Lo Chansonnier Du Roi Luoghi E Autori Della Lirica E Della Musica Europee Del Duecento

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Lo Chansonnier Du Roi Luoghi E Autori Della Lirica E Della Musica Europee Del Duecento Lo Chansonnier du Roi Luoghi e autori della lirica e della musica europee del Duecento Facoltà di Lettere e Filosofia Dottorato in Musica e Spettacolo Curriculum di Storia e Analisi delle Culture Musicali Candidato Alexandros Maria Hatzikiriakos Tutor Co-Tutor Prof. Emanuele Giuseppe Senici Prof. Davide Daolmi a Niccolò Ringraziamenti Seppur licenziata sotto il nome di un solo autore, questa tesi ha raccolto una considerevole quantità di debiti, nel corso dei suoi tre anni di gestazione, che mi è impossibile ignorare. Agli studi e al prezioso aiuto di Stefano Asperti devo non solo il fondamento di questo lavoro, ma anche un supporto indispensabile. Parimenti ad Anna Radaelli, sono grato per un sostegno costante, non solo scientifico ma anche morale ed emotivo. Non di meno, i numerosi consigli di Emma Dillon, spesso accompagnati da confortanti tazze di caffè nero e bollente, mi hanno permesso di (ri-)trovare ordine nel coacervo di dati, intuizioni e deduzioni che ho dovuto affrontare giorno dopo giorno. A Simon Gaunt devo un prezioso aiuto nella prima e confusa fase della mia ricerca. A Marco Cursi e Stefano Palmieri devo una paziente consulenza paleografica e a Francesca Manzari un’indispensabile expertise sulle decorazioni del Roi. Ringrazio inoltre Davide Daolmi per la guida, il paziente aiuto e le numerose “pulci”; Maria Teresa Rachetta, filologa romanza, per aver lavorato e presentato con me i primi frutti di questa ricerca, lo Chansonnier du Roi per avermi dato l’opportunità di conoscere Maria Teresa Rachetta, l’amica; Livio Giuliano per ragionamenti improbabili ad ore altrettanto improbabili, sulla sociologia arrageois; Cecilia Malatesta e Ortensia Giovannini perché … il resto nol dico, già ognuno lo sa. A Emanuele Senici, oltre all’essermi stato tutor e maestro, devo anche l’aver ricoperto il ruolo ben più difficile dell’amico. Indice Introduzione p. 1 Capitolo 1 – Il codice p. 13 Capitolo 2 – Il canzoniere p. 67 Capitolo 3 – I lettori p. 99 Capitolo 4 – Musiche da una corte effimera p. 159 Colophon p. 182 Bibliografia p. 189 Trascrizioni p. 200 Indice dei manoscritti citati p. 258 Introduzione …soni pereunt quia scribi non possunt. Lo studio dei manoscritti musicali rappresenta oggi una delle declinazioni più interessanti e produttive della musicologia medievale. Il rapporto con le fonti, siano esse orali, manoscritte, a stampa, audiovisive o multimediali, è indubbiamente alla base della ricerca musicologica di qualsiasi ambito; soprattutto quello medievale, dove lo studio bibliografico e materiale è stato la colonna portante di oltre un secolo di ricerca. Gli sconvolgimenti interni che hanno rivoluzionato la medievistica, musicale e non, alla fine dello scorso millennio, si sono riflessi anche sul rapporto con le fonti, cambiandone radicalmente la disciplina. Parte dei nuovi contributi e delle nuove suggestioni per un differente approccio alle fonti medievali sono stati al centro di un’ampia e vivace discussione, i cui frutti si è voluto riunire, a torto o a ragione, sotto l’etichetta di New Philology. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di questo momento della storia della critica, e mi limiterò perciò a riportare alcuni dei tratti fondamentali e più utili al discorso. L’inizio della New Philology viene comunemente rintracciato ne L’éloge de la variante dello studioso francese Bernard Cerquiglini, un vero e proprio pamphlet al vetriolo, in cui l’autore critica senza riserve la filologia tradizionale, il metodo lachmaniano e il “buon manoscritto” di Bédier. 1 Cerquiglini pone al centro della sua riflessione la nozione, già zumthoriana, di mouvance, da contrapporsi alla visione propria dell’ecdotica tradizionale, basata sul concetto di “errore”. La destituzione della gerarchia stemmatica e, in generale, della predominanza del valore di un testimone su di un altro, apre una nuova prospettiva sulla scrittura medievale, dove ogni manoscritto assume, proprio in virtù delle proprie varianti, caratteristiche proprie e diventa un’oggetto di studio singolo e non replicabile. Nonostante le molte e facilmente prevedibili critiche alle posizioni di Cerquiglini, una importante risposta al suo saggio viene da un gruppo di studiosi americani che, in un numero monografico della rivista Speculum del 1990, pubblica una serie di contributi imperniati intorno al ruolo della filologia alla fine del XX secolo.2 Come ha giustamente notato Maria Caraci, la New Philology non può essere definita una scuola né propriamente un orientamento del tutto omogeneo bensì «un ambizioso progetto di rinnovamento della critica testuale medievista».3 Alla base di questo rinnovamento vi sono alcuni obiettivi condivisi dalla maggior parte degli studiosi tra cui: l’ampliamento verso nuove prospettive, come la teoria della ricezione e la critica letteraria; la visione del manoscritto quale oggetto comunicante vivo e aperto; il confronto con i metodi di trasmissione orale. La New Philology è stata spesso accusata di essere una “non filologia” e di voler destituire i fondamenti della critica testuale. Tuttavia, nonostante alcuni dei punti più 1 BERNARD CERQUIGLINI, L’éloge de la variante. Histoire critique de la philologie, Seuill, Paris, 1989. 2 Gli interventi occupano un’uscita monografica di «Speculum», LIV, 1990, n. 1. 3 MARIA CARACI VELA, La filologia musicale. Istituzioni, storia, strumenti critici. Volume II. Lucca, LIM, 2009, p. 123. 1 aggressivi del pensiero di Cerquiglini possano offrire il fianco a critiche, la New Philology non è mossa da un desiderio totalmente anti-filologico. Non si tratta di una critica alla filologia, bensì di una critica della filologia. In anni che hanno visto l’affermazione dei Cultural Studies e della critica post-moderna, gli studi medievali sembravano esseri rimasti in uno stato di totale isolamento. Seppure da un punto di vista pratico, la New Philology abbia in parte cercato di destituire il ruolo dell’ecdotica, la cui importanza non può e non deve essere scalfita, a questa corrente rimane il merito di aprire un dialogo tra la critica testuale e il resto degli studi umanistici, ma soprattutto tra il Medioevo e il mondo contemporaneo. Filologia materiale e critica letteraria sono state molto di frequente viste come discipline del tutto separate e autonome, se non contrastanti; nel migliore dei casi l’una preliminare all’altra. A tale distinzione tra descrizione e interpretazione può aver contribuito la deriva formalista del New Criticism a metà del secolo scorso. Tradizionalmente, inoltre, il testimone manoscritto è un oggetto ambiguo: è sì meritevole di aver conservato fino a noi un testo, ma anche colpevole di averlo corrotto. L’operazione di un editore funziona perciò al negativo: egli diffida dell’oggetto che studia e cerca di restituire il testo alla sua forma incorrotta e originaria. Negli ultimi decenni del millennio molti studiosi hanno riflettuto a tal proposito, ridefinendo il metodo e il ruolo stesso dell’ecdotica. Nel 1988 Jerome McGann si è domandato se l’editore, oltre a dover individuare e correggere una lezione differente, non dovesse anche chiedersi il perché di tale variante.4 L’ecdotica può quindi tentare di capovolgere il suo ruolo. Se il procedimento consueto è quello di estrarre un ideale dal concreto (sia esso l’archetipo o il buon testimone), la peculiarità del manoscritto medievale può richiedere il percorso inverso. Sostiene infatti Thomas Tanselle che «what every artefact displays is the residue of an unequal contest: the effort of a human being to transcend the human […] in writing down a message, one brings down an abstraction to the concrete».5 Si deduce da questo l’impossibilità di astrarre un testo dalla suo supporto materiale, dalla sua realtà fisica. La forma diventa partecipe del significato e la scrittura non è più soltanto un’operazione di trascrizione ma anche un atto performativo. Tutto ciò è riassumibile nella formula, coniata da McGann, di “materialist hermeneutics”. Del resto non è vero neanche che la filologia tradizionale è rimasta impassibile e impegnata soltanto nel campo dell’ecdotica, trascurando l’aspetto storico e culturale. Nel corso degli anni Ottanta avvengono infatti radicali innovazioni all’interno della filologia romanza, da ricondurre soprattutto tipo di approccio del tutto innovativo ai testimoni manoscritti. La cosiddetta “filologia dei canzonieri”, che nasce soprattutto per opera di d’Arco Silvio Avalle, affronta i codici delle letterature romanze non solo 4 JEROME MCGANN, The beauty of inflections: literary investigations in historical method and theory, Oxford, Clarendon Press, 1985 5 THOMAS TANSELLE, A rationale of textual criticism, Philadelphia, Princeton University Press, 1989. pp. 64-5. 2 come semplici contenitori, testimoni latori di errori da studiare ed emendare ma anche, e forse soprattutto, come individui materiali, dotati di valore storico e identità culturale intrinseche.6 Tale rinnovamento del dibattito filologico ha avuto naturalmente dei riflessi anche sulla musicologia medievale, dove il rapporto tra fonti ed edizioni è sempre stato fortemente problematico. Margaret Bent espone alcuni delle principali problematiche che il musicologo si trova ad affrontare in un codice musicale medievale. Bent è consapevole che la trascrizione di un mottetto o di una messa polifonica da una fonte manoscritta consiste nella traduzione da un linguaggio notazionale all’altro: […] unless we learn to use a score, any score, with allowance for what it distorts and what it doesn't tell us, and to read it with allowance for what we are missing. Verbal
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