non concessa ad personam ma controllata dagli uffi ciali senesi) sarebbe rimasta in vigore per cinque anni, a partire dall’agosto 1384. Si può notare che gli interessi dei produttori maremmani sem- brano coincidere con quelli dei commercianti di grano e, probabilmente, con quelli del bilancio dello Stato, del quale costituivano una voce di entrata non trascurabile. Il secondo incentivo riguardava direttamente la mano d’opera. Perché ci fosse rac- colto occorreva che “la Maremma si riempia d’uomini” e pertanto Siena imponeva ai comuni maremmani di esentare dalle imposte (“da ogni dazii e gravezze”) per cinque anni gli immigrati, fatto salvo il servizio di guardia “da la quale neuno sia excepto né libero”. I due provvedimenti sono coerenti. Ma è utile, prima di proseguire nell’analisi, fare un passo indietro per comprendere meglio gli interessi in ballo, lo stretto legame tra la scarsa offerta di mano d’opera, la produzione cerealicola di Maremma, la necessità di tutelare i consumi maremmani, l’esigenza di risanamento delle fi nanze cittadine e le politiche commerciali più o meno liberistiche, palesi nel documento del 1382 ma già in precedenza presenti nelle politiche annonarie di una città che alla fi n fi ne aveva sempre vantato un discreto livello di autosuffi cienza alimentare18.

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Pur sapendo che le politiche annonarie di molte città italiane mutarono, nello spa- zio e nel tempo e secondo le congiunture, nelle forme e negli scopi19 in un’ottica compara- tiva sembra di poter dire che le politiche di Siena furono meno vincolate di quelle di varie altre dall’adozione di strumenti protezionistici20. Distaccarsi dai principi protezionistici, come è abbastanza ovvio, non fu però un processo lineare e indolore.

17 L’attività dell’Uffi cio del Biado è ben ricostruibile attraverso lo Statuto del biado (ASS, Statuti di Siena 27), degli anni 1340-1347, un testo unico nel quale era stata raccolta e unifi cata la normativa pre- cedente sull’approvvigionamento e il commercio del grano, sull’obbligo delle giacenze e sulle quantità da conservare in città e nel contado per il fabbisogno delle popolazioni. Breve descrizione in D. CIAMPOLI, Le raccolte normative della seconda metà del Trecento, in Antica legislazione della Repubblica di Siena, a cura di Mario Ascheri, Siena, Il Leccio, 1993, pp. 121-136: 121-122. 18 G. PINTO, Città e spazi economici nell’Italia comunale, Bologna, Clueb, 1996, p. 87 inserisce Siena, insieme ad Arezzo, alle città romagnole e ad alcuni altri centri dell’Italia settentrionale, in un elen- co di città normalmente autosuffi cienti e anche in grado di esportare una parte del raccolto nelle annate migliori. 19 Su questa materia Ivi, pp. 85-93. 20 G. PINTO, La Toscana nel tardo medioevo. Ambiente, economia rurale, società, Firenze, Sanso- ni, 1982, pp. 62-63 dove segnala infatti la frequente apertura della «tratta» del grano maremmano e delle esportazioni. Si veda anche D. MARRARA, Storia istituzionale della Maremma senese. Princìpi e istituzio- ni del governo del territorio grossetano dall’età carolingia all’unifi cazione d’Italia, Siena, Società sto- rica maremmana 1961, p. 243 e I. IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale: Amiata e Maremma Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 179

Al più tardi dal 1298 esisteva a Siena già una norma che, nel caso di apertura della tratta (cioè di concessione della licenza di esportazione), fi ssava l’entità della gabella sul grano esportato21. La produzione cerealicola del contado senese, in particolare quella maremmana, era stata tutto sommato suffi ciente ai consumi interni fi no alla metà del XIV, tanto che anche negli anni di carestia il divieto di esportare cereali era bastato, in genere, ad assicurare alla città e al contado il grano di cui c’era bisogno22. Il crollo demografi co di metà Trecento non portò tuttavia, in nessuna parte della Toscana, a quel ribaltamento ancora più favorevole della situazione annonaria che ci si attendeva ovunque, tanto che il cronista fi orentino Matteo Villani segnalava con meraviglia quella che per lui era una incongruenza quando, dopo la peste del 1348, «stimossi per lo mancamento della gente dovere essere dovizia di tutte le cose che lla terra produce» e invece «ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò lungo tempo»23. Il ripopolamento della Maremma rappresentava il chiodo fi sso di Siena almeno dagli anni Sessanta del Trecento24. Nel 1361 per le terre maremmane più fertili la tratta era stata aperta proprio per questo fi ne, “ut hominibus impleatur”: il provvedimento aveva interessato Paganico, Campagnatico, Talamone, Montiano, Montepescali, Grosseto, Ma- gliano e la Marsigliana25. Non tutti, però, erano rimasti convinti che fosse questo il modo migliore per portare uomini in quelle terre. La votazione aveva mostrato che esisteva un’area di opposizione, 54 voti contrari contro 250 favorevoli, ma l’adozione di una linea ‘liberista’ aveva prevalso sui principi protezionistici. Nella seconda metà del secolo la produzione del grano subiva un tracollo anche in Maremma. Nel 1370, a fronte dei dati sconfortanti sulla popolazione - che si diceva pre- cipitata ad un decimo di quella del passato - e di fronte a dati altrettanto sconfortanti sul calo della produzione dei cereali - scesa, si disse, da 40.000 moggia all’anno a 5.00026 - si fi niva per ammettere che i lavoratori se ne andavano dalla Maremma soprattutto perché la tassazione imposta da Siena era iniqua. In quell’occasione era stata varata una prima tranche di esenzioni fi scali della durata di cinque anni. Si era poi stabilito che ogni anno, al momento del raccolto, 3000 moggia di grano maremmano dovessero essere immobiliz- zati nei granai del capoluogo, a spese dei produttori, fi no al maggio successivo quando il Comune di Siena avrebbe preso le sue decisioni: se permetterne la libera vendita oppure

tra il IX e il XX secolo, Parma, La Nazionale 1971 (ora riedito con integrazioni in I. IMBERCIADORI, Studi su Amiata e Maremma, a cura di Zeffi ro Ciuffoletti e Paolo Nanni, Firenze, Accademia dei Georgofi li, Società editrice fi orentina, 2002), pp. 44-101. 21 BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena cit., p. 73 22 PINTO, La Toscana cit., p. 140. 23 “Come si stimò dovizia, e seguì carestia”: M. VILLANI, Cronica, con la continuazione di Filippo Villani, a cura di Giuseppe Porta, Parma, Guanda, 1995, vol. I, pp. 17-18 (I, 7). 24 Dati sul calo di popolazione in Maremma relativi al 1361, 1362, 1365 in PICCINNI, I “villanni incittadinati” cit., p. 199. 25 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., pp. 93-94. (ASS, Statuti di Siena 32, cc. 70-71v.; Concistoro 2111, c. 9 e sgg. 26 ASS, Consiglio generale 180, c. 94, citato da I. IIMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 95 e da PINTO, La Toscana cit., p. 148. 180 Gabriella Piccinni trattenerlo presso di sé. In questo secondo caso avrebbe pagato un prezzo che assicurava idoneo e giusto, ma – ahimé - fi ssato unilateralmente dagli Uffi ciali senesi del Biado. Per il restante del raccolto la tratta veniva aperta, dietro il pagamento di una gabella di espor- tazione di 1 fi orino al moggio27. Il provvedimento non era stato suffi ciente - e come avrebbe potuto esserlo!- per risollevare le sorti demografi che delle terre di Maremma, che nel 1373 lamentava anche una “magna carestia” di buoi da lavoro28. Nello stesso anno una nuova commissione di esperti aveva riferito dati agghiaccianti. La popolazione maschile adulta della Maremma era scesa da 10.000 a 2.000 unità. Il grano seminato ogni anno era calato da 2.000 moggia a 400 (dunque più o meno si ripetevano i dati di tre anni prima relativi al grano raccolto); il raccolto del solo distretto di Grosseto da 10.000 a 300 moggia. Anche in questo caso la commissione ispirava la sua azione a principi liberistici, che ribadiva con insistenza e convinzione. Infatti essa attribuiva la colpa di tutti questi disastri alla chiusura della tratta, al fatto cioè che quei proprietari che facevano coltivare le terre non potevano poi disporre liberamente del relativo raccolto. Dunque alle politiche protezionistiche si attribuiva la rovina della Maremma perché senza uomini non c’era lavoro e senza lavoro non c’erano grano né carne, e gli artigiani non guadagnavano dai commerci tra Siena e Maremma29. Gli interessi dei produttori maremmani coincidevano, oppure come coincidenti erano pre- sentati, con quelli dei commercianti senesi. Tre anni dopo, nel 1376, la situazione era ancora critica e irrisolte le oscillazioni tra principi protezionistici sul lungo periodo e frequenti politiche di liberalizzazione. In quell’anno si procedette, dunque, a dare in appalto la rendita delle gabelle della Marem- ma, con l’esclusione di quella sui pascoli e sulle saline ma compresa quella sul cereale esportabile. Non era la prima volta, era anzi già successo, ad esempio nel 133230. Siena abdicava, in quelle occasioni e per un certo numero di anni, ad un ruolo-guida nel campo delle politiche annonarie. In cambio il Comune si garantiva una rendita sicura. La tratta continuava ad essere proibita in linea di principio, ma concretamente gli appaltatori ave- vano la piena facoltà di concederla in deroga fi no ad un terzo del totale del grano marem- mano31. La licenza di esportazione avrebbe potuto trasformarsi facilmente in arbitrio, ma non sappiamo se ciò avvenisse.

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Il 25 settembre 1382, dunque, la tratta del grano di Maremma venne di nuovo aper- ta per cinque anni. Il provvedimento fu ratifi cato il 22 dicembre32. Il giorno successivo, 23 dicembre, le questioni del biado tornarono all’ordine del giorno della balìa. Solenni

27 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 95 28ASS, Statuti di Siena 25, c. 48 29 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 95. 30 ASS, Statuti di Siena 23, c. 325; BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena cit., p. 73. 31 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 96-97. 32 Provvedimenti, p. 112. Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 181 affermazioni di principio (“però che chi si parte dall’ordine si parte dall’essere e non può avere lieto fi ne”) furono seguite da ruvide accuse, che “a tucti cictadini è manifesto niuna cosa è facta nel Comune di Siena con tanto poco ordine quanto è il facto del Biado, però che con grandi dampni e vergogna alquanti delli Uffi ciali del Biado passati ànno facto l’Uffi cio del Biado e con grandi spese e danni de’ cittadini”33. Forti della denuncia di “persone degne di fede” i commissari facevano i conti in tasca agli Uffi ciali del Biado ac- cusati di aver sostenuto spese spropositate, arrivando ad un totale di 15.400 lire in un solo mandato34, e deliberavano la riduzione dell’Uffi cio a sole tre persone, più il camarlingo, tutti con divieto di trasferta (se proprio se ne fosse presentata la necessità il governo si riservava di mandare nel contado propri uomini di fi ducia)35. Le “diavolerie”, cioè il malgoverno del territorio messo sotto accusa, rimbalza an- che nelle Cronache. Paolo di Tommaso Montauri, commentando i pagamenti spropositati che venivano fatti alla compagnia dell’Acuto, scrive: “E gli uffi ziali del biado di Siena vedendo come la cosa andava cominciorno a robare li citadini e forzare e mettere grano ne’ canpi e torlo per forza e condanare senza cagione li cittadini e fare mettare denari nel ceppo, poi l’aprivano, partivano fra loro, e metevano nelle loro borse; e féro diavolerie d’ottobre e novenbre [1383]”36. E ancora, nel 1384 “l’ufi tiali del biado che erano 6 furno levati da esso ufi zio a dì XV di novembre per le ribalderie che facevano”37. In questa nuova seduta la licenza di esportare si confermava come ‘grazia’, cioè come eccezione concessa di volta in volta all’interno di un orizzonte teorico protezioni- stico al quale si continuava invece a riferirsi come il solo legittimato a garantire l’abbon- danza di grano, proteggere le popolazioni e arginare la fame: gli uffi ciali e il camarlingo del Biado avrebbero eletto un bargello forestiero che, con dieci fanti e due cavalli, “in- tenda solicitamente e cura abbia ch’el grano e biado non si tragga del contado di Siena; e intorno a l’autre cose, acciò che sia abondanza di grano e di biado ne la città e contado di Siena”38. L’apertura della tratta era certamente un segno della pressione degli interessi dei commercianti e dell’urgenza degli interessi dell’erario ma presupponeva anche un equili- brio soddisfacente tra produzione e bisogni annonari interni. Diversamente il sistema non avrebbe retto. Ma la contraddizione tra le delibere delle due sedute (la prima, quella che bandiva l’apertura della tratta, e la seconda, quella che ribadiva i principi protezionistici) era troppo palese perché potesse rimanere nascosta nelle pieghe di una normale dialettica politica. Nello stesso giorno la balìa dava spazio ad un’importante precisazione che svela qualcosa di un’altra dialettica, quella tra le varie aree del vasto territorio senese, mettendo

33 Provvedimenti, pp. 114-115 34 Si tratta di 2.800 lire di viaggi, 2.500 per il seguito, 5.900 per i bargelli, 3.200 di salari, 1.000 si spese straordinarie, per un totale di 15.400 lire 35 Provvedimenti, pp. 115-116. 36 Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri, in Cronache senesi cit., p. 699. 37 Ivi, p. 705. 38 Provvedimenti, p. 116-117. 182 Gabriella Piccinni in evidenza la volontà politica del Comune di Siena di controllare i fl ussi di prodotti tra di esse. Le esportazioni del grano maremmano, quando fosse aperta la tratta, sarebbero state possibili soltanto se il grano fosse partito per destinazioni lontane almeno certo miglia dalla foce (si suppone dell’Ombrone)39. Inoltre era esplicitamente vietato mettere in moto un fl usso commerciale opposto, cioè portare grano dalle altre parti del contado di Siena verso la Maremma. Insomma solo il grano prodotto in Maremma poteva essere esportato mentre non poteva esserlo, anche se per ipotesi dirottato in Maremma, quello prodotto nelle aree più vicine alla città che erano poi anche quelle dove dominava già l’agricoltura mezzadrile e poderale, con la connessa tendenza all’autoconsumo delle famiglie del la- voratore e del proprietario. Il granaio senese, perciò, quello che davvero rendeva sul mercato, era ancora la Maremma, per rovinata che essa fosse dalle “diavolerie” e “ribalderie” degli uffi ciali corrotti e disonesti40. Le “terre di Maremma” nel 1398 vengono chiamate il “paese di Ma- remma”, un paese con al centro la città di Grosseto, un reame di frutti copiosi se fosse, e fosse stato in passato, ben amministrato: “el più alto et più rilevato et più degno che abbi la nostra città et di maggior fructo, et quasi si può dire essere un reame, et quello che può dare richeza et abondanza et tesori a la nostra città più che niuno altro, quando fusse ben governato e ben custodito; e come le cose si sieno andate per li passati, per negligentia sono dovenuti quasi sterili et inculti; et de le cose che noi dovremmo cavare larghi fructi et provencti, noi largamenti vi mettiamo de la pecunia del nostro comune; et questo si vede manifestamente essere vero, con ciò sia cosa che la terra di Talamone costi l’anno per la guardia 1800 fi orini o più, et anco ne sia mal guardata; et similmente si veda la terra di Gioncarico et l’altre terre per essere abandonate, non si provede; et veggasi molte altre terra poterle assai bonifi care et sanifi care, et maximamanete la città di Grosseto, per la quale essa e l’altre terre verranno a essere più habitate, tenendo e’ modi che si potran- no habilemente”. L’obiettivo degli interventi di quell’anno (che avrebbero interessato soprattutto le infrastrutture viarie) era l’ “amplifi camento d’esse lavoriere che è quella cosa che può dare abondanza, richeza et buono stato ne la nostra città””: solo questo al- largamento dei coltivi avrebbe trasformato davvero il paese di Maremma in un “reame”. Dunque fi no a quel momento lo spopolamento di Maremma, che portava con sé la sottoutilizzazione delle grandi lavoriere del grano, era stato attribuito, secondo i momenti e le contingenze, a varie responsabilità: alle politiche protezionistiche e alla chiusura del- la tratta del grano, alla tassazione iniqua, ai funzionari corrotti, alle infrastrutture inade- guate, alle strade insicure. Basti per tutti la motivazione con la quale nel 1324 il consiglio generale di Siena aveva dato mandato al governo di intervenire sulla sicurezza delle stra- de: “quod in caminis et stratis Marithime et in ipsa contrata Marithime multe violentie, robbarie et personales offensiones commisse sunt hiis diebus et cotidie commictuntur ac etiam inferunt et fi unt tam civibus et comitatinis senensibus. Quam etiam aliis hominibus per dictas stratas, caminos, contratas Marithime transeuntibus per quosdam malandrinos,

39 Provvedimenti, pp. 121-122. 40 Vedi supra. Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 183 predones et bacaroçços qui in tantum in illis partibus multiplicati sunt et eorum fautores et receptores quod quamnulla persona per ipsam contratam seu ipsum paesem potent transire secure”41. ‘La storia ci dice poi come fi nì la corsa’, cioè con l’enfatizzazione della voca- zione di pastorizia, attraverso la riconversione dalla cerealicoltura alla transumanza di molte terre demaniali povere di braccia42, e parte della Maremma abbandonata al suo cronico spopolamento e alla malaria43. L’organizzazione delle dogane, costituite con le terre demaniali44 e con i diritti di pascolo sull’incolto nelle terre comuni, riduceva l’accesso della popolazione locale alle terre di uso comune, una risorsa importantissi- ma per l’economia locale, a vantaggio dell’erario senese che incassava i proventi del passaggio dei bestiami. Ma la Maremma era, ed è, grande e varia. Un reame, appunto. Il primo intervento organico per sfruttare al meglio i suoi pascoli aprendoli a tutti i pastori e non limi- tandone l’uso ad un numero ristretto di persone, e tariffando i passaggi (“pro pascuis Marittime”) era stato nel 1353. Già da quel primo intervento ci si attendeva una catena di vantaggi di carattere generale che riguardavano anche l’abbondanza di carne e garan- tivano gli interessi dei commercianti, l’abbondanza di concime per le lavoriere e l’au- mento della produttività, la maggiore redditività della tratta del grano, la sicurezza della Maremma. La visione politica, insomma, nel 1353 ambiva all’equilibrio degli interessi. Nell’orizzonte politico del governo non c’erano solo i commercianti di grano; non solo i commercianti di carne; e nemmeno solo gli interessi dell’erario o solo quelli del po- polo senese. Sul tavolo c’era un progetto ambizioso e generale che prevedeva insieme l’aumento della disponibilità delle carni, l’incremento della produzione dei cerali e del- le esportazioni; più sicurezza, più popolazione. Si legge infatti che “seguiranno molte più utilità: in prima che a la cità ne seguirà grande abondanza di carne [...]; anche per lo molto bestiame che vi stabiarebbe l’avare si farebbero molto lavoriere, e molto biado vi farebbe più che non vi fa; sì che la tracta del grano non varrebbe di meglio molto più;

41 ASS, Consiglio generale 101, cc. 147v-148. Sull’insicurezza delle strade maremmane e dei dintorni di Roma G. CHERUBINI, Appunti sul brigantaggio in Italia alla fi ne del Medioevo, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, I, Medioevo, Olschki 1980, pp. 103-133 riedito in IDEM, Il lavoro, la taverna, la strada. Scorci di Medioevo, Napoli, Liguori Editore, 1997, pp. 141-171 e la bi- bliografi a da lui citata sulle aree infestate dai briganti. In generale sulla sicurezza della Maremma REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 146-147. 42 Fino al 1349 alcuni terreni di proprietà del Comune di Siena posti a Sasso di Maremma erano stati affi ttati per la coltivazione dei cereali: ASS, Consiglio generale 145, c. 12 v. 12 agosto 1349. Così pure le terre demaniali di Montemassi erano non coltivate perché gli affi ttuari erano calati da 220 a 50 nel 1353 Consiglio generale 153 cc 16-16 v. 26 luglio 1353; PICCINNI, I “villani incittadinati” cit., pp. 198-199. 43 Sintetizza alcune testimonianze sparse sulla malaria maremmana nel Trecento e Quattrocento REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 158-159. 44 Per le proprietà del Comune di Siena nel 1430 vedi D. CIAMPOLI, Le proprietà del Comune di Siena in città e nello Stato nella prima metà del Quattrocento, in Siena e il suo territorio nel Rinascimen- to. Documenti raccolti da Mario Ascheri e Donatella Ciampoli, Siena, Il Leccio, 1990, pp. 1-43. 184 Gabriella Piccinni e la Maremma ne sarebbe molto più secura pelli molti pastori che vi sarebono; e molte più utilità ne seguirebbono”45. Diamo ora uno sguardo in avanti, quando, a cavallo tra i due secoli, non solo in Maremma ma in più aree d’Europa e d’Italia, sovrani e città svilupperanno la transu- manza dei bestiami forestieri nei latifondi demaniali, gestendo un complesso intreccio di rapporti, economici e di potere, con i signori e con le comunità contadine: si organizze- ranno, o meglio si riorganizzeranno, oltre a quella maremmana (1419, ma preceduta da un intervento del 1353), la Dogana della Campagna romana (1402), quella del Tavoliere (1443-1447), quella sarda46. La Maremma, nel 1405, verrà esplicitamente descritta come l’area della Toscana più ricca di bestiame47. Pochi anni dopo, nel 1419, quella dei pascoli maremmani sarà valutata come l’entrata “che gitta quasi magior frutto et utilità alla co- munità et singulari persone della città et contado di Siena che niun altra”; ma siccome sarà anche “male proveduta et exercitata perché paschi so’ stati mal guardati” e perché “chiunque mette bestie ne’ detti paschi vuole fare a suo comodo”, il Comune di Siena provvederà ad approvare lo Statuto della dogana dei paschi. Si tratta di un testo unico di riorganizzazione della normativa, che risulterà ormai composta da “infi nita statuta et ordinamenta super dogana pascuorum comunis Senarum ex quibus multa sunt superfl ua,

45 ASS, Consiglio generale 152, cc.33v.-34. Altri provvedimenti per le tariffe della transumanza verso la Maremma erano stati presi nel 1338, ASS, Consiglio generale 122, cc. 22-23v. Nel 1361 Balia sull’aumento die pascoli presso il fi ume Albegna ASS, Consiglio generale 167 c. 25. Pascoli a Batignano e rapporti con il Comune 1365 ASS, Consiglio generale 172 cc. 36v.-37v. 46 Alcuni suggerimenti bibliografi ci su questo vasto tema di portata europea: E. SERENI, Agricol- tura e mondo rurale, in Storia d’Italia, I, Torino, Einaudi 1972, pp. 136-252:198-200; G. CHERUBINI, Ri- sorse, paesaggio ed utilizzazione agricola del territorio della Toscana sudoccidentale nei secc. XIV-XV, in Civiltà ed economia agricola in Toscana cit., pp. 91-115:112-115 (ora riedito in ID., Scritti toscani. L’urbanesimo medievale e la mezzadria, Firenze, Salimbeni 1991, pp. 219-239); J. C. MAIRE VIGUEUR, Les pâturages de l’Eglise et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV-XV siècles), Roma, Istituto di Studi Romani 1981; A. CORTONESI, Colture, pratiche agrarie e allevamento nel Lazio bassomedievale: testimonianze dalla legislazione statutaria, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CI, 1978, pp. 97-219. I. IMBERCIADORI, Il primo statuto della Dogana dei Paschi maremmani (1419), «Archivio Vittorio Scialoia per le consuetudini giuridiche agrarie» , V, 1938 ora in ID., Per una storia della società rurale. Amiata e Maremma cit., pp. 107-140; R. LICINIO, Uomini e terre nella Puglia medievale. Dagli Svevi agli Aragonesi, Bari, Edizioni del Sud, 1983, p. 169; D. MUSTO, La regia dogana della mena delle pecore di Puglia, Quaderni della rassegna degli Archivi di Stato, Roma, 1964; M. DEL TREPPO, Agricoltura e transumanza in Puglia nei secoli XIII-XVI: confl itto o integrazione, in Agricoltura e trasformazione dell’ambiente. Secoli XIII-XVIII, Atti dell’XI settimana di studio dell’Istituto di storia economica «Francesco Datini» di Prato, a cura di Annalisa Guarducci, Firenze, Le Monnier 1984, pp. 455-460; U.G. MONDOLFO, Agricoltura e pastorizia in Sardegna nel tramonto del feudalesimo, «Rivista italiana di sociologia», VIII, 1904, pp. 445 sgg.). Un quadro mediterraneo in La pastorizia mediterranea, Storia e diritto (secoli XI-XX), a cura di Antonello Mattone e Pinuccia F. Simbula, Roma, Carocci, 2011. Sull’organizzazione della dogana di Maremma nel XIV secolo Davide Cristoferi ha in corso la ricerca per la sua tesi di dottorato. 47 ASS, Consiglio generale 207, c. 259. Per la conoscenza die problemi del mercato senese della carne V. COSTANTINI, «Carnifi ces sive mercatores bestiarum»: i macellai senesi tra lavoro, affari, rivolte (metà XIII-metà XIV secolo), tesi di dottorato in Storia medievale, Università degli Studi di Siena, aa. 2012-2013. Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 185 inania et obscura et aliqua ad invicem contraria et aliqua iniusta, indebita et male compo- sita et facta”. E’ così che verrà rilanciata la Dogana “quasi che rotta”48. Quello statuto quattrocentesco di primo acchito sembrerebbe la presa d’atto del fallimento delle politiche per incentivare la produzione di cerali. Eppure misure in favore della cerealicoltura maremmana continueranno ad essere adottate a più riprese dal 1412 in poi49 e alla Maremma si continuerà a guardare come terra capace, pur in mezzo alle tante diffi coltà, anche di rifornire i granai del popolo di Siena e di esportare grano50. Nel 1442 un certo Domenico di Silvestro da Magliano detto Cetona chiede al Comune di Siena la concessione di un mulino sull’Albegna, allora abbandonato e secco ma che pare abbia la bellezza di 150 anni, del quale vuole riattivare la gora e le fosse, perché non gli fa paura il lavoro, come sanno tutti, e perché lui vuole fare la sua parte per migliorare il terribile ambiente maremmano e far regredire l’inselvatichimento, veder diminuire il numero degli animali salvatici, e consentire ai produttori di grano di non andare più a ma- cinare lontano, a Campagnatico e Montemerano. Lo vuol fare, dice con orgoglio, perché desidera “lassare qualche fama di sé”51. Nel 1484, infi ne, quando il Comune decreterà l’apertura della tratta, lo farà dichia- rando la certezza che “entrerà in città vostra un giubileo di denari”52.

* * *

Veniamo all’ultimo punto della nostra piccola ricostruzione. Nelle sedute di di- cembre 1382 all’attenzione della balìa arrivavano anche una serie di problemi che oggi chiameremmo di welfare. Occorreva infatti che “a’ poveri e bisognosi si sovvenga del grano del comune di Siena”. Si affi dava perciò agli Uffi ciali del Biado il compito di individuare, tra coloro che erano allirati nella città, delle fasce protette, stilando elenchi nominativi, e di calcolare le necessità annuali di grano per ognuno53. A costoro poteva es- sere venduto mensilmente fi no ad un massimo di uno staio di grano a testa dei componen- ti della famiglia (“per bocca”), ad un prezzo scontato fi ssato dagli Uffi ciali stessi. Quel prezzo doveva essere inferiore ad un sesto di quello pagato dal Comune, comprensivo delle spese (dunque di trasporto e stoccaggio). La balìa prendeva poi in considerazione il resto del grano del Comune che veniva venduto sul mercato del Campo54. Queste le valutazioni, ancora una volta presentate in serrata concatenazione. Prima della riforma il prezzo di vendita del grano del Comune era di 15 soldi lo staio, e il Comune ci perdeva già circa 6 soldi a staio; i panettieri ne face-

48 IMBERCIADORI, Il primo statuto della Dogana dei Paschi cit., pp. 122-123. 49 ASS, Statuti di Siena 39, cc. 7-7v. 50 PINTO, Città e spazi economici cit., p. 90. 51 ASS, Concistoro 2148, c. 44. 52 “Stante la monitione ferma et la tracta per aqua aperta […] entrerà in città vostra uno giubileo di denari”, citato da M. GINATEMPO, Motivazioni ideali e coscienza della ‘crisi’ nella politica territoriale di Siena nel XV secolo, “Ricerche soriche”, XIV (1984), pp. 291-336. 53 Provvedimenti, p. 118 54 Ivi, p. 119 186 Gabriella Piccinni vano poi del pane che vendevano a ben 3 lire lo staio, cioè quattro volte tanto; per questo tanti speculatori forestieri giungevano sul Campo per acquistare questo grano senese così conveniente e portarlo fuori. Il prezzo di vendita del grano comunale dunque era troppo basso, il Comune ci scapitava e, conseguenza inevitabile, il debito pubblico aumentava e occorrevano nuove imposte per farvi fronte (“per la perdita poi si conviene di necessità ponere le preste a’ cittadini”). Già, imporre le preste. Non si trattava di una questione indolore. Maria Ginatempo ha ben spiegato come lo Stato si dotasse di liquidità attingendo al risparmio privato ma coercitivamente, mediante prestiti forzosi che per una parte cospicua dei contribuenti (cioè per i ceti inferiori) equivaleva ad una imposta diretta, perché molti erano costretti a pagare «a perdere» (accettando cioè di versare somme minori dietro la rinuncia agli interessi); mentre per l’altra parte dei contribuenti (cioè per l’ élite mercantile-imprendi- toriale e anche per fi gure minori che operavano nella piccola intermediazione fi nanziaria) equivalevano a una compartecipazione all’azienda-Stato ed erano insieme un oggetto di speculazione55. Sta di fatto che “per le preste et gravezze superfl ue – scrivono i nostri – spesse volte li stati si perdono e le città vengono meno”. Concetto che i senesi avevano già elaborato ventisette anni prima, nel 1355, quando avevano argomentato che l’abuso del ricorso ai prestiti forzosi produceva odio sociale (“clarius videntes quod prestantie que sepius imponuntur civibus civitatis Senarum hodium generant potius quam amorem ex natura ipsarum”)56. E, del resto, ricordiamo quella che era stata il mandato che la balìa aveva ricevuto dal Comune: trovare soluzioni senza aumentare le imposte. Operazione complessa, per la quale Dio e i santi “concedino gratia che neuna gravezza s’abbia a po- nere a la città né al contado”. La decisione del 1382, dunque, fatta salva la fascia protetta di coloro tra gli allirati che sarebbero stati iscritti in speciali elenchi dei poveri e bisognosi, prevedeva l’abolizio- ne dello sconto sul prezzo del grano del Comune, che doveva essere venduto allo stesso prezzo con il quale il Comune stesso lo aveva comprato “sì che d’esso grano non ne perda esso comune né ne guadagni”57. Le spese per l’acquisto di grano venivano anticipate con la metà dei proventi della gabella delle carni macellate. Ma siccome occorreva che il grano fosse abbondante sul mercato ecco che en- trava in ballo il nostro ultimo attore, l’ospedale civico di santa Maria della Scala, nel- la sua veste di granaio della città. L’istituto veniva obbligato a conservare nei propri magazzini ogni anno 1.000 moggia di grano, a disposizione degli Uffi ciali del Biado. Il prezzo che il Comune avrebbe pagato per quel grano sarebbe stato quello praticato sul mercato al momento della consegna, ma è evidente che l’immissione di tale forte quantità avrebbe avuto comunque una funzione calmieratrice.

55 M. GINATEMPO, Prima del debito. Finanziamento della spesa pubblica e gestione del defi cit nelle grandi città toscane (1200-1350 ca.), Firenze 2000, p. 17 56 Dal regolamento per la nuova Lira in ASS, Statuti di Siena 31, cc. 2-3, edito in Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del comune di Siena dal 1354 al 1369, a cura di J. Luchaire, Lyon-Paris 1906 p. 35, 16 ottobre 1355. 57 Provvedimenti, p. 120 Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 187

Il rapporto tra il grano dell’ospedale e la città di Siena era antico. Basti ricordare un episodio noto, avvenuto durante la grande carestia del 1328-132958, del quale si sono occupati nel tempo Giuliano Pinto studiando il libro del biadaiolo fi orentino Domenico Lenzi e, più di recente, Michele Pellegrini in un bel saggio intorno alla fi gura del rettore dell’ospedale senese Giovanni di Tese Tolomei59. Come era accaduto altrove in Toscana e a Roma, scrive Pellegrini, nella primavera del 1329 anche a Siena il popolo inferoci- to dalla fame «romorò, e corse con furore sul Campo», dove le ultime scorte di grano venivano poste in vendita a prezzi calmierati ma in favore dei soli cittadini ‘allirati’. Il tumulto era nato davanti alle porte dell’Ospedale, quando gli ospedalieri avevano sospeso l’elemosina dei pani, e poi si era allargato verso il Campo. La sommossa era stata seda- ta solo quando il governo, dopo che le milizie del Capitano della Guerra Guidoriccio da Fogliano avevano avuto la peggio, aveva imposto agli ospedalieri di uscire, perché «con buone parole li conducessero a l’ospedale e li contentassero, e così fecero dicendo: ‘Venga ogniuno che lo’ daremo del pane quanto vorrete, e non fate romore, e uno a uno ogniuno n’arà’»60. “Davvero dunque, - scrive Michele Pellegrini - con buona pace dell’o- ro e dell’azzurro che impreziosiscono le pareti della sala del Mappamondo in Palazzo Pubblico, il meno noto Giovanni Tolomei fu in quel frangente, per i Nove, un funzionario al servizio dello Stato ben più prezioso del condottiero che, nell’affresco di Simone Mar- tini, cavalca sereno alla conquista di Montemassi”. Poi, nel 1357 il capitolo dell’ospedale aveva approvato una riforma dei propri sta- tuti che gli consentisse di vendere grano “per pagare le provisioni [gli interessi sui denari in deposito] che ‘i decto Spedale è tenuto di pagare” e aveva presentato una petizione al Comune, chiedendo la licenza ad personam di esportare fi no a 2.000 moggia di grano dai porti della Maremma per venderlo a bolognesi, genovesi e catalani61. Interessante quanto sarebbe accaduto nel 1385, che fu anche l’anno di un nuovo cambio di governo e di rinnovate grandi scorrerie di compagnie di ventura. Il capitolo che governava l’ospedale pubblico deliberava in quell’anno di far fronte alle insistenti richieste degli Uffi ciali del Biado “per certo bisogno che ànno”. Richiesti di garantire una somma importante, gli ospedalieri iniziarono una trattativa con il Comune, ottenen- do dagli Uffi ciali l’assicurazione “che lo spedale non ne ricevarà danno niuno e che lo spedale gli riarà innançi escano d’uffi cio” e, soprattutto, cercando l’accordo su un tetto di

58 Cronaca senese attribuita a Agnolo di Tura del Grasso detta la Cronaca Maggiore, in Cronache senesi cit., pp. 484-485. 59 G. PINTO, Il Libro del Biadaiolo: Carestie e annona a Firenze dalla metà del ‘200 al 1348, Fi- renze, 1978, pp. 319-320 e M. PELLEGRINI, Le «limosine di messer Giovanni». Società, demografi a e reli- gione in una fonte senese del Trecento, in Uomini paesaggi storie. Studi di storia medievale per Giovanni Cherubini, a cura di Duccio Balestracci, Andrea Barlucchi, Franco Franceschi, Paolo Nanni, Gabriella Piccinni, Andrea Zorzi, Siena, Salvietti&Barabuffi editori, 2012, pp. 997-1015, 60 Cronache senesi cit., p. 485. 61 S. R. EPSTEIN, Alle origini della fattoria toscana. L’ospedale della Scala di Siena e le sue terre (metà ‘200 – metà ‘400), Firenze 1986, p. 210. 188 Gabriella Piccinni

2.000 fi orini62. In febbraio il capitolo dell’ospedale aveva discusso di insistenti richieste provenienti dal governo per un prestito più alto possibile per far fronte alle emergenze (“che signori difensori abbiano chiesto più e più volte misser Giovanni et lo spedale che in tanta necessità et bisogno et in tanto pericolo in quanto al presente questa città è, che lo spedale li sovenga di quella quantità di denari al più che possano”). Alla fi ne, “non poten- do fare altro”, aveva prestato 5.000 fi orini, con tutte le garanzie possibili (“con la migliore sicurtà che si può”). Di nuovo simile l’emergenza di luglio, nonostante che il governo fosse cambiato: il capitolo ospedaliero, richiesto ancora una volta di prestare il prestabile (“avendo richiesto lo spedale e’ signori priori che se lo presti quella quantità di denari che lo spedale può”) e ottenuto l’impegno di rientrare della somma entro dieci giorni, deli- berava di proporre al governo un prestito di 100 fi orini (“che se lo presti 100 f.”) ma già rassegnato ad arrivare al massimo fi no a 200 (“che non rimanendo e’ signori contenti a la decta quantità che anco se lo presti CC fi orini”). In agosto il governo chiedeva altri 2.000 fi orini “et promettono di sicurare che essendo tanto caso strecto del Comune et che porti tanto pericolo”, e il capitolo cercava i denari necessari “per pagare la compagna”, 5.063 fi orini che alla fi ne l’ospedale stesso trovò presso un proprio anonimo prestatore. A di- cembre ancora il governo batteva cassa per 200 o anche 300 fi orini ma l’ospedale diceva questa volta di non aver “modo niuno a prestàrlolo”. Il Comune chiedeva poco dopo altri 1.000 fi orini, che accettava di garantire con i proventi futuri della presta o delle gabelle, e nel clima di questa emergenza senza fi ne il capitolo decideva che era arrivato il momento di provare a resistere alle pressioni e a trattare, delegando “quattro frati, e dieno la prima risposta a loro negativa con parole più morbide che possono, mostrando che l’ospedale non avesse e’ detti M fi orini!”. L’ospedale, dunque, rappresentava la riserva di liquidità del Comune e se ne faceva spesso garante. Nei Provvedimenti del 1382 il grano che l’ospedale doveva mettere a disposizione era “per lo popolo di Siena”. E’ chiaro il richiamo alla sua missione istituzionale. Su di essa ho già avuto modo di dilungarmi in altra sede argomentando che i poveri, che tanto spesso comparivano negli statuti ospedalieri come destinatari principali dell’atti- vità d’assistenza, rappresentavano la ragione sociale stessa degli ospedali. E che perciò, lasciare dei beni ‘ai poveri dell’ospedale’ non signifi cava tanto fi nalizzare un lascito alle elemosine; non signifi cava solo individuare, tra i molti bisognosi, la categoria sociale del meno abbiente. Signifi cava riassumere in una sola parola il senso dell’azione ospedaliera. Nei contesti urbani e quando e dove gli ospedali avevano assunto una chiara caratura municipale ciò signifi cava, in una parola, lasciare i propri beni alla gente di una città, a una comunità intera, si potrebbe dire proprio a un popolo, perché con essi quel popolo mettesse in atto una protezione sociale in grado di far fronte alle fasi di debolezza che potevano travolgere i suoi singoli componenti. Nel linguaggio condiviso del bene comune tanto i poveri protetti dall’ospedale quanto i deboli protetti dal Comune sottintendevano la ricerca di una visione globale della società in quanto, nel momento stesso in cui ne

62 ASS, Ospedale 21, cc. 39v., 62, 58, 64, 67. E ancora nel 1384 cc. 68, 74v., 88v., 94v. Nel 1385 cc. 105v., 108v., 109, 122, 122v., 132. Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 189 includevano le debolezze, individuavano l’intera collettività che con la parola poveri ve- niva riassunta nella sua interezza63. Per questo il grande granaio che tuttora si può visitare sotto le volte mattonate dell’ospedale – quello fi sico, non metaforico - era anche il granaio del “popolo di Siena”.

GABRIELLA PICCINNI

63 PICCINNI, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala cit., pp. 26-28. RELATIONS BETWEEN GIOVANNI COLOMBINI, HIS FOLLOWERS AND THE SIENESE “REGGIMENTO CIVILE” (1355 - 1450)*

This paper focuses on the dynamics of the relations between the followers of the Sienese merchant and convert, Giovanni Colombini (subsequently the Congregazione Gesuata) and the “Reggimento Civile”. It will attempt to reconstruct and understand how, during the delicate, early days along its way to institutional legitimization, a charismatic congregation was able to relate with the civil powers of this important city-state at the time when Siena was rocked by violent social and political upheavals. The Jesuates, who strictly observed rules of humility and poverty, deliberately refused all positions in the communal government even though their juridical status as lay/religious rather than clerical was highly appropriate for such duties. Instead they collaborated informally with the reggimento civile, devoting themselves to charitable works both outside and in the hospitals in concert with the confraternity of the Disciplinati dell’Ospedale di Santa Maria della Scala. Since they travelled the same path, gradually forging bonds with the reggimento, the Disciplinati confraternity was fundamental to the development and subsequent strength of the Jesuates in Siena. Indeed, during the fourteenth century, the confraternity acquired an urban scope as it moved beyond the merely parochial and fi rmly lodged itself in the Ospedale Grande di Siena, i.e. Santa Maria della Scala, which in the meantime had passed from episcopal to communal control to become a sort of huge hub and gestore of smaller and more specialized charitable institutions and organizations. In brief, the success of the Sienese Jesuate foundation, that was destined to become the mother house of all the Italian Jesuate foundations, was based on its ability to tie in closely with the world of charitable works at the historic moment that the reggimento civile began identifying it as the tool necessary for maintaining the “good and peaceful state”. At that time, the Republic was redefi ning its relations with the Church in the city under the banner of participating in assistance to the needy, and in a few but macroscopic cases, actually took over the charitable institutions. Evidently these decisions were made in order to achieve and consolidate the social peace needed to maintain the control of political power. The success of the Jesuates in Siena was determined by their choice of the channels for conducting their good works. Indeed, they managed to turn their early diffi culties (they had been banished from Siena in 1363) and the weaknesses of their internal organization into strengths. One such “weakness”, according to the movement’s Constitutiones (1425),

* Si pubblica il testo presentato nel corso del convegno su Religion and Public Life in late Media- eval , University of St. Andrews, 9-11 September 2009.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Relations Between Giovanni Colombini 191 was the distinguishing requirement that each fratre move away from his place of origin to confi rm his status of “stranger and guest”. Finally, the Sienese experience rapidly evolved into a system of managing relations with the political authorities: the rise of other urban Jesuate organizations seems to be in line – albeit mutatis mutandis – with what was happening in Siena between the fourteenth and fi fteenth centuries1.

§ 1 – Siena 1355 Even after the 1348-1351 plague, the Republic of Siena continued to be rocked by extremely serious events. The tensions triggered by the turbulent redefi nition of the political equilibrium compounded the upheavals caused by the disease. Not even the Black Death, that had decimated the population, calmed the social clashes and unrest. Divided into rival factions, each known as a Monte, during the fourteenth century Siena had experienced reverses of fortune that are still evident in the Piazza del Duomo: architectural fragments of the grandiose project to expand the cathedral that was launched but never fi nished, attest to the ambition and failure of a bold and daring a plan for urban “glorifi cation” that continues to astound even today. The Sienese sense of grandeur led to the idea of signifi cantly enlarging the city’s cathedral – from a simple transept to an enormous ecclesia major - but all the plans were laid to waste by the plague outbreak and with it the manifestation of longstanding socioeconomic contradictions. These contradictions had their roots in the unstoppable eclipse of the city that began with the failures of the main banks, the tavole, and at the same time contributed to aggravating it: the prosperous thirteenth century community that was able to act with ease on the international scene had given way to a society that was becoming poorer, politically less adept and increasingly removed with respect to the real dynamics of power on the European “chessboard”. As the economic situation was waning, punctuated by the old families’ loss of prestige and the acquisition of power, money and prestige by the hominess novi, the political balance was strongly pressured by the social dynamics that were manifested through the often violent changes in the leadership of the reggimento. In 1355 the governing group – known as the Monte dei Nove (or the Nine) – succumbed to the aggressive takeover of the Palazzo Pubblico by the rival “party” the Monte dei Dodici (the Twelve) who, when Charles IV entered Italy, unexpectedly revealed themselves as “Ghibelline” which in Siena meant mainly anti-Florentine. Whether the leaders of the Monte dei Dodici had noted even a remote possibility of getting revenge over Florence in seeking imperial support, or if they nurtured the hope of entering the galaxy of the “minor cities”, specifi cally the Pisa-Lucca alliance dominated by Pisa since 1342, that needed closer imperial ties to defend themselves against the detested Florence will be impossible to say until the Republic’s diplomatic activities become the subject of in-depth historical research. In any case, we must remember that those were restless years for all when the uncertain internal situation rendered even more electric by the wavering and

1 Cf. my book I “Pauperes Yesuati” tra esperienze religiose e confl itti istituzionali, Roma, Herder, 2004. 192 Isabella Gagliardi oscillations of Charles IV, was darkened by the shadow of Viscontis whose expansionist ambitions were looming ever closer and greater. Both the oligarchic Nove, and the more “popular” or working-class based Dodici, had embraced similar systems for controlling the city’s equilibrium, in order to guarantee the strength of their respective managements of the res publica. Both the Nove, and the Dodici aimed at governing by eliminating every possible confl ict and adversary, imposing themselves and their many supporters through vendettas, proclamations, exiles and confi scations that would have negative impact on their enemies. The inability of assuring social peace for any substantial period seems to be a trait common to the several factions that succeeded each other in the government. And although the “mad quarrelsomeness” of the Sienese that is strongly emphasized in Florentine chronicles is clearly the fruit of a desire to discredit the enemy, it is equally true that, for a long time the local ruling classes were unable to achieve any point of balance2.

§ 2 – Giovanni Colombini and Francesco di Mino Vincenti It is in the context of this quick sketch that the pauperist and radical conversion of a merchant occurred. Giovanni Colombini, who had previously – and vigorously - colluded with the Monte dei Nove, and whose friendship was not without importance to the group’s economic growth: became the “founder” of the Congregation of the Poor Jesuates3. Sources do not go into specifi c details concerning the contacts between Colombini and the Nove, but we can deduce something from the location of his home which belonged to the vicinìa of the families of that Monte4. Furthermore, it is quite diffi cult to determine if and to what extent the tragedy of the plague and then the personal consequences of the Sienese socio-political upheavals infl uenced his decision to abandon the secular life. What is certain is that Colombini was not the only person in mid-fourteenth century Siena to feel a driving need to turn to God. During that same period illustrious Sienese launched the Olivetan reforms, while at Lecceto Giovanni da Salerno, the spiritual heir of Simone da Cascia, and Guglielmo Flete, were leading throngs of Sienese faithful in the quest for spiritual comfort and consolation. In the meantime, the cloisters of the Certosa di Maggiano, founded by Cardinal Petroni of Siena, opened their doors, so to speak, to

2 W. M. BOWSKY, Medieval Citizenship: the individual ant the State in the Comune of Siena, 1287- 1355; in Studies in Medieval and Renaissance History, University of Nebraska, University of Nebraska Press, t. 4, 1967, pp. 193-243; Id., A Medieval Italian Commune: Siena under the Nine, University of California, University of California Press, 1981; M. Ascheri, Un Comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355, Bologna, il Mulino, 1986. 3 Giovanni was very rich, but not noble as we can see from the permit to bear arms granted him by the reggimento on 18 December 1336, Archivio di Stato di Siena (hereinafter A.S.S.), Biccherna. Libro d’Entrata e d’Uscita, a. 1336, c. 18v. 4 There should still be a small chapel (with a fresco by Nasini depicting the miracle of the leper) dedicated to the Blessed Giovanni in Colombini’s home that is located on what is now Via di Città. I was not able to see the chapel, but I cite the most recent reference to its existence: A. LIBERATI, Chiese, monasteri, oratori e spedali senesi, “Bullettino Senese di Storia Patria” (hereinafter B.S.S.P), XLIX (1942), pp. 268-279, p. 278, note 6. Relations Between Giovanni Colombini 193 the guidance of souls (de facto and not de iure): Pietro Petroni, a relative of the founder, established himself as the spiritual leader, maintaining ties with a host of famous fi gures that included Giovanni Boccaccio. Following his conversion, punctuated by spectacular public acts of penitence that Colombini performed in places where he had enjoyed honours or privileges (the Palazzo Pubblico, Piazza del Campo, etc.), he joined the confraternity of the Disciplinati dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, to become councillor in 1358 and then prior in 13595. Colombini opted for the confraternity that was active in the Ospedale Grande partly because he felt called to help the poor and unfortunate (his father had previously established a small hospital at ) and partly because members of his own, upper- middle. social class chose it. He had, in the meantime, been joined by his dear friend Francesco di Mino Vincenti. Francesco shared all of Colombini’s ideals and followed in his footsteps, from the ascetic life to joining the confraternity of the Ospedale di Santa Maria della Scala. Vincenti was an aristocrat and had held several positions for the Monte dei Nove: as “console di mercanzia”, as consultant and as ambassador6. The two men quickly attracted a following of Sienese who wanted to change their lives in the name of Christ and this group initially called itself the brigata de’ povari, [company of the poor] with the clear intention of overturning the values of the famous brigata spendereccia that had amazed Sienese society with its lavishness. Colombini’s brigata was dedicated to penitence and prayer; it cared for the sick and dying, followed funeral processions and walked through the streets of Siena loudly blessing the name of Jesus Christ and singing hymns of praise. The povari, who “imitated the naked Christ” quickly created a spiritual milieu where we fi nd the Carthusian monk Pietro Petroni di Maggiano7, the Augustinians Paolo da Asciano and Girolamo da Siena, the preaching friars Cristofano Biagi and Giorgio di Naddo, and the nuns from the Benedictine convent of Saints Abbondio and Abbondanzio whose abbess, the aristocrat Paola Foresi, became Colombini’s spiritual daughter and mother as we learn from the many letters that have survived. These were outstanding fi gures in Siena; the brigata comprised men of noble lineage (Vincenti, Marescotti, Buoninsegna, Piccolomini, Gallerani and Guelfaccio) or members of the tavole8. Around 1361 Colombini convinced his young cousin, Caterina, to follow his

5 Le lettere del B. Giovanni Colombini da Siena, pubblicate per cura di Adolfo Bartoli” (hereinafter Le lettere), Lucca, Tipografi a Balatresi 1856, p. 59. 6 G. PARDI, Il Beato Giovanni Colombini da Siena, “Nuova Rivista Storica”, XI (1927), fasc. IV, pp. 286-336, p. 300; A.S.S, Deliberazioni del Concistoro, Spogli ms. 10, resolution of 28 October 1351 with which Francesco di Mino was sent to Perugia as ambassador. 7 Furthermore, Giovanni Colombini and the povaro Niccolò di Mino Vincenti became very close with Petroni and, upon his death they wrote a biography (Vita) which has since been lost. 8 The names of the early Jesuates : Niccolò di Mino Vincenti, brother of Francesco, Bartolommeo, Alfonso and Bindo Piccolomini, the son of Niccolò di Nerdusa, Francesco di Girolamo da Siena, Fazio Gallerani, Spinello Buoninsegna, Giovanni d’Ambrogio, Gualtieri di Piero, Giovanni di messer Niccolò Marescotti, Ambrogio di Giuccha, Matteo di Meglioruccio, Domenico di Guido, Cecco called Boccia (who usually played the viola to accompany the singing of hymns of praise), Vanni and Domenico da , Tommaso di Guelfaccio, Barna da Siena( Le lettere, passim). 194 Isabella Gagliardi example, but based on the penitent, communal life and helping the needy. Other women, all related to the povari, joined her: Simona di Ristoro di Fazio Gallerani, Giovanna del fu Francesco di Mino Marescotti, Francesca d’Ambrogio, sister of Giovanni d’Ambrogio and, later, Petra di Pietro9. They called themselves pauperes mulieres jesuistes, and in 1373 withdrew to a house in the Vallepiatta district near the Ospedale di Santa Maria della Scala, where they led a pious life; later they donated the house to the nuns of Saints Abbondio and Abbondazio10. The povari were banished from Siena in 1363. We do not know the reason for this because the pertinent documents have not been found, however it would seem logical to assume that the leaders of the reggimento feared both group’s members and its former political alliances11. There were many former members of the Nove in the brigata: Francesco di Mino Vincenti, Giorgio Luti, Giovanni d’Ambrogio. So, it may be that the conversion served to cloak a conspiracy to restore the Nove to power. Furthermore, the reggimento was wary and suspicious12 and the brigata de’ povari, did in fact belong to the faction that had been defeated but never resigned itself to inertia13. Even though the members included infl uential fi gures (the governor of Santa Maria della Scala, many clerics, notaries, doctors, and merchants) they were unable to block the government’s decree. The brigata left Siena, determined to wander, entrusting themselves to Divine Providence. The decree of banishment was repealed almost immediately: Colombini was back in Siena in 1364 to sign the document donating the Ospedale di Uopini, which he had established. to the Confraternità dei Disciplinati14. He

9 PARDI, Il Beato Giovanni Colombini da Siena, pp. 313-314. 10 Ibidem. On the female Jesuates see: G. DUFNER, Geschichte der Jesuaten, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura Religiosa, 1975, pp. 405-418; R. GUARNERI, Gesuate, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Milano, Edizioni Paoline, t. 4 (1977), pp. 1114-1116; A. LIBERATI, Le gesuate di Vallepiatta (Siena), “B.S.S.P.”, IV (1933), pp. 411-418. 11 See G. PARDI, Della vita e degli scritti di Giovanni Colombini da Siena, (B.S.S.P.), II, (1895), pp. 1-50, p. 27. The chronicler Giugurta Tommasi explains the banishment as follows: Non mancò il nemico dellhumana natura dopporsi al santo proponimento di questi nuovi cavalieri di Cristo, onde è da Signori Dodici furono banditi”; were banished from Siena on the pretext that too many people were following them, and other considered them heretics. But, when the truth fi nally came to light their vocation was approved by the Pontiff and Giovanni lived a saintly life, performing many miracles and after his death he was included among the Blessed”, GIUGURTA TOMMASI, Storie di Siena, Deca seconda, vol. I, Libri I-III (1355-1444), intr. trasc. e indice dei nomi a cura di M. De Gregorio, Siena, Accademia senese degli Intronati, 2002, p. 67. 12 During their evangelizing pilgrimages the povari found hospitality in the “hospitals”, among “good and rich citizens”, and “compagnie di Battenti”, Le Lettere , p. 16, p. 24. 13 G. PARDI, Della vita e degli scritti, pp. 1-3; A. BENVENUTI, “In castro poenitentiae”: santità e società femminile nell’Italia medievale, Roma, Herder, 1990, pp. 435-436. 14 The donation of the small hospital was part of a larger gift: on 13 July 1364, the notary Filippo di Niccoluccio, wrote “Ioannes Petri Columbini, titulo donationis inter vivos dedit et donavit Rectori Societatis Virginis Marie de Senis … hospitale suum cum terdecim lectis fornitum, positum a Uopini prope Senas ut manteneant ibi Rectorem ad pauper et infi rmorum ad dictum hospitale confl uentium … item possessiones sitas, positas a Uopini, cun domibus, terra et vinea, bosco et prato positis in contrata dicti Uopini … item pro indiviso casamenti sui, quod habitat, cum conditione quod debeat societas vendere monasterio SS. Abundi et Abundantii, convertendo pro bono et utilitate pauperum dicti hospitalis Relations Between Giovanni Colombini 195 did not remain in the city since he preferred to join his group and wander through the areas that are now Tuscany, Umbria, Lazio and the Marches, gaining new members and new, prominent supporters such as Boso Ubertini, Ordinary of the Diocese of Arezzo and Buccio Bunori, bishop of Città di Castello15. In 1367 the brigata reached Toscanella (near Viterbo) where it met with Pope Urban V who reviewed it16. On that occasion the povari, who had aroused the suspicions of the cardinals in the pope’s retinue, had already re-established good relations with the reggimento. Through the intercession of the Benedictine nuns and the Disciplinati they succeeded in obtaining letters of reference that were well accepted by the curia (for example, from Francesco Bruni17). Having obtained the papal placet, vivae vocis oraculo, the povari returned to Siena (1367), but Giovanni Colombini died during the journey and was buried in the monastery of Saints Abbondio and Abbondanzio.

§ 3 – The “benefi ce” of the Disciplinati and the Jesuates The Jesuates re-entered the city dressed in the white habits that the pope had granted them as his sign of approval18. They did not have a place to live, but were helped by the vicinìa of the Monte dei Nove19. In 1368, thanks to the good offi ces of the Disciplinati, they were given the church, oratory and convent of San Girolamo from Giovanni di ser Gano da Orvieto, a Guglielmite and abbot of Sant’Antimo near Montalcino20. At the same time, the Disciplinati were expanding the organization’s charitable network: after the Ospedale di Uopini, they took charge of another small, local hospital-

… item duas partes terre pro indiviso unius domus predicte in castro S. Ioannis ad Assum” cedette infi ne anche tutti i crediti contratti durante l’esercizio della mercatura “jura praestantiarum suarum, item iura contra personas, quae eidem dare deberent, eidem pro traffi co, quod habuit cum domino Thommaso Columbini et cum Blasio Bernardi” and added all the household goods that were on the property to which they were entitled. The document is transcribed in L. DE ANGELIS, Capitoli dei Disciplinati della Venerabile Compagnia della Madonna sotto le volte dell’I.E.R. Spedale di S. Maria della Scala, Siena, Tip. Onorato Porri, 1818, p. 81. The donation was entered on that date by the confraternity’s notary, Siena, Archivio delle Pie Disposizioni, ms. Provv. 229, fol. 3r. 15 Le lettere, pp. 60-61. 16 Clara Gennaro’s considerations on the brigata, specifi cally the ties with Brunori and Ubertini and on the need for legitimization as expressed by the povari are very appropriate, Giovanni Colombini e la sua “brigata”, “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo”, 81 (1969), pp. 237-271. 17 Ivi, pp. 96-97. 18 The tradition dates from the fi fteenth century and is mentioned in the Belcarian hagiography, but it survived through the entire duration of the congregation, see for example P. MORIGIA, Historia dell’origine di tutte le religioni, Venezia, presso Fabio e Agostino Zoppini, 1581, p. 23. 19 “Priusquam locum eorum strueretur accedebant, ministrabant alimenta apud Joannis domum illi se curabant recipere, in eaque hospitabantur animo libenti, etenim domus illa Sene in regione civitatis angiportui qui est inter Palatium Bartolomei Massani iurisconsulti et edes Nobilium de Collecchio qui Novarii sunt e regione opposita a leva ad Posterulam tendentibus, quam in ea tempestate burgesi familie Nonarii incolebant Iohannis parentes”, SIGISMONDO. TIZIO, Historiarum Senensium, Siena, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. B.III.9, fol. 306v. 20 The notarized document is dated 25 October 1368 and the notary was Antonio di Giovanni, A.S.S., Conv. Soppr. 2067, fol. 137r, I. UGURGIERI, Fasti sanesi, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, ms. A.IV.23, c. 273r/v; according to Girolamo Macchi, archivist of the Ospedale di Santa 196 Isabella Gagliardi xenodochium at Pian dei Mantellini21 (probably named after Our Lord Jesus Christ22), and they continued bringing into their fold other small confraternities specialized in ad status aid, and semi-religious communities with charitable as well as spiritual aims. They also strengthened operational bonds in terms of participating in the management of charitable aid that was becoming increasingly “public” (that is, managed by the Republic): the governor of the Santa Maria della Scala hospital was usually a Disciplinato and was in charge of the both the San Lazzaro hospital and the domus Misericordiae, which later became the Casa della Sapienza23. The Commune “approved” of the governor of the hospital, and starting in 1374 he was chosen by the reggimento24. It is also important to note even the friars of Sant’Antimo and their abbot – who were constantly employed by the Commune as chamberlains – were always members of the confraternity from one decade to the next25. By accepting and registering those who held a certain position to the point of de facto transforming the person’s membership into a sort of registration of the position itself, the Disciplinati succeeded in extending the confraternity’s range of action to the most important institutions in Sienese society: the reggimento civile, the Ospedale Grande, and the University26. The words of Stefano Maconi – spiritual child of Caterina Benincasa – reveal the political ambitions of his brethren. A member of the societas disciplinatorum since his youth27, he confesses to have having plotted against “people’s” reggimento to bring the gentleman back to power28. The Consistory of Siena, greatly tried by the 1368 “uprising”

Maria della Scala (XVIII cent.) the Jesuates had been using the church of San Girolamo since 1363, Id., Memorie, A.S.S., D111, c. 292r. During that period the Guglielmites had taken over from the Benedictine monks of Saint Antimo. 21 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Statuti della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, ms I.V.23, c. 65. 22 A.S.S., G. MACCHI, Memorie, D 111, c. 381v. 23 Ivi, c. 24, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Statuti della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, ms I.V.22, (1295-1400), cc. 13r-23v. G. CATONI, Gli oblati della Misericordia. Poveri e benefattori a Siena nella prima metà del Trecento, in La società del bisogno. Povertà e assistenza nella Toscana medievale, ed. G. Pinto, Florence, Salimbeni, 1989, pp. 131-174. 24 Initially the hospital, on which there is information dating from 1090 was controlled by the cathedral canons; in 1196 a privilege from Celestine III exempted it from interference on the part of the bishops and canons, putting it under the sole control of the Oblates di Santa Maria. However, the power vacuum was gradually fi lled by civil power until 1374 when the fi rst governor selected by the men of the Commune took offi ce, and signifi cantly, the communal standard was placed on the façade of the building. The role of the reggimento was defi nitively formalized in 1404, when the government gave it the right to appoint the hospital’s governor. G. BELLUCCI, P. TORRITI, Il Santa Maria della Scala in Siena. L’ospedale dei mille anni, Siena, Sagep 1991, pp. 17-18; M. PELLEGRINI, L’ospedale di Santa Maria della Scala, Milano, Bruno Mondadori, 2008 but, overall, see the studies of Gabriella Piccinni. 25 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Statuti della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, ms I.V.23, c. 65. 26 This was an unwritten rule, however from 1458 on the governor of Uopini was always an Augustinian, A.S.S., Conventi 1140, S. Agostino, [unbound sheets], c. 2r/v. 27 Entry in Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Statuti della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, ms I.V.22, c. 24v. 28 The saint scolded him harshly and ordered him to fl agellate himself to atone for that sin, and she said that the confraternity would be severely punished by God for have desecrated places of worship and Relations Between Giovanni Colombini 197 of the nobles, and worn out by complicated foreign policies, in 1396 resolved to close the urban societates to stem the dangers deriving from the congregations and confraternities29. The priors and twelve citizens elected “ad destruendas sotietates” did not spare the Disciplinati, but they did pardon the institution’s leaders, leaving them the delicate task of distributing charitable donations30. On the other hand, suspending or limiting it would have triggered serious problems in terms of public order. This decision is very important because it permits a full appreciation of the fact that the Republic was no longer able to do without the social functions performed by the societas, and at the same time it reveals the organization’s true strength. The interdict lasted only a short time and did not harm either organization’s work or growth, as it directly or indirectly succeeded in turning the governors’ decisions to its advantage31. The Disciplinati reached the offi cials, if not directly then at least via their network of patrons that was thickly woven through vast strata of the urban society32. The Epistolario of Saint Catherine of Siena clearly attests to the auctoritas of the Disciplinati: it is no accident that Catherine had identifi ed them as the only ones able exert pressure on the reggimento civile on behalf of Urban VI33. In the meantime, the Jesuates continued to benefi t from the help of the Disciplinati: in 1401 they acquired the convent and oratory of San Girolamo, under Porcari patronage. This led to a long suit between the Jesuates and the patron which was resolved, once again, thanks to the members of the Disciplinati. In 1405, the Jesuates turned to the governing body (the Signori) to sanction the conclusion of the legal suit with Porcari and to ratify a transfer of patronage. The patron, Francesco Porcari was deposed and was replaced by the members of the Disciplina del Santa Maria della Scala34. In 1411 the Jesuates’ existence was still precarious: a small group lived at the hospice of Santa Marta, prayer with their political plotting, Le lettere di S. Caterina da Siena ridotte a miglior lezione, e in ordine nuovo disposte con note di Niccolò Tommaseo a cura di Piero Misciattelli, Siena, Giuntini & Bentivoglio, 1940, 6 vols., vol. 3, p. 115, note 3. 29 “Omnes sotietates civitatis seu sub quocumque nomine, devotione, aut sancto censeantur et noncupentur, claudetur” A.S.S., Concistoro 191, c. 14r. 30 30 May 1396: “[...] quod sotietas Virginis Marie que est in hospitali Sancte Marie totaliter claudatur et aperiri non possit nullo tempore, modo vel causa”, che le chiavi delle stanze confraternali siano restituite al rettore dell’ospedale di Santa Maria della Scala “qui rector non possit illas claves dicte sotietati restituere non possit ullo modo, et ad distribuendas elimosinas sit rectore sotietatis de supra, cum suo consilio et aliis quos secum eligerit, voluerit et duret offi cium dicti rectoris uno anno, et fi nito anno eligatur alius rector cum suo consilio, et quatuor etc., [...] ut alio modo tales de dicta sotietate coadunari non possint vel debent ullo tempore, vel aliquo modo”, Ivi, cc. 17v-18r. It is also signifi cant that the governors dedicated a specifi c resolution to the confraternity of Santa Maria della Scala. The other Sienese confraternities are not even mentioned. 31 Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Statuti della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, ms I.V.23, cc. 13r-24v. 32 Siena, Archivio delle Pie Disposizioni, Provveditori.14, fol. 5v. 33 Caterina da Siena, Le lettere, pp. 265-266. 34 A.S.S., Diplomatico, Biblioteca pubblica, 1405, April 29, the document was drawn up by the notary Galgano Cerboni, who was also notary of the Ospedale di Santa Maria della Scala and of the Confraternita dei Disciplinati del Santa Maria. 198 Isabella Gagliardi a sort of guest-house built by Bishop Malavolti in fourteenth century that subsequently came under the control of the Augustinians of Sant’Agostino, and was used by the Republic to host illustrious persons passing through the city35. Once again, it was the members of the Disciplina who solved the problem by bringing together all the fraters in the convent of San Girolamo36. Their “adoption” by such a powerful, prestigious and above all, well organized confraternity – it is suffi cient to mention that at the end of the fourteenth century it already had a small and effi cient internal chancellery – was clearly a very positive factor. Suddenly the Jesuates were relieved of annoying offi cial tasks, such as having to deal with the formalities for obtain possession of bequests, and at the same time they began to enjoy the support of infl uential men. It is no accident that only after the confraternal patronage became a reality did the reggimento begin to respond favourably to their requests for fi nancial aid37. And fi nally, the Disciplinati patronage over the Jesuates sanctioned an old, longstanding bond that was destined to strengthen during the fi fteenth and sixteenth centuries and to assure the Jesuates an excellent urban stronghold as well as the constant attention of the reggimento.

Conclusions The Jesuates were a weak group, and yet they succeeded in transforming their weakness into an element of strength thanks to the affi liation with the confraternity of the Disciplinati, the true nucleus of power in the city that was as effective as it was “informal”. The growth of the confraternity’s importance can be explained by the ramifi cation of the charitable works that were its distinguishing feature. If the Republic was able to administer the Ospedale Grande – where the Disciplinati were active – and the una tantum elemosina, it could not have effectively taken over the capillary management of charitable works which contribution greatly to guaranteeing social peace and which

35 On 5 December 1351 Bishop Donusdeo Malavolti donated the hospice of Santa Marta to the Augustinians, A.S.S., Conventi 1088, [eighteenth century records of the Convento di Sant’Agostino], fol. 9. Regarding the fact that Santa Marta hosted important fi gures, it is suffi cient to see the city records; a document dated 1399 tells us that the reggimento civile was responsible for the maintenance of the place, A.S.S., Conventi 1140, [unbound, unnumbered sheets] no. 3. 36 This resolution was adopted during the confraternity chapter meeting held on 15 August 1411. Siena, Archivio delle Pie Disposizioni, Provv. 784, fol. 13r. From 15 February 1406 to 15 August 1411, the brethren had helped the Jesuates pay the rent for Santa Marta, ivi, fold. 2v-13r. 37 As the administration of San Girolamo, on 4 September 1446 the Jesuates asked that one of the Disciplinati brethren take care of their accounting records. On the 11th of the same month, the disciplinato Giovanni di Pietro Pannilini, chosen by Antonio Bettini, was offi cially assigned the task. Siena, A.P.D., Provv. 784, fol. 48r. Furthermore, quite often the Jesuates were not interested in keeping property that had been bequeathed to them because they had taken vows of poverty, therefore, in 1411 the Confraternity donated the estates of Lotterengo di Bindo di Tengho and of Cenni di Nanni to the Ospedale di Santa Maria della Scala, with the obligation that every year the hospital would give “the Ngesuati who are and will be in Siena a measure of grain and one of wine”. For the reggimento’s positive responses, see LIBERATI, Chiese, Monasteri, p. 275. Relations Between Giovanni Colombini 199 the confraternity carried out very well. By acting as the hub for small hospitals, for small specialized confraternities (providing help to the embarrassed poor, to poor girls, etc.), for semi-religious groups that took food and aid to the ill directly in their homes, who assisted prisoners or in any case were ready to help wherever there was need – even helping individuals – such as the male and female Jesuates or other minor groups (i.e. the Apostolini) who during the fourteenth and early fi fteenth centuries put themselves sub tutela disciplinatorum, actually aided the Republic in the management of what was becoming more and more of a coherent charitable network – if not a true system38.

ISABELLA GAGLIARDI

38 Cf. A. BENVENUTI PAPI, ‘Ad procurationem caritatis et amoris et concordiae ad invicem’. La Fraternita dei Laici di Arezzo tra sistema di solidarietà e solidarietà di sistema, “Annali Aretini”, III, (1995), pp. 79-142. IL TESTAMENTO DI GIOVANNI BOCCACCIO E LA SUA TECA LA DONAZIONE DEL CONTE SCIPIONE BICHI-BORGHESI ALL’ARCHIVIO DI STATO DI SIENA*

Questa relazione non verte sui contenuti del testamento di Giovanni Boccaccio nella redazione in volgare e in quella in latino, oggetto di ampia bibliografi a1, ma su un tema squisitamente archivistico: quello della trasmissione documentaria. È mia intenzione cioè di seguire, per quanto possibile, le vicende che hanno condotto nell’Archivio di Stato di Siena l’originale stilato su pergamena e in lingua latina, il 28 agosto 1374, nella chiesa di Santa Felicita, da ser Tinello del fu ser Bonasera da Passignano2. Un testamento dunque fatto a Firenze da un notaio fi orentino, ma conservato nell’Archivio di Stato di Siena per ragioni che cercherò di ricostruire. Inoltre intendo approfondire il tema della teca in legno appositamente costruita, nel 1847, per contenere proprio quella pergamena3. È noto che un esemplare del testamento era custodito nella biblioteca del convento di Santo Spirito di Firenze, per espressa volontà del Boccaccio stesso che, nel legato a favore di frate Martino da Signa e poi del convento, aveva disposto che i libri fossero

* Si tratta della rielaborazione della relazione presentata in occasione del pomeriggio di studi “Il testamento di Giovanni Boccaccio conservato nell’Archivio di Stato di Siena”, tenuto a Siena, nell’Archivio di Stato di Siena, nella Sala delle conferenze, giovedì 31 ottobre, e organizzato dall’Archivio di Stato, dall’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio e dall’Università per Stranieri di Siena, in occasione del settimo centenario della nascita di Giovanni Boccaccio. 1 Ne dà conto ora L. REGNICOLI, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio, in Boccaccio autore e copista, a cura di a cura di T. De Robertis, C.M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli e S. Zamponi, catalogo della mostra, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana 11 ottobre 2013-11 gennaio 2014, Firenze 2013, pp. 387-393. 2 Archivio di Stato di Siena (d’ora in poi ASS), Diplomatico Bichi-Borghesi, 1374 agosto 28, Mostra documentaria, Sala dantesca, vetrina alta 4. 3 Per una sintesi delle vicende conservative dell’originale del 1374 e per la realizzazione della teca, mi sia consentito rimandare a P. TURRINI, Teca per il testamento di Giovanni Boccaccio, in Il segreto della civiltà. La mostra dell’Antica Arte Senese del 1904 cento anni dopo, a cura di G. Cantelli, L.S. Pacchierotti e B. Pulcinelli, catalogo della mostra, Siena, Palazzo Pubblico, Museo Civico, 18 dicembre 2005-5 marzo 2006, Siena 2006, pp. 428-431 (e bibliografi a ivi citata). Per la trascrizione del testamento di Giovanni Boccaccio nella redazione in latino del 1374 e per le vicende documentarie, v. [G. MILANESI], Il testamento di Giovanni Boccaccio secondo l’originale in pergamena dell’Archivio Bichi-Borghesi, Siena, 1853 (ristampa: Siena 1855), pp. 9-15; F. CORAZZINI, Le lettere edite e inedite di Messer Giovanni Boccaccio: tradotte e commentate con nuovi documenti, Firenze, 1877, pp. 415-424. Per la trascrizione della redazione in volgare e della redazione in latino del 1374, v. L. REGNICOLI, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio cit.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 201 inventariati e posti in un armadio della libreria insieme al testamento stesso. Comunque anche il notaio, gli altri legatari e tanto più gli eredi potevano conservare un esemplare del testamento presso di sé. Nelle Annotazioni mandate a stampa a Firenze nel 1574 dai fratelli Filippo e Iacopo Giunti, i Deputati alla correzione del Decamerone pubblicavano in fi ne al Proemio il testamento in volgare, “in carta bambagina” e “lacero”, di mano – a loro parere - dello stesso Boccaccio, “ritrovato – scrivevano - per opera del nostro Giuliano Lapi”4. Sappiamo anche che la trascrizione era stata effettuata entro il 6 agosto 1573 dal deputato don Vincenzo Borghini, che in precedenza aveva coinvolto nelle ricerche del testamento del Boccaccio Giorgio Vasari, il quale da Roma, il 23 aprile 1573, gli scriveva che “del testamento di Boccaccio per la casetta di santo Alesso, sin qui non si trova nulla”5. Il Borghini, nella pubblicazione del 1574, aveva utilizzato con molta probabilità l’esemplare della libreria di Santo Spirito, come sembra testimoniare Giovanni Battista Ulbadini annotando, in un’opera stampata nel 1588, che il testamento del Boccaccio “scritto di sua man propria in Firenze nella libreria del Convento di Santo Spirito si conserva, e da M. Giovan Batista Deti gentil’huomo Fiorentino & Accademico pur Fiorentino, avanti si stampasse per i Giunti in Firenze mi fu data à leggere”6. Sulla stampa dei Giunti era stato letto il testamento in volgare, il 30 giugno 1581, anche da Michel de Montaigne che ne lasciava un ricordo nel suo Journal du voyage, commentando la povertà del Boccaccio7. La pergamena originale in latino, tanto ricercata dagli eruditi del secolo XVI, ricompare per la prima volta nel 1591, quando apparteneva (forse per eredità) alla famiglia Muzzi (Muzi, Muzii) di Poggibonsi, come risulta da alcune lettere scritte dai fratelli Felice e Giovanni Battista di Piero Muzzi a Ippolito di Marcello Agostini (Austini); una di queste lettere è edita in un opuscolo di Gaetano Milanesi, stampato a Siena nel 1853 per volontà di Scipione Bichi-Borghesi, al fi ne di far conoscere il testamento del Boccaccio8.

4 [V. Borghini, A. Benivieni, S. Antinori, A. Guicciardini, A.M. Salvani e P. Fanfani], Annotazioni et Discorsi sopra alcuni luoghi del Decameron, di M. Giovanni Bocacci, fatte dalli molto Magnifi ci Sig. Deputati da Loro Altezze Serenissime, sopra la correttione di esso Boccaccio, Firenze, 1574, Proemio e Testamento di Giovanni Boccacci. 5 Vedi G. GAYE, Carteggio inedito d’artisti, vol. III, Firenze 1840, p. 376, n. CCCXXX. La trascrizione del Borghini su un originale “in tre pagine” assai guasto e in parte illeggibile, è oggi alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze (d’ora in poi BNC FI), Filze Ranuccini, 21, ins. 4, ff. 33r-35r; su questo punto, v. L. REGNICOLI, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio cit., pp. 387-388 (e bibliografi a ivi citata). 6 G.B. UBALDINI, Istoria della Casa degli Ubaldini, e de’ fatti d’alcuni di quella famiglia”, Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1588, p. 43: “Dal padre suo che fu Boccaccio Chellini represero ed egli e i suoi il soprannome de’ Boccacci, cognome usato assai prima da loro, e ciò vediamo in parte per il suo testamento, il quale scritto di sua man propria in Firenze nella libreria del Convento di Santo Spirito si conserva, e da M. Giovan Batista Deti gentil’huomo Fiorentino & Accademico pur Fiorentino, avanti si stampasse per i Giunti in Firenze mi fu data à leggere”. Giovanni Battista Deti (1539-1607) fu un letterato fi orentino, tra i fondatori dell’Accademia della Crusca. 7 M. DE MONTAIGNE, Journal du voyage en Italie, par la Suisse et l’Alemagne en 1580 et 1581, vol. II, Parigi 1775, p. 32. 8 Biblioteca comunale degli Intronati di Siena (d’ora in poi BC SI), ms. D V. 1, “Lettere secolo XVI”, cc. 456 bis, 457, 458, 462 n. mod. (452, 453, 454, 458 n.a.). La lettera di Giovanni Battsita Muzzi 202 Patrizia Turrini

Felice era una suora del monastero di San Pietro Martire di Firenze9. Giovanni Battista era professore di Medicina all’Università di Pisa (dal 1555 al 1581), ed è ricordato per un dialogo sulla fi siologia umana, pubblicato a Firenze, presso Giunti, nel 1595, in cui fi gurano come suoi interlocutori Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini, Giovan Battista Strozzi e Bastiano Medico10. Dunque, l’11 settembre 1589, suor Felice scriveva a Ippolito Agostini chiamandolo cugino, in quanto essa era la “fi glia di madonna Brigida, donna già di messer Piero Muzzi da Poggibonsi, sua [cioè di Ippolito Agostini] zia” (probabilmente Brigida era la sorella di Marcello Agostini); la suora si proclamava lontana perché chiusa in convento, ma “non lontana con il quore”11. Così in una minuta senza data Ippolito, in procinto di recarsi in villa, ringraziava la cugina per il dono di una “scatola delle curiosità”, ricevuta tramite il

è commentata e trascritta, “sotto la data del 21 gennaio 1591” (ma in realtà l’anno secondo il computo moderno è il 1592), in [G. Milanesi], Giovanni Boccaccio cit., pp. 3-6; un estratto (formato manifesto) dell’opuscolo del 1853 è conservato in AS SI, Biblioteca, miscellanea di stampe, Del testamento di Giovanni Boccaccio, Siena, 1853. 9 Nel 1418-1420 nell’odierna via dei Serragli era fondato il monastero intitolato a San Pietro Martire, destinato alle monache domenicane osservanti, legate al monastero maschile di San Domenico di Fiesole, dal quale si staccò poi il convento di San Marco; proprio in virtù di questo collegamento il Beato Angelico aveva dipinto la pala d’altare per la chiesa del monastero, il cosiddetto Trittico di San Pietro Martire, prima opera documentata pervenutaci dell’autore, oggi al Museo nazionale di San Marco. Con bolla dell’8 novembre 1553 papa Giulio III soppresse l’ordine camaldolese nel monastero di San Felice in piazza (convento documentato a partire dal 1153, trasformato nel 1413 in abbazia camaldolese alle dipendenze della badia di Santa Maria degli Angeli di Firenze) e assegnò l’edifi cio alle suore domenicane di San Pietro Martire, il cui convento era stato distrutto per ordine del granduca nel 1550 per far posto alle nuove mura della città. Le monache domenicane entrarono uffi cialmente nel convento il 12 agosto 1557, adattando la chiesa alle esigenze della clausura (furono costruite una sagrestia e soprattutto un coro sopraelevato lungo tutta la prima metà della chiesa, sorretto da otto colonne con volte a crociera, completato nel 1590, che serviva a creare uno spazio privato inaccessibile ai fedeli, dove le monache assistevano alla messa). Sulla sinistra rispetto alla facciata era posto il convento che nel 1785 fu trasformato in conservatorio per vedove e ragazze, mentre la chiesa di San Felice divenne parrocchia secolare; il cattivo stato della struttura, insieme a diffi coltà di ordine pratico ed economico, convinsero poi Pietro Leopoldo a decretarne la soppressione, il 3 settembre 1788. Il patrimonio fu spartito tra la Cassa Ecclesiastica, il priore e le Mantellate di Chiarito, mentre le religiose furono autorizzate a restare nella struttura, che successivamente passò nuovamente sotto la loro custodia; nel 1806 venne concessa alle suore la facoltà di aprire una scuola per “l’educazione delle zittelle”. Nel 1808, con le soppressioni attuate dal governo francese, il conservatorio venne nuovamente soppresso e trasformato in una scuola secolare. Le suore che lo chiesero furono autorizzate a restare in qualità di insegnanti. Nel 1810 alla scuola venne assegnato il patrimonio invenduto del soppresso conservatorio di Santa Maria Maddalena in via della Scala. Il conservatorio di San Pietro Martire venne poi ripristinato nel 1816, e le suore poterono nuovamente entrare in qualità di oblate del terz’ordine domenicano. Il fabbricato ospita oggi una scuiola materna ed elementare. 10 G.B. MUZI, Della cognizione di se stesso, Fiorenza, Giunti, 1595. Vedi anche Dizionario biografi co degli Italiani, vol. 54, Roma 2000, ad vocem “Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini”, a cura di Anna Siekiera. 11 BC SI, ms. D V. 1, “Lettere cit.”, c. 462. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 203

Diplomatico Legato Bichi Borghesi, 1374, agosto 28 Testamento del Boccaccio. 204 Patrizia Turrini marchese Malaspina (probabilmente il citato Lorenzo), da lui ‘spartita’ tra la moglie e le fi glie, le prometteva anche una visita in convento, quando si fosse recato nella capitale del Granducato con la propria consorte Eleonora di Montalvo di origini fi orentine e terminava fi rmandosi “come fratello”12. Il 15 dicembre 1591 suor Felice scriveva di nuovo a Ippolito Agostini, al quale mandava “il memoriale delle reliquie che apresso di me si trovo”, ringraziandolo di averla fatta partecipe delle reliquie in possesso dello stesso Agostini e promettendo preghiere a Dio per tutta la famiglia del cugino; la suora anticipava poi un possibile futuro dono: “Il mio fratello Giovanbattista, sapendo che ella [Ippolito Agostini] si diletta in leggere e fatti delli antichi et illustri huomi[ni], trovandosi lui apresso di sé il testamento del Boccaccio, il suo prop[r]io originale in cartapecora, molto volentieri gniene presenterà, […] bramando fargli sempre cosa grata”13. Così il 21 gennaio 1592 (1591 anno fi orentino e senese) Giovanni Battista esplicitava in una lettera ad Ippolito le motivazioni che lo avevano mosso a effettuare il dono, suggeritogli anche dal comune amico Giovanni Berti, cioè la volontà di ricompensare le tante gentilezze dell’Agostini nei confronti di sua sorella Felice, nonché di rinsaldare la parentela e l’amicizia che legava le due famiglie: “Dissi a mia sorella che se io havessi pensato che fosse stato in grado a Vostra signoria, le [a Ippolito Agostini] harei donato l’original testamento di messer Giovanni Boccaccio et havendomi essa signifi cato che ciò non le [all’Agostini] sarebbe discaro, mi sono mosso a mandarglielo”; il testamento avrebbe infatti permesso di accrescere la raccolta di “ritratti e scritture d’uomini grandi et altre singolarità”, diligentemente messa insieme dallo stesso Ippolito e ammirata da più persone14. Ippolito Agostini (?- 1603) era fi glio del balì Marcello (1514-1571) e di Sulpizia Maria di messer Bartolomeo Carli Piccolomini (nata nel 1538). Marcello era stato un fedele suddito dei Medici che gli avevano conferito, nel 1564, il titolo di primo marchese di Caldana. Ippolito fu a sua volta marchese di Caldana, primo cancelliere e maggiordomo del granduca di Toscana, cavaliere (nel 1564) e poi commendatore della Religione di Santo Stefano, e soprattutto fu l’indiscusso protagonista della “buona società” senese nella seconda metà del Cinquecento15. Uomo di grande cultura, in contatto con naturalisti, letterati, amatori d’arte - fra i tanti Ulisse Aldrovandi, Giulio Mancini…Ferrante Imperato e Giovanni Battista Marino - raccolse con passione nel suo palazzo a Siena in via dei Pellegrini (già palazzo Venturi, oggi Casini Casuccini) collezioni etnografi che e scientifi che insieme a quadri, sculture, oggetti raffi nati o curiosi. Fu mecenate di pittori senesi e forestieri. L’inventario di casa Agostini, redatto nel 1603 alla morte di Ippolito, rintracciato da Bernardina Sani, rimanda a una dimora in cui ricchezza e cultura erano ostentate e dove due gallerie raccoglievano le citate collezioni artistiche e antiquarie: medaglie, libri di medicina e “segreti”… quadri di soggetti religiosi e civili, tra cui “due tele grandi dentrovi la caccia del toro” (sono i due quadri di Vincenzo Rustici, oggi in

12 BC SI, ms. D V. 1, “Lettere cit.”, c. 457. 13 Ibid., c. 458. 14 Ibid., c. 456 bis; v. [G. MILANESI], Giovanni Boccaccio cit., pp. 3-6. 15 B. SANI, L’Accademia di palazzo Agostini e la nuova pittura devota, in G. CHELAZZI DINI, A. ANGELINI e B. SANI, Pittura senese, Milano 1997, pp. 403-407. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 205

Collezione della Banca Monte dei Paschi di Siena), teste di marmo, e anche “libri di conti” relativi al palazzo e alle fattorie16. Tuttavia nell’elenco non è esplicitato il testamento del Boccaccio generosamente donato dai cugini Muzzi, con probabilità ormai confuso con altre pergamene dell’archivio familiare. Comunque dai successivi eventi si deduce che il testamento rimase presso la famiglia Agostini fi no alla morte nel 1657 del balì Baldassarre, fi glio di Marcello d’Ippolito, con cui si estinse la linea maschile; dei beni familiari rimasero eredi le due fi glie di Baldassarre che all’epoca erano in tenera età17. L’11 gennaio 1672 la maggiore Anna Eleonora si sposava con Annibale Bichi, il 18 giugno 1674 la minore Vittoria con Giacomo Chigi18. Per il tramite di Anna Eleonora, con la metà dei beni di casa Agostini, il testamento del Boccaccio passava nel 1672 in casa del marito di lei, Annibale, che apparteneva ai Bichi della linea dei conti di Scorgiano. Questa linea aveva avuto origine da Firmano (nato nel 1579) ed era stata proseguita dal fi glio, il cavaliere e commendatore di Santo Stefano Rutilio (nato nel 1610)19. Dal matrimonio di Rutilio con Caterina Piccolomini na- sceva appunto Annibale (del 1650), quarto conte di Scorgiano e anche signore di Caldana

16 ASS, Curia del Placito, 275, cc. 97-108; l’inventario è pubblicato da B. SANI, Un episodio di mecenatismo a Siena tra la fi ne della Repubblica e il principato mediceo: Marcello e Ippolito Agostini, marchesi di Caldana, in L’ultimo secolo della repubblica di Siena. Arte, architettura e cultura, atti del convegno internazionale, Siena, 28-30 sett. 2003 e 16-18 sett. 2004, a cura di M. Acheri, G. Mazzoni e F. Nevola, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, pp. 241-270, alle pp. 257-270. Sui due quadri di Vincenzo Rustici rappresentanti la caccia del toro del 15 agosto 1546, v. M.A. CEPPARI RIDOLFI, M. CIAMPOLINI e P. TURRINI, Atlante storico iconografi co, in L’immagine del Palio. Storia, cultura e rappresentazione del rito di Siena, a cura di M.A. Ceppari Ridolfi , M. Ciampolini e P. Turrini, Firenze, Monte dei Paschi di Siena, 2001, pp. 318-515, alle pp. 327-333. 17 L’inventario dei beni di Baldassarre Agostini in ASS, Curia del Placito, 387, n. 122, anno 1657; cit. da B. SANI, Un episodio di mecenatismo cit., p. 252. Nell’inventario “de’ libri e scritture” non è citata la cartapecora del testamento, ma “scritture e cose antiche di casa Austini e ricordi et altro”. 18 ASS, ms. A 53, “Matrimoni di nobili sanesi di famiglie esistenti. Volume primo”, c. 42. Per il tramite di Vittoria Agostini, con l’altra metà dei beni di casa Agostini, potrebbe essere arrivata in palazzo Chigi Saracini, la ‘donatelliana’ Madonna marmorea oggi murata a fi anco della porta d’ingresso della sala della musica, detta “Madonna Piccolomini” per lo stemma che potrebbe rimandare a Sulpizia Piccolomini, madre di Ippolito. Giacomo Chigi, marito di Vittoria Agostini e amministratore dei feudi di famiglia (il cognato Annibale gli aveva affi ttato quello di Caldana), manteneva presso di sé l’archivio amministrativo Agostini, che andò a costituire un’appendice di quello Chigi; nel 1884 la parte relativa ai feudi di Colonna e di Caldana (27 fi lze) è stata donata da Fabio Chigi all’Archivio di Stato di Siena; il restante archivio è oggi conservato dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, alla quale è stato lasciato nel 1965 dall’ultimo discendente dei Chigi, il conte Guido (costituisce un archivio aggregato a quello Chigi Saracini e consiste in 10 fi lze dal 1433 al 1790 e 10 volumi mss. di contratti del sec. XVI). Per alcune notizie sull’archivio della famiglia Agostini, v. L. BONELLI, Il feudo degli Austini. Contributo archivistico, in La committenza degli Agostini a Caldana tra misteri, rivelazioni e dubbi, a cura di E. Pellegrini, atti del convegno, Caldana, 14 ottobre 2007, Siena 2008, pp. 17-22. 19 Per le notizie qui di seguito citate sui Bichi, v. ASS, ms. A 48, T. Mocenni, “Raccolta di nomi di persone nobili battezzate in Siena”, anno 1712, cc. 215-221v (con notizie fi no al 1810); ms. A 30 II, A. Sestigiani, “Compendio istorico di sanesi nobili per nascita, illustri per attioni, ragguardevoli per 206 Patrizia Turrini grazie al matrimonio con l’ultima Agostini20. Altro fi glio di Rutilio e Caterina l’abate, ca- valiere di Malta e protonotario apostolico Galgano (1663-1727), noto accademico, eru- dito e collezionista di numerosi documenti antichi da lui acquistati presso i rigattieri od ottenuti in dono da nobili senesi, sottraendoli al “pericolo d’andar male”21. In proseguo di tempo Annibale donava alla biblioteca della Sapienza di Siena il carteggio di Marcello e Ippolito Agostini con artisti, fi losofi , diplomatici e personaggi vari: quel carteggio oggi alla Biblioteca comunale degli Intronati di Siena da cui è partita la mia relazione22. Man- teneva invece in casa Bichi le ultime volontà del grande letterato certaldese, conservate dai suoi discendenti insieme alla parte diplomatica dell’archivio familiare, comprensivo anche di una parte di quello Agostini, e insieme alle oltre 3.000 pergamene messe insie- me dal collezionista Galgano che le aveva raccolte in 37 volumi lasciati in eredità alla propria famiglia. Forse l’attribuzione alla pergamena contenente il testamento di Boc- caccio del “n. 442”, scritto sul recto e sul tergo di mano seicentesca, era stata effettuata prima dell’ingresso in casa Bichi; comunque nei vari spogli del diplomatico di famiglia la pergamena non è indicata e questo ne conferma la provenienza diversa rispetto al diplo- matico di famiglia e alla raccolta di Galgano23. Comunque nulla si sapeva nel mondo degli eruditi sulla presenza nell’archivio Bichi del testamento originale in latino del Boccaccio, tramandato all’interno della famiglia di generazione in generazione, forse senza che se ne apprezzasse fi no in fondo l’importanza. Ad esempio l’erudito fi orentino Domenico Ma- ria Manni non conosceva l’esistenza di questo originale, tanto che nel 1742 ristampava nell’Istoria del Decamerone il testamento in volgare, quello delle Annotazioni, ritenen- dolo – erroneamente, perché è invece la copia in volgare del testamento del 1374 - “una dignità, Monte dei Paschi di Siena, anno 1696, cc. 108-119v. Si tratta di due manoscritti fatti compilare dall’abate Galgano Bichi. 20 Diplomatico, Archivio Chigi Saracini, fi lza 2, n. 4: il 28 aprile 1735 il granduca di Toscana Gian Gastone, riconosce la signoria del feudo di Caldana ai discendenti Bichi, per il tramite di Anna Eleonora Agostini. 21 Su di lui, v. Dizionario biografi co degli Italiani, vol.10, Roma 1968, ad vocem, a cura di G. Catoni. 22 BC SI, mss. D V 1-3. Per la donazione di Annibale Bichi alla biblioteca della Sapienza, v. L. BONELLI, Il feudo degli Austini. Contributo archivistico, in La committenza degli Agostini a Caldana cit., pp. 17-22, a p. 22. 23 La pergamena porta sul margine superiore del recto la scritta di mano seicentesca “n. 442”; sul tergo due scritte anch’esse di mano seicentesca: al centro “Testamento di Gio[vanni] Boccaccio da Certaldo n. 442”, in basso, in gran parte deleta: “ Testamento di Gio[vanni] Boccaccio da [Certaldo] … Chigi et …. [ma solo] copiare non intendendosi…”. La pergamena in esame non faceva parte del Diplomatico della famiglia Bichi, perché in ASS, ms. B 25, “Spoglio di pergamene della famiglia Bichi (1304-1702)”, non è indicata nessuna pergamena sotto il n. 442 e neppure sotto la data del 28 agosto 1374; non è neppure fra quelle contenute nei 37 volumi raccolti dall’abate Galgano Bichi, tutte portanti una lettera seguita da un numero, lettera che non si trova apposta sul testamento del Boccaccio; non è neppure negli spogli dei 37 voll. compilati per volontà dell’abate Galgano Bichi (ASS, mss. B73 – B77, “Spoglio di pergamene di famiglie senesi pervenute con il legato Bichi-Borghesi”, anni 923- 1685); tutto ciò conferma una diversa provenienza e forse una numerazione precedente all’ingresso in casa Bichi. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 207 bozza” di quello fatto dal Boccaccio il 21 agosto 1365 sotto rogito di ser Filippo di ser Piero Doni e registrato nella Gabella dei contratti di Firenze24. La notizia sull’esistenza di un testamento del 1365 era tratta dal Manni dai manoscritti compilati nel corso del sec. XVII dal senatore Carlo Strozzi, grande raccoglitore di documenti storici e letterari dei secoli antecedenti25. Nella stessa Istoria il Manni pubblicava inoltre l’ultimo testamen- to, quello in latino dell’agosto 1374 di ser Tinello di ser Bonasera, utilizzando una copia tratta dal “codice H A 106 in foglio della celebratissima Libreria Strozzi”; la copia era stata da lui fortunosamente “ripescata” e, “sebbene scorretta”, era “interissima”. Dalla citata pubblicazione del 1853 risulta che questo codice era successivamente passato dalla Strozziana alla Biblioteca Magliabechiana: infatti la libreria della famiglia Strozzi che fu acquistata nel 1786 dal granduca Pietro Leopoldo per la biblioteca Magliabechiana26. Il manoscritto, composto per interessamento del già citato senatore Carlo Strozzi, è oggi nella Biblioteca Nazionale di Firenze: cartaceo, composito, di cc. 183, databile al sec. XVI-XVII, porta il titolo (di mano seicentesca) “Vite di huomini illustri in lettere della città di Firenze composte da Filippo Villani”; contiene, tra l’altro, una “Vita di Gio- vanni Boccaccio poeta fi orentino” e il “Testamento di messer Giovanni Boccaccio”27. Tuttavia nel testo non si rintracciano indicazioni che permettano di appurare da dove sia stato copiato il testamento, cioè se dall’esemplare oggi dell’Archivio di Stato di Siena o da altro esemplare o copia. Nel 1820 il ramo Bichi dei conti di Scorgiano – quello che deteneva l’originale del testamento di Boccaccio - si estinse con Carlo (nato nel 1797), che istituì erede dei suoi beni, cognome e titolo un discendente dei Bichi da parte femminile, il ciambellano della corte toscana Luigi di Scipione Borghesi, il quale otteneva la conferma granducale. Alla morte di Luigi nel 1827 l’intera collezione Bichi passava con gli altri beni ai fi gli allora

24 D.M. Manni, Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze 1742, pp. 109-117. Su questo punto, v. L. REGNICOLI, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio cit., p. 388. 25 Carlo Strozzi aveva pubblicato la notizia di un precedente testamento del Boccaccio del 21 agosto 1365, tratta da un registro di Gabella oggi scomparso, così come sono perduti gli atti del notaio Filippo Doni (la notizia in Biblioteca Nazionale Centare di Firenze, d’ora in poi BNC FI, Magl XXXVII.299, p. 135; Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, s. III, 160, f. 76r; su questo punto v. anche L. Regnicoli, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio cit., p. 389). Carlo Strozzi (1587 -1670), senatore, nominato conte palatino da Urbano VIII, fu consolo dell’Accademia Fiorentina (1627), poi arciconsolo della Crusca (1655), costituì una grande raccolta di codici latini e italiani, di documenti storici e letterarî relativi ai secc. XIV-XVII. La sua biblioteca fu acquistata (1786), all’estinguersi di quel ramo della famiglia, dal granduca Pietro Leopoldo, che l’assegnò alle biblioteche e agli archivî fi orentini: i codici furono suddivisi tra la Laurenziana (186 mss.) e la Magliabechiana, attuale Nazionale (1590 mss.), mentre i documenti furono assegnati nella massima parte all’Archivio segreto di palazzo e all’Archivio delle riformagioni, entrambi attualmente nell’Archivio di Stato di Firenze. 26 Per la notizia su questo codice, v. [G. MILANESI], Il testamento di Giovanni Boccaccio cit., p. 4. 27 BNC FI, Magl. IX.123, cc. 6v-10r (“Vita di Giovanni Boccacio poeta fi orentino”) e 39-43v (“Testamento di messer Giovanni Boccaccio”). Ringrazio Palmira Pandigrano per le notizie gentilmente fornitemi su tale codice. Su questo punto, v. anche L. REGNICOLI, scheda n. 82, I testamenti di Giovanni Boccaccio cit., p. 390 208 Patrizia Turrini pupilli Scipione (1811-1877), Tiberio (1813-1870), Cesare e Gian Gastone; ma gli ultimi due rinunciarono all’eredità, il primo nel 1849 e il secondo nel 1859, contentandosi di un vitalizio28. Si deve a Scipione Bichi-Borghesi la “scoperta” – o meglio la ‘riscoperta’ - fra i documenti di famiglia “da lui lumeggiati con affetto pari al sapere” proprio del testamento di Giovanni Boccaccio, che “non poteva capitare a mani migliori”, perché così era stato destinato per lungo tempo a “invidiabile ornamento” della stanza di studio dello stesso conte nella casa di abitazione posta di fronte “al Casino dei Nobili”. La ‘riscoperta’ era così esplicitata nel necrologio a stampa e nella commemorazione tenutasi nel Senato del Regno, di cui Scipione faceva parte fi n dall’annessione della Toscana nel 1859: una commemorazione non solo dell’uomo politico – il conte fi n dall’età giovanile aveva professato “que’ liberali principi che non ismentì mai” -, ma soprattutto dell’uomo di cultura: si ricordava infatti in lui l’appassionato raccoglitore di documenti e di memorie cittadine, lo studioso di storia e di letteratura, il bibliografo e riordinatore dell’archivio familiare, in possesso sia per via ereditaria, sia per acquisizioni sul mercato antiquario di un numero considerevole di documenti e manoscritti29. Quanto agli ideali risorgimentali erano condivi anche dal fratello Tiberio che fu comandante della Guardia civica di Siena dal 1848 al 1850; a Tiberio si deve anche l’invenzione, nel 1838, del canape a scatto per la corsa del Palio. Proprio per esporre nel suo studio il prezioso cimelio del testamento del Boccaccio all’ammirazione degli studiosi che frequentavano la sua casa, Scipione, in accordo con i fratelli, aveva fatto realizzare nel 1847 da Antonio Rossi una “cornice intagliata”. Con questo manufatto si apriva infatti l’elenco degli oggetti inviati dall’Accademia delle belle Arti di Siena alla Pubblica esposizione di Firenze di quell’anno; nell’enumerazione in ordine di importanza (dall’artistico all’artigianato) l’opera del Rossi era seguita dalla “copia di cornice del Barili”, eseguita da Pietro Giusti insieme a un’altra “d’invenzione”30. Nei vari oggetti senesi esposti nel 1847 le esercitazioni su Perugino e Pacchiarotti, ecc. sono accostate ai diversi manufatti prodotti nell’ambito della frequentatissima Scuola di ornato dell’Accademia che intendeva appunto recuperare i modelli del passato: il Purismo, con la diffusa aspirazione alla ricerca dell’arte dei primitivi, aveva infatti dato origine in Siena a una straordinaria fi oritura di opere anche nel campo delle arti applicate,

28 ASS, Archivio Bichi-Borghesi di Scorgiano, Appendice, 1, atto dell’aprile 1879, dove sono citati gli atti precedenti. 29 [L. BANCHI], Ricordi funebri del conte Scipione Bichi-Borghesi senatore del Regno, Siena 1878; V. G RASSI, Figure senesi dell’Ottocento. Scipione Bichi-Borghesi, in Palio ed altro per il ‘Telegrafo’, a cura di G. Catoni e P. R. Leoncini, Siena 1991, pp. 206-208; scheda del senatore Scipione Bichi- Borghesi in http://notes9.senato.it. Scipione Bichi-Borghesi era in un ruolo direttivo nel Circolo politico popolare senese, dove si riunivano i fautori del Risorgimento italiano; inoltre fu fra i fondatori della Società fi lodrammatica, costituitasi a Siena nel 1828.. 30 ASS, Archivio dell’Istituto delle Belle Arti di Siena, fi lza 4, n. 93; v. L. CALAMAI, Rapporto della Pubblica esposizione dei prodotti di arti e manifatture toscane eseguite in Firenze nel settembre 1847, Firenze 1847. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 209 dimostrando la completa assimilazione dei caratteri di un’epoca repubblicana ritenuta l’apice sia dal punto vista politico, che culturale/artistico31. L’artefi ce della teca, Antonio Rossi (1805-1885), aveva compiuto con ottimi risultati studi all’Istituto di Belle Arti di Siena, ottenendo vari premi, ed esercitato l’insegnamento come maestro d’ornato presso lo Stabilimento di mendicità e presso l’Orfanotrofi o; aveva iniziato a lavorare prima presso l’intagliatore senese Casini e poi, dal 1842 al 1845, fi anco a fi anco con l’altro intagliatore senese Pietro Giusti in una bottega in piazza San Pellegrino, 2 (oggi piazza d’Indipendenza); i due, separatisi con una serie di contrasti sul piano economico, svilupparono poi un vivace antagonismo32. Negli anni successivi il Rossi otteneva importanti richieste d’arredi per palazzi cittadini e numerose commissioni per chiese. Esponeva alcune sue opere alla mostra senese del 1862, a quella di Parigi del 1867 e alla mostra universale di Vienna del 1873, ricevendo la menzione onorevole. Tra le sue realizzazioni più prestigiose senz’altro il “tabernacolo” neogotico destinato a contenere il testamento del Boccaccio. L’opera misura cm. 155 x 54,5 ed è stata realizzata in legni di vari colori con parti intagliate e intarsiate. Il programma iconografi co che la sottende, in linea con la cultura romantica del revival, è illustrato dal già citato opuscolo stampato qualche anno dopo, nel 185333. Si apprende così che i proprietari del testamento, i fratelli Bichi-Borghesi, avevano commissionato “un nobile e ricco arredo, il quale e per lo stile, e per gli ornamenti rendesse aria a quelli edifi ci che la patria riconoscente soleva nel secolo decimo quarto, in memoria dei suoi più illustri fi gliuoli innalzare”. Pertanto “l’artefi ce” Antonio Rossi aveva scelto di evocare un edifi cio gotico imitando con i legni la policromia dei marmi (l’agrifoglio per il bianco, l’ebano per il nero e il verzino per il rosso) e con la fi nezza degli intagli i trafori della scultura trecentesca, imitata anche nelle fi gure che decorano la base dei due pinnacoli e che alludono alle “varie manifestazioni dell’ingegno letterario del Boccaccio”. Scendendo in dettaglio, l’“edifi zio” gotico risulta composto “di due pilastri esagonali bianchi, intarsiati di formelle nere e rosse, e terminati da due capitelli capricciosi d’ordine corintio, intagliandovi per via di simboli i Novissimi [cioè le cose ultime cui l’uomo va incontro al termine della vita: morte, giudizio, inferno, paradiso]. Su i quali capitelli posa l’architrave, e sull’architrave un triangolo, dentro a cui è un arco di sesto acuto sormontato da un occhio; e sotto l’arco e nel vano di esso giace su una cassa la fi gura del Boccaccio morto, e nella parete di fondo è appeso in alto uno scudo dentrovi l’arme del poeta. Sono poi intarsiate nell’architrave le lettere: ‘TESTAMENTUM IO. BOCCACII’. Nelle sei nicchie che girano intorno ai capitelli stanno altrettante fi gurette di tutto tondo,

31 Per questo giudizio, v. C. SISI, Neoclassicismo e Romanticismo, in La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, a cura di C. Sisi e d E. Spalletti, Milano, Monte dei Paschi di Siena, 1994, cap. IV, Francesco Nenci a Siena (1827-1850) e la generazione romantica, p. 269, tavv. VI, VII e VIII. 32 Per una biografi a di Antonio Rossi, v. S. CHIARUGI, La fortuna degli intagliatori senesi, in Siena tra Purismo e Liberty, catalogo della mostra, Siena, Palazzo pubblico, Magazzini del Sale, 20 maggio-30 ottobre 1988, Siena 1988, pp. 298-309, alle pp. 300-302; ID., Botteghe di mobilieri in Toscana 1780- 1900, Firenze 1994, pp. 536-538. 33 [G. MILANESI], Giovanni Boccaccio cit., pp. 7-8 (Descrizione dell’arredo ordinato a contenere il testamento); v. anche ASS, Biblioteca, miscellanea di stampe, Del testamento cit. 210 Patrizia Turrini

Lettera di suor Felice Muzzi al cugino Ippolito Agostini dove annuncia il dono del testamento del Boccaccio. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 211 nelle quali [Antonio Rossi] personifi cò le varie manifestazioni dell’ingegno letterario del Boccaccio. In quelle a destra di chi riguarda sono la Poesia incoronata di lauro, la quale mentre alza la mano destra, tiene colla sinistra quello strumento musicale che è detto il Saltèro; la Mitologia velata che ha in mano la fi gura del tempo; e in ultimo la Eloquenza che tiene una catena. Sono dal lato sinistro la Filosofi a incoronata collo scettro nella mano destra; la Storia che scrive; e la Grammatica che insegna ad un putto. Sulla punta del triangolo posa la fi gura dell’Italia addolorata. Finalmente nell’inquadratura di questo arredo, contornato da una cornice traforata d’ebano, mise il testamento originale in cartapecora del Certaldese” . Dopo la morte di Tiberio Bichi-Borghesi, avvenuta il 21 febbraio 1870, tutto il patrimonio in comune fra i due fratelli fu accuratamente inventariato: nel salotto di studio del conte Scipione si trovava “un mobile ricco tutto intagliato sullo stile gotico che serve di basamento ad un’urna che racchiude il testamento del Boccaccio e due quadri con sua descrizione relativa” valutato 750 lire, mentre furono valutate 1200 lire le “duemilaseicento pergamene dal decimo secolo al secolo XVII, ridotte a volumi e il rimanente sciolte” conservate nella libreria34. Successivamente, nel febbraio 1874, la vedova di Tiberio, Maddalena Orsini come tutrice dei fi gli minorenni Luigi e Giuditta, e il conte Scipione si accordarono per dividere i loro beni fi no ad allora tenuti in comune: a Scipione, erudito e collezionista di memorie senesi, andarono per sua precisa scelta le “pergamene e [i] libri esistenti nella biblioteca della casa”, valutati in totale lire 3.044,50, tutta la “musica esistente nella detta biblioteca” del valore di lire 250 e inoltre l’olio del professor Mussini “rappresentante il Decamerone del Fortini” del valore di ben lire 4.000, fatto eseguire tra il 1857 e il 1858 da Scipione in onore di sua madre Maria Fortini, appartenente alla famiglia dell’illustre novelliere, e raffi gurante la sorella, sposata Malavolti, con fi gli e fi glie35. Il testamento racchiuso nella mirabile teca fu conservato con ogni cura da Scipione Bichi-Borghesi fi no alla morte avvenuta il 1° dicembre 1877. Nel Carteggio della Direzione dell’allora Regio Archivio di Stato di Siena è conservata la lettera scritta pochi giorni dopo, il 7 dicembre, dall’esecutore testamentario Girolamo Selvi al direttore dell’Archivio Luciano Banchi per partecipare i termini del legato predisposto dal defunto conte: “Il sottoscritto, onorato dell’uffi cio di esecutore testamentario del conte cavaliere senatore Scipione Bichi -Borghesi, fa noto alla Signoria vostra illustrissima che nel di lui testamento olografo del 27 marzo 1876 si trova la seguente disposizione che riguarda codesto Regio Archivio da lei meritatamente diretto: ‘Lascio e lego al Regio Archivio di Stato di questa città il testamento originale del Boccaccio con il suo arredo completo,

34 ASS, Archivio Bichi-Borghesi di Scorgiano, 86, Inventario del patrimonio Bichi-Borghesi, anno 1870, nn. 348, 2167 e 2384. 35 ASS, Archivio Bichi-Borghesi di Scorgiano, Appendice, n. 1, “Stato patrimoniale del 28 febbraio 1874 e divisione”. Sulla genesi del quadro di Luigi Mussini, Il Decamerone senese, facente parte nella divisione della quota di Scipione Bichi-Borghesi, v. Nel segno di Ingres. Luigi Mussini e l’Accademia in Europa nell’Ottocento, a cura di C. Sisi ed E. Spalletti, Milano 2007, pp. 154-155. 212 Patrizia Turrini il mobile di noce sottostante al medesimo con tutte le pergamene e spogli manoscritti di esse che vi si racchiudono, e tutte le pergamene sparse in più luoghi delle stanze da me abitate, e ciò a cura e da soddisfarsi dai miei esecutori testamentari al più tardi entro un anno dalla mia morte’”36. Immediatamente il Banchi scriveva al Soprintendente archivistico per la Toscana Cesare Guasti, come tramite per l’autorizzazione ministeriale all’accettazione del legato, autorizzazione concessa pochi giorni dopo, il 19 dicembre. Dal carteggio intercorso si apprende anche che in vita il senatore Bichi-Borghesi aveva fi nanziato il restauro di alcune tavolette del museo “a condizione che queste sue liberalità restassero ignote a chiunque”: i restauri eseguiti tra il 1875 e il 1877 erano costati circa 500 lire pagate “con patria carità” dal benefattore, che probabilmente avrebbe continuato a fi nanziare tali lavori se non fosse morto. Nel suo testamento il conte Scipione aveva nominato erede il nipote Luigi al compimento dei venticinque anni, e, nel caso di prematuro decesso di Luigi, come sostituta la nipote Giuditta (erano i fi gli del suo defunto fratello Tiberio); nel contempo aveva disposto una serie di lasciti a più persone, tra cui un sostanzioso legato alla fi glia naturale Francesca Mainardi sposata Bartalini (alla quale andava la tenuta di Ucciano a Sovicille); aveva inteso benefi care anche varie istituzioni, tra le quali si segnala, oltre il Regio Archivio di Stato, la Biblioteca comunale di Siena, a cui questo mecenate lasciava parte della sua collezione di manoscritti37. Destinatari di un lascito furono anche gli amici Luciano Banchi, direttore dell’Archivio di Stato, e Gaetano Milanesi, archivista a Firenze: al primo andarono “volumi, cartolari e schede” compilati dal testatore con facoltà di distruggere quelli da lui reputati inutili e in più alcuni libri, al secondo altri libri. Vari lasciti si riferivano poi ad opere d’arte: il conte destinò infatti alla cognata Maddalena Orsini Borghesi “la statua scolpita in marmo del professor Giovanni Duprè esprimente la Riconoscenza”38; al fratello Cesare Borghesi “il ritratto della compianta nostra madre

36 ASS, Carteggio della Direzione, 1877, ins. 37 “Legato del conte Scipione Bichi-Borghesi“. Il legato all’Archivio comprendeva la grande raccolta di pergamene, vari autografi , un numero consistente di manoscritti dell’erudito Galgano Bichi. 37 ASS, Archivio Bichi-Borghesi di Scorgiano, 42, fasc. 1, copia del testamento olografo del conte Scipione Bichi-Borghesi; v. anche Uffi cio del Registro, serie I, reg. n. 27, n. 970, “1° decembre 1877 Siena, rogato Del Puglia n. 968, vol. 58, foglio 31, deposito e pubblicazione di testamento olografo di Scipione fu Luigi Borghesi di Siena del ventisette marzo 1876 decesso in Siena primo decembre 1877, nominando erede il suo nipote ex fratre Luigi Borghesi, con un allegato”; Uffi cio del Registro, denuncia di successione n. 51, vol. 26, anno 1778, “in forza di testamento olografo [..] del dì ventisette marzo e ventisette aprile milleottocentosettantasei registrato il cinque decembre milleottocentosettantasette”; tale testamento era stato depositato dal notaio Francesco Del Puglia. Per una descrizione della collezione donata all’Archivio di Stato, v. G. Prunai, Il legato Bichi-Borghesi dell’Archivio di Stato di Siena, in “Notizie degli Archivi di Stato”, II (1942), n. 3, pp. 3-18. 38 Per questa opera di Giovanni Dupré, commissionata da Maria Finetti Ballati Nerli tra il 1853 e il 1854, conservata oggi in collezione privata, v. Nel segno di Ingres cit., pp. 150-151. La contessa Maddalena Orsini Bichi-Borghesi era stata ritratta, come altri membri della famiglia Bichi-Borghesi, da Luigi Mussini; il ritratto è oggi conservato in collezione privata ed è pubblicato in Siena tra Purismo cit., p. 93. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 213 dipinto a olio dal professor Luigi Mussini”39; all’Istituto di Belle Arti di Siena i “due cartoni a fac-simile degli affreschi di Lecceto e di San Gimignano e l’acquarello del ciborio dell’altare della chiesa di San Domenico di Siena”; a Giovanni Palmieri “il ritratto del comune e compianto amico Giuseppe Nerli dipinto a olio dal professor Luigi Mussini”, nonché il “cofano in avorio con le lettere del detto comune amico [Giuseppe Nerli]” e “il quadretto a olio dipinto dal pittore francese Bouquet esprimente la partenza di un volontario”; a Giuseppe Porri “l’acquarello del professor Mussini rappresentante due pescatori”; alla fi glia naturale Francesca “la copia di una Madonna dipinta dal professor Mussini, eseguita in matita dal professor Cassioli”; infi ne a Violante Favilli, destinataria di più generosi lasciti, probabilmente la sua convivente, il ritratto dello stesso Scipione “a olio con cornice dorata, egregio dipinto del professor Mussini”. La statua del Dupré rappresentante La Riconoscenza lasciata alla cognata, il ritratto di Giuseppe Ballati Nerli e il cofanetto con le lettere lasciati a Giuseppe Palmieri Nuti costituivano il legato testamentario stabilito nel 1856 da Maria Finetti vedova Ballati Nerli a favore del conte Scipione Bichi-Borghesi: con tale gesto la nobildonna aveva voluto che uno dei più cari amici del defunto fi glio custodisse le lettere inviatele dal fronte, poco mesi prima che Giuseppe morisse (28 ottobre 1848) a causa della prigionia subita dopo la battaglia di Curtatone e Montanara40. Nel testamento di Maria Finetti è esplicitato che il cofanetto era stato realizzato “con diverse vedute di paesaggio” dall’intagliatore Antonio Rossi (evidentemente tra il 1848 e il 1856): si tratta dello scrigno interamente d’avorio recentemente rintracciato sul mercato antiquario da un collezionista mantovano, recante cinque vedute di Mantova, Curtatone, Montanara, Schio e Vicenza, luoghi sacri della prima guerra d’indipendenza e delle umane dolorose vicende del volontario Giuseppe Ballati Nerli. Tra l’altro il contenuto del testamento di Scipione Bichi-Borghesi permette di correggere l’erronea attribuzione a Scipione stesso del ritratto oggi nella Collezione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, proveniente dalla collezione Palmieri Nuti: il giovane uomo ritratto non è Scipione, ma l’amico Giuseppe Ballati Nerli, prematuramente scomparso nelle lotte risorgimentali, la cui madre Maria Finetti era assai legata al pittore Luigi Mussini, che lei stessa e il fi glio avevano ospitato già nel 1836 nella loro villa. La provenienza Palmieri Nuti e il confronto sia con l’incisione di Pietro Vajani che ritrae il senatore Bichi-Borghesi, sia con la fotografi a di Giuseppe Ballati Nerli rintracciata nel cofanetto, sia con altri ritratti dello stesso Ballati Nerli dovrebbero fugare ogni dubbio su chi sia il giovane nel dipinto di Mussini41. Rimane comunque da scoprire che fi ne abbia fatto il ritratto a olio dello stesso Scipione, opera di Luigi Mussini, da lui lasciato a Violante Favilli.

39 Questo ritratto, citato nel catalogo delle opere del Mussini come “Ritratto di Maria [Francesca Fortini] Borghesi”, oggi “non è più esistente presso gli eredi”; v. Siena tra Purismo cit., p. 93. 40 Vedi ASS, Notarile, originali, testamenti dei notai, 1851-1866, testamento di Maria Finetti Ballati Nerli del 7 agosto 1856; v. Amor di patria amor di fi glio. Lettere di un volontario toscano alla battaglai di Curtatone e Montanara, a cura di A.M. Mortari e C. Micheli, Mantova 2011, pp. 125-127. 41 Per l’identifi cazione dell’uomo ritratto con Scipione Bichi-Borghesi, v. G. MAZZONI, scheda, in Nel segno di Ingres cit., pp. 172-173; per l’identifi cazione con Giuseppe Ballati Nerli, v. ora lo stesso G. MAZZONI, I ritratti di Giuseppe Nerli, in Amor di patria amor di fi glio cit., pp. 115-118. 214 Patrizia Turrini

Il legato del conte Scipione Bichi-Borghesi all’Archivio di Stato si per-fezionava nei primi mesi del successivo anno 187842. Il 9 gennaio il direttore Luciano Banchi annunciava al soprintendente archivistico Guasti che le pergamene e i mobili facenti parte del legato gli erano stati tutti consegnati, seppure in modo provvisorio: “Partecipo a Vostra signoria illustrissima che in questi giorni ho ricevuto, in modo affatto provvisorio, lo splendido legato che la buona memoria del conte Scipione Bichi-Borghesi lasciò a questo Archivio. Il bellissimo mobile contenente la collezione delle pergamene ordinate e il testamento del Boccaccio fa bella mostra di sé nella Sala della esposizione permanente”, mentre le altre pergamene non ordinate erano in corso di esame. In un appunto a matita di pochi giorni dopo è inoltre specifi cato: “Stima del mobiliare: cornice di acero e ebano e urna a cristalli annessavi lire 1.220, armadio lire 250, due cornici lire 30, [totale] 1500”; il “mobiliare” era “stato valutato d’intesa col valente artefi ce cavaliere Rossi”. Nella missiva del 21 marzo 1878 diretta al sindaco di Siena – da giugno 1877 ricopriva questa carica per la seconda volta Luciano Banchi - il sottoarchivista Luigi Fumi precisava: “Il compianto conte senatore Bichi-Borghesi dispose nel suo testamento che tutta la sua collezione degli antichi cimelii, retaggio della sua illustre famiglia da lui accresciuto e oggetto di continuo amore per tutta la sua vita, passasse in dono al Regio Archivio di Stato di Siena [...]. Documento pregevolissimo, e che basta di per sé a rendere invidiata questa raccolta, è il testamento originale di G. Boccaccio del 28 agosto 1374. A dimostrare poi con quanto amore fosse custodito dall’illustre conte Borghesi, dirò solamente che egli fece costruire un comodo e bello armadio appositamente per contenerlo, di artistico lavoro, e immaginò per il testamento di Boccaccio un tabernacoletto di stile gotico che gli facesse da cornice. Il lavoro eseguito con meravigliosa maestria dal nostro cavaliere Rossi fa ora, insieme coll’armadio, bella mostra di sé nella Maggior sala dell’Archivio e rende testimonianza dell’amore del Borghesi, non solo per la storia, ma anche per l’arte e delle onorate tradizioni non mai fi n qui interrotte per noi della Scuola d’intaglio”. La Sala maggiore dell’Archivio era stata utilizzata fi n dal 1865 per esporre i documenti presentati al pubblico in occasione del sesto centenario della nascita di Dante; nella Sala furono portate anche alcune vetrine precedentemente utilizzate dal conte per esporre i suoi documenti e come perla principale l’urna del Rossi con il testamento del grande letterato toscano. Nella missiva del 14 giugno 1878 il direttore Banchi scriveva al signor Ernesto Nasimbeni, amministratore dell’eredità Bichi-Borghesi: “I documenti che per tale generosa elargizione prendono luogo nella vasta e preziosa raccolta delle memorie cittadine sono per mole e per importanza così notevoli che basterebbero da soli a dar nome ad un archivio”. Il 3 giugno 1878 il Banchi fi rmava la ricevuta diretta all’amministratore testamentario Nasimbeni: “Il sottoscritto direttore del Regio Archivio di Stato di Siena dichiara d’aver ricevuto dal signor Ernesto Nasimbeni, nella sua qualifi ca di rappresentante la eredità del fu conte cavaliere Scipione Bichi-Borghesi senatore del Regno, la splendida raccolta che si descrive qui appresso delle antiche carte Bichi, nota già ai dotti come Archivio Bichi, posseduta dall’illustre conte predetto, e con essa raccolta una parte ancora del ricco mobiliare che la conteneva come si dirà più avanti, il

42 ASS, Carteggio della Direzione, 1878, ins. 8, “Legato del conte Scipione Bichi-Borghesi”. Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca 215 tutto pervenuto a questo Regio Archivio di Stato di Siena per generosa disposizione del compianto e benemerito possessore, contenuta nell’ultimo suo testamento”. Nel maggio 1880 il Banchi riferiva al soprintendente archivistico l’epigrafe dettata “alla buona memoria del conte Scipione Bichi-Borghesi” dal collega cavalier Gaetano Milanesi: “A Scipione de’ Conti Bichi-Borghesi infaticabile raccoglitore delle patrie memorie che con previdente e generoso consiglio meglio di tremila pergamene scritte dal X al XIX secolo insieme col testamento originale di Giovanni Boccaccio riposto in bellissimo ornamento disponeva morendo che in questo R[egio] Archivio di Stato a pubblica utilità ed in suo maggior lustro e ricchezza si conservassero. Il Governo decretava che ad altrui esempio ed eccitamento la ricordanza di tanto dono qui si ponesse nel maggio del MDCCCLXXX” 43. Infatti il lavoro di decoro iniziato dal professor Bandini nella Sala della mostra permanente - una serie di ornati che riquadravano gli affreschi di primo Ottocento di Liborio Guerrini44 - costituì l’occasione per collocare un’iscrizione che ricordasse il legato di Scipione Bichi-Borghesi. L’iscrizione è quella ancora oggi in essere in questa Sala. Il mobile con la teca sovrastante, al cui interno era esposto il testamento di Boccaccio, è rimasto nella “Sala maggiore” dell’Archivio fi no agli anni Settanta del sec. XX, quando quel locale è stato trasformato nell’odierna Sala delle conferenze45. Ormai il mobile sottostante, la teca e lo stesso documento necessitavano di un’operazione di restauro conservativo. Quello della pergamena fu subito attuato nel laboratorio interno al nostro Istituto, così che il documento fu di nuovo esposto in una vetrina della Sala dantesca, in più idonee condizioni conservative: libero da colla sul dorso, in posizione orizzontale, con una copertura oscurante posta sulla vetrina per evitare al supporto pergamenaceo e agli inchiostri i danni della luce. Successivamente è stato possibile mettere di nuovo in mostra anche il manufatto ligneo, dopo che è stato sottoposto nel 2003 a trattamento disinfestante e nel 2005 restaurato ad opera di Amedeo Moretti, sotto la direzione di Anna Maria Guiducci. Tuttavia abbiamo deciso di non riposizionare la pergamena nell’antico contenitore, dove stava incollata e in posizione verticale, ma di utilizzare per l’esposizione nella vetrina un ottimo facsimile, che si deve al fotografo Fabio Lensini, mantenendo invece l’originale del 1374 nella vetrina della Sala dantesca, per una migliore conservazione e tutela. Intanto l’archivio amministrativo Bichi-Borghesi, conservato in una apposita stanza nel palazzo di famiglia, passava alla discendenza da parte femminile, cioè a Maria Antonietta e Diana Albergotti, fi glie di Giuditta Bichi-Borghesi, ed eredi dello zio Luigi,

43 AS SI, Carteggio della Direzione, 1880, ins. 35 “Memoria al conte Scipione Bichi-Borghesi“. 44 Su questi lavori, v. P. TURRINI, Palazzo Piccolomini, sede dell’Archivio di Stato, in Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per gli Archivi, Archivio di Stato Siena. Museo delle Biccherne, a cura di M.A. Ceppari, M.R. de Gramatica, P. Turrini e C. Zarrilli, coordinamento scientifi co C. Zarrilli, Viterbo 2008, pp. 11-26, alle pp. 24-26; v. anche BC SI, ms. II P., “Lettere di diversi a Gaetano Milanesi”, n. 3, due lettere di Luciano Banchi del 9 luglio e del 25 settembre 1880. 45 Archivio di Stato di Siena, Le sale della mostra e il museo delle tavolette dipinte. Catalogo, Roma 1956, pp. 71-72, vetrina 21, n. 224 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XXIII). 216 Patrizia Turrini morto nel 1920 senza prole, causando quindi l’estinzione di quella casata. Nel 2004 le sorelle Brini, a loro volta eredi Albergotti, vendevano alla Soprintendenza archivistica per la Toscana l’archivio familiare che così passava all’Archivio di Stato di Siena: si tratta della documentazione che mi ha permesso di completare la mia ricerca46. Ho parlato molto del conte e senatore Scipione Bichi-Borghesi e della sua famiglia, e forse un po’ meno del testamento, in linea però con la volontà di ricordare nella giornata di oggi non solo il prezioso documento conservato nell’Archivio di Stato di Siena, ma anche il generoso donatore.

PATRIZIA TURRINI

46 ASS, Archivio Bichi-Borghesi di Scorgiano, Appendice, 1; Carteggio della Direzione, cat. VII.5, ins. 41, anno 2004 (le venditrici erano le signore Gigliola Brini Simonelli e Laura Brini). Il ramo della famiglia Bichi cui si riferisce questo archivio, è quello dei conti di Scorgiano. Alla fi ne del Seicento il vasto patrimonio che si era accumulato nella persona di Antonio Bichi vescovo di Osimo (che aveva ereditato dal fratello i beni di Scorgiano) correva il rischio di andare disperso. Il testamento di Antonio istituiva pertanto una primogenitura a favore dei fi gli maschi del fratello ma, in difetto di linea maschile, chiamava alla primogenitura anche la linea femminile. Nella primogenitura Bichi entrarono quindi i discendenti maschi di Onorata Bichi sposatasi con Niccolò Borghesi nel gennaio 1665, che diedero origine al ramo Bichi-Borghesi (si ricorda qui che anche l’altro ramo dei Bichi, marchesi di Roccalbegna, si estinse nei primi decenni del Settecento nella famiglia Ruspoli, dando origine al ramo Bichi Ruspoli). Nel 1809 Luigi Bichi-Borghesi sposò Maria Fortini e con essa entrarono nella famiglia beni e carte di questa famiglia, a sua volta discendente del poeta arcade Bernardino Perfetti (1681-1774). In seguito gli eredi di Tiberio e Scipione si divisero l’archivio di famiglia: a Scipione (erudito e collezionista di memorie senesi) andò il diplomatico che poi lasciò con legato testamentario all’Archivio di Stato di Siena, mentre il nucleo “ordinario” delle carte di famiglia andò aLuigi di Tiberio e dalle sue discendenti dirette in linea femminile anche questa parte dell’archivio Bichi-Borghesi è stato venduto nel 2003 all’Archivio di Stato di Siena. L’archivio si compone essenzialmente di due gruppi di documenti, quelli propri della famiglia Bichi-Borghesi e quelli provenienti dalla famiglia Fortini. Vi è infi ne un piccolo gruppo di documenti di altre provenienze (tra cui carte Albergotti). All’interno di questi gruppi si articolano le serie degli “affari”, delle “cause”, dei carteggi, dei registri dell’amministrazione del patrimonio (con le complesse amministrazioni pupillari e dotali) e degli allegati relativi (ricevute). Si segnalano in particolare gli spogli delle cartapecore di Casa Bichi e gli elenchi di risieduti nelle magistrature cittadine, oltre ad altri documenti importanti, quali la fi lza di “carte di casa Bichi”e i primi registri relativi all’amministrazione della tenuta di Fungaia (di Firmano Bichi). Abbastanza inedita è invece la presenza delle carte Fortini (e Perfetti) che permettono di ricostruire la consistenza di questo patrimonio, giunto per linee femminili fi no a Maria Francesca, moglie di Luigi Bichi-Borghesi e che fu liquidato soltanto alla fi ne dell’Ottocento. PER SOSPETTO DELLO ’NPERDORE. SIENA E I NOVE ALL’AVVENTO DI ENRICO VII DI LUSSEMBURGO (1311-1313)*

“El detto imperadore fu nato di legniagio de Lunzinborgo. […] Fu eletto re della Magna per buono e prode omo dell’arme e savio. E faceva bene tale signoria. Falì di qua in Italia per credare troppo a’ ghibellini e pigliare loro parte. E, chi prende parte, apena può giudicare, ragione nè fare”. “Alquanti ghibellini gli avevano promesso di mettarlo in Siena; ma l’ufi zio de’ VIIII, col Popolo, provide a la guardia della città a ciò che non potessino fare”1.

Con queste parole il cronista Paolo di Tommaso Montauri sintetizza la parabola politica dell’imperatore Enrico VII in relazione all’esito della vicenda senese. La parzialità ha condotto l’imperatore all’errore. Il Reggimento popolare senese è riuscito a ristabilire la concordia cittadina e la stabilità politica all’interno della città di Siena. Nessuna retorica propagandistica volta ad esaltare in maniera esplicita la Parte Guelfa senese. Nella caratterizzazione dell’elemento ghibellino – che ha infl uenzato negativamente l’operato di Enrico, ed ha rappresentato l’elemento destabilizzante del sistema – è il più ampio concetto di parzialità, prima ancora della sua specifi ca coloritura faziosa, ad essere oggetto di condanna e di riprovazione. La faziosità conduce alla disgregazione del corpo sociale; l’unità dei cittadini è garanzia di stabilità e governabilità. Uno stilema retorico comune, talvolta persino ridondante nelle dottrine politiche comunali e popolari, ma che nella specifi cità del caso senese assume un suo peculiare valore di coerenza. La discesa dell’imperatore nella penisola italiana amplifi cò sino alla inevitabile collisione faziosa, contraddizioni e peculiarità distintive del ceto eminente cittadino che sino a quel momento erano riuscite a coesistere e a convergere in un modello di gestione politica ampiamente condiviso. Il più longevo e stabile governo della storia senese, quello dei Nove, insediato da circa una ventina d’anni, fu messo a dura prova dalla vicissitudine imperiale e, nell’esigenza di scongiurare il collasso politico, fu costretto a compiere una complessa operazione di analisi delle sue componenti sociali e

* Si pubblica con poche variazioni e con l’aggiunta delle note il testo dell’intervento Enrico VII e Siena presentato al Convegno Internazionale di Studi Enrico VII, Dante e l’Italia comunale e signorile svoltosi a Firenze-Figline Valdarno l’8-9 novembre 2013. 1 Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri [da ora PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese], in Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli Storici italiani dal cinquecento al millecinquecento ordinata da L. A. Muratori. Nuova edizione, tomo XV, parte VI, Cronache senesi a cura di A. Lusini, F. Iacometti, Bologna [s. d.], p. 246.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 218 Barbara Gelli della propria organizzazione istituzionale al fi ne di colmare le proprie lacune per reagire e rinvigorirsi. Alla fi ne di questa prova, malgrado il rischio concreto di sovvertimento politico, i Nove acquisirono una maggiore consapevolezza di sé e dei propri punti di forza, confermando ed, anzi, accentuando la propria immagine di governo super partes, pacifi catore, e caratterizzato da un’impronta maggiormente popolare che guelfa. Nel corso della vicenda legata all’imperatore tedesco, Siena scelse di allineare la propria linea diplomatica in accordo con quella degli altri comuni della Lega Guelfa toscana, perciò, quando il 16 giugno 1310 giunsero a Siena gli ambasciatori di Enrico per richiedere l’invio di messi alla futura incoronazione, “li Sanesi non […] ferno [risposta] in fi no a tanto che non ebero da Firenze quello che i Fiorentini avessero risposto”2. La crescente ostilità gigliata nei confronti di Enrico fece sì che, nonostante i primi, iniziali e formali rapporti di ossequio manifestati all’indomani della prima incoronazione del sovrano3 - alla quale, infatti, parteciparono dei rappresentanti senesi -, in seguito anche Siena decise di prendere posizione in aperto contrasto con la politica adottata dall’imperatore nell’Italia settentrionale4: il Comune perciò non inviò i suoi rappresentanti alla seconda incoronazione di Milano e nel corso del 1311, numerosi contingenti furono mandati ad ingrossare le fi la degli eserciti ostili al sovrano nelle spedizioni di Bologna, Genova e Parma5. In nome della libertà cittadina e della “conservatione sociorum et societatis Tuscie”6, Siena promosse, a livello interno, una serie di deliberazioni volte a prevenire eventuali disordini interni e ad organizzare le future esigenze militari: proclamò una balia segreta7, istituì una presta in vista delle spese militari8, si pose il problema di annullare

2 Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta la cronaca maggiore [da ora AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese], in Rerum Italicarum Scriptores cit., pp. 308-309. 3 Nella fase iniziale Siena cercò di mantenere una cauta neutralità per studiare comportamenti ed intenti su ambo i fronti, ARCHIVIO DI STATO DI SIENA (da ora ASS), Consiglio Generale 77, cc. 80v-82v, 29 novembre 1310, venne stabilito di inviare contemporaneamente “prudentes solempnes et honorabiles ambaxiatores comunis Senarum […] ad summum pontifi cem et dominum imperatorem […] pro pace et conservatione pacis et pro defensione, conservatione et augumento comuni et populi Senarum”. 4 ASS, Consiglio Generale 78, cc. 165v-168r, 21 maggio 1311 in cui venne indetta una cavallata “per dominos Novem gubernatores et defensores comunis et populi Senarum et per prudentes viros per ipsos electos ad conservationem status pacifi ci comunis et populi civitatis Senarum et ut habeatur potentia pro securitate maiori civitatis predicte et ad observationem eorum que in comuni parlamento per omnia communia sotietatis guelforum in Tuscia statuta sunt noviter […] pro statu pacifi co et salute civitatum et terrarum societatis predicte et amicorum eorum”, e ivi, cc. 178v-179r, 6 giugno 1311. Nell’ottobre del 1310 Siena aveva accolto con doni ed onori Roberto d’Angiò, ASS, Consiglio Generale 77, cc. 56r-59r (15 ottobre), cc. 64v-65r (27 ottobre). 5 AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., pp. 314-316. Per un inquadramento più generale R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, voll. 8, Firenze, IV, cap. III. 6 ASS, Consiglio Generale 78, cc. 142v-145v, 22 aprile 1311. 7 ASS, Consiglio Generale 77, cc. 40r-42v, 8 giugno 1310. 8 ASS, Consiglio Generale 78, cc. 101v-102, 104v-105, 14 febbraio 1310[11]. Nelle sedute precedenti si era discussa l’eventualità di promuovere un nuovo alliramento “ad conservatione tam civium quam comitatinorum et status pacifi ci civitatis predicte”, ASS, Consiglio Generale 77, cc. 109r-111r, 29 Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 219 le rappresaglie con le città alleate9 e, soprattutto, si ritrovò a gestire il problema della componente ghibellina. Dopo gli anni Ottanta del Duecento, i tentativi di sovversione da parte dei ghibellini senesi, erano stati ben pochi e di scarso rielievo, promossi da un gruppo contenuto di individui che aveva avuto bisogno di aiuti ed interventi esterni per dare vita a concrete azioni di disturbo10. Tra i più accaniti militanti era emerso con evidente ripetitività la partecipazione di esponenti della famiglia dei Buonsignori ed in particolare di Niccolò Buonsignori11 il quale, anche in questo frangente, era divenuto il punto di riferimento della fazione senese ghibellina nonché uno dei più stretti collaboratori dell’imperatore. Socio del banco senese più importante dell’epoca, la così detta ‘Grande Tavola’12, che alcuni anni prima era rovinosamente fallita dando origine al progressivo tracollo della fi nanza internazionale senese, il Buonsignori era sostenuto in questa impresa anche da uno dei suoi parenti e più stretti collaboratori fi nanziari, Ciampolo Gallerani13. Costoro, affi ancarono l’imperatore nella sua discesa in Italia e riuscirono a compattare attorno alla causa imperiale alcune famiglie tradizionalmente ghibelline del senese e della Toscana meridionale costituite prevalentemente da esponenti dell’aristocrazia fondiaria come gli Aldobrandeschi, i conti d’Elci, i signori di Sticciano, i domini di Casole. Gli stessi Buonsignori e Gallerani facevano parte di quel gruppo di casati cittadini che avevano riconvertito i capitali provenienti dalla mercatura nella formazione di solide coordinazioni castrensi ai margini del territorio senese ma che, in seguito al brusco ritiro dicembre 1310. La nuova Lira doveva essere formulata su modello di quella vecchia; quest’ultima non doveva essere bruciata ma conservata, ASS, Consiglio generale 78, cc. 78v-79r, 100v-101v, 103v-104r, 119r-v del 23 gennaio,14 febbraio e 12 marzo 1310[11]. 9 Si prese atto dello stato delle rappresaglie in corso e si decise di annullare congiuntamente quelle tra senesi e fi orentini, ASS, Consiglio Generale 76, c. 46r, 13 gennaio 1309[10], ASS, Consiglio Generale 78, cc. 63v-64r, 9 gennaio 1310 [11] e ivi, cc. 67v-68r, 10 gennaio1310[11]. 10 S. RAVEGGI, Siena nell’Italia dei guelfi e dei ghibellini, in Fedeltà ghibellina, affari guelfi . Saggi e riletture intorno alla storia di Siena fra Duecento e Trecento, a cura di G. Piccinni, Pisa 2008, pp. 47- 48, e 55, nota 81; A. GIORGI, Il confl itto magnati/popolani nelle campagne: il caso senese, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, Pistoia 1997, pp. 150-152. 11 Su Niccolò Buonsignori si veda la corrispondente voce curata da Giuliano Catoni in Dizionario Biografi co degli Italiani; nonché W. BOWSKY, Henry VII in Italy: the confl ict of Empire and City-State, 1301-1311, Lincoln 1960 ad indicem. 12 Sulla Grande Tavola si rimanda all’ormai classico studio di M. CHIAUDANO, I Rothshild del Duecento: la Gran Tavola di Orlando Buonsignori, in “Bullettino Senese di Storia Patria”, XLII (1935), pp. 103-142; G. PICCINNI, Sede pontifi cia contro Bonsignori di Siena. Inchiesta intorno ad un fallimento bancario (1344), in L’età dei processi. Inchieste e condanne tra politica e ideologia nel Trecento, Atti del convegno di studio svoltosi in occasione della XIX edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno (Ascoli Piceno 2007) a cura di A. Rigon, F. Veronese, Roma 2009, pp. 213-246. Per una panoramica generale si rimanda a G. PICCINNI, Il sistema senese del credito nella fase di smobilitazione dei suoi banchi internazionali, in Fedeltà ghibellina, affari guelfi cit., pp. 209-289. 13 Su Ciampolo Gallerani si deva la relativa scheda biografi ca curata da Andrea Giorgi nel Dizionario Biografi co degli Italiani. 220 Barbara Gelli dai traffi ci internazionali, avevano scelto, contrariamente alla maggior parte degli altri lignaggi, di consolidare la loro netta opzione in favore dell’elemento signorile rispetto a quello cittadino, accentuando, in questo modo, il loro progressivo distacco dalla vita politica urbana14. Il problema ghibellino dunque in tale frangente si impose all’attenzione dei Nove come un fenomeno esterno alle mura cittadine, destinato a mettere in risalto e, potenzialmente, a far esplodere, le criticità preesistenti nel rapporto tra il Comune senese e la gestione del proprio contado. Il possesso da parte dei rivoltosi di numerosi castelli, che si tramutavano in solide basi militari e che raggruppavano intere comunità di fi deles armati costrinse il governo a promuovere una politica volta ad un maggiore accentramento territoriale; perciò, nella primavera del 1310, il consiglio cittadino approvò la ripartizione del contado in nove vicariati al fi ne di delegare la vigilanza ed il controllo del territorio ad uffi ciali dipendenti dal Capitano del Popolo con competenza anche su molti possedimenti signorili posti al di fuori della giurisdizione del Podestà di Siena15. Contemporaneamente, si provvide anche ad una ristrutturazione statutaria della legislazione annonaria16 e si cercò di monitorare e garantire un approvvigionamento cerealicolo costante al fi ne di scongiurare pericolose rivolte17. L’estrema coerenza ed assiduità perseguita dal governo senese nella gestione della propria diplomazia e della propria politica territoriale si contrappose ad un ben più prudente e, per certi versi, cauto approccio repressivo all’interno delle mura cittadine. La venuta dell’imperatore, lungi dal poter essere comparata ad altri effi meri focolai di rivolta, si tradusse in un episodio tutt’altro che secondario, in quanto capace di agire sulla diffusa e mai del tutto sopita ‘identità’ ghibellina senese; una caratteristica notoriamente persistente di questa comunità che andò sempre identifi cando il momento più altro della propria storia nel suo passato fi lo-svevo e anti-fi orentino sino alla celebre mitizzazione della battaglia di Montaperti, autentico caposaldo dell’identità collettiva18.

14 GIORGI, Il confl itto magnati/popolani cit., pp. 208-210. 15 Precedentemente esistevano soltanto tre vicariati che erano controllati da uffi ciali del Podestà. Con la nuova riforma si intendeva costituire un gruppo di cinquemila uomini armati al servizio del Capitano del Popolo. Sulla riforma dei vicariati e la nascita delle compagnie del popolo si rimanda a G. MAZZINI, Alzate gli stendardi vittoriosi! Dalle compagnie militari alle Contrade (Siena, XIII-XVI secolo), Siena 2013, pp. 38-43; D. CIAMPOLI, Il capitano del popolo a Siena nel primo Trecento, Siena 1984, pp. 30-31. 16 Il Constituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, ediz. critica a cura di M. Salem El Sheik, Siena 2002, distinz. VI, rubr. 42, pp. 509-510: “Di rifare lo statuto del divieto”, maggio 1309. 17 ASS, Consiglio Generale 77, cc. 53r-55v, 13 luglio 1310, ASS, Consiglio Generale 78, cc. 87v-98v, 12 febbraio 1310[11], ivi, cc. 160r-164r, 7 e 10 maggio 1311. Più in generale su questi temi GIORGI, Il confl itto magnati/popolani cit., pp. 199-201. 18 Sintetizza bene il tema Sergio Raveggi: “se per l’Italia dei guelfi e dei ghibellini intendiamo quella proverbiale delle contrapposizioni di campanile, un’Italia di lunghissimo periodo dove si coltivano miti e sentimenti di identità, un’Italia che ha radici secolari e fronde che arrivano che talvolta arrivano fi no ai nostri giorni, Siena è ghibellina. Se per l’Italia dei guelfi e dei ghibellini intendiamo l’epoca che ha ben marcati (e non tanto estesi) confi ni cronologici, Siena è prima ghibellina e poi, ancora più a lungo, guelfa”, RAVEGGI, Siena nell’Italia dei guelfi e dei ghibellini cit., pp. 29-30. Sulla battaglia di Montaperti Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 221

Un Comune consapevolmente approdato al guelfi smo per ragioni di opportunità e di calcolo fi nanziario19, e, proprio per questo, retto da un governo che, già prima dell’avvento imperiale, sembra essersi caratterizzato per una ‘politica guelfa’ mai veramente aggressiva ed invadente nei suoi affari interni: nel 1309 il notaio Ranieri di Ghezzo Gangalandi aveva dato inizio al noto lavoro di volgarizzamento del Constituto senese promosso dal governo dei Nove in lettera grossa affi nché tutti, fossero in grado di leggerlo e trarne liberamente copia20. All’interno di questo colossale ‘monumento’ della propaganda popolare senese, composto da ben 1931 rubriche, soltanto 4 di esse facevano riferimento alla caratterizzazione guelfa del governo e delle istituzioni21. Questa laconicità viene confermata dalla percezione di una scarsa demonizzazione dell’elemento ghibellino all’interno del tessuto sociale senese di inizio Trecento a differenza di quello che, negli stessi anni, si stava verifi cando nella vicina Firenze. Un fenomeno, questo, confermato dal fatto che, passato il momento più cocente dello scontro tra guelfi e ghibellini senesi (risalente alla metà del Duecento), le cause di alterazione dell’ordine sociale sembrino per lo più riconducibili ad un problema magnatizio, svincolato da eventuali coloriture politiche22. Anche le indagini effettuate da William Bowsky volte ad esaminare alcune controversie tra guelfi e ghibellini senesi tra la fi ne del XIII e gli inizi del XIV secolo parrebbero confermare come, in questi casi, il governo intervenisse senza indulgere troppo in signifi cative esaltazioni di si rimanda al recente volume Alla ricerca di Montaperti. Mito, fonti documentarie e storiografi a. Atti del convegno, Siena, 30 novembre 2007, a cura di E. Pellegrini, Siena, 2009. 19 R. MUCCIARELLI, Il traghettamento dei mercatores: dal fronte imperiale alla pars ecclesiae, in Fedeltà ghibellina, affari guelfi cit., pp. 63-104. 20 M. ASCHERI, Un monumento sintesi di una cultura giuridico-politica fondamento del ‘Buon governo’ in Il Constituto del Comune di Siena cit., pp. 23-57. 21 Il dato è messo in evidenza da RAVEGGI, Siena nell’Italia dei guelfi e dei ghibellini cit., p. 52, nota 73, il quale tuttavia riconduce la presenza di una politica guelfa ‘di maniera’ prevalentemente ai decenni centrali del XIV secolo: “a metà Trecento, in uno scenario politico fortemente mutato, i fondamentali riferimenti del sistema politico guelfo non esistono più”, Ivi, p. 60 ma più in generale pp. 56-61. 22 Le deliberazioni del Consiglio Generale per la conservazione del ‘pacifi co stato’ della città precedenti alla discesa nella penisola dell’imperatore fanno tutte riferimento ai disordini provocati dagli scontri tra i casati cittadini ma non si parla mai di fazioni organizzate o di guelfi e ghibellini. Ad esempio ASS, Consiglio Generale 76, cc. 32r-v (8 dicembre 1309), 140r-143v (26 maggio 1310), 144r-147v (2 giugno 1310), ASS, Consiglio Generale 77, cc. 40r-42v (8 giugno 1310). Anche le cronache di questi anni riportano con frequenza notizie di scontri tra famiglie magnatizie; solo per restare in questo torno d’anni, nel 1309 i Nove promossero la pace tra Salimbeni, Malavolti, Piccolomini e Squarcialupi (Cronaca senese dall’anno 1202 al 1362, con aggiunte posteriori fi no al 1391 di autore anonimo della metà del secolo XIV [da ora ANONIMO, Cronaca senese di autore anonimo], in Rerum Italicarum Scriptores cit., p. 82), nel 1306 si ricorda la faida tra Tolomei e Malavolti (Ivi, pp. 86-87; AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., p. 295) mentre nel 1309 (PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., in Rerum Italicarum Scriptores cit., p. 234; AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., p. 309), 1310 (Ivi, p. 307) e 1315 quelle tra Salimbeni e Tolomei (ANONIMO, Cronaca senese cit., pp. 105-106; PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., p. 251; AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., p. 349). 222 Barbara Gelli parte23. Basti un esempio. Quando nel 1304 alcuni giovani, galvanizzati dall’annuncio di una recente vittoria guelfa, si radunarono fuori della casa di Neri Pagliaresi al grido di “morte ai ghibellini”, il podestà intervenne rapidamente e li condannò per aver disturbato la quiete pubblica24. Un equilibrio politico dunque basato sul ‘formale’ superamento della propria identità faziosa (e magnatizia) al fi ne di dare vita ad un governo condiviso di mercanti (e di “mezana gente”25) che la vicenda imperiale rischiò di sovvertire agendo sul ‘comune sentire ghibellino’ senese, in un momento, fra l’altro, di crescente diffi coltà dei traffi ci mercantili cittadini26. Fin da subito infatti il Consiglio Generale fu costretto a rilevare come la discesa imperiale avesse dato origine ad una ‘maxima discordia’ a livello cittadino e ad alla conseguente proliferazione di ‘settae’, ‘coniuratioes’, “conspirationes sive sotietates” di cui la pubblica fama attestava l’ampia diffusione in termini di aderenti e base sociale, ad opera “tam de nobilibus et magnatibus quam de popolaribus”27. Per tutta la durata della vicenda enriciana, il governo dei Nove scelse di portare avanti la già collaudata linea di contenimento della propria faziosità interna, dimostrando costantemente inusitate e sorprendenti cautele nella repressione effettiva del dissenso politico anche a costo, talvolta, di incorrere in condotte contrastanti e contraddittorie. È quanto si verifi cò ad esempio nell’ottobre del 1311, quando le indagini ed i processi che il podestà senese stava portando avanti contro i ghibellini “de civitate vel comitatu Senarum” furono bruscamente interrotti adducendo come giustifi cazione gli eccessi dell’attività repressiva e l’inutilità degli esiti perseguiti28, salvo poi, nove giorni dopo, approvare nei consigli cittadini la più severa regolamentazione per la conservazione del pacifi co stato della città degli ultimi venti anni29. Il 17 febbraio 1312 Enrico giunse a Pisa. Durante la sua permanenza emanò un

23 Si vedano ad esempio le casistiche riscontrate tra la fi ne del XIII secolo e gli inizio del XIV da W. B OWSKY, Un comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei Nove 1287-1355, Bologna 1986, pp. 244-246. Questa tematica tuttavia meriterebbe un lavoro specifi co ben più completo. 24 ASS, Consiglio Generale 65, cc. 60r-68v, 28 luglio 1304. Su questo anche BOWSKY, Un comune cit. p. 345. 25 Il Constituto del Comune di Siena cit., distinz. VI, rubr. 5, vol. II, p. 535. 26 Dopo il fallimento del banco dei Buonsignori, l’intero sistema del credito internazionale senese si trovò in gravissime diffi coltà. In questi anni i registri del consiglio cittadino sono pieni di riferimenti al problema. Molti provvedimenti cercarono di tamponare i crescenti debiti dando magari vita a nuove società come quella Tolomei. Su questo ancora PICCINNI, Il sistema senese del credito cit., pp. 216-230. 27 ASS, Consiglio Generale 79, cc. 106r-107r, 4 ottobre 1311: “in non modica quantitate tam de nobilibus et magnatibus quam de popularibus fecerant et composuerant settam, coniurationem et conspirationem sive sotietatem in preiudicium aliquorum et iacturam de civitate predicta propter quas settam, conspirationem, ordinationem et tractatum poterat status civitatis Senarum et populi perturbari”. 28 Ibidem: “cum de predictis nullus sit secutus effectus”, “dominus potestas civitatis Senarum et ceteri offi tiales comunis Senarum […] non possint nunc debeant ulterius procedere contra aliquam personam de civitate vel comitatu Senarum nec eos condempnare in aliquo”. 29 La normativa venne approvata nella seduta cittadina del 15 ottobre 1311 (ASS, Consiglio Generale 78, cc. 108v-112v) ed è interamente trascritta in ASS, Statuti 18, cc. 412r-415r. Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 223 sentenza di condanna per Siena e le altre città della Lega Guelfa colpevoli di ribellione. Alla fi ne di aprile, l’imperatore scelse la via di Maremma per dare avvio alla sua discesa verso Roma e caldeggiare la sua defi nitiva incoronazione, non prima di aver disconosciuto ogni diritto del Comune di Siena all’autogoverno e al domino sul contado30. In questo frangente, i castelli dei signori toscani militanti di Enrico si tramutarono in ricettacoli di ribelli31 e di fuoriusciti ghibellini e la stabilità del contado senese si trovò ad essere minata dall’interno. Il Comune rispose imprigionando, a scopo cautelativo, alcuni familiari dei lignaggi aristocratici ribelli32, promuovendo spedizioni punitive contro i Signori di Maremma, e, soprattutto, cercando di tamponare il più possibile il proprio fuoriuscitismo. A questo riguardo, invece di perseguire una politica dell’esclusione, il governo tentò di promuovere l’unità delle sue componenti sociali attraverso la reintegrazione e la successiva riabilitazione di ribelli e dissidenti del Senese: furono dunque annullate diverse condanne33 e cancellate le pene dei “multi nobiles prudentes, tam cives civitatis Senarum quam etiam comitatini”34, i quali, dietro pagamento di una somma, poterono così rientrare. Persino quando, nel mese di aprile, Enrico decise di spostarsi verso sud costringendo i Nove a cedere alle pressioni della Parte Guelfa e a proclamare il bando di alcune famiglie ghibelline35, anche allora, i governanti si affrettarono a far rientrare in

30 DAVIDSOHN, Storia di Firenze cit., IV, p. 639. 31 Si veda ad esempio la spedizione punitiva contro i possedimenti del conte d’Elci in ASS, Consiglio Generale 80, cc. 68v-70v. Nel corso della medesima riunione il dominus Neri di Rinaldo propose di commissionare una pittura infamante che ritraesse i ribelli del Comune (Ivi, c. 70r). 32 Il nobile Vannuccio del fu Nero da Sticciano era detenuto nelle carceri senesi “ad terrorem avunculorum suorum de Sticciano”, ASS, Consiglio Generale 80, cc. 114v-115v, 13 aprile 1312. 33 Su proposta di frate Bernardo degli Umiliati, camerario del Comune di Siena, vennero assolti da precedenti condanne e reintrodotti nelle rispettive comunità alcuni uomini di Massa Marittima e di Montepulciano, ASS, Consiglio Generale 79, cc. 142r-154v, 10 e 12 dicembre 1311. Lo stesso provvedimento venne replicato, qualche mese dopo, anche per alcuni individui di Chiusdino, ASS, Consiglio Generale 80, cc. 116r-117r, 15 aprile 1312. 34 ASS, Consiglio Generale 81, cc. 103v-107r, 10 settembre 1312. 35 A GNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., p. 317: “In Siena fu uno romore a dì 9 d’aprile, chè i Nove che per lo tenpo governavano Siena non voleano che i ghibellini andassero a ternafi ni, e lunedì apresso furono comandati a’ confi ni quelli di casa d’Ugo Rugieri, e a’ Pagliaresi e a’Ragnoni e a’ Caccianievoli e Arzochi e Salvani e Buonsignori e Incontri che dovessero andare a Cortona, a Perugia, e a Orvieto e ne’contadi di dette terre; e a dì XI d’aprile andoro e ubidiro”. Ivi, p. 318: “Parte guelfa voleva mandare a’ confi ni i ghibellini, e li Nove non voleano, unde parte guelfa ordinoro un sabato a notte a dì 9 d’aprile si levasse romore per cogliare cagione a’ ghibellini, e la mattina de la domenica inanzi dì fu una boce a una bocha del canpo e gridava: “allarme” “allarme”, e per questo incontanente i signori féro sonare la canpana ad arme per sospetto. E imediate i ghibellini con altri trasero in canpo come generalmente facea ognuno, e non volendo né sapendo alcuna cosa i signori dèro licentia a ognuno che si tornassero a casa, unde parte guelfa andoro a’signori e dissero come i ghibellini erano stati quelli ch’avevano levato e’romore e che per ogni cagione che potesse intervenire sieno i ghibellini mandati a’ confi ni e sarà levato via ogni sospetione de la città, perché lo ‘nperadore si dubita che verrà verso Siena ed è guidato da’ghibellini e da’ loro molti susidi. I signori Nove udito il volere e ‘l consigl[i]o di parte guelfa 224 Barbara Gelli

Siena tutti gli sbanditi36 non appena cessata l’emergenza del momento. Tuttavia, in tale frangente, dinanzi al passaggio dell’imperatore nel Senese e nel Grossetano, i Nove scelsero di assumere un atteggiamento più severo nei confronti dei Signori del contado e a maggiore garanzia di stabilità della propria rete territoriale, nel luglio del 1312, essi decisero di riservarsi il controllo diretto dei loro castelli inviando in loco propri delegati da essi nominati in via diretta, seppure impegnandosi a scegliere uomini non ostili ai vari domini37. Il tutto mentre il Comune continuava a contrastare, anche militarmente, la campagna imperiale inviando il proprio contingente prima a Roma, assieme alle altre truppe della Lega, e poi nel Fiorentino, per soccorrere la città alleata nel momento in cui, dopo aver risalito la Toscana, Enrico decise di porre il campo a breve distanza dalla città dell’Arno. La situazione più critica per il Comune senese si verifi cò tra l’inverno del 1312 e la primavera del 1313 quando Enrico si diresse verso sud accampandosi prima a San Casciano e poi a Poggibonsi al fi ne di approssimarsi verso Siena. La vicinanza dell’imperatore indusse il governo a promuovere una serie di riforme volte alla pacifi cazione interna. Molti ghibellini furono nuovamente allontanati dalla città38 e furono sospese tutte le cause civili e le faide cittadine39. Il 25 gennaio 1313 un contingente imperiale si avventurò sino alle porte di Siena per depredare, mettere un atto una scorribanda ma, soprattutto, sondare l’eventualità di un aiuto interno alla città40. I soldati furono momentaneamente

ordinoro di andare a’ confi ni e féro comandare i confi ni a le sottoscritte casate. Quelli di casa d’Ugo Rugieri e a’ Pagl[i]aresi e Ragnoni e Acaccianievoli e Arzochi e Salvani e Buonsignori e Incontri, e così andoro a Cortona, a Perugia e a Orvieto e ne’loro contadi, come lo’ fu comandato, e ubidiro; e così ogni dì ne mandava a’ confi ni quando X e quando vinti e più magiori, in modo che in pochi dì pochi ghibellini rimasero in Siena, unde la città ne ricevè grande mancamento, imperochè molti non osservoro i confi ni e andoro a lo ‘nperadore, dicendo come sono stati cacciati per sua cagione”. 36 Ivi, pp. 317-318. 37 ASS, Consiglio Generale 81, cc. 51r-52r, 17 luglio 1312. 38 ASS, Consiglio Generale 81, cc. 140r-143r, 22 dicembre 1312. 39 ASS, Consiglio Generale 81, cc. 121r-125r (7 novembre 1312) e ASS, Consiglio Generale 82, cc. 80r-83v (13 febbraio 1312[13]): “statuimus quod inter // omnes et singulos cives civitatis Senarum inimicantes seu hodium vel guerram habentes ad invicem pro homicidiis vel vulneribus sive malefi tiis in persona commissis uno vel pluribus seu occasione homicidi vel vulneris sive malefi ti in persona commissi […] sit et intelligatur fi rma tregua inviolabilis et duratura usque ad kalendas ianuarium ab omnibus et singulis dictas inimicitias, hodium vel guerram habentibus sic haberi et inviolabiliter observari”. 40 “Hiis diebus Senenses Augustinianos primo, postea Predicatores, postea fratres ordinis Camaldulensis miserunt ad inveniendum aliquam viam pacis; et secundum ea que petebant nichil est consummatum. Tamen illi qui tunc regebant supplicaverunt imperatori quod me vellet mittere ad eos ad tractandum aliquam bonam viam. Et quia nolebant quod aperte ego irem, sed occulte, domino non placuit, cum non esset honor suus, ut dicebat. Litteras plures habuerat de Senis quod ad tractandum occulte nullum mitteret, si vellet pro se habere bona pacta, sed aperte quemcumque vellet mitteret, cum populus tunc pacem desideraret; si pax non fi eret, ex quo gratiam dominus imperator eis volebat facere, et hoc publice populo diceretur, quod omnes pacem impedientes essent ad clamorem populi in periculo. Regentes noluerunt quod aperte ego irem, timentes predicta, et imperator noluit quod ego irem occulte”, NICOLAS OF BUTRINTO, Nicolai episcopi Botrontinensis Relatio de Itinere Italico Henrici VII Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 225 respinti, tuttavia l’evento mise a dura prova la stabilità del tessuto cittadino ed evidenziò quanto fosse diffusa la consapevolezza della sua stessa fragilità. Perciò, il 1 marzo, al fi ne di accrescere i già ampi consensi di cui sapeva di godere all’interno della città, Enrico giocò la carta della diplomazia rilasciando un privilegio imperiale in favore dell’ospedale senese di Santa Maria della Scala41. L’ente veniva posto sotto la protezione imperiale con un atto volto a palesare la possibile indulgenza e magnanimità dell’imperatore nel caso in cui Siena avesse deciso una volta per tutte di cambiare schieramento. Un invito destinato a trovare numerosi consensi. Sin troppi. Sempre più consapevoli dell’imminente possibilità di moti ed insurrezioni fi lo-imperiali, i Nove ordinarono la custodia di giorno e di notte della città promuovendo ronde continue di ‘equites’ e di ‘pedites’42. A tutti i senesi fu raccomandato di stare ‘vigiles’, ‘actenti’, “unanimes et concordes in defensa civitatis et iurisdictionis Senarum”43. Il tutto mentre le ribellioni e le scorribande dei Signori di Maremma stavano minando la stabilità dei possedimenti del contado costringendo le milizie senesi a tamponare in ogni dove possibili focolai di ribellione44. Agli inizi di marzo giunsero a Siena i rinforzi inviati da Roberto d’Angiò in favore della città toscana; pochi giorni dopo l’imperatore levava fi nalmente il campo per tornare verso Pisa. L’allontanamento del contingente imperiale rappresentò un’autentica boccata di ossigeno per il governo dei Nove, che approfi ttò del prolungato soggiorno pisano dell’imperatore per fare il punto della situazione: era chiaro come il primo e più urgente problema fosse costituito dalla straordinaria ampiezza del consenso imperiale, tale ormai da coinvolgere numerosi uffi ciali e persino alcuni membri della Signoria45. Questo, sommato alla crescente turbolenza dei magnati, rischiava di tradursi in sommosse in grado di travolgere e sovvertire il governo stesso. L’indulgente politica di contenimento dell’alterità perseguita sino a quel momento dimostrava di non essere più un effi cace strumento di tutela dell’ordine interno; perciò la risposta scelta dei Nove per fortifi care

Imperatoris ad Clementem V Papam, in STEPHANUS BALUZIUS, Vitae Paparum Avenionensium, vol. III, ed. G. Mollat (Paris 1921), p. 555. Cfr. PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., p. 241 e nota 1. Sin dall’ottobre del 1311 il Buonsignori aveva cercato di agire mantenendo i contatti con la componente ghibellina interna come rilevato anche da una lettera del governo fi orentino a Siena in Acta Henrici VII, a cura di F. Bonaini, Firenze 1877, II, n. 63, 24 ottobre 1311. 41 ASS, Diplomatico Santa Maria della Scala, 1 marzo 1312[13]. 42 ASS, Consiglio Generale 82, cc. 39r-41r, 8 dicembre 1312. 43 Ivi, cc. 93r-v, 27 febbraio 1312[13]. 44 PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., pp. 240-144; AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., pp. 326-328, 331-332. 45 Lo si evince con chiarezza sia da NICOLAS OF BUTRINTO, Nicolai episcopi Botrontinensis Relatio cit. p. 555 che dalle successive disposizioni promosse per la magistratura del Capitano del Popolo. In ASS, Capitano del popolo 1, c. 33v si precisava come tutti gli uffi ciali al servizio del capitano avessero dovuto essere guelfi ed i ghibellini rimossi dagli incarichi, mentre alle cc. 36r-v il precetto veniva esteso a tutti gli uffi ci del Comune: “quia nulla maior pestis est quam familiaris inimicus statuit quod nullus de coniuratione prodictione vel turbatione civitatis subspectus possit esse in aliquo offi cio comunis Senarum et quod dominus capitaneus et defensor teneatur taliter providere et curare quod nullus taliter subspectus ad aliquod offi tium eligatur”. Su questo cfr. anche ASS, Statuti 21, cc. 24v-25v, 20 settembre 1313, “de pena auferenda illi qui eligent aliquem ghibellini ad offi cium Dominorum Novem”. 226 Barbara Gelli la legittimità del proprio operato e promuovere una reductio ad unum del diverbio fazioso si espresse attraverso il consolidamento della propria direttiva popolare e nella primavera del 1313, la normativa senese relativa alla magistratura del Capitano del Popolo recepì l’introduzione di una serie di norme antimagnatizie. La fi gura stessa del Capitano del Popolo venne potenziata46 ed il suo nuovo ruolo rispose all’esigenza di garantire al governo un punto di riferimento per la difesa dell’ordine interno e la stabilità del regime47. “Fuli cre[s]ciuto l’ufi zio”, rievoca il cronista Paolo di Tommaso Montauri “e fecero questo contra a’ Grandi de’ Casati de’ Consorti, per aba[sa]re loro d’ogni ufi zio e benefi tio de la città”48. Il Capitano era tenuto a porre il suo operato in difesa dei Nove e con i Nove doveva concordare condivise linee d’azione. Per scongiurare l’eventualità di possibili favoritismi ed avere maggiori garanzie di imparzialità sul suo operato, fu chiamato a ricoprire l’incarico un esponente esterno alla città, Pellegrino di Bartolo da Città di Castello49, e tra i suoi primi compiti fu previsto il reclutamento di spie per cercare di prevenire eventuali ‘coniurationes’50 ed il dispiegamento di “grosse catene, co’ le serrature a duo chiavi” poste “a le boche maestre delle strade, vie e chia[s]si per tutto el mese di giugno e di luglio […] per guardia e stato de l’ufi zio de’ VIIII e per gelosia di cierti tratati che si diceva che molte genti facievano per rendare Siena a lo ‘nperadore per tradimento”51. All’inizio del mese di agosto, Enrico lasciava Pisa deciso a muovere contro Roberto d’Angiò. Mentre le truppe imperiali si avvicinavano pericolosamente alla città toscana, a Siena giunsero rinforzi da Firenze e da Lucca ed il governo senese, a scopo cautelativo, bandì nuovamente numerosi casati ghibellini. Nell’immediato, grazie a tale provvedimento, quando il 13 agosto Enrico pose il campo a Maggiano ed inviò alcuni uomini sino alle porte di Siena confi dando ancora una volta che i suoi partigiani gli

46 ASS, Consiglio Generale 82, cc. 115r-119r, 19 aprile 1313. 47 Su questo si rimanda a CIAMPOLI, Il capitano del popolo cit., pp. 31-32. Cfr. anche ASS, Consiglio Generale 82, cc. 147r-153v: “quod predictus dominus Capitanus et defensor tantum possit et debeat predictas penas imponere […] contra omnes et singulos violentos et oppressos ac etiam contra omnes et singulos homines et personas qui et que in predictis violentiis et oppressionibus invenirentur esse et fuisse culpabiles vel aliquot predictorum. Et quod in predictis et quolibet predictorum et contra quacunque persona[m], universitatem, collegium sive locum possit, teneatur et debeat cognoscere et procedere, dictus dominus capitaneus, tam per accusam, quam per denuntiationem, quam etiam per offi cio ipsius domini capitani et defensoris prout sibi et sue curie videbitur faciendum summarie et de plano et sine strepitu et fi gura iudicii ita et taliter quam violentiam passi suum ius et iustitiam plenarie consequantur. Et quod quelibet violentia bracchio et potentia dicti domini capitani et defensoris tollatur […] et removeatur”. 48 PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., p. 242 49 ASS, Consiglio Generale 82, c. 121r, 21 aprile 1313. 50 ASS, Capitano del Popolo 1, c. 36v, s. d. 51 PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., p. 243 nonché ASS, Capitano del Popolo 1, c. 38r in cui si precisa come il Capitano, assieme ai Nove deve “ordinare quomodo maligni qui attentarent currere civitatem et eam invadere in periculum civitatis eiusdem contra ipsorum furorem et iniquum propositum inveniant ad abstaculum et remedium et per ordinationi catenarum quibuis vie claudantur et aliis remedis opportunis”. Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 227 consegnassero la città, le speranze dell’imperatore furono ancora una volta, nonostante tutto, miracolosamente disattese52. Tuttavia la lacerazione del tessuto cittadino sembrava ormai troppo profonda per essere ricucita. “La lupa puttaneggia” avrebbe apostrofato con sdegno il cronista fi orentino Dino Compagni dinanzi agli evidenti cedimenti della città alleata53. Le scelte politiche senesi infatti avevano già cominciato a distanziarsi sul fronte diplomatico e militare da quelle della Lega Guelfa54 e le trattative tra il campo imperiale ed alcuni esponenti del governo stavano inesorabilmente portando il Comune toscano a scegliere la via di una condivisa adesione al fronte imperiale. Un’adesione che Enrico avrebbe voluto che si manifestasse chiaramente per esplicita volontà popolare e non per vie ‘occulte’55, conformemente ad un modus operandi che si sarebbe certamente rivelato funzionale alla promozione in ambito peninsulare della sua immagine di conciliatore super partes, capace di attirare a sé e ‘rappacifi care’ anche un Comune sino ad allora ostile. Undici giorni dopo, tra l’incredulità generale, l’imperatore spirava nella vicina località di Buonconvento infrangendo sogni di restaurazione imperiale, di autonomia territoriale e di rovesciamento politico. Il governo poteva dirsi, nonostante tutto, salvo. Morto Enrico, i Nove scelsero di confermare ancora una volta la propria linea politica ‘inclusiva’ e popolare: risolutamente super partes, in nome del valore assoluto della concordia civica. Vennero dunque perdonati, sub conditione, e riammessi in Siena tutti coloro che avevano manifestato il proprio appoggio all’imperatore, senza alcuna eccezione. Così, assieme a noti ghibellini e a uomini di ogni condizione sociale56, alcuni persino indigenti, che avevano intravisto nell’avvento imperiale, un’opportunità di

52 “A dì 13 d’agosto, lo ‘nperadore vine con sua gente in sul pogio preso a Magiano verso Siena co’ la sua gente, ed e’ suoi cavalieri vennero infi no a la chiesa di Santo Vieno, d’unde funno caciati co’ molta vergogna: vi rimaseno tra presi e morti. Lo ‘nperadore senpre stando sul detto pogio co’ molti stendardi, tronbe e nachere, pifari, tronboni e altri stromenti asai, credendo e aspetando che ladroni di Siena gli desero la terra, peroché pareva che certi di parte ghibelina gli avevano promeso di dargli l’entrata. Ma per la bontà di Dio e gratie della Vergine Maria e del buon providimento de’Signori VIIII e del franco popolo di Siena difese la francheza e libertà loro”, “Molti citadini di Siena e molti contadini andaro ne l’oste dello inperadore credendo che lui avesse Siena a suo diminio, di che molti se ne pentirno: eberne la mala ventura d’averne e di persone dal comune di Siena.”, PAOLO DI TOMMASO MONTAURI, Cronaca senese cit., p. 244. 53 DINO COMPAGNI, Cronaca, III, 28 e 36. 54 È il caso dell’occupazione imperiale di Pietrasanta nel maggio del 1313 in soccorso della quale le truppe della Lega inviarono uomini. “I Sanesi non vi mandoro [genti], perché alquanti mali omini stropiaro”, AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, Cronaca senese cit., p. 331. 55 Vedi infra nota 41. 56 Negli anni successivi alla vicenda enriciana, il consiglio cittadino si occupò del reinserimento dei numerosi ribelli. Tra costoro possiamo annoverare esponenti di importanti casati magnatizi, anche tradizionalmente guelfi , come i Tolomei (gli eredi di Ghezzotto Tolomei, condannati dal podestà, furono assolti in considerazione dei servizi militari resi dal padre durante la guerra, ASS, Consiglio Generale 84, cc. 58v-59v, 28 gennaio 1313[14]), ma numerosi furono anche gli individui che si unirono al fronte imperiale “causa paupertatis, defectus pecunie, necessitatis et indigentie magne et propter tempora periculosa concursa”, ASS, Consiglio Generale 84, cc. 86v-87v, 26 febbraio 1313[14]. 228 Barbara Gelli riscatto personale57, di ascesa sociale o anche, semplicemente di guadagno58, anche a Ciampolo Gallerani, uno dei principali rei del piano di far capitolare Siena fu concesso di poter tornare in patria dietro pagamento di un’ammenda. Filippo Buonsignori invece, fi glio del defunto Niccolò e anch’esso ribelle, dovette “cum omni reverentia, humilitate et subiectione” impegnarsi anche a nome dei fi gli e dei discendenti ad essere da allora in poi un “vero guelfus et de parte guelfa” e a cedere al comune ogni diritto o privilegio ottenuto dall’imperatore59. Complessivamente la vicenda aveva messo in crisi le ricette adottate fi no a quel momento dai Nove per contenere le alterità politiche e far convivere le varie parti sociali cittadine e comitatine. Nonostante le evidenti diffi coltà, il governo uscì comunque rinforzato da questa esperienza che contribuì a mettere maggiormente in evidenza problematiche già esistenti e a sollecitare interventi che, lungi dall’esaurire la propria validità una volta scongiurata l’emergenza del momento, continuarono anche in seguito ad essere portati avanti e si rivelarono funzionali ad una più coerente gestione della cosa pubblica; il tutto senza snaturare in alcun modo la linea d’azione adottata sino a quel momento. La ricomposizione del tessuto sociale sotto un governo dai caratteri ancora più popolari di prima (ma non guelfi ) e la campagna per un maggior controllo del proprio territorio in contrapposizione ai particolarismi signorili si rivelarono due importanti strategie politiche perseguite con rinnovato vigore dall’esecutivo senese. A pochi mesi dalla morte di Enrico di Lussemburgo le pareti della sala del Consiglio Generale di Siena recepirono tali princìpi attraverso la realizzazione di due nuovi affreschi: la sottomissione senese del castello di Giuncarico, possedimento signorile della famiglia ribelle d’Elci60, e la Maestà di Simone Martini,

57 Tra costoro vi fu anche chi si approfi ttò della nuova autorità acquisita grazie al fatto di militare dalla ‘parte vincente’ per dare luogo a vendette private come a Monteguidi dove alcuni ghibellini, forti dell’occupazione del castello da parte di Nero d’Elci, commisero azioni delittuose ai danni di un abitante del posto, ASS, Consiglio Generale 83, cc. 106v-108r, 31 ottobre 1314. 58 È il caso di un gruppetto di senesi i quali, al tempo in cui l’imperatore era stanziato a Poggibonsi, si introdussero furtivamente all’interno del Santa Maria della Scala durante il pasto dei frati per rubare alcuni panni destinati ai poveri e gettati nella carbonaia dell’ospedale da poter portare al campo nemico, ASS, Consiglio Generale cc. 86v-87v, 2 marzo 1313[14]. Non furono gli unici. Anche tale Iacopo del dominus Robbe fu esiliato perché “portaverit et ministraverit victualia inimicis […] in dampnum et preiudicium Partis Guelfe”, Ivi, cc. 142v-144v, 30 aprile 1314. Anche il Comune di Siena fece leva sulle opportunità di guadagno per reclutare “spie et esploratori” da inviare al campo nemico: [il Comune] “misit Colle, prefatos Duccium et Dinum qui tunc Senis non poterant lucrari et pro pauperitate iverunt ad Sanctum Cassianum in servitium comunis Senarum”. Nella specifi cità del caso evocato, i due inviati vennero scoperti ed uccisi ed il governo decise di effettuare un lascito in favore delle rispettive famiglie, ASS, Consiglio Generale 84, cc. 74v-75r, 8 febbraio 1313[14]. 59 ASS, Consiglio Generale 83, cc. 52r-56v, 24 gennaio 1313[14]; Frammento di cronaca senese di autore anonimo(1313-1320), in Rerum Italicarum Scriptores cit., pp. 165-166; BOWSKY, Un comune italiano cit., p. 118. 60 M. SEIDER, ‘Castrum pingantur in palatio’. 1. Ricerche storiche e iconografi che sui castelli dipinti nel Palazzo Pubblico di Siena, “Prospettiva” 28 (1982), pp. 17-41. Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di Lussemburgo (1311-1313) 229 in cui il dialogo celeste tra la Vergine e i santi ricordava il valore assoluto e ‘divino’ della concordia cittadina di fronte alle ‘molestie’ dei ‘potenti’ indotte da grandigia e ambizione personale61. Due eredità importanti che entrarono a pieno titolo all’interno degli stilemi propagandistici e programmatici adottati dai Nove nella costruzione della propria ‘fi sionomia identitaria’.

BARBARA GELLI

61 BOWSKY, Un comune italiano cit., pp. 390-392. - POLITICO, MERCANTE, VIAGGIATORE, ISLAMOLOGO - UNA RICERCA SU BELTRAMO DI LEONARDO MIGNANELLI SENESE*

Càpita più spesso di quanto non si creda, e di quanto qualche studioso non ami ohimè ammettere, di leggere un libro che non solo ti persuade e magari ti affascina, ma addirittura ti conquista. Ho letto quello di Nelly Mahmoud Helmy1 con autentica compartecipazione e con ammirazione profonda. E appunto per questo avvìo le mie poche considerazioni con due note di rammarico: le quali non riguardano però né il libro né la sua autrice, ma soltanto me. La prima è che, pur avendo contribuito a organizzare la presentazione senese di questo libro, anzi avendola addirittura promossa e perfi no con insistenza – gli amici e colleghi presenti, che ne sono stati testimoni, lo confermeranno -, sono stato poi costretto a disertarla per una meno piacevole e interessante ma istituzionalmente inevitabile bisogna: come accade talvolta, quando non maiora, sed fortiora et etiam peiora premunt. La seconda, della quale mi sento ancor più responsabile per non dire colpevole, consiste invece tutta e soltanto nella mia ignoranza, fonte come suole accadere di ogni male individuale e collettivo. Conoscevo molto più superfi cialmente di quanto avrei dovuto la fi gura di Beltramo Mignanelli, nella quale mi ero già imbattuto, riduttivamente considerandolo tuttavia soprattutto - non obiettivamente, ma per quel che più da vicino atteneva ai miei interessi e alle mie ricerche - un ”teorico” e “propagandista” della crociata; a suo proposito avevo peraltro letto alcuni contributi del nostro grande Angelo Michele Piemontese pubblicati fra 1994 e 19962. Misi comunque da parte le mie del resto deboli e superfi ciali informazioni, non senza – lo ammetto – qualche indecisione, quando mi capitò di affrontare la fi gura e le gesta di Timur (o di “Tamerlano”, come ohimè preferiscono continuar a chiamarlo gli italiani), comunque non già in funzione di una qualche programmata ricerca scientifi ca o nemmeno di una

* Il testo è stato letto in occasione della presentazione del libro di Nelly Mahmoud Helmy, il 31 marzo 2014 presso la Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. 1 N. MAHMOUD HELMY, Tra Siena, l’Oriente e la Curia. Beltramo di Leonardo Mignanelli e le sue opere, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2013, pp. 446, euri 50 ben spesi (“Nuovi Studi Storici”, 91). 2 Essi sono già richiamati in N. MAHMOUD HELMY, Memorie levantine e ambienti curiali. L’Oriente nella vita e nella produzione di un senese del Quattrocento: Beltramo di Leonardo Mignanelli, “Quaderni di storia religiosa”, XIII, 2006, pp. 237-68, part. 259-60 e passim; Eadem, I Mignanelli: mercatura, impegno pubblico e intellettuale di un casato senese tra XIII e XV secolo, “Bullettino senese di storia patria”, CXIV, 2007, pp. 9-67, materiale poi evidentemente tutto ripreso, riutilizzato e rifuso nel libro del 2013.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 Una ricerca su Beltramo di Leonardo Mignanelli senese 231 casuale curiosità erudita, bensì in quanto stavo per scrivere un romanzetto storico che aveva come oggetto sostanzialmente centrale la visita dell’ambasciatore castigliano Ruy Gonzáles de Clavijo all’emiro di Samarcanda3. Purtroppo all’epoca non conoscevo ancora la dottoressa Mahmoud Helmy e non sapevo delle sue ricerche: se avessi avuto a disposizione il suo libro quando scrissi il mio romanzo, quest’ultimo sarebbe riuscito senza dubbio molto diverso, migliore e credo perfi no più divertente. La mia ignoranza non aveva, non ha alcuna scusante, dal momento che da oltre mezzo secolo mi professo sia pur scalcagnato fedele di Clio ed esercito sia pur più o meno mediocremente il mestiere di storico: poiché di quel tal “curioso” manoscritto esistente nella libraria del duomo di Siena la res publica studiorum è virtualmente informata da ohimè quasi tre secoli, da quando cioè il 16 agosto del 1720 Uberto Benvoglienti ne scriveva al beatissimo padre comune di tutti noialtri italici topacci e topolini d’archivio e/o di biblioteca, a Ludovico Antonio Muratori. E’ stato da lì, dalle carte 1r-38v di quel manoscritto X.VI.2. attualmente nella senese Biblioteca degli Intronati che contiene le opere storico-trattatistiche del Mignanelli (il De ruina Damasci e il Liber Machometi et opinio perfi da iudeorum, precedute dal Liber de variantibus Psalterii), al quale vanno aggiunti il Vaticano latino 10688 e il 557 della National Bibliothek di Vienna, che Nelly Mahmoud Helmy ha avviato non so quanti anni fa la sua faticosa e benemerita ricerca appoggiata a un’esile traccia d’inchiostro che da una testimonianza di Andrea Biglia che lo collegava ai progetti di crociata di Gian Galeazzo Visconti e da una lontanissima e vaga nota dell’Ugurgieri Azzolini in pieno Seicento giunge – senza tuttavia passar inosservata da quegli altri due grandissimi, Nicolaj Jorga e Girolamo Golubovich (quelli sì, studiosi di gran razza!...), a Walter J. Fischel per arrivare poi a Federico Melis, a Gianfranco Fioravanti, a Paolo Nardi ed approdare infi ne appunto ad Angelo Michele Piemontese che già un quarto di secolo fa aveva tentato di scuotere la mia crassa distrazione: e sì che, almeno lo Jorga e il Golubovich, credevo di averli ben familiari; per non parlare di Federico Melis, che pur mi vanto di annoverare tra i miei più cari Maestri. Beltramo di Leonardo di Pietro, nato verso il 1376 nella ricca famiglia magnatizia dei Mignanelli e sepolto “nell’avello antico dei suoi antenati” – suona così la traduzione ugurgieri-azzoliniana della nota obituaria tratta dal Necrologio di San Domenico – nel gennaio del 1456, alla nel Quattrocento venerabile età di circa ottant’anni, era fratello minore di quel giurista e uomo politico Mignanello ch’era stato anche vicario (cioè responsabile dell’amministrazione giudiziaria) per la repubblica di Genova nella colonia di Caffa sul Mar Nero. Della sua vita si sa poco: è molto probabile che la sua avventura orientale fosse in qualche modo collegata al ruolo del fratello, e ad essa si collega la sua unica lettera redatta o spedita da Damasco al principio dell’agosto del 1395 e presente nell’archivio Datini di Prato; essa, a suo tempo segnalata dal Melis, è la superstite a tutt’oggi unica di un epistolario che può essere stato denso e ricchissimo. Nella bella e ricca città siriana, Beltramo risiedeva per esercitare la mercatura e forse anche in quanto “agente diplomatico” del Visconti: e ciò è del resto confermato da uno degli scarni cenni

3 Cfr. F. SURDICH, Il viaggio a Samarcanda di Ruy Gonzáles de Clavijo, “Itineraria”, 11, 2011, pp. 133-69. Quanto a quel romanzo, si tratta di F. CARDINI, Il signore della paura, Milano, Mondadori, 2007. 232 Franco Cardini autobiografi ci che egli lascia cadere qua e là nei suoi stessi scritti. Ignoriamo la durata di quella sua esperienza, ma dovette esser là ch’egli entrò in qualche familiarità con l’ambiente dirigente mamelucco che reggeva Egitto e Siria e con lo stesso sultano Barqūq, del quale avrebbe redatto la biografi a. Ebbe comunque la fortuna, stando alle sue stesse dichiarazioni, di non trovarsi a Damasco quando nel Quattrocento su quella meravigliosa e sfortunata città (…davvero, il passato non passa mai!...) si abbatté lo spaventoso uragano dello Zoppo di Samarcanda: egli si trovava allora pellegrino nella del resto non lontana Gerusalemme, da dove poté raggiungere Damietta e da lì per via fl uviale il Cairo per tornare infi ne a Damasco nell’inverno del 1402 attraverso le carovaniere del deserto arabo. Poco dopo, e molto probabilmente in non casuale coincidenza con la morte di Gian Galeazzo, egli rientrava per la via di Milano (sbarcato pertanto, evidentemente, a Genova) in Siena dove – a parte un iniziale poco chiaro ruolo nella congiura di Francesco Salimbeni – coprì vari incarichi istituzionali cui dovette accompagnarsi un’attività diplomatica magari uffi ciosa, ma forse di un qualche rilievo: sulla quale tuttavia fa difetto la documentazione. A partire dal 1409, troviamo Beltramo in una posizione che gli consentiva di seguire da vicino il concilio di Pisa, dal quale avrebbe dovuto scaturire la tanto attesa e desiderata fi ne del Grande Scisma d’Occidente mentre sappiamo che ne derivò, invece, un’ulteriore sia pur effi mera complicazione. Da allora, egli fu costantemente impegnato in rapporti anche stretti con la Chiesa e la Curia romana: fedele a Gregorio XII fi no alla dilui abdicazione, fu tra 1416 e 1419 al seguito del domenicano e cardinale Giovanni Dominici dal concilio di Costanza sino alla missione boemo-ungherese durante la quale il prelato abbandonò questa nostra valle di lacrime. Da allora la presenza e l’attività del Mignanelli segnarono un decisivo anche se non continuo e coerente progresso d’importanza qualitativa: ambasciatore nel ’32 presso l’imperatore Sigismondo incappò tuttavia in un poco chiaro incidente che gli procurò una condanna non lievissima e un breve esilio a Piombino, forse per qualche cosa d’imprudente da lui detto o scritto nei confronti del sovrano e della signoria senese; fu quindi al concilio di Ferrara e poi di Firenze, dove partecipò all’incontro con gli inviati “del Prete Gianni”, cioè del Negus (o forse, più probabilmente, con quelli del patriarca copto d’Alessandra o dell’abate del monastero etiope di Gerusalemme) e fu incaricato da papa Eugenio IV di stendere l’ennesimo di quei progetti di crociata che ormai, dal II concilio di Lione del 1274 in poi, erano diventati un “genere letterario” tattico-strategico- propagandistico4. Ma andava ormai per gli almeno sessantacinque anni, che nel XV secolo non erano pochi (e che, avendoli già passati da quasi due lustri, posso assicurare non sono pochi neanche al giorno d’oggi): da allora, le sue tracce si perdono fi no alla sua morte.

4 Il ruolo del Mignanelli è sfuggito anche al pur accurato lavoro di sintesi dell’amico e collega Marco Pellegrini, anche lui “vittima” (sia pure meno colpevole di me) del fatto che il libro della Mahmoud Helmy sia uscito soltanto nel 2013, in contemporanea con il suo (cfr. M. PELLEGRINI, Le crociate dopo le crociate, Bologna, Il Mulino, 2013). Gli segnalo l’involontaria lacuna, che gli sarà utile colmare in una prossima riedizione del suo fortunato e apprezzato saggio. Una ricerca su Beltramo di Leonardo Mignanelli senese 233

Questa vita intensa e avventurosa, in gran parte ricostruibile ipoteticamente attraverso non troppi indizi piuttosto che non narrabile grazie al supporto di sicure prove, ha occupato il primo capitolo della prima parte – La vita e le scritture - del ponderoso ma limpido (e, desidero sottolinearlo con forza, leggibilissimo) libro della Mahmoud Helmy, dedicato appunto a La biografi a di Beltramo di Leonardo Mignanelli: famiglia5, patrimonio, eventi, carriera6. Il secondo capitolo riguarda due scritti molto diversi per importanza ma al tempo stesso si può dire per molti versi complementari: il De ruina Damasci, dove l’assedio e la distruzione della metropoli siriaca sono inseriti nel contesto della campagna siro- irakeno-anatolica di Timur7 e ricostruiti nel confronto con le altre fonti sia documentarie sia narrative di quel drammatico episodio8; e il ritratto di Tamerlano, è ricostruito “tra cronachistica, itinerarium e biografi a”, e l’Ascensus Barcoch, “tra biografi a, novella e romanzo d’avventura9, nel confronto tra le quali s’inferisce come, nel quadro di quelle “vite degli uomini illustri” ch’era ormai plutarchistico e petrarchico-boccacciano (nonché – non dimentichiamolo, specie a Siena - iconografi co), il Mignanelli fosse attentissimo alle differenti articolazioni dei generi cui attingeva. Di questo capitolo sono particolarmente interessanti e signifi cativi gli intensi, e sia pure brevi, paragrafi 8 (Il tempo del racconto e la memoria personale) e 9 (La percezione dell’Altro. Damasceni, mongoli ed ebrei nel racconto di Beltramo), a proposito dei quali la giovane studiosa affronta con coraggio e puntualità i temi e i metodi dell’ormai necessaria, ineludibile ricerca interdisciplinare tesa fra i poli della storia, della fi lologia e delle scienze umane, in particolare l’antropologia10. Il terzo capitolo della prima parte, dal titolo La trattatistica: Informatio contra infi deles e Liber contra Machometi et opinio perfi da iudeorum, arricchito anche da un cenno all’opera mignanelliana Liber de variantibus Psalterii, che richiederebbe per una trattazione analitica adeguata tematiche e strumenti precisi i quali non appartengono propriamente agli interessi euristici e problematici dell’Autrice, ci pone dinanzi al Mignanelli che possiamo tranquillamente defi nire non solo “”arabista” bensì anche “protoislamologo” e che, un po’ come tutti coloro che da differenti punti di vista e con diverse competenze si sono occupati de secta Machometi e hanno scritto contra infi deles, non può eludere quello che, tra la battaglia di Nicopoli e la presa ottomana di

5 Non dimentichiamo il forse inventato, forse pseudonimo (chissà…) Mariotto Mignanelli, protagonista di una tragica storia d’amore che Masuccio Salernitano ha ambientato a Siena e che ha ispirato il Romeo and Juliet di Shakespeare (cfr. MAHMOUD HELMY, I Mignanelli, cit,, p.9). 6 MAHMOUD HELMY, Tra Siena, cit., pp. 3-87, con un corposo e prezioso annesso costituito da 14 lettere inedite del Mignanelli al Concistoro di Siena, quasi tutte autografe (pp. 91-112). 7 Per una rapida visione d’insieme delle gesta del grande conquistatore e della sua fortuna nella cultura europea moderna, ci permettiamo il rinvio al troppo rapido saggio di F. CARDINI, Tamerlano. Il principe delle steppe, Novara, De Agostini, 2007. 8 Da non trascurare in questo contesto il primo paragrafo, dedicato al Mignanelli Astrologo, scrittore, arabista: si tratta, come aggiunge la stessa Autrice, di una vera e propria biografi a culturale nella quale gli astri, secondo del resto quella ch’era ormai una precisa tendenza della cultura “alta” del tempo anche in Occidente, occupano un ruolo di grande rilievo (MAHMOUD HELMY, Tra Siena, cit., pp. 113-25). 9 Ibidem, pp. 113-207. 10 Ibidem, pp. 198-207. 234 Franco Cardini

Costantinopoli e anche oltre – quindi quasi esattamente lungo l’intero arco dell’esistenza fi sica del Mignanelli: e del resto anche prima di allora e per altri due-tre secoli dopo – era l’appunto ineludibile problema della crociata11. Il quarto capitolo, Tradizione e fortuna delle opere del Mignanelli, non solo colloca adeguatamente l’opera del diplomatico- avventuriero-scrittore nel contesto umanistico senese (non senza alcune prese di distanza sullo stesso concetto di “umanesimo”), ma la confronta con gli autori più noti e illustri di lui – il Biglia, il Tizio, il Bracciolini – senza sottrarsi al delicatissimo tema dell’eredità letteraria, dell’uso delle fonti, del dissenso, del fraintendimento, della polemica, del “debito” e magari, sia pure in circospetti e impliciti termini, del “plagio”12. La seconda parte del libro, I testi, è costituita dalle edizioni del De ruina Damasci, dell’Ascensus Barchoch, dell’Informatio contra infi deles e del Liber Machometi et opinio perfi da iudeorum, accompagnate dall’opportuno apparato, da ampie note, e seguite dalla presentazione delle fonti inedite e edite, dalla biografi a, da ricchi indici. Siamo dinanzi a un lavoro che apre prospettive nuove e inaugura ulteriori orizzonti di ricerca. C’è da chiederci come abbiamo fatto sinora, senza un libro come questo; e non è diffi cile profezia il dirsi certi ch’esso provocherà molte profi cue discussioni, correggerà l’andamento di ricerche ancora in corso e sarà punto di partenza per altre indagini.

FRANCO CARDINI

11 Ibidem, pp. 209-70. 12 Ibidem, pp. 271-303. STORIE DI CARTE, UOMINI, GIUSTIZIE*

Leggere, approfondire, compulsare i numerosi percorsi storico-archivistici e storici tout court offerti dalla mole colossale di questi due volumi di atti sulla documentazione degli organi giudiziari di età tardo-medievale e moderna rappresenta un viaggio davvero affascinante e istruttivo in giro per l’Italia, soprattutto di area centro-settentrionale, e per i suoi archivi. Ma il titolo non rende, a mio modesto avviso, la ricchezza del contenuto: innanzitutto, perché più che gli organi, più, per intenderci, che una storia ‘istituzionale’, è l’operare degli individui che quegli organi, e gli archivi da loro prodotti, hanno vivifi cato, il dato che emerge con forza, e sul quale sarà opportuno ritornare. Non solo, la stessa periodizzazione pare riduttiva: dal pieno e tardo medioevo si sfonda ampiamente all’interno dell’età contemporanea, o meglio si sottolinea opportunamente nella stragrande maggioranza dei contributi come per comprendere quanto avvenuto tra Otto e Novecento nell’ambito dei plurimi e diversifi cati percorsi di sistemazione delle carte notarili e giudiziarie sia indispensabile risalire al momento in cui quelle carte furono prodotte e ai successivi, di nuovo diversifi cati e plurimi, percorsi di organizzazione, conservazione e sedimentazione. Anche per la storia delle carte giudiziarie, e della giustizia, poco o nulla si comprende, dunque, se non scardinando le periodizzazioni ‘canoniche’, secondo una prassi oramai pacifi camente accettata pure nell’ambito di chi si occupa di storia ecclesiastica (che, tra l’altro, numerosi punti di contatto e ‘cammini’ comuni condivide con la prima, come del resto prova ad abundantiam il corposo e ricco saggio di Gaetano Greco, non molto distante da una piccola monografi a sul case study toscano, tra, appunto, ‘storie’ di Chiesa e ‘storie’ di giustizia1). I più o meno recenti lavori di Paolo Prodi, e sul versante storico-ecclesiastico e su quello storico-giudiziario, hanno del resto reso pacifi ca la necessità di legare tardo medioevo e prima età moderna se si vogliono comprendere appieno alcuni fondamentali fenomeni di lungo periodo nella storia dell’Occidente cristiano2.

* A proposito di La documentazione degli organi giudiziari nell’Italia tardo-medievale e moderna, atti del convegno di studi (Siena, 15-17 settembre 2008), a cura di ANDREA GIORGI, STEFANO MOSCADELLI e CARLA ZARRILLI, 2 volumi, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2012. Si pubblica in questa sede, con essenziali integrazioni bibliografi che, quanto detto in occasione della presentazione del volume avvenuta l’11 ottobre 2013 presso l’Archivio di Stato di Siena. 1 G. GRECO, Tribunali e giustizia della Chiesa nella Toscana moderna. Territori e confi ni, competenze e confl itti, II, pp. 949-1073. 2 Basti il riferimento a P. PRODI, Il sovrano pontefi ce. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 1982 e ID., Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, il Mulino, 2000.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 236 Maurizio Sangalli

Ma, per tornare alla tematica del ‘viaggio’ tra le carte, un condensato di ciò che poi si svilupperà ampiamente nei singoli contributi è offerto dal denso saggio iniziale di Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, che, da avvertiti organizzatori dell’incontro senese del 2008, offrono in un certo modo la bussola entro la quale muoversi per una più perspicua comprensione degli atti nel loro complesso3. Vi si fa in un certo senso lo status quaestionis, percorrendo a volo d’uccello quanto è stato prodotto nei differenti ambiti territoriali sul tema, mettendo in risalto opportunamente somiglianze e differenze nei modi di organizzazione e conservazione delle carte, e offrendo le linee-guida lungo le quali si muoveranno anche gli altri contributi: la felice espressione del tentativo di costruire una ‘geografi a della conservazione’ è del resto indicazione che vorrei tener ferma anch’io nell’impostare questo breve contributo, avendo appunto affrontato per ‘blocchi’ territoriali la lettura degli atti, salvo poi tentarne una comparazione e una sintesi. La barra del timone mi pare si sia voluto, e giustamente, tenerla ben diritta soprattutto su un dato di fondo, che rappresenta una delle più importanti novità di questo lavoro: riprendendo il citatissimo articolo di Claudio Pavone4 (Pavone che fu prima archivista che storico), una revisione dei portati di quel ‘metodo storico’ che proprio in terra di Toscana si è sviluppato, congiungendo specularmente archivio e istituzione, archivio ed ente produttore, in nome di una realtà di produzione e conservazione documentaria fatta più e prioritariamente di singoli che non di istituzioni. Del resto, lo storico dell’età medievale e quello della prima età moderna, adusi a rintracciare continuamente tra le carte la magmaticità e il pluralismo dei singoli, prima ancora che delle istituzioni, non può che concordare con tale revisione e anzi il colloquio e il confronto costante tra medievisti e modernisti (ma anche storici del diritto, dell’economia, delle Chiese) e gli archivisti ha fruttato e continuerà a fruttare importanti acquisizioni, in direzione di quella interdisciplinarità che gli organizzatori hanno giustamente posto a base del convegno senese. Ma chi sono questi singoli (i cosiddetti soggetti produttori)? Precisamente quelle fi gure anfi bie di notai-attuari e notai-conservatori, di notai operanti sia in ambito privato che pubblico, publicae personae dotate dell’attributo della publica fi des sia in un ambito che nell’altro, e che Diego Quaglioni tipizza nel breve ma denso articolo di apertura, all’interno della storia giuridica e giudiziaria nel passaggio tra medioevo ed età moderna, tra processo accusatorio e inquisitorio5. E che Giorgio Tamba e Massimo Vallerani descrivono limpidamente nel delineare il loro coinvolgimento nelle differenti fasi processuali in un contesto chiave come quello bolognese di età comunale, tanto più interessante per la contiguità con la produzione teorico-giuridica e pratica dello Studio (Ranieri, Rolandino, Salatiele, Martino da Fano, per citare solo i maggiori)6. E che,

3 A. GIORGI, S. MOSCADELLI, Conservazione e tradizione di atti giudiziari d’Antico regime: ipotesi per un confronto, I, pp. 37-121. 4 C. PAVONE, Ma è poi tanto pacifi co che l’archivio rispecchi l’istituto?, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXX (1970), n. 1, pp. 145-149. 5 D. QUAGLIONI, Il notaio nel processo inquisitorio, I, pp. 5-14. 6 G. TAMBA, Gli atti di giurisdizione civile nella Camera actorum del Comune di Bologna (secoli XIV-XV), I, pp. 249-273; M. VALLERANI, Giustizia e documentazione a Bologna in età comunale (secoli XIII-XIV), I, pp. 275-314. Storie di carte, uomini, giustizie 237 ancora, Paolo Cammarosano rintraccia nelle sue radici medievali, rimandando di nuovo opportunamente alla necessità di guardare, anche per quanto riguarda le carte giudiziarie, ai modi di produzione e conservazione delle scritture in ambito ecclesiastico7 (che Irene Fosi e Luigi Londei inseguono nei loro esiti istituzionali di età moderna8; che Giuseppe Chironi delinea più dettagliatamente nei loro risvolti storico-archivistici; che in tanta parte si sostanziano della cosiddetta giustizia ‘negoziata’, dello scioglimento arbitrale delle controversie, in più punti richiamato, senza però spesso legarlo alle sue origini in ambito ecclesiastico, seguendo un cammino di lunghissimo periodo laterale, talvolta tangenziale, rispetto alla più nota giustizia ‘inquisitoriale’, cammino che solo recentemente si è fi nalmente iniziato a comprendere nelle sue dinamiche di non minore rilevanza a fronte di un’Inquisizione ormai troppo ‘di moda’9). Del resto, per tutto l’alto e il pieno medioevo, prima di essere, o diventare, notaio comunale, notaio ‘signorile’ (o cancelliere), il notaio fu soprattutto chierico, fu soprattutto religioso. Anche questa ‘zavorra’ storico-documentaria che sfonda ben addietro nel medioevo può avere infl uito sulle differenti tipologie di carte che si ritrovano tra le scritture notarili: oltre al dato scontato della presenza commista di atti civili e giudiziari, sempre più lodi arbitrali, sempre più documenti contabili e fi nanziari, delibere, carteggi, bandi, ordinanze, procure, investiture benefi ciarie e via dicendo. Un aspetto in cui, di nuovo, altamente profi cua può risultare la collaborazione tra archivisti e storici, al fi ne di costruire una geografi a ‘ragionata’ delle fonti. Di estrema rilevanza risultano pertanto, stante la centralità della fi gura del notaio, gli studi sulla sua formazione, sui libri posseduti (penso al saggio di Maria Teresa Lo Preiato per Trento10, ma tanto e più si potrebbe fare), ma anche le ricerche prosopografi che per riuscire meglio a muoversi tra attività al servizio dei privati e incarichi all’interno delle istituzioni pubbliche: il notaio giunge quasi ad identifi carsi lui stesso come un’”istituzione” di lunghissimo periodo nella storia europea occidentale, del resto fi gura ‘istituzionale’ lo è sempre stata, non foss’altro per il penchant pubblicistico che ha continuato a incarnare, ma questi atti sottolineano ora in maniera chiara e ineludibile anche gli effetti ‘pratici’, sulla pratica notarile, su quella forense e su quella giudiziaria, che il suo operare ha avuto su quegli atti che rappresentano il suo ‘lascito’ documentario sia nei confronti della collettività contemporanea sia di quella dei secoli a venire.

Verrei ora a qualche più puntuale spunto che emerge da quelli che prima ho defi nito ‘blocchi’ territoriali, in modo da stabilire alcune tappe nel viaggio che stiamo percorrendo: il contesto sabaudo, con l’appendice genovese; l’ambito milanese, con qualche propaggine ducale padana; l’Impero in Italia, con i saggi su Trento e Rovereto, ma anche sui domini

7 P. C AMMAROSANO, La documentazione degli organi giudiziari nelle città comunali italiane. Tra quadri generali e casi territoriali, I, pp. 15-35. 8 L. LONDEI, Il sistema giudiziario di Antico regime nello Stato ecclesiastico, II, pp. 651-668; I. FOSI, Il governo della giustizia nello Stato pontifi cio in Età moderna, II, pp. 625-650. 9 G. CHIRONI, Tra notariato e cancelleria. Funzione e diffusione dei «libri curie» in area centro- settentrionale: prime indagini, II, pp. 933-948. 10 M. T. LO PREIATO, La cultura giuridica dei pratici del diritto. La biblioteca di una famiglia di giuristi trentini del XVI secolo, I, pp. 191-205. 238 Maurizio Sangalli asburgici di Aquileia e Trieste; Venezia e la Terraferma; la Toscana, tra Stato nuovo e Stato vecchio, con l’appendice lucchese; lo Stato pontifi cio, con il precedente della Bologna di età comunale. Sia Cammarosano sia i curatori giustifi cano l’arrestarsi alle porte del Regno di Napoli: una maggiore produzione documentaria da parte dell’Italia ‘comunale’; una ‘minorità’ meridionale (Cammarosano) dovuta al precoce svilupparsi di strutture regie e ‘pubbliche’ (alle quali però corrisponde il perpetuarsi di una gestione ‘privatistica’ degli atti da parte dei notai, a dimostrazione di quanto, cioè quanto poco, quelle stesse strutture abbiano permeato il territorio); insomma le ‘due Italie’ che ben conosciamo. Ma forse c’è anche un problema più prosaico, ma non meno dirimente, e cioè che nel Sud gli archivi ovviamente non mancano, ma spesso le carte giacciono disordinate e non sistemate, soprattutto a livello di archivi periferici, mentre a metterci il naso i risultati si ottengono eccome, come ha mostrato il progetto dell’atlante storico delle istituzioni scolastiche che prosegue oramai da un decennio e che due anni fa ha fatto tappa a Siena, ospitato dall’Archivio di Stato locale11. E mi pare che il saggio di Beatrice Pasciuta sulle carte delle magistrature centrali del Regno di Sicilia sia stato opportunamente inserito come una sorta di sasso lanciato in uno stagno ancora tutto da dragare12. Tematica affrontata del resto anche nell’ampia ed esaustiva rassegna storiografi ca di Floriana Colao al termine degli atti: saggio lucido e chiaro che, nel ripercorrere i più signifi cativi risultati delle ricerche in particolare di storia giuridica e giudiziaria tra nord centro e sud Italia, si pone a integrazione ma anche come sorta di chiusura del cerchio aperto dalla panoramica iniziale Giorgi-Moscadelli13. Il dato che mi pare accomuni le disparate e diversifi cate realtà statuali di antico regime, in area centro-settentrionale, è il progressivo imporsi di una prassi differente di produzione, e soprattutto di organizzazione e conservazione, delle carte prodotte dai notai, nelle loro differenti vesti, a mano a mano che si vanno strutturando le istituzioni pubbliche di carattere giudiziario tra Quattrocento e Settecento, soprattutto sotto forma di cancellerie dei tribunali di differente ordine e grado, potremmo dire. Ma allo stesso tempo emerge un’altra costante in un certo senso uguale e contraria: la frequente e reiterata evasione dall’obbligo di versamento delle carte presso gli organi deputati, e prima ancora l’altrettanto frequente mancato rispetto delle norme che sempre più spesso si tenta di imporre per uniformare la produzione di quelle stesse carte, insomma il solito scarto tra norma e prassi, che opportunamente e a più riprese viene evidenziato nella stragrande maggioranza dei contributi. È, di nuovo, se ce ne fosse bisogno, un’ulteriore conferma dell’importanza delle spinte individuali e individualistiche di chi quelle carte produce e che quelle stesse carte cerca di gestire a vantaggio proprio e dei propri discendenti. E qui

11 L’istruzione in Italia tra ‘700 e ‘800. Nuovi contributi per un atlante delle istituzioni scolastiche in Italia dall’età delle riforme alle soglie dell’unità nazionale, atti del convegno (Siena, Archivio di Stato-Certosa di Pontignano, 12-14 maggio 2011), in corso di pubblicazione. 12 B. PASCIUTA, Le fonti giudiziarie del Regno di Sicilia fra tardo Medioevo e prima Età moderna: le magistrature centrali, I, pp. 315-330. 13 F. COLAO, Considerazioni sulle fonti giudiziarie per una storia dell’«Italia moderna», II, pp. 1075-1106. Storie di carte, uomini, giustizie 239 ovviamente il fattore economico, vale a dire i proventi che si possono continuare a ricavare dalla stesura di copie autentiche, ha senz’altro avuto un peso non indifferente nel provocare il ripetuto mancato rispetto delle regole di versamento. E ancor più del fattore economico il prestigio sociale di detentori di ‘fette’ di potere, prestigio che dà vita ad altrettanto rilevanti reti clientelari e di patronage (è quella ‘dinastizzazione’ della professione notarile più volte richiamata nei contributi, fattore questo, insieme a tante altre ‘dinastie’ di tanti altri ambiti, purtroppo tuttora frenante all’interno del nostro contesto sociale, fattore drammaticamente e tristemente italiano, o sarebbe meglio dire italiota). Ma l’interesse dei ‘blocchi’ di contributi presenti negli atti è anche dato dal fatto che è possibile valutare in chiave comparativa dove quando come perché le norme sono state disattese, le istituzioni si sono strutturate più o meno lentamente, i vari ‘attori’ sociali hanno favorito o viceversa rallentato le spinte ‘modernizzanti’ (la fi des esplicita dei notai che ancora resiste di fronte alla fi des implicita dell’ente, per dirla con Franco Cagol14): sta proprio nelle pieghe di situazioni spesso difformi tra loro; sta giustappunto nelle sfasature temporali tra zona e zona, la ricchezza medievale e moderna delle ‘tante’ Italie, la valutazione di plurimi percorsi di accentramento statuale dalle sorti non certo ‘magnifi che e progressive’, ma complicati e accidentati, anche quando uno meno se lo aspetta, vale a dire in età di riforme illuminate e napoleoniche o in epoca di Restaurazione, soprattutto se quell’uno è per esempio uno storico contemporaneo fuorviato dal ritenere necessitato e inevitabile l’esito unitario. Tanto è vero che l’onda lunga delle ‘tante’ Italie straripa ancora a lungo ben addentro la storia della nazione unifi cata, pur se spesso conculcata e negata, come le stesse operazioni, o sarebbe più corretto dire ‘mutilazioni’ archivistiche di epoca post-unitaria descritte in molti dei contributi, e che fi nalmente ora emergono nel loro pieno signifi cato storico e direi ‘ideologico’, a volte magari anche inconsapevole, non fanno che confermare. Vien bene qui citare il denso saggio di Raffaele Pittella sulle carte e sugli archivi romani di età moderna per due ragioni: sia perché affronta in maniera convincente e innovativa il ruolo del notaio attingendo anche alla letteratura coeva (il meno noto Carlo Bartolomeo Piazza, e il cardinale Giovan Battista De Luca); fa leva sulla visita agli archivi pontifi ci del cardinale Galeazzo Marescotti nel 1702 per suffragare la tesi della centralità dell’operato del singolo notaio-segretario-cancelliere, centralità che fa aggio sull’istituzione, in specifi co la Camera apostolica; e porta prove convincenti relativamente ai misunderstanding archivistici post-unitari (con, è vero, forse qualche ripetizione di troppo, ma giustifi cabile trattandosi di andare a colpire mostri sacri dell’archivistica novecentesca come Casanova e Lodolini). Sia soprattutto perché tutto questo lo fa un giovane dottore di ricerca che proprio all’interno della ‘scuola’ senese si è formato, il che conferma gli ottimi risultati scientifi ci che i nostri dottorati possono produrre, riforma in atto permettendo (per il futuro)15. La dialettica, spesso aspra, tra ‘municipalità’ e/o ‘statualità’ dell’ammi-nistrazione

14 F. CAGOL, Il ruolo dei notai nella produzione e conservazione della documentazione giudiziaria nella città di Trento (secoli XIII-XVI), I, pp. 139-190, in particolare p. 178. 15 R. PITTELLA, «A guisa di un civile arsenale». Carte giudiziarie e archivi notarili a Roma nel Settecento, II, pp. 609-768. 240 Maurizio Sangalli della giustizia è comunque ben evidenziata dal caso veneto-veneziano, approfondito da Gian Maria Varanini e Alfredo Viggiano16, una peculiarità, questa del rapporto statuti cittadini-legislazione degli organi centrali, che in chiave comparativa si stempera, connotando infatti più in generale anche altri ambiti territoriali che condividono gli stessi percorsi dialettici tra città dominante-città (e comunità, siano villaggi o borghi-grossi) dominate, come il caso fi orentino e più latamente toscano; o ancora quello genovese. Questo discorso vale quando, in buona parte dei casi, ci si trova di fronte a una massa diffi cilmente gestibile di documentazione, ma pure quando buona parte di quelle carte, per le ragioni più disparate, è andata perduta: è il caso di Milano, brevemente ma succosamente delineato da Nadia Covini17, che ci serve per evidenziare un ulteriore pregio di questi atti: la segnalazione di ‘sedi’ differenti, alternative, plurivoche, di conservazione della documentazione, preziosissime quando quella ‘istituzionalmente’ deputata, potremmo dire, è andata perduta: archivi e biblioteche periferici, locali e comunali; biblioteche e archivi di enti ecclesiastici e di loca pia; archivi familiari e aziendali e via dicendo. Detto questo, sempre più urgente si impone una ‘geografi a’ direi tipologica delle fonti, ovviamente su supporto digitale, che potrebbe rappresentare una nuova bella frontiera per gli studi di archivistica, e che potrebbe godere dell’apporto di lavori già avviati in altri ambiti (per esempio, sempre per citare il caso dell’atlante delle istituzioni scolastiche, che conosco più da vicino, nel data-base, che oggi raccoglie più di centomila records, è già presente una ‘geografi a’ delle fonti di quelle stesse istituzioni, basterebbe solo estrapolarla e amalgamarla con i portati della scienza archivistica18). Ho lasciato per ultimo il caso toscano, che occupa il ‘blocco’ più consistente di contributi, anche perché meglio conosciuto, per ovvie ragioni, benché i saggi dedicativi abbondino di spunti interessanti e innovativi. In più punti vi si sottolinea la peculiarità toscana, contraddistinta da una gestione già precocemente ‘pubblica’ delle carte, inseguita attraverso lo studio delle amministrazioni periferiche che insistono sul territorio, sia di più stretta pertinenza fi orentina, sia senese (podestà vicari giusdicenti che dir si voglia). Dai contributi più prettamente storico-archivistici a quello storico di Gaetano Greco esce comunque con forza la persistenza e l’incidenza del ‘modello’ cosimiano e più latamente mediceo di produzione, gestione e conservazione delle carte, ma anche di pratica della giustizia, fi n dentro l’età lorenese, il che aiuta a ricalibrarne novità e innovazione. Quello di Greco è un saggio esemplare, con spunti di storia ecclesiastica ampiamente

16 A. VIGGIANO, Le carte della Repubblica. Archivi veneziani e governo della Terraferma (secoli XV-XVIII), I, pp. 359-379; G. M. VARANINI, Gli archivi giudiziari della Terraferma veneziana. Città e centri minori (secoli XV-XVIII), I, pp. 337-357. 17 N. COVINI, Assenza o abbondanza? La documentazione giudiziaria lombarda nei fondi notarili e nelle carte ducali (Stato di Milano, XIV-XV secolo), I, pp. 483-499. 18 Al riguardo si possono vedere gli atti già pubblicati dei due convegni fi nali dei Prin legati a quel progetto, L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento. Lombardia-Veneto-Umbria, I: Studi, II: Carte storiche, a cura di A. BIANCHI, Brescia, La Scuola, 2007; L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento. Da Milano a Napoli: casi regionali e tendenze nazionali, I: Studi, II: Carte storiche, a cura di A. BIANCHI, Brescia, La Scuola, 2012. Storie di carte, uomini, giustizie 241 condivisibili, ma soprattutto con ‘storie’ di giustizia che sono storie di uomini e donne che quella giustizia non hanno solo passivamente subito, ma i cui strumenti a volte sono stati in grado di utilizzare a loro favore, o comunque in loro difesa, una conferma confortante per chi, come il sottoscritto, ha avuto modo di appurare una ventina di anni fa dinamiche similari analizzando i processi per miracoli (e per ‘fi nti’ miracoli) nel Milanese di età moderna19. È l’invito, questo, fatto proprio da Marco Bellabarba citando Randolph Head, ad “analizzare i fenomeni istituzionali non semplicemente in termini di strutture e di potere, ma anche contemporaneamente nei termini di pratiche sociali più ampie”20; che Floriana Colao ha indicato come l’irrompere della “società […] nelle istituzioni permeandole con una peculiarità talora irriducibile ad una giustizia specchio rifl esso dello ‘Stato moderno’”, facendo cioè risaltare la centralità di uomini nel loro concreto operare per i contemporanei e per i posteri21. Indicazioni, tutte, che non si può non sottoscrivere e che costituiscono uno dei risultati più profi cui e forieri di futuri interessanti sviluppi del ‘deposito’ documentario rappresentato dagli atti dell’incontro senese del 2008.

MAURIZIO SANGALLI

19 M. SANGALLI, Miracoli a Milano. I processi informativi per eventi miracolosi nel Milanese in età spagnola, Milano, NED, 1993. 20 M. BELLABARBA, ‘Italia austriaca’: la documentazione giudiziaria nel tardo Settecento, I, pp. 459-481, in particolare p. 465. 21 COLAO, Il ruolo dei notai cit., p. 1105.

A PROPOSITO DI

SULLE PROSPETTIVE DEL SANTA MARIA DELLA SCALA*

Pensare oggi alle prospettive del Santa Maria della Scala, a come concludere cioè un progetto oggi incompiuto e ad una forma autonoma di gestione in grado di condurre a termine un lavoro avviato da decenni, spinge a evocare i passaggi decisivi di un cammino che viene da lontano. Non per restare chiusi entro un rigido discorso che ignori necessità di correzioni anche profonde e di aggiornamenti suggeriti dalle nuove tecnologie e dal mutato quadro istituzionale, ma per rifl ettere criticamente sul tema e sulla concatenazione di ipotesi o aspirazioni suscitate. Occorre aver ben chiaro che non si parte dall’anno zero e che un progetto prevalentemente architettonico esiste, ben attuato in cospicua parte: quindi si tratta di riprendere il cammino non smentendo le fi nalità generali e semmai aggiornandole e rimodulandole nelle articolazioni spaziali e nei tempi di realizzazione. Non vorrei limitarmi agli anni nei quali ebbi responsabilità dirette nella guida del Comune, anche se a quel tratto di strada riserverò più attenzione, assumendo le vesti di un testimone che ha sempre valutato la riconversione dell’antico xenodochio come l’impresa culturale chiave per dare un nuovo volto alla città attraverso la presentazione del cuore dei suoi beni artistici in un assetto critico nuovo, e attivando modi di fruizione all’altezza delle sfi de impegnative tipiche di questi anni. Non è facile sintetizzare il senso di un problema che dura da più d’un secolo. Per racchiudere con una formula all’apparenza un po’complicata le fi nalità di un confronto così protrattosi nel tempo e ora giunto ad un punto cruciale di svolta, direi: riconvertire il Santa Maria in un Centro polivalente, che, insieme alle sezioni museali, collochi laboratori, sedi di incontri, esperienze creative internazionali sì da promuovere ai livelli più alti la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio caratterizzante la stessa identità di Siena e farne con opportune strategie oggetto di ricerca, studio e formazione, di arricchimento conoscitivo, di mirata attrattività turistica, di originale produzione nei campi oggi più vivaci dei nuovi media, nel design, nell’urbanistica, nel paesaggio. In principio c’è una famosa pagina di Fabio Bargagli Petrucci che in poche righe individua tre movimenti destinati ad avere non effi mera risonanza e a produrre (con parecchia lentezza) plausibili decisioni: “Se volessi far della poesia direi subito che con una sola spesa, quella di un nuovo ospedale, tutto sarebbe accomodato e neppure i socialisti potrebbero gridare contro le spese inutili. I locali dell’antico Ospedale di S. Maria della Scala, così vasti, così ariosi, così ornati di affreschi in ogni sala, sarebbero certamente suffi cienti ad accogliere tutta la Pinacoteca e forse anche la Scuola d’Arte,

* Schema ampliato dell’intervento reso nell’audizione promossa dalla Commissione cultura del Comune di Siena in merito alla situazione del Santa Maria della Scala.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 246 Roberto Barzanti mentre la Biblioteca potrebbe invadere pian piano anche tutto il palazzo del’Istituto di Belle Arti e il Museo Civico formarsi nella sua sede naturale che è il Palazzo della Signoria”. (Come possono risorgere le città artistiche. L’esempio di Siena, “Rassegna d’arte senese”, I (1905), fasc. 2). È da sottolineare che fi n dal suo insorgere il tema della riconversione del colossale xenodochio non è declinato quale semplice e meccanico trasloco (da palazzo Buonsignori) di un Museo in un complesso più adatto e moderno. All’idea si unisce l’obiettivo di costruire un luogo di insegnamento e addestramento, annettendo una realtà che allora non poteva non coincidere con l’esperienza di una Scuola di alto prestigio, depositaria per eccellenza della tradizione artistica senese. Sono note le pagine di Cesare Brandi che ripresero l’intuizione dell’illuminato Podestà, confi gurando, almeno all’inizio, una sorta di Museo dei Musei. A partire da un articolo del 23 settembre 1968, ampliato con un intervento dell’11 aprile 1976 e ulteriormente affi nato il 21 luglio 1985, sempre sul “Corriere della sera”, quindi con una grande risalto nazionale. Con non secondarie oscillazioni, ma con un fi lo conduttore: allocare negli spazi restaurati del Santa Maria il nucleo fondamentale del patrimonio artistico (la dizione ‘bene culturale’ non era nelle sue corde) presente in Siena. Cito in sequenza passaggi eloquenti di una meditazione appassionata e non lineare: il primo pezzo si chiudeva con un imperativo grido d’allarme: “Neanche un giorno di più devono restare i malati nel Pellegrinaio. Lo scandalo è nazionale” (1968). Quindi la proposta si faceva più comprensiva: “… è l’ora – scrisse Brandi nel ’76 – che sorga il Museo dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, e che occupi tutto il piano che va dalla Cappella del Manto al Pellegrinaio delle donne. In questi enormi e splendidi saloni potranno essere collocati e il Museo diocesano, e quello degli affreschi, e quello della pittura del Cinquecento tardo e del Seicento, pittura ora avvilita nei depositi della Pinacoteca e in collocazioni di risulta […] Inoltre ci dovrebbe essere compreso un Museo dell’Ospedale, con documenti, grafi ci illustrativi, e il nucleo di quelle splendide orefi cerie, che in parte non si vedono – ed è bene che non si vedano – e in parte stanno altrove, come il prezioso evangelario della Biblioteca comunale. Quindi un museo che mentre farebbe corpo, al centro della città, con l’Opera del Duomo, il Duomo stesso, la bellissima chiesa dell’Ospedale, e, a due passi, con la Pinacoteca, fi nirebbe per restituire all’acropoli della città la sua vera e unica funzione che è quella di essere museo vivo della città, museo più singolare, con Venezia, di tutto il mondo”. Nella fase ultima (1985) Brandi osserva che “il settore monumentale, col Pellegrinaio affrescato e la sala di San Pietro (già sagrestia della chiesa dell’Ospedale, anch’essa affrescata) dovrebbe rappresentare il nucleo saliente della futura sistemazione della Pinacoteca senese, ora adattata, ma ristretta, nel Palazzo Buonsignori”. Leggendo in progressione i tre passaggi delle considerazioni di Brandi si coglie il graduale defi nirsi di una prospettiva che all’inizio sembra tesa a liberare un museo-nato dall’ingombro delle faccende sanitarie, quindi pare affi ancarsi alla Pinacoteca e infi ne fa proprio della Pinacoteca storica la sostanza di una sua rinnovata organizzazione, da ripensare innestandovi nuove opere. A ripercorrere le date di una schematica cronologia saltano agli occhi una fase ascendente e lungimirante, quindi un ripiegamento in chiave di lavori pubblici e da ultimo un rilancio che ora attende i necessari e convinti approfondimenti da parte di tutti. Il progetto non è una scelta di parte. Abbisogna di una fattiva concordia. Sulle prospettive del Santa Maria della Scala 247

1978 – Nomina di un primo comitato scientifi co da parte del Consiglio d’amministrazione dell’Ospedale. Ne fecero parte Vittorio Meoni, Cesare Brandi, Aldo Cairola, Enzo Carli, Marisa Forlani Conti, Ubaldo Morandi, Achille Neri, Giorgio Pazzaglia, Giovanni Previtali, Piero Torriti. Sono coinvolte personalità chiamate a dare il loro personale contributo di esperienza e in rappresentanza di tutti gli organismi, oltre il Comune e la Provincia, a vario titolo da impegnare nella complessa e delicata operazione: Archivio di Stato, Università, Soprintendenza.

1982 – Nella sua seduta del 23 novembre il Consiglio comunale – sindaco Mauro Barni, assessore alla cultura Luciano Peccianti, assessore all’urbanistica Roberto Barzanti – ascolta la relazione (e ne prende atto) predisposta dal Comitato scientifi co e già portata a conoscenza della commissione urbanistica. La relazione concerne la futura destinazione del complesso ospedaliero e sintetizza quanto scaturito da una fi tta serie di incontri e scambi di vedute. Si tratta dell’atto iniziale di un cammino che si preannuncia molto arduo e il Comune, divenuto proprietario del Santa Maria a seguito della riforma sanitaria, dovrà essere il primo responsabile di un’operazione della quale lo stesso Ministro della cultura (Vincenzo Scotti) sottolinea “l’interesse nazionale”. Insieme ad una serie di elementi tecnici relativi ai rilievi e alle indagini eseguite o da eseguire, la relazione chiarisce i caratteri della scelta di fondo (“un polo culturale di rilievo internazionale”) e analiticamente enuncia fasi da scandire nel tempo e realtà da connettere in una visione organica degli spazi da restaurare e da “ristrutturare” : “In questa ottica – si scrive, ad esempio – la Pinacoteca Nazionale, insuffi ciente per spazi espositivi, carente di depositi, priva di strutture tecnologiche indispensabili alla conservazione delle tavole si pone come problema per ridisegnare un percorso che, utilizzando le tecnologie degli anni ’80-’90, non si limiti all’operazione di pura esposizione, ma tenga conto della conservazione del nostro immenso patrimonio artistico in condizioni espositive ottimali”. Non si deve credere che la relazione si limiti alla questione Pinacoteca e all’imminente trasferimento del Museo archeologico. Si immagina, in compendio, un “grande tracciato storico-museale, come tracciato principe della storia della città”. Ci si sofferma su alcune collezioni comunali, sulla collocazione della Fonte Gaia, e si indica la necessità di accostarvi servizi “integrati e funzionali”. Si mette, inoltre, in risalto la congruità di dedicare alcuni spazi a attività espositive di arte contemporanea. Insomma l’idea della pluralità di funzioni del Santa Maria, successivamente affi nate, è già in tutte le sue potenzialità contenuta in un testo meditato quanto illuminante. Un testo al futuro.

1985 – Esce a cura del Monte dei Paschi il volume di Daniela Gallavotti Cavallero Lo Spedale di Santa Maria della Scala. vicenda di una committenza artistica, con prefazione di Cesare Brandi, introduzione storica di Duccio Balestracci e Gabriella Piccinni, rilievi planimetrici di Mario Terrosi (Pacini, Pisa).

1986 – 20-22 novembre: Convegno internazionale organizzato dal Comune di Siena e da Ministero per i beni culturali e ambientali, Monte dei Paschi, Regione Toscana, Unità sanitaria Locale n. 30, Università degli studi di Siena. Esce il volume monografi co speciale del “Bollettino d’arte”, edito dal Ministero, La fabbrica del Santa Maria della 248 Roberto Barzanti

Scala: conoscenza e progetto. La Soprintendente Marisa Conti ne dichiara la natura di primo contributo di studio che già fa intravedere la necessità di una concezione sistemica di quanto collocarvi: “…l’avere studiato unitariamente l’intero complesso, per poter meglio integrare le varie attività che sono complementari le une alle altre, in una visione unifi cante del fare cultura, l’aver dato ampio spazio ad attività congressuali, espositive, agli istituti immaginati come laboratori di studio dove confrontare idee e suscitarne delle nuove, laboratori aperti verso l’esterno per ricevere e dare, non basta”.

1987 – Si insedia il Comitato permanente per il “recupero” e “riuso” del Santa Maria della Scala. Presieduto dal sindaco comprende rappresentanti del Consiglio comunale, dell’Amministrazione provinciale, della Regione Toscana, del Ministero per i beni culturali, dell’Ateneo senese, della Curia, dell’U.S.L., della Società esecutori di pie disposizioni e del Monte dei Paschi.

1982-1990 – L’I.L.A.U.D. (International Laboratory of Architecture and Urban Design) diretto da Giancarlo De Carlo dedica allo studio del Santa Maria una parte imponente e feconda della propria attività. De Carlo espone in diversi interventi un’interpretazione di quell’architettura di straordinaria pertinenza, asserendo che è stato un privilegio occuparsene senza avere un incarico professionale e insieme ai giovani dell’ILAUD, “con una settantina di persone, per lo più diverse ogni anno, che venivano da dodici scuole di architettura di vari paesi del mondo per progettare insieme un tema comune”(1986). (ora in G. De Carlo, Gli spiriti dell’architettura, Editori Riuniti, Roma 1992) . Il Santa Maria deve essere avvicinato “come un ‘organismo’ architettonico e non come un ‘contenitore’”.

1990 – Concorso a inviti (Guido Canali, Massimo Carmassi, Vittorio Gregotti, Josef Paul Kleihues, Franco Minissi, Richard Rogers). Sindaco è Vittorio Mazzoni della Stella. Giancarlo De Carlo è escluso.

1993 – Il Comitato permanente sceglie il progetto di Guido Canali (cfr. AA. VV., Santa Maria della Scala Dall’ Ospedale al Museo, Alsaba, Maschietto & Musolino, Nuova Immagine editori, Siena, 1995). Il progetto per quanto riguarda l’arte senese lascia aperta l’alternativa tra “Pinacoteca suffraganea” e “eventuale trasferimento in toto della Pinacoteca Nazionale”. Per il resto si individuano gli spazi per allocare unità museografi che relative alla storia della città e dell’assistenza, alla storia della pietà, al territorio, a collezioni a mostre temporanee. Insieme ai laboratori è pensato un auditorium, da concepire con un accessibile “utilizzo autonomo” e da localizzare “sotto la parte mediana del ritrovato giardino”.

1994-95 – Si defi nisce un primo percorso museale.

1996 – Con legge regionale il complesso del Santa Maria della Scala viene formalmente in disponibilità del Comune, che approverà il 14 gennaio 1997 il regolamento per gestirlo con la forma dell’Istituzione comunale. Sulle prospettive del Santa Maria della Scala 249

1997 – Inizia la prima delle tre fasi di lavori (fi no al 2002) che vanno dal recupero della leggibilità dei caratteri architettonici dell’edifi cio con un “restauro leggero” agli interventi più incisivi, mirati a dare funzionalità e a corredare le varie aree con l’impiantistica necessaria. Nell’ultima fase è stato realizzato il Museo Archeologico nei sotterranei, più fi nalizzato ad una scenografi ca suggestione ambientale che all’evidenza dei reperti.

1998 – Nomina del Rettore (Omar Calabrese) e del consiglio di amministrazione. Viene prolungata l’attività del Comitato permanente, al quale è attribuita una funzione consultiva. Si rinsaldano i rapporti con l’Università e si effettuano ricerche archeologiche (Riccardo Francovich), mentre si arricchisce la bibliografi a di numerosi contributi sia sul versante della storiografi ca economica e sociale che su quello della cultura fi gurativa e della prassi assistenziale.

2000, 10 aprile – È fi rmato da Giovanna Melandri, titolare del Mi.B.A.C., Fabio Ceccherini, presidente della Provincia, Pierluigi Piccini sindaco di Siena e Omar Calabrese, presidente dell’Istituzione, un Protocollo d’Intesa. Si prevede l’allestimento di un Museo della civiltà fi gurativa senese e di un Museo Archeologico. Si affi da ad un gruppo di studiosi “coordinato dai responsabili della Soprintendenza”. Ci si ripromette di “defi nire in apposita convenzione le forme giuridiche in base alle quali le collezioni verranno collocate nel complesso di Santa Maria della Scala, ferma restando la proprietà di ciascun Ente e la chiara pubblicazione di questa”. Si concorda di “verifi care nell’immediato la possibile realizzazione di un sistema espositivo che preveda l’integrazione delle collezioni, secondo un ordinamento scientifi co da defi nire, concordando le funzioni e lasciando inalterate le titolarità giuridiche degli istituti che concorrono a formare il sistema”. Dopo questo atto che rappresenta il punto più alto e impegnativo raggiunto nel defi nire il rapporto Stato-Istituzioni locali non si può dire che le fi nalità puntualmente descritte siano state perseguite con reale convinzione. In particolare l’atteggiamento delle Soprintendenze si è andato progressivamente affi evolendo fi no a chiudersi in un distaccato mutismo.

2003 – Con Duccio. Alle origini delle pittura senese (4 ottobre 2003 – 14 marzo 2004) si ha la misura della tipologia di mostre più confacenti e al tempo stesso delle nuove modalità espositive permanenti oltreché di un corretto equilibrio tra ricerca critica e organizzato richiamo del pubblico. Numerose altre esposizioni e pubblicazioni a corredo.

2007 – Viene smantellata l’Istituzione presieduta da Anna Carli e il Comune assume la gestione diretta, mentre particolarmente incisivo si fa il ruolo di “Vernice”, la società costituita dalla Fondazione Mps per le attività espositive temporanee. Di fatto il Santa Maria resta acefalo dal punto di vista della direzione artistico- scientifi ca. Intensa e ricca di risultati l’attività di indagine, convegnistica e editoriale del Centro interdipartimentale di studio dell’ospedale di Santa Maria della Scala diretto da Fabio Gabbrielli.

2010 – Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le arti a Siena nel primo Rinascimento 250 Roberto Barzanti

(26 marzo-11 luglio). È un’altra mostra memorabile che se non replica il successo di pubblico di Duccio consacra anch’essa la linea più caratterizzante da perseguire per quanto riguarda la rivisitazione del patrimonio storico.

Numerose proposte sono avanzate dal conservatore Enrico Toti, in particolare sulla devozione e la pietas, sulla storia dello xenodochio, sugli scavi e il patrimonio archeologico. Si immagina anche un centro addetto all’editoria e alla comunicazione. Altri titoli esemplifi cativi: Le mummie del Santa Maria della Scala (quattrocentesche); Il sistema delle grance; La cultura senese nel Novecento.

2010 – La Relazione di Gabriele Borghini, già Soprintendente e successivamente nominato Alto Consulente per il patrimonio artistico e monumentale del Comune, si risolve in un’elencazione di sezioni perlopiù museali della cultura senese antica e moderna che sommano, enfatizzandole, tutte le idee via via insorte e accostandole l’una all’altra. Un sequenza di 15 titoli: Pinacoteca Nazionale in Santa Maria della Scala; Museo Diocesano in Santa Maria della Scala; Collezione Spannocchi; Istituto di Belle Arti: quadreria, disegni e stampe; Museo Archeologico in Santa Maria della Scala; Collezione glittica e numismatica; Gipsoteca; Centro per il Contemporaneo; Ospedale di S. Maria della Scala: ambienti storici e collezioni di storia della sanità senese; Museo delle arti e tradizioni popolari; Sala multimediale: Galleria degli uomini illustri senesi; Gli ori di Siena; Arti applicate e decorative a Siena; Biblioteca Comunale-Fondo bibliografi co e fototeca Giuliano Briganti; Archivio Storico del Comune di Siena. Davvero troppo e in una logica che smentisce l’ambizione di dar vita ad una realtà articolata ma unitaria, ad un luogo che preveda la riclassifi cazione del patrimonio superando scomparti e gelosie che impediscono l’organicità continua di un “racconto” di nuovo impatto.

2012, 20 marzo – Il Consiglio comunale delibera lo statuto della Fondazione di partecipazione “Antico Ospedale Santa Maria della Scala”. Vi sono gravi elementi di debolezza. Si dà alla Fondazione un ruolo complessivo di “effettivo punto di programmazione, fruizione, indirizzo e coordinamento delle attività culturali” rischiando di perderne la specifi cità. Il Consiglio di amministrazione si compone di cinque membri (art. 12.3) dei quali tre nominati dal Comune di Siena, con l’evidente rischio di una miope visione municipale esposta alle consuete lottizzazioni. Si prevede una vaga Direzione generale, mentre non fi gura una direzione artistica etc.

A mio modo di vedere i punti fermi da tenere a fondamento dell’operazione attuata per circa metà – la superfi cie agibile è un po’ inferiore a 20.000 mq. rispetto ai circa 45.000 calpestabili, mentre più o meno 80.000 sono i mq., se si sommano anche quelli esterni – sono i seguenti : 1. Piano transitorio che consolidi l’esistente (il Museo del Santa Maria in senso stretto, il Museo della città e degli aspetti più legati all’Ospedale etc.) e organizzi una serie di appuntamenti, mostre e convegni coerenti con le linee generali del progetto. In modo da evitare frammentazione o arrembaggio o casualità. Nell’insieme tra lavori di restauro/ Sulle prospettive del Santa Maria della Scala 251 recupero/riconversione e attività sono stati erogati dalla Fondazione Mps e investiti nel Santa Maria 50 milioni circa. Discorso a parte meriterebbe l’idea del fi nanziamento attraverso B.O.C.

2. Rivisitazione del progetto Canali con il coinvolgimento dello stesso autore in modo da verifi carne la rispondenza con le nuove esigenze insorte prendendo in esame la destinazione degli spazi. Mettere in sicurezza quanto recuperato e, se possibile, cominciare a defi nire sezioni permanenti.

3. Ribadire i fi loni fi ssati da tempi come assi del progetto: Museo di sé nella città (è la sezione già in fase avanzata di defi nizione grazie ad un impegno da non ignorare o sottovalutare, come si tende purtroppo a fare, comprensiva del Museo archeologico); Nuova Pinacoteca (costituita da una parte o dall’intera attuale Pinacoteca, dall’esposizione di opere in deposito o di altra provenienza); mostre temporanee, laboratori e spazi per ricerche e per seminari, sale per giovani artisti che s’incontrino all’insegna della creatività contemporanea secondo gli orientamenti innovativi esaltati nel progetto per Siena capitale europea della cultura 2019. Sono possibili anche residenze per ospitalità temporanea – un fi nanziamento al riguardo è stato concesso dalla Regione – in parti distinte dal perimetro principale la cui collocazione era del resto già individuata nel progetto Canali. Fondamentale inoltre la presenza di servizi, attività commerciali e di ristorazione, di intrattenimento etc. che facciano del Santa Maria un luogo frequentato, quotidiano, attraente. Di qui la necessità di non dire sì a tutto e a tutti, e di escludere una debordante presenza di parti specialistico-erudite a base di ammennicoli sanitari.

4. Per dirimere le questioni complesse legate alla concezione stessa del Museo di nuovo tipo da costituire – la denominazione di “Museo della civiltà fi gurativa senese” è errata e restrittiva – occorrerà insediare un Comitato scientifi co in accordo con tutti gli enti che a vario titolo conferiscono opere e condividono il progetto, a partire dalle Soprintendenze e dalla Curia arcivescovile.

5. Attivare o ritessere i necessari rapporti per il reperimento di fondi pubblici e investimenti muovendosi in sintonia con la Regione e su scala europea, richiedendo altresì l’apporto nazionale di un progetto che non può essere portato a termine confi dando solo – come erroneamente si è fatto negli ultimi tempi – nelle risorse di provenienza locale.

6. Contestualmente, dopo utili confronti su esperienze in corso a livello nazionale e europeo occorre decidere la forma di gestione per conferire al Santa Maria – la cui proprietà deve rimanere integralmente comunale, e comunque pubblica – una soggettività giuridica forte, una riconosciuta autonomia e una direzione autorevole. Probabilmente l’indagine rivelerà che una Fondazione di partecipazione maggioritaria pubblica sul tipo di quella deliberata nel 2012 è la forma più adeguata (quali fonti normative cfr.: D. Lgs. N. 368/1998 art. 10, comma 1, lett. b), D. M. 27 novembre 2001, n. 491, artt. 1-2; D. Lgs. N. 267/2000 del Testo Unico Enti Locali, art. 113-bis, comma 3; D. Lgs. n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, art. 115). Meno appropriate o da escludere del tutto (se 252 Roberto Barzanti non per servizi specifi ci complementari) sono la concessione di valorizzazione, il project fi nancing per limitati scopi, la società a capitale misto pubblico-privato. Sulla falsariga del protocollo interistituzionale siglato con il Mibac nell’aprile 2000 sono necessari approfondimenti e aggiornamenti, anche dopo aver attentamente esaminato quanto sta avvenendo in altre realtà. A suo tempo (convegno 1986) Giancarlo Rolla prospettò senza suscitare scandalo un’ipotesi multipolare: “Per assicurare la gestione delle molteplici attività settoriali che dovranno essere svolte nel complesso del Santa Maria della Scala sembra opportuno dar vita a delle apposite ‘unità gestionali’, dotate di autonomia, ma funzionalmente collegate tramite convenzioni o concessioni, con la struttura centrale”. La Fondazione stessa può non assorbire tutto. La proprietà delle opere rimane ovviamente immodifi cata. E non è da escludere che la parte principale – qui denominata Nuova Pinacoteca – abbia due sedi e conservi comunque la sua autonomia amministrativa. È da evitare un pernicioso effetto di accentramento, da sempre individuato come pericolo da contrastare.

ROBERTO BARZANTI INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO

A SETTANTA ANNI DALLA LIBERAZIONE DI SIENA Memoria e ricerche storiche

Esiste presso l’Istituto Storico della Resistenza Senese una database che raccoglie e ordina tutte le informazioni sulla guerra e la guerra di Liberazione nel territorio senese, desunte dai documenti di archivio e da una bibliografi a ormai davvero consistente. Ho consultato il 6 dicembre 1943. Cioè oggi, 70 anni fa. Per quel giorno non c’è nessuna risultanza. Ma per quelli vicini sì. Ad esempio, emerge che il 4 dicembre, S. Barbara, festa dei minatori, Giorgio Al- berto Chiurco, Prefetto della provincia per conto del regime di Salò, si recò ad Abbadia S. Salvatore ed invitò a pranzo i lavoratori della miniera di mercurio. Nonostante che il cibo non abbondasse sulle tavole di famiglie operaie, per giunta con le restrizioni portate dalla lunga guerra, soltanto in pochi andarono al banchetto. Allora i fascisti locali si misero per le strade, gremite di gente per la festività, ad arrestare tutti quelli che sospettavano di essere i sabotatori della manifestazione. Uno di loro fuggì sparando con la pistola. Lo racconta Fortunato Avanzati, che sarebbe divenuto il comandante della Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini, in un libro che l’editore milanese La Pietra, nome di bat- taglia di Enzo Nizza, anch’egli partigiano della medesima formazione, volle intitolare Lo strano soldato, dal primo verso della canzone La guardia rossa che recita:

Ecco s’avanza uno strano soldato, / vien dall’oriente, non monta destrier, / la man callosa e il volto abbronzato, / è il più glorioso di tutti guerrier. / Egli saluta col pugno serrato / e sul berretto scolpito e nel cuore / porta la falce e il martello incrociato. / Son gli emblemi del lavor!

Era la metà degli anni ’70 e certa memoria non mascherava il suo solido retroterra ideologico. Anzi, lo esibiva con rinnovato fi deismo, fi n dal titolo dei libri. Tornando al dicembre del 1943 – la fonte, in questo caso, è la relazione del Rag- gruppamento M. Amiata, formazione partigiana monarchica –, dal database emerge che, il giorno 12, due incursori paracadutati nella zona di Asciano, con l’aiuto di un gruppo partigiano da poco costituito – poi confl uito nella 5° Banda autonoma dello stesso rag- gruppamento –, sabotarono un tratto della linea ferroviaria Siena-Chiusi-Grosseto, pro- vocando il deragliamento di un treno merci e, probabilmente, la morte di otto soldati tedeschi. Probabilmente, perché è diffi cile immaginare che i sabotatori si siano fermati a fare una conta precisa. Negli stessi giorni, il sottotenente Furio Talluri, anch’egli del Raggruppamento M. Amiata, sabotò dodici alianti tedeschi mimetizzati nel bosco vicino alla pista dell’aero- porto di Pian del Lago. Erano i primi segni di una lotta politica e militare che sarebbe rapidamente cresciu- ta di intensità, fi no a raggiungere l’apice nei mesi di maggio e di giugno del 1944.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 256 Alessandro Orlandini

Ma eventi ben più rilevanti si erano verifi cati in precedenza. L’8 settembre, ovvia- mente, che nel territorio senese non ebbe esiti diversi da quelli dell’Italia intera. I reparti della Divisione di fanteria Ravenna, dislocati in vari comuni, si sbandarono, i comandi si dissolsero, il Distretto militare venne abbandonato, i magazzini dell’esercito furono saccheggiati dalla popolazione, come risulta, fra le altre, dalla testimonianza di Roberto Vivarelli nel suo Fine di una stagione, libro su cui avrò modo di tornare per altri aspetti [R. Vivarelli, 2000]. L’unico tentativo delle truppe italiane di contrapporsi alla Wehrmacht si verifi cò nel nodo ferroviario di Chiusi, ma ebbe breve durata e non arrivò allo scontro armato. In una settimana i tedeschi presero il controllo dell’intera provincia. Nel giro di un mese e mezzo, sotto la loro protezione, il partito fascista poté riaprire sedi politiche e istallare presidi militari in tutti i principali comuni. L’altra data è il 6 novembre. Rileggo una pagina di Alba Valech Capozzi dal libro A. 24029, titolo che l’autrice, sopravvissuta a Dachau, aveva impresso sulla pelle. Una pagina di forte intensità letteraria dove, senza lungaggini e retorica, si racconta il mo- mento in cui una famiglia borghese di religione ebraica, certamente preoccupata per le discriminazioni subite con le leggi razziali, ma ancora inconsapevole di ciò che stava per accaderle, venne d’improvviso precipitata sulla soglia dell’orrore.

Nella calma mattutina della piccola camera della villetta Branchino si udì all’improvviso il trillo lungo e insistente del campanello del cancello. Mi scossi dal dormiveglia ed anche mio marito si rigirò sbadigliando. Il campanello cessò di trillare di colpo, ma attraverso le imposte, giunse il confuso borbottio di molte voci indistinguibili ed il rumore caratteristico della ghiaia calpestata. Dopo poco la maniglia della porta della camera girò e sulla soglia, incerta ed inquieta, la mamma sostò un attimo silenziosa, poi rivolta a mio marito, che dal mio fi anco, la guardava perplesso e la invitava ad entrare, disse: “Ettore, i fascisti! Ci danno solo venti minuti di tempo”. Compresi allora perché la mamma, per la prima volta da quando mi ero sposata, fosse entrata in camera senza prima bussare, e, nello sbigottimento che avevo provato all’annunzio, guardai Ettore. Egli aveva aggrottato le sopracciglia e il viso gli si era fatto scuro e pensoso. Cominciò a vestirsi in silenzio e svelto, mentre la mamma si allontanava, chiamata dal mio fratellino Ferruccio. Mi vestii anch’io rapidamente. Ettore, sempre silenzioso, si accostò alla fi nestra e guardò giù nel giardinet- to, terminando di abbigliarsi. “Che accadrà”, gli chiesi. “Devono aver circondato la casa”, mi rispose. Tacque un istante, poi, scuotendo il capo, mormorò: “Sarebbe stato meglio se t’avessi lasciata a Milano”. Mi abbracciò. Uscimmo di camera, passammo per la stanza dei miei, dove la mamma aiutava Ferruccio a vestirsi ed entrammo nel salotto da pranzo. C’erano tutti. A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 257

Mio padre un po’ pallido, ma calmo e già col cappotto, mia sorella Mosi, mio fratello Vittorio ancora in maniche di camicia, irritato ed inquieto, sua moglie Gaetana con Lucianino al collo, i miei suoceri e mia cognata Amelia. Sulla soglia, in cima alla scala, un milite fascista appoggiato al muro strin- geva fra le braccia incrociate il fucile con la baionetta innestata. Un altro in fondo alle scale, seduto su di un gradino, fumava. “Nulla da fare – disse mio suocero rivolto ad Ettore – ho tentato tutto. Han- no circondato la villetta. Spareranno su chiunque tenti di fuggire”. Ettore si avvicinò al milite e, nella speranza che ci potesse giovare, gli disse di essere un uffi ciale reduce dal fronte. Il milite si strinse nelle spalle, poi borbottò: “interessate il prefetto Chiurco, io non posso farci nulla” [A. Valech Capoz- zi, 1946, pp. 9-10].

Degli ebrei senesi catturati in quel giorno, quattordici morirono in campo di ster- minio. Ho deciso di soffermarmi su queste righe non tanto per ricordare, anche stasera, un fatto terribile, quanto per inserire un elemento critico in quella narrazione che ha voluto presentare Siena quasi del tutto al riparo dal peggio della seconda guerra mondiale, grazie ad una presunta concordia fra i suoi abitanti, come se fosse davvero esistita la simbolica corda alla quale è avvinto il corteo di eminenti cittadini che attraversa l’Allegoria del Buongoverno. Ebbene, mi sembra che non sia azzardato osservare che almeno nelle deportazioni, a cui parteciparono in prima linea i fascisti, alcuni probabilmente di Siena – ma un’inda- gine non ci sarebbe mai stata –, e la cui catena di comando risaliva al Prefetto – interessate Chiurco, borbotta il milite – di concordia se ne intraveda ben poca. Per giunta, non si è trovata traccia documentata, non dico di opposizione o di protesta, ma neppure di presa di distanze o di semplice rammarico. Non dal Podestà Luigi Socini Guelfi , e neppure dall’Arcivescovo Mario Toccabelli, il cui diario in proposito tace. In seguito qualche esponente del regime porse aiuto a qualche ebreo. Lo stesso Chiurco, al suo processo – riletto più volte, l’ultima delle quali da Floriana Colao in un volumetto uscito proprio in questi giorni [F. Colao, 2013] – sostenne che, nel giugno del 1944, tramite sua moglie, aveva avvertito i pochi ebrei rimasti, comunque già tutti nascostisi, del pericolo di una nuova retata. I familiari di Remigio Rugani – uno dei capi dello squadrismo nel periodo 1920-1922, sostenitore della Repubblica di Salò forse più per coerenza con il proprio passato piuttosto che per ferma convinzione politica – hanno donato all’Istituto Storico della Resistenza Senese alcune carte dalle quali si evince che protesse due ebrei, uno ucraino e uno polacco, che aveva portato con sé dalla ritirata nella campagna di Russia, a cui aveva partecipato come uffi ciale medico. Furono gesti, in contrasto con la politica razziale del regime, da non misconoscere, ma che – mi sembra di poter dire – non attenuano il giudizio complessivo. Lo sottolineo di fronte ai vari tentativi di revisione storica che hanno costellato gli ultimi venti anni, nella pubblicistica come sulla stampa locale, molti dei quali contrassegnati, in modo più o meno marcato, dall’intento di riabilitare proprio la fi gura di Chiurco. Partendo da quanto ho detto fi n qui, provo a suggerire un’altra lettura. A Siena accadde di tutto, come altrove: deportazione di ebrei, bombardamenti aerei che causa- 258 Alessandro Orlandini rono la morte di molti civili e la distruzione di monumenti (la basilica quattrocentesca dell’Osservanza), fucilazioni di partigiani (alla caserma Lamarmora), uccisioni di fascisti nei giorni immediatamente precedenti l’arrivo delle truppe alleate, perpetrate in quella zona di confi ne fra l’azione esemplare, la vendetta privata e l’atto criminale che traspare, fra l’altro, dalla indagine – la parola è quanto mai appropriata – in merito alla morte di Walter Cimino, milite della X Mas, condotta non da uno storico, bensì da un magistrato, Nicola Marini, e raccolta in un libro di successo, da collocarsi per molti aspetti nel fi lone de Il sangue dei vinti di Gianpaolo Pansa [N. Marini, 2012]. Eppure, si è osservato, questi eventi produssero a Siena meno lutti, meno distru- zioni che altrove. E’ vero, senza ombra di dubbio. Ma, come cercherò di dimostrare in seguito, ciò dipese da una concatenazione di cause nella quale una particolare situazione politica venne a saldarsi con specifi che condizioni ubicazionali e militari, non senza un ruolo della casualità che – fi n troppo banale dirlo nel cinquecentenario della composizio- ne de Il Principe – è stata spesso decisiva nella storia. Ma un episodio ebbe probabilmente il tratto di un’originalità quasi unica. Chi ha la pazienza di sfogliare il registro delle delibere del Podestà, al giorno 13 giugno 1944 legge la delibera 324, con la quale il Comune di Siena assumeva un impiegato per curare la fornitura di alloggiamenti – mobilio compreso – ai reparti germanici affl uiti in città in numero crescente. Andando oltre, al 20 giugno, legge la delibera 326, che autorizzava l’acquisto di scrivanie e di altri arredi da uffi cio. Nel mezzo, alla data del 16 giugno – giorno in cui le truppe francesi e sudafricane si erano affacciate ai confi ni meridionali della provincia e si apprestavano a combattere fra Cetona, S. Casciano Bagni e Radicofani –, ecco all’improvviso l’effetto straniante della delibera 325, titolata “Nuova donazione della Città alla gloriosa Vergine sua protettrice”.

La sera di domenica 18 corrente, nella forma solenne già praticata dagli An- tenati, omessa soltanto l’offerta delle chiavi, dinanzi alla sacra Immagine di Maria santissima delle Grazie detta del Voto, nella Chiesa Metropolitana, si faccia ancora una volta completo dono della Città alla Immacolata Vergine nostra Celeste patrona, invocando umilmente la Sua divina intercessione, affi nché SIENA e il suo popolo possano venire salvati dagli orrori e dalle rovine della guerra che incombe ormai sulla terra senese. Che a manifesto segno della rinnovata donazione, il Gonfalone Comunale sia collocato presso l’altare della Cappella del Voto e vi permanga per tutto il tempo nel quale l’Immagine della Madonna sarà esposta alla venerazione dei fedeli. Che a perenne ricordo della donazione in parola resti per sempre depositato nell’altare anzidetto, racchiuso in apposita custodia, il rogito relativo.

Ed in effetti c’è ancora, per quanto un po’ nascosto e mai apprezzato dall’antifasci- smo, probabilmente per i motivi che esporrò fra breve. Non senza aver prima sottolineato una curiosità segnalatami dagli ottimi archivisti dell’Archivio Storico del Comune. La burocrazia comunale deve essersi trovata in evidente imbarazzo nel catalogare un atto pubblico così inusuale. La copia che stava in Duomo era nel luogo appropriato, vicina all’immagine sacra che invocava. Ma quella di spettanza del Comune, fra quali A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 259 carte andava collocata? Alla fi ne si decise, per assimilazione, di inserirla nei contratti, cartella atti vari, busta settore assicurativo. E così, fra le polizze antincendio stipulate dal Comune con “Le Assicurazioni d’Italia” e con “La Fondiaria”, si trova anche il rogito della Madonna. La cerimonia della donazione vide un grande concorso di popolo e, per quanto sot- to la veste religiosa, fu l’unica manifestazione politica di massa avvenuta a Siena fra l’8 settembre e la Liberazione. Promossa da Socini Guelfi e dall’Arcivescovo, con il concor- so del Magistrato delle Contrade, venne raccontata con entusiasmo dalla stampa locale, ed è stata rievocata con passione dallo stesso Socini Guelfi [L. Socini Guelfi , 1979] e, di recente, da Gerardo Nicolosi [G. Nicolosi, 2013]. Eppure, nell’evento c’erano due aspetti che, se non vado errato, nessuno ha mes- so in rilievo. Il primo riguarda il cielo, inteso non come luogo della trascendenza, ma come spazio da cui, purtroppo, piovevano bombe. Siena non aveva alcuna effi cace dife- sa contraerea e l’aviazione tedesca non era in grado di contrastare i bombardieri alleati. Anche a terra le cose non a andavano meglio. Dalle carte della Prefettura risulta che i rifugi erano pochi e quei pochi inadeguati perché quasi tutti privi di uscite in direzione opposta. In queste condizioni, affi darsi al manto protettivo della Vergine, quello stesso man- to che si vedeva in tanti dipinti medievali e rinascimentali nei luoghi di culto della città, assumeva un carattere del tutto particolare. Era l’ultimo possibile riparo. Il secondo aspetto ha invece a che vedere con l’ambiguità verso le forze in campo. Il precedente storico più famoso era la donazione del 1260, fatta in occasione della batta- glia di Monteaperti, con una fi nalità chiarissima – difendere la libertas del Comune e della Repubblica – in uno scenario dove i nemici – l’esercito guelfo incardinato sui contingenti fi orentini – e gli amici – i cavalieri tedeschi inviati da re Manfredi di Svevia – erano ben delineati. Nel caso del giugno 1944 questa nettezza degli scopi e dei ruoli si diluisce, sfuma, si confonde in un’incerta equidistanza. Del resto, un nucleo consistente del ceto dirigente cittadino che promosse la donazione, per i suoi trascorsi politici, aveva da temere non solo i rischi della guerra in sé e per sé, ma anche l’arrivo delle truppe alleate – per non parlare dei partigiani – verso le quali nutriva un misto di avversione e sospetto. Ne è una riprova il giorno prescelto, che avrebbe potuto essere assunto come fau- sto – il 18 gli alleati entrarono a Radicofani e ad Abbadia S. Salvatore – perché, pur fra morti e distruzioni, annunciava l’approssimarsi della fi ne del confl itto in tutte le sue forme, nonché della dominazione germanica e della dittatura fascista, e che invece fu elevato a momento di sommo pericolo. E ne è una testimonianza il già ricordato diario dell’Arcivescovo che, dal 3 luglio – Liberazione di Siena – scandisce il tempo numeran- do i giorni dall’occupazione, defi nizione non usata per il periodo della presenza tedesca. Segno evidente che francesi, inglesi e americani, all’alto prelato non sembravano affatto dei liberatori. Ritengo tuttavia che l’ambiguità delle cerimonia – peraltro replicata il 4 luglio, in forma di ringraziamento, alla presenza questa volta delle autorità militari alleate –, non sia stata soltanto obbligata dalle circostanze, ma abbia avuto una sua funzionalità politica, indirizzata all’obiettivo di una rapida pacifi cazione che mettesse alla svelta una pietra sopra all’intero passato. 260 Alessandro Orlandini

Una tendenza questa che non mancava anche di consenso popolare. In un articolo di giornale di qualche mese fa, Francesco Burroni, sulla scorta dei ricordi di suo padre, ha raccontato come in Fontebranda, gli antifascisti protessero alcuni fascisti dall’arresto o peggio, sia per non abbandonarsi a vendette che li avrebbero portati al loro livello, sia per non creare fratture familiari che sarebbero durate chi sa per quanti anni a venire. Se da Fontebranda si guarda al paese non è diffi cile accorgersi che siamo di fronte ad una delle molteplici radici di quel percorso politico e giuridico – ma anche psicologico – che avrebbe condotto al sostanziale fallimento dell’epurazione, all’amnistia di Togliatti e all’interpretazione molto generosa che ne dette la magistratura. In sostanza all’assenza di una Norimberga italiana. Il tutto a partire dall’idea crociana del fascismo come malattia morale, come paren- tesi, per arrivare ad un’altra idea, quella popolare degli italiani brava gente e delle colpe sempre e comunque degli altri. Dei tedeschi nel caso specifi co. Un’autoassoluzione contro cui si batterono intellettuali e uomini politici come Pie- ro Calamandrei e Ferruccio Parri, e su cui ha ragionato Filippo Focardi, in un libro inti- tolato, non a caso, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe nella seconda guerra mondiale. Scrive Focardi:

Come ha osservato Vitorio Foa, una delle fi gure più lucide dell’antifascismo italiano, non si è trattato di “una rimozione in senso psicanalitico”, quanto piuttosto di una “comoda ma delittuosa cancellazione della storia” […]. E la cattiva Germania, a suo giudizio, è servita alla scopo funzionando a meraviglia come alibi per gli italiani. “I tedeschi – egli ha aggiunto – sono diventati una grande risorsa per la tranquillità della nostra coscienza. Ma è necessario ricordare il male della nostra parte se non vogliamo abbando- nare al caso il nostro domani”. Queste parole eticamente ispirate risalgono al 1996. Il periodo coincide con l’inizio di una nuova stagione storiografi ca che – riprendendo gli studi avviati negli anni settanta da Del Boca, Rochat, Sala e Collotti – ha cercato di far piena luce sulle “pagine oscure” del passato nazionale: i massacri nelle colonie; la politica razzista del fascismo contro slavi, africani ed ebrei; le occupazioni militari durante la guerra dell’Asse con le pratiche di guerra ai civili; le deportazioni di massa di uo- mini donne e bambini; la questione della mancata punizione dei criminali di guerra italiani [F. Focardi, 2013, p. 187].

Anche a Siena si manifestò la tendenza ad attribuire ai tedeschi gli eventi più lut- tuosi, in verità non senza qualche motivo se si considera, ad esempio, che i rastrellamenti conclusisi con fucilazioni plurime, da Monte Quoio a Monte Maggio, avvennero perché i partigiani avevano colpito militari germanici e che, se il rastrellamento di Montichiello non ebbe esisto altrettanto tragico, ciò dipese sia dall’intervento persuasivo di una pro- prietaria terriera del posto, di origine tedesca, sia soprattutto dal fatto che lo scontro ar- mato, verifi catosi in quel luogo, non aveva coinvolto la Wermacht, ma soltanto la Guardia nazionale repubblicana e la Milizia. Tuttavia questi elementi, una volta riconosciuti, non possono oggi servire da alibi a letture riduttive. Non fosse altro perché la totale subalternità – e dunque collaborazione A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 261

– delle autorità fasciste, civili e militari, ai voleri tedeschi, che anche da essi risalta, non può essere cancellata. Impiegando la stessa chiave interpretativa si può affrontare il tema di Siena città ospedaliera – cioè città aperta, al riparo dalle devastazioni belliche – che, a forza di essere defi nita tale da un’abbondante pubblicistica e da un altrettanto diffusa tradizione orale, tale ha fi nito per divenire nel senso comune. Mentre, invece, si tratta di un grosso equivo- co di carattere consolatorio e giustifi catorio. Perché equivoco consolatorio? Perché nella situazione che ho descritto in prece- denza a proposito di protezione antiaerea, la speranza suscitata nei senesi di essere im- muni dalle bombe sorreggeva, in qualche modo, lo spirito pubblico. Aiutava a trascorrere i giorni e le notti. Ed anche se poi gli allarmi risuonavano e i bombardieri arrivavano, riduceva la possibilità, prevista da tutte le teorie sulla guerra area, che una popolazione non adeguatamente protetta dai bombardamenti si ribellasse ai propri governanti. Le grandi croci rosse, disegnate in Piazza del Campo, sul tetto della chiesa di S. Agostino e altrove, servirono più che altro a questo, se si considera che, oltre a numerosi spezzonamenti e mitragliamenti, Siena subì sei bombardamenti – 23 e 29 gennaio, 8 e 16 febbraio, 11 e 22 aprile – sull’obiettivo strategico della stazione ferroviaria. Con un potenziale distruttivo di cui si può avere percezione, più che dalle cifre del tonnellaggio degli ordigni – 284 tonnellate [C. Biscarini, 2008] –, rileggendo un appunto di diario di Mario Bracci, tanto più incisivo perché frutto di una visione a distanza.

Stamani sono andato in giro a cavallo, verso Pievasciata. […] Mi è capitato addosso un aeroplano all’improvviso; non sapevo cosa fare e sono rimasto fermo per la paura, a cavallo come un monumento equestre. L’aeroplano è sceso bassissimo, ha fatto un paio di giri e poi se n’è andato. Mi deve aver salvato il berretto bianco, scandalosamente pacifi co o il cavallo che è bello: un inglese uccide malvolentieri un bel cavallo. Dopo mi sono affret- tato verso casa e mentre stavo per rientrare nel bosco ho veduto sulla mia testa, altissima, una formazione di bombardieri che iniziava una manovra. Ho compreso e mi sono precipitato nel folto, a galoppo, su per l’erta. Facevo rumore e non ho udito nulla. Quando sono apparso sulla strada di Pontigna- no, mi si è serrata la gola e sono rimasto irrigidito, aggrappato alla criniera del cavallo. Siena non c’era più: era scomparsa dietro una nube fosca che diveniva sempre più cupa per gli ultimi pini neri delle esplosioni che saliva- no lentamente al cielo. Quanto tempo è passato? Non so. Poi la nebbia si è diradata e la Torre del Mangia è apparsa per prima, intatta: poi il resto. Dio sia lodato [M. Bracci, 1981, p. 21].

Era l’11 aprile 1944. A colpire fu una formazione di trentasei bimotori B26. Ber- saglio, oltre alla stazione, proprio il comando tedesco in via Ricasoli, nei pressi di Porta Camollia. Tredici furono le vittime civili. Tornando all’equivoco, perché giustifi catorio? Perché servì alle autorità fasciste a sostenere di aver fatto tutto il possibile per la città, precostituendo una sorta di curricu- lum, da esibire nel futuro, in cui apparisse un qualche loro merito, una qualche beneme- renza civica. 262 Alessandro Orlandini

Infi ne, perché equivoco? Per il fatto che, come provò a dimostrare per primo Paolo Paoletti nel 1994 – in un buon saggio che però non ha minimamente scalfi to la solidità della vulgata, proprio come accadrà a questa mia prolusione – Siena era sì un centro ospe- daliero di primaria importanza, ma non venne riconosciuta dagli alleati come città aperta. E non poteva essere altrimenti, come dirò fra poco. L’istituto giuridico della città aperta, al riparo da bombardamenti e combattimenti, considerata tale per motivi artistici o umanitari, dettati questi ultimi dalla presenza di centri sanitari o di accoglienza di rifugiati, risaliva alla conferenza internazionale dell’Aia del 1907. Precondizione era la completa smilitarizzazione dell’intero centro abitato. In Italia, durante il secondo confl itto mondiale, varie città tentarono di essere riconosciute tali, da Chieti a Roma, da Assisi a Firenze. Le autorità religiose si fecero spesso portatrici di questa richiesta. I tedeschi si dimostrarono, in vari casi, disponibili, sebbene più con le dichiarazioni che con i fatti concreti necessari. Anche a Siena il Prefetto, in collaborazione con il Podestà e con l’Arcivescovo, operò in tal senso, ottenendo dal comando germanico il divieto di transito dei mezzi pe- santi nel centro storico – peraltro non proprio agevole da percorrere – e il consenso all’i- stallazione di barriere di legno alle porte cittadine per indirizzare il traffi co militare lungo le vie di circonvallazione. Proprio le foto di quelle barriere sono un esempio di come un’immagine, nella sua apparente oggettività, possa essere assunta a semplifi cazione di una realtà storica ben più complessa, fi no a distorcerla in modo decisivo. Attraverso il Vaticano vennero tentati dei contatti con gli Alleati, ma senza esito, almeno da quanto risulta allo stato attuale della documentazione e da una serie di solide conferme indirette. La prima è proprio la dedica della città alla Vergine. La seconda è l’impegno tanto frenetico quanto benemerito della Soprintendenza per proteggere i monumenti e mettere in salvo le opere d’arte dei musei cittadini [F. Torchio, 2005]. Appare evidente che en- trambe le cose sarebbero state inutili se ci fosse stata la certezza che tutti i belligeranti avevano posto Siena al riparo da ogni distruzione. La terza è un promemoria del settembre 1944 a fi rma del generale Domenico An- gelica, depositato all’Archivio di Stato fra le carte della Prefettura. L’Angelica – coman- dante del Presidio militare durante il 45 giorni, mantenuto nell’incarico dal comando ger- manico, divenuto ispettore della protezione antiaerea con gli Alleati – scriveva al nuovo Prefetto paventando reazioni da parte dei tedeschi, ancora vicini, nel caso che inglesi, francesi e americani avessero fatto di Siena un luogo di concentrazione di truppe ed ar- mamenti. Raccomandazione superfl ua se Siena fosse stata in possesso dello status di città aperta perché, in quel caso, la totale assenza di istallazioni militari alleate sarebbe stata automatica. Mi fermo qui per non continuare in una disamina che rischia di diventare troppo particolareggiata nelle sue inferenze. La verità è che, per il quartiere generale delle forze aeree alleate, Siena rimase sempre classifi cata come una località d’arte di classe C – dove era considerato accettabile il danno conseguente ad azioni tese a colpire il nemico – perché al suo riconoscimento come città aperta mancò la precondizione essenziale della completa smilitarizzazione te- desca e fascista. E’ quanto emerge da un ricordo che Mauro Barni ha voluto consegnarmi, stando al quale, sotto la croce rossa sul tetto della chiesa di S. Agostino, giù nella cripta, A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 263 all’interno della sede di un’organizzazione giovanile fascista, frequentata anche dai militi della X Mas, si trovava un deposito di armi. Ma soprattutto è quanto si deduce da una serie di informazioni che documentano il fatto incontrovertibile che i militari dell’esercito di Salò continuarono a stazionare in varie caserme dentro le mura cittadine o nelle loro immediate vicinanze – la Milizia nella caserma di piazza del Carmine, l’esercito nella caserma di piazza d’Armi – e che i tedeschi vi mantennero i loro punti di comando – in via Ricasoli e in via Montanini, all’albergo Cannon d’Oro – fi no all’ultimo istante della defi nitiva ritirata. E vale la pena sottolineare che proprio i tedeschi, a dispetto delle assicurazioni date in merito al rispetto integrale della città, al momento di abbandonarla minarono e fecero saltare tutto ciò che ritennero necessario: le mura a Porta S. Marco, compreso il costone tufaceo su cui poggiavano, il ponte di Derna, il gasometro con il conseguente crollo del ponte di Ravacciano, i pochi vagoni e i pochi binari usciti indenni dalle bombe alleate, il serbatoio dell’acquedotto del Vivo a Vico Alto. Inoltre, gruppi di soldati saccheggiarono numerosi negozi, da alcuni dei quali sottrassero merci che i negozianti sostenevano di aver esaurito da tempo e che invece avevano imboscato, come non mancò di annotare, con una punta di perfi dia, l’Arcivescovo. Ma allora perché morti e distruzioni furono inferiori che altrove? Per la concatena- zione di fattori a cui ho fatto cenno e che ora elenco per sommi capi. In primo luogo, Siena non aveva nelle vicinanze né industrie rilevanti per la pro- duzione bellica, né infrastrutture civili e militari (aeroporti, snodi ferroviari e stradali) di importanza strategica. In secondo luogo, non occupava una posizione adatta a costruire una linea di di- fesa ritardante, come quelle che il comando germanico aveva creato sul Monte Amiata, in Val d’Orcia, in Val di Farma, allo scopo di acquistare tempo utile al rafforzamento del fronte della Gotica, sugli Appennini. Fare di Siena un ponto di contrasto, per quanto transitorio, era una scelta priva di senso tattico. A differenza, ad esempio, di Chiusi che, per la posizione nello scacchiere del Trasimeno, fu contesa in uno scontro di tre giorni, o di Poggibonsi, considerata importante punto di acceso alla Val d’Elsa inferiore e pertanto martoriata dai bombardamenti aerei e teatro di combattimenti di fanterie strada per strada. Se le iniziative delle autorità fasciste e religiose ebbero un qualche effetto sulla decisione tedesca di lasciare la città senza combattere, ciò va inserito in questo contesto. In terzo luogo, la stazione ferroviaria si trovava in un’ubicazione relativamente lontana dall’abitato, quasi in campagna, diversamente da Grosseto, Pisa e Firenze, dove infatti, nei bombardamenti della ferrovia e del materiale rotabile, le vittime si contarono non a decine, ma a centinaia. Non è diffi cile immaginare effetti ben più pesanti anche per Siena se la stazione fosse stata dove era in origine e cioè a ridosso delle mura della barriera di S. Lorenzo. In quarto luogo, la ventura volle che il comandante francese delle truppe maroc- chine, che si apprestavano ad entrare da porta S. Marco, fosse un estimatore del gotico e desse ai suoi uffi ciali l’ordine paradossale di tirare cannonate soltanto “al di là del XVIII secolo”, che equivaleva all’ordine di non sparare affatto. Confortato, in questa decisione, da due uffi ciali del Raggruppamento M. Amiata, i quali attraversarono le linee per an- nunciare che i tedeschi se ne stavano andando e che di cecchini fascisti non ce n’erano. Infi ne, Siena non insorse, non anticipò con atti di ribellione la ritirata germanica e 264 Alessandro Orlandini l’arrivo degli alleati, come invece, dopo poco più di un mese, avrebbe fatto Firenze. E’ questo un punto ancora controverso. Certo è che la componente insurrezionalista del CLN venne messa in minoranza dalla componente moderata. Di qui la decisione dello stesso CLN di accettare la proposta del Podestà di costituire una guardia civica, con funzioni di ordine pubblico, mettendo come vincolo che il reclutamento fosse affi dato ad antifascisti, per evitare infi ltrazioni e tentativi dell’ultima ora di cambiare bandiera. Meno certo è che l’intera vicenda del passaggio dei poteri si possa rubricare come il frutto di una sorta di abbraccio fra fascismo e settori maggioritari dell’antifascismo in nome di un comune amore per la città, che pure esisteva. Più che di abbraccio parlerei di un compromesso obbligato o quasi, di uno di quei patti pressoché inevitabili, spesso essenziali nella politica come nella guerra. Un compro- messo in cui, fra gli altri, giocò un ruolo importante proprio Mario Bracci, fi gura eminen- te dell’antifascismo civile e docente di un’università mai del tutto fascistizzata. La memorialistica e la storiografi a degli anni ’70, che traevano i loro modelli in- terpretativi da storici eminenti quali Paolo Spriano e Guido Quazza, bollò Siena di at- tendismo, con un netto giudizio di disvalore, in contrapposizione al positivo fermento resistenziale delle zone rurali. Con un giudizio quasi specularmente rovesciato, una parte della storiografi a re- cente – penso al libro di Claudio Biscarini sul Raggruppamento M. Amiata [C. Biscarini, 2006] – ha invece teso a valorizzare la non insurrezione di Siena come frutto non di attendismo, bensì della saggezza di un antifascismo moderato, imperniato su uffi ciali dell’esercito quali Adalberto Croci, Eugenio Zanuttini, Lelio Barbarulli. Da parte mia proporrei di limitarsi a prendere atto che le cose andarono in quel modo perché non potevano andare diversamente. Proprio come scrisse, al principio degli anno ’60, Mario Delle Piane con il realismo antiretorico che lo distingueva.

Il Cln (soprattutto sotto l’impulso dei comunisti) aveva pensato veramente di libe- rare con le sue forze Siena, facendo scendere in campo le squadre cittadine, organizzate ed armate specialmente dal partito comunista e dal partito d’azione, e contemporanea- mente facendo convergere sulla città le formazioni partigiane. […] Ma lo stabilirsi del fronte immediatamente a sud della città […] impedì l’avvicinamento dei reparti partigia- ni, che vennero raggiunti dalle truppe alleate […]. In queste condizioni dare l’ordine alle squadre cittadine di attaccare sarebbe stato ordinare un massacro e molto probabilmente procurare la distruzione di quella singolare città che è Siena [M. Delle Piane, 1964, pp. 105-106].

In effetti uno dei distaccamenti della Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini che aveva avuto l’ordine di avvicinarsi a Siena incappò, il 24 giugno, in un rastrellamento te- desco nella zona di e non poté proseguire. Un’azione di tipo insurrezionale venne dunque resa impossibile dallo stato dei fatti, oltre e più che dalle opzioni politiche. A quello di Delle Piane è opportuno comunque affi ancare un altro giudizio, di Vit- torio Meoni, affi nché quanti avevano ipotizzato una liberazione ad opera delle armi parti- giane, o comunque con la loro collaborazione, non sembrino degli sconsiderati animati da ideologico furore, come ha cercato di rappresentarli una memorialistica dichiaratamente nostalgica del fascismo repubblichino [P. Ciabattini, 1991 e 1997]. A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 265

Il piano – ha scritto Meoni – […] fu una scelta scaturita da una più generale concezione della guerra partigiana e della partecipazione popolare a questo eccezionale evento storico: cioè una guerra di popolo con una propria au- tonoma presenza sullo scenario bellico italiano e con una proiezione ideale verso un nuovo assetto sociale e politico [V. Meoni, 1994, p. 217].

Risulta peraltro che non solo i garibaldini, ma anche i comandanti monarchici del Raggruppamento M. Amiata avevano preso in considerazione la possibilità di far con- vergere su Siena alcuni dei loro effettivi – quelli meno inquinati dalla politica, cioè i non comunisti, come scrisse Giulio Maglietta Pollari nella relazione del settore sud-est del Raggruppamento stesso – per poi desistere [T. Guasparri, 1976]. Prima di avviarmi a concludere non posso non fare un cenno rapidissimo alla que- stione della Resistenza come guerra civile, defi nizione amata dagli storici e più in gene- rale dalla cultura di destra, osteggiata dall’antifascismo, almeno fi no alla svolta impresa da Claudio Pavone [C. Pavone, 1991], e fonte di polemiche che sembrano non volersi esaurire. Partendo dal fatto che non può essere negato che la Resistenza, nel senese come altrove, ebbe il carattere di liberazione dal nazifascismo e non mancò neppure di conno- tazioni di classe, nel senso di perseguire e di prefi gurare una società improntata all’ideale di uguaglianza, pur diversamente declinato da socialisti, comunisti, azionisti, cattolici e monarchici, il cenno si limita alla citazione di uno studioso dell’antichità, Luciano Can- fora, che nella sua pagina di apertura del libro dedicato alla guerra civile ateniese del 404- 403 a.C., avvenuta in seguito alla sconfi tta di Atene nella guerra del Peloponneso, scrive:

Riconoscere che un confl itto è stato guerra civile, cioè una guerra fra citta- dini, dipende dal vincitore. E’ il vincitore che concede al vinto tale ricono- scimento. Che non signifi ca annullare la distinzione fra torti e ragioni [L. Canfora, 2013].

Se assumiamo questo principio, i già menzionati libri fra memoria e storia di Pietro Ciabattini e di Roberto Vivarelli non convincono affatto. Molto interessanti per conosce- re le motivazioni dei giovani senesi che abbracciarono il fascismo morente, ed insieme ad esso la Germania di Hitler – un malinteso senso dell’onore inculcato da un martellamento ideologico anche di tipo familiare – e per capire gli stati d’animo con i quali, da quella parte, si vissero gli eventi della guerra e della guerriglia partigiana, colpiscono in negativo non perché assumono come centrale la defi nizione di guerra civile, ma perché rivendica- no la scelta compiuta anche con il senno di poi. Insomma, per dirla con Canfora, sono loro che, nonostante il trascorrere del tempo e il terribile fardello accumulato dalle conoscenze storiche di atti che allora, non oggi, potevano esser ignoti, rifi utano di riconoscere i torti e le ragioni. Per terminare affronto brevemente due ultimi temi. Il primo riguarda la portata militare della Resistenza nel senese. E’ un tema a cui sono affezionato, tanto che vi ho insistito ovunque mi abbiamo chiamato a parlare della lotta partigiana, perché mentre sul valore politico e morale che essa ebbe sono concordi in molti, sui suoi effetti in termini puramente bellici esistono sottovalutazioni a mio avviso eccessive. Sostenere che – vale 266 Alessandro Orlandini per la provincia di Siena come per l’Italia intera – i tedeschi e i fascisti furono sconfi tti dagli eserciti alleati, dai loro aerei, dai loro carrarmati, dalla loro artiglieria, e che senza di essi i partigiani non sarebbero stati vittoriosi, è affermare un’ovvietà che nessuno ha mai negato. Sul piano storiografi co si tratta di una polemica priva di senso. Casomai, interessante sarebbe uno studio che approfondisse e risistemasse le informazioni sui com- plessi rapporti di incontro/scontro, collaborazione/diffi denza fra formazioni partigiane e angloamericani, verifi cando, nella dimensione locale, lo schema interpretativo dell’allea- to nemico [D. W. Ellwood, 1977] e inquadrandovi anche le violenze sessuali e le ruberie commesse da gruppi di soldati alleati, soprattutto coloniali. Per dirimere la questione, uno dei parametri che ci può aiutare è, trattandosi di guerra, la triste contabilità che l’accompagna. La lotta di Liberazione nel senese durò dieci mesi, che in realtà furono sette se si considerano i primi tre, fra settembre e dicembre del 1943, come fase di organizzazione e preparazione. In questo breve lasso di tempo, dei circa millecinquecento partigiani combattenti e degli oltre mille patrioti della rete informativa e logistica ne furono uccisi più di trecento. Persero la vita in oltre trecento azioni, fra atti di sabotaggio e di guerriglia, occupazioni temporanee di centri abitati, combattimenti, rastrellamenti. Sul fronte opposto, i morti fra i fascisti, stando alle cifre fornite dagli avvocati che difesero Giorgio Alberto Chiurco, furono oltre duecento e i feriti una settantina. Impossibile quantifi care con certezza le perdite tedesche, ma si può presumere, pur valutando con estrema prudenza i numeri riportati nelle relazioni delle formazioni partigiane – sommati insieme arrivano a superare la cifra di trecentocinquanta –, che siano state comunque consistenti. Se ne deduce che l’attività militare fu tale non solo da disarticolare l’apparato stata- le fascista e da accelerarne il collasso, ma anche da impegnare nelle retrovie, in funzione di antiguerriglia, forze fasciste e tedesche che avrebbero potuto confl uire al fronte. In quest’ambito un ragionamento specifi co merita il problema del terrorismo e, in particolare, delle uccisioni di fascisti a pochi giorni dalla Liberazione. Furono indispen- sabili azioni gappiste o inutili gesti simbolici o vendicativi? Forse non sarà mai possibile arrivare ad una risposta unanimemente condivisa. Ricordo tuttavia che quando quegli episodi si verifi carono, se la guerra stava per terminare nel territorio senese, era tuttavia evidente che sarebbe stata destinata a durare ancora a lungo più a nord, sull’Appennino e oltre. In quest’ottica, l’eliminazione di un nemico in quella che si apprestava a divenire la retrovia di una lotta ancora lunga, e comunque mentre i combattimenti non erano ancora del tutto terminati, assumeva una qualche logica politica e militare. L’altro tema lo introduco con un duplice quesito. Quanti colori ebbe la Resistenza senese? Ed assunse o no un carattere patriottico e dunque, in una certa misura, fondativo dell’Italia democratica e repubblicana? La risposta scontata è che fu multicolore, come dimostrano la presenza di quattro formazioni partigiane, due – la Spartaco Lavagnini e la Guido Boscaglia – garibaldine e due – il Raggruppamento M. Amiata e la SiMar – monarchiche, ma ancor più la mista colorazione dei partigiani – per giunta in via di defi nizione proprio nei mesi della lotta perché l’esperienza alla macchia fu la prima scuola politica per giovani che, fi no ad al- lora, avevano ascoltato soltanto la propaganda del fascismo –, molto spesso difforme da quella dei loro comandanti. Per fare un solo esempio, della banda di Walter Ottaviani, protagonista della battaglia di Monticchiello, monarchico fervente, facevano parte due A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoria e ricerche storiche 267 giovanissimi comunisti, Emo Bonifazi e Fazio Fabbrini, che sarebbero divenuti impor- tanti esponenti del PCI. Per quanto riguarda il carattere patriottico, esso fu trasversale, non appartenne cioè soltanto alle formazioni monarchiche, come vorrebbe suggerire una lettura che, in pole- mica con quanti in passato, sminuirono il ruolo dei monarchici stessi, non risparmiando loro l’accusa, in molti casi immeritata, di attendismo e di opportunismo, prospetta oggi di distinguere fra una Resistenza buona, perché animata da superiori ideali nazionali, e una cattiva, perché motivata da odio sociale. Suggerendo in aggiunta che, anche sul piano dell’azione militare, la prima fu più cauta e dunque più attenta ad evitare operazioni tali da scatenare la rappresaglia nazifascista sulla popolazione. A chi propone queste interpretazioni vorrei ricordare due dati di fatto. Il primo, che il più grave eccidio di civili perpetrato dai tedeschi nel territorio senese a Palazzaccio, prese origine da un’azione di partigiani appartenenti al Raggruppamento M. Amiata, i quali seguirono, per quanto con autonoma interpretazione, l’ordine ricevuto di ostacolare le requisizioni di bestiame da parte del nemico in ritirata. Dico questo non per cadere anch’io in una polemica ben poco utile, ma per sottolineare che se da una parte non vanno annullate le differenza fra una formazione partigiana e l’altra – non c’è dubbio ad esempio che, quando si trattò di procedere a requisizioni di cibo, i comandanti garibaldini ebbero nei confronti degli agrari e delle loro proprietà un atteggiamento meno rispettoso dei comandanti monarchici –, dall’altra occorre diffi dare di ogni rigido incasellamento, inadeguato a contenere una realtà molto complessa e sfrangiata. Il secondo dato di fatto è che era comunista la maggior parte degli oltre ottocento partigiani senesi che si arruolarono nel Cremona, gruppo di combattimento del rinato esercito italiano a fi anco degli alleati [F. Masotti, 2005], e che andarono a continuare la guerra al di là della Gotica, con un gesto in cui sarebbe davvero diffi cile negare la presen- za anche di una solida componente patriottica.

ALESSANDRO ORLANDINI

L’OFFICINA DEL BULLETTINO

SENAE VIRGO, PROGETTO DI UN MUSEO VIRTUALE DELL’ARTE E DELL’ARCHITETTURA GOTICA SENESE (metà XIII-metà XIV secolo)

Studiosi ed esperti di prima qualità si sono incontrati con gli studenti dell’Univer- sità di Siena e con la città il 12 dicembre 2013 per la giornata di studi dal titolo Innovare senza tradire. Arte, archeologia, storia organizzata dal Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali. E’ stato possibile ascoltare alcuni intellettuali impegnati in vario modo nella ricerca storica, storico-artistica, documentaria, archeologica, nella salvaguardia e valorizzazione del tessuto di arte, architettura, che fa grande l’Europa, nell’innovazione, nella comunicazione. Nella seduta della mattina, coordinati da Roberto Bartalini, hanno risposto alle domande degli studenti una storica dell’arte, che lavora in uno dei musei più importanti del mondo (Dominique Thiebaut, conservateur général, département des Peintures, du Musée du Louvre), un archeologo impegnato non solo nello scavare e nel comprendere il senso di ciò che è emerso dallo scavo, ma anche nel restituire i risultati dell’indagine archeologica, e che a sua volta ha diretto un grande museo (Richard Hod- ges, dell’University of East Anglia, presidente dell’American University of Rome, già direttore del Philadelphia Museum), una studiosa di manoscritti medievali che insegna in Svizzera (Marina Bernasconi Reusser, dell’Università di Friburgo, per il progetto E-Co- dices, biblioteca virtuale dei manoscritti medievali conservati in Svizzera), un ingegnere che da anni è impegnato nella collaborazione intensa con il mondo delle scienze umane (Giuliano Benelli, dell’Università di Siena), un’archeologa del Cnr che si occupa a livel- lo europeo dei processi di comunicazione dei beni culturali attraverso le tecnologie della visione e della multimedialità (Sofi a Pescarin, del CNR ITABC-Istituto Tecnologie Appli- cate ai Beni Culturali). Nella seduta pomeridiana l’attenzione si è spostata sul terreno delle scelte che interessano il territorio senese. Alla presenza del sindaco Bruno Valentini e del prorettore dell’Università di Siena Francesco Frati, Francesco Barbagallo, dell’U- niversità di Napoli Federico II e direttore della rivista Studi Storici, Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio3, Giuliano Volpe, dell’Università di Foggia, membro del consiglio superiore per i Beni Culturali e paesaggistici, si sono misurati con i problemi connessi allo sviluppo culturale anche a livello territoriale. Il testo che segue è la relazione introduttiva con la quale ho presentato il progetto Senae virGO, museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese (metà XIII-metà XIV secolo), elaborato da storici dell’arte, storici, archeologi del Dipartimento di Scien- ze storiche e dei beni culturali dell’Università di Siena.

Il senso di questa giornata di studi è riassunto nel titolo, Innovare senza tradire. L’innovazione della quale si parla è quella che la tecnologia offre alla cultura umanistica.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 272 Gabriella Piccinni

Lì risiede l’ enorme potenzialità di rendere più fruibile, e quindi più democratico, tale ali- mento essenziale per la vita civile. Ma lì sta anche il rischio del ‘tradimento’ del signifi ca- to profondo e del ruolo che quella cultura deve avere nella società italiana. Per chi – come i proponenti di questo progetto - insegna e fa ricerca nell’Università è indispensabile discutere di tutto questo con i propri studenti non meno che con la città di Siena e con i suoi rappresentanti. Vogliamo provare infatti ad innovare senza tradire partendo da qui, dalla realtà concreta di questa città. Noi partiamo dal passato, perché è quello il nostro mestiere. Ma comprendere il passato e le sue manifestazioni ha un signifi cato molto contemporaneo. Signifi ca prima di tutto individuare i fattori che fanno muovere una società in una direzione piuttosto che in un’altra, e dunque riguarda il modo di intendere i rapporti tra gli uomini: cioè le idee politiche, il bisogno di solidarietà, di giustizia, di uguaglianza sociale, le convinzioni religiose, ma anche i criteri con cui si considera la ricchezza dell’arte, del disegno di una città, di un paesaggio. La crisi che il mondo contemporaneo sta drammaticamente attraversando in que- sti anni, come tutte le crisi, cioè come tutti i momenti di trasformazione, porta con sé l’abbandono di molte rendite di posizione e di altrettante certezze, sul piano economico ma anche sul piano dei principi e dei punti di riferimento culturali ed etici. E’ evidente, inoltre, che in Italia la ‘madre di tutte le crisi’ è solo apparentemente economica, dunque non può risiedere solo nell’economia la ricerca delle soluzioni. Ogni volta le società sono uscite dalle loro crisi quando hanno saputo interpretare la febbre che le aveva aggredite come una opportunità per guarire e dunque l’economia italiana va ripensata all’interno del patto che lega le persone in un progetto di società, e nel progetto nuovo di società che da questa crisi dovrà nascere occorre ben identifi care il ruolo della cultura umanistica. Sta però accadendo che, nella testa di gran parte della gente comune così come di coloro che ci governano, si stanno formando gerarchie nuove nelle quali la conoscenza del nostro passato e di ciò che esso ha prodotto non viene espulsa, però è trasformata pro- fondamente. Sapere e capire le cose che ci circondano viene proposto come prerogativa dei sognatori, da coltivare nel tempo libero, e dunque senza oneri per lo stato1. Anche i beni culturali suscitano interesse solo se si comportano da veri ‘beni’, ossia quando pro- ducono ricchezza. Essi sono, invece, alimento della vita civile2. Come potrebbe non essere toccato da crisi un luogo così sensibile com’è la cultura umanistica in Italia? La cultura umanistica italiana è in crisi. L’Università italiana è in crisi. Il patrimonio di cultura del Bel Paese è in crisi. Pompei che si sgretola è solo un simbolo di questa crisi, e nessun archeologo viene chiamato al capezzale di quel grande morente perché purtroppo appare più urgente contrastarne le infi ltrazioni camorristiche

1 Riprendo qui alcune acute considerazioni di M. BETTINI, I classici: antenati o enciclopedia cul- turale?, “Il Mulino”, 6 (2013), pp. 925-941. 2 Sul tema del valore civico della cultura, mortifi cata in Italia a favore del potenziale turistico- economico, è in atto un vivace dibattito animato da vari intellettuali. Per la rifl essione intorno ai cosid- detti ‘ beni culturali’, condotta con una giusta dose di vis polemica, spiccano Salvatore Settis e Tomaso Montanari, dei quali si vedano almeno S. SETTIS, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi 2012 e T. MONTANARI, Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane, Roma, Minimum fax, 2013. Senae virGO, progetto di un museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese 273

(mi riferisco alle polemiche innescate dalla recente nomina del generale dell’arma dei carabinieri Giovanni Nistri a direttore generale del Progetto Pompei). La città di Siena, e la sua Università, vivono una loro crisi dentro la crisi. Alcuni motivi importanti di questa crisi ci sono fi n troppo chiari, riguardano la sua storica banca e sono legati ai movimenti e alle speculazioni della fi nanza globale, al mancato funziona- mento dei meccanismi di vigilanza nazionale e a responsabilità locali, e non è su questi che mi dilungherò. Ma il problema, adesso, è individuare i modi in cui Università e città possano attrezzarsi e collaborare per uscirne. Il nostro intento, oggi, è quello di richiama- re l’attenzione su ciò che il mondo universitario può fare per contribuire alla ripresa del nostro paese e di Siena partendo dal patrimonio storico e artistico e architettonico della città, peraltro di eccezionale rilievo. La sfi da che abbiamo di fronte (noi, storici, storici dell’arte, archeologi, studiosi della letteratura e della produzione testuale, … e anche ‘noi città’) è quella dell’innova- zione. Perché, o anche Siena si rende conto di poter essere insieme “città murata e città globale”3, cioè città storica ma in grado di parlare e confrontarsi con un mondo globaliz- zato, oppure si ripiegherà nel compiacimento dei suoi piccoli confi ni ed allora non andrà da nessuna parte. Occorre premettere che anche i cosiddetti umanisti sono ben consapevoli che non si sfugge al confronto con l’innovazione. E dunque rifl ettono prima di tutto su di sé, sui loro vecchi e gloriosi ‘mestieri’ della conoscenza. Noi che lavoriamo con il passato chia- miamo ‘mestiere’ quell’armamentario concettuale in base al quale si comprende un testo antico, una pergamena, i risultati di uno scavo, l’opera di un artista. Per contribuire alla fuoriuscita dell’Italia e di Siena dalla più grande crisi che stanno affrontando dal dopo- guerra ad oggi questi ‘mestieri’ sono chiamati ad agire in contesti nuovi, in un mondo del lavoro mutato e prostrato. Quella che vogliamo cercare è una innovazione senza tradimenti. Vogliamo aprirci a tecniche e a professioni rinnovate ma vaccinati dal tecnicismo (come proprio in questi giorni ho ribadito un gruppo di intellettuali italiani in un recente numero della rivista “Il mulino”4), addirittura siamo disposti anche a cavalcare la razionalità strumentale del progresso tecnologico. Però non dimenticheremo mai l’altra razionalità, la razionalità che deriva dalla conoscenza delle cose e dei fenomeni, la razionalità che deriva dalla comprensione di ciò che è, e di ciò che è stato. Non si tratta di un problema secondario. Ci porta direttamente al rapporto tra la funzione universale dell’Università e il territorio sul quale essa opera e del quale può favorire lo sviluppo5. Ma un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che, oggi, ogni visione di una Università come vettore di sviluppo territoriale può essere messa in di-

3 G. PICCINNI, Città murata, città globale. Come conoscere la città medievale può aiutare il proget- to di Siena capitale europea della cultura nel 2019, Siena, Salvietti&Barabuffi editori, 2011. 4 Mi riferisco all’appello lanciato su “Il Mulino”, 6 (2013), da Alberto Asor Rosa, Roberto Espo- sito, Ernesto Galli della Loggia, Un appello per le scienze umane, dal quale riprendo alcuni concetti. 5 Manca in Italia un rifl essione sulla ‘nuova territorialita’ delle Università. E infatti il nostro paese è assente anche nella recente sintesi Université et Territoires, sous la directione de Martin Mespoulet, Presses Universitaires de Rennes, 2012, dove si trovano invece interessanti quadri generali relativi alla Francia, alla Germania, alla Svizzera, al Regno Unito. 274 Gabriella Piccinni scussione proprio dai disegni nazionali di governo delle Università. Infatti l’imperativo dello sviluppo territoriale crea competizione tra i territori, almeno a scala nazionale; ma il governo italiano attribuisce un peso molto importante, tra i parametri utilizzati per valutare la qualità degli atenei, al rapporto numerico tra studenti e docenti, premiando le Università che hanno numero più alto di studenti per ogni docente, che è notoriamente un assurdo didattico. E allora le Università come quella di Siena (più piccole ma di ricono- sciuta qualità scientifi ca e didattica) si sono dovute chiedere se la domanda di sostegno e di qualità che viene dai territori non possa avere un ruolo di compensazione. Dunque le Università sono messe in concorrenza tra sé, a scala nazionale e inter- nazionale, così come i territori italiani sono messi in concorrenza tra sé, almeno a scala nazionale. E allora diventa davvero importante identifi care quali orientamenti privilegia- no le varie collettività territoriali per dare sostegno alle Università che sono presenti sul loro territorio. Quelle Università sono i luoghi centrali e internazionali della formazione superiore e della ricerca. Si tratta di un fatto importante per tutti gli attori in gioco, nel caso specifi co per l’Università di Siena e per il territorio che trova in essa un deposito di competenze alle quali può attingere e - continuamente anche se più o meno consapevol- mente – attinge. L’Università non è un fi ore artifi ciale, che sta dove lo metti ed è sempre lo stesso, nel deserto o nella foresta tropicale. L’Università assume le caratteristiche del territorio che la ospita e, al contempo, gliene restituisce una versione scientifi ca, poten- ziata, consapevole. Per questo una Università, come la nostra, che è ospitata in un ecosi- stema caratterizzato da arte e cultura, architettura e memoria culturale, deve attingere le sue risorse e la sua fi sionomia in primo luogo da arte, architettura, memoria culturale, e restituirle alla città in una versione, appunto, più alta. Dobbiamo perciò, prima di tutto e tutti insieme, defi nire in modo contrattuale le relazioni tra i vari partners pubblici, anche quando intendiamo valorizzare (ognuno con il signifi cato che attribuisce a questo termine), nel senso profondo del termine, il patrimonio artistico, architettonico, ambientale di questa città e del suo splendido territorio. Occorre fare blocco per rivendicare un ruolo culturale - e così economico e sociale - più grande per l’Università, per l’innovazione e la competitività, per i singoli territori, soprattutto quando sono così ricchi e importanti da riuscire a candidarsi per un appuntamento di ri- lievo internazionale, quale è la candidatura di Siena a capitale europea della cultura 2019. Il massimo di locale ed europeo, di locale e mondiale. Questa rifl essione non può che portarci direttamente al rapporto tra Università e mondo globale. Qui, a Siena, la saggezza (e la ricchezza) degli antenati ha lasciato un contesto territoriale particolarmente adatto a stimolare la ricerca nel campo della storia, dei beni culturali, della storia dell’arte, dell’archeologia e dell’architettura. Vogliamo proporre di ripartire da qui. Il tema, un tema, e quello della riuscita della territorialità delle discipline umanistiche che si insegnano nell’Università a fronte delle esigenze della mondializza- zione, alla complessità del processo di innovazione, anche in campo culturale. Presento oggi, a nome dei colleghi che ci hanno lavorato in prima battuta (Roberto Bartalini, Fabio Gabbrielli, Stefano Campana, Giuliano Benelli) un progetto che si bilan- cia tra due poli: pensare in grande e agire nella quotidianità. Anche un museo virtuale o una applicazione scaricata dal vostro iPhone possono essere di grande livello qualitativo, se si basano sulla crescita di conoscenza e producono alta divulgazione del risultato. Senae virGO, progetto di un museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese 275

Quella divulgazione può essere - perché no, non mi scandalizza - anche spettacolare ma deve insieme mettere in moto momenti alti di studio, di formazione di professionalità e di partecipazione. E’ questo un patto che possiamo stringere? Possiamo sperimentare con convinzione luoghi in cui si possa rispondere alla domanda di ‘uso’ del patrimonio, che in vario modo viene dal territorio, rilanciandola ogni volta ad un livello qualitativo più alto? Nel caso particolare vogliamo, sfruttando la forza anche evocativa del gotico se- nese, proporci come un laboratorio nel quale si metta a punto un modello di integrazione tra ricerca, didattica, creazione di professionalità e democratica restituzione di saperi alla società. In quel laboratorio, mentre produciamo il bene della conoscenza e gli strumenti della sua fruizione, possiamo consentire ai nostri studenti di formarsi per rispondere alla domanda che proviene dal territorio, e l’Università può contribuire ad abbattere un poco la soglia della disoccupazione. Senae virGO, mira al recupero dell’intero corpus del gotico senese, quale si è espresso nelle arti fi gurative, nella scultura, nell’arredo, nell’architettura e nel disegno urbano. Una novità è nel comprendere a poco a poco tutti questi aspetti in un solo pro- getto di restituzione. Per questo del progetto si sentono altrettanto parte gli storici, gli archivisti, gli storici dell’arte, dell’architettura, del paesaggio, gli archeologi, e anche gli ingegneri, che lavorano sugli aspetti tecnici e che hanno capito, meglio e prima di noi, che la differenza la fa il contenuto, quando costringe anche la tecnologia a riformarsi, ad inventare. Intendiamoci. I musei virtuali non sono una novità, e non li inventiamo certo noi. Ma noi siamo gente pratica e, umilmente e concretamente, ne vogliamo sperimentare uno insieme a Siena, all’altezza della raffi natezza particolare di questa città. Modello perché? E cosa pensiamo di dire di nuovo? Uno prodotto più immaginifi co? Un effetto speciale in più? Non è questo che proponiamo. Il museo introduce la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi6. Il museo virtuale ha lo stesso profondo signifi cato, serve allo stesso scopo. Ma con la differenza che chi lo visita può farlo senza spostarsi, oppure prima di spostarsi, di intraprendere un viaggio, oppure spo- standosi ma facendosi accompagnare in una visita dallo strumento che consenta di vedere di più, di allargare le potenzialità dei suoi occhi o delle sue gambe, di aumentare la realtà7. Siena, lo sappiamo, ha già molti musei, più o meno funzionanti. In quel ‘o meno’ c’è un cruccio della città, perché la Pinacoteca è uno scrigno prezioso ma è poco frequen- tata; il complesso museale di Santa Maria della Scala presenta problemi di gestione e orari; le stesse sale del palazzo del Comune, che sono celebrate nelle copertine dei libri di mezzo mondo, non traboccano di visitatori come potrebbero. Già questo basterebbe per sentire il bisogno di ragionare. Ma Siena è ancora di più. È una città monumento. Monumentum è una parola latina che viene da moneo. Signifi ca “far ricordare”8: i nostri monumenti, quelli che sorgono nei

6 R. PEREGALLI, I luoghi e la polvere, Sulla bellezza dell’imperfezione, Bompiani, Milano, 2010. 7 Non entro nel merito della defi nizione di museo virtuale, sulla quale non c’è ancora accordo tra gli studiosi. Per alcuni si tratta del sito di un museo reale, per altri è un sito culturale sganciato dal museo reale, per altri una visita virtuale al museo reale e così via. 8 Così Maurizio Bettini (BETTINI, I classici cit. dal quale traggo alcuni dei pensieri che seguono). 276 Gabriella Piccinni siti archeologici o quelli raccolti nei nostri musei, luoghi tanto suggestivi quanto econo- micamente rilevanti per il paese, devono servire a questo, a farci ricordare . Ma ricordare che cosa? Se avremo perduto la cultura che aveva a suo tempo prodotto tutto ciò, i monu- menta si trasformeranno progressivamente in enigmatici mucchi di pietre, in gallerie di immagini belle ma senza senso. Non possiamo dunque permettere che questi monumenti perdano progressivamente la capacità di essere compresi, distruggendo il contesto cultu- rale che, lui solo, può dar loro un senso. Al contrario, è un dovere estendere al maggior numero possibile di cittadini la possibilità di usufruire di questi beni. “La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano”, ha scritto Italo Calvino9. I musei stessi servono a conservare gli oggetti ma anche a educare a leg- gere lo spazio, a guardare ai borghi, ai paesi e alle città che lo popolano con occhi meno vacui, a comprendere perché certe collettività si sono dotate di opere d’arte, in certi casi di notevole livello, o hanno coperto i propri territori di edifi ci religiosi o civili di pregio, di fontane e di logge, o si sono chiuse all’interno delle fortifi cazioni. Anche qui, in mezzo a tutta questa bellezza uno sguardo esterno è particolarmente catturato dal continuo con- fronto tra la forma medievale della città, mantenuta con cura, le sue dimensioni ridotte (i suoi 54.000 abitanti attuali) e la convinta adesione all’economia contemporanea, visibile soprattutto attraverso la presenza di una banca di portata europea. Se gli europei guardano con curiosità, interesse, ammirazione e qualche volta invidia alla città italiane, Siena parla alla loro fantasia con il doppio fascino dei suoi successi e dei suoi fallimenti. I contrasti della storia senese, fra lo straordinario prestigio dei suoi pittori, la leggendaria ricchezza dei suoi banchieri, e le ripetute fasi di arresto e crisi colpiscono lo straniero e stimolano la rifl essione. Nel rapporto tra la ricchezza degli oggetti e dei monumenti e le tecniche della restituzione virtuale c’è una storia ancora interamente da scrivere, o della quale ad oggi è stata scritta solo una parte molto modesta, quella che era più semplice da scrivere. Sia- mo all’inizio, per ora stiamo balbettando qualche parola, a metà tra stupore, eccitazione, qualche banalizzazione… Ad oggi le grandi potenzialità del virtuale vengono il più delle volte piegate ad un uso molto superfi ciale, solo spettacolare o prevalentemente turistico. Si ignorano, e quindi si sottoutilizzano, le competenze che possono dargli spessore e non si comprende il ruolo che le Università possono avere non solo, come si usa dire, ‘per creare nuove professionalità’, ma anche per rendere più fertili quelle vecchie e gloriose, misurandole con contesti del tutto nuovi. Fenomeni analoghi di esasperata spettacolarizzazione si sono propagati anche nel mondo della comunicazione di massa. Il linguaggio allusivo e ammiccante guida tante trasmissioni televisive dal pubblico anche troppo largo, in puntate talvolta raffazzonate e prive di regia e di un fi lo conduttore. Collages di dépliant turistici più che racconto. Ora vi stupisco con gli arabi, ora con le anfore, ora con i templari, con la tomba di un faraone, dove si dà sempre tutto per scontato o si risolve in qualche trovatina ad effetto o qualche

9 “Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle fi nestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi , seghettature, intagli, svirgole”, I. CALVINO, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, pp. 18-19. Senae virGO, progetto di un museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese 277 bella animazione. E’ come dire: guardate e stupitevi, se non capite nulla non importa. Intendiamoci, un po’ è sempre stato così, ma oggi lo stupore è facilitato dalle tecnologie che consentono effetti speciali, specialissimi. E’ così che si abbassa il livello culturale: spostando in basso la qualità del linguaggio invece che rendendolo semplicemente più accessibile. In questo modo le persone non si sentono invitate a salire e a crescere. Si illudono di aver visto e non hanno capito niente10. Questa è la morte, insieme, della co- municazione e della cultura. Intendiamoci, noi non abbiamo paura dei consumi culturali di massa perché capiamo comunque che il consumo è una traduzione del desiderio; e dun- que anche a questa domanda culturale occorre rispondere, orientandola verso il meglio. Ma vogliamo farlo costruendo qualcosa che vada oltre noi, che non sia effi mero, che resti. Ed ecco una serie di domande, a raffi ca, da porci insieme e alle quali insieme cer- care risposta. Cosa chiedono le scienze umane alla tecnologia? Cosa offre la tecnologia alle scienze umane? Quale domanda di storia e di arte sale, invece, dai territori e dalla gente; e quale dal mondo globale? Quali risposte intendiamo dare, e quali proprio non intendiamo, a quella domanda? Perché, per dirla in due parole, non vogliamo trasformar- ci in creatori di giocattoli d’avanguardia per la gioia di colti vacanzieri ma le discipline che pratichiamo (la storia, l’arte, l’archeologia,…..) non ci rendono nemmeno i mistici custodi del museo-Italia, dell’archivio-Italia. E d’altra parte Giovanni Previtali o Riccar- do Francovich o Luciano Bellosi, per citare solo tre tra i più grandi professori scomparsi della gloriosa facoltà di Lettere di questa Università, sono stati esempio alto di come si possa essere interpreti a livello internazionale di un rapporto fecondo con il territorio e, nel caso di Francovich, anche pionieri dell’innovazione tecnologica applicata alle scienze umane. Innovatori nella sostanza e nelle forme. Nessun museo, reale o virtuale, nasce o vive senza ricerca. Le conoscenze prodotte da quella ricerca devono essere restituite alla società, perché si tratta di un imperativo di democrazia. Di più, la presenza dell’Università permette di coniugare la costruzione di un museo virtuale con le esigenze di continuo avanzamento delle conoscenze e di formazio- ne dei più giovani. Nell’ampio laboratorio che vogliamo costruire saranno indispensabili forti competenze ‘tradizionali’ (vecchie professioni: occorrerà chi sappia leggere una per- gamena, interpretare uno scavo, datare un’opera d’arte…), ma i nostri studenti potranno imparare anche ad applicare queste loro conoscenze in scenari nuovi, misurandosi con tecnologie avanzate (nuove professioni), in un contesto fortemente multidisciplinare, pe- raltro in linea con una tradizione più che ventennale di studi condotti nella ex-facoltà di Lettere della nostra Università. Saranno pronti per il mercato del lavoro nell’Italia che ripartirà. Proponiamo dunque un progetto, una proposta che abbiamo chiamato Senae vir- GO, dove il Gotico, anche nella sua forma virtuale, rimane di proprietà di Siena. Anzi, come vedremo tra un attimo, ritorna a Siena. E’ evidente che il titolo riecheggia il sigillo della città, quanto di più civico ci sia, e che è riprodotto anche nei magnifi ci affreschi del palazzo del Comune, tra le prime e più riuscite espressioni di pittura politica e civica.

10 Traggo questo passaggio da alcune considerazioni, nate relativamente a trasmissioni di soggetto archeologico e da me in parte rielaborate, espresse da Franco Cambi sulla pagina Facebook di Archeolo- gia tardoantica e altomedievale a Siena (2013). 278 Gabriella Piccinni

Il valore dell’esperienza senese nella storia dell’arte è troppo noto nel mondo per- ché occorrano molte parole per spiegare l’importanza del progetto. A fronte di questa ricchezza sta l’incredibile dispersione di opere d’arte senese nei principali musei del mondo. Intendiamoci, questa dispersione è un segno del loro stesso successo. Ma è certo che essa rende diffi cile al cittadino, al lettore interessato e anche al turista colto la comprensione della reale portata del fenomeno artistico senese. Peraltro questa dispersione è un ostacolo di importanza non secondaria anche per chi si accinga a studiare quella produzione artistica. Ecco un elenco dei principali musei del mondo in cui sono conservate opere senesi concepite per la sola cattedrale di Siena: Washington, The National Gallery of Art; New York, The Frick Collection; Madrid, Museo Thyssen- Bornemisza; Londra, National Gallery; Fort Worth, Kimbell Art Museum; Philadelphia, Museum of Art; Fogg Art Museum di Cambridge, Massachusetts; Copenaghen, Staa- tens Museum; Parigi, Musée du Louvre; Francoforte, Städelsches Kunstinstitut; Firenze, Galleria degli Uffi zi. Ma allargando il quadro ad altri complessi possiamo aggiungere Berlino, Staatliche Museen; New York, The Metropolitan Museum of Art; Los Angeles, County Museum of Art…. Questo fatto, del quale il senese si accorge solo quando, viaggiando per il mondo ed entrando in uno di questi grandi musei, incontra con stupore e orgoglio un proprio an- tenato pittore, dà anche la misura delle potenzialità degli scambi culturali che si potranno praticare se la città riuscirà a creare intorno al proprio patrimonio una rete, un network internazionale. A fronte di tutto ciò sta una mole di conoscenze già accumulate e in continuo accre- scimento. Le tecnologie di cui già si dispone, sia nel campo dell’informatica (piattaforme digitali) sia in quello della computer-grafi ca e delle ricostruzioni in 4D rendono oggi tutto ciò tecnicamente praticabile. Le professionalità a disposizione sono molto ampie e altrettanto ampi e consolidati sono i rapporti internazionali, in termini di competenze e di contatti istituzionali. Nel museo virtuale che vogliamo costruire progressivamente tutte le opere disperse (gli arredi, le sculture, i dipinti) saranno di nuovo presenti accanto a quelle che si trovano ancora in Siena, nei luoghi che le hanno viste nascere o per il cui decoro furono espressa- mente realizzate: il palazzo del Comune, anzi l’intera scenografi a che unisce il Campo e il palazzo, plasma uno degli spazi più belli e unitari che il Medioevo abbia creato in Italia11, sul quale sono corsi fi umi di inchiostro perché il Campo esprime al massimo grado l’idea, tutta Europea, che la città ha un centro, e che quel centro ne è il cuore; la cattedrale, il battistero di S. Giovanni, le strutture semiabbandonate del «Duomo Nuovo», l’ospedale di Santa Maria della Scala, le grandi chiese degli ordini monastici, le chiese parrocchiali, i palazzi privati e pubblici, le torri, le fonti, la ricchissima pinacoteca, il circuito quasi integro delle mura. Chi desidererà saperne di più potrà accendere il proprio computer, scaricare i dati attraverso il proprio iPhone o a iPad o tablet (o attraverso qualche altro mezzo che la tecnologia creerà in futuro), e potrà vedere, e potrà capire. Senae virGO, per la natura stessa dell’oggetto di studio e per il valore generale

11 Si veda su questo F. GABBRIELLI, Siena medievale. L’architettura civile, con fotografi e di Andrea Sbardellati, Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena-Protagon Editori, 2010, pp. 182-183. Senae virGO, progetto di un museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese 279 del modello che si vuole sperimentare, ha una marcata dimensione internazionale. Prima di tutto arricchirà la percezione nel mondo della dimensione qualitativa e quantitativa dell’esperienza artistica senese. Di più, potrà favorire la creazione di un sistema di rela- zioni con le principali istituzioni internazionali di ricerca in ambito storico-artistico e con i musei proprietari delle opere, con le quali rende possibile stabilire scambi culturali, per esposizioni virtuali e reali e per coprodurre materiali informativi in formato digitale (app, e-book, cataloghi digitali…) che abbiano al centro il gotico europeo. Considerata la complessità, l’articolazione e i costi globali (per parte nostra cerche- remo di fi nanziarlo partecipando a bandi per fi nanziamenti europei, a bandi regionali) del progetto Senae virGO si intende avviare una prima fase del piano di lavoro focalizzando le risorse su due ‘monumenti’ iconici del gotico: 1- la cattedrale di Santa Maria (Duomo) di Siena e il «Duomo Nuovo» 2a - il Campo di Siena 2b – le sale affrescate del palazzo del Comune. Inizierò con l’esempio della cattedrale. Cominceremo con realizzare un modello 3D dell’interno e dell’ esterno, attraverso l’integrazione di tecnologie di rilievo laser- scanner e fotogrammetriche. Questa fase del lavoro consentirà di realizzare un rilievo estremamente dettagliato dell’intero monumento, compresi gli elementi architettonici, le opere scultoree, pittoriche e gli oggetti che oggi sono in esso presenti, per costruire il ‘contenitore’ e al tempo stesso una parte fondamentale dei contenuti. Per realizzarlo oc- correranno delle piattaforme aeree, in particolare i droni dovranno volare sulla cattedrale per i rilievi e una serie di sistemi telescopici con cestello consentiranno di completare l’informazione. Si tratterà a quel punto di recuperare, tramite riproduzione fotografi ca digitale ad alta risoluzione e il rilievo 3D, le opere d’arte: il pulpito di Nicola Pisano (1268), la Ma- està di Duccio di Boninsegna (1311) ora nel Museo dell’Opera Metropolitana, gli altari e tutte le opere sparse per il mondo alle quali ho già fatto riferimento. Intanto storici, archivisti e paleografi indagheranno negli archivi per completare il recupero delle infor- mazioni documentarie relative alle strutture architettoniche e alle opere. Quando sarà possibile collocare nel modello 4D multitemporale della cattedrale tutte le informazioni raccolte oltre a quanto già acquisito dalla storiografi a e dalla ricerca, si potrà fi nalmente pensare alla restituzione del sapere alla gente che ne è proprietaria, attraverso strumenti e applicativi. La divulgazione dei contenuti potrà avvenire, appunto, attraverso la realizzazione di sistemi di fruizione virtuale: attraverso il computer persona- le, lo smartphone e il tablet, fi nanco, se si crede, gli occhiali che consentono di effettuare visite supportate da sistemi immersivi e di realtà aumentata, e a tutto ciò che la tecnologia offre e offrirà. Tutto si potrà fare. L’importante è che i contenuti siano seri e che i sistemi di divulgazione delle informazioni, scientifi camente vagliate, siano differenziati per varie tipologie di utente, e propongano vari livelli di approfondimento. Dall’utente più sempli- ce ma curioso, a quello più sofi sticato ed esigente. La differenza, qui, la farà la qualità dell’informazione, che è quanto di meglio l’Università può mettere a disposizione perché questo immenso monumento possa dispiegare tutta la sua capacità attrattiva, senza timo- re di uscirne banalizzato. 280 Gabriella Piccinni

Il secondo esempio è la realizzazione del Museo virtuale del Campo di Siena. An- che qui il primo passo è la realizzazione del modello 3D della piazza, con le stesse tec- niche illustrate per la cattedrale, per realizzare, per mezzo di riprese aeree e da terra, un rilievo dettagliato, ad alta defi nizione, dei fronti degli edifi ci che si affacciano sulla piazza e del loro assetto volumetrico, da inserire in un rilievo 3D della città. Anche in questo caso gli storici e gli archeologi avranno un ruolo fondamentale per ricostruire le fasi evo- lutive della piazza e le trasformazioni dei relativi palazzi, dal Trecento a oggi, sia a livello dei volumi (demolizioni di torri, accorpamento e soprelevazioni di edifi ci, progressiva schermatura dei vicoli e delle vie di accesso, ecc.) che di dettaglio (ridefi nizioni e am- modernamenti delle facciate, sostituzione di bifore e trifore con fi nestre ‘moderne’, ecc.). Qualcosa, molto, già si sa, per il palazzo del Comune, progressivamente completato, arre- dato e affrescato, e per il palazzo dei Sansedoni. Gli altri undici complessi edilizi hanno bisogno di approfondimenti e di ricerche ex novo. Occorrerà poi ricollocare virtualmente la Fonte Gaia e il suo corredo scultoreo, realizzati da Jacopo della Quercia, nell’assetto originario, precedente ai rifacimenti ottocenteschi. Anche in questo caso il rilievo sarà multitemporale (rilievo 4D) perché si possa comprendere, nel tempo, l’evoluzione dello spazio del Campo con i suoi palazzi, e anche in questo caso aiuteranno i sistemi di fruizione virtuale. Anche qui, anzi qui più che mai qui, si prospettano grandi potenzialità anche per chi ami un po’ di spettacolarizzazione. La presentazione dei risultati, alla città e alla comunità internazionale, potrebbe creare un momento di particolare intensità con una proiezione lumière nella stessa piazza del Cam- po, una videoproiezione 3D ad alta defi nizione, da realizzare a 360 gradi, sulle facciate di tutti gli edifi ci, che riproduca, in una performance inedita, le principali fasi evolutive della piazza, dalle sue origini fi no ad oggi.

Senae virGO può essere uno dei più nuovi e interessanti contributi che il mondo degli studi storico-artistici, storici, archeologici può dare a Siena e alla candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2019. Un progetto davvero senese e davvero euro- peo, nel quale le scienze umane guardino in faccia le tecnologie, in un processo di avvici- namento che può essere fruttuoso solo se governato. Perché il passato non costituisce di per sé una memoria, né una ricchezza morale e nemmeno economica, né per una singola città né per l’Europa. Del passato, per usarlo bene, bisogna sapere cosa farsene.

GABRIELLA PICCINNI APPENDICE 1

SENAE virGO, museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese. Il progetto

Il museo virtuale dell’arte e dell’architettura gotica senese (metà XIII-metà XIV secolo) mira al recupero dell’intero corpus del gotico senese, quale si è espresso nelle arti fi gurative, nella scultura, nell’arredo, nell’architettura e nel disegno urbano; favorisce la creazione di un sistema di relazioni con i principali musei del mondo proprietari di parte delle opere; contribuisce alla creazione di professionalità inserendosi nelle linee strategiche dell’Università italiana nei confronti dell’occupazione giovanile; contribuisce alla democratica restituzione di saperi alla società; promuove l’accessibilità e favorisce l’abbattimento delle barriere spazio-temporali della fruizione e della ricerca; sperimenta un modello di integrazione tra ricerca, didattica, tradizione e innovazione; arricchisce la percezione internazionale della dimensione qualitativa e quantitativa dell’esperienza artistica senese. Proponente è il Dipartimento Scienze Storiche e Beni Culturali dell’Università di Siena. Coordinatori del progetto: prof. Gabriella Piccinni, direttrice del Dipartimento di Scienze Storiche e dei beni culturali dell’Università di Siena prof. Roberto Bartalini prof. Giuliano Benelli prof. aggr. Fabio Gabbrielli prof. aggr. Stefano Campana

Basi di partenza Il valore dell’esperienza senese nella storia dell’arte medievale è troppo noto nel mondo perché occorrano molte parole per spiegare il senso del progetto SENAE virGO. A fronte di questa ricchezza sta l’incredibile dispersione di opere d’arte senese nei prin- cipali musei del mondo, un dato di fatto che è un segno del loro successo ma che rende anche diffi cile al cittadino, al lettore interessato e anche al turista colto la comprensione della reale portata del fenomeno artistico senese. Peraltro questa dispersione è un ostacolo di importanza non secondaria anche per chi si accinga a studiare la produzione artistica a Siena in età gotica.

Le conoscenze fi nora accumulate, in continuo accrescimento, rendono concreta- mente possibile un museo virtuale e diacronico del gotico a Siena. Le tecnologie di cui 282 Gabriella Piccinni già si dispone, sia nel campo dell’informatica (piattaforme digitali) sia in quello della computer-grafi ca e delle ricostruzioni in 4D rendono oggi tutto ciò tecnicamente pratica- bile. Le professionalità a disposizione sono molto ampie e altrettanto ampi e consolidati sono i rapporti internazionali, in termini di competenze e di contatti istituzionali.

Effetti attesi - 1

IL ‘VIRTUALE’ OLTRE LA DIVULGAZIONE: RICERCA, FORMAZIONE, RESTITUZIONE DI SAPERI ALLA SOCIETÀ SENAE virGO nell’Università può essere uno dei più nuovi e interessanti contri- buti che il mondo degli studi storico-artistici, storici, archeologici può dare a Siena e alla candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2019. Nessun museo, reale o virtuale, vive senza ricerca. SENAE virGO crea l’opportu- nità per una esperienza diversa da tanti pur pregevoli musei virtuali che, spesso, privile- giano la semplice fruizione turistica o i momenti di divulgazione e spettacolarizzazione, sia pure di qualità: la presenza dell’Università permette di coniugare la costruzione di un museo virtuale con le esigenze di continuo avanzamento delle conoscenze e di formazio- ne dei più giovani, in un quadro laboratoriale in cui le indispensabili forti competenze ‘tradizionali’ (vecchie professioni) vengono applicate a nuovi scenari e/o si misurano con tecnologie avanzate (nuove professioni), in un contesto fortemente interdisciplinare, peraltro in linea con una tradizione più che ventennale di studi condotti nella ex-facoltà di Lettere della nostra Università. SENAE virGO vuol essere un momento in cui l’Università di Siena mostra il me- glio della sua capacità di coniugare ricerca, didattica, innovazione e democratica restitu- zione di saperi alla società. In questo senso SENAE virGO vuole contribuire alla messa a punto di un modello.

Effetti attesi - 2

POTENZIAMENTO DEL SISTEMA DI RELAZIONI INTERNAZIONALI TRA MUSEI E ISTITUZIONI CULTURALI SENAE virGO, per la natura stessa dell’oggetto di studio e per il valore generale del modello che si sperimenta, ha una marcata dimensione internazionale. Il progetto arricchisce la percezione nel mondo della dimensione qualitativa e quantitativa dell’espe- rienza artistica senese, favorendo, inoltre, la creazione di un sistema di relazioni con le principali istituzioni internazionali di ricerca in ambito storico-artistico e con i musei pro- prietari delle opere, con i quali rende possibile stabilire scambi culturali, per esposizioni virtuali e reali e per coprodurre materiali informativi in formato digitale (app, e-book, cataloghi digitali…) che abbiano al centro il gotico europeo. Un elenco dei principali musei del mondo in cui sono conservate opere senesi con- cepite per la sola cattedrale di Siena dà la misura delle potenzialità degli scambi e della creazione del network internazionale: Washington, The National Gallery of Art; New York, The Frick Collection; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; Londra, National Gal- lery; Fort Worth, Kimbell Art Museum; Philadelphia, Museum of Art; Fogg Art Museum Appendice 1 283 di Cambridge, Massachusetts; Copenaghen, Staatens Museum; Parigi, Musée du Louvre; Francoforte, Städelsches Kunstinstitut; Firenze, Galleria degli Uffi zi. Ma allargando il quadro ad altri complessi possiamo aggiungere Berlino, Staatliche Museen; New York, The Metropolitan Museum of Art; Los Angeles, County Museum of Art….

Tra le istituzioni culturali internazionali che si occupano di ricerca in ambito sto- rico-artistico ricordiamo il Kunsthistorisches Institut in Florenz / Max-Planck- Gesell- schaft, con il quale esiste una consolidata tradizione di collaborazione.

Articolazione del progetto SENAE virGO è una grande opera, che richiede grande impegno. In un museo virtuale progressivamente tutte le opere disperse (gli arredi, le scultu- re, i dipinti) sono di nuovo presenti accanto a quelle che si trovano ancora in Siena, nei luoghi che le hanno viste nascere o per il cui decoro furono espressamente realizzate: il palazzo civico, la cattedrale, il battistero di S. Giovanni, le strutture semiabbandonate del cosiddetto «Duomo Nuovo», l’ospedale di S. Maria della Scala, le grandi chiese degli ordini monastici, le chiese parrocchiali, i palazzi privati e pubblici, le torri, le fonti, le mura. Si tratta di un’ opera di grande impegno. Considerata la complessità, l’articolazione e i costi globali del progetto SENAE virGO occorre avviare una prima fase del piano di lavoro focalizzando le risorse su due ‘monumenti’ iconici del gotico: 1- la cattedrale di Santa Maria (Duomo) di Siena e il «Duomo Nuovo» 2a - il Campo di Siena 2b – le sale affrescate del palazzo pubblico di Siena. Riteniamo fondamentale per la riuscita del progetto avviare una campagna di co- municazione nazionale e internazionale tramite sistemi tradizionali e social media. L’o- biettivo consiste nel dare la massima visibilità al progetto coinvolgendo fi n dal princi- pio il pubblico secondo una logica partecipativa, generando aspettative, rispondendo a feedback anche con la modifi ca - qualora ritenuto utile dal comitato scientifi co - di alcuni aspetti progettuali.

Fase I - Museo virtuale della Cattedrale di Santa Maria (Duomo) di Siena e del «Duomo nuovo» Azione 1 - Realizzazione del modello 3D interno ed esterno del duomo di Siena tramite l’integrazione di tecnologie di rilievo laser scanner e fotogrammetriche. Questa fase del lavoro consentirà di realizzare un rilievo estremamente dettagliato dell’intero monumento, compresi gli elementi architettonici, le opere scultore, pittoriche e gli ogget- ti in esso presenti costituendo il “contenitore” e al tempo stesso parte fondamentale dei contenuti. Per la realizzazione di questa fase vanno previste almeno 3 settimane di acquisizio- ne dati da parte di tre tecnici specializzati, 4 mesi di elaborazione dati da parte di 3 tecnici 284 Gabriella Piccinni oltre ai costi di noleggio/deprezzamento degli strumenti (in particolare laserscanner, sof- twares) e delle piattaforme aeree (droni, sistemi telescopici con cestello). Azione 2 - Recupero tramite riproduzione digitale (riproduzione fotografi ca ad alta risoluzione abbinata sistematicamente a rilievo 3D) delle opere d’arte della cattedrale con riferimento in particolare al pulpito di Nicola Pisano (1268), La Maestà di Duccio di Bo- ninsegna (1311), gli altari di Sant’Ansano e degli altri Protettori della città con i relativi dipinti (vedi allegato 1). Recupero delle informazioni documentarie relative alle strutture architettoniche. Per la realizzazione delle suddette attività sono necessari, previ accordi inter-isti- tuzionali - anche internazionali - viaggi di studiosi e tecnici presso i musei e le collezioni per la realizzazione della riproduzione delle opere o di parti di esse. I costi di riproduzio- ne prevedono missioni (viaggi, spedizione strumentazione, vitto, alloggio) in USA, UK, Francia, Svizzera, Germania, Danimarca per un team di due persone. Azione 3 - Collocazione nel modello 4D multitemporale della cattedrale (com- preso il Duomo Nuovo) di tutte le informazioni raccolte nell’ambito del progetto oltre a quanto già acquisito dalla storiografi a e dalla ricerca (indagini storico-artistiche, inda- gini storiche, archeologiche, analisi archeometriche su pavimenti e materiali, ecc). Tale attività richiederà il censimento e la selezione delle informazioni attraverso il coinvol- gimento di ricercatori specializzati nelle diverse discipline e l’attivazione di assegni di ricerca. Azione 4 - Divulgazione dei contenuti e realizzazione sistemi di fruizione virtuale del monumento e delle opere. Questa fase comporta la realizzazione di sistemi differen- ziati di divulgazione delle informazioni a varie tipologie di utente, generico, colto, specia- lista, attraverso vari livelli di approfondimento. Gli strumenti di comunicazione saranno tutti i principali device mobili - smartphone e tablet (iOS e android) - ma anche smart tv e mobile theatre video glasses che consentiranno di effettuare visite della cattedrale sup- portate da sistemi immersivi e di realtà aumentata.

Fase IIa - Museo virtuale del Campo di Siena Azione 1 - Realizzazione del modello 3D della piazza del Campo tramite l’inte- grazione di tecnologie di rilievo laser scanner e fotogrammetriche. Questa fase del lavoro consentirà di realizzare, per mezzo di riprese aeree e da terra, un rilievo dettagliato, ad alta defi nizione, dei fronti degli edifi ci che si affacciano sulla piazza e del loro assetto volumetrico, da inserire in un rilievo 3D (a minore risoluzione) della città. Per la sua realizzazione sono previste due settimane di acquisizione dati da parte di tecnici specializzati e tre mesi di elaborazione dati, oltre ai costi di noleggio/deprez- zamento degli strumenti (in particolare laserscanner, softwares) e delle piattaforme aeree (droni). Azione 2 – Ricostruzione delle fasi evolutive della piazza e delle trasformazioni dei relativi palazzi, dal Trecento a oggi, sia a livello volumetrico (demolizioni di torri, accorpamento e soprelevazioni di edifi ci, progressiva schermatura dei vicoli e delle vie di accesso, ecc.) che di dettaglio (ridefi nizioni e ammodernamenti delle facciate, sostituzio- Appendice 1 285 ne di bifore e trifore con fi nestre ‘moderne’, ecc.). Ricostruzione della Fonte Gaia e del suo corredo scultoreo realizzati da Jacopo della Quercia nell’assetto originario, preceden- te ai rifacimenti ottocenteschi. Tale attività richiederà tre tempi: - la ricerca storico-architettonica. Alcuni edifi ci sono già stati oggetto di recenti stu- di volti a ricostruirne l’assetto originario e le trasformazioni nel tempo (palazzo pubblico, palazzo Sansedoni), gli altri (undici complessi edilizi) necessitano di approfondimenti e di ricerche ex novo. Per questi ultimi è da prevedere il coinvolgimento di storici e di sto- rici dell’architettura, con attivazione di borse di studio e assegni di ricerca. - l’implementazione degli studi sull’assetto originario della Fonte Gaia. Per questi è da prevedere il coinvolgimento di uno storico dell’arte, con attivazione di una borsa di studio o di un assegno di ricerca. - il rilievo multitemporale (rilievo 4D). I risultati della ricerca storica saranno ap- plicati al rilievo 3D per ricostruire, nel tempo, l’evoluzione della piazza e dei suoi palazzi così come della Fonte Gaia. Sono previsti tre mesi di lavoro per un tecnico specializzato. Azione 3 - Elaborazione dei contenuti da parte di ricercatori specializzati nelle diverse discipline. (I costi per lo sviluppo di software e l’acquisto di strumenti hardware sono inclusi nel progetto “duomo” (vedi supra). Azione 4 - Realizzazione di sistemi di fruizione virtuale della piazza. Questa fase comporta la realizzazione di sistemi differenziati di divulgazione delle informazioni a varie tipologie di utente, generico, colto, specialista, attraverso vari livelli di approfondi- mento. Gli strumenti di comunicazione saranno tutti i principali device mobili - smartpho- ne e tablet (iOS e android) - ma anche smart tv e mobile theatre video glasses che con- sentiranno di effettuare visite della piazza supportate da sistemi immersivi e di realtà aumentata. La presentazione dei risultati, alla città e alla comunità internazionale, potrebbe inoltre avvalersi di un momento di particolare intensità tramite una proiezione lumière nella stessa piazza del Campo. Si tratterebbe di una videoproiezione 3D ad alta defi nizio- ne, da realizzare a 360 gradi, sulle facciate di tutti gli edifi ci, riproducendo, in una sug- gestiva quanto inedita performance, le principali fasi evolutive della piazza dal Trecento a oggi.

FASE 2b- Museo virtuale delle sale affrescate del Palazzo Pubblico di Siena All’interno del museo virtuale del Campo, vengono proposti i principali gli affre- schi delle sale ‘nobili’ di palazzo pubblico: quelli detti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti; la Maestà e il Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemas- si di Simone Martini; consegna del castello di Giuncarico (Duccio di Boninsegna?); la battaglia di Valdichiana di Lippo Vanni; le storie di papa Alessandro III e dell’imperatore Federico Barbarossa Azione 1 - Realizzazione del modello 3D delle sale affrescate del piano ‘nobile’ del palazzo pubblico (sala del Mappamondo, sala del Buongoverno, sala di Balìa) tramite l’integrazione di tecnologie di rilievo laser scanner e fotogrammetriche. Questa fase del lavoro consentirà di realizzare un rilievo estremamente dettagliato dell’interno di questa 286 Gabriella Piccinni sezione del palazzo, con la ‘collocazione in parete’ degli affreschi di Simone Martini, Lippo Vanni, Sano di Pietro, Vecchietta, Ambrogio Lorenzetti, Spinello Aretino. Per la realizzazione di questa fase vanno previste almeno 2 settimane di acquisizio- ne dati da parte di tre tecnici specializzati, 4 mesi di elaborazione dati da parte di 3 tecnici oltre ai costi di noleggio/deprezzamento degli strumenti (in particolare laserscanner, sof- twares) e delle piattaforme aeree (droni, sistemi telescopici con cestello). Azione 2 – Ricostruzione analitica degli aspetti materiali e tecnici e mappatura delle ‘giornate’, con conseguente ricostruzione della sequenza di esecuzione (riproduzio- ne fotografi ca ad alta risoluzione abbinato sistematicamente a rilievo 3D) degli affreschi delle tre sale. L’azione consisterà nell’analisi dei dati fotogrammetrici e di quelli emersi dagli interventi di restauro promossi dal Comune di Siena e diretti dalla Soprintendenza. Per questi aspetti è da prevedere il coinvolgimento di storici dell’arte e almeno di un esperto di tecniche artistiche e conservazione dei dipinti murali, con attivazione di borse di studio e assegni di ricerca. Azione 3 - Collocazione nel modello 3D dei risultati delle analisi condotte nell’am- bito del progetto, al fi ne di ricostruire gli aspetti tecnici, materiali, esecutivi e di conserva- zione degli affreschi. Sono previsti 4 mesi di lavoro per un tecnico specializzato. Azione 4 - Divulgazione dei contenuti e realizzazione sistemi di fruizione virtuale delle opere. Questa fase comporta la realizzazione di sistemi differenziati di divulgazio- ne delle informazioni a varie tipologie di utente, generico, colto, specialista, attraverso vari livelli di approfondimento. Gli strumenti di comunicazione saranno tutti i principali device mobili - smartphone e tablet (iOS e android) - ma anche smart tv e mobile theatre video glasses che consentiranno di effettuare visite supportate da sistemi immersivi e di realtà aumentata.

ALLEGATO 1 Nella cattedrale: il pulpito di Nicola Pisano (1268) può essere ricollocato virtualmente nella sua originaria posizione la Maestà di Duccio di Buoninsegna (1311) può essere ricomposta ricollocata vir- tualmente sull’altar maggiore (il complesso dipinto è in gran parte conservato a Siena, al Museo dell’Opera del Duomo ma alcuni pannelli della predella e del coronamento sono a: Washington, National Gallery of Art; New York, Frick Collection; Lugano, collezione Thyssen-Bornemisza; Londra, National Gallery; Fort Worth, Kimbell Art Museum; Phi- ladelphia, Museum of Art) Per gli altari di Sant’Ansano e degli altri Protettori della città nella parte presbite- riale furono realizzati i seguenti dipinti: la pala di Simone Martini e di Lippo Memmi, per l’altare di Sant’Ansano, con L’Annunciazione e i Santi Ansano e Massima (1333) (oggi agli Uffi zi); la tavola di Pietro Lorenzetti, per l’altare di San Savino, con la Natività della Ver- gine (1342) (Siena, Museo dell’Opera del Duomo) con San Savino e San Bartolomeo sui pannelli laterali e munita di predella con Storie di San Savino di cui resta lo scomparto Appendice 1 287 con San Savino e i suoi diaconi Essuperanzio e Marcello davanti al proconsolo Venustia- no (Londra, National Gallery); la pala, coeva (1342), di Ambrogio Lorenzetti, per l’altare di San Crescenzio, con La Purifi cazione della Vergine (Firenze, Galleria degli Uffi zi) che presentava nei pannelli laterali San Crescenzo come cefalofero e l’Arcangelo Michele; la pala, più tarda (1351). Per l’altare di San Vittore la Natività della Vergine di Bartolomeo Bulgarini, rico- nosciuta nel frammento del Fogg Art Museum di Cambridge, Massachusetts, mentre i la- terali con i Santi Vittore e Corona - ora a Copenaghen, Statens Museum - si attribuiscono al cosiddetto Maestro di Palazzo Venezia. Della predella dello stesso dipinto ci sono pervenuti i pannelli con la Crocifi ssio- ne (Parigi, Musée du Louvre) e quello con l’accecamento di San Vittore (Francoforte, Städelsches Kunstinstitut). 288 Gabriella Piccinni

APPENDICE 2

Lettera di Pierluigi Sacco, Direttore di candidatura, Siena Capitale Europea della Cultura 2019: Senae virGO nel dossier di candidatura.

Cara Gabriella, cari colleghi e partecipanti, sono molto dispiaciuto di non poter partecipare al convegno di presentazione del progetto Senae virGO, a causa di un concomitante impegno a Vienna presso il Consiglio d’Europa nel quale si defi niranno varie partnership di estrema importanza per Siena Capitale Europea della Cultura. Il progetto Senae virGO rappresenta una delle punte più avanzate ed innovative dell’esplorazione, in corso da tempo nell’Ateneo senese, delle frontiere del rapporto tra discipline umanistiche e nuove piattaforme digitali. È un progetto che nasce da una profonda necessità all’interno di un percorso di ricerca estremamente lucido e puntuale, ed è allo stesso tempo generatore di implicazioni e risultati di straordinaria importanza nel mostrare il potenziale del patrimonio come fucina di innovazione che pone in un dialogo fecondo discipline un tempo ritenute lontane e poco comunicanti. Negli atenei di tutto il mondo il cosiddetto fenomeno delle Digital Humanities sta rapidamente assumendo i contorni di una piccola rivoluzione copernicana, creando un ponte tra qualità e quantità, defi nendo nuovi percorsi formativi e curricolari, aprendo la strada ad un nuovo rapporto tra cultura e industria. A Siena abbiamo bisogno di percorrere queste nuove direzioni per ampliare le possibilità di crescita professionale dei nostri studenti, per aprire nuove prospettive di sviluppo alla nostra economia, e per valorizzare le eccellenze della nostra ricerca, che pongono Siena in una posizione di vertice nelle classifi che al livello dell’intero sistema universitario nazionale e in linea con i migliori standard europei. Il percorso della candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura per il 2019 individua in questi temi uno dei suoi assi progettuali principali, e non a caso Senae virGO ha avuto un posto importante già nella prima versione del dossier di candidatura per segnalare le realizzazioni concrete che la città ha intenzione di mettere in campo a tale proposito, di concerto con la pianifi cazione strategica regionale per il prossimo ciclo di programmazione europea 2014-2020. Questo convegno rappresenta quindi per la candidatura non soltanto un momento importante di rifl essione critica, ma un vero laboratorio progettuale che mi auguro fornisca ulteriori spunti ed indicazioni per procedere ulteriormente e per ampliare ancora di più lo spettro delle possibilità future. Auguro quindi a tutti un’esperienza fruttuosa e vi ringrazio per il contributo che state dando allo sviluppo di un tema che sarà cruciale per il futuro della città e della candidatura. Un ringraziamento speciale a Gabriella Piccinni che con la sua passione e la sua competenza ha reso tutto ciò possibile e che sono sicuro porterà il progetto ad assumere una dimensione europea sempre più marcata, emozionante e ricca di sviluppi.

PIER LUIGI SACCO Direttore di candidatura, Siena Capitale Europea della Cultura 2019 LAVORI IN CORSO

GLI ARCHIVI DELLE PERSONALITÀ DELLA CULTURA DELL’OTTOCENTO E DEL NOVECENTO CONSERVATI NELL’AREA SENESE: ALCUNI DATI DA UN CENSIMENTO IN CORSO*

La rilevanza degli archivi personali nel contesto specifi co della ricerca archivistica e nel più ampio quadro delle fonti per lo studio dell’età contemporanea è ben nota1. Partendo da questa consapevolezza s’intende qui fornire una sintetica illustrazione – in termini soprattutto quantitativi – di alcuni risultati raggiunti dopo oltre un decennio di attività, coordinata da chi scrive, volta a censire archivi di personalità della cultura otto- novecentesche attualmente conservati nell’area senese. Tale censimento ha preso avvio dopoché analoghe iniziative, promosse dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, erano state condotte nel corso degli anni Novanta in riferimento alle aree fi orentina e pisana2. Un’iniziativa in questa direzione è apparsa stimolante per l’area senese, ove gli interventi di valorizzazione dei beni archivistici hanno tradizionalmente privilegiato il contesto pubblico, mentre sono stati più ‘deboli’ in relazione all’ambito privato, specie nello specifi co ‘comparto’ degli archivi personali, caratteristici soprattutto dell’epoca contemporanea, anch’essa a lungo marginale negli studi archivistici di storia locale.

* Nel testo dell’articolo si utilizzeranno le seguenti abbreviazioni: AMOC = Archivio del Movimento Operaio e Contadino in provincia di Siena ASMOS = Archivio Storico del Movimento Operaio e democratico Senese CISRECO = Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo ISRS = Istituto Storico della Resistenza di Siena 1 Mi limito a rimandare a E. INSABATO, Esperienze di ordinamento negli archivi personali contemporanei. Alcune considerazioni, in Specchi di carta. Gli archivi storici di persone fi siche: problemi di tutela e ipotesi di ricerca, “Studi medievali”, ser. III, XXXIII/2 (1992), pp. 881-892; A. ROMITI, Per una teoria della individuazione e dell’ordinamento degli archivi personali, in IDEM, Temi di archivistica, Lucca, Pacini Fazzi, 1996, pp. 167-186 (già in Specchi di carta cit., pp. 892-906); C. DEL VIVO, L’individuo e le sue vestigia. Gli archivi delle personalità nell’esperienza dell’archivio contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, LXII (2002), pp. 217-233; G. BARRERA, Gli archivi di persone, in Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, a cura di C. PAVONE, III: Le fonti documentarie, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2006, pp. 617-657 (disponibile on line http://www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Saggi/Saggi_88.pdf; sito visitato il 7 dicembre 2013). 2 Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area fi orentina, a cura di E. CAPANNELLI-E. INSABATO, Firenze, Olschki, 1996 e Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area pisana, a cura di E. CAPANNELLI-E. INSABATO, coordinatore R. P. C OPPINI, Firenze, Olschki, 2000.

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 292 Stafano Moscadelli

In realtà il lungo lavoro svolto, oltre a stimolare l’emersione di archivi ancora esistenti presso i discendenti dei produttori, ha consentito una più precisa individuzione di questo genere di sedimenti documentari già presenti nei maggiori istituti di conservazione cittadina o ne ha favorito l’acquisizione. Con la speranza che questo articolo possa a sua volta provocare la ‘scoperta’ di nuovi archivi personali, si fornirà un quadro sintetico della situazione sulla base degli elementi ad oggi disponibili (dicembre 2013), nella consapevolezza che i dati numerici e percentuali che andremo a presentare potrebbero mutare – peraltro, riteniamo, in modo molto lieve – nel caso di qualche ulteriore (e comunque auspicabile) sporadico ‘ritrovamento’. Sulla base di una scheda di riferimento predisposta dalla Soprintendenza archivistica, i redattori delle voci elaborate3 hanno raccolto varie informazioni che qui rapidamente riassumiamo4: denominazione del fondo (coincidente con il cognome e il nome del soggetto produttore), sua localizzazione e accessibilità; note sul fondo (storia dell’archivio, suo ordinamento e mezzi di corredo); note biografi che del soggetto produttore; descrizione del fondo (serie o tipologie documentarie e loro sintetica descrizione, consistenza e cronologia, archivi aggregati, biblioteca); bibliografi a sul soggetto produttore e sull’archivio. Complessivamente sono 228 gli archivi ad oggi individuati nell’area senese – di diversa consistenza, condizionamento e integrità – che corrispondono ad altrettante personalità e sono costituiti da 246 distinti nuclei documentari, in quanto gli archivi di 15 di esse (6,5%) si presentano suddivisi in 2 o 3 ‘spezzoni’ e presso diversi istituti conservatori5.

3 All’autore di questo contributo, si sono aggiunti nella redazione di numerose schede: Marta Fabbrini, Mirko Francioni, Daniele Mazzolai e Leonardo Mineo. Hanno inoltre collaborato occasionalmente nella stesura di alcune schede o per il loro completamento: Patrizia Agnorelli, Rachele Amerighi, Saverio Battente, Duccio Benocci, Francesca Cagnani, Silvia Calamandrei, Mario Ceroti, Angela Cingottini, Raffaella De Gramatica, Alessandro Leoncini, Stefano Maggi, Doriano Mazzini, Elisabetta Nencini, Filippo Pozzi, Daniela Salvadori, Daniele Sasson, Silvia Scheggi, Patrizia Turrini, Carla Zarrilli e gli archivisti della Contrada della Selva. 4 Per una illustrazione dei diversi campi che compongono la scheda di rilevamento v. le introduzioni di E. CAPANNELLI-E. INSABATO, ai volumi Guida agli archivi delle personalità (...). L’area fi orentina cit., in particolare pp. 13-22, e Guida agli archivi delle personalità (...). L’area pisana cit., in particolare pp. 18-23. 5 Per un riepilogo v. la tabella 1. Le schede redatte nel corso del censimento sono disponibili nella sezione “Archivi di personalità” all’interno del sito http://siusa.archivi.beniculturali.it/. In questa sede, per completezza statistica, sono stati considerati anche gli archivi di varie personalità conservati presso l’AMOC – schede redatte da Roberta Cortonesi (v. Inventario dei fondi dell’Archivio del Movimento operaio e contadino in provincia di Siena, a cura di R. BORGOGNI-R. CORTONESI, Poggibonsi, Arti grafi che Nencini, 2008, pp. 483-507) e inserite nella stessa sezione del sito citato –, quello di Roberto Rosadoni (1928-1972, sacerdote, insegnante, giornalista) conservato presso il CISRECO – scheda redatta da Barbara Grazzini e anch’essa inserita nella detta sezione – e quelli di Francesco Mazzei (1806-1869, architetto) e di Vittorio Mariani (1859-1946, architetto) – schede redatte rispettivamente da Cecilia Ghelli e Laura Vigni (v. Guida agli archivi di architetti e ingegneri del Novecento in Toscana, a cura di E. INSABATO-C. GHELLI, con la collaborazione di C. SANGUINETI, Firenze, Edifi r, 2007, pp. 240-245), inserite nella sezione generale del medesimo sito. Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 293

Il numero degli archivi censiti è da ritenersi indubbiamente elevato se consideriamo la specifi cità della tipologia archivistica e la prolungata ‘marginalità’ dell’area senese in epoca contemporanea rispetto ad altre zone della Toscana – tra tutte quelle di Firenze e Pisa –, nelle quali in virtù di una maggiore rilevanza politica e culturale sono state più abituali la formazione e la trasmissione di questo genere di archivi6. Per l’area senese il numero piuttosto consistente è dovuto anche al fatto che si è cercato di adottare criteri selettivi dalle maglie molto ampie, preferendo sempre logiche inclusive piuttosto che rigidi ‘paletti’, che avrebbero fi nito per ostacolare la piena comprensione di un fenomeno di ‘presenza archivistica’ rivelatosi, in defi nitiva, assai variegato e multiforme. In primo luogo, in riferimento alla cronologia si è voluto includere tutti quegli archivi prodotti da personalità che fossero attive già nei primi decenni dell’Ottocento7: di qui l’inclusione degli archivi di personalità nate nel XVIII secolo, a cominciare da Giuseppe Giuli – medico, mineralologo e botanico, docente presso l’Università di Siena dal 1822 al 1851 – nato nel 1764, ma protagonista di attività di ricerca e di studio per tutta la prima metà del XIX secolo. Così come non si sono fi ssati criteri di esclusione post quem. L’archivio della personalità più giovane qui considerato è quello di Marco Dinoi – critico cinematografi co e docente presso l’Ateneo senese – nato nel 1972 e prematuramente scomparso nel 2008. Un’avvertenza va inoltre fatta in riferimento agli archivi di personalità viventi: in questi casi abbiamo preso in considerazione solo i materiali da essi ceduti a istituti di conservazione, senza estendere il censimento – tranne in un caso – a quelli ancora esistenti presso il soggetto produttore nella propria dimora8. Volendo quindi riassumere sulla base di un rigido criterio cronologico il numero delle personalità produttrici degli archivi individuati possiamo così schematizzare i risultati: 13 personalità nate tra il 1764 e il 1800, 106 tra il 1801 e il 1900 (45 nella prima metà e 61 nella seconda metà del secolo), 106 tra il 1901 e il 1950, 3 tra il 1951 e il 1972 (2 negli anni Cinquanta, 1 nel 1972). Già questo dato mette in evidenaza una nettissima impennata di archivi prodotti da personalità nate nella prima metà del Novecento. Volendo passare ad un’analisi più attenta alla cronologia di produzione degli archivi in questione, si ritiene in questa sede opportuno valutarla in riferimento a cesure periodizzanti storicamente signifi cative, in modo da poter meglio considerare la potenzialità di questi archivi come fonti per alcune fasi ben precise degli eventi locali e nazionali otto-novecenteschi. A questo proposito le 228 personalità (e di conseguenza i loro archivi) possono essere così suddivise9: 80 personalità nate fi no al 1871 (Roma capitale), attive in epoca preunitaria-risorgimentale con prosecuzione nei primi decenni postunitari e in rari casi fi no ai primi anni del fascismo; 81 personalità nate tra il 1872 e il

6 All’agosto 1996 in area fi orentina erano stati censiti ben 365 archivi (v. Guida agli archivi delle personalità [...]. L’area fi orentina cit., p. 22). Nell’area pisana nell’anno 2000 risultavano invece censiti 130 archivi (v. Guida agli archivi delle personalità [...]. L’area pisana cit., p. 16). 7 Per un’analoga scelta v. Guida agli archivi delle personalità (...). L’area pisana cit., p. 17. 8 L’unica eccezione è costituita dall’archivio di Fazio Fabbrini, che si è reso disponibile a far analizzare le carte conservate presso la propria abitazione. Una parte dell’archivio di Fazio Fabbrini è conservata presso l’ASMOS. 9 Si veda la tabella 2. 294 Stafano Moscadelli

1914 (inizio della I guerra mondiale), attive alla fi ne dell’Ottocento, in epoca giolittiana, durante il fascismo e dopo il fascismo; 71 personalità nate tra il 1915 e il 1939 (inizio della II guerra mondiale), attive durante e dopo il fascismo; 14 personalità nate a partire dal 1940, attive dopo il fascismo. Questa suddivisione permette pertanto di individuare quattro ‘blocchi’, i primi tre dei quali assai consistenti e numericamente omogenei10: il primo (nati 1764-1871) che possiamo defi nire ‘ottocentesco’, ovvero risorgimentale e immedita mente postunitario, con qualche prosecuzione fi no all’epoca fascista; il secondo (nati 1872-1914) che possiamo defi nire ‘postunitario’ e d’epoca fascista con prosecuzioni dopo il fascismo; il terzo (nati 1915-1939) che possiamo defi nire ‘novecentesco’, ovvero d’epoca sia fascista che postfascista; il quarto (nati dopo il 1940) che possiamo defi nire ‘repubblicano’, al momento di minima entità. Una prima serie di considerazioni specifi che può essere condotta in riferimento al sesso delle personalità considerate: 202 uomini (89%) e 26 donne (11%). Questa nettissima differenza non appare sorprendente: essa rifl ette anche in ambito locale il diverso peso che le donne hanno rivestito nella storia ‘pubblica’ italiana, nonché a lungo la loro emarginazione da ruoli di rilievo politico e professionale11. Entrando nel dettaglio si può notare che la donna più ‘anziana’ di cui conserviamo l’archivio è la nobildonna Giulia Rinieri de’ Rocchi (1801-1881)12, mentre la più giovane è la scrittrice e traduttrice Idolina Landolfi (1958-2008). Scorporando il dato complessivo degli archivi ‘femminili’ (26) sulla base di una semplice cesura secolare possiamo notare che 12 sono quelli di donne nate tra il 1801 e il 1900 (3 nella prima metà del secolo XIX, 9 nella seconda metà), 13 quelli di donne nate tra il 1901 e il 1950 e uno – quello testè ricordato di Idolina Landolfi – di una donna nata dopo il 1950. Per quanto si possa notare una tendenza all’aumento della conservazione di questo genere di archivi prodotti da donne nate tra la prima metà del XIX secolo e la prima metà del XX, si deve considerare che non assistiamo all’impennata sopra osservata in termini complessivi in riferimento alla prima metà del Novecento. Di tale scostamento è diffi cile valutare le cause, che possono comunque essere connesse a precise dinamiche conservative. In questo senso assai interessante appare l’afferenza degli archivi ‘femminili’ ai quattro ‘blocchi’ individuati sulla base delle cesure storico-cronologiche sopra richiamate. Si può infatti notare che a fronte di 4 archivi ‘ottocenteschi’, la cui trasmissione è stata garantita all’interno dei rispettivi archivi familiari13

10 Questa omogeneità si rifl ette ovviamente anche nella distribuzione cronologica dei nuclei documentari o spezzoni di archivio (complessivamente 246) riferibili alle 228 personalità produttrici dei fondi censiti (v. infra il testo corrispondente alla nota 36). 11 Per alcune considerazioni anche in merito alla disattenzione del ‘mondo’ archivistico verso gli archivi prodotti da donne v. BARRERA, Gli archivi di persone cit., pp. 619-623. 12 Su questa interessante personalità, resa celebre dal rapporto sentimentale intercorso con Henri Beyle, il noto scrittore Stendhal, v. nella vasta bibliografi a L. F. BENEDETTO, Indiscretions sur Giulia, Paris, Le Divan, 1934; L. RINIERI DE’ ROCCHI-G. STEGAGNO, Storia di Giulia. Nuove indiscrezioni stendhaliane dall’Archivio di Casa Rinieri de’ Rocchi, con una nota di M. COLESANTI, Palermo, Sellerio, 1987; C. CORDIÉ, Stendhal e Giulia Rinieri De Rocchi. Rassegna degli studi: 1896-1987, in “Atti e memorie dell’Arcadia”, ser. III, vol. 8, fasc. 4 (1986-1987), pp. 32-89. 13 Si tratta degli archivi di Giulia Rinieri de’ Rocchi (1801-1882, nobildonna), Marietta Piccolomini Clementini (1834-1899, nobildonna, soprano), Anna Damaride Calamandrei (1860-1935, nobildonna), Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 295 o da quelli dei congiunti14, si collocano gli 8 ‘postunitari’, in cui assieme alla tradizione per linea familiare15 inziano a manifestarsi altre forme connesse alle vicende delle produttrici16, nonché i 13 ‘novecenteschi’ e quello ‘repubblicano’, dipendenti dalla consapevole volontà delle stesse produttrici o dei loro congiunti di farli conservare presso specifi ci istituti specializzati17, evidentemente scelti per sottolineare elementi di identità politica18 o culturale19. Un’altra serie di considerazioni deve essere fatta in riferimento ai ‘luoghi’ di conservazione, spie interessanti di come la ‘politica’ di tutela sia mutata nel corso del tutti trasmessi all’interno degli omonimi archivi familiari, i primi due dei quali oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Siena, il terzo ancora in mano ai discendenti della famiglia Calamandrei a Montepulciano 14 Si tratta dell’archivio di Angela Lodoli (1820 ca.-1861, nobildonna, pittrice), rintracciabile all’interno dell’archivio della famiglia Bambagini Galletti, oggi presso l’archivio dell’Opera della Metropolotana di Siena, destinataria del patrimonio di Pietro Bambagini Galletti (1791-1864), marito di Angela. 15 Si tratta degli archivi di Carmela Ceccherelli (1876-1933, pittrice) – all’interno delle carte familiari, oggi di proprietà privata –, Emma Masson Castellini (1882-1964, possidente) – all’interno dell’archivio della famiglia Castellini, cui apparteneva Alessandro (1877-1950), marito di Emma, oggi presso la Biblioteca del Comune di Colle Val d’Elsa –, Gina Gennai (1887-1976, scrittrice) – conservato presso l’archivio familiare e recentemente donato alla Biblioteca del Comune di San Gimignano – e Ada Cocci Calamandrei (1890-1970, insegnante), trasmesso dall’archivio familiare del marito, il grande giurista Piero Calamandrei (1889-1956), archivio conservato dai discendenti a Montepulciamo. 16 Si tratta degli archivi di Luigia Cellesi (1874-1956, insegnante, storica della musica, musicista) – confl uito alla Società di esecutori di Pie Disposizioni destinataria del suo patrimonio ereditario –, Bianca Piccolomini Clementini (1875-1959, religiosa) – conservato presso la Casa di formazione della Compagnia di Sant’Angela Merici presso Siena, da lei fondata –, Vittoria Gazzei Barbetti (1892-1934, scrittrice) – pervenuto alla Biblioteca comunale degli Intronati per disposizione testamentaria della madre adottiva, Maria Barbetti –, Raissa Gourevich Calza (1897-1979, attrice, archeologa) – giunto alla Bibliotceca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a tramite l’archeologo Giovanni Becatti. 17 Si tratta degli archivi di Ilia Coppi (1922-vivente, politica), Bruna Talluri (1923-2006, insegnante, politica), Delia Meiattini (1928-vivente, politica), Eriase Belardi (1934-vivente, politica) – presso l’ASMOS –, Genny Cappelli (1923-1990, sindacalista), Anna Carli (1942-vivente, sindacalista, politica), Vanna Belardi (1947-vivente, sindacalista) – presso l’AMOC –, Idolina Landolfi (1958-2008, scrittrice, traduttrice), Maria Teresa Santalucia Scibona (1936-vivente, poetessa) – presso la Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a –, Lydia Gori (1925-1999, docente, farmacista) – presso l’Archivio di Stato di Siena –, Anna Lina Bagnoli Ravà (1925-2005, giurista, docente) – presso la Biblioteca del Circolo giuridico. Un caso particolare è rappresentato dalle carte di Ruth Leiser Fortini (1923- 2003, traduttrice), Cicilia Mangini (1927-vivente, regista, sceneggiatrice), Edoarda Masi (1927-2011, bibliotecaria, sinologa) costituenti autonomi nuclei archivistici all’interno dell’archivio di Franco Fortini conservato presso la Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a. 18 Ciò si manifesta nel caso di quelle personalità ricordate alla nota precedente, pronte a recepire l’invito ad arricchire l’ASMOS e l’AMOC con materiali che mantenessero viva la memoria dell’attività politica di dirigenti e intellettuali attivi nel sindacato e nell’ambito di partiti e movimenti politici di sinistra. 19 Ne sono esempi i casi sopra ricordati di Maria Teresa Santalucia Scibona e di Anna Lina Bagnoli Ravà. 296 Stafano Moscadelli tempo con il mutare della sensibilità archivistica e storiografi ca20. Prendendo quindi in considerazione i 246 nuclei documentari o spezzoni di archivio – cui corrispondono le 228 personalità produttrici21 – complessivamente censiti in 28 istituti22, possiamo per prima cosa notare che in termini generali, se restringiamo il campo ai maggiori istituti conservatori, 4 di essi (Biblioteca comunale degli Intronati, Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a23, Archivio di Stato e ASMOS) conservano da soli il 58% complessivo degli archivi in questione, a dimostrazione che l’ampia maggioranza degli archivi conservati è in mano a pochi soggetti (14,3%), a fronte di un sostanziale ‘sbriciolamento’ del restante 42% posseduto dai rimanenti 24 istituti (85,7%). Passando a valutare la natura giuridica degli istituti di conservazione, riconducendola alle due grandi categorie di ‘pubblici’ e ‘privati’, si può osservare una netta prevalenza in termini percentuali della conservazione da parte dei primi, visto che dei 246 archivi censiti 138 (56%) sono conservati da 12 diversi istituti pubblici24, a fronte di 108 (44%) esistenti presso 16 diversi istituti privati25. Non secondario appare inoltre il fatto che gli archivi in questione risultano in massima parte presenti nella città di Siena (218, 88,8%), mentre in provincia ne sono stati individuati solo 28 (11,2%), peraltro con alcune interessanti concentrazioni presso la Biblioteca comunale di Colle, quella di San Gimignano, il CISRECO con sede sempre a San Gimignano e l’AMOC con sede a Poggibonsi. Fatta quindi eccezione di un unico

20 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 2. 21 Si veda supra il testo corrispondente alla nota 5. 22 Consideriamo come un unico ‘istituto’ gli archivi personali conservati dai discendenti del produttore o presso collezionisti (23; v. la tabella 2). 23 A seguito dell’applicazione della riforma Gelmini e della conseguente riorganizzazione delle strutture didattiche e di ricerca dell’Università di Siena, la Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a è stata denominata Biblioteca di Area Umanistica. Manteniamo qui per chiarezza la vecchia denominazione. 24 Abbiamo compreso nella ‘categoria’ degli istituti pubblici di conservazione: Archivio comunale di Siena, Archivio storico dell’Università di Siena, Biblioteca comunale di Colle Val d’Elsa, Biblioteca del Circolo giuridico dell’Università di Siena, Biblioteca comunale degli Intronati di Siena, Biblioteca comunale di San Gimignano, Biblioteca del Dipartimento di Scienze ambientali dell’Università di Siena, Biblioteca dell’ex Facoltà di Economia dell’Università di Siena, Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a dell’Università di Siena, Archivio della Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio per le province di Siena e Grosseto, Archivio della Soprintendenza ai beni storici, artistici ed etnoantropologici di Siena, Archivio di Stato di Siena. 25 Abbiamo compreso nella ‘categoria’ degli istituti privati di conservazione: Archivio dell’Associazione dei Caterinati di Siena, Archivio della Banca Monte dei Paschi di Siena, Archivio della Casa di formazione della Compagnia di Sant’Angela Merici in Siena, Archivio della Contrada dell’Oca, Archivio della Contrada della Selva, Archivio della Fondazione Accademia Musicale Chigiana, Archivio del Gruppo anziani Sclavo di Siena, Archivio del Movimento Operaio e Contadino in provincia di Siena con sede a Poggibonsi, Archivio dell’Opera Metropolitana di Siena, Archivio della Società di esecutori di Pie Disposizioni, Archivio della Confraternita di Misericordia di Rapolano Terme, Archivio Storico del Movimento Operaio e democratico Senese, Biblioteca dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena, Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo con sede a San Gimignano, Istituto Storico della Resistenza di Siena, nonché gli archivi personali conservati dai discendenti del produttore o presso collezionisti (su cui v. supra la nota 22). Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 297 caso censito presso la Casa della Misericordia di Rapolano26, risulta del tutto assente una politica di conservazione di archivi personali da parte di istituzioni pubbliche o di enti e associazioni private in tutto il sud dell’area senese. In riferimento ai 138 archivi conservati da istituti pubblici, è interessante osservare la ‘natura’ degli istituti conservatori27. Si può così notare come le diverse biblioteche ne conservino 95 (68,9%), a fronte dei 43 (31,1%) esistenti presso strutture di tipo archivistico: un rapporto superiore a 2:1. La netta predominanza di conservazione pubblica d’ambito bibliotecario – che conferma anche per l’area senese una diffusa tradizione in questo senso28 – trova riscontro nella rilevanza che in questo campo assumono la Biblioteca comunale degli Intronati – la quale da sola possiede oltre il 34% degli archivi in mano a istituti pubblici (19% in termini assoluti) – e la Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a (18% relativamente agli istituti pubblici e 10% in termini assoluti): rilevanza che può considerarsi il frutto di una consapevole e non episodica politica di accentramento di questo genere di materiale. Di contro la conservazione pubblica d’ambito archivistico pare essere stata perseguita solo dall’Archivio di Stato che conserva il 23% degli archivi in mano a istituti pubblici (13% in termini assoluti). Sommando i dati relativi ai tre istituti testè menzionati troviamo che essi conservano il 75% del materiale in mano pubblica, mentre il restante 25% si trova ‘sbriciolato’ tra altri 9 istituti. Scendendo invece in considerazioni più analitiche e articolando i dati secondo la natura giuridica degli istituti pubblici in questione, notiamo una netta prevalenza delle strutture conservative di dipendenza comunale (Biblioteca degli Intronati e Archivio storico) che conservano 53 archivi (38,6%), a fronte dei 42 archivi (30,3%) censiti nelle diverse strutture conservative dell’Università e ai 34 archivi (24,6%) in mano ad uffi ci periferici dello Stato, primo di tutti, come detto, l’Archivio di Stato. Seppur con percentuali marginali i due Comuni di San Gimignano e Colle Val d’Elsa conservano nelle rispettive biblioteche complessivamente 9 archivi, per un signifi cativo 6,5% degli archivi di proprietà pubblica. Passando a valutare i ‘luoghi’ di conservazione privata29, si nota come essa avvenga in modo più diffuso (16 istituti conservatori privati rispetto ai 12 pubblici), con quattro tipologie di strutture conservative: quelle di natura archivistica (11), i centri di conservazione (4) e le biblioteche (1), cui si aggiunge il ‘gruppo’ non ristretto di archivi (23) conservati ancora presso i discendenti del produttore o venuti in mano di collezionisti30. Da soli i 4 Centri di conservazione (ASMOS, CISRECO, ISRS, AMOC) conservano ben 60 dei 108 archivi di proprietà privata (55%) – frutto evidente di un’attenta politica di individuazione e recupero di questo genere di materiali –, mentre in 10 strutture archivistiche sono conservati 20 archivi (19,5%) e in una biblioteca – quella

26 Si tratta dell’archivio di Antonio Trallori (1874-1929, ingegnere agronomo, politico), il cui recupero si deve all’impegno e all’attenzione di Doriano Mazzini. 27 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 3. 28 Sulla preferenza a lasciare le carte personali ad una struttura bibliotecaria piuttosto che archivistica v. ROMITI, Per una teoria della individuazione e dell’ordinamento degli archivi personali cit., pp. 176-178. 29 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 4. 30 In proposito v. supra la nota 22. 298 Stafano Moscadelli dell’Accademia dei Fisiocritici – si conservano 5 archivi (4,5%). Degna di considerazione è inoltre la rilevante presenza di archivi presso i discendenti del produttore o presso collezionisti, che rappresenta il 21% di quanto di proprietà privata (il 9,5% in termini assoluti)31. Il fatto che il censimento abbia permesso di conoscere questi archivi deve essere considerato uno dei risultati più rilevanti del lavoro svolto. Com’è facile capire, sono pr oprio i sedimenti documentari ancora in mano ai discendenti dei produttori a rischiare maggiormente la dispersione o l’eliminazione: venuta meno l’utilità conservativa legata a necessità pratiche (tutela di diritti, interessi di autodocumentazione, ecc.), la tenuta delle carte si giustifi a solo da motivazioni di carattere affettivo, ovviamente molto labili col passare del tempo, quando non subentrino apprezzamenti e riconoscimenti di natura culturale o scientifi ca32. Circa invece la ‘qualità’ degli istituti privati di conservazione balza agli occhi come predominino nettamente quelli legati alla ‘sinistra’, alla resistenza e ai sindacati33, che complessivamente giungono a contare ben 57 archivi (52%), mentre i vari istituti d’ambito cattolico o religioso conservano appena 9 archivi (9% circa)34: dati che da soli mettono bene in evidenza una differente attenzione alla tradizione conservativa dei materiali documentari personali. Il resto degli archivi in mano ad istituti privati (19, pari al 19% circa) appare suddiviso in una lunga serie di ‘soggetti’ conservatori, a testimonianza di eredità del tutto occasionali35. Può, a questo punto, essere interessante correlare la conservazione degli archivi di personalità censiti negli istituti pubblici o privati con la ‘cronologia’ degli archivi stessi, riprendendo le cesure periodizzanti in precedenza individuate. Nell’insieme si può notare una sostanziale tripartizione egualitaria in termini percentuali fra i prime tre ‘blocchi’ cronologici, analogamente a quanto detto per il numero delle personalità produttrici36:

31 Per quanto sia qui considerato ancora in mano ai discendenti – così come rilevato al momento dell’eleborazione della scheda (gennaio 2011) –, è doveroso segnalare che l’archivio di Antonio Scialoja (1817-1877, giurista, politico) è stato successivamente donato (2012) alla Fondazione Einaudi di Torino. 32 In proposito v. anche quanto sottolinea BARRERA, Gli archivi di persone cit., p. 626: “la distruzione di carte personali da parte dei familiari o di altri eredi può essere proprio indice della scarsa considerazione accordata a un determinato individuo dalle persone a lui o a lei vicine”. 33 Si tratta di archivi conservati presso l’ASMOS (39), l’AMOC (15) e l’ISRS (3). 34 Si tratta di archivi conservati presso l’Archivio dell’Associazione dei Caterinati di Siena (2), l’Archivio della Casa di formazione della Compagnia di Sant’Angela Merici in Siena (1), il CISRECO (3), l’Archivio dell’Opera Metropolitana di Siena (3). A ben vedere la conservazione di archivi di personalità all’interno di questi istituti appare dovuta a situazioni particolari, se non a ‘casualità’. In realtà, solo il CISRECO ha condotto intenzionalmente una politica di recupero e raccolta di archivi personali. 35 Si tratta di archivi conservati presso gli archivi o le biblioteche delle Contrade dell’Oca (2) e della Selva (1), della Confraternita di Misericordia di Rapolano Terme (1), del Gruppo anziani Sclavo (1), della Fondazione Accademia Musicale Chigiana (1), della Società di esecutori di Pie Disposizioni (2), dell’Accademia dei Fisiocritici (5) e della Banca Monte dei Paschi (6). 36 Si veda supra il testo corrispondente alla nota 10. Per le considerazioni che seguono v. la tabella 2. Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 299 se togliamo infatti il 5,7% di archivi riferibili a personalità nate dopo il 1940, il restante 94,3% appare quasi perfettamente distribuito nei tre ‘blocchi’ rimanenti, con un lieve calo in quello dei nati 1915-1939 (28,9%) e un sostanziale equilibrio tra gli altre due, dei nati cioè 1764-1871 (32,5%) e di quelli nati 1872-1914 (32,9%). Se analizziamo l’insieme dei fondi archivistici individuati in relazione al carattere pubblico o privato della struttura conservativa, l’equilibrio però viene decisamente meno. Si può infatti notare come gli archivi ‘ottocenteschi’ (nati 1764-1871) che nel complesso ammontano al 32,5% degli archivi censiti, siano per ben il 25,6% presso istituti pubblici e solo per il 6,9% in quelli privati. Tale supremazia si conferma anche per gli archivi ‘postunitari’ (nati 1872-1914), con un 17,9% in ambito pubblico rispetto al 15% in ambito privato: accorpando i dati si nota un deciso predominio della conservazione in ambito pubblico (43,5% rispetto a 21,9%) della documentazione prodotta da personalità nate tra la fi ne del Settecento e l’inizio del XX secolo. Tale condizione si rovescia invece per i nati successivamente allo scoppio della I guerra mondiale: in ambito pubblico si conserva solo il 10,6% degli archivi rispetto al 18,3% in ambito privato, mentre il dato relativo ai nati dopo il 1940 appare troppo piccolo in termini complessivi da essere signifi cativo, anche se comunque sembra confermata la prevalenza della conservazione ‘privata’ (3,7% rispetto a 2%). Volendo entrare nel merito dei signoli istituti di conservazione si può notare, in riferimento agli archivi ‘ottocenteschi’, una tendenza ad una concentrazione in un numero contenuto di istituti conservatori37: di 28 istituti interessati dal censimento solo 14 (50%) ha materiale prodotto da personalità nate fi no al 1871. E se scendiamo nel dettaglio, possiamo notare che ben 35 su 80 archivi ‘ottocenteschi’ sono conservati presso la Biblioteca comunale degli Intronati (43,75%) e 17 in Archivio di Stato (21,25%), a testimoniare come i due più antichi istituti di conservazione cittadina abbiano svolto un’intensa attività di raccolta di materiali della ‘generazione’ più antica (65%). Se distinguiamo meglio il dato relativo alla conservazione degli archivi ‘ottocenteschi’ in ambito pubblico rispetto a quello privato, il ‘dominio’ degli istituti pubblici emerge ancor più nettamente: 63 archivi (78,75%) rispetto a 17 (21,25%). È signifi cativo inoltre che tale attività di raccolta abbia visto impegnate tutte le strutture bibliotecarie e archivistiche di più antica fondazione, mentre completamente assenti sono le biblioteche universitarie di più recente istituzione, peraltro come vedremo assai attive nel recupero di fondi personali di epoca successiva. Per quanto riguarda gli archivi ‘postuniari’ (nati 1872-1914) si osserva che, in termini generali, la conservazione appare ampiamente distribuita38: su 28 istituti considerati ben 25 (89,3%) conservano archivi di questo ‘blocco’. Si deve però al contempo notare un certo ‘sbriciolamento’ degli archivi conservati: ben 20 dei 25 istituti conservatori hanno tra 1 e 3 archivi. Nessun istituto in realtà emerge in modo netto: degli 81 archivi in questione l’Archivio di Stato, che ne ha il maggior numero, giunge appena a 12 (14,9%). Entrando nel dettaglio della conservazione si nota – rispetto al ‘blocco’ precedente – come il dato percentuale tenda ad equilibrarsi: 54,4% in mano pubblica rispetto al 45,6%

37 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 5. 38 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 6. 300 Stafano Moscadelli in mano privata. La diffusa conservazione trova un signifi cativo riscontro nel fatto che tutti i 12 istituti pubblici hanno almeno un archivio risalente a quest’epoca (100%) e che tale tendenza alla distribuzione avviene anche tra gli istituti conservatori privati (13 su 18, pari all’81,2%). In ambito pubblico sono ancora l’Archivio di Stato (14,9%) e la Biblioteca comunale degli Intronati (11,2%) nelle prime posizioni, mentre presenta una buona percentuale anche la Biblioteca dell’ex Facoltà di Lettere e Filosofi a (13,6%). In ambito privato si distingue l’ASMOS con 11 archivi (13,6%). Interessante è inoltre il fatto che ben 9 archivi ‘postunitari’ (11,2%) siano ancora presso i discendenti del produttore. Relativamente agli archivi ‘novecenteschi’ (nati 1915-1939) si nota, in termini generali, una decisa tendenza alla concentrazione in un numero contenuto di istituti di conservazione39: solo 12 su 28 conservano archivi di questo ‘blocco’ (42,8%). Passando al confronto tra la conservazione in ambito pubblico o in quello privato, si deve sottolineare che i 26 archivi conservati in ambito pubblico (solo il 36,3%) si trovano in 7 diversi istituti su 12 (58,3%), con una tendenza quindi verso lo ‘sbriciolamento’. Di contro i 45 archivi conservati in ambito privato (ben il 63,7%) si concentarno in soli 5 istituti su 16 (31,25%). Inoltre dei 71 archivi complessivamente censiti in questo ‘blocco’ ben 24 sono presso l’ASMOS (34%) e 10 presso l’AMOC (14,2%): i due istituti che hanno raccolto l’eredità documentaria del movimento operaio e contadino, dei partiti della sinistra e dei sindacati, seppur di istituzione relativamente recente, hanno da soli il 47% degli archivi ‘novecenteschi’. Gli archivi ‘repubblicani’ (personalità nate dal 1940) sono solo 1440: un numero troppo esiguo per consentire un approfondimento statistico. Semmai proprio un così basso numero deve invitare in prospettiva ad un’azione di attenta vigilanza allo scopo di evitarne la dispersione. Com’è ovvio pochi sono gli istituti che conservano materiali di questa ‘blocco’: 5 su 28 (17,8%). La conservazione in ambito privato è al momento prevalente: 9 archivi (64,3%) a fronte di 5 archivi presenti in istituti pubblici (35,7%). Si nota che anche in questo caso la conservazione ‘privata’ è concentrata presso l’ASMOS e l’AMOC, i due istituti tradizionalmente più attenti al recupero di materiali di personalità attive anche in epoca molto recente.

STEFANO MOSCADELLI

39 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 7. 40 Per le considerazioni che seguono v. la tabella 8. Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 301

APPENDICE

TABELLE RELATIVE ALLA DISTRIBUZIONE DEGLI ARCHIVI DELLE PERSONALITÀ OGGETTO DEL CENSIMENTO SECONDO GLI ISTITUTI CONSERVATORI (PUBBLICI E PRIVATI) E SULLA BASE DEGLI ANNI DI NASCITA DEI SOGGETTI PRODUTTORI.

Nelle tabelle saranno utilizzate le seguenti abbreviazioni:

AACS = Archivio dell’Associazione dei Caterinati di Siena ABMPS = Archivio della Banca Monte dei Paschi di Siena ACMR = Archivio della Confraternita di Misericordia di Rapolano Terme ACSAM = Archivio della Casa di formazione della Compagnia di Sant’Angela Merici in Siena ACOca = Archivio della Contrada dell’Oca ACS = Archivio del Comune di Siena ACSelva = Archivio della Contrada della Selva AFAMC = Archivio della Fondazione Accademia Musicale Chigiana AGAS = Archivio del Gruppo anziani Sclavo di Siena AMOC = Archivio del Movimento Operaio e Contadino in provincia di Siena, con sede a Poggibonsi AOMS = Archivio dell’Opera Metropolitana di Siena AP = Archivio privato (presso i discendenti o in proprietà di collezionisti) APD = Archivio della Società di Esecutori di Pie Disposizioni ASBAPSG = Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici e del Paesaggio per le province di Siena e Grosseto ASBSAES = Archivio della Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Siena ASMOS = Archivio Storico del Movimento Operaio e democratico Senese ASS = Archivio di Stato di Siena AUS = Archivio dell’Università di Siena BAFS = Biblioteca dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena BCCVE = Biblioteca Comunale di Colle Val d’Elsa BCG = Biblioteca del Circolo Giuridico BCI = Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena BCSG = Biblioteca Comunale di San Gimignano BDSA = Biblioteca del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Siena BEC = Biblioteca ex facoltà Economia BLF = Biblioteca della ex facoltà di Lettere e Filosofi a CISRECO = Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo ISRS = Istituto Storico della Resistenza di Siena 302 Stafano Moscadelli

Tabella 1: Elenco delle personalità e dei rispettivi archivi censiti.

In corsivo gli archivi dei quali si prevede la redazione della scheda nel corso del 2014. d. = detto */**/*** = spezzoni in più archivi # = più personalità in un’unica scheda

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

1 Afriat Sidney M 1925-vivente Economista, matematico BEC Ajmone 2 Veniero M 1918-2007 Economista BEC Marsan 3 Angelini Ottavio M 1921-vivente Sindacalista, politico ASMOS 1895 ca.- 4 Angeloni Eugenio M Militare BCI 1917 5 Arcangeli Giuseppe M 1807-1855 Filologo, sacerdote BCI Fortunato 6 Avanzati M 1919-1997 Politico, partigiano ASMOS d. “Viro” 7 Avanzati Gabrio M 1946-2002 Politico, fi sico, docente ASMOS

8 Bacci Pèleo M 1869-1950 Storico dell’arte BCI

9 Bagnoli Ravà Anna Lina F 1925-2005 Giurista, docente BCG

10 Baiocchi Giuliano M 1926-vivente Sindacalista AMOC

11 Balocchi Enzo M 1923-2007 Giurista, docente, politico AP Bambagini Possidente, rettore Opera 12 Pietro M 1791-1864 AOMS Galletti del duomo 13 Banchi* Luciano M 1837-1887 Archivista, politico ACS

Banchi** Luciano M 1837-1887 Archivista, politico BCI 14 Bandini Angelo M 1838-1921 Docente materie letterarie ASS

15 Bandini Domenico M 1900-1980 Storico ASS

16 Bandini Icilio M 1843-1911 Avvocato BCI

17 Bandini Pietro M 1847-1929 Musicista, politico BCI

18 Bandini Policarpo M 1801-1874 Politico, imprenditore ASS

19 Baratta Giovanni M 1790 ca.- Scultore ASS Carlo 1877 20 Barbi Dante M 1912-post Militare, partigiano ISRS 1952 Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 303

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

21 Bardini Vittorio M 1903-1985 Politico, partigiano ASMOS

22 Bargagli Fabio M 1875-1939 Intellettuale, politico ASS Petrucci 23 Barzanti Roberto M 1939-vivente Intellettuale, politico ASMOS

24 Belardi Eriase F 1934-vivente Politica ASMOS

25 Belardi Vanna F 1947-vivente Sindacalista AMOC

26 Bellini Egisto M 1877-1945 Architetto ASBAPSG

27 Bellosi Luciano M 1936-2011 Storico dell’arte, docente BLF 28 Berlinguer* Luigi M 1932-vivente Giurista, docente, politico ASMOS

Berlinguer** Luigi M 1932-vivente Giurista, docente, politico BCG

29 Bertolino Alberto M 1898-1978 Economista, docente AUS

30 Biagi Ermanno M 1925-1978 Sindacalista AMOC

31 Bianchi Ranuccio M 1900-1975 Archeologo, docente ASS Bandinelli* Bianchi Ranuccio M 1900-1975 Archeologo, docente BLF Bandinelli** Bianchi Ranuccio M 1900-1975 Archeologo, docente ASMOS Bandinelli*** 32 Bichi Scipione M 1811-1877 Storico, politico BCI Borghesi 33 Bindi* Sergio M 1930-vivente Sindacalista AMOC

Bindi** Sergio M 1930-vivente Sindacalista ASMOS

34 Bisogni Fabio M 1935-2006 Storico dell’arte, docente AP 35 Bonci Vittorio M 1912-1999 Sacerdote ACSelva

36 Bonelli # Gino M 1896-1970 Politico, partigiano ASMOS

37 Bonelli # Ricciardo M 1892-1973 Politico, partigiano ASMOS

38 Bonifazi Emo d. Bixio M 1925-2013 Politico, partigiano ASMOS

39 Boscagli Nello d. M 1905-1976 Politico, partigiano ASMOS Alberto Spiaggia 40 Bracci Mario M 1900-1959 Giurista, docente, politico ASS

41 Brandi Cesare M 1906-1988 Storico dell’arte ASBSAES 304 Stafano Moscadelli

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

42 Bruchi* Alfredo M 1873-1956 Avvocato, politico, BCI banchiere Bruchi** Alfredo M 1873-1956 Avvocato, politico, BCG banchiere 43 Bruschelli Filippo M 1875-1955 Politico, farmacologo ASMOS

44 Busacca Raffaele M 1810-1893 Politico, economista, ASS docente 45 Cairola Stefano M 1897-1972 Gallerista, mercante d’arte BLF

46 Calamandrei # Agostino M 1820-1903 Avvocato AP

47 Calamandrei # Anna F 1860-1935 Nobildonna AP Damaride 48 Calamandrei # Piero M 1889-1956 Giurista, avvocato, politico AP

49 Calamandrei # Rodolfo M 1857-1931 Avvocato, politico AP

50 Calamandrei Ada F 1890-1970 Insegnante AP Cocci # 51 Calonaci Vasco M 1927-1998 Politico, partigiano ASMOS

52 Cappelli Genny F 1923-1990 Sindacalista AMOC

53 Carli Anna F 1942-vivente Sindacalista, politica AMOC

54 Carli Enzo M 1910-1999 Storico dell’arte, docente BLF

55 Carli Plinio M 1884-1954 Letterato BLF

56 Carli Remo M 1927-vivente Politico ASMOS

57 Carpellini* Carlo M 1805-1872 Medico, bibliotecario, ASS Francesco storico Carpellini** Carlo M 1805-1872 Medico, bibliotecario, BCI Francesco storico 58 Caselli Giovanni M 1815-1891 Fisico, inventore, letterato BCI

59 Cases Cesare M 1920-2005 Critico letterario, docente BLF

60 Castellano Mario Jsmaele M 1913-2007 Vescovo AACS

61 Castellini # Alessandro M 1877-1950 Avvocato, storico BCCVE

62 Castellini # Carlo Alberto M 1847-1916 Avvocato BCCVE

63 Castellini # Valerio M 1813-1870 Giurista, docente BCCVE

64 Castellini Emma F 1882-1964 Possidente BCCVE Masson # Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 305

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

65 Cataldo Mario M 1941-vivente Sindacalista, politico AMOC

66 Ceccherelli # Carmela F 1876-1933 Pittrice AP

67 Ceccherelli # Gaetano M 1872-? Architetto AP

68 Ceccherelli # Guido M 1878-1921 Magistrato AP

69 Ceccherelli # Macedonio M 1884-1897 Pittore AP

70 Cecchini Giovanni M 1886-1963 Archivista, storico ASS

71 Cecchini Umberto M 1887-1977 Militare ASS

72 Ceccuzzi Martino d. M 1904-1988 Sacerdote, poeta BCI Idilio dell’Era 73 Cellesi Luigia F 1874-1956 Insegnante, storica della APD musica, musicista 74 Cesarini Paolo M 1911-1985 Giornalista, scrittore BLF

75 Chigi Carlo M 1802-1881 Militare, politico ABMPS Corradino 76 Chigi Francesco M 1842-1899 Militare ABMPS

77 Chigi Saracini Fabio M 1849-1906 Cultore di lettere e arti ABMPS

78 Chigi Saracini* Guido M 1880-1965 Cultore di musica AFAMC

Chigi Saracini** Guido M 1880-1965 Cultore di musica ABMPS

79 Ciacci Aurelio d. M 1927-2008 Politico, partigiano ASMOS Folgore 80 Ciampolini* Carlo M 1888-1986 Docente, politico BCG

Ciampolini** Carlo M 1888-1986 Docente, politico BCI

81 Cirri Rineo M 1908-1997 Politico, partigiano ASMOS

82 Coppi Ilia F 1922-vivente Politica ASMOS

83 Corbani Francesco M 1804-1859 Economista, docente, BCI archivista 84 Cortigiani Nello M 1901-1975 Bibliotecario, giornalista, AP politico 85 Cresti Savino M 1849-1936 Ingegnere APD

86 Cuscani Politi Pietro M 1908-1989 Geologo, docente BAFS

87 De André Fabrizio M 1940-1999 Cantautore BLF

88 Dei Apelle M 1819-1903 Ornitologo, entomologo BCI 306 Stafano Moscadelli

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

89 Delle Piane Mario M 1914-1989 Giurista, docente ASS

90 Dinoi Marco M 1972-2008 Critico cinematografi co, BLF docente 91 Donati Fortunato M 1845-1920 Bibliotecario, storico BCI

92 Duprè Giovanni M 1817-1882 Scultore ASS

93 Fabbrini* Fazio d. M 1926-vivente Politico, partigiano ASMOS Fiaccola Fabbrini** Fazio d. M 1926-vivente Politico, partigiano AP Fiaccola 94 Felici Ezio M 1882-1948 Giornalista, scrittore AP

95 Fini Carlo M 1935-vivente Giornalista, critico letterario, BLF politico 96 Fortini Franco M 1917-1994 Poeta, critico letterario, BLF docente 97 Franchi Roberto M 1938-1995 Giornalista, politico AP

98 Franci Pasquale M 1821-1907 Artista del ferro, ASS imprenditore 99 Gabbrielli Salvatore M 1809-1880 Medico, docente ASS

100 Galletti Gustavo M 1805-1868 Bibliofi lo, letterato, politico BCI Camillo 101 Gatto Alfonso M 1909-1976 Poeta, giornalista BLF

102 Gazzei Vittoria F 1892-1934 Scrittrice BCI Barbetti 103 Gennai Gina F 1887-1976 Scrittrice BCSG 104 Gerola Augusto M 1928-1995 Medico, politico ASMOS

105 Ghezzi Mario M 1919-2007 Medico, pittore AP

106 Ghiselli Cesare d. M 1910-1939 Poeta BLF Luca 107 Giorgetti Giorgio M 1928-1976 Storico, docente, politico ASMOS

108 Giovanardi Eugenio M 1913-1986 Politico, partigiano ASMOS

109 Giovannelli* Girolamo d. M 1881-1975 Militare, scrittore ACOca Momo Giovannelli** Girolamo d. M 1881-1975 Militare, scrittore BCI Momo 110 Giuli* Giuseppe M 1764-1842 Botanico, mineralologo AUS Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 307

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

Giuli** Giuseppe M 1764-1842 Botanico, mineralologo BAFS

Giuli*** Giuseppe M 1764-1842 Botanico, mineralologo BCI

111 Giusti Piertro M 1822-1878 Intagliatore BCI 112 Goodwin Richard M 1913-1996 Economista, docente BEC Murphey 113 Gori Giulio M 1875-1964 Docente, farmacista ASS

114 Gori Lydia F 1925-1999 Docente, farmacista ASS

115 Gourevich Raissa F 1897-1979 Attrice, archeologa BLF Calza 116 Grazzini Giovanni M 1925-2001 Giornalista, ACS critico cinematografi co 117 Grottanelli Stanislao M 1788-1874 Medico, docente AUS de’ Santi* Grottanelli Stanislao M 1788-1874 Medico, docente ASS de’ Santi** 118 Guastalli* Giovanni d. M 1903-1978 Politico, partigiano, ISRS Gastone sindacalista Guastalli** Giovanni d. M 1903-1978 Politico, partigiano, ASMOS Gastone sindacalista Guastalli*** Giovanni d. M 1903-1978 Politico, partigiano, AMOC Gastone sindacalista 119 Guerrini Rodolfo M 1919-2003 Sindacalista AMOC

120 Guiso Giovanni M 1924-2006 Notaio, scrittore, AP collezionista 121 Ilari Lorenzo M 1773-1849 Bibliotecario BCI

122 La Volpe Giulio M 1909-1996 Economista, docente BEC

123 Landolfi Idolina F 1958-2008 Scrittrice, traduttrice BLF

124 Lanza Adriano M 1922-2009 Filosofo, docente CISRECO 125 Leiser Fortini Ruth F 1923-2003 Traduttrice BLF

126 Lipparini Tino M 1905-1991 Geologo, docente BAFS

127 Lisini Alessandro M 1851-1945 Archivista, storico, politico ASS

128 Lodoli Angela F 1820 ca.- Nobildonna, pittrice AOMS 1861 129 Lupi Antonio M 1918-1977 Sacerdote CISRECO 308 Stafano Moscadelli

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

130 Macccherini Paolo M 1940-2008 Gornalista AP 131 Mangini Cecilia F 1927-vivente Regista, sceneggiatrice BLF

132 Marchetti* Bettino M 1867-1935 Architetto ACOca

Marchetti** Bettino M 1867-1935 Architetto ACS

133 Marcucci Mario M 1910-1992 Pittore BLF

134 Margheriti Riccardo M 1938-vivente Politico ASMOS

135 Mariani Vittorio M 1859-1946 Architetto ACS

136 Marri Giorgio M 1926-1970 Sindacalista AMOC

137 Martini Achille M 1865-1909 Avvocato, sacerdote BCI

138 Martini Ettore M 1869-1940 Militare BCI

139 Marzucchi Celso M 1800-1877 Avvocato, docente, politico BCI

140 Marzucchi Giuseppe M 1931-1993 Politico ASMOS

141 Masi Edoarda F 1927-2011 Bibliotecaria, sinologa BLF

142 Mazzei Francesco M 1806-1869 Architetto AP

143 Mazzi Curzio M 1849-1923 Bibliotecario, BCI critico letterario 144 Mazzi Gaspero M 1787-1867 Medico, zoologo BCI 145 Meacci Emiro M 1925-vivente Sindacalista, partigiano AMOC

146 Meiattini Delia F 1928-vivente Politica ASMOS

147 Mencaraglia Luciano M 1915-2001 Politico, docente ASMOS

148 Mengozzi # Guido M 1884-1960 Archivista ASS

149 Mengozzi # Narciso M 1842-1925 Bancario, storico ASS

150 Meoni Vittorio M 1859-1937 Pittore, politico, giornalista BCCVE

151 Meoni Vittorio d. M 1922-vivente Politico, partigiano ASMOS Sosso 152 Mezzetti Nazareno M 1882-1943 Sindacalista, politico, ABMPS bancario 153 Miconi Bruno M 1938-1997 Economista, docente BEC

154 Milanesi Carlo M 1816-1867 Paleografo, storico BCI

155 Milanesi Gaetano M 1813-1895 Archivista, storico BCI

156 Monti Rossano M 1948-vivente Sindacalista AMOC Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 309

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

157 Mori Mauro M 1942-2002 Politico, scrittore BLF

158 Mossotti Ottaviano M 1791-1863 Astronomo, fi sico, politico ASS Fabrizio 159 Mussini Cesare M 1804-1879 Pittore BCI

160 Mussini* Luigi M 1813-1888 Pittore ASS

Mussini** Luigi M 1813-1888 Pittore BCI

161 Muzzi Alvaro M 1919-1995 Sindacalista AMOC

162 Nannizzi Arturo M 1877-1961 Botanico BAFS

163 Nerazzini Cesare M 1849-1912 Medico, diplomatico ASS

164 Nerli Francesco M 1948-vivente Politico ASMOS

165 Nomi Venerosi Ugo M 1840-1910 Sacerdote, storico BCSG Pesciolini 166 Nucci Armando M 1921-1988 Sindacalista AMOC

167 Orlandi Nazareno M 1871-1945 Sacerdote ASS

168 Orlandini Delfo M 1914-1987 Politico, bancario ASMOS

169 Pannilunghi Arturo M 1876-1916 Militare ASS

170 Paracciani Niccola M 1799-1872 Cardinale BCI Clarelli 171 Parronchi Alessandro M 1914-2007 Storico dell’arte, scrittore BLF

172 Pasqualetti Ugo M 1928-vivente Politico, partigiano ASMOS

173 Passeri Vincenzo M 1917-2006 Archivista, storico, ASS architetto 174 Pecorini Giorgio M 1924-vivente Giornalista, scrittore BCSG 175 Pellizzer Renato M 1925-1988 Geologo BAFS

176 Pendola Tommaso M 1800-1883 Sacerdote, docente, BCI pedagogo 177 Pepi Giulio M 1924-2010 Funzionario pubblico, BCI giornalista, scrittore 178 Piatti Rosa M 1895-1947 Insegnante, funzionario ASS pubblico 179 Piccolomini Enea M 1844-1910 Filologo, docente BCI

180 Piccolomini Bianca F 1875-1959 Religiosa ACSAM Clementini 310 Stafano Moscadelli

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

181 Piccolomini Marietta F 1834-1899 Nobildonna, soprano ASS Clementini 182 Picone Michelangelo M 1943-2009 Filologo, docente BCSG 183 Pollacci Gino M 1872-1963 Botanico BDSA

184 Ponticelli Giuseppe M 1888-1968 Avvocato, politico AP 185 Porcari Luigi d. M 1905-1986 Politico, partigiano ASMOS Marini 186 Porri Giuseppe M 1798-1885 Editore, collezionista BCI

187 Pratolini Vasco M 1913-1991 Scrittore BLF

188 Prunai Giulio M 1906-2002 Archivista, storico ASS

189 Raicich Marino M 1925-1996 Insegnante, storico, politico BLF

190 Rinieri de’ Alberto M 1805-1869 Giurista, docente BCI Rocchi 191 Rinieri de’ Giulia F 1801-1881 Nobildonna ASS Rocchi 192 Romani Alessandro M 1799-1854 Pittore BCI 193 Romani Franco M 1935-2002 Economista, docente BEC

194 Rosadoni Luigi M 1928-1972 Sacerdote, insegnante, CISRECO giornalista 195 Rosati Ilario M 1930-2009 Politico ASMOS

196 Salvadori Alberto M 1919-2007 Agricoltore, operaio, AP scrittore 197 Salvi Giorgio M 1896-1979 Politico, partigiano ISRS

198 Sampieri Sergio M 1923-2002 Sindacalista AMOC

199 Santalucia Maria Teresa F 1936-vivente Poetessa BLF Scibona 200 Sapia Giovanni M 1934-vivente Politico, docente ASMOS

201 Sapori Armando M 1892-1976 Storico, docente BCI

202 Sapori Francesco M 1890-1964 Funzionario pubblico, BCI storico dell’arte, scrittore 203 Saracini Alessandro M 1807-1877 Collezionista d’arte ABMPS

204 Scaduto Francesco M 1858-1942 Docente, politico BCG

205 Scala Claudio M 1937-vivente Economista, docente BEC Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 311

N° Cognome Nome Sesso Epoca Professione/Attività Istituto

206 Scialoja Antonio M 1817-1877 Giurista, politico AP

207 Sclavo Achille M 1861-1930 Biologo, igienista, AGAS imprenditore 208 Scricciolo Loris M 1923-2004 Politico ASS

209 Selvaggi Rito M 1898-1972 Musicista AACS 210 Selvatico Pietro M 1803-1880 Storico dell’arte BCI Estense 211 Socini Agenore M 1859-1926 Architetto, docente, politico AOMS

212 Socini Guelfi Luigi M 1906-2008 Ingegnere, imprenditore, ACS politico 213 Sordelli Luigi M 1920-2001 Avvocato, docente BCG

214 Strocchi Tito M 1846-1879 Giornalista, scrittore, BCI garibaldino 215 Talluri Bruna F 1923-2006 Insegnante, politica ASMOS

216 Toth Imre M 1921-2010 Filosofo, matematico, BLF docente 217 Trallori Antonio M 1874-1929 Ingegnere agronomo, ACMR politico 218 Trapassi Ezio M 1871-1960 Scultore AP

219 Vanni Manfredo M 1860-1937 Scrittore, docente BCI

220 Vaselli # Giovanni M 1778-1861 Medico, docente BCI Battista 221 Vaselli # Giuseppe M 1807-1854 Matematico, scrittore, BCI politico 222 Verdone Mario M 1917-2009 Storico dell’arte, docente, BCI scrittore 223 Vieri Sergio d. M 1928-vivente Politico ASMOS Fringuello 224 Vigni Alessandro M 1948-vivente Politico ASMOS

225 Vigni Fabrizio M 1956-vivente Politico ASMOS

226 Viligiardi Arturo M 1869-1936 Architetto, pittore, scultore ACS

227 Zazzeroni Antonio M 1931-1997 Bancario, scrittore BCI

228 Zazzeroni Giuseppe M 1890-1949 Militare, scrittore BCI 312 Stafano Moscadelli

Tabella 2: Ripartizione degli archivi secondo il carattere pubblico o privato dell’istituto conservatore e relativa cronologia sulla base dell’anno di nascita del soggetto produttore.

Istituto di nati nati nati Nati N° conservazione Tipologia Istituto % 1764- 1872- 1915- dal archivi Istituto pubblico 1871 1914 1939 1940

ACS Pubblico/Ente pubblico 6 2,5 4 1 1

AUS Pubblico/Ente pubblico 3 1,2 2 1

BCCVE Pubblico/Ente pubblico 5 2,0 3 2

BCG Pubblico/Ente pubblico 6 2,5 1 2 3

BCI Pubblico/Ente pubblico 47 19,0 35 9 3

BCSG Pubblico/Ente pubblico 4 1,6 1 1 1 1

BDSA Pubblico/Ente pubblico 1 0,4 1

BEC Pubblico/Ente pubblico 7 3,0 2 5

BLF Pubblico/Ente pubblico 25 10,0 11 10 4

ASBAPSG Pubblico/Uffi cio statale 1 0,4 1

ASBSAES Pubblico/Uffi cio statale 1 0,4 1

ASS Pubblico/Uffi cio statale 32 13,0 17 12 3 12 istituti 138 56,0 63 44 26 5 pubblici 25,6% 17,9% 10,6% 2,0% Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 313

Istituto di nati nati nati Nati N° conservazione Tipologia Istituto % 1764- 1872- 1915- dal archivi Istituto privato 1871 1914 1939 1940

BAFS Privato/Accademia 5 2,0 1 3 1

AACS Privato/Associazione 2 0,8 2

ACMR Privato/Associazione 1 0,4 1

ACOca Privato/Associazione 2 0,8 1 1

ACSAM Privato/Associazione 1 0,4 1

ACSelva Privato/Associazione 1 0,4 1

AGAS Privato/Associazione 1 0,4 1

ASMOS Privato/Associazione 39 16,0 11 24 4

CISRECO Privato/Associazione 3 1,2 3

ISRS Privato/Associazione 3 1,2 3

ABMPS Privato/Banca 6 2,5 4 2

AOMS Privato/Fabbriceria 3 1,2 3

AFAMC Privato/Fondazione 1 0,4 1

AP Privato/Privati cittadini 23 9,5 6 9 7 1

AMOC Privato/Sindacato 15 6,0 1 10 4

APD Privato/Società 2 0,8 1 1 16 istituti 108 44,0 17 37 45 9 privati 6,9% 15,0% 18,3% 3,7%

Totale 12 istituti pubblici 246 100 80 81 71 14 28 istituti 16 istituti privati (138+108) (56+44) 32,5% 32,9% 28,9% 5,7% 314 Stafano Moscadelli

Tabella 3: Distribuzione degli archivi conservati da istituti pubblici all’interno di strutture di natura archivistica o bibliotecaria.

Istituto di conservazione: Tipologia N° archivi % Istituto pubblico di struttura

ACS Archivio 6 4,5

ASBAPSG Archivio 1 0,8

ASBSAES Archivio 1 0,8

ASS Archivio 32 23,0

AUS Archivio 3 2,0

BCCVE Biblioteca 5 3,5

BCG Biblioteca 6 4,5

BCI Biblioteca 47 34,1

BCSG Biblioteca 4 3,0

BDSA Biblioteca 1 0,8

BEC Biblioteca 7 5,0

BLF Biblioteca 25 18,0 12 istituti 5 archivi 138 100 7 biblioteche (43+95) (31,1+68,9) Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 315

Tabella 4: Distribuzione degli archivi conservati da istituti privati, all’interno di strutture di natura archivistica o bibliotecaria, oppure da centri di documentazione.

Istituto di conservazione: Tipologia N° archivi % Istituto privato di struttura

AACS Archivio 2 2,0

ACMR Archivio 1 1,0

AOca Archivio 2 2,0

ACSAM Archivio 1 1,0

ACSelva Archivio 1 1,0

AGAS Archivio 1 1,0

AFAMC Archivio 1 1,0

APD Archivio 2 2,0

ABMPS Archivio 6 5,5

AOMS Archivio 3 3,0

BAFS Biblioteca 5 4,5

ASMOS Centro di conservazione 39 36,0

AMOC Centro di conservazione 15 13,0

CISRECO Centro di conservazione 3 3,0

ISRS Centro di conservazione 3 3,0

AP Strutture domestiche 23 21,0

16 istituti 11 archivi 108 100 1 biblioteca (20+5+60+23) 3 centri di conservazione 1 Strutture domestiche 316 Stafano Moscadelli

Tabella 5: Ripartizione degli archivi prodotti da nati 1764-1871.

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto pubblico nati 1764-1871

ACS Pubblico/Ente pubblico 4 5

AUS Pubblico/Ente pubblico 2 2,5

BCCVE Pubblico/Ente pubblico 3 3,75

BCG Pubblico/Ente pubblico 1 1,25

BCI Pubblico/Ente pubblico 35 43,75

BCSG Pubblico/Ente pubblico 1 1,25

BDSA Pubblico/Ente pubblico

BEC Pubblico/Ente pubblico

BLF Pubblico/Ente pubblico

ASBAPSG Pubblico/Uffi cio statale

ASBSAES Pubblico/Uffi cio statale

ASS Pubblico/Uffi cio statale 17 21,25

12 istituti pubblici Conservano 7 su 12 istituti 63 78,75 pubblici (58,3%) Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 317

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto privato nati 1764-1871

BAFS Privato/Accademia 1 1,25

AACS Privato/Associazione

ACMR Privato/Associazione

ACOca Privato/Associazione 1 1,25

ACSAM Privato/Associazione

ACSelva Privato/Associazione

AGAS Privato/Associazione 1 1,25

ASMOS Privato/Associazione

CISRECO Privato/Associazione

ISRS Privato/Associazione

ABMPS Privato/Banca 4 5

AOMS Privato/Fabbriceria 3 3,75

AFAMC Privato/Fondazione

AP Privato/Privati cittadini 6 7,5

AMOC Privato/Sindacato

APD Privato/Società 1 1,25

16 istituti privati Conservano 7 su 16 17 21,25 istituti privati (43,7%)

Totale Conservano 14 su 28 80 100 28 istituti istituti totali (50%) 318 Stafano Moscadelli

Tabella 6: Ripartizione degli archivi prodotti da nati 1872-1914.

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto pubblico nati 1872-1914

ACS Pubblico/Ente pubblico 1 1,2

AUS Pubblico/Ente pubblico 1 1,2

BCCVE Pubblico/Ente pubblico 2 2,5

BCG Pubblico/Ente pubblico 2 2,5

BCI Pubblico/Ente pubblico 9 11,2

BCSG Pubblico/Ente pubblico 1 1,2

BDSA Pubblico/Ente pubblico 1 1,2

BEC Pubblico/Ente pubblico 2 2,5

BLF Pubblico/Ente pubblico 11 13,6

ASBAPSG Pubblico/Uffi cio statale 1 1,2

ASBSAES Pubblico/Uffi cio statale 1 1,2

ASS Pubblico/Uffi cio statale 12 14,9

12 istituti pubblici Conservano 12 su 12 44 54,4 istituti pubblici (100%) Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 319

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto privato nati 1872-1914

BAFS Privato/Accademia 3 3,7

AACS Privato/Associazione 2 2,5

ACMR Privato/Associazione 1 1,2

ACOca Privato/Associazione 1 1,2

ACSAM Privato/Associazione 1 1,2

ACSelva Privato/Associazione 1 1,2

AGAS Privato/Associazione

ASMOS Privato/Associazione 11 13,6

CISRECO Privato/Associazione

ISRS Privato/Associazione 3 3,7

ABMPS Privato/Banca 2 2,5

AOMS Privato/Fabbriceria

AFAMC Privato/Fondazione 1 1,2

AP Privato/Privati cittadini 9 11,2

AMOC Privato/Sindacato 1 1,2

APD Privato/Società 1 1,2

16 istituti privati Conservano 13 su 16 37 45,6 istituti privati (81,2%)

Totale Conservano 25 su 28 81 100 28 istituti istituti totali (89,3%) 320 Stafano Moscadelli

Tabella 7: Ripartizione degli archivi prodotti da nati 1915-1939.

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto pubblico nati 1915-1939

ACS Pubblico/Ente pubblico 1 1,4

AUS Pubblico/Ente pubblico

BCCVE Pubblico/Ente pubblico

BCG Pubblico/Ente pubblico 3 4,1

BCI Pubblico/Ente pubblico 3 4,1

BCSG Pubblico/Ente pubblico 1 1,4

BDSA Pubblico/Ente pubblico

BEC Pubblico/Ente pubblico 5 7,0

BLF Pubblico/Ente pubblico 10 14,2

ASBAPSG Pubblico/Uffi cio statale

ASBSAES Pubblico/Uffi cio statale

ASS Pubblico/Uffi cio statale 3 4,1

12 istituti pubblici Conservano 7 su 12 26 36,3 istituti pubblici (58,3%) Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 321

Istituto di conservazione N° archivi Tipologia Istituto % Istituto privato nati 1915-1939

BAFS Privato/Accademia 1 1,4

AACS Privato/Associazione

ACMR Privato/Associazione

ACOca Privato/Associazione

ACSAM Privato/Associazione

ACSelva Privato/Associazione

AGAS Privato/Associazione

ASMOS Privato/Associazione 24 34,0

CISRECO Privato/Associazione 3 4,1

ISRS Privato/Associazione

ABMPS Privato/Banca

AOMS Privato/Fabbriceria

AFAMC Privato/Fondazione

AP Privato/Privati cittadini 7 10,0

AMOC Privato/Sindacato 10 14,2

APD Privato/Società

16 istituti privati Conservano 5 su 16 45 63,7 istituti privati (31,25%)

Totale Conservano 12 su 28 71 100 28 istituti istituti totali (42,8%) 322 Stafano Moscadelli

Tabella 8: Ripartizione degli archivi prodotti da nati dal 1940.

Istituto di conservazione N° archivi nati Tipologia Istituto % Istituto pubblico dal 1940

ACS Pubblico/Ente pubblico

AUS Pubblico/Ente pubblico

BCCVE Pubblico/Ente pubblico

BCG Pubblico/Ente pubblico

BCI Pubblico/Ente pubblico

BCSG Pubblico/Ente pubblico 1 7,1

BDSA Pubblico/Ente pubblico

BEC Pubblico/Ente pubblico

BLF Pubblico/Ente pubblico 4 28,6

ASBAPSG Pubblico/Uffi cio statale

ASBSAES Pubblico/Uffi cio statale

ASS Pubblico/Uffi cio statale

12 istituti pubblici Conservano 2 su 12 5 35,7 istituti pubblici (16,6%) Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento 323

Istituto di conservazione N° archivi nati Tipologia Istituto % Istituto privato dal 1940

BAFS Privato/Accademia

AACS Privato/Associazione

ACMR Privato/Associazione

ACOca Privato/Associazione

ACSAM Privato/Associazione

ACSelva Privato/Associazione

AGAS Privato/Associazione

ASMOS Privato/Associazione 4 28,6

CISRECO Privato/Associazione

ISRS Privato/Associazione

ABMPS Privato/Banca

AOMS Privato/Fabbriceria

AFAMC Privato/Fondazione

AP Privato/Privati cittadini 1 7,1

AMOC Privato/Sindacato 4 28,6

APD Privato/Società

16 istituti privati Conservano 3 su 16 istituti 9 64,3 privati (18,75%)

Totale Conservano 5 su 28 istituti 14 100 28 istituti totali (17,8%)

NECROLOGI

ROBERTO GUERRINI, UN RICORDO PER I SUOI ALLIEVI

Tu chiedi se così tutto vanisce / in questa poca nebbia di memorie (Casa sul mare). Mon- tale era sempre sulla scrivania di Roberto Guerrini, nello studiolo in fondo al buio cor- ridoio della sua casa di Rosia. Il lettore attento dei suoi saggi riconoscerà espressioni tratte dal poeta così come un lessico derivato da James e Céline (o Sallustio), fra i suoi autori preferiti. Tutto vanisce, ma di Roberto resta l’alto magistero trasmesso a un numero considerevole di persone, non solo “intellettuali” e addetti ai lavori: gli studenti dei licei di Montepulciano e di Siena, quelli dell’Università di Siena, della Specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte, della Scuola Normale Superiore di Pisa e dell’Université Paris-Sorbonne, i vicini di casa di Rosia e gli antichi compagni di scuola, i fi gliocci francesi e le fi gliocce romane, le guide turistiche (dux ducum), il gruppo delle amiche che portava, con la sua Picasso, in giro per l’Italia, l’Italie différente, come la chiamava lui, i “piccoli viaggi” nei luoghi fuori dai grandi fl ussi turistici: il Palazzo Venturi a Siena, il Sacro Monte di San Vivaldo, il Cambio a Perugia, la Cappella Baglioni nella Collegiata di Santa Maria Maggiore a Spello, il Palazzo Trinci di Foligno, la Sala Paolina in Castel Sant’Angelo, la camera di Agostino Chigi nella Farnesina a Roma. Roberto aveva una doppia personalità, democratica per un verso, fortemente snob dall’altro. Raffi nato ed elegante nella scrittura e nella scelta degli argomenti trattati, a volte trasandato per altri aspetti. Preciso, puntuale, ossessivo nel redigere una nota, quanto disordinato nel conser- vare libri, dispense, estratti, fi les. Perdeva sempre tutto, gli occhiali, i secondi occhiali, la penna, il libro, l’indirizzo, ecc., ma Carla era sempre lì a sostenerlo, a cercare ovunque, nonostante mostrasse segni di insofferenza. Roberto aveva bisogno di una presenza co- stante, in ogni momento della giornata, non voleva mai restare solo e Carla ha assunto questo compito, faticoso e dolce allo stesso tempo. Carla partecipava alle lezioni, alle conferenze, ai ricevimenti degli studenti, correggeva le bozze, intratteneva, con la sua risata coinvolgente, i colleghi di Roberto: Publio Muzio manda al rogo i colleghi, la scena della Sala del Concistoro dipinta da Beccafumi, che scherzosamente citava ogni qualvolta si parlasse di colleghi. Beccafumi, uno dei pittori da lui più amati, anche perché devoto, come lui. Roberto pregava molto, era profondamente credente e aveva una forma di rispetto e grande ammirazione per il cerimoniale religioso, quasi da cardinale umanista del XV secolo. Se volevi studiare con Roberto non potevi stare soltanto davanti al computer e al libro, dovevi seguirlo ovunque in ogni suo passo, nel suo percorso quotidiano a Rosia, salu- tare prima il macellaio, marito della compagna di scuola, il barista, il giornalaio, ecc., aspettare che raccontasse l’ultima barzelletta sentita al passante, sfamare le tartarughe nel giardino con invitanti cesti d’insalata appositamente acquistati per loro. In itinere. “Parliamo in itinere”, ti rispondeva mentre chiedevi un sostegno per una ricerca, una tesi, un articolo, facendosi accompagnare al parcheggio. Se avevi pazienza di partecipare a una lunga processione, venivi ricompensato da un insegnamento profondo, onesto, mai

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 328 Marilena Caciorgna interessato. Nella sua biblioteca si succedevano in ordine alfabetico tutte le fonti, da una parte latine dall’altra quelle greche. Ogni edizione dei classici veniva integrata dai com- menti, a partire da quelli di epoca umanistica fi no a quelli contemporanei. Grazie ai fondi Par e Miur avevamo scannerizzato molte edizioni quattro-cinquecentesche, fondamentali per lo studio dell’iconografi a classica. Questa era l’innovazione di Roberto, lo studio dei soggetti sulla scorta delle edizioni contemporanee, dei commenti umanistici, le traduzioni latine dei testi greci, ecc. Il modello era Panofsky, il fi lologo classico che aveva applicato il suo sapere e la sua familiarità con le fonti alla storia dell’arte, ma Roberto aveva enfa- tizzato ancor più l’aspetto fi lologico, senza tuttavia mai cadere nell’erudizione: mi piace Panofsky, mi piace Chastel, preferisco il crème caramel, soleva ripetere questa fi lastrocca di Federico Zeri frequentato durante il suo lungo soggiorno romano. Formatosi alla Nor- male, aveva iniziato la carriera con gli studi fi lologici. Agli anni Settanta risalgono studi apparsi in riviste specializzate su Sallustio (A re publica procul. Il disegno compositivo dell’introduzione al De Coniuratione Catilinae), Virgilio (Vos coryli testes. Struttura e canto nella V ecloga di Virgilio), Tacito (La giovinezza di Agricola. Tecnica allusiva e narrazione storica in Tacito), ecc., ma era poi approdato alle ricerche iconografi che e di storia della tradizione classica, la storia della iella così defi nita da Roberto per esprimere una disciplina a metà, che porta male nei concorsi universitari, settoriali. La superstizio- ne, un’altra delle sue stravaganti fi ssazioni: raccomandate inviate in giorni canonici di buon auspicio, progetti Miur chiusi soltanto in giorni dispari, mai di martedì o venerdì, ore passate davanti all’ex manicomio perché “aiuto!, un gatto nero ha attraversato la stra- da”. Sfi nita dall’inutile attesa invitai il gatto nero a passare di nuovo lungo la traiettoria e convinsi Roberto fi nalmente a superare il funesto passaggio proponendogli che, d’altra parte, la doppia negazione afferma. Roberto è morto di ventiquattro, lui avrebbe detto che due più quattro fa sei, il numero del demonio, ed era venerdì, per l’appunto: giorno funesto dunque. Ma Roberto è anche nato il ventiquattro e dunque mi piace pensare a una rinascita (Rosia, 24 maggio 1941 - Kochi, 24 gennaio 2014). Valerio Massimo e Plutarco gli autori più trattati negli originali studi di Roberto. Studi su Valerio Massimo, con un capitolo sulla fortuna nell’iconografi a umanistica: Perugino, Beccafumi, Pordenone, Pisa, Giardini, 1981, segna il signifi cativo esordio. Un libro ele- gante nei contenuti e nella forma, di spessa carta d’avorio con le pagine da rifi lare. L’ho comprato il mio primo anno di Università alla Libreria Bassi, alla Croce del Travaglio. Mi piacque moltissimo e pensai da subito che avrei voluto seguire questi studi. Ma l’incon- tro con Roberto lo devo a Fabio Bisogni, un altro grande maestro, che mi inviò qualche anno più tardi dal professore per farmi seguire nella tesi. Ero timorosa nell’entrare nella sua stanza, non lo avevo mai conosciuto e non sapevo ancora della sua bonarietà. Era al telefono, esordì così e ruppe subito la tensione: era mia moglie Carla, è di Viareggio, lei lo sente il Carnevale, devo subito partire per il martedì grasso… Il telefono: Roberto era sempre al telefono e parlava solo lui, si sa, era impossibile intervenire, poi bruscamente buttava giù senza farti replicare. “Non ascolta mai”, pensavi, ma poi ti sconvolgeva come i bambini: sembrava che non ti avesse prestato attenzione, ma in realtà aveva percepito tutto e veniva fuori dopo un po’ di tempo. Il saggio Dal testo all’immagine. La «pittura di storia» nel Rinascimento, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore Settis, vol. II, Einaudi, Torino, 1985, rappresenta il debutto più importante nella società accademica. Il suo capolavoro è per Roberto Guerrini, un ricordo per i suoi allievi 329 me: Dulci pro libertate. Taddeo di Bartolo: il ciclo di eroi antichi nel Palazzo Pubblico di Siena (1413-14). Tradizione classica ed iconografi a politica, in “Rivista storica italiana”, 2000: gli ideali repubblicani, la libertas. Roberto era timoroso, sfuggiva, svicolava, ma preservava sempre la sua libertà: nei rapporti, nelle scelte, negli studi. Ho avuto l’onore di lavorare al fi anco di Roberto collaborando a numerosi volumi, come quello dedicato a Plutarco (Biografi a dipinta. Plutarco e l’arte del Rinascimento 1400- 1550, Agorà, La Spezia, 2002), al vasto repertorio di eroi ed eroine del mondo antico (La virtù fi gurata. Eroi ed eroine dell’antichità nell’arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2003), al libro Alma Sena. Percorsi icono- grafi ci nell’arte e nella cultura senese, Firenze, Giunti, 2007), a quello dedicato al Pavi- mento del Duomo di Siena, premiato da un notevole successo editoriale, uscito in varie edizioni tra cui quella in traduzione inglese. Ora che Roberto non c’è più anche le Sibille delle navate laterali si sentiranno sole, senza chi le faceva parlare una ad una, nonostante la diffi coltà del testo di riferimento, Lattanzio, la Frigia, l’Ellespontica, la Samia e poi… la Cubana, come l’aveva storpiata una studentessa. A Roberto piaceva tanto raccontare gli aneddoti offerti involontariamente dagli studenti: dalla Cubana alla traduzione di saepe con “di siepe in siepe”, e altre perle simili. Non sapeva essere severo agli esami, alle tesi, lo diventava soltanto al momento della pubblicazione di un articolo. Dovevi passare mesi a controllare, a fare nuove ricerche, consultare tutti i repertori informatici, le biblioteche di riferimento a Siena, Firenze ed oltre, fare continui viaggi a Rosia, in ore strampalate, casomai con i mezzi pubblici, poiché i giovani studiosi non sono dotati di auto proprie. In casa a studiare, tra un tè, un caffè, un gratta-e-vinci, magari con il sottofondo di un videoclip di musica latino-americana trasmesso da “Onda latina”. Questo per i ragazzi oggi più giovani, mentre ai miei tempi era capace di guardare Superclassifi ca Show e altri programmi con la Hit Parade. Ma, vista la duplice personalità, era anche cultore di mu- sica classica (non di lirica) e delle canzoni di Jacques Brel, ne me quitte pas canticchiava spesso con allusione: tutta la sua vita e la sua arte sono state allusive. Ma, accanto al lato frivolo, come lo chiamava lui, sottoponeva i discepoli al duro lavoro e all’uso di un metodo rigoroso che riconosci in ogni suo allievo. Basti pensare agli indici di “Fontes”, redatti con tanta fatica e dedizione. “Fontes” è l’elegante rivista interdi- sciplinare da lui fondata, in cui ha convogliato gli studi di numerosi scolari che hanno ricevuto il suo insegnamento e che rifl ette più di ogni altra iniziativa la sua personalità di studioso. Ha lavorato poi alla “Diana”, la rivista della Scuola di Specializzazione, alle pubblicazioni dell’Opera del Duomo ove ha svolto l’importante ruolo di soprintendere all’attività scientifi ca. Contributi signifi cativi sono quelli dedicati alla Cripta e al Pavi- mento. Ma il personale dell’Opera del Duomo lo ricorda soprattutto per i suoi esilaranti parcheggi con tamponamenti continui ai colonnini in travertino della loggia. Alla fi ne, desistendo, chiamava qualche custode di turno a fare manovra. I panini, le colazioni, i biscotti punitivi, le continue soste ai bar. Roberto aveva sempre fame e ti coinvolgeva nei pranzi e nelle cene con tanta convivialità. Giornata memorabile, nel mese di giugno, com- pleanno di Carla festeggiato a Carbonifera, sul patio della spiaggia a delibare la famosa pasta ai ciuffetti, mitici polpetti. Bagno al mare: Roberto e Carla interpretano fra le onde Il ratto della Sabinona. Indimenticabile scena felliniana. Segue la consueta sosta a Cura Nuova per comprare frutta della Maremma. Negli ultimi tempi scriveva racconti che faceva leggere a tutti, ma non trovava il coraggio 330 Marilena Caciorgna di pubblicare, diceva sarebbero stati editi postumi e così avverrà, mi sembra questo un suo desiderio. Molti scritti sono pubblicati underground. Sedi accademiche, riviste intro- vabili italiane e straniere. Visto il suo fare disordinato, a me aveva affi dato il compito di raccogliere tutti i suoi estratti che conservo accuratamente in una cartella rossa, colore scaramantico da lui preferito (almeno i calzini li portava sempre rossi). Alcuni estratti degli anni Settanta, eleganti nei colori avorio, verdino, celestino, poi quelli più moderni e, con l’avanzare della crisi che non ha risparmiato le case editrici, semplici fotocopie rilegate alla nota copisteria in via dei Pispini. Questo classifi catore, con scritto davanti Roberto Guerrini, è vicino alla mia scrivania al posto del suo Montale. È il corrispondente materiale e visivo della vivacità intellettuale, della formazione, del bagaglio culturale che tanto generosamente mi ha lasciato Roberto.

MARILENA CACIORGNA

Dedico questi pensieri a tutti gli allievi che hanno seguito Roberto. Vi ritroveranno situa- zioni a loro familiari. ALESSANDRO FALASSI (Castellina in Chianti, 3 ottobre 1945 – Siena 20 febbraio 2014)

Fin dagli anni del Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini Alessandro Falassi mostrò un’attitudine agli studi fuori dal comune. Tra quelle classi di alunni che svolgevano, chi per imposta disciplina, chi per convinta adesione, i gravosi compiti assegnati da un’esigente agenda, Alessandro spiccava per i suoi originali interessi. Sarà perché veniva da fuori e voleva mantenere un legame forte con il solerte Chianti, sarà per un certo gusto, mai trascurato, di distinzione, il Falassi sfoggiava già allora una sua caratterizzante autonomia, non limitandosi ai percorsi disegnati dai programmi. A terza liceo, alla vigilia della maturità (era il 1964), vinse il premio messo a concorso dal locale Comitato per la storia del Risorgimento italiano con una prova maiuscola, dove rivisitava con disinvoltura critica un’età di solito scandita con retorica enfasi. Mi assale la commozione se ripenso a quel periodo, a quelle classi, alle amicizie che allora contrassi da supplente tuttofare, ma non è questa la sede per dar spazio a divagazioni autobiografi che. Certo è che per me, e spero per i giovani che si avviavano a scegliere una Facoltà universitaria e una professione, furono anni bellissimi di comune e continuo apprendimento. Sandro – come veniva fatto di chiamarlo – scelse poi Firenze, dove si laureò, nel 1970, al Cesare Alfi eri, in una delle sedi più tipiche e prestigiose della cultura italiana. Là ebbe modo di conoscere il docente di letteratura francese Mario Luzi, che infl uì profondamente nel modo di accostarsi alle tradizioni popolari più ancora che nel commentare i testi del suo corso. Falassi scrisse una tesi che indagava i comics prendendoli a specchio della società americana, e già dalla predilezione per un campo di ricerche così estraneo e innovativo rispetto agli schemi accademici, s’intuiva che nutriva una voglia matta di traversare l’Oceano e tornarsene negli States, dove aveva soggiornato per preparare il suo lavoro trovandocisi a perfetto agio, lui che sapeva astutamente mantenersi al confi ne: borghigiano e internazionale, vernacolare e poliglotta, campagnolo e metropolitano. Così nel ’70, appena conclusa l’esperienza fi orentina, rifece la valigia e approdò a Berkeley. La California fu la sua seconda patria scientifi ca, anzi la sede preferita del suo impegno di ricercatore. Partì portando con sé una lettera di presentazione indirizzata dal sindaco di Siena al professor Alan Dundes. L’avevo scritta di tutto cuore e con totale sincerità. Era giunta l’ora di guardare il Palio alla luce delle categorie di un’antropologia culturale contraddistinta da molti debiti verso le teorie della psicanalisi freudiana: “Siena ospita – rileggo quella missiva, datata 7 novembre 1970 – uno degli esempi più alti e autentici del folklore italiano,

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013 332 Roberto Barzanti il Palio, una gara in cui esplode una complessa vita istituzionale ricca di abitudini e costumi che meritano un’esplorazione più attenta di quella fi nora goduta”. Nacque così il libro a due mani La terra in piazza (Universiy of California Press Berkeley Los Angeles London, 1975), grazie anche al generoso sostegno del Monte dei Paschi e all’ospitalità che Giovanni e Jolanda, i genitori di Alessandro, accordavano a Dundes – è deceduto nel 2005 – nei lunghi soggiorni necessari a osservare da vicino un fenomeno da restituire in ogni dettaglio, in ogni retroscena. Insomma il libro – ormai un classico – che ha presentato una nuova interpretazione del Palio fu un’impresa familiare, e si avvalse di apporti non solo universitari. Così Falassi occupò senza intenti di diplomazie accademiche e con felice indipendenza una sua posizione, ben riconoscibile. “An interpretation” rimarcava il sottotitolo, chiarendo che la lettura che veniva suggerita non pretendeva di essere assoluta e di sostituire d’imperio ogni altra. Dopo quelle pagine si è indotti a osservare la festa senese stando attenti al sottofondo di pulsioni erotiche, agli impliciti rimandi alla sessualità, ai ritmi del rito e ai mille ingredienti che ne fanno rappresentazione identitaria di una comunità e dei suoi più coltivati valori. Balzava agli occhi un Palio a più dimensioni, laico e tribale, moderno e vetusto, fi sso nel suo schema fondante ma variabile nel tempo in quanto tradizione reinventata e vissuta al presente. Sandro, che aveva un innato fi uto politico e temeva fraintendimenti rovinosi, si oppose alla traduzione in italiano di un’opera che avrebbe dovuto prima passare al vaglio degli specialisti. “Con questo spuntare di falli da ogni parte – mi pare di riascoltarlo, navigato e sornione – c’è il rischio che ci prendano per matti”. I benpensanti s’infuriarono più tardi, quando, fi nalmente, apparve in traduzione italiana, nel 1986, presso la senese Nuova Immagine, la seconda edizione, quella, aggiornata, del 1984. Ma i mugugni furono di breve durata e La terra in piazza diventò rapidamente un vademecum godibilissimo per la sua puntigliosa vivezza descrittiva, alla portata di chiunque intendesse accostarsi con cognizione di causa ad una celebrazione gelosa dei suoi ombrosi misteri e della sua enigmatica, tellurica energia. Diego Carpitella, introducendo la raccolta Folklore toscano, articoli e saggi analitici (Nuovo Corriere Senese, Siena 1980) defi nì Falassi un “antropologo normale”, né presbite in cerca di esotiche diversità, né miope, tutto preso dalle stranezze di campanile, e non mancò di notare che, inframezzati alla nomenclatura un po’astrusa, si aprivano “fessure e interstizi di “un senso comune storicistico” che smussava gli angoli e inseriva le analisi in un fi lone italiano, in una cornice fi losofi ca di nobile conio. Non solo: Sandro sapeva evitare i pericoli di un’ideologia esclusiva. A plausibile dimostrazione di queste sottolineature sta il libro più suo che Falassi abbia dedicato all’universo del Palio e delle Contrade: Per forza e per amore. I canti popolari del Palio di Siena (Bompiani, Milano 1980). Il canzoniere collettivo della festa contiene un’inesauribile miniera di metafore e sensi nascosti, ambigue allusioni, sfacciati epiteti, feroci imprecazioni. Decriptato con garbata distanza, appare il miglior viatico per penetrare nei sentimenti che sorreggono il teatrale trionfo cittadino. All’antropologia di Alessandro Falassi (Castellina in Chianti, 3 ottobre 1945 – Siena 20 febbraio 2014) 333 marca statunitense si erano uniti la lezione, appresa alla Sorbonne, dello strutturalismo di Claude Lévi-Strauss e le rilevazioni delle tradizioni popolari promosse dagli allievi di Vladimir Jakovlevič Propp e Victor Witter Turner. Il tutto cucinato in salse toscane, con il proposito di infrangere scolastiche paratie e cattedratici cifrari. Regola che Sandro osservò anche nei contributi più specialistici dell’ambito degli studi prediletti: si vedano il fondamentale Festa di Siena, accoppiato al saggio di Giuliano Catoni nel volume edito dal Monte nel 1982, la costruzione di Time out of time. Essays on the festival (University of New Mexico Press, 1987) o il volume di saggi a sua cura La Festa (Electa, Milano 1988) o la sapiente panoramica di Les Fêtes du Soleil. Celebration of the mediterranean regions (Betti, Siena 2001) con prefazione di Josè Saramago. “Attenuata la sua funzione – scrisse a sintesi – di sacra renovatio temporis, delegata quella di ricreativo contrappunto alle fatiche del quotidiano, smascherata la sua funzione di manipolazione del consenso, la festa resta come progetto e speranza, come luogo della socialità e dell’identità, come fantasia e utopia, ‘velo dipinto sulla realtà’, come voleva Barthes rivendicandola all’estetica”. Con Il Palio La festa della città (Betti, Siena 2003) volle mettere a disposizione del grande pubblico una sorta di dizionario enciclopedico, chiamando a raccolta quanti erano in grado di chiarire la parte dell’affresco di loro più diretta competenza. Sapeva coinvolgere rifi utando sospettose discriminazioni. L’amore per l’arte, nel 1991, lo condusse ad architettare con Eduardo Arroyo El Palio de Siena. “Diez asesinos”, un libro di grande formato (in tiratura limitata a 250 esemplari) impreziosito dalle litografi e di dieci protagonisti dell’acre carriera. Arroyo e Valerio Adami sono stati i pittori più amati da Alessandro, anche come autori di drappelloni indimenticabili: di quando la committenza affi dava a artisti eccelsi e di indiscussa fama internazionale l’esecuzione di un oggetto osannato e scrutato fi n nei minimi risvolti. Non era importante ottenere l’applauso immediato. Il tempo avrebbe spianato polemiche divergenze, rudi intolleranze e irate semiscomuniche. Lungo le strade senesi Falassi non poteva non imbattersi nell’icona di Caterina di Jacopo di Benincasa e nacque così, in coincidenza con le celebrazioni del sesto centenario della morte, La Santa dell’Oca (Mondadori, Milano 1980). L’autore si guardava bene dall’addentrarsi in spinose disquisizioni fi lologiche sulla scrittura o sulla biografi a e si atteneva scrupolosamente alla fortuna che la Santa aveva avuto, alle vesti che le erano state cucite addosso, insomma agli imprevisti che le mutevoli tradizioni avevano riservato al canone uffi ciale: “Come tutti i grandi Santi – ecco la prudente avvertenza in limine – Caterina fu un paradosso logico e storico che tale insiste a volersi presentare in una tradizione di Chiesa e di popolo che oggi compie sei secoli esatti, e che ancor oggi sfi da l’analisi”. Alessandro Falassi, insignito del Mangia d’oro nel 1991 – e qualche traccia della laudatio che tenni allora si coglierà in queste dolenti pagine d’addio –, ha vissuto le tradizioni senesi dall’interno, da notabile (spesso fu Deputato della Festa) e simultaneamente le ha analizzate da fuori. Da questo strabismo è nato un lavoro 334 Roberto Barzanti unico, a molteplici registri. E ha segnato una svolta irreversibile, di enorme portata, per l’intelligenza esatta di un sistema rigoglioso di secolari stratifi cazioni. Più di chiunque altro Falassi ne ha criticamente – e affettuosamente – accompagnato il transito nella babele della post-modernità. Della sua Contrada, l’Istrice, fu Priore, per breve tratto. La sua carriera accademica è stata colma di soddisfazioni, non tanto in patria quanto oltreoceano: ha insegnato all’ Università di California, Berkeley e poi Los Angeles, come assistente, quindi associato e infi ne full professor. A Siena è stato direttore della Scuola di lingua e cultura italiana per Stranieri e successivamente direttore dei corsi di cultura nella neonata Università per Stranieri, dove insegnava Antropologia Culturale e Tradizioni senesi. Fu socio di illustri accademie e di prestigiose associazioni: dagli Intronati all’American Anthropological Association, all’Accademia Finlandese delle Scienze. Falassi sfoggiava dinamiche capacità organizzative e sapeva mobilitare le persone giuste quando si trattava di affrontare nuove imprese: ad esempio in ambito culinario. Da ultimo frequentato con divertita passione. Si sfoglino Sette vini per sette sere (Betti, Siena 2010) e le ricette, con saggi, nel collettaneo I primi che hanno fatto l’Italia (Betti, Siena 2011). Cordiale e affabile era la sua partecipazione a serate di revival vernacolare. Meticolosa e generosa la ricognizione degli antenati del suo mestiere, per dir così: dalla meritatissima rivalutazione di William Heywood (“A un secolo di distanza – sentenzia Sandro nell’introduzione – Nostra Donna d’Agosto [Protagon, Siena 1993] resta forse la migliore introduzione al Palio di Siena e alla sua storia”) alla cura delle Tradizioni senesi raccolte nella città di Siena e nelle sue terre 1887-1902 del tartuchino Giovanni Battista Corsi (Betti, Siena 2011, per conto dell’Università Popolare Senese) dove, a premessa, stila severi moniti metodologici: “Questo libro contiene un’idea di senesità. Il termine è orami abusato e porta signifi cati contraddittori come la realtà che rifl ette. Di volta in volta è inutile nostalgia, o bene- fuga, bugia a scopo di lucro, ossimoro ad uso di navigatori senza bussola, effi mera bandiera elettorale”. “Ma la senesità – concludeva – può essere anche storia e memoria, poesia e utopia, un variopinto poetico velo steso sulla realtà, per comprenderla più profondamente, per viverla meglio”. È il succo ricavato da tanto curioso indagare con rigore scientifi co e adesione di affetti. Avrei voluto usare, a ricordo di un amico carissimo, un taglio diverso, meno impersonale, meno elencatorio. Mi sono attenuto con fatica alle regole di un tristissimo genere, che induce a rinvii bibliografi ci e curriculari, ed esige titoli e cronologia. Passaggi tutti che ritengono poco o nulla delle ore trascorse insieme e, per misura, evitano di soffermarsi su viaggi compiuti in accordo, su innumerevoli fruttuosi dialoghi e accesi scambi di idee. Ripenso Sandro sui banchi nel Liceo dove c’incontrammo. Lo rivedo con Chiara, con Giovanni, con la sua famiglia larga, rammentata sovente con assidua fedeltà! Mi pare assurdo che sia toccato a me dover scrivere sofferte e inadeguate frasi di commiato. Alessandro ci ha lasciato il 20 febbraio 2014, ma il dialogo continuerà per altre vie. Nato a Castellina in Chianti il 3 marzo del 1945, egli Alessandro Falassi (Castellina in Chianti, 3 ottobre 1945 – Siena 20 febbraio 2014) 335 aveva ancora tanti lavori in ponte, tante indicazioni da donare, tante esplorazioni da inventare. Dovremmo non smarrire il senso del suo lascito, fervido di bonaria amicizia e caldo di schietti entusiasmi. Alessandro ci accompagnerà ancora alla scoperta mai conclusa dei segreti di “un mondo che vede l’uomo – scrisse a proposito del dopopalio – ancora una volta fi nalmente padrone, risolta l’incertezza tra paura e speranza”. La tumultuosa conclusione del Palio possiede il vigore di una laica vittoria della vita e insieme replica accenti sacri che oltrepassano il tempo.

ROBERTO BARZANTI

NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO

Il Notiziario bibliografi co viene aggiornato sulla pagina Rassegna senese del sito dell’Accademia ed è consultabile on line su http://www.accademiaintronati.it/rassegna_senese.html

Notiziario bibliografi co 339

MARIO ASCHERI, Storia di Siena. Dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Edizioni Bi- blioteca dell’Immagine, 2013, pp.XI+270, vv. ill. b.n.

La storia complessiva di una città si può affrontare in due modi: scomponendo e selezionando i temi di indagine affi dando ciascuno di essi a specialisti, oppure delegando ad un unico autore il compito di suggerire la sua linea interpretativa su vicende che si sno- dano nel corso di molti secoli e che toccano, necessariamente, aspetti scientifi ci diversi. Il primo sistema garantisce una solidità di competenze che danno a chi legge la sicurezza di accedere a dati elaborati da chi sa con assoluta sicurezza come gestirli, ma ha il difetto di lasciare (non sempre, ma in genere sì) al lettore il compito di trarre una sintesi fi nale, per di più da costruire con diffi coltà sulla base di interpretazioni, metodi ed epistemologie non necessariamente consonanti. Il secondo sistema presenta l’inevitabile rischio che un singolo autore sia più pre- parato su certi punti e meno su altri; che sappia districarsi su discipline differenti dove meglio e dove peggio. Ma ha il grande (e purtroppo ormai sempre meno perseguito) pregio di far confrontare il lettore con una interpretazione univoca. Personale e magari parziale; discutibile o, addirittura, provocatoria. Ma una “interpretazione”. Era quel pre- gio che Croce riconosceva a tutti i veri libri di storia. La storia di Siena di Mario Ascheri appartiene (e aggiungo subito perché sia one- stamente chiaro a quale delle due posizioni accede più volentieri il recensore: per fortuna) al secondo metodo. Un volume agile, che presenta il pregio di leggersi con facilità grazie alla chiarezza di concetti e allo stile piano, che si presenta programmaticamente non come un’opera compilativa, ma come un “saggio interpretativo” (p. X). Certo, come si è detto, proprio per questo capace di suscitare la discussione e, in certi punti, anche il diverso parere o, comunque, il desiderio di precisazioni ulteriori. A partire proprio dalla impostazione epistemologica che l’Autore premette come chiave di lettura dell’intera vicenda storica senese: quella di narrare la storia di una “città eccezio- nale” (p. X). Che la vicenda di Siena nei secoli (e nell’oggi) presenti aspetti molto particolari è cosa sulla quale crediamo non possa esserci dubbio, ma ci piacerebbe entrare nel concetto di “eccezionalità” per valutare il grado di legittimità della sua applicazione a questa città. Ogni città, o comunque molte città, probabilmente, si autorappresentano come ecceziona- li: lasciamo da parte esempi “fuori scala” (Firenze, Venezia, Roma...) che inquinerebbero immediatamente la rifl essione, ma vorremmo limitarci a sollecitare un approccio com- parativo fra città che hanno ed hanno avuto dimensioni demiche paragonabili a Siena e vicende politico/istituzionali e culturali anch’esse confrontabili. Questo, sia chiaro, non per negare a priori l’assunto dell’Autore, ma semplicemente perché l’assunto stesso è, in larga parte, debitore dell’autorappresentazione che Siena e i Senesi offrono di se stessi e rischia di trasformarsi in un luogo comune o in uno slogan. E’ possibile che la storia di Siena sia “eccezionale”, ma la defi nizione del concetto di eccezionalità, in generale, non solo riferita alla scala senese, forse, chiede di essere declinata in una pluralità di modi, differenti da realtà urbana a realtà urbana e tutti, magari, convergenti poi verso la stessa conclusione (quella, appunto, di uno statuto di “eccezionalità”) ancorché raggiunta attra- verso differenti cammini. 340 Notiziario bibliografi co

Come che sia, esagerata o congrua, applicabile interamente o solo in parte, la cifra di una vicenda inusuale si riverbera su tutto il volume di Ascheri, il quale presenta una città che, per secoli, fa fronte a sfi de più grosse di lei: dal periodo dello sviluppo econo- mico medievale, alla costruzione di un regime oligarchico (quello novesco) stabile e au- toritario; dalla articolazione istituzionale basata su una inconcepibile endemica divisione e faziosità, alla sfi da al potere imperiale a metà del Cinquecento. Tutte queste sfi de, tutti questi aspetti, nell’analisi di Ascheri, costruiscono altret- tanti tasselli, più o meno destinati a sopravvivere in eterno, del “carattere” senese. Com- presa la “serrata” nobiliare in età granducale, la perdita dello spirito di intrapresa che aveva caratterizzato i secoli precedenti e la costruzione di uno “spirito collettivo” teso ad aspettarsi dall’alto le soluzioni ad ogni problema. “Veniva scolpito - argomenta Ascheri commentando questa fase storica - anche un altro carattere permanente dei Senesi; dopo le magnifi che avventure per mezzo mondo del Medioevo era venuta la sedentarietà, anche povera, ma comoda” (p. 159). Non saprei dire (né una recensione è la sede adatta per aprire questa discussione) se e quanto l’aggettivo “povera” necessiti di qualche sfumatura, ma resta il fatto che il concetto è, a mio avviso, nella sostanza assolutamente condivisibile. Così come è condi- visibile l’evidenziazione di quell’altro carattere originale della sociologia locale che è il connubio - proprio originatosi in questi secoli - di nobiltà e popolo intorno all’invenzione del Palio delle contrade, destinata a creare una cultura di connessione intercetuale mante- nutasi nei secoli (“egualitarsimo gerarchico”, lo defi nisce con intelligente e forte imma- gine Ascheri). E’ questa cultura la creatrice di un senso di solidarismo che ha permesso a Siena, in più di un caso, di evitare lacerazioni sociali, diversamente da quanto è accaduto altrove? Che ha consentito ai Senesi di superare momenti drammatici limitando (non potendo evitarla del tutto) al massimo la dimensione “tragica” della storia? Una sorta di insito senso del bonum commune e della lorenzettiama “concordia”? E’ possibile. Perfi no probabile. E’ certo un fatto che a Siena, per dire, il passaggio dal fascismo alla democra- zia ha avuto aspetti meno sanguinosi che in altre realtà; il podestà, quando arrivarono gli alleati, poté consegnare loro il comune e andarsene più o meno tranquillamente a casa. Fatte le debite proporzioni e con tutte le dovute e rigorose diverse contestualizzazioni, un po’ quel che successe con il passaggio dal regime ghibellino a quello guelfo, quando die- tro la facciata novesca, mercantile, borghese, fi lo-angioina, fi lo-papale e fi lo-fi orentina, molti aspetti della precedente struttura comunale rimasero ampiamente immutati, e quan- do il nuovo regime si bilanciò (in maniera non lineare, sia ben chiaro, e con tempi non sincronizzati, sia altrettanto ben chiaro) fra esclusione e integrazione; bando e coinvolgi- mento nei confronti delle famiglie rimosse dal governo comunale. Tutte queste pagine di storia, come si vede, servono molto bene all’Autore per arrivare a quello che pare l’aspetto di maggior interesse per lo scrittore: una identità della Siena e dei Senesi d’oggi, letta, appunto, alla luce della storia più risalente e di quella più recente. La Siena contemporanea, dice Ascheri, è il frutto di questa sedimentazione di com- portamenti e di atteggiamenti mentali: i partiti che l’hanno governata non hanno affatto cambiato questi elementi che potremmo defi nire come strutturalmente consolidati e, anzi, ad essi si sono conformati, anche se con qualche diffi coltà, resistenza e ambiguità. L’e- Notiziario bibliografi co 341 sempio del rapporto con le contrade e con il Palio è una cartina di tornasole importante: ben lungi dall’avversione provata dai ceti liberali borghesi all’indomani dell’Unifi cazio- ne, i partiti moderni hanno riconosciuto quello che era stato chiaro agli stessi governatori medicei, e cioè che la contrada è l’elemento aggregativo sociale di base, fortemente in- cardinato al senso di territorio, e che il Palio è l’elemento psicodrammatico che sintetizza, sublima e motiva questa cultura. Da qui (e l’analisi di Ascheri è, a parere di chi scrive, perfettamente condivisibile) a far diventare il Palio un “oggetto” della politica (al di là di tanto ostentate quanto solo in parte reali patenti di apoliticità del soggetto “contrada”) non c’è voluto molto. Semmai, l’analisi necessiterebbe, sempre a mio personale parere, di una declinazione più articolata rispetto alla lettura dell’Autore, che vede in questo rappor- to una riproposizione della circolarità culturale nobiltà-popolo di secoli fa. Nella Siena attuale (al netto della improponibilità della nobiltà come soggetto dirigente: ma questo è chiaro anche nelle pagine di Ascheri) la lettura “di classe” del rapporto élite politica- popolo ha caratteristiche molto diverse da quelle che poteva avere, diciamo, fi no agli anni Settanta del Novecento. E questo è valido anche per il rifl esso contradaiolo e paliesco. Molto convincente, inoltre, il tema di chiusura del libro: il rapporto della città con la sua principale banca. Decenni di benessere assicurato grazie alla ripartizione degli utili del Monte dei Paschi hanno creato un modo condiviso di pensare che vedeva nella banca la soluzione di tutti i problemi e nel cospicuo fl usso di denaro destinato, per statuto, ai principali enti locali la risorsa principale (unica?) alla quale attingere. Questo non è passato senza lasciare traccia: “Le istituzioni - argomenta in modo convincente Ascheri - hanno così assunto un rilievo quasi educativo, diventando esse stesse un referente quasi unico, il destino “naturale” dei Senesi, mortifi cando lo spazio del privato a vari livelli” (p. 243). Così, la crisi dell’istituto di credito (cronaca più ancora che storia, ancorché sintetizzata in modo convincente dall’Autore) ha investito la città lasciandola stordita. E la chiusa del volume è proprio improntata a questa vicenda: una chiusa bilanciata fra speranzoso ottimismo e disincantata analisi delle potenzialità e delle volontà collettive. “Il Monte è stato importante (...) soprattutto nel Novecento, e potrà tornare ad esserlo. Lo sperano tutti. Ma in passato Siena aveva saputo manifestare anche altrimenti la propria grandezza” (p. 263). Sottinteso: la città saprà ritrovare quello spirito che sembra essersi affi evolito da secoli? Diffi cile dirlo: vero che lo storico ha sempre la tentazione di essere un po’ futurologo e profeta, ma vero altrettanto che aveva ragione, se non mi sto sbagliado (sto citando a memoria: nel caso perdonatemi), John Maynard Keines quando diceva che i profeti, in cattedra, non devono andarci. E infatti Ascheri, da eccellente storico, a conclu- sione di questo interessante, denso e importante volumetto, si ferma qui non azzardando previsioni. Nemmeno quelle che, pure, ci verrebbe istintivo a tutti di auspicare, bilanciate gramscianamente fra ottimismo della volontà e pessimismo della ragione.

DUCCIO BALESTRACCI 342 Notiziario bibliografi co

COMUNE DI CAPALBIO, Capalbio. Storie di un castello, a cura di Felicia Rotundo e Bruno Mussari, «Microcosmi delle arti» 12, Arcidosso, Effi gi, 2012, pp. 253.

«L’ultimo lavoro di ricerca sul paesaggio e gli itinerari storico-artistici di Capalbio si pone come importante e fondamentale tassello per ricomporre l’affascinante mosaico della storia locale. È infatti con lo studio di ciò che ci hanno lasciato coloro che qui hanno abitato, che possiamo più consapevolmente mantenere, gestire e amministrare questo luogo ad alta valenza paesaggistico-ambientale di rara bellezza. Il progetto patrocinato dall’Amministrazione Comunale […] è divenuto una prestigiosa pubblicazione divulgativa sul patrimonio storico, architettonico, artistico e paesaggistico di uno dei paesi più caratteristici della Maremma, dove convivono ancora in un felice connubio arte, natura e tradizioni popolari». Queste parole, con le quali inizia l’introduzione (Capalbio, luogo straordinario) del Sindaco Luigi Bellumori, al di là di una certa enfasi retorica “di occasione”, basterebbero da sole a descrivere il volume e le intenzioni dell’Amministrazione Comunale che lo ha promosso. Bisogna riconoscere che è perfettamente condivisibile e sottoscrivibile il principio enunciato che un corretto sviluppo di una comunità non può prescindere dalla conoscenza (e dalla valorizzazione) delle proprie peculiarità e della propria storia; quindi una pubblicazione come questa ha il valore aggiunto di essere uno strumento di presa di coscienza da parte della popolazione (e in particolare delle giovani generazioni) delle proprie radici. Tralasciando le motivazioni “ideologiche” che sono alla sua base, il libro ha anche un valore oggettivo; infatti, per raggiungere lo scopo prefi ssosi l’Amministrazione di Capalbio non si è rivolta a qualche erudito locale (con tutto il rispetto per la categoria), ma ha messo insieme una raccolta di saggi, affi dati a “penne” di prim’ordine in vari settori di studio. Ad aprire il volume, dopo le rituali pagine di circostanza dei rappresentanti degli Enti che hanno aderito all’iniziativa, è il saggio storico, ampiamente documentato e corredato da cartine, di Mario Ascheri, Capalbio: un confi ne fortunato, che mette subito l’accento su una caratteristica peculiare di Capalbio, quella di essere sempre stata terra di confi ne, fra il Senese e lo Stato della Chiesa prima e poi fra quest’ultimo ed il Granducato di Toscana ed anche con lo Stato dei Presidi. Una situazione marginale, come sottolinea Ascheri, che ha fatto sì che, a differenza degli altri territori, anche della stessa Maremma, abbia minori legami, da un punto di vista artistico con Siena, soprattutto per quanto riguarda l’architettura e la pittura religiose, per le infl uenze culturali che venivano dal Lazio. In appendice a questo si trova lo studio di Valentina Angelucci, Qualche problema di confi ne in età moderna, che analizza la situazione venutasi a creare con la costituzione dello Stato dei Presidi. Dell’architettura militare si occupa, invece, uno specialista della materia, Bruno Mussari (Tra gli Aldobrandeschi e il Granducato: architettura e vicende costruttive delle fortifi cazioni di Capalbio), che ripercorre la storia di Capalbio dall’Alto Medioevo all’Età moderna soprattutto dal punto di vista dello sviluppo delle sue fortifi cazioni. Tutto il saggio è corredato da un’ampia documentazione fotografi ca e da riproduzioni di documenti e piante. A seguire si trova l’articolo di Felicia Rotundo (Sviluppo urbano e architettura a Capalbio dal XII al XX secolo), che passa dall’architettura militare a quella civile e segue le vicende dell’insediamento urbano della cittadina fi no quasi ai giorni nostri. Vengono poi una serie di saggi che analizzano alcuni aspetti artistici della storia di Capalbio, Notiziario bibliografi co 343 dall’affresco all’interno della torre (Patrizia Scapin) alla descrizione della chiesa di San Nicola (Felicia Rotundo) ed ai suoi affreschi (Patrizia Scapin) ed all’Oratorio della Provvidenza (Felicia Rotundo) ed al suo ciclo pittorico (Olivia Bruschettini). Vanessa Mazzini ci propone, invece, un’analisi storica sull’evoluzione del paesaggio della Maremma meridionale, mentre gli ultimi tre saggi sono dedicati ad emergenze particolari di Capalbio: la ex Dogana pontifi cia (Vanessa Mazzini), la Ferriera nella frazione di Pescia Fiorentina (Ivano Tognarini) ed il Giardino dei Tarocchi (Barbara Catalani e Marco Del Francia), sempre nei pressi di Pescia Fiorentina: una creazione dell’artista francese Nikki de Saint Phalle, ispirata ad un’analoga opera di Gaudi; nel giardino si trova un gruppo di ventidue sculture monumentali ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi, costruite in cemento armato e ricoperte da specchi, vetri e ceramiche colorate. Le pagine fi nali del volume sono occupate dalla Bibliografi a, nella quale si riportano in forma completa i libri citati nelle note in maniera sintetica con la sola indicazione del cognome dell’autore e della data di edizione. Della correttezza, della documentazione e dell’approfondimento scientifi co degli argomenti trattati è superfl uo parlare, in quanto ne sono garanzia i nomi stessi degli autori; resta, casomai, da ricordare la grande ricchezza dell’apparato iconografi co, tutto a colori, che correda la pubblicazione di grande formato, con rilegatura cartonata e sovraccoperta, che si presenta così come un elegante volume di pregio, oltre che uno studio analitico sul territorio di Capalbio.

ENZO MECACCI

PSEUDO GENTILE SERMINI, Novelle. Edizione critica con commento a cura di Monica Marchi, Pisa, ETS, 2012 (2013), Biblioteca senese, studi e testi, 5, pp. 683.

Della letteratura senese quattrocentesca sono state fi n qui apprezzate soprattutto le prediche di san Bernardino per quanto riguarda la lingua in volgare e, per la produzione in latino, l’Historia de duobus amantibus e i Commentarii del grande umanista Enea Silvio Piccolomini. Nessun dubbio che si tratti di capolavori. Ma capolavori catalogati per lo più in ambiti diversi, quasi che la letteratura umanistica e quella volgare fossero concepite allora come aree non comunicanti. In realtà, per quanto non sia questo il caso di Piccolomini che in volgare non ha lasciato mezza riga, cultori insigni delle humanae litterae, vedi Leonardo Bruni, non si sono privati dello strumento espressivo di chi allora era “senza lettera”, come si defi nivano coloro che, pur istruiti, non avevano compiuta formazione classica. Si colloca nell’intersezione tra queste due aree un interessante novelliere senese di primo ‘400 a lungo stigmatizzato per il contenuto osceno, ma negli ultimi decenni rivalutato per il valore documentario. Attribuito per convenzione a un mai esistito Gentile Sermini e scritto in bel volgare di chiara origine senese, mostra evidenti segni di familiarità con gli humanitatis studia e in particolare con Poggio Bracciolini e Piccolomini. Non a caso si apre con una formula mutuata dall’epistolografi a umanistica, 344 Notiziario bibliografi co il ricorrente vocativo “amice tamquam frater“, che diventa “diletto e caro fratello” nella lettera di dedica a un ammiratore cui l’autore invia la sua raccolta, dove dichiara subito il debito verso Boccaccio. L’incipit della Novella I, infatti, è una citazione dall’ultima pagina del Decameron: “ Se delle cose preterite non apparissero scritture…”. Le novelle si leggono ora in edizione critica grazie a Monica Marchi, che ha condotto uno meritorio lavoro di collazione fra i due unici testimoni superstiti, uno conservato presso la Biblioteca Estense di Modena (è il codice più antico, databile verso la metà del ‘400) e l’altro, presso la Marciana di Venezia, di circa mezzo secolo posteriore. Quella di Marchi è impresa quanto mai opportuna, dato che le novelle erano irreperibili sul mercato librario dal 1968, quando Giuseppe Vettori per primo rivendicò i meriti di un’opera fi n allora sottovalutata e nota solo agli eruditi, oppure a raffi nati estimatori quale Alberto Savinio, oltre la presenza nella “biblioteca grassoccia”, sede scontata per un testo che ad ogni pagina ripropone la descrizione dell’atto sessuale in un fuoco d’artifi cio di metafore, un vero virtuosismo. Una premessa che ha a che fare con questioni di metodo: risulta davvero incomprensibile come in una storia delle letteratura italiana il dedicatario possa essere scambiato per un fratello di sangue, interpretazione che contraddice il testo medesimo, da cui si ricava che lo scrittore e il “diletto” non si sono mai incontrati (M. MARTELLI, Centri minori, III, Siena, in Storia generale della Letteratura italiana, a cura di N. Borsellino e W. Pedullà, III, Rinascimento e Umanesimo, Milano, Federico Motta Editore, 2004, III, p. 255). Monica Marchi riguardo al “diletto fratello” congettura in forma dubitativa che l’espressione alluda a un “fratello in Cristo” e che l’opera sia dettata dalla volontà di denunciare la corruzione del clero (p. 12). In effetti, il novelliere è un atto d’accusa contro gli uomini di Chiesa, ma la polemica dello scrittore è così violenta e radicale da escludere qualsiasi illusione riformatrice. “Se ricever non vuoi inganni e torti / non ti fi dar di chi cherica porti”, dichiara, per cui è lecito pensarlo del tutto estraneo alla condizione clericale (p. 281). Quanto al “diletto fratello”, minuzie, si dirà. Mica tanto. La formula della dedica, infatti, rivela familiarità con il linguaggio dell’ambiente umanistico che del genere epistolare ha fatto una delle proprie sigle. Non tenerne conto signifi ca deprivare del suo retroterra un’opera che appartiene alla cultura d’avanguardia dei circoli aristocratici senesi durante gli anni ’20 e ’30 del Quattrocento, un periodo smagliante della storia cittadina. Monica Marchi ha il merito di rompere con la tradizionale attribuzione del novelliere al fantomatico Gentile Sermini, rinominandolo Pseudo Sermini. Per la verità, sulla realtà storica di Gentile Sermini esistevano forti dubbi fi n da quando l’erudito settecentesco Apostolo Zeno aveva recuperato il novelliere tra i tanti testi medievali caduti in oblio fra Cinque e Seicento. Da Zeno ha origine l’equivoco da cui è scaturita l’identifi cazione in Sermini, ma già allora Anton Maria Borromeo manifestava perplessità. In base a tale vicenda, Giuseppe Vettori nella sua Introduzione, un intervento degno di essere ricordato, avanzava l’ipotesi che Sermini fosse nom de plume utilizzato per celare un qualche gran personaggio preoccupato di farsi riconoscere, lasciando intendere che potesse trattarsi di Piccolomini, il papa criticato dai contemporanei per le opere licenziose scritte prima di assurgere al trono pontifi cio. Tra le righe, sembra di tale avviso anche Flora Di Legami, che a “Gentile Sermini” ha dedicato un saggio molto dotto, analizzando le Notiziario bibliografi co 345 numerose analogie tematiche e formali tra il novelliere e gli scritti del papa umanista (F. DI LEGAMI, Le Novelle di Gentile Sermini, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2009). Un altro critico, Christopher Nissen, è arrivato a parlare di “Phantom Author” ma, per la vicenda attributiva rimandiamo a un precedente, esaustivo excursus della curatrice, vd. M. MARCHI, Il novelliere senese attribuito a Gentile Sermini, in S. CARRAI, S. CRACOLICI, M. MARCHI, La letteratura a Siena nel Quattrocento, Pisa, Edizioni ETS, 2009, pp. 9-30), dove si afferma: “… ciò che a questo punto non può essere messo in dubbio è che egli non volesse essere riconosciuto”. L’enigma, il segreto, il mistero sono certo stuzzicanti. Ma un letterato che non voglia rivelarsi è specie davvero rara in natura. Tanto che “Sermini” dissemina segnali a piene mani. Vediamo la prima fra le quaranta novelle di questa prova di scrittura decisamente impegnativa, tanto più che l’autore intervalla le prose con rime spesso correlate a quanto va novellando. Il primo nome che s’incontra è Andreoccio e occorre aprire una parentesi: attraverso ciò che scrive, l’autore si denota come gentiluomo di estrazione elevata e sofi sticata formazione, larghe ed eccellenti frequentazioni e in confi denza con i luoghi del potere. Ebbene, nella classe alta senese durante il primo ‘400 non sono molti a portare un nome tanto evocativo per i lettori dell’Andreuccio boccacciano (la variante –occio è propria dell’epoca, vedi Guidoccio Cozzarelli, per fare un esempio). È esistito un Andreoccio di Marco Bindi, autorevole diplomatico al tempo del concilio senese del ’23. Ed è esistito un Andreoccio Cinuzzi autore di epistole umanistiche tuttora inedite. Ma soprattutto preme qui ricordare un altro Andreoccio che di cognome faceva Petrucci, combattivo esponente della consorteria patrizia più numerosa e dinamica sulla scena pubblica, nonché la più impegnata nella promozione di quegli humanitatis studia che negli scritti del Panormita, di Giovanni Marrasio, di Piccolomini e Petrucci durante gli anni Venti del secolo trasformano Siena civitas Virginis in trasgressiva civitas Veneris. È la Venere di cui Piccolomini parla con lo stesso Andreoccio in un’epistola del 1432-1433 annoverata tra i capolavori dell’epistolografi a umanistica. Ed è la Venere della visione che segue la bellissima pagina serminiana dedicata al Gioco delle pugna, di sorprendente modernità e concepibile solo in ambiente di strenuo sperimentalismo quale era il circolo dei Petrucci, il più operoso laboratorio di scrittura nella Siena di primo ’400. Del resto, l’apparizione conturbante della dea dell’amore altro non è che il tributo a un genere classico per eccellenza quale il somnium. Per inciso, il brano è indirizzato a un amico del quale l’autore rivela solo l’iniziale, una lambda che, chissà perché, Marchi legge come A, ma la lettera del manoscritto Estense, visionato da chi scrive, non lascia spazio a dubbi (vd. DI LEGAMI, Le Novelle cit., p. 70). Il particolare è utile a testimoniare una qualche confi denza dell’autore con il greco, cosa rara per anni in cui la conoscenza di questa lingua è di pochi. A proposito della scrittura, Marchi sostiene trattarsi di “umanistica”, ma la grafi a dei testimoni serminiani è senz’altro da situare nel variegato capitolo delle cancelleresche e non in quello della ben più ricercata littera antiqua. Vedi, per fare un esempio che cade a proposito, la silloge epistolare composta intorno al 1447 da Andreoccio Petrucci, letterato, politico e diplomatico vissuto tra gli ultimissimi del ‘300 e morto durante un’epidemia di peste nel 1449. Appunto gli anni “serminiani”. La silloge petrucciana, tràdita da un prezioso codice pergamenaceo in elegante umanistica, è l’opera contemporanea 346 Notiziario bibliografi co più affi ne al novelliere, tanto che vi ritroviamo gli stessi identici temi. Scetticismo in materia di religione. Edonismo ed erotismo esasperato fi no all’obscenum. Gusto per le vicende d’amore, ivi compreso l’amore omosessuale. Disprezzo per gli homines novi e rivendicazione del primato ottimatizio da parte dei cittadini di antica data. Smaliziata esperienza dei meccanismi di governo. Derisione degli abitanti del contado. Esaltazione delle humanae litterae. Sono questi gli argomenti che caratterizzano novelliere ed epistolario, dove colpisce ritrovare persino le stesse espressioni, come la “dimora di Eolo” della Novella XII e l’“ex domo ventorum” dell’Epistola L, dove si parla di un luogo che lo Pseudo Sermini chiama “alpigioso” e potrebbe essere Sarteano o con più probabilità Radicofani. Ed è da notare l’attenzione per gli aspetti concreti del vivere materiale, non esclusa l’economia: nell’epistolario umanistico si ricorda la bottega nell’Arte della Lana posseduta da Andreoccio (Epistola XIX) e da vari passi del novelliere trapela conoscenza non superfi ciale della produzione tessile. Infi ne, l’ardente patriottismo e l’avversione professata verso Firenze, la rivale di sempre, non può non richiamare l’impegno secolare profuso dal clan Petrucci per contrastare la crescente egemonia fi orentina sulla Toscana. A Siena e non solo a Siena, bensì in tutta le regione e oltre, l’alfi ere della fazione più intransigente contro le minacce fi orentine è un capitano che, militando al seguito di grandi condottieri, per anni e anni mette in forte diffi coltà Firenze. Stiamo parlando di Antonio di Checco Rosso Petrucci, per il quale si adopera con tutto se stesso il cugino Andreoccio, il suo alter ego. Altrove abbiamo esposto i motivi per cui è ragionevole indicare come autore del novelliere Antonio, poeta e soldato di larga esperienza extra municipale e personaggio ben noto in quasi tutte le località nominate nelle novelle (P. PERTICI, Novelle senesi in cerca d’autore. L’attribuzione ad Antonio Petrucci delle novelle conosciute sotto il nome di Gentile Sermini, «Archivio storico italiano», CLXIX, 2011, n. 630, Disp. IV, (ottobre-dicembre, pp. 679-706). Va detto che la raccolta serminiana è pervenuta adespota e anepigrafa. Inoltre, nel manoscritto Marciano sono in bella evidenza correzioni volte a far credere che le novelle siano di Boccaccio, con il palese intento di depistare il lettore. Tutto ciò, in effetti, può far sorgere il sospetto che a qualcuno sia parso prudente conservare le novelle in forma anonima, incoraggiando così la tesi romanzesca per la quale l’occultamento della paternità sarebbe stato volontario. Da parte di chi? Certo non l’autore, come è stato affermato da molti. Egli, infatti, non può essere intervenuto sul Marciano, di troppo posteriore. Potrebbe essere stato, perché no, qualcuno della sua cerchia. Oppure un discendente, cui potrebbero appartenere gli interventi censori sul codice veneziano. Quel che è sicuro, salvo Antonio Petrucci, nessun senese vissuto nel primo ‘400 presenta una biografi a tale da giustifi care simili cautele riguardo un documento letterario destinato a circolare presso cenacoli esclusivi. Alla luce dei fatti storici, rispetto a un testo certo osé, ma ne circolavano di altrettanto scabrosi, appare ragionevole pensare che possa essersi trovato in imbarazzo chi custodiva il codice, anziché l’autore. Dopo essere stato per trent’anni e passa l’uomo politico più potente e popolare di Siena, un eroe della patria, Antonio Petrucci diventa un maudit, un nome impronunciabile. Nel 1456 è condannato all’esilio perpetuo con l’accusa di volersi fare signore della città con il sostegno di una potenza esterna, gli Aragona. Gli alleati e quasi tutta la consorteria Petrucci condividono la sorte del valoroso capitano, compresi condanne a morte, Notiziario bibliografi co 347 damnatio memoriae e un esilio durato un quarto di secolo. Oltre, s’intende, le confi sche, così che ben poco sopravvive di quanto prima del ’56 era appartenuto ai Petrucci, antichi banchieri con affari a raggio europeo in veste di esattori della Curia pontifi cia durante il ‘300. La rimozione di fatti tanto drammatici dalla memoria collettiva è perdurata a lungo e solo nella storiografi a più recente è stata chiarita la parabola di un consorzio gentilizio indissolubile dalla vicenda cittadina fra fi ne Medioevo e Rinascimento maturo. Alla dispersione del patrimonio familiare e forse alla preoccupazione di tutelare la buona fama di un casato compromesso nel delitto di alto tradimento potrebbe dunque essere legata la sorte di un novelliere dove geografi a e onomastica corrispondono in tutto e per tutto al vissuto petrucciano, tanto di Antonio che di Andreoccio. Corrispondono anche gli estremi cronologici dell’opera, che Marchi situa tra il 1420 circa e il 1450 sulla base di dati interni, dato che l’autore dichiara di scrivere al tempo della peste del 1424 ed elogia la saggezza della regina Giovanna di Napoli morta nel ’35. Agli occhi di un senese dai fi eri sentimenti antifi orentini manifestati dallo scrittore, i contenuti delle novelle non sono però ammissibili oltre una data precisa, l’inverno tra il 1435 e il 1436, quando i Petrucci conducono le trattative per spostare la repubblica senese sul fronte fi loaragonese, quindi antiangioino, perciò ostile alla città dell’Arno. Per la datazione del novelliere si dovrà piuttosto prendere in esame il concilio del ’23, evento per il quale i Petrucci si sono mobilitati al fi ne di scongiurare la sospensione dell’assise decisa dal papa a seguito della peste, quella di serminiana memoria, oltre che a seguito delle macchinazioni di Alfonso d’Aragona. In tale circostanza il re si rende inviso ai senesi e diventa comprensibile la simpatia per Giovanna II, la sua avversaria. Insomma, non sembra che il novelliere possa essere stato scritto oltre i primissimi anni ’30. Si potrebbero elencare molte altre coincidenze. Ad esempio, sono documentati rapporti tra i Petrucci e i Buonsignori, additati come esempio di perfetta cortesia nella Novella III. I Buonsignori erano a loro volta antichi banchieri di rango europeo e per il loro ruolo vedi la scheda a cura di Giuliano Catoni sul Dizionario biografi co degli Italiani, che Marchi cita in nota. Ma è interessante anche l’Ugo Marescotti nominato nella stessa novella. Questi, infatti, è il padre di Ludovico, che ospita nel suo magnifi co palazzo Oddantonio di Montefeltro e gli procura i Carmina Priapea, testo quanto mai in sintonia con le inclinazioni serminiane, a riprova che il novelliere descrive con puntualità il milieu di cui è espressione. Quel che è certo, si tratta di un mondo che per gran parte aveva a vedere con i traffi ci bancari. E molta, troppa onomastica coincide con personalità in vista per essere casuale. Era un ceto privilegiato e molto disinibito in fatto di morale, così che un autore con le caratteristiche del nostro non poteva che essere sgombro da preoccupazioni di pruderie. Una casistica completa di confronti tra opera letteraria e realtà storica sarebbe qui fuori luogo e ci limitiamo a due novelle. Una è quella di ser Giovanni da Prato, il maestro scorbutico da riconoscere con buona probabilità nel ser Giovanni dell’Epistola XIII di Andreoccio, che lo sceglie come precettore del fi glio. Che si tratti di Giovanni Gherardi trova conferma in un passo del Paradiso degli Alberti ripreso alla lettera dall’umanista più vicino ai Petrucci, Barnaba Pannilini (siccome la notizia può avere qualche interesse per la storia letteraria, si rimanda a P. PERTICI, Siena quattrocentesca. Gli anni del Pellegrinaio nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, pref. di R. Fubini, con un saggio di M. A. 348 Notiziario bibliografi co

Rovida, Colle Val d’Elsa, Protagon, 2012, p. 45). L’altra novella è quella dell’amore fra Angelica Montanini e Anselmo Salimbeni, che si conclude con il matrimonio dei due nella chiesa di San Donato. Esistevano due chiese con questo nome a Siena e una era San Donato in Montanini, un edifi cio sacro oggi invisibile dall’esterno perché incorporato nel Palazzo Tantucci, che fa parte della sede centrale del Monte dei Paschi. Tutto il grandioso complesso monumentale in antico noto era come ‘castellare’ dei Salimbeni, quindi il San Donato in Montanini ad esso appoggiato era più pertinente alla novella che non la chiesa di San Donato all’Abbadia indicata da Marchi. La precisazione non è inutile, perché questa porzione del principesco ‘castellare’è stato acquistata nel 1429 da Antonio Petrucci, che lì ha abitato. La toccante storia di Angelica e Anselmo, entrata addirittura nell’annalistica senese, è stata ripresa da letterati illustri, l’Ilicino e Scipione Bargagli, entrambi di famiglie alleate ai Petrucci per consolidata tradizione, e il fatto serve a rilevare come la stessa fortuna del novelliere non sia estranea alla sua origine. Per limitarci ad un caso, la Novella I è ripresa da Masuccio Salernitano, che a Napoli aveva buoni motivi per ingraziarsi senesi autorevoli in corte d’Aragona come Francesco Patrizi, leale ad Antonio Petrucci fi no a rischiare la vita per la causa comune (cfr. la voce relativa a Masuccio sul Dizionario biografi co). Sarebbe insomma da seguire il percorso del novelliere che, seppure non ha avuto circolazione presso il largo pubblico, era noto presso l’alta società italiana ed ha avuto infl uenza di lungo periodo. Basti pensare al Cinquecento senese, Fortini e Alessandro Piccolomini, per dire, ma anche oltre i confi ni patri. Non per nulla negli anni ’70 del 400 in ambito mediceo è menzionato con intenzione polemica da Luigi Pulci. Era periodo di rinnovata ostilità fra i due maggiori centri toscani e si andava preparando la guerra dei Pazzi, così che la letteratura registra la nuova situazione dopo che, a seguito dei fatti del ’56, eliminati Petrucci e sostenitori, tra Siena e Firenze c’erano stati pacifi ci rapporti di buon vicinato. Risponde allo stesso spirito la contemporanea Novella di Giacoppo attribuita a Lorenzo il Magnifi co, che prende di mira una famiglia senese ostile ai fi orentini, i Bellanti, i principali alleati dei Petrucci. Il “certo sanese” sfi dato da Pulci per aver scritto contro Firenze era da lui senz’altro conosciuto, dati i contatti e gli scambi tra le due città, tanto frequenti e fi tti da rendere inverosimile che un letterato con il background dello Pseudo Sermini fosse ignoto ai fi orentini. L’espressione “un certo sanese” va intesa come quidam o nequam homo. E non sarà superfl uo precisare che Giacoppo è nome ricorrente in casa Petrucci, così che la derisione dei novellieri fi orentini riguarda entrambi i casati. La raccolta serminiana è incompleta, perché la Novella XL s’interrompe prima della conclusione e un conoscitore d’eccezione della cultura quattrocentesca, Riccardo Fubini, insegna come simile procedimento non sia inusuale fra i letterati del tempo. Era un espediente per avvertire che l’opera, destinata solo a circolazione privata, mancava della revisione fi nale. Tuttavia, per quanto deprivato dell’archetipo andato perduto chissà come (ma la spiegazione più semplice è nei fatti del ‘56, un trauma di lunga durata), per quanto lacunoso, d’incerta attribuzione e giunto a noi in redazione provvisoria, il novelliere serminiano è un gioiello. Una sorta di grande affresco sulla civiltà dell’epoca. Ed è concepito all’insegna dello stesso realismo che si ritrova nel ciclo dipinto pochi anni dopo sulle pareti del Pellegrinaio nell’ospedale di Santa Maria della Scala, anch’esso Notiziario bibliografi co 349 prodotto di una mentalità elitaria, capace tuttavia di rappresentare con effi cacia la vita quotidiana e indagare in profondità i ceti subalterni. Proprio come lo Pseudo Sermini, che apre squarci indimenticabili su quel mondo lontano. Fonte di pregio assoluto per la storia sociale, senza dubbio è autore meritevole della fatica spesa da Monica Marchi, interessata soprattutto ai fenomeni linguistici e attenta all’interpunzione, che era invece poco sorvegliata nell’edizione di Vettori. Per il contesto culturale, si raccomanda il saggio di Flora Di Legami, cui si deve un contributo di tono elevato per la conoscenza di un glorioso e mai abbastanza esplorato periodo della storia cittadina.

PETRA PERTICI

LETIZIA PELLEGRINI (a cura di), Il processo di canonizzazione di Bernardino da Siena (1445-1450), Grottaferrata 2009, pp. 134*- 626.

In questo denso ed importante volume, Letizia Pellegrini pubblica e commenta la documentazione uffi ciale superstite del processo di canonizzazione di Bernardino da Siena, frate e predicatore osservante morto a L’Aquila il 20 maggio 1444 e canonizzato sei anni dopo da papa Niccolò V il 24 maggio 1450. Gli atti trascritti fanno riferimento alle tre indagini in partibus elaborate nel corso del processo canonico sotto i pontifi cati di Eugenio IV e di Niccolò V in un arco di tempo compreso tra il 1445 ed il 1450 ed attualmente conservate in cinque codici presso l’Archivio di Stato dell’Aquila. Tale documentazione – di cui si sottolinea la ragguardevole ricchezza informativa – era destinata ad essere sottoposta all’attenzione dei cardinali commissari delegati dal papa i quali avrebbero a loro volta dovuto valutarla ed integrarla per sottoporre al concistoro le loro conclusioni. La documentazione che qui viene edita perciò, perfettamente compiuta in sé, fu non di meno affi ancata ad ulteriore materiale informativo, riguardante la fase curiale, che, tuttavia, allo stato attuale, risulta disperso. Nel corso delle indagini del processo di canonizzazione i miracoli trascritti sono quelli post mortem, soprattutto di guarigione da malattie congenite o cronicizzate; per contro, preparando lo svolgimento dei processi, furono raccolte una serie di relazioni, provenienti da diverse città italiane, per la maggior parte relative a miracoli avvenuti in vita, principalmente durante le prediche di quello che, a conti fatti, già nel corso della sua vita veniva percepito dai suoi confratelli e dalle municipalità italiane come un ‘santo vivo’. Nel denso commento al testo dunque, l’autrice, lungi dal limitarsi esclusivamente ad un’analisi dei testi pubblicati, restituisce anche una visione più generale dell’andamento del processo, facendo largo uso di fonti di natura diplomatica, per lo più di matrice senese. In una prospettiva storiografi ca, due sono le aree tematiche che nel corso dell’ultimo secolo hanno orientato in maniera prevalente gli studi sul santo senese: la prima ha interessato il panorama della storia della predicazione e si è interrogata sulle eventuali novità contenutistiche e sulla natura più o meno marcatamente politica delle prediche bernardiniane; mentre l’altra, rivolta per lo più allo studio dell’Osservanza, ha cercato di comprendere e di illustrare, attraverso la fi gura di Bernardino e degli altri 350 Notiziario bibliografi co religiosi più rappresentativi del suo ordine, l’evoluzione di questo movimento da una fase iniziale tendenzialmente eremitica e a diffusione territoriale circoscritta a gruppo religioso emblematico nel corso del panorama italiano del XV secolo. In questo volume la documentazione del processo di canonizzazione di San Bernardino viene invece analizzata principalmente sotto il profi lo delle procedure di riconoscimento della santità. Materia che proprio nel corso del XV secolo stava cercando una nuova defi nizione mediante il confronto con altri casi precedenti o coevi. Alla ricerca dei modelli teorici, delle prassi, della trattatistica e della tipologia documentaria che hanno plasmato il processo di canonizzazione del senese, la pubblicazione critica di questa fonte, come ben sottolineato anche da Roberto Rusconi nella prefazione che introduce il volume, trascende l’erudizione per diventare scrittura di storia in uno studio che documenta ed interpreta la forma stessa di un processo di canonizzazione. La testimonianza del processo di Bernardino dunque supera il caso particolare per assurgere a terreno di lavoro più ampio per rifl ettere, anche con una prospettiva di taglio giuridico, in merito alla più generale conformazione e allo sviluppo del fenomeno di canonizzazione dei santi in un contributo nuovo e di grande interesse. Non solo. Nella corposa introduzione che precede l’edizione del testo (134 pagine) la studiosa pone gli atti relativi al processo di canonizzazione al centro di un’articolata indagine volta a misurare il potere legittimante del culto bernardiniano in relazione ad istituzioni e poteri che con Bernardino, vivo o morto, molto hanno avuto a che fare. Santo di due municipalità (Siena e L’Aquila), grimaldello per la legittimazione del suo stesso gruppo religioso e per la riqualifi cazione del papato romano, risulta diffi cile non vedere nella canonizzazione di San Bernardino un autentico spartiacque della storia religiosa italiana del XV secolo; “diffi cile – per dirla con le stesse parole dell’autrice – sottrarsi all’impressione che, agli occhi dei contemporanei, la predicazione di Bernardino, la sua morte e la sua canonizzazione siano state una sorta di bomba scoppiata in mezzo al secolo, le schegge della quale, o l’eco della cui defl agrazione, vanno cercati e raccolti anche a distanza” su di un terreno che, in effetti, traendo linfa dall’elemento religioso, alla fi ne si presenta pervaso di elementi politici e diplomatici. Per quello che riguarda le due comunità detentrici, l’una del corpo, l’altra dei natali di Bernardino, diverso, anche se complementare, risulta alla fi ne l’impegno profuso. La repubblica senese, costretta ad abbandonare il proposito di poter recuperare il cadavere, si impegna nell’attività di propaganda della santità del religioso ottenendo alcune reliquie ad investendo denaro e personale diplomatico per perorare la causa in curia romana. L’Aquila, per converso, organizza le possibilità di contatto con il corpo e gestisce gli immediati problemi di ordine pubblico legati alla devozione popolare facendo bene attenzione a registrare in publica forma i miracoli che cominciano a verifi carsi. Diverso è invece l’interesse di Alfonso d’Aragona per il buon esito di questo processo di canonizzazione da lui stesso promosso ed utilizzato come un’importante pedina nel suo personale scacchiere diplomatico. La canonizzazione di Bernardino, morto in una delle più potenti roccaforti delle pretese angioine, diviene, nelle mani di Alfonso uno strumento di rilievo per affermare il riconoscimento della propria sovranità nella ancora sostanzialmente ostile cittadina del Regno nonché un elemento di assoluto rilievo della sua politica estera nel confronto con il pontefi ce Eugenio IV. La volontà di vedere Bernardino Notiziario bibliografi co 351 canonizzato fu condivisa anche dal papato romano che, nell’arco di tempo compreso fra la vita dello stesso religioso ed il negozio della sua canonizzazione, aveva visto ben tre pontifi cati caratterizzati dallo sforzo di riqualifi care la propria identità ed il proprio ruolo alla ricerca di una nuova collocazione non soltanto all’interno del mutato assetto politico del Patrimonio (all’interno della cui politica di recuperatio anche lo stesso Bernardino aveva contribuito con i suoi cicli di prediche) ma anche e soprattutto nei rapporti di forza tra gli Stati europei; una confi gurazione questa profondamente minata dalle conseguenze e dai rifl essi del Grande Scisma. Infi ne, ovvio rilievo assume la riconosciuta santità di Bernardino all’interno della fi sionomia dell’Osservanza minoritica: un imprescindibile riferimento per il perfezionamento di un riconoscimento istituzionale che sarebbe arrivato negli anni a venire soprattutto attraverso le fi gure di Giovanni da Capestrano e Giacomo della Marca, i miracoli e la fama dei quali sarebbero stati nondimeno legati alle reliquie del senese, e cioè, “realizzati in nome e per conto di Bernardino” stesso. Un libro insomma insomma che apre a notevoli letture (storica, politica, religiosa, agiografi ca, documentaria, giuridica) e che si presenta come un materiale assai ricco di suggestioni e di spunti di rifl essione dai quali partire nella formulazione di ulteriori ipotesi di lavoro.

BARBARA GELLI

ANNALISA PEZZO, Le tesi a stampa a Siena nei secoli XVI e XVII. Catalogo degli opuscoli della Biblioteca comunale degli Intronati, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011 (Biblioteca di Redos, fonti, studi, cataloghi, 1), pp. 238, [2]. ISBN 97888- 3662416-4

Studio di grande pregio, condotto da Annalisa Pezzo, responsabile del fondo di incisioni del Gabinetto disegni e stampe della Biblioteca senese, con un lungo percorso di ricerca che ha preso avvio con la tesi del dottorato (2004) e la successiva di master di II livello presso l’Università degli Studi di Siena (2007). Con questo impegno la studiosa apporta nuova luce su importanti aspetti della cultura senese nel settore del mondo universitario, ecclesiastico sia in rapporto all’autorità episcopale che agli ordini religiosi (soprattutto gesuiti) e non ultimo in quello degli studi bibliografi ci dedicati alla produzione tipografi ca senese. Università e stampa (e ancor prima la produzione manoscritta) sono sempre state unite e correlate, fi n dalle origini della tipografi a mobile, si pensi a Parigi, a Bologna e alla stessa Siena dove l’introduzione della nuova tecnica di produzione ha origine e stimolo nell’età degli incunaboli proprio dalle richieste dell’Università: con una storia, per la città toscana che continua anche dopo la caduta della repubblica seppur l’Università attraversasse tempi diffi cili, come documentano i contributi di Prunai, di Marrara e di Catoni, proseguendo anzi anche nel XVIII secolo. Il legame tra città, tipografi a, librai e commercio librario, studiato questo di recente da Bastianoni 352 Notiziario bibliografi co

(2006) nasce proprio, nonostante il parere di Luca Bonetti nella premessa alla stampa dell’Hortensio, da un legame trovato tra città, nobiltà, erudizione, accademia, studi, di rimarginare le ferite della guerra, in una diffi cile politica granducale che si inquadra nelle vicende tipografi che fi orentine dei Giunti e dei Torrentino, e se Cosimo preferisce costruire il forte di Santa Barbara per controllare occhiutamente la città, i suoi successori Francesco e Ferdinando, ispirati dai loro consiglieri, cercheranno di dar nuova energia allo Studio senese. Il Catalogo raccoglie gli opuscoli relativi alle tesi a stampa conservati nei fondi della Biblioteca comunale senese: se ne presentano settanta edizioni (la numero 37 è catalogata in due emissioni) per un totale di 93 esemplari, impresse tra 1577 e 1692 nella massima parte da tipografi senesi (sulla situazione della tipografi a e dei librai senesi si vedano ora i nuovo dati offerti da Daniele Danesi, Tipografi , editori e librai a Siena, 1502-1650 circa, “La Bibliofi lìa”, CXV, 2013, pp. 25-40): Luca (dal l571 al 1609, a cui proprio ora Elisa Boffa ha aggiunto un unicum del 1599 posseduto dalla Biblioteca Nazionale di Francia; cfr Boffa, Un saracino nel 1699: note su un’inedita testimonianza della Giostra, “Notizie di Storia”, XV, 2013, 30, pp. 16-18) ed Emilio Bonetti (1609- 1629), la Tipografi a del pubblico (dal 1630 su cui De Gregorio 1990), Matteo Florimi (1601-1612) (cfr Volpe 1997, Boffa 2003), che produsse incisioni sciolte di carattere religioso e geografi co e serie di stampe), Silvestro Marchetti (1599-1622, poi attivo in Pisa), Ercole Gori (1608-1647; cfr Boffa 2006/2007), e non senesi (ma in minima parte: tre edizioni dei fi orentini Sermartelli, Nesti e del romano Komareck). L’inizio del censimento è stato il manoscritto (P.IV.3-4) Annali della stamperia senese, di Scipione Bichi Borghesi (su di lui, Siena 1811-1877, si veda ), integrato dallo spoglio del catalogo della raccolta, per le donazioni (notevole quella di Gianfrancesco Gamurrini catalogato alla scheda 1, o il blocco entrato nel 1953). La monografi a, contiene una importante parte introduttiva “Theses publice disputationi expositae”. Dispute e tesi a stampa nei secoli XVI e XVII (pp. 9-70) che puntualizza lo stato degli studi, in Italia e all’estero, su questo genere di pubblicazioni, soprattutto a Bologna per gli studi di Cencetti (1938), Albano Sorbelli (1941) e Zita Zanardi (1996 e 2003) e in parte anche dal contributo di Ugo Rozzo, La strage ignorata. I fogli volanti a stampa nell’Italia dei secoli XV e XVI, Udine, Forum, 2008, pp. 124- 126. Il volume è anche completato da una ricca appendice (pp. 175-221) divisa in due parti: la prima relativa agli autori delle tesi con riferimenti alle fonti archivistiche, la seconda, che è costituita da una tavola sinottica, elenca tutti gli opuscoli, ad oggi noti, stampati a Siena e posseduti dalle raccolte cittadine oltre che da biblioteche di altre città (in primis la Biblioteca Apostolica Vaticana, le biblioteche fi orentine e toscane), con l’aggiunta di quelle ricordate da Bichi Borghesi non rintracciate al momento, che aumentano, nel complesso di 53 unità quelle catalogate; segue poi un’ampia sezione delle fonti archivistiche e manoscritte utilizzate, una fi tta bibliografi a (pp. 222-232) e un indice dei nomi citati (pp. 233-238). Dal punto di vista tipografi co ed editoriale le tesi costituiscono un materiale in lingua latina, rispetto alla preponderanza in volgare della produzione tipografi ca senese, raro; si ritiene che la loro tiratura non fosse elevata e che le copie stesse passassero tutte in possesso degli autori dal momento che negli inventari, della tipografi e e delle librerie Notiziario bibliografi co 353 senesi – riportate in De Gregorio e Bastianoni – mi sembra che non siano presenti nei depositi di magazzino. Le tesi senesi, com’era uso comune, venivano stampate sia sotto forma di opuscoli (cui si riferisce in particolare la presente catalogazione) sia di fogli volanti. Si deve sottolineare inoltre che, nella non facile situazione del mondo della tipografi a senese, esse offrissero ai tipografi – ma ciò vale con maggiore certezza per Florimi e la successiva Tipografi a del pubblico – una fonte d’entrata non secondaria assieme alla produzione di fogli volanti, di operette religiose, o di materiale per gli uffi ci dello stato. Lo studio ha inoltre il grande pregio di mettere in rilievo la partecipazione di artisti e incisori al lavoro di approntamento con frontespizi, fregi, spesso araldici, e poi antiporte, che evidenziano un altro fi lone essenziale della produzione artistica senese specialmente nel caso di Matteo Florimi. Con “il passaggio dagli schemi compositivi assestatisi tra la fi ne del secolo XVI e l’inizio del XVII – che prevedevano lo stemma affi ancato da fi gure allegoriche, inserito in un contesto di riferimenti simbolici relativamente semplici e leggibili – a vere e proprie scene, spesso di elevata densità concettuale” (p. 22) dove il concetto si traduce in immagine e valga la pena di citare l’illustrazione della tesi n. 29 di Flaminio Del Taia, stampata da Gori nel 1623 con l’allegoria Gonzaga, o la successiva, sempre di Del Taia, con l’allegoria Borghese incise entrambe da Orazio Brunetti, la seconda su disegno del Rustichino, o la successiva ancora di Carlo de’ Vecchi (n. 31) o l’allegoria dei Medici “Foelix ab ordine virtus” (n. 34) stampata a Firenze da Nesti nel 1634, o quelle che si devono a Raffaello Vanni (al n. 38), e a Bernardino Mei del 1655 (al n. 53). Non resta in fi ne che sottolineare la non meno importante cura dell’editore, sia nella grafi ca del testo che nelle riproduzioni fotografi che, che contribuiscono a rendere il volume un “oggetto” di pregio, come sempre ci si deve aspettare da un libro che parla di libri.

PIERO SCAPECCHI

DONATELLA CHERUBINI, Stampa periodica e Università nel Risorgimento. Giornali e giornalisti a Siena, prefazione di Antonio Cardini, Milano, Franco Angeli, 2012, pp.313.

Titolo e sottotitolo di questo libro indicano la struttura portante della ricerca dell’Autrice, ma il quadro generale che il volume presenta offre un’effi cace e penetrante analisi della storia sociale e politica di Siena dalla fi ne del XVIII secolo agli anni post- unitari. Questa storia così densa e articolata è divisa da Donatella Cherubini in quattro parti; per ognuna di esse si possono individuare alcuni personaggi , attraverso i quali dar conto – nei limiti di una recensione – del contenuto delle stesse. 354 Notiziario bibliografi co

Nella prima parte – “Tradizione editoriale e Università dal ‘700 alla Restaurazione “ – spicca la fi gura di Giacomo Sacchetti, un sacerdote originario del Valdarno, che fu presidente e primo assessore dell’Accademia senese dei Tegei, poi unifi cata con quella degli Indigenti, e che tentò di fondare un’Accademia a carattere nazionale, ambizioso progetto, già nella mente di Ludovico Antonio Muratori e di Ippolito Pindemonte. Con gli stampatori senesi Luigi e Benedetto Bindi, Sacchetti riuscì a pubblicare nel 1799 un “Giornale dell’Accademia Italiana”, col quale egli si proponeva di “promuovere il buon gusto nelle scienze, nelle arti e ne’ cultori medesimi (e) di differenziarsi contro l’odio, l’invidia, la malignità, la calunnia eccessivi nei giornali”. Non ostante l’impegno per la diffusione del periodico tramite contatti con molti ‘libraj’ in Italia e in Germania, la pubblicazione di esso non andò oltre il primo numero. Per vendere copie del “Giornale” si era impegnato anche un altro stampatore e libraio senese, “quell’Onorato Porri, la cui bottega si avviava a diventare un fondamentale punto di riferimento dell’800 senese e che avrebbe stampato anche gli “Atti” dei Fisiocritici del 1808 “ (p.61). Altrettanto signifi cativi sono due personaggi della seconda parte del libro, “Dalla Restaurazione all’editto sulla stampa”: Giovanni Valeri e Celso Marzucchi. Del primo, docente di diritto nello Studio senese, tramite i documenti tratti dalla Biblioteca Chelliana di Grosseto e dal Fondo Vieusseux della Biblioteca Nazionale di Firenze, si rilevano i meriti come diffusore delle idee di Romagnosi e come collaboratore dell’ “Antologia”, notandone poi alcuni tratti particolari, in sintesi espressi in certi messaggi agli studenti: “La povertà mi è cara, né sono ambizioso; chi mi ama dunque mi lasci nella mia pace”; e ancora: “Voi che la contentezza mia siete per sempre, voi che sarete per sempre l’orgoglio mio, giurate in cuor vostro, insieme con me giurate: né per volger di tempo, né per cangiar di fortuna, né per mutar di luogo, non mai si manchi al vero, il vero non sia mai da noi tradito”. Proseguendo sull’ “Antologia” l’insegnamento del Valeri, Celso Marzucchi agiva nella Congrega senese legatasi poi alla mazziniana Giovine Italia, fi nchè nell’ottobre 1832 fu destituito dalla sua cattedra di Istituzioni civili. A sua consolazione Vincenzo Salvagnoli aveva scritto: “Le stampe sono le migliori cattedre del mondo”. Le pagine della terza parte, dal titolo “Stampa periodica e Università nel 1847- 1849”, illustrano proprio questo ruolo dei giornali attraverso la storia del “Popolo” e di chi dette a tale foglio la linea editoriale, cioè Francesco Corbani, docente di Economia sociale nell’Ateneo senese. Candidato alle elezioni politiche del ’48, Corbani si presentò in netta contrapposizione alla tradizionale classe dirigente aristocratica locale e prese pubblicamente uno stimabile impegno: “Nel mio modo di pensare, un Cittadino non può cumulare più provvisioni, e se i deputati devono godere di una indennità, io qualora fossi scelto all’onorevole offi cio, dovrei per coscienza renunziare all’assegnamento come professore pel tempo della durata delle sessioni” (p.205). Il volume di chiude con la quarta parte – “Dalla seconda Restaurazione alla stampa post-unitaria”- dove campeggia un protagonista assai vivace: Giuseppe Bandi. Studente a Siena nel 1851, si prende subito quindici giorni di arresti di rigore per aver risposto ironicamente ad una imposizione poliziesca. Stretto collaboratore di Garibaldi nell’impresa dei Mille e autore di alcuni libri di memorie sulle lotte risorgimentali, fu Notiziario bibliografi co 355 il primo direttore della “Gazzetta di Livorno” e fondatore del “Telegrafo”, il giornale dove nel 1894 condannò il mortale attentato al presidente della Repubblica francese Sadi Carnot. Questa presa di posizione gli costò la vita: fu infatti ucciso da un anarchico perché accusato di aver tradito gli antichi ideali. Le ultime pagine del volume sono dedicate ad una penetrante illustrazione della realtà culturale e politica post- risorgimentale, esaminata alla luce delle nuove testate della stampa periodica senese. Una di queste testate fu “Il libero pensiero”, diretto da un vecchio garibaldino, Francesco Cellesi. Per mancanza di abbonati e registrando “l’apatia dei tempi”, egli fu costretto a chiudere il giornale dopo soli nove numeri nell’ottobre 1864. Anche per l’Università di Siena dopo la legge Matteucci, che la qualifi cò come “secondaria”, i primi anni post-unitari furono diffi cili. Simbolicamente – scrive Cherubini (p.295) – questa fase della storia dell’Ateneo è segnata dalla morte di Francesco Corbani, di colui, cioè, che in un‘adunanza del Circolo Popolare Senese tenutasi al Teatro dei Rozzi aveva così sinteticamente spiegato il termine ‘democrazia’: “l’interesse di tutti sviluppato con l’opera di tutti”.

GIULIANO CATONI

CARLO NEPI, Una città laboratorio Gli anni senesi di Giancarlo De Carlo, Siena, Sal- vietti & Barabuffi editori per Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2013, pp. 235.

La presenza a Siena di Giancarlo De Carlo (1919 – 2005), uno dei protagonisti del dibattito novecentesco sull’architettura e sull’urbanistica, ha contrassegnato una fase cru- ciale della vita della città: ora deve essere valutata non solo per i piani impostati o per le opere realizzate, ma per le rifl essioni, le provocazioni, le idee profuse con appassionata generosità lungo poco meno di un ventennio. Il merito principale della ricerca di Nepi consiste, appunto, nella delimitazione molto larga del campo d’indagine, oltreché nell’in- quadramento delle vicende senesi entro il panorama di un lavoro sempre sorretto da un’alta tensione teorica e da un combattivo fervore militante. Sarebbe stato vano rico- struire il percorso accidentato e tortuoso che a De Carlo toccò affrontare in Siena trascu- rando i nodi e gli interrogativi che si ponevano in quegli anni in altre simili o correlabili situazioni. Una scelta di questo respiro mette, invece, al riparo le acute e documentatissi- me pagine dell’A. dalla rilevazione dell’episodio esemplare o dalla cronaca minuta, ed esclude anche toni da testimonianza. Il contesto politico-amministrativo è appena accen- nato: Nepi dirige i rifl ettori sulla biografi a intellettuale di De Carlo tenendola distinta dalle contraddizioni e dai contrasti dell’ambiente che frenò slanci e condizionò esiti. Pur avendo seguito da vicino le traversie e le diffi coltà incontrate da De Carlo, Nepi non as- sume mai le vesti di chi ha avuto il vantaggio di una collaborazione diretta e costante, di chi ha condiviso con ammirazione di apprendista ambizioni e metodi, ma punta all’ogget- 356 Notiziario bibliografi co tività: gli interessa capire – e far capire – come andarono le cose, e quali furono i rappor- ti tra analisi e risultati, tra intenzioni e effetti. De Carlo cominciò a frequentare Siena con uno sguardo interessato al destino della città nel 1973, in occasione di un convengo su “Centri storici e territorio” organizzato da Comune e fi n d’allora avvertì l’incontro come una chiamata. Cominciò a vedere Siena in una maniera diversa dal consueto: “Ero attivo – dichiarò in un’intervista –, dovevo fare qualcosa che avrebbe introdotto dentro questa città alcune idee che avrebbero circolato, sarebbero state riprese”(cit. p.18). Egli si sente investito di una responsabilità civica: e l’ottica dalla quale osserva attinge al suo arma- mentario culturale non meno che alle inquietudini di un cittadino qualsiasi. Leggendo il saggio di Nepi ci si rende conto di quanto l’attiva presenza critica di De Carlo abbia pe- sato, al di là della sua stessa consapevolezza e oltre i circostanziati impegni tecnici affi da- tigli, in una fase di problematica transizione. Il piano regolatore entrato in vigore nel 1959 si andava esaurendo ed era stato aggredito da una serie di varianti ad hoc che, seppur predisposte perlopiù dallo stesso Piccinato – varianti d’autore, quindi – avevano fi nito per travisare se non per deformare la fi losofi a dell’originario disegno. Invece che una netta opzione per una crescita unidirezionale verso nord avevano preso corpo una serie di inse- diamenti a costellazione che, talvolta saldandosi, avevano prodotto una confusa conti- nuità, diseconomica e illogica. Di qui la convinzione che era il momento giusto per metter mano ad un piano intercomunale in grado di collocare gli svolgimenti e le aspirazioni del capoluogo in una dinamica comprensoriale. E il P.I.C. (Piano Inter-Comunale di Siena, comprensivo di un area molto vasta, che oltre al capoluogo abbracciava Monteriggioni, Sovicille, Buonconvento, Asciano, Rapolano, Monteroni, Castelnuovo Berardenga, Mon- talcino, Chiusdino, Monticiano, Murlo, San Giovanni d’Asso e San Quirico d’Orcia) fu fatto con molta fatica e tra polemiche continue: a conclusione del mandato (1973), il Consiglio comunale si era limitato a prenderne atto. All’orizzonte, poi, c’erano l’esigenza di raccordare lo sviluppo dell’edilizia universitaria e dei servizi relativi con le residue vigenti previsioni per il nucleo urbano e la pressante domanda del Monte dei Paschi di costruire sedi fuori le mura per collocarvi servizi moderni, non più contenibili nei volumi ubicati entro la città. Inoltre era urgente concretizzare un piano di edilizia economia e popolare attiguo al Policlinico in località San Miniato, possibilmente con criteri che non replicassero l’ovvia tipologia adottata nell’immediato dopoguerra. Più tardi sarebbe emerso – meglio: riemerso – l’annoso tema della riconversione dell’antico complesso ospedaliero del Santa Maria della Scala a scopi museali e culturali. Giancarlo De Carlo, che s’era confrontato con problemi analoghi in contesti importanti e con seducente vigore speculativo, si pensò fosse la personalità più adatta alla bisogna. Basti citare la sua parte- cipazione al Piano Intercomunale Milanese (secondo schema), la fi losofi a prospettata per Pavia, Dublino, Urbino circa le relazioni città-università, e la sua insistenza sulla parteci- pazione, che avevano avuto a Rimini nel Quartiere San Giuliano e nel recente Quartiere Matteotti di Terni (1969 - 1974) capitoli di grande rilevanza, anche politica. Innegabil- mente a favorire la scelta di De Carlo fu anche una non incidentale consonanza di idee e la sua rivendicazione di un’architettura “partigiana” (p. 109) e innovatrice. Purtroppo l’andamento dell’esperienza di De Carlo e dei suoi collaboratori, della sua sperimentale progettazione “tentativa” (cit. p. 117) dette risultati assai inferiori alle aspettative suscita- te. Sui motivi che ridimensionarono gli entusiasmi il saggio di Nepi s’intrattiene con Notiziario bibliografi co 357 scrupolosa onestà, evitando di cadere nelle facili recriminazioni sulle occasioni perdute e mettendo in luce la qualità degli apporti via via offerti da De Carlo, certo destinati ad avere una risonanza di lunga durata e ad alimentare la fase più ardua in Siena del confron- to sull’urbanistica, prima che la categoria fosse derubricata o si dissolvesse in una confu- sa rete di spinte “territoriali”, compromessa da una perversa contrattazione di natura fon- damentalmente privatistica. L’incarico a De Carlo per la redazione del piano di San Mi- niato – a regime vi avrebbero insistito circa 15.000 persone – fu deliberato all’unanimità dal consiglio comunale nel 1975, ma sia l’assessore all’urbanistica, l’architetto Fabrizio Mezzedimi, che il sindaco Canzio Vannini (1975 – 1979), dovettero impiegare massicce dosi di mediatrice pazienza e diplomatici accorgimenti per tenere insieme una disomoge- nea équipe lottizzata secondo i più usuali classici (e deprecabili) criteri. Quando ha evo- cato gli anni senesi Giancarlo De Carlo non ha nascosto rabbia e disillusione, fi no a rin- negare la sua paternità al piano di San Miniato, analogo nella disposizione delle volume- trie al ventaglio dei collegi di Urbino, determinato nello strutturare quella periferica espansione come un brano di città da connettere alla matrice con tecnologie avanzate – una linea di trasporto in sede propria – e in autonoma omologia di forme e soluzioni: “l’occasione – confesserà amareggiato De Carlo dieci anni dopo aver chiuso con un’av- ventura intrapresa con lucido coraggio – ed io mi ero impegnato molto: probabilmente in quella circostanza ho fornito uno dei miei apporti più qualifi cati”. L’orgogliosa rivendica- zione (p. 52) va accolta. Da condividere sono pure le accuse ad una politica – un modo di far politica – che nell’insieme non riuscì, neppure nelle sue articolazioni “progressiste”, ad accettare la sfi de, a dar sostegno alle fi nalità proposte con lungimiranza e destinate ad un inglorioso, “lento inabissamento”(p. 92). La committenza aveva voluto aggirare con una scorciatoia la strada principale. Non se la sentiva di avviare la redazione di un nuovo piano regolatore generale avvertendo i pericoli che si sarebbero corsi per la fragilità degli equilibri politici interni alla maggioranza di sinistra e si preferì traccheggiare discettando ripetutamente di “riconsiderazione” del vecchio, esausto piano. “Non è diffi cile capire che – chiosa l’A. (p. 51) – attraverso il piano particolareggiato San Miniato-La Lizza, si tentava, in realtà, di affrontare un compito ben più ampio e complesso [di quello assegna- to con l’incarico relativo all’area di San Minato, n. d. r.], quello di riconfi gurare intera- mente un cospicuo settore della città, un’operazione che avrebbe avuto rifl essi e conse- guenze notevoli sull’intera struttura urbana”. Erano tutte campate in aria le obiezioni di quanti – come Achille Neri (p. 155) – ritenevano forzata la pretesa unitarietà, o addirittu- ra unità, tra la zona attorno alla Fortezza e quella che attorniava il nuovo Policlinico? Fatto è che i nodi non furono sciolti e San Miniato attende ancora un plausibile – non impossibile – soddisfacente compimento sociale e funzionale. Sorprende, semmai, che, in epoca di forte rivendicazione del primato pubblico e assembleare nei processi decisionali, De Carlo avesse energicamente sottolineato la necessità che a gestire un sistema tanto complesso, oltretutto immaginato da più enti, fosse una sorta di agenzia, un organismo, comunque, forte di una sua riconosciuta autorevolezza e non rallentato o bloccato dalle farraginose procedure amministrative municipali. A riprova che i mai sopiti furori anar- chici di De Carlo sfociavano in una caparbia razionalità volontaristica, rifi utandosi di soggiacere al credo esaltato da una sinistra più proclive, per “un tipico atteggiamento ideologico dei primi anni Settanta” (p.127), all’alchimia delle formule rassicuranti che a 358 Notiziario bibliografi co battersi per la sostanza delle “utopie concrete” (cit. p. 207). Le accuse di utopismo si sprecarono e toccarono un nervo scoperto: “L’utopia – aveva detto De Carlo in una cele- bre lezione del ’71– così come è comunemente intesa, è un’immagine impossibile perché deriva da una completa alterazione del contesto; nel senso che non tiene conto delle va- riabili che costituiscono la realtà alla quale la nuova immagine si contrappone”. E prose- guiva argomentando che “se invece si tiene conto di tutte le variabili in gioco e si suppo- ne che le loro relazioni possano essere diverse – perché di fatto potrebbero esserlo – allo- ra l’utopia è realistica”. Il pre-progetto di De Carlo non ebbe i sostegni desiderati. I duel- li giuridici occultarono i veri dilemmi. L’arrogante ingombro della Camera di Commercio è ancora lì. Il nuovo snodato edifi cio culminante nella leggera torretta tecnologica – pro- vocazione delle provocazioni – è rimasto sulla carta, come tutti gli altri progetti di un ben organizzato concorso (1988) che non ha condotto a nulla. Sul Santa Maria della Scala lavorò l’I.L.A.U.D. (International Laboratory of Architecture and Urban Design) per quattro delle sue nove edizioni senesi (1982-1990): a testimonianza di un’esperienza vis- suta con giovane felicità in compagnia di maestri-colleghi ed insieme a studenti e docen- ti di dodici scuole americane e europee, restano pagine che tramandano di quell’intreccio labirintico di edifi ci un’interpretazione penetrante e commossa: “Quando si compie – scrisse De Carlo (cit. p. 124) – il recupero di un complesso non si recuperano soltanto i muri del complesso, si recupera una cultura”. E aggiunse: “Santa Maria della Scala, io credo, sarà recuperato quando conterrà, oltre le attività museali, altre attività complemen- tari delle attività museali che, articolandosi, a un certo punto diventano attività normali della città” (ibidem). Il laboratorio nella sua fase conclusiva approdò giusto all’interno del Santa Maria. “Saremo proprio nel cuore – annota esultante nel diario De Carlo – dell’edifi cio che progettiamo. Avremo modo di metterci in relazione fi sica costante col nostro problema”: un’indicazione di metodo, sperimentata anche a Urbino. Malgrado pa- ralizzanti o svianti restrizioni, malevolenze e scacchi subiti, la presenza di De Carlo in Siena è stata più feconda di quanto si ritenga. Più feconda e ascoltata, paradossalmente, di quanto lui stesso abbia creduto o fatto credere. Non coincide, certo, con gli impianti del Centro Universitario Sportivo da lui progettati e realizzati a metà o con gli Istituti biolo- gici eretti a San Miniato. Meditando sulle pagine di questo fi lologico e completo excursus si è portati, anzi, ad affermare, e non per doveroso omaggio, che perdura intatta una visio- ne esigente della città, nella quale confl uiscono rigore etico e coerenza intellettuale. Siena secondo De Carlo: vittorinianamente “nelle città del mondo”, sottratta al pigro conserva- torismo ostile “a ogni forma di linguaggio contemporaneo nell’arte e nell’architettura”, eccitante sede di un passato da declinare al futuro. Dove, notò l’architetto innamorato, le piazze “hanno ancora senso e per tutti – cittadini e viaggiatori – in loro stesse, nelle loro sequenze, nei rifl essi di quell’assoluta origine e destinazione che per ciascuna di loro è il Campo”.

ROBERTO BARZANTI

SEGNALAZIONI

DIOCESI DI GROSSETO - UFFICIO BENI CULTURALI ECCLESIASTICI, Restauri e valorizzazione del patrimonio artistico. Contributi per l’Arte in Maremma, Vol. III, a cura di Olivia Bruschettini, Arcidosso, Effi gi, 2013, pp. 296

L’Uffi cio Beni Culturali della Diocesi di Grosseto promuove da qualche anno lo studio e la ricerca sul patrimonio storico artistico della Provincia. Questi studi sono stati raccolti e pubblicati nella collana “Contributi per l’Arte in Maremma”, curata da Olivia Bruschettini, responsabile dell’Archivio storico della Diocesi, che si è a volte avvalsa di altre collaborazioni; la collana prevede la pubblicazione sistematica di importanti saggi a carattere storico, artistico ed architettonico di questo territorio; il primo volume, Arte antica in Maremma dal XII al XVI secolo, è uscito nel 2009, al quale ha fatto seguito nel 2010 San Francesco a Grosseto. Il convento e la chiesa – Ipotesi per una collezione di opere d’arte (fuori collana, ma sempre promosse dall’ Uffi cio beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Grosseto e curate dalla dott.ssa Bruschettini, sono anche usciti nel 2009 Colle Massari nel Sasso di Maremma e nel 2012 Montecucco tra la terra e il cielo). Questo terzo volume dei Contributi, fi nanziato dalla Fondazione Bertarelli, contiene una raccolta di saggi molto differenti tra loro, che hanno, però, in comune il fatto di essere stati realizzati in occasione di importanti restauri, ristrutturazioni, o iniziative rivolte alla tutela, alla salvaguardia ed alla valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, effettuati nella Provincia di Grosseto sia da funzionari della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Siena e Grosseto, o della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Siena e Grosseto, sia da quelli della Soprintendenza archivistica della Toscana, sia anche da storici dell’Arte, che hanno offerto lo spunto per approfondire la conoscenza di emergenze culturali fi no ad oggi poco studiate, se non del tutto ignorate. Il volume fornisce importanti contributi scientifi ci raccolti in anni di studio. La parte prettamente tecnica, in cui si descrivono i progetti di intervento e di restauro, è curata dai restauratori stessi; in questo modo la raccolta di saggi costituisce, quindi, un importante contributo divulgativo di queste iniziative ed una continuità meritevole a queste proposte, non solo rivolte alla conservazione, ma anche alla diffusione e valorizzazione di questi studi. Tutti gli interventi sono descritti dettagliatamente ed illustrati da un ricchissimo corredo iconografi co, che mostra la situazione precedente e quella successiva al restauro ed anche fasi intermedie; inoltre viene ricostruita la storia delle opere d’arte, di qualsiasi genere siano, architetture, pitture, sculture, stucchi e decorazioni, paramenti sacri, documenti e disegni, oggetto di questi lavori. È interessante, infi ne, notare come l’attenzione venga posta anche nei confronti del paesaggio naturale.

ENZO MECACCI 360 Notiziario bibliografi co

Badia Elmi. Storia ed arte di un monastero valdelsano tra Medioevo ed Età moderna, a cura di Francesco Salvestrini, Siena, Nuova Immagine, 2013, pp. 231.

Il volume curato da Francesco Salvestrini esce a conclusione di tre anni di ricerca effettuata da molti specialisti di vari settori disciplinari, promossa dall’Associazione Badia Adelmi onlus. Il nome (della località, come dell’associazione) deriva da Adelmo di Suppo, che, insieme alla moglie Gisla, fondò la Badia il 2 ottobre 1034, ricorrenza che viene festeggiata annualmente; nel 1073 passo all’Ordine camaldolense, alla dipendenze del monastero fi orentino di Santa Maria degli Angeli, fi no alle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi. All’importanza che ha rivestito nei suoi quasi otto secoli di vita non è stata certamente estranea la collocazione geografi ca sulla via Francigena fra Certaldo e San Gimignano. La pubblicazione, che oggi ci tramanda le vicende del monastero e ce lo descrive nei suoi aspetti artistici, è costituita da undici saggi, di altrettanti autori, che, dopo l’inquadramento introduttivo fatto dal curatore su Il monachesimo in Valdelsa dalla riforma ecclesiastica all’età comunale, ripercorrono la storia della Badia dalle origini ai giorni nostri da vari punti di vista, religioso, sociale, economico, artistico ed anche politico. I risultati delle ricerche non rappresentano soltanto un approfondimento delle notizie, che erano già conosciute, ma portano a nuove acquisizioni di grande interesse, insieme anche a piccole curiosità, come il fatto che al momento della sua fondazione (1034) la Badia fu data in proprietà all’imperatore Corrado II, il quale negli stessi anni (1030-1061) fondava la cattedrale di Spira, che aveva eletto a luogo della sua sepoltura (qui saranno poi sepolti altri otto imperatori); questa cattedrale è oggi stata dichiarata Patrimonio Unesco, come lo è San Gimignano, nel cui territorio si trova Badia Elmi. L’attività dell’Associazione Badia Adelmi onlus ha dato nuovo impulso allo sviluppo della Badia, che, soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, aveva vissuto una progressiva decadenza, ed ha promosso lo studio della storia locale, con il ricordo annuale della fondazione, il recupero dagli archivi di alcuni testi antichi, il programma triennale delle giornate di studio fi nalizzate a scoprire sempre qualcosa di nuovo. Il motivo di questo interesse alle vicende del passato è chiaro e perfettamente condivisibile, in quanto non vi può essere la valorizzazione di un territorio senza la conoscenza (e il rispetto) della propria storia. L’Associazione lo ha ben compreso ed è proprio per questo che ha inserito, prima di tutto, nel suo progetto di sviluppo della Badia la ricerca storica, della quale il presente volume rappresenta il tangibile risultato con la raccolta di saggi, che raccontano questo luogo particolare, visto di volta in volta da ottiche differenti, dalle origini fi no ai giorni nostri, mettono in luce le peculiarità di questa zona della Valdelsa e contribuiscono anche a creare un senso di identità ed una consapevolezza storica nei suoi (attualmente pochi) abitanti. Il libro, quindi, è in qualche modo messo anche al centro di questa inversione di tendenza, del passaggio da uno stato di declino, se non di abbandono, alla volontà di ripresa e sviluppo, della quale diviene premessa irrinunciabile, oltre che, naturalmente, un mezzo di diffusione ad un pubblico vasto non solo di appassionati, ma anche di semplici curiosi della storia locale, della conoscenza di una emergenza culturale di alto rilievo, fi no ad oggi (colpevolmente) rimasta nell’ombra, se non del tutto sconosciuta.

ENZO MECACCI Notiziario bibliografi co 361

FRANCESCO ANGELINI – ROBERTO FARINELLI, Il Tino di Moscona. Guida archeologica al castello di Montecurliano, Siena, Nuova Immagine, 2013, pp. 30.

A distanza di tredici anni dalla pubblicazione della Guida alla Maremma medievale, curata dallo stesso Roberto Farinelli, insieme allo scomparso Riccardo Francovich, viene qui riproposto il testo che riguarda il cosiddetto Tino di Moscona, rinnovato ed aggiornato in base a quanto emerso nelle successive ricerche sia di tipo archeologico, sia documentarie, che rendono ora possibile realizzare una guida specifi ca per il castello di Montecurliano, all’interno del quale si trova il “Tino”, una struttura del diametro di una trentina di metri, delimitata da una possente muratura a sacco dello spessore di circa due metri. Se questo rappresenta un vero e proprio unicum fra le fortifi cazioni medievali della Toscana, il castello stesso di Montecurliano ha una storia piuttosto singolare; non ha un’origina antica, ma venne fatto costruire dagli Aldobrandeschi nell’ultimo quarto del sec. XII, con l’intento di farvi trasferire la sede vescovile di Grosseto e, quindi, la città stessa. La piccola guida segue da una parte le vicende storiche di Montecurliano, dagli Aldobrandeschi alla Repubblica di Siena, e dall’altra ne tenta una ricostruzione, attraverso i rilievi topografi ci e quanto registrato nella “Tavola delle Possessioni”, l’importante catasto descrittivo di tutto il territorio senese, redatto tra il 1316 ed il 1320 a fi ni fi scali, che è una vera miniera di informazioni per la ricostruzione delle località della Repubblica. La pubblicazione si conclude con una dettagliata bibliografi a relativa non solo a Montecurliano, ma più in generale alle ricerche archeologiche ed all’incastellamento della Toscana meridionale.

ENZO MECACCI 362 Notiziario bibliografi co

MARCO LISI, Sulle tracce della Vernaccia dal XIII al XXI secolo, Siena, Nuova Immagine, 2013, pp. 143.

Non è facile trovare lavori di storia di un unico autore che siano esaurienti ed attendibili per il lungo periodo; infatti, le modalità di approccio e ricerca sono diverse fra il Medioevo, l’Età moderna e quella contemporanea. Questo vale anche per la storia del vino, che non è un argomento rivolto a pochi specialisti, ma è storia sociale, economica, dell’alimentazione e della cultura. Il nostro autore riesce in questa “impresa” e bisogna riconoscere che il suo profi lo dimostra che ha tutte le carte in regola per parlarci della Vernaccia nel corso dei secoli; infatti, Lisi ha ricoperto la carica assessore alla Cultura ed all’Agricoltura del Comune di San Gimignano, del quale è stato anche sindaco, è stato responsabile di Slow Food per la Valdelsa ed ha collaborato alla Guida dei vini d’Italia del Gambero Rosso. La sua è una ricostruzione storica di ampio respiro, che, se nasce, come dice l’autore, dal suo interesse per “la storia e le storie della gente, della campagna, dei boschi, degli alberi, dell’agricoltura, dell’ambiente naturale” e per “la straordinaria bellezza della città, le torri, le strade, le pietre, gli affreschi, l’architettura, le case, i palazzi, le chiese, i libri e i documenti della biblioteca e dell’archivio”, non rimane nell’ambito del localismo o, peggio, del campanilismo, ma lo studio di Lisi, pur essendo incentrato sulla Vernaccia di San Gimignano, si estende anche nel resto d’Italia per analizzare la diffusione del vitigno che ha dato origine a molte Vernacce su tutto il territorio nazionale, come è ben sintetizzato anche in alcune cartine tematiche. Non vi è neppure un fi ne promozionale; lo scopo che ha spinto l’autore a procedere in questo campo di ricerca è quello di fare chiarezza e di dare ordine alla storia del vitigno e di cercare di capire (e far capire) come la storia di questo vino sia intrinsecamente legata alla vita dei Sangimignanesi, che ha analizzato passo passo dal sec. XIII ai giorni nostri. Il libro è composto da cinque capitoli, che affrontano tematiche diverse; nel primo, già uscito nella «Miscellanea Storica della Valdelsa» e solo parzialmente modifi cato, l’autore passa in rassegna la presenza della Vernaccia e di tutti i suoi sinonimi nella letteratura. Nel secondo analizza le varie ipotesi fatte fi no a oggi sull’origine del vitigno e del nome. Nel terzo cerca di ricostruire le condizioni culturali e commerciali che ne hanno consentito prima il successo e poi il declino. Nel quarto capitolo ripercorre la storia sangimignanese del vino, legata fi n dalle origini alla produzione del vino Greco, oltre che della Vernaccia. Nel quinto, infi ne, Lisi ricerca le motivazioni della rinascita della produzione negli ultimi 50 anni e del successo della “nuova tradizione”, come è stata felicemente defi nita qualche anno fa dal Gambero Rosso. Una ricchissima bibliografi a e degli indici molto accurati concludono il volume e lo rendono facilmente consultabile.

ENZO MECACCI Notiziario bibliografi co 363

MARIA ASSUNTA CEPPARI RIDOLFI – PATRIZIA TURRINI, Montaperti. Storia Iconografi a Memoria. Saggio introduttivo di Mario Ascheri, «Documenti di Storia» 103, Siena, Il Leccio, 2013, pp. 113.

La battaglia di Montaperti, a lungo giudicata superfi cialmente come uno scontro campanilistico, è ormai universalmente riconosciuta dalla critica storica nel suo vero signifi cato, un evento di grande rilevanza, oltre ad essere una delle battaglie più cruente a cui la Toscana abbia assistito, che ebbe effetti rilevanti, pur se non di lunga durata, sugli assetti e gli equilibri italiani ed europei e nei rapporti fra Impero e Papato. Per Siena, inoltre, questa, anche se si colloca a pieno diritto nell’ambito della Storia, quella con la “s” maiuscola, rappresenta l’impresa più alta della sua storia militare e, quindi, nel corso dei secoli ha assunto quasi la valenza di un secondo mito delle origini, dopo quello di Senio ed Aschio. Forse è per questo motivo che il volume di Maria Assunta Ceppari Ridolfi e Patrizia Turrini è il quarto che la collana «Documenti di Storia» dedica a Montaperti (gli altri tre sono il n. 62, C. BELLUGI, La battaglia di Pievasciata ed lo scempio di Montaperti, del 2004; il n. 65, A. COLLI, Montaperti. La battaglia del 1260 tra Firenze e Siena e il castello ritrovato, del 2005; il n. 93, B. FRANCO, The Legend of Montaperti, del 2012). Non si tratta però di un volume ripetitivo rispetto ai precedenti, che sono anch’essi diversi fra di loro come impostazione, e questo non deve meravigliare, proprio perché la battaglia di Montaperti è un evento storico di grande portata e come tale non fi nisce mai di prestarsi a nuove interpretazioni o di far emergere nuove scoperte. Dopo le pagine introduttive di Ascheri, Maria Assunta Ceppari Ridolfi (Montaperti nelle fonti del Duecento) ci racconta la battaglia, gli antefatti, le conseguenze, rifacendosi alla documentazione duecentesca, quella, cioè, che, essendo più vicina agli avvenimenti, può forse non essere sempre oggettiva, ma non è ancora “deformata” dal nascere del mito. Fra le sue fonti, parte in latino, parte in volgare, troviamo racconti di protagonisti della battaglia (sia senesi, sia fi orentini), l’epistolario di Pier delle Vigne, il Libro di Montaperti; tutta documentazione di prima mano, la cui lettura ed interpretazione danno all’autrice la possibilità di offrirci una ricostruzione non solo degli avvenimenti, il più possibile aderente alla realtà, ma anche dei sentimenti con cui questi sono stati vissuti, dall’odio alla paura, dall’arroganza al coraggio, dalla superbia al dolore, in una narrazione piana, in cui al testo della Ceppari si alternano citazioni dai documenti, che riescono a far parlare i personaggi che vissero la vicenda e danno freschezza al racconto. Prima della battaglia i Senesi donarono la città alla Madonna: ecco il motivo del titolo della seconda parte del volume, quella curata da Patrizia Turrini: Le madonne di Montaperti. Un itinerario nella cultura materiale, fra storia, memoria e mito. Perché “le Madonne”, al plurale? Perché, spiega la Turrini, sono tre le immagini che in qualche modo si legano alla battaglia, o, per la precisione, due; infatti, la Madonna del Voto è stato dimostrato essere successiva al 1260 (opera di Dietisalvi di Speme realizzata intorno al 1270), mentre quella a cui si affi darono i Senesi è l’altra, la Madonna dagli occhi grossi, opera del Maestro di Tressa del 1215 ca., che oggi si conserva all’interno del Museo della Metropolitana. La terza è la Madonna con bambino ed angeli della Chiesa di Santa Maria dei Servi, dipinta nel 1261 dal fi orentino Coppo di Marcovaldo, per ottenere la libertà dopo essere stato fatto prigioniero a Montaperti. Questa sulle Madonne, però è 364 Notiziario bibliografi co solo una parte del saggio della Turrini, che si dedica anche ad altre tematiche, come ai rifl essi che Montaperti ha avuto nella Letteratura, le reliquie (vere o presunte, conservate o andate perdute) della battaglia. Altri spunti di rifl essione sono legati allo sviluppo della devozione ghibellina a S. Giorgio, protettore dei cavalieri, ma vengono presi in esame anche sigilli e monete; dall’analisi di quest’ultime emerge un altro elemento assai interessante: la dizione Sena Vetus, che si legge prima di Montaperti, diviene Sena Vetus Civitas Virginis in quelle coniate negli anni successivi. Interessante è anche la rifl essione su come l’avvento al governo cittadino dei guelfi , dopo la battaglia di Colle, non muti sostanzialmente l’impostazione politica dei ghibellini nell’avversione a Firenze, né quella religiosa nella devozione a S. Giorgio e, soprattutto, nella dedizione alla Madonna, basti pensare al messaggio civile della maestà di Simone Martini.

ENZO MECACCI Notiziario bibliografi co 365

JACOPO FIORINO DE’ BUONINSEGNI, Bucoliche, a cura di Irene Tani, «Biblioteca Senese. Studi e testi» 4, Pisa, Edizioni ETS, 2012, pp. 132.

Lo sviluppo culturale di Siena e di Firenze ha sempre percorso strade diverse, a causa della rivalità che le divideva anche nei periodi in cui non si trovavano in aperto confl itto. Il genere bucolico, che nel ‘400 ebbe un discreto sviluppo in entrambe le città, pur se con esiti diversi dovuti alle differenze culturali, ha creato fra di loro un legame in gran parte incentrato proprio sulla fi gura di Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni, senese, ma esule a Firenze dal 1480 al 1482, dove proprio nel febbraio di quest’anno Bartolemeo Miscomini pubblica le Bucoliche elegantissime, nella quale raccolta si danno alle stampe le composizioni di quattro poeti, due fi orentini, Bernardo Pulci e Girolamo Benivieni e due senesi, Francesco Arzocchi e, appunto, il Buoninsegni. L’edizione, il cui titolo completo era Bucoliche elegantissime composte da Bernardo Pulci Fiorentino et da Francesco de Arsochi senese et da Hieronimo Benivieni Fiorentino et da Jacopo Fiorino de Boninsegni senese, che ebbe un buon successo (tanto da convincere l’editore a ristamparla nel 1494), era stata dedicata a Lorenzo il Magnifi co, al quale il Buoninsegni aveva chiesto asilo politico ed al quale offrì la sua quinta egloga, che si aggiunge alle prime quattro, composte anni prima e dedicate ad Alfonso di Aragona. Nel presente volume della collana «Biblioteca Senese» Irene Tani ci offre per la prima volta un’edizione critica delle Bucoliche del Buoninsegni; fatto non privo di rilievo se si considera che prima di oggi non era più stata pubblicata dopo i due incunaboli del Miscomini, ad eccezione di due stampe parziali, contenenti solo l’egloga IV, uscite fra fi ne ‘700 ed il primo ’800 (Egloghe boscherecce del secolo XV e XVI, Venezia, Antonio Zatta e fi gli, 1785 e Poesie pastorali e rusticali raccolte e illustrate con note del dott. Giulio Ferrario, Milano, Società tipografi ca de’ Classici Italiani, 1808). Questo rende superfl uo qualsiasi commento sull’importanza dell’iniziativa, che ci rende un testo praticamente sconosciuto di un personaggio di altrettanta scarsa notorietà, ma che ha ricoperto un posto non secondario nella scena politica senese della seconda metà del XV secolo e la cui opera doveva godere di una certa considerazione, come ci testimonia il fatto che la si trovi inserita nell’edizione del Miscomini, che è fuor di dubbio la più importante raccolta di bucoliche volgari del ‘400. Nella parte introduttiva la Tani ci fornisce una ricostruzione il più possibile dettagliata della vita del Buoninsegni (Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni: un poeta senese alla corte dei Medici), raccogliendo e mettendo insieme le scarse notizie documentarie che lo riguardano; inoltre dà una dettagliata descrizione dell’editio princeps delle sue Bucoliche (Buoninsegni e le Bucoliche elegantissime), mettendo così un altro importante tassello nella ricostruzione della storia letteraria senese.

ENZO MECACCI 366 Notiziario bibliografi co

MARIA ASSUNTA CEPPARI RIDOLFI, CECILIA PAPI, PATRIZIA TURRINI, La città del Costituto. Siena 1309-1310: il testo e la storia, introduzione di Mario Ascheri, Siena, Pascal Editrice, 2010, pp. 130.

È la Siena di inizio ’300 quella che rivive nelle pagine del libretto che le tre autrici dedicano al Costituto in volgare di Siena inserendosi a pieno titolo nel novero delle pubblicazioni volte a celebrare i settecento anni di questa eccezionale fonte normativa. Il testo è stato realizzato con il contributo del Soroptimist International Club di Siena e si propone come un agile strumento di divulgazione storica che, partendo dall’analisi del Costituto e dalle sue norme, conduce il lettore direttamente all’interno delle principali magistrature e istituzioni senesi, nonché dei fondamentali aspetti della vita sociale e dell’urbanistica senese nel corso di quella che è stata considerata l’età d’oro della storia di Siena. In particolare, per voler più effi cacemente sottolineare il ruolo-guida rivestito dal Costituto e rimarcare la sua straordinaria capacità espressiva, è stato scelto dalle autrici di concedere ampio spazio a corposi brani dell’opera i quali si trovano così ad affi ancare e a dare ‘viva voce’ al vero e proprio lavoro di ricostruzione storica. Il volume è preceduto da una breve introduzione di Mario Ascheri volta a contestualizzare e a spiegare l’origine della redazione dello statuto, seguono i saggi di Maria Assunta Ceppari, “Il Costituto in volgare: una presentazione per tutti”, di Cecilia Papi, “La città attraverso le norme del Costituto” e di Patrizia Turrini “Storia e struttura urbana della città del Costituto”. Chiude l’opera un breve glossarietto.

BARBARA GELLI Notiziario bibliografi co 367

OTELLO MANCINI – ANTONIO VANNINI, Cartusiæ prope Senas. Le certose in terra di Siena, con un saggio di Vincenzo Di Gennaro, Siena, Betti Editrice, 2013, pp. 225.

Il volume nasce dalla volontà di fra Antonio M. Pacini, ex priore del convento dei Servi di Siena, di far conoscere la chiesa della Certosa di Maggiano dove ha offi ciato, al quale si è unito don Brunetto Sartini, nella cui parrocchia è situata la Certosa di Pontignano, ed è stato concretizzato da due autori, Otello Mancini e Antonio Vannini, non storici di professione, ma cultori della storia dell’arte e della spiritualità ed appassionati di fotografi a, che sono riusciti a “costruire” insieme un volume che guida i lettori alla scoperta di due luoghi nei quali da sempre vivono in stretto connubio arte e spiritualità, come appunto sono le Certose di Maggiano e Pontignano, due delle tre costruite presso Siena, tutte del XIV secolo (la terza è quella di Belriguardo, che andò quasi completamente distrutta durante la Guerra di Siena e fu defi nitivamente abbandonata nel 1635). Indubbiamente il territorio senese era ben gradito ai monaci certosini, visto che qui furono costruite la metà di quelle, sei, presenti in Toscana, la prima delle quali in assoluto fu proprio quella di Maggiano (1314); ma c’è di più: infatti, gli autori, nella parte introduttiva, sottolineano come addirittura nel Senese di Certose se ne sarebbero potute costruire ancora altre due, in base ad altrettanti lasciti testamentari del 1368, che però furono poi “dirottati” sulla Certosa di Maggiano, per lavori di ammodernamento, e sul monastero olivetano di Sant’Anna in Camprena. Il legame fra Siena e l’Ordine certosino è stato sempre riconosciuto, non ostante questo, però, non esisteva fi no ad oggi uno studio complessivo e completo sulle Certose senesi, se si escludono due articoli usciti su “Il Carroccio” (M. PAVOLINI, Certosa di Maggiano, nel n. 60, novembre – dicembre 1995, pp. 43-45, e R. ROCCHIGIANI, Le tre Certose, nel n. 146, marzo – aprile 2010, pp. 73-80). Il presente volume, quindi, viene a colmare una vistosa lacuna nella bibliografi a sul territorio senese e lo fa in maniera completa, in quanto, se da una parte gli autori ripercorrono la storia e la vita all’interno dell’Ordine, evidenziando i motivi che hanno legato i Certosini ai dintorni di Siena, dall’altra ci danno una visione organica dei cicli pittorici che arricchiscono i due monasteri, rendendoli veri e propri scrigni d’arte. La decorazione pittorica non è soltanto analizzata attraverso la ricerca di archivio e descritta particolareggiatamente, ma riprodotta in un numero grandissimo di illustrazioni, tutte a colori e di pregevole fattura, che ci presentano ora immagini d’insieme, ora dettagli di particolari. La parte fi nale del volume (Miscellanea), curata da Vincenzo Di Gennaro, inizia con uno studio Degli interventi di Bartolomeo Mazzuoli nelle Certose senesi, per proseguire con una breve sezione dedicata alla terza Certosa, quella “scomparsa” di Belriguardo, venendo in questo modo a completare la trattazione sulle Certose senesi. L’ultima parte è tutta dedicata alla Lettera odeporica del canonico Angiolo Maria Bandini ed alla trascrizione di documenti a cui si riferisce.

ENZO MECACCI 368 Notiziario bibliografi co

PIERO BARGELLINI, San Bernardino da Siena, nota introduttiva di Maria Caterina Camici, («I Classici Cristiani», Collana diretta da Rodolfo Gordini), Siena, Cantagalli, 2012, pp. 266.

La Collana «I Classici Cristiani», nata nel 1925, insieme alla Casa Edirice, è se non il, senz’altro uno dei principali fi ori all’occhiello delle Edizioni Cantagalli, fi n dalle sue origini impegnata nella diffusione della cultura cattolica. Il presente volume, il n. 23 nella Nuova Serie (sono in tutto 315 i “classici” pubblicati), si riprone il lavoro di un giovane, allora, e promettente scrittore, Piero Bargellini. Infatti, il San Bernardino è un’opera giovanile del Bargellini, pubblicata nel 1932, che gli valse l’anno successivo il Premio Viareggio, con un corrispettivo economico non trascurabile per l’epoca. Un premio letterario per un’agiografi a potrebbe apparire singolare, ma se si scorrono le pagine del Bargellini, ci si rende conto del valore letterario del testo e dell’effi cacia della narrazione, della sua freschezza e puntualità, tanto che il libro viene paragonato non senza ragione ad un ciclo di affreschi nella nota contenuta nella bandella posteriore della copertina. Infatti, non solo il racconto dei vari momenti della vita del santo è vivo e scorrevole, ma questi vengono inquadrati ed inseriti in contesti geografi ci ben defi niti e ricchi di notazioni di particolari. Così, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, le vicende umane, la spiritualità, la predicazione di Bernardino degli Albizzeschi si snodano in questa legenda moderna come in un romanzo e come un romanzo scorre veloce sotto gli occhi il testo di Piero Bargellini. Anche la nota introduttiva di Maria Caterina Camici è degna di essere ricordata, perché ci fornisce l’inquadramento storico prima dell’autore e poi della predicazione del santo.

ENZO MECACCI Notiziario bibliografi co 369

FRANCESCA MONACI, PIERO SIMONETTI, Gavorrano alla fi ne del Medioevo. Lo Statuto del 1465, Roccastrada, Edizioni effi gi, 2009, pp. 213.

Edito grazie al contributo del Lions Club Alta Maremma e del comune di Gavorrano, vede la luce il primo numero della collana “Carte Antiche” curata da Francesca Monaci e dedicata allo studio di testi storici e giuridici. Il testo propone l’edizione dello statuto quattrocentesco della comunità di Gavorrano, giunto sino a noi in una copia della metà del XVIII secolo. Il registro originale è conservato presso l’Archivio di Stato di Siena e comprende, oltre alla redazione del 1465, numerose modifi che sino al 1744 di lunghissima durata normativa, giunto a noi in copia tarda proprio perché dotato di una sua precisa utilità pratica fi no all’occupazione napoleonica della Toscana. Esso, come, bene evidenziato da Mario Ascheri nella sua Presentazione, proprio in virtù di questa caratteristica, lo statuto può rappresentare un utile strumento per la comprensione della vita sociale, economica e linguistica “nate dall’esperienza locali […] di tante generazioni, una dopo l’altra”. L’edizione è preceduta da un breve capitolo di Piero Simonetti dedicato ad alcune notizie storiche relative al castello di Gavorrano dall’età antica sino XVIII secolo e da un glossario di Francesca Monaci volto alla descrizione delle magistrature e degli uffi ciali citati all’interno dello statuto. Completa l’opera l’utilissima riedizione aggiornata del saggio curato da Donatella Ciampoli, Statuti comunali editi o trascritti dell’area Senese-Grossetana (secc. XIII- XVII); strumento indispensabile per orientarsi all’interno del panorama degli studi dedicati all’analisi delle fonti normative senesi.

BARBARA GELLI 370 Notiziario bibliografi co

FRANCESCA VANNOZZI, L’esercizio dell’arte sanitaria in Siena (secoli XVI-XXI), «Territori» 6, Firenze, Nerbini, 2012, pp. 392.

Fra i vari aspetti della storia di Siena, sicuramente quello della Medicina è uno dei meno frequentati, soprattutto per quanto riguarda l’Età moderna; infatti, lo studio più importante sull’argomento, quello di Alcide Garosi, si ferma alla caduta della Repubblica (A. GAROSI, Siena nella Storia della Medicina (1240-1555), Firenze, Leo S. Olschki, 1958). Il libro di Francesca Vannozzi, che è docente di Storia della Medicina, viene, quindi, a colmare una lacuna in questo settore. La pubblicazione è inserita nella collana «Territori», che è dedicata a studi di carattere scientifi co concernenti prevalentemente il territorio toscano nei suoi aspetti storici, demografi ci, geografi ci, economico-ambientali e delle comunicazioni. La pubblicazione costituisce il risultato di approfonditi studi sia delle fonti archivistiche, sia delle collezioni di strumentazione scientifi ca conservate presso l’Università degli Studi di Siena, attraverso i quali vengono approfonditi i temi di storia della Medicina a Siena in Età moderna e contemporanea. La prima parte del libro si apre con una breve sintesi storica dell’insegnamento della Medicina nell’Università di Siena, che parte proprio dalla fi ne delle libertà repubblicane, dove si chiudeva l’excursus del Garosi, per giungere ai giorni nostri. I successivi capitoli sono delle piccole monografi e riguardanti tutte differenti aspetti della cultura medica e scientifi ca a Siena nel corso dei secoli, dell’insegnamento universitario e dell’attività ospedaliera nei suoi vari settori e specializzazioni. La seconda parte, invece, raccoglie i contributi di altri docenti, che offrono una testimonianza di quanto l’evoluzione della Medicina presenta o ha presentato nei loro ambiti specifi ci di lavoro. L’obiettivo che la Vannozzi si è posta nel momento di stendere il suo lavoro, come dichiara esplicitamente nell’introduzione, è quello di fornire un utile strumento per gli studenti, in maniera che imparino a usare la storia della Medicina come mezzo interpretativo delle attuali scienze mediche.

ENZO MECACCI Notiziario bibliografi co 371

Statuti della Comunità di Seggiano, edizione curata da Donatella Ciampoli con un saggio di Alessandro Dani, «Documenti di Storia» 102, Poggibonsi, Essebit, 2013, pp. 138.

La collana «Documenti di Storia» ci propone l’edizione di un altro Statuto di una comunità dello Stato senese, quella di Seggiano, uno Statuto stilato nel 1561, quindi subito dopo la caduta della Repubblica ed il suo assorbimento come Stato nuovo all’interno del dominio mediceo e conservato nell’Archivio Storico del Comune di Seggiano in una copia del 1744, mentre all’Archivio di Stato di Siena se ne conserva una del sec. XVI al n. 140 del fondo Statuti dello Stato. L’importanza di questa pubblicazione, promossa meritoriamente dal Comune di Seggiano, è duplice: da una parte c’è l’aspetto linguistico, dal momento che si tratta di uno Statuto scritto in volgare, che ci “fotografa” lo stadio di sviluppo della Lingua italiana al momento e nel luogo della sua composizione, rivelandosi, quindi una testimonianza di prim’ordine per la storia della Lingua; dall’altra la normativa di uno Statuto rispecchia sempre i rapporti economici, le consuetudini e la struttura sociale della comunità di cui è espressione. Un esempio per tutti: il capitolo 37 della quarta distinzione, Della pena di chi mette fuoco, stabilisce che “non sia alcuna persona che ardisca nella corte e distretto di Seggiano metter fuoco da calende di giugno fi no alli otto di agosto”; è chiaro che una norma del genere è istituita per prevenire il pericolo di incendio nel periodo più caldo e secco dell’anno, che qui si rivela essere assai breve: in un’altra posizione geografi ca le date indicate sarebbero indubbiamente diverse. La sua pubblicazione, quindi costituisce la base su cui fondare le ricerche per ricostruire la storia di Seggiano; oltre tutto il testo pubblicato riporta non solo la base statutaria del 1561 e le riforme del 1563, ma anche le addizioni fi no al 1744, data, come si è visto della copia presa per base dell’edizione. Proprio questa analisi è l’oggetto del saggio che Alessandro Dani premette alla trascrizione (Proprietà comunale, usi civici e possedimenti privati a Seggiano tra Cinquecento e Settecento: profi lo di un equilibrio fragile e complesso). Lo Statuto, come ci dice Donatella Ciampoli nella sua descrizione de Il registro dello Statuto conservato a Seggiano, era diviso, come gli Statuti di Siena, in cinque distinzioni, ma il loro contenuto si presenta in maniera leggermente diversa da quelle degli Statuti cittadini. Infatti qui troviamo la prima distinzione dedicata agli Uffi ciali ed Uffi ci del Comune, come a Siena, la seconda e la terza relative al diritto ed alla procedura civile ed a quella penale, mentre negli Statuti di Siena questo si trovava rispettivamente nella seconda e nella quinta distinzione, mentre la terza concerneva le proprietà ed i beni pubblici e la quarta quelli privati; nello Statuto di Seggiano, invece, la quarta è per il danno dato e la quinta contiene normativa di vario genere. Molto interessanti per chi volesse approfondire lo studio della comunità di Seggiano in generale, o di alcuni suoi aspetti, anche nell’ambito di ricerche di più vasto raggio, sono i due indici che sono posti all’inizio del manoscritto, quello delle materie notabili che si contengono nel presente libro e quello dei capitoli che si contengono nelle cinque distinzioni delli statuti e loro corezzioni del presente libro.

ENZO MECACCI 372 Notiziario bibliografi co

G. DELLA MONACA, La presa di Porto Ercole. Orbetello e il Monte Argentario nel XV e XVI secolo fi no alla fi ne della Guerra di Siena in Maremma, Arcidosso (GR), Effi gi, Edizioni costa d’Argento, 2010, pp. 304.

Celebrata in numerosi affreschi fi orentini del XVI secolo a partire da quello, più famoso, dipinto da Giorgio Vasari nel 1570 nel Salone dei Cinquecento, la presa di Porto Ercole da parte delle truppe imperiali e fi orentine è stata sin da subito decantata dalla propaganda gigliata come una delle più importanti conquiste di Cosimo I nell’ambito della cosiddetta “Guerra di Siena”. Il libro ripercorre in maniera particolareggiata gli eventi politici e diplomatici che furono all’origine della battaglia, ritenuta l’epilogo decisivo della guerra che nel 1555 portò alla fi ne della Repubblica senese. In particolare, l’autore analizza e ricostruisce la confi gurazione del sistema difensivo messo in atto dall’esercito senese e francese nella zona dell’Argentario confrontandosi con altri studi di carattere militare ed in particolare con il volume di Adams e Pepper nel loro Armi da fuoco e fortifi cazioni, Siena 1995). Nonostante il focus dell’opera si concentri principalmente sull’ultima fase della guerra, nel complesso, tuttavia (come chiaramente suggerito dal sottotitolo), la narrazione, si articola, soprattutto nella sua parte iniziale, in un più vasto excursus di informazioni storiche tese a confi gurare il ruolo militare, strategico, demografi co ed economico degli insediamenti maremmani facenti capo al Monte Argentario tra il XV e il XVI secolo. In quest’ambito, meritano menzione gli accenni dell’autore ad alcune modalità di sfruttamento economico messe in atto dalla Repubblica di Siena nell’utilizzo di questi scali portuali; informazioni tanto più interessanti in quanto tali da suggerire ulteriori indagini a riguardo, soprattutto in una prospettiva di comparazione con il più studiato porto di Talamone. La ricerca fa capo in gran parte a fonti inedite provenienti dagli archivi di Siena, Firenze, Orbetello e Piombino oltre ad una ricca e varia bibliografi a. Il libro, che risulta per lo più rivolto ad un pubblico di non specialisti, appare corredato da numerose schede cronologiche e biografi che nonché comprensivo di un accattivante apparato grafi co del quale si segnala la meritoria riproduzione di ampia parte dell’iconografi a e, soprattutto, della cartografi a relativa al Monte Argentario tra XV e XVI secolo attualmente frammentata in numerosi archivi.

BARBARA GELLI Notiziario bibliografi co 373

SIMONETTA SOLDATINI, La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Roccatederighi e il suo archivio (1881-1974), «Documenti di Storia» 101, Arcidosso, Effi gi, 2013, pp. 222.

L’estremamente prolifi ca collana «Documenti di Storia», fondata nel 1984 e tuttora diretta da Mario Ascheri, ha girato con questa pubblicazione la boa dei 100 numeri, che nello spazio di 30 anni non sono pochi. Il volume, che fa parte anche della collana «Archivi riemersi» delle Edizioni Effi gi, ci porta questa volta lontani dalla storia del periodo del Medioevo e della prima Età moderna, che è la caratteristica peculiare, anche se non esclusiva, dei «Documenti di Storia»; infatti solo una quindicina di volumi sui 100 pubblicati se ne distaccano. La ricerca della Soldatini prende in esame un periodo della storia contemporanea e riprende quel fi lone di studi sull’associazionismo operaio, che era assai diffuso dagli anni ’50 agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso, ma che poi è andato piano piano esaurendosi. Lo studio della Soldatini, serio ed approfondito, mette in luce l’importanza esercitata da quell’ambiente culturale ricco di idealità democratiche e risorgimentali, che si era radicato nella Maremma, per la nascita di questa come di altre Società di Mutuo Soccorso ed il ruolo svoltovi da quanti avevano partecipato alle battaglie risorgimentali. Il volume, pubblicato per iniziativa della stessa casa editrice, che vuole essere un contributo alla permanenza della memoria storica di Roccatederighi, è suddiviso in tre parti: la prima è una ricostruzione precisa e puntuale delle vicende della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Roccatederighi, dalla sua nascita nel 1881 al 1974, con l’analisi del suo organico sociale e dei servizi offerti alla collettività, quali l’assistenza ai malati, la cura dell’istruzione per i soci e le loro famiglie, i sussidi, le attività di prestito. Le origini vengono collocate in un più ampio inquadramento dell’ambiente socio-economico del territorio in cui il paese si trova, contribuendo così ad una ricostruzione storica che va oltre i confi ni di Roccatederighi. La seconda parte è costituita dall’inventario dell’archivio della Società Operaia di Mutuo Soccorso, la cui inventariazione permette di ricostruire fedelmente la storia e lo sviluppo della Società per quasi un secolo. Bisogna, inoltre, sottolineare come l’edizione di questo inventario si inserisca in un fenomeno più vasto, che vede, da un po’ di anni a questa parte il riordino e la pubblicazione nelle Province di Siena e Grosseto di inventari di archivi pubblici e privati, come contributo alla conoscenza della storia locale. La terza parte, l’Appendice, si rivela non meno interessante, perché, fra le altre cose, ci offre la riproduzione del Regolamento del 1881, dello Statuto della Società e di altri importanti documenti d’epoca.

ENZO MECACCI 374 Notiziario bibliografi co

ACHILLE MIRIZIO, La sorella dei poveri. Storia di Savina Petrilli, Siena, Fondazione Mon- te dei Paschi di Siena, Salvietti e Barabuffi editori, 2013, pp. 187.

Savina Petrilli (Siena 1851-1923) è stata una fi gura di spicco nel panorama dell’as- sistenzialismo cattolico senese fra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Protagonista di un “sapiente, ancorché non del tutto consapevole, dialogo con le questioni sociali (legate alle trasformazioni nel mondo del lavoro, specie femmi- nile)”, Savina Petrilli fondò l’Istituto delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina, dietro la complessa spinta della sensibilità nei confronti di un mondo che stava profondamente cambiando, da un lato, e, dall’altro, di un richiamo di ordine mistico. Achille Mirizio ricostruisce la fi gura della senese presentandola nel suo bilanciarsi fra una tradizione di devozione istituzionale da “devotio antiqua” (“di sapore medieva- le”, la defi nisce l’Autore) e le nuovi suggestioni religiose che (sulla spinta delle vicende dell’Italia risorgimentale) avevano costruito un vero e proprio nuovo culto intorno alla fi gura del Pontefi ce, rappresentato come un martire dell’anticlericalismo sabaudo. Formatasi prima presso le Figlie della Carità, a San Girolamo e, poi, presso la parrocchia di San Giovanni al Duomo, Savina è, ancora adolescente, fra le fondatrici dell’ “Unione Figlie di Maria”, già votata all’assistenza dei bisognosi, prime fra tutte, le giovani donne. Nel 1872, ventunenne, crea il primo nucleo del “suo” ordine e due anni dopo il suo gruppo si insedia nell’edifi cio di via dei Baroncelli che, da questo momento, diverrà la sede storica delle religiose. La vicenda di Savina Petrilli non si svolge affatto linearmente, dovendosi destreg- giare fra poteri curiali e spinte difformi, all’interno dell’ordine, sulla missione da svolgere e il taglio verso cui curvare l’esperienza religiosa del sodalizio, retta dalle costituzioni approvate nel 1906. Mirizio ricostruisce, oltre al cammino spirituale di Savina, anche lo sviluppo dell’ordine fuori Siena, prima, e fuori Italia (a partire dal Brasile e dall’Argentina), dopo, sottolineando come la scelta ponga di fatto l’ordine senese sul piano delle più importanti congregazione religiose assistenziali nazionali.

DUCCIO BALESTRACCI Notiziario bibliografi co 375

GIULIANO CATONI, Un talento contradaiolo. Virgilio Grassi (1861-1950), Siena, Fondazio- ne Monte dei Paschi di Siena, Salvietti e Barabuffi editori, 2013, pp. 125, 7 ill. b.n.

Curioso personaggio Virgilio Grassi. Nasce nel Leocorno, ma per un po’ di anni riveste il ruolo di cancelliere del Drago, a conclusione del quale mandato ritorna nella sua contrada per diventarne consigliere, poi vicario e infi ne Priore. Erano tempi “elastici” per quel che riguardava i ruoli dirigenti delle contrade: i capitani erano dei veri e propri pro- fessionisti (“manager” si direbbe oggi) che offrivano i propri servigi e le proprie capacità strategiche al miglior offerente (presentandosi, peraltro, con tanto di curriculum), e anche per altri ruoli nessuno si scandalizzava se un lecaiolo si prestava “pro tempore” al Drago (del resto fi no agli anni Sessanta era usuale che contradaioli di contrade più popolose an- dassero a rinfoltire le schiere di alfi eri e tamburini per il “giro” o addirittura per “entrare in Piazza” nelle contrade più piccole: una cosa semplicemente inconcepibile oggi). Di professione fa lo psichiatra al manicomio di San Niccolò, all’interno del quale contribuisce con rifl essioni statistico-cliniche al dibattito in uno degli istituti psichiatrici, all’epoca, d’avanguardia. Ma fra i ricoverati, Grassi sa riconoscere i “pazzi di genio” e con uno di questi, Emilio Mannini, pubblica a doppio nome una Guida storico-artistica del Duomo di Siena nel 1908, una gran parte della quale aveva precedentemente fatto pubblicare a puntate sulla “Cronaca del Manicomio”. Ama anche fare il giornalista e per il “Telegrafo” scriverà di Palio e di cultura. Ma la fama di Grassi è ancorata (e ci resterà per sempre) soprattutto ai suoi studi sulla storia del Palio e delle contrade. Sua l’edizione del Bando di Violante Beatrice di Baviera, commentato e interpretato, così come resterà nella memoria collettiva della città la sua intransigente difesa della “serietà” del Palio, in un’epoca nella quale il rito senese si confondeva quasi alla pari con altre manifestazioni da sagra paesana. Nel 1913 si op- pose fi eramente all’organizzazione di una corsa straordinaria proposta dall’associazione dei Commercianti, al solo scopo di attirare turisti in città (al pari delle due baracconate del palio a sorpresa, poi, per fortuna, non più riproposte, anche se di quando in quando, pure ai tempi nostri, non è mancato e non manca chi si lascerebbe anche tentare da idee improvvide e sciagurate del genere). L’agile volumetto di Giuliano Catoni ripercorre la biografi a di questo senese, ripor- tando in appendice anche alcuni scritti di Grassi, risalenti agli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento. DUCCIO BALESTRACCI 376 Notiziario bibliografi co

CONTRADA DELLA LUPA, Le pietre raccontano. Vallerozzi e dintorni. Testo di Lucca Luchini, «I Gemelli – Quaderni della Contrada della Lupa» 9, Siena, Contrada della Lupa, 2013, pp. 210.

La collana «I Gemelli», inaugurata nel 2003, è stata sempre dedicata, ovviamente, alla trattazione di argomenti relativi alla Contrada, ma anche spesso di interesse più generale per la città; uno per tutti si può ricordare quello del 2007, Zacchiroli a Siena dalla Contrada alla Città. Questo nono quaderno, che si differenzia dai precedenti per avere una consistenza di gran lunga maggiore, non si occupa, come potrebbe sembrare, soltanto di via Vallerozzi, citata nel titolo per la sua centralità e per essere il cuore della Contrada, ma riguarda in generale il territorio della Lupa, includendo anche parti di strade e piazze appartenenti alle consorelle confi nanti; l’analisi dell’autore riguarda, quindi, tutta quella parte di città che va da piazza Salimbeni e piazza dell’Abbadia a via Garibaldi e si spinge oltre le mura fi no alla stazione, anzi, alle stazioni, quella vecchia e quella nuova. Luchini, che ha ormai una consumata esperienza nel ricostruire le vicende del passato più o meno recente di Siena, ha diviso il suo lavoro in capitoli corrispondenti ognuno ad una via o una piazza; questi sono a loro volta suddivisi in due parti distinte: La storia e Vita vissuta, che indagano la storia del territorio da punti di vista differenti e che, di conseguenza, risultano interessanti per un pubblico diverso. Nella prima parte Luchini ci sintetizza l’evoluzione della strada presa in esame dalle origini ai giorni nostri, proponendo anche la documentazione relativa a pianifi cazioni e progetti non realizzati; in questo modo tali sezioni presentano motivi di interesse generale e sono rivolte a tutti coloro che, lupaioli e non, sono curiosi di conoscere le vicende urbanistiche della città, anche se limitatamente ad una sola zona del centro città. La seconda parte dei capitoli, invece, ricopre un arco temporale assai più ristretto, gli ultimi due secoli, e si può considerare essa stessa ripartita in due, in quanto vi si riportano sia tutte le attività economiche, le botteghe, le industrie, i laboratori che si sono alternati sul territorio, argomenti anche questi che possono interessare un pubblico vasto, sia vengono elencate, numero civico per numero civico, le famiglie di lupaioli che vi hanno abitato e qui la trattazione è indubbiamente rivolta ai contradaioli, che vi possono incontrare i nomi di parenti ed ascendenti propri e di quelli degli amici e conoscenti. Questa parte dei singoli capitoli, come si può capire, è per forza di cose compilatoria ed elencativa, ma non per questo priva di motivi di interesse, come ad esempio il constatare l’alto livello di mobilità sia delle persone, che vediamo cambiare di casa, pur rimanendo sempre all’interno del territorio della Contrada, sia anche delle attività economiche, che a volte si spostano per trovare locali più spaziosi ed adeguati alle esigenze produttive, a volte, invece, cambiano sede, spostandosi anche soltanto per porsi dalla parte opposta della strada, o scivolando di qualche palazzo, senza che se ne conosca la causa. Non mancano neppure curiosità, come il riemergere di nomi ormai desueti, da Ulisse e Cecchino, che rimandano la memoria all’Acqua cheta di Augusto Novelli, a Isola e Casilda, da Unito e Athos a Ermelina e Zaira, da Otello e Gildo, di verdiana memoria, a Ines e Arduina, tutti nomi che oggi diffi cilmente vedremmo associati ad un bambino o una bambina; insieme a questi tornano alla luce personaggi, che hanno abitato il rione e partecipato attivamente alla vita della Contrada e che solo i “più adulti” (come usava dire Beppe Smorti - tanto per restare nell’ambito dei ricordi) riescono ad associare a dei Notiziario bibliografi co 377 volti, si va dal “mitico” custode Pecetta al barbaresco Gano, da Otello il “pellicciaio” all’onorando Mario Celli, personaggio di dimensione cittadina, come Fabio Bargagli Petrucci, a lungo podestà e studioso di arte e storia senese, al quale si deve l’approfondito studio su fonti e bottini, Le fonti di Siena e i loro aquedotti (che hanno preso la “c” solo dalla seconda edizione). Bisogna, infi ne, osservare come tutta la ricostruzione che fa Luchini di questa parte di Siena sia corredata da un’ampia documentazione fotografi ca d’epoca, che arricchisce il volume ed incrementa l’interesse del lettore.

ENZO MECACCI

ACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI

CONSIGLIO DIRETTIVO

Roberto Barzanti, presidente; Mario De Gregorio, vice presidente; Laura Vigni, dir. della sez. di storia; Marilena Caciorgna, dir. della sez. di lettere; Marco Pierini, dir. della sez. d’arte; Mino Capperucci, amministratore; Enzo Mecacci, segretario.

SOCI ONORARI

BARNI Mauro GIANNELLI Emilio BARSACCHI Giovanni GROTTANELLI DE’ SANTI Giovanni BERLINGUER Luigi MARTINI Remo FERRI Sara

SOCI ORDINARI

ANGELINI Alessandro CORNICE Alberto MUCCIARELLI Roberta ASCHERI Mario DE GREGORIO Mario NARDI Paolo BALESTRACCI Duccio DI SIMPLICIO Oscar NEPI Carlo BARTALINI Roberto FINI Carlo ORLANDINI Alessandro BARZANTI Roberto GABBRIELLI Fabio PAZZAGLI Carlo BASTIANONI Curzio GINATEMPO Maria PELLEGRINI Ettore BONELLI CONENNA Lucia GIORGI Andrea PELLEGRINI Michele BUCCIANTI Giovanni GUIDUCCI Anna Maria PERTICI Petra CACIORGNA Marilena LEONCINI Alessandro PICCINNI Gabriella CAPPERUCCI Mino LIOTTA Filippo PIERINI Marco CARDINI Antonio LUCCARELLI Mario ROCCHIGIANI Roberto CASSANDRO Michele MACCARI Lorenzo SANI Bernardina CATONI Giuliano MAFFEI Paola SANTI Bruno CEPPARI Maria Assunta MAZZINI Augusto SAVELLI Aurora CESA Claudio MAZZONI Gianni TORRITI Piero CIONI Elisabetta MECACCI Enzo TURRINI Patrizia CLEMENTE Pietro MINNUCCI Giovanni VIGNI Laura COLAO Floriana MIRIZIO Achille ZARRILLI Carla COMPORTI Mario MOSCADELLI Stefano

380

SOCI CORRISPONDENTI

ADORNO Francesco (Firenze) GASPARRI Stefano (Venezia) ALBERTI Luciano (Firenze) GRIGNANI Maria Antonietta (Pavia) AVESANI Rino (Roma) HICKS David (New York) HINSKE Norbert (Treviri) BARBERI SQUAROTTI Giorgio (Torino) BARSANTI Danilo (Pisa) ISAACS Ann Katherine (Pisa) Barzetti Marcella (Londra) BECK James H. (Columbia University) LACLOTTE Michel (Parigi) BEIERWALTES Werner (Monaco) LANDI Sandro (Bordeaux) BELLADONNA Rita (Downsview, Canada) LENZINI Moriondo Margherita (Arezzo) BERTRAM Martin (Roma) LINEHAN Peter (Cambridge) BRAMATO Fulvio (Bari) LOSERIES Wolfgang (Firenze) BRANDMULLER Walter (Augsburg) BRATTO Olof (Giiteborg) MAIER Bruno (Trieste) BUSNELLI Francesco (Livorno) MARCHETTI Valerio (Faenza) BUTTARO Luca (Bari) MARCHI Marco (Firenze) BUTZEK Monika (Firenze) MARRARA Danilo (Pisa) MARZI Sergio (Siena) CAMMAROSANO Paolo (Trieste) MASI Pier Narciso (Siena) CAPRESI Donatella (Siena) MIDDELDORF KOSEGARTEN Antje (Göttingen) CARAVALE Mario (Roma) MIGNON Maurice (Nizza) CARDINI Franco (Firenze) MORAN Gordon (Firenze) CASTELNUOVO Enrico (Pisa) MORETTI Italo (Firenze) CECCARELLI LEMUT M. Luisa (Pisa) CHERUBINI Giovanni (Firenze) NÖRR Knut W. (Tübingen) CHRISTIANSEN Keith (New York) NUTI Leopoldo (Arezzo) CIARDI Roberto P. (Pisa) COLE Bruce (Bloomington, Indiana) OS (VAN), Hendrijk W. (Groningen) CORTESE Ennio (Roma) PANSINI Giuseppe (Firenze) D’ACCONE Frank (Los Angeles) PINTO Giuliano (Firenze) DENLEY Peter (Londra) POLZER Joseph (Calgary) DONATO Monica (Pisa) PROSPERI Adriano (Pisa)

ESCH Arnold (Roma) RADICATI Luigi (Pisa) REARDON Colleen (Binghamton) FATUCCHI Alberto (Arezzo) REFINI Eugenio (Siena) FEO Michele (Firenze) RESTA Gianvito (Messina) FIORAVANTI Gianfranco (Pisa) RIEDL Peter Anselm (Londra) FRANCESCHINI Adriano (Ferrara) ROMANINI Angiola M. (Pisa) 381

SCALFATI Silio P. P. (Pisa) VERDERA Y TUELLS Evelio (Bologna) SEIDEL Max (Heidelberg) VAILATI VON SCHOENBURG WALDENBURG SETTIS Salvatore (Pisa) Grazia (Firenze) SMIRAGLIA Pasquale (Roma) VIGNI Giorgio (Roma) SPICCIANI Amleto (Pescia) VISMARA Giulio (Milano) STEIN Peter G. (Cambridge) VIVARELLI Roberto (Firenze) STRNAD Alfred A. (Roma) SZABÒ Thomas (Göttingen) WEIMAR Peter (Zurigo) WHITHE John (Londra) TEMPESTI Folco (Roma) TESSITORE Fulvio (Napoli) TOMASI Franco (Padova) 382

Attività Accademica 2013

Il giorno 11 gennaio si è riunito il Consiglio Direttivo dell’Accademia per predisporre il piano delle attività del primo semestre 2013. Per prima cosa viene verifi cata la possibilità, in base ai contributi ricevuti dai Soci e dal Rotary Club Siena Est ed ai proventi delle pagine di pubblicità acquistate dalla ChiantiBanca e dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, di dare alle stampe il Bullettino Senese di Storia Patria. Dal momento che il materiale a disposizione è molto, in quanto la sua preparazione è iniziata nella primavera del 2011, dopo l’uscita del numero CXVII – 2010, viene deciso di stampare un numero doppio, 2011-2012, in maniera da non perdere la parità con l’anno solare; infatti, anche se verrà stampato ad inizio anno, la rivista porterà la data 2012. Viene inoltre deciso di continuare gli incontri culturali del giovedì, I giovedì dell’Accademia, ma dovrà trattarsi rigorosamente di iniziative a costo zero. Alla fi ne della riunione, su proposta di Laura Vigni viene deliberata la nomina a socio corrispondente del prof. Francesco Busnelli, Presidente della Cassa di Risparmi di Livorno. Il primo incontro de I giovedì dell’Accademia si è tenuto il 24 gennaio, quando, alle ore 17.00 nel Saloncino dell’Accademia, si è presentato il volume di Elena Gori, Tozzi e Dostoevskij. La fuggitiva realtà (Firenze, Franco Cesati Editore, 2012), con interventi di Marco Marchi (Università di Firenze) e Silvia Tozzi, alla presenza dell’autrice. Il 14 febbraio Paolo Nardi, Gabriella Piccinni e Fabio Gabbrielli hanno presentato il volume di Petra Pertici, Siena quattrocentesca. Gli anni del Pellegrinaio nell’Ospedale di Santa Maria della Scala (Siena, Protagon, 2012); era presente l’autrice. Il 20 febbraio è uscito il Bullettino Senese di Storia Patria CXVIII/CXIX (2011/12). Il 26 febbraio la serata conviviale presso l’hotel Jolly del Rotary Club Siena Est è stata dedicata alla presentazione dell’attività dell’Accademia e del Bullettino Senese di Storia Patria: Barzanti ha parlato dell’attività dell’Accademia, De Gregorio della storia dell’Accademia, Balestracci del Bullettino Senese di Storia Patria. Il 28 febbraio sono state inoltrate due domande di contributo al MIBAC, una per le attività culturali ed una per le pubblicazioni; in quest’ultima il contributo è stato chiesto per il vol. III del Pecci e per la pubblicazione sulla Villa di Basciano di Fabio Sottili. Il 7 marzo Pietro Clemente, per ricordare la fi gura di Letizia Franchina, ne ha presentato il volume Per capire casa mia (Arcidosso, Effi gi, 2012). Il 18 marzo si è riunito nuovamente il Consiglio Direttivo dell’Accademia, per stilare il programma per un ciclo di 10 conferenze sulla storia di Siena da tenersi all’Auditorium della ChiantiBanca, presso il quale si terrà, in una data da concordare, anche la presentazione al pubblico del Bullettino. Il 21 marzo alle ore 17.30 nel Saloncino dell’Accademia Eugenio Refi ni ha parlato del volume di Konrad Eisenbichler L’opera poetica di Virginia Martini Salvi (Siena, c. 1510 – Roma, post 1571), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2012. Il 19 aprile alle ore 17,00 in collaborazione con l’Archivio di Stato di Siena, presso la 383

Sala delle Conferenze dell’Archivio, Mario Ascheri e Stefano Moscadelli hanno illustrato il volume di Giovanni Mazzini, Innalzate gli stendardi vittoriosi! Dalle compagnie militari alle Contrade (Siena, XIII-XVI secolo), Nuova Immagine Editrice, 2013. Il 6 Giugno si è riunito il Consiglio Direttivo per fare il punto sulla situazione fi nanziaria e vedere di trovare nuovi fi nanziamenti per pubblicare il Bullettino 2013; in particolare si pensa di contattare nuovamente il Rotary Club Siena Est, mentre dalla ChiantiBanca hanno assicurato di acquistare nuovamente la pagina di pubblicità. Viene anche deciso di istituire nel Bullettino una “Tabula gratulatoria” e di avviare per questo una sottoscrizione fra i soci e coloro che seguono le attività dell’Accademia. Il Direttore del Bullettino, Balestracci, da parte sua assicura che vi è già materiale pronto per il nuovo numero della rivista e che, comunque, convocherà a breve la Redazione per fare il punto della situazione. Nella stessa riunione è stato anche defi nito il ciclo di lezioni per la ChiantiBanca, che, come concordato con i Presidenti di Banca e Fondazione, sarà di soli 8 incontri, che si terranno dall’autunno 2013 alla primavera 2014, in un giorno fi sso, da stabilire, ogni 2/3 settimane; gli ultimi 2 incontri, che avevamo previsto, saranno invece i primi di un nuovo ciclo di 8 da tenersi nello stesso periodo del prossimo anno. Sempre il 6 Giugno, alle ore 17,30, nel Saloncino dell’Accademia è stato presentato il IV Fascicolo della rivista «Torrita. Storia Arte e Paesaggio», Numero Monografi co ‘7 Ottobre 1363. La Battaglia della Val di Chiana’ sono intervenuti Giovanni Mazzini e Alberto Cornice. Il 15 maggio alle ore 17.30, presso l’Auditorium “Giuseppe Burrini” di ChiantiBanca a Fontebecci, si è tenuta la presentazione al pubblico del Bullettino Senese di Storia Patria 2011/12, con la conferenza Tradizione teatrale / Progettazione urbana. Sfogliando il Bullettino Senese di Storia Patria 2012, sono intervenuti Marzia Pieri (Università degli Studi di Siena), Enzo Mecacci (Accademia Senese degli Intronati) e Maria Antonietta Rovida (Università degli Studi di Firenze). L’Accademia degli Intronati ha collaborato con quella dei Rozzi e la Società Bibliografi ca Toscana nell’organizzazione del Convegno internazionale di studi: I Rozzi e la cultura senese del Cinquecento, tenutosi la mattina del 27 settembre presso la Sala degli Specchi dell’Accademia dei Rozzi, al quale hanno partecipato Marzia Pieri (Università degli Studi di Siena), Monica Marchi (Università degli Studi di Siena), Claudia Chierichini (College of the Holy Cross, Worcester – Massachussets), Barbara Bazzotti (Società Bibliografi ca Toscana), Cécile Fortin (Université de Bordeaux), Richard Andrews (University of Leeds). Nel pomeriggio è seguita, sempre nella Sala degli Specchi, la Tavola rotonda I Rozzi del Cinquecento: problemi, prospettive, bibliografi a di una città in scena tra passato e futuro, con gli interventi dei relatori del mattino, ai quali si sono aggiunti Mario De Gregorio (Accademia Senese degli Intronati – Società Bibliografi ca Toscana), Gabriella Piccinni (Università degli Studi di Siena), Jane Tylus (New York University), Pier Luigi Sacco (Direttore di candidatura per Siena capitale europea della cultura 2019). Al termine Dennis E. Rhodes, Stephen Parkin e Edoardo Barbieri, hanno presentato il volume di Dennis E. Rhodes, Giovanni Battista 384

Ciotti (1562-1627?). Publisher Extraordinary at Venice, Venezia, Marcianum Press, 2013, e A life in bibliography between England and Italy. Studi offerti a Dennis E. Rhodes per i suoi 90 anni, «La Bibliofi lìa», CXV, 2013, fasc. 1. Alle ore 19.00 nella Sala della Suvera si è inaugurata la mostra Dalla Congrega all’Accademia. I Rozzi all’ombra della suvera fra Cinque e Seicento, frutto anche questa della collaborazione fra le due Accademie e la SBT. Il 10 ottobre si è riunito il Consiglio Direttivo per discutere della pubblicazione del Bullettino 2013, per il quale sono stati reperiti i fondi necessari. Barzanti pone la questione se non sia più opportuno pensare ad un ridimensionamento della rivista, in maniera tale che sia meno costosa, ed a un rinnovamento dei contenuti, per renderla più aperta agli argomenti di attualità; si sviluppa su questo una lunga discussione, tanto che la seduta è proseguita il giorno 24; alla fi ne è stato deciso che questo numero sarà pubblicato con i saggi già raccolti e gli argomenti di attualità saranno contenuti nelle rubriche “A proposito di” e “Offi cina del Bullettino”, mentre una revisione della rivista sarà affi data alla Redazione, che ne discuterà nel progettare il Bullettino 2014. Per le attività future, si prevedono alcune presentazioni di libri (che potranno anche essere fatte in collaborazione con la Biblioteca Comunale), fra questi ci saranno le Annotationes in meditationes metaphysicas Renati Des Cartis, curate da Elisa Angelini per la collana «Sociniana», diretta da Emanuela Scribano, gli ultimi due volumi della «Biblioteca Senese», le Novelle dello Pseudo Gentile Sermini, curate da Monica Marchi, e le Bucoliche di Jacopo Fiorino Buoninsegni, curate da Irene Tani, ed il volume dedicato ad Enzo Carli nel centenario della nascita curato dalla Primaziale di Pisa, che potrebbe essere abbinato alla Bibliografi a di Enzo Carli curata da Marco Pierini e Wolfgang Loseries per l’Accademia degli Intronati. Altri volumi da presentare saranno scelti via via che si avranno nuove pubblicazioni, o ci verranno proposti da terzi. Barzanti sottolinea che l’Accademia vorrebbe sollecitare dei dibattiti di dimensione europea, in collaborazione con il Comune, e che si era anche messa a disposizione per fornire il proprio contributo alla candidatura per la Capitale della Cultura del 2019. Altre iniziative che si dovranno prendere nel prossimo anno saranno relative alle celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Mario Luzi ed a quelle per i 70 anni dalla Liberazione, che saranno anticipate nell’inaugurazione del 489° anno accademico, deliberata per il 6 dicembre, alla fi ne dell’Assemblea annuale, con la prolusione di Alessandro Orlandini A settant’anni dalla Liberazione di Siena: memoria e ricerche storiche. Viene poi presentato al Consiglio il programma dettagliato delle conferenze alla ChiantiBanca, che andranno sotto il titolo Siena si racconta ed inizieranno l’11 dicembre. Il 6 dicembre si è tenuta l’Assemblea dei soci, aperta dalla relazione dell’Archintronato sull’attività svolta nel corso dell’anno ed i programmi e le prospettive per il futuro; vengono poi approvati i bilanci: quello consuntivo 2012 e quelli preventivi degli anni 2013 (che è quasi defi nitivo) e 2014. Alla fi ne vengono riconfermati anche per il 2014 i Revisori dei conti (E. Pellegrini, Pierini, Rocchigiani) ed eletti i componenti della Commissione elettorale per il rinnovo del Consiglio 385

Direttivo, nelle persone dei soci Catoni (presidente), Colao e Nepi. Dopo l’Assemblea si è inaugurato l’anno accademico con la prolusione di Orlandini. L’11 dicembre sono iniziati gli incontri di Siena si racconta, nell’auditorium della ChiantiBanca con la lezione di Marilena Caciorgna, Le origini di Siena fra storia e leggenda. Il 18 dicembre è giunta comunicazione che il MIBAC ha concesso un contributo di € 2.000,00 per le attività culturali svolte nel 2013. Il 19 dicembre è giunta anche comunicazione dell’erogazione di € 3.400,00 per la pubblicazione del vol. III del Pecci, per la quale, però sarà necessario reperire ulteriori fondi, mentre non è stato concesso niente per il volume di Sottili sulla Villa di Basciano, per il quale dovrà essere trovata una soluzione diversa.. 386

PUBBLICAZIONI DELLA ACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI

MONOGRAFIE D’ARTE SENESE

I. C. BRANDI, Rutilio Manetti. Esaurito. II. M.G. KRASCENINNICOWA, Il Beccafumi. Esaurito. III. G. SINIBALDI, I Lorenzetti. Esaurito. IV. P. BACCI, Francesco di Valdambrino emulo del Ghiberti e collaboratore di Jacopo della Quercia. Esaurito. V. P. B ACCI, Dipinti inediti e sconosciuti di Pietro Lorenzetti, Bernardo Daddi e altri in Siena e nel contado. Esaurito. VI. P. B ACCI, Fonti e documenti per la storia dell’arte senese. Dipinti e sculture in Siena, nel suo contado e altrove. Esaurito. VII. S. SYMEONIDES, Taddeo di Bartolo (1965), 8°, pp. IX-271 con 97 tavole f.t., Euro 45,00. VIII. F. OHLY, La cattedrale come spazio dei tempi. II Duomo di Siena (1979), Euro 17,00. IX. S. COLUCCI, Vanitas e Apoteosi. Per un corpus degli apparati effi meri funerari a Siena Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2009, Euro 35,00. X. G. CERIANI SEBREGONDI, Architettura e committenza a Siena nel Cinquecento. L’attività di Baldassarre Peruzzi e la storia di Palazzo Francesconi, Siena, Accademia Senese degli Intronati – Firenze, ASKA, 2011, Euro 30,00.

MONOGRAFIE DI STORIA DELLA MUSICA

S.A. LUCIANI, La musica in Siena (1942), 8°, pp. 80, 4 tavv., Euro 11,50.

MONOGRAFIE DI STORIA E LETTERATURA SENESE

I. E. BATTAGLIA, Enea Silvio Piccolomini e Francesco Patrizi: due politici senesi del Quattrocento. Esaurito. II. A. LISINI - G.B. BANDINELLI, La pia dantesca. Esaurito. III. L. SBARAGLI, Claudio Tolomei: umanista senese del Cinquecento. Esaurito. IV. E. CERRETA, Alessandro Piccolomini: letterato e fi losofo senese del Cinquecen- to (1960), 8°, pp. XIV-316 con 2 tavv. f.t., Euro 23,00. V. R. CANTAGALLI, La guerra di Siena (1552-1559). I termini della questione senese nella lotta tra Francia ed Asburgo nel ‘500 e il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo. Esaurito. 387

VI. A. PICCOLOMINI (1508-1579), L’Alessandro, edizione critica con introduzione e note di F. CERRETA (1966), 8°, pp. 305, Euro 23,00. VII. A. CHERUBINI, Il problema sociale e il mutuo soccorso nella stampa senese (1860-1893), due volumi (1969), 8°, pp. 486 e 151, Euro 34,00. VIII. S. PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale e dell’arcipelago toscano, a cura di G. GAROSI, pref. di G. BONFANTE (1969), 8°, pp. XXIV-472, Euro 57,00. IX. G. BARGAGLI, Dialogo de’ giuochi che nelle vegghie sanesi si usano di fare, a cura di P. D’INCALCI ERMINI. Introduzione di R. BRUSCAGLI (1982), 8°, pp. 259, Esaurito. X. Tra politica e cultura nel primo Quattrocento senese. Le epistole di Andreoccio Petrucci (1426-1443), a cura di P. PERTICI. Prefazione di R. FUBINI (1990), 8°, pp. 192, Euro 23,00. VXI. Viabilità e legislazione di uno Stato cittadino del Duecento. Lo Statuto dei Viarî di Siena, a cura di D. CIAMPOLI e T. SZABO, con trascrizioni di S. Epstein e M. Ginatempo; premessa di M. Ascheri (1992),8°, pp. IV-311, Euro 28,00. ..XII. L’ultimo Statuto della Repubblica di Siena (1545), a cura di M. ASCHERI (1993), 8°, pp. XXXVI-536, Euro 28,00. .XIII. G. CHIRONI, La mitra e il calamo. Il sistema documentario della Chiesa senese in età pretridentina (secoli XIV-XVI), Siena 2005, 8°, pp. 395, Euro 26,00. XIV. I Prigioni di Plauto tradotti da l’Intronati di Siena, a c. di N. NEWBIGIN, Siena 2006, 8°, pp. XXXVIII-118, Euro 20,00. .XV. LORENZO MANENTI, Giorgio Luti da Siena a Lucca. Il viaggio di un mito fra Rinascimento e Controriforma, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, Euro 22,00. XVI. Dagli Statuti dei Ghibellini al Constituto dei Nove con una rifl essione sull’età contemporanea. Atti della giornata di studio dedicata al VII Centenario del Constituto in volgare del 1309-1310 (Siena, Archivio di Stato, 20 aprile 2009), a c. di ENZO MECACCI e MARCO PIERINI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2009, Euro 15,00. XVII. K. EISENBICHLER, L’opera poetica di Virginia Martini Salvi (Siena, c. 1510 – Roma, post 1571), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2012, Euro 16,00.

FONTI DI STORIA SENESE Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune di Siena, detti della Biccherna, a cura della Direzione dell’Archivio di Stato di Siena. VoI. I-II, Esaurito. - Vol. III-XVII più indice dei voll. I-X, Euro 280,00; Volumi separati: ciascuno Euro 28,00. - Vol. XVIII (1257, 2° semestre), a cura di S. DE COLLI, Euro 23,00. - Vol. XIX (1258, 1° semestre), a cura di U. MORANDI, Euro 23,00. - Vol. XX (1258, 2° semestre), a cura di S. DE COLLI, Euro 23,00. - I Volumi XXI (1259, 1° semestre), a cura di S. 388

FINESCHI e XXII (1259, 2° semestre), a cura di G. CATONI, sono editi nella collana «Pubblicazioni degli Archivi di Stato», Ministero dell’Interno, Roma. II Caleffo vecchio del Comune di Siena, a cura di G. CECCHINI (vol. IV con il contributo di M. ASCHERI, A. FORZINI, C. SANTINI). Il Caleffo vecchio contiene gli atti pubblici del Comune di Siena per il periodo che va dall’anno 912 al 1333 ed è un grosso codice in foglio pergamenaceo di 934 carte. È pubblicato in cinque volumi (Euro 350,00): vol. I (1932), Euro 85,00; vol. II (1934), Euro 85,00; vol. III (1940), a causa della scarsa disponibilità di copie i voll. II e III vengono ceduti solo a chi acquista l’opera completa; vol. IV (1984), Euro 85,00; vol. V (1991), Euro 85,00. Lo statuto dell’arte della mercanzia senese (1342-1343), a cura di Q. SENIGALLIA. Esaurito. Statuti del Comune di Montepescali (1472), a cura di I. IMBERCIADORI. Esaurito. Il Cartulario della Berardenga, a cura di E. CASANOVA. Esaurito. Breve degli Speziali (1356-1542), a cura di G. CECCHINI e G. PRUNAI (1942), 8°, pp. LIII- 128 con 2 tavole, Euro 23,00. Carte dell’Archivio di Stato di Siena. Abbazia di Montecelso (1071-1255), a cura di A. GHIGNOLI; presentazione di S.P.P. Scalfati (1992), 8°, pp. XXXVII-356, Euro 34,00. Carte dell’Archivio di Stato di Siena. Opera Metropolitana (1000-1200), a cura di A. GHIGNOLI; presentazione di S.P.P. Scalfati (1994), 8°, pp. XXXIX-309, Euro 34,00. GIUGURTA TOMMASI, Dell’Histoire di Siena. Deca seconda, Vol. I, libri I-III (1355-1444); Vol. II, libri IV-VII (1446-1496); Vol. III, libri VII-X (1512-1553). Introduzione, trascrizione e indice dei nomi a cura di MARIO DE GREGORIO, Siena, Accademia Senese degli Intronati 2002-2006. Euro 45,00 a volume. Vol. IV Indici, a cura di MARIO DE GREGORIO, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007. Euro 25,00. Prezzo cumulativo dei quattro volumi Euro 120,00). Un ciclo di tradizione repubblicana nel Palazzo Pubblico di Siena. Le iscrizioni degli affreschi di Taddeo Di Bartolo (1413-1414), a cura di ROBERTO FUNARI, Siena 2002, 8°, pp. XXIV-99, con XVI tavv. col. f.t., Euro 25,00. Memorie della Compagnia di San Salvatore. Contrada dell’Onda, a cura di MARIO ASCHERI - ALBERTO CORNICE - EMILIO RICCIERI - ARMANDO SANTINI, Siena 2004, 8°, pp. XXIV-211, Euro 15,00. P. P ETRIOLI, Gaetano Milanesi. Erudizione e storia dell’arte in Italia nell’Ottocento. Profi lo e carteggio artistico, Siena 2004, 8°, pp. XIV + 203+ 1061, Euro 70,00. Le pergamene delle confraternite nell’Archivio di Stato di Siena (1241-1785), regesti a cura di MARIA ASSUNTA CEPPARI RIDOLFI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007, Euro 32,00. Il registro del notaio senese Ugolino di Giunta “Parisinus Latinus 4725” (1283-1287). Alle origini dell’Archivio della Casa della Misericordia di Siena, a cura di VIVIANA PERSI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, Euro 24,00. Il Diplomatico del Comune di Montieri nell’Archivio di Stato di Siena (1236-1578), a cura di ALESSIA ZOMBARDO, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, Euro 15,00. 389

Alla ricerca di Montaperti. Mito, fonti documentarie e storiografi a. Atti del Convegno Siena, 30 novembre 2007, a cura di E. Pellegrini Siena, Accademia Senese degli Intronati - Accademia dei Rozzi - Betti Editrice, 2009, Euro 25,00. G. A. PECCI, Lo Stato di Siena antico, e moderno, vol. I, parte I e II, trascrizione e annotazioni a cura di MARIO DE GREGORIO e DORIANO MAZZINI, con un’introduzione di DUCCIO BALESTRACCI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2009, Euro 45,00. G. A. PECCI, Lo Stato di Siena antico, e moderno, vol. II, parte III e IV, trascrizione e annotazioni a cura di MARIO DE GREGORIO e DORIANO MAZZINI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2010, Euro 45,00.

CONFERENZE

PRIMA SERIE - Vol. I (P. ROSSI, Le origini di Siena: Siena avanti il dominio romano; O. BACCI, Le prediche volgari di San Bernardino da Siena nel 1427; C. CALISSE, S. Caterina da Siena; D. BARDUZZI, Del governo dell’Ospedale di Siena dalle origini alla caduta della Repubblica), 1895, vol. in-16° di pp. 244, Euro 57,00. (È disponibile in estratto la conferenza di C. CALISSE, Euro 17,00). Vol. II (L. ZDEKAUER, La vita privata dei senesi nel Duegento; G. RONDONI, Leggende, novellieri e teatro dell’antica Siena; D. ZANICHELLI, Siena nel Principato Toscano; O. BACCI, I pensieri sull’arte e Ricordi autobiografi ci di Giovanni Duprè, 1896. Esaurito. (Disponibili in estratto le conferenze di Rondoni, Zanichelli e Bacci: Euro 17,00 ciascuna). Vol. III (P. ROSSI, Le origini di Siena: II. Siena colonia romana; L. ZDEKAUER, La vita pubblica dei Senesi nel Duegento), 1897. Esaurito. Vol. IV (C. PAOLI, Siena alle fi ere di Sciampagna), 1898. Esaurito. NUOVA SERIE - Vol. I (P. ROSSI, L’arte senese nel Quattrocento; A. RICCI, Canzonieri senesi della seconda metà del Quattrocento; A. LISINI, Relazioni fra Cesare Borgia e la Repubblica Senese), 1900, Esaurito. Vol. II (E. ROCCHI, L’opera e i tempi di Francesco di Giorgio Martini; E. CASANOVA, La donna senese del Quattrocento nella vita privata), 1901, vol. in-8° di pp. 147. Esaurito. E. SESTAN, Siena avanti Montaperti. Esaurito. G. MARTINI, Siena da Montaperti alla caduta dei Nove (1260-1355). Esaurito.

FUORI COLLANA

A. LISINI, Indice di due antichi libri di imbreviature notarili (1912),8°, pp. XVIII-145, Esaurito. 390

L. ZDEKAUER, Il mercante senese nel Dugento. Esaurito. Raccolta di voci e modi di dire in uso nella città di Siena e nei suoi dintorni, a c. di A. LOMBARDI, P. BACCI, E. IACOMETTI e G. MAZZONI (1944), 8°, pp, 64. Ristampa anastatica con introduzione di PIETRO TRIFONE, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2003, Euro 12,00. Mostra Cateriniana di documenti, manoscritti ed edizioni (sec. XIII-XVIII) nel palazzo pubblico del Comune di Siena. Agosto-ottobre 1947. Catalogo, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1962, 8°, pp. 110 con 2 tavole, Euro 23,00. Enea Silvio Piccolomini Papa Pio II. Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti raccolti da D. MAFFEI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1968, 4°, pp, XII-455, 43 tavv. f.t., Euro 85,00. G. CATONI, Un treno per Siena. La Strada Ferrata Centrale Toscana dal 1844 al 1865 (1981), 8°, pp, 110,14 tavv; f.t.. Esaurito. O. REDON, Uomini e comunità del contado senese nel Duecento (1982, Amministrazione Provinciale di Siena), 8°, pp. 239, 4 tavv. f.t. + carta all., Esaurito. Atti del Simposio Internazionale Cateriniano-Bernardiniano, Siena 17-20 aprile 1980, a c. di D. MAFFEI e P. NARDI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1982, 4°, pp. VIII-994, 66 tavv. f.t., Euro 115,00. Miscellanea Rolando Bandinelli Papa Alessandro III. Studi raccolti da F. LIOTTA. Indici a c. di R. TOFANINI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1986, 8°, pp. XX- 500, 7 tavv. f.t. a colori, Euro 40,00. C. BASTIANONI - G. CATONI, Impressum Senis. Storie di tipografi , incunaboli e librai, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1988, 16°, pp. 111, 12 tavv. f.t., Euro 17,00. I Tedeschi nella storia dell’Università di Siena. Testi di Denifl e, Weigle, Rau, Luschin von Ebengreuth, von Müller, a c. di G. MINNUCCI, trad. di R. Marcucci, Siena, Accademia Senese degli Intronati - Ente Provinciale per il Turismo di Siena, 1988, 8°, pp. 165, Euro 17,00. A. MIDDELDORF KOSEGARTEN, Scultori senesi nel ‘Duomo vecchio’ . Studi per la scultura a Siena (1250-1330), Siena, Accademia Senese degli Intronati - Ente Provinciale per il Turismo di Siena, 1988, 8°, pp. 59, Euro 17,00. P. C AMMAROSANO, Tradizione documentaria e storia cittadina. Introduzione al «Caleffo vecchio del Comune di Siena», Siena, Accademia Senese degli Intronati - Comune di Siena, 1988, 4°, pp. 81, Euro 23,00. Ristampato nel vol. V del Caleffo Vecchio. W. K URZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali (1989), 8°, pp. XXXV-441, Esaurito. L. BONELLI CONENNA, Il contado senese alla fi ne del XVII secolo. Poderi, rendite e proprietari (1990), 8°, pp. 463, Esaurito. M. DE GREGORIO, La Balìa al torchio. Stampatori e aziende tipografi che a Siena dopo la Repubblica, con una presentazione di L. PERINI (1990), 8°, pp. 232, Esaurito. 391

I Santi patroni senesi, a cura di F.E. CONSOLINO. Testi di R. Argenziano, F. Bisogni, FE. Consolino, M. Forlin Patrucco, E. Giannarelli e F. Scorza Barcellona, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1991, 8°, pp. 121, Esaurito. Gli stessi testi sono pubblicati in «Bullettino senese di storia patria», XCVII (1990), pp. 9-121. W. H EYWOOD, Nostra Donna d’Agosto e il Palio di Siena, a cura di A. FALASSI, Siena, Accademia Senese degli Intronati - Protagon Editori Toscani, 1993, 16°, pp. 189. Euro 11,50. Tra Siena e il Vescovado: l’area della Selva. Beni culturali, ambientali e storici di un territorio, a c. di M. ASCHERI e V. DE DOMINICIS, con la collab. di G.P. PETRI (1997), 4°, pp. 947, Esaurito. Fausto Sozzini e la fi losofi a in Europa. Atti del Convegno Siena 25-27 novembre 2004, a c. di M. PRIOLO e E. SCRIBANO, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2006, 8°, pp. 411, Euro 23,00. A. VIGNALI, Alcune lettere amorose. Una dell’Arsiccio Intronato in proverbi, l’altre di M. Alessandro Cirloso Intronato con le risposte, e con alcuni sonetti, Siena, Accademia Senese degli Intronati - Betti editrice, 2007, Euro 10,00. Archivi Carriere Committenze. Contributi per la storia del patriziato senese in Età moderna, Atti del Convegno Siena, 8-9 giugno 2006, a cura di M. RAFFAELLA DE GRAMATICA, ENZO MECACCI, CARLA ZARRILLI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, Euro 30,00. Conferenze su Pio II di Luca d’Ascia, Arnold Esch, Alessandro Scafi , Francesco Ricci, nel sesto centenario della nascita di Enea Silvio Piccolomini (1405-2005), a cura di ENZO MECACCI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007, Euro 10,00. C. BRANDI, Il vecchio e il nuovo nella città antica, a cura di ROBERTO BARZANTI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007, Euro 15,00. L’ultimo secolo della Repubblica di Siena. Politica e istituzioni, economia e società, a cura di MARIO ASCHERI e FABRIZIO NEVOLA (Atti dei Convegni “Siena nel Rinasciamento: l’ultimo secolo della Repubblica”, Siena settembre 2003 e settembre 2004), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007, Euro 30,00. ALESSANDRO PICCOLOMINI, Discorso fatto in tempo di Repubblica per le veglianti discordie de’ suoi cittadini, a cura di Eugenio Refi ni e Franco Tomasi, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, Euro 15.00. L’ultimo secolo della Repubblica di Siena. Arti, cultura e società, a cura di MARIO ASCHERI, GIANNI MAZZONI, FABRIZIO NEVOLA (Atti dei Convegni “Siena nel Rianscimento: l’ultimo secolo della Repubblica”, Siena settembre 2003 e settembre 2004), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2008, Euro 35.00. Bibliografi a di Enzo Carli, a c. di WOLFGANG LOSERIES e MARCO PIERINI, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2010, Euro 15,00. 392

PUBBLICAZIONI DELL’ AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI SIENA - ASSESSORATO ISTRUZIONE E CULTURA

INVENTARI DEGLI ARCHIVI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SIENA Collana diretta da Paola Benigni, Giuliano Catoni e Carla Zarrilli

0 1. L’Archivio comunale di Asciano. Inventario della Sezione storica, a c. di P.G. MORELLI, S. MOSCADELLI e F. PAPPALARDO, coordinati da G. CATONI (1985). 0 2. L’Archivio comunale di Castellina in Chianti. Inventario della Sezione storica, a c. di P.G. MORELLI, S. MOSCADELLI e F. PAPPALARDO (1986),8°, pp. 178. 03. L’Archivio comunale di Abbadia San Salvatore. Inventario della Sezione storica, a c. di P.G. MORELLI, S. MOSCADELLI e C. SANTINI (1986), 8°, pp. 110. 0 4. L’Archivio comunale di Buonconvento. Inventario della Sezione storica, a c. di P.G. MORELLI, S. MOSCADELLI e C. SANTINI (1986),8°, pp. 172. 0 5. L’Archivio comunale di Radicondoli. Inventario della Sezione storica, a c. di M. CARNASCIALI (1987), 8°, pp. 82. 0 6. L’Archivio comunale di Rapolano. Inventario della Sezione storica, a c. di E. BRIZIO e C. SANTINI (1987), 8°, pp. 162. 07. L’Archivio comunale di Murlo. Inventario della Sezione storica, a c. di M. CARNASCIALI (1989), 8°, pp.163. 0 8. L’Archivio comunale di Torrita. Inventario della Sezione storica, a c. di C. ROSA e L. TROMBETTI (1989),8°, pp. 132. 09. L’Archivio comunale di Montalcino. Inventario della Sezione storica, a c. di P.G. MORELLI, S. MOSCADELLI e C. SANTINI (1989), 8°, voll. 2, pp. 307 + 2 tavv. f.t. e pp. 478+4 tavv. f.t. 10. L’Archivio comunale di Castelnuovo Berardenga. Inventario della Sezione stori- ca, a c. di M. FIRMATI e F. VALACCHI (1990), 8°, pp. 103. 11. L’archivio comunale di Trequanda. Inventario della Sezione storica, a C. di C. ROSA e L. TROMBETTI (1990), 8°, pp. 125. 12. L’archivio comunale di Gaiole in Chianti. Inventario della Sezione storica, a C. di P.M. BAGNOLI e D. GUERRINI (1990), 8°, pp. 86. 13. L’archivio comunale di Monteriggioni.Inventario della Sezione storica, a C. di E. BRIZIO e C. ZARRILLI (1991), 8°, pp. 127. 393

14. L’archivio comunale di Pienza. Inventario della Sezione storica, a C. di P.M. BAGNOLI, D. GUERRINI e E. INSABATO (1991), 8°, pp, 194. 15. L’archivio comunale di Chianciano. Inventario della Sezione storica, a C. di E. VALACCHI (1991), 80, pp. 199. 16. L’archivio comunale di S.Quirico d’Orcia. Inventario della Sezione storica, a c.di G. CHIRONI e A. GIORGI (1992),8°, pp, 171. 17. L’archivio comunale di Sovicille. Inventario della Sezione storica, a c. di P.M. BAGNOLI, D. GUERRINI e C. ZARRILLI (1993), 8°, pp. 157.

18. L’archivio comunale di Cetona. Inventario della Sezione storica, a c. di E. BURRINI e M. PUTTI (1993), 8°, pp. 157. 19. L’archivio comunale di San Gimignano. Inventario della Sezione storica, vol. 1, a c. di G. CARAPELLI, L. ROSSI e L. SANDRI (1996), 8°, pp. 623. 20. L’archivio comunale di Sinalunga. Inventario della Sezione storica, vol. I, a c. di A. GIORGI e S. MOSCADELLI (1997), 8°, pp. 485.

21. L’archivio comunale di Siena. Inventario della Sezione storica, a c. di G. CATONI e S. MOSCADELLI (1998), 8°, pp. 642. 22. L’archivio comunale di Monteroni d’Arbia. Inventario della Sezione storica, a c. di M. BROGI (2000), 8°, pp. 153. 23. L’archivio comunale di Castiglion d’Orcia. Inventario della Sezione storica, a c. di G. CHIRONI e A. GIORGI (2000), 8°, pp. 293. 24. L’archivio comunale di Poggibonsi. Inventario della Sezione storica, vol. I, a.c. di M. BROGI (2003), 8°, pp. 332. 25. L’archivio comunale di Radda in Chianti. Inventario della Sezione storica, a c. di S. BARBETTI e A. MANCINI (2004), 8°, pp. 381.

LE ESPERIENZE DI CLIO Collana diretta da Giuliano Catoni 0 1. L’Archivio dell’Amministrazione Provinciale di Siena. Inventario della Sezione storica, a cura di L. NARDI e F. VALACCHI con la collaborazione di L. SENSINI (1994), 8°, pp. 415.

02. Statuto di del 1494, a cura di L. GATTI, introduzione di D. Ciampoli (1994), 8°, pp. 207. 03. Uno statuto per due Comuni. Lucignano d’Asso e San Giovanni d’Asso. 1492, a cura di F. RAFFAELLI, presentazione di D. Ciampoli (1996), 8°, pp. 127. 394

04. Lo statuto del 1504 del Comune di , a cura di A. GIORDANO, presentazione di D. Ciampoli Sensi (1997), 8°, pp. 109. 0 5. L’archivio diocesano di Pienza. Inventario a c. di G. CHIRONI (2000), 8°, pp. 604. 06. Lo statuto del Comune di Asciano del 1465, a c. D. CIAMPOLI con la collab. di L. PIANIGIANI (2000), 8°, pp. 151. 0 7. L’archivio del Consorzio di bonifi ca della Val d’Orcia. Inventario a c. di F. VALACCHI con la collab. di C. FLORI, R. OLIVIERI e M. PAGANINI (2004), 8°, pp. 475. 0 8. L’archivio dell’Arciconfraternita di Misericordia di Siena. Inventario della Sezione storica, a c. di A. PEPI, con un’introduzione di M. ASCHERI (2004), 8°, pp. 259. 395

BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA PERIODICO FONDATO NEL 1894

Ciascuna annata disponibile dal 1894 al 1943: Euro 57,00 Singoli fascicoli disponibili dal 1894 al 1943: Euro 23,00 ciascuno Le annate dal 1948 al 2011/12 (la 2003 è esaurita): Euro 45,00 ciascuna

N.B.: I volumi delle annate LXXVI-LXXXI (1969-74) e CVII (2000) contengono gli indici della rivista per autori e per soggetti, redatti da M. Capperucci (I-LXXV) e da L. Vigni (LXXXI-CVI).

Finito di stampare nel mese di maggio 2013 da Industria Grafi ca Pistolesi Editrice “Il Leccio” srl Via della Resistenza, 117 - loc. Badesse - 53035 Monteriggioni (Siena) www.leccio.it [email protected]